Intervento del Prof. Donato Firrao nell`Assemblea pre

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Intervento del Prof. Donato Firrao nell`Assemblea pre
A TUTTI COLORO AI QUALI STA A CUORE IL FUTURO DEL POLITECNICO E
DELL’UNIVERSITA’ PUBBLICA ITALIANA.
Due moti di NOTEVOLE PREOCCUPAZIONE E PERPLESSITA’ mi hanno
preso leggendo le 26 pagine dell’ultima relazione del Ministro Gelmini,
AUTONOMIA E RESPONSABILITA’ DEGLI ATENEI:
GOVERNANCE, VALUTAZIONE, RECLUTAMENTO
presentata il 24.3 u.s. in un Seminario dal titolo “Un Patto virtuoso tra Università e Istituzioni”.
Uno dei moti mi ha preso mentre stavo leggendo le ultime novità sul sistema di
reclutamento del personale docente delle Università. Mi è sembrato di leggere la
riedizione in chiave 2009 della libera docenza, il cui ultimo bando risale al 1969. Tale
bando prevedeva un numero aperto di vincitori, mentre fino a qualche anno prima il
numero per ogni tornata e per ciascun settore scientifico disciplinare era limitato a 3.
Gli esami di abilitazione alla libera docenza furono aboliti alla fine del 1970.
La libera docenza, conseguita in un determinato Raggruppamento Disciplinare,
costituiva in pratica la chiave di accesso al concorso per diventare Professore
Ordinario ed era la controparte dell’abilitazione all’insegnamento per i docenti della
Scuola Media Inferiore o Superiore. Solo chi aveva la libera docenza poteva
partecipare ai concorsi per ordinario banditi in sede locale per formare le terne degli
idonei del Raggruppamento Disciplinare per cui si era bandito il Concorso; da queste
terne poi ogni Università sceglieva per chiamare il proprio Ordinario. Fino a quando
non si chiamava l’ultimo ternato nessun’altra Università poteva bandire un altro
concorso nello stesso Raggruppamento Disciplinare.
All’ultima tornata per la Libera Docenza, che si è conclusa nei primi anni ’70 ed in
cui passarono quasi tutti i candidati, parteciparono quasi tutti gli Assistenti che
avevano almeno un paio di anni di servizio nell’Università. L’Italia si riempì di liberi
docenti, autorizzati a premettere il titolo di Prof. al proprio nome, e, specialmente i
medici, ad elevare corrispondentemente la propria parcella nelle attività professionali.
Fino a tutti gli anni ’80, spesso la ricevuta di un medico portava la dizione “Libero
docente in …”. Se non c’era il corrispondente titolo di Ordinario o, per lo meno di
Aiuto o Assistente, si poteva essere sicuri che l’esimio dottore non aveva più
frequentato i corridoi universitari.
La libera docenza finì di essere un titolo veramente efficace quando il DPR 382 del
1980 istituì anche in Italia il ruolo dei Professori Associati. Gli Assistenti si
trasformarono in Ricercatori, il gradino successivo fu la Associatura, gli Ordinari
rimasero Ordinari. I Liberi Docenti sfoggiarono per un po’ il proprio titolo, finché
non divenne desueto. I professori Ordinari che stanno andando adesso in pensione
avevano quasi tutti conseguito la Libera Docenza ai loro bei dì.
La Libera Docenza non era però un semplice Cavalierato, che consentiva di utilizzare
il titolo di Prof. Se un Assistente non la conseguiva entro 10 anni dalla propria
immissione in Ruolo, non poteva restare nell’Università e non poteva ricevere un
incarico di insegnamento; aveva però la possibilità di optare per un altro incarico
statale; quasi tutti coloro che non la conseguirono nei termini prescritti di 10 anni
optarono per un posto nella Scuola Media Superiore. La conseguirono anche giovani
di belle speranze non strutturati nell’Università, i quali fecero la loro carriera
dignitosa nella Scuola Media, qualche volta ricevettero anche un incarico di
insegnamento nell’Università e qualche rarissima volta divennero poi Professori
Ordinari senza passare attraverso l’Assistentato. I medici ospedalieri la conseguirono
in gran numero e sfoggiarono il proprio titolo di Prof. nei propri reparti.
I ”Provvedimenti urgenti per l’Università”, del 1973, abolirono l’obbligo di
conseguire la Libera Docenza entro 10 anni dall’immissione in Ruolo di Assistenti
Ordinari. Vi sono ancora adesso Assistenti Ordinari nell’Università, ormai prossimi
ad andare in pensione. Giovani assistenti poterono divenire incaricati di
insegnamento già dal 1971, senza la libera docenza, e dopo tre anni di incarico
“Incaricati Stabilizzati (a vita)”. Ce ne sono ancora alcuni nelle Università Italiane
che non hanno poi percorso i successivi gradini della carriera.
Come mai tiro fuori questo residuato d’antan per introdurre il mio discorso
sulla parte della Relazione relativa al Reclutamento?
Perché la Relazione del Ministro Gelmini dice testualmente:
“La proposta che viene qui delineata prevede che i singoli atenei reclutino e promuovano
docenti e ricercatori scegliendo tra studiosi in possesso della abilitazione scientifica
nazionale per il ruolo pertinente (ordinario, associato, ricercatore). L’abilitazione è
conseguita sulla base di un rigoroso giudizio scientifico espresso dalla comunità degli
studiosi: non conferisce alcun diritto all’inquadramento in ruolo, ma, come qualunque
abilitazione professionale, costituisce condizione necessaria e insieme non sufficiente per
l’esercizio della stessa. La durata quinquennale dell’abilitazione può essere estesa qualora
lo studioso prosegua nell’attività di ricerca al livello richiesto.
L’abilitazione scientifica nazionale è a numero aperto.”
L’unica differenza tra l’Abilitazione Scientifica Nazionale e la Libera Docenza
risiede nel fatto che si può perdere l’Abilitazione se non si continua a pubblicare, ma
nessuno dice quale filtro sarà predisposto. Ritengo che tale filtro non sarà
regolamentato e avremo i nuovi liberi docenti per molti anni a venire, questa volta
classificati in base al pertinente ruolo (che non verrà menzionato nel rispettivo
biglietto da visita).
La predente legislazione prevedeva concorsi a posti il cui numero era rapportato al
numero dei posti messi a concorso dalle singole università. L’esame consentiva di
avere un numero definito di idonei o abilitati; il suo superamento era veramente un
passo decisivo per essere poi chiamati da una delle Università che aveva bandito. Il
concorso nazionale per posti in numero limitato dava una buona garanzia di
rigorosità.
Invece quello previsto nel documento Gelmini è solo un’ulteriore passo necessario,
ma non sufficiente per l’avanzamento; esso invece di snellire complica ulteriormente
la carriera del docente che, si ribadisce ancora una volta, va avanti non per anzianità,
come in tutte le altre carriere dello Stato, ma per una serie continua di esami.
L’altra NOTEVOLE PERPLESSITA’ mi è venuta leggendo l’”incipit” della parte
della Relazione legata alla riforma della Governance.
La governance delle università, a tutti i livelli, si basa su un delicato equilibrio tra istanze
diverse: collegialità, autogoverno, efficacia decisionale, responsabilità verso gli
stakeholders esterni. Per questo motivo è dannoso importare nell’accademia, tal quali, le
forme di gestione e di governo che caratterizzano il mondo dell’impresa.
(Il ruolo del rettore deve essere valorizzato e al tempo stesso chiarito, per esempio
rendendo esplicita la sua funzione di garante della qualità delle scelte e delle strategie. Un
rettore non certo monarca assoluto, ma rappresentativo e autorevole, il quale possa
orientare l’ateneo a una politica di effettivo miglioramento e rappresentarla in modo
adeguato all’esterno. Al rettore si dovrebbe affiancare un direttore generale di sua fiducia
dotato di ampie e riconosciute competenze ed esperienze.)
Il Consiglio di Amministrazione (CDA) dovrebbe essere composto in maggioranza da
persone esterne all’università, ovviamente in possesso di appropriate competenze in
campo culturale, universitario e gestionale, che abbiano maturato un’esperienza
professionale di alto livello.
D’altra parte il DdL Delega al Governo per la riforma della governance di ateneo ed
il riordino del reclutamento dei professori universitari di prima e seconda fascia e dei
ricercatori, primo firmatario Valditara, recita:
Il Consiglio di amministrazione è composto da nove membri, di cui uno indicato dal
Consiglio degli studenti tra gli studenti iscritti da un numero di anni non superiore alla
durata legale del corso di studi. Dei sette membri nominati dal Rettore tra soggetti dotati,
sulla base del loro curriculum e della loro esperienza, delle necessarie competenze
gestionali, tre possono essere interni all’università`.
I membri esterni sono scelti tra esponenti significativi del mondo imprenditoriale e
finanziario, tra ex studenti che si siano particolarmente affermati nella vita professionale
ovvero tra personalità di chiara fama che possano fornire relazioni significative e
competenze utili ai fini delle strategie di sviluppo dell’università`. Non possono comunque
essere nominati soggetti che rivestano incarichi di natura politica.
L’assunzione a tempo indeterminato dei professori di prima e seconda fascia e dei
ricercatori è decisa dal Consiglio di amministrazione su proposta delle strutture di primo
livello interessate.
Nelle Università americane il Board of Trustees (il nostro CDA), di solito con 15-20
componenti è composto da rappresentanti delle Istituzioni finanziatrici o da
Finanziatori singoli, che hanno donato alle Università rilevanti somme di denaro.
Nelle “State Universities”, alle quali lo Stato fornisce dal 20 al 30% dei fondi, la
maggioranza è composta dai rappresentanti nominati dai Governatori che si
succedono negli anni; anche i membri studenti vengono così selezionati, tenendo
presente una rigida logica geopolitica dello Stato di appartenenza (ad es. nell’Illinois
devono essere rappresentate, oltre a Chicago e la capitale Springfield, anche Urbana,
Peoria, Evanston, ecc.
Chi nominerà i componenti del CdA nelle Università Italiane. Il Rettore, per poter
rispondere alla responsabilità che gli viene affidata (come dice il DdL Valditara)? La
Regione che sta assumendo sempre maggiori responsabilità finanziarie? Lo Stato
centrale, che pur sempre fornisce almeno il 30% dei fondi e da cui dipendono i
componenti del Corpo Docente e la componente tecnico-amministrativa? Dove sono
in Italia i mecenati illuminati che, al contrario fioriscono in America, favoriti anche
dalla legislazione sulle donazioni?
E a chi risponderanno i componenti nominati, in un Paese dove gli interessi oscuri
sono sempre dietro l’angolo? Finora tutti dovevano rispondere ad un’idea di Stato,
che fino agli ultimi anni tutti i Governi dicevano di voler rispettare. Le deviazioni di
comportamento, che pure hanno piagato molti Atenei Italiani, avvenivano quando
all’idea di Stato si sostituiva l’interesse personale. Saranno considerati devianti i
comportamenti indirizzati al perseguimento dell’interesse aziendale piuttosto che
all’interesse generale?
Questi sono i dubbi che assalgono chi, fedele ad un’idea di Stato, ha sempre
considerato il Politecnico di Torino uno dei momenti più alti dello Stato Italiano.
Donato FIRRAO