L`eredità del Capotribù grasso. Come l`Irlanda è diventata la Tigre

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L`eredità del Capotribù grasso. Come l`Irlanda è diventata la Tigre
L’eredità
del Capotribù grasso.
Come l’Irlanda è diventata
la Tigre celtica
di John Waters
U
Una storia strana e misteriosa
La scorsa estate, alcuni giorni dopo la morte dell’ex primo ministro irlandese, Charles
Haughey, la rete televisiva nazionale irlandese Rte ha trasmesso, per pura coincidenza, un episodio di una serie in onda da molto tempo chiamata Reeling in the Years (letteralmente “sbobinando negli anni”). Ogni episodio del programma presenta un anno di calendario, mostrando clip di repertorio su importanti eventi di cronaca del tempo, senza commento, ma associati
alla musica pop dell’epoca.
L’anno illustrato in quell’episodio era il 1987, probabilmente l’anno in cui l’economia
irlandese ha toccato il fondo. La maggior parte delle notizie erano negative: elevato tasso di
disoccupazione, emigrazione e debito nazionale in pessimo stato, ma un’immagine mostrava
il neoeletto Charles Haughey nel bel mezzo di ciò che sembrava un campo fangoso, mentre
annunciava che il luogo in cui si trovava sarebbe diventato il fulcro di una nuova Irlanda.
All’epoca della sua prima trasmissione, forse al telegiornale della sera in un giorno del 1987,
è probabile che lo spezzone sia stato accolto con quell’estenuante scetticismo che caratterizzava allora l’atteggiamento degli irlandesi nei confronti della propria classe politica. Oggi,
quasi vent’anni dopo e a pochi giorni dalla morte di questo controverso politico irlandese, esso
ha acquisito un nuovo significato. Infatti la previsione fatta quel giorno da Charles Haughey
si è nel frattempo avverata: il terreno fangoso nel quale si trovava è diventato oggi il Dublin’s
International Financial Services Centre (Centro dei servizi finanziari internazionali di Dublino),
e l’Irlanda che lo circonda è completamente differente dal Paese che all’epoca aveva accolto
l’impulsiva retorica di Haughey con estremo cinismo e pregiudizio.
Nei quindici anni trascorsi da quando lasciò l’incarico nel 1992, Haughey è stato al
centro di un dibattito ancora più acceso di quello che ha accompagnato la sua carriera politica. A poco a poco è infatti emerso che facoltosi uomini d’affari avevano sostenuto per molti
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JOHN WATERS È EDITORIALISTA DEL THE IRISH TIMES.
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anni il suo stravagante stile di vita, donando l’equivalente di quarantacinque milioni di euro
per consentirgli un tenore di vita mediceo durante i trentacinque anni della sua carriera politica.
La partecipazione ai funerali di stato di Haughey è stata notevolmente inferiore alle
aspettative, e questo riflette il perdurante senso di indignazione da parte della popolazione
per l’abuso di una carica pubblica. Tuttavia, alcuni giorni dopo, il servizio ha sottolineato l’ambiguo contributo di questo straordinario personaggio politico della recente storia irlandese, e
mi ha permesso di ricordare una frase utilizzata molti anni prima da mio padre per definirlo.
«Haughey - diceva - è “il Capotribù grasso”», e il popolo irlandese si era aggrappato a lui perché, in qualche modo, aveva promesso di farci diventare grassi come lui, e nel profondo volevamo crederci. Lo spezzone sbiadito del 1987 ci ha ricordato che, sia pure in un modo un po’
contorto, Haughey ha mantenuto la promessa.
Nel febbraio 1987, Haughey era stato rieletto come leader di un governo Fianna Fail1
di minoranza. Aveva ereditato un’economia allo sfascio, che a detta di tutti aveva contribuito
largamente a determinare. Era stato capo di governo più volte tra il 1975 e il 1982, e non era
riuscito a far fronte a una crisi economica sempre più profonda, ma dopo quattro anni di una
coalizione di centrosinistra che aveva raddoppiato il debito pubblico, vi era la sensazione che,
nel caso l’Irlanda avesse avuto l’occasione di invertire il proprio destino economico, Haughey
avrebbe potuto essere il migliore in una banda di incapaci.
Egli aveva condotto la campagna elettorale opponendosi alla tendenza prevalente di
un’economia punitiva, con una piattaforma che prometteva politiche di sviluppo e nessun
taglio alle spese. Una volta eletto, tuttavia, egli aveva fatto propria la saggezza economica convenzionale del periodo, introducendo una drastica serie di tagli alla spesa pubblica.
L’International Financial Services Centre, la brillante idea di un giovane e affermato uomo
d’affari irlandese, Dermot Desmond, che era diventato amico di Haughey a metà degli anni
Ottanta, è stata forse l’unica nota positiva in un coro generale di desolazione e pessimismo.
Alcuni fattori del successo
Ho raccontato questi avvenimenti in modo così dettagliato nella speranza di trasmettere il senso di ambivalenza che il popolo irlandese ora considera come l’origine del successo
continuo di quella che da un decennio viene definita la Tigre celtica. Occorre qualcosa in più
di un’analisi economica per spiegare perché l’economia irlandese, nell’arco di qualche anno
soltanto, è passata dall’essere un caso disperato a ciò che la rivista «The Economist» definiva, nel 1997, «una stella europea che brilla di luce propria». È una storia strana e misteriosa, che sotto certi punti di vista sembra un miracolo, un fenomeno che è quasi impossibile
analizzare in termini convenzionali, poiché non è possibile separarlo dai sentimenti tribali e
moralistici di una cultura politica che resta radicata nella lotta del Paese, durata otto secoli,
per liberarsi dalle indesiderate attenzioni del suo vicino.
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Alcuni ingredienti fondamentali hanno indubbiamente contribuito, negli anni Novanta,
a creare condizioni estremamente favorevoli. Tra questi, il fattore più a lungo termine è rappresentato dai risultati di una serie di politiche in materia di istruzione risalenti agli anni
Sessanta, quando un precedente governo Fianna Fail introdusse l’istruzione scolastica di
secondo grado e il trasporto scolastico gratuiti. Insieme al boom demografico, che si sviluppò
con un po’ di ritardo rispetto al resto dell’Europa, questo fattore ha dato origine a una generazione di giovani con un elevato grado di istruzione proprio nel momento giusto per raccogliere i frutti della prima ondata di una nuova e più radicale forma di globalizzazione.
Questa generazione, che nel corso degli anni Ottanta aveva lasciato in massa il Paese
alla ricerca di lavoro negli Stati Uniti o nel Regno Unito, negli anni Novanta ha potuto far ritorno in patria, e oggi l’Irlanda possiede il più alto livello pro capite di immigrazione in Europa,
accogliendo centinaia di migliaia di europei dell’Est per soddisfare la domanda costante dell’economia irlandese di lavoratori specializzati e istruiti.
All’improvvisa trasformazione dell’economia nazionale ha contribuito anche l’elevato
livello dei finanziamenti dai fondi strutturali e di coesione, di cui l’Irlanda ha potuto disporre
soprattutto all’inizio degli anni Novanta, fondamentali nella modernizzazione di un sistema di
trasporti e di una rete stradale tra i più antiquati in Europa. Un altro importante elemento del
puzzle è stata l’introduzione, alla metà degli anni Novanta, di un’imposta sulle società
(12,5%), che rimane tuttora la più bassa in Europa, e che fa dell’economia irlandese un luogo
estremamente attraente per le imprese americane transnazionali. Questa aliquota ridotta ha
ovviamente suscitato qualche polemica da parte di alcuni partner europei, ma finora il governo irlandese è riuscito a respingere ogni tentativo di imporre un ritorno alla conformità.
In un Paese che si è molto agitato per questioni di etica politica, soprattutto per la
vicenda di Charles Haughey, questa imposta è rimasta sorprendentemente immune da ogni
controversia.
L’economia è sostanzialmente una questione di fiducia
È ovviamente interessante indagare gli elementi concreti dell’economia irlandese alla
ricerca di un “segreto” del successo, ma la vera e completa natura della sua ripresa non è
spiegabile con la semplice somma dei suoi ingredienti più evidenti. Si potrebbe affermare che
siamo in presenza di una sorta di alchimia. La verità è che se l’Irlanda non era stata in grado
di essere autosufficiente, e probabilmente non lo è ancora, in un mondo in cui le economie
dipendevano dall’iniziativa e dalle risorse locali, si trovava tuttavia nella posizione ideale per
trarre vantaggio da un mondo in cui i capitali e l’industria multinazionale si stavano spostando alla ricerca di luoghi ospitali.
L’Irlanda ha scarse risorse naturali, nessuna base industriale e, per di più, otto secoli
di incisiva ingerenza da parte dell’Inghilterra hanno fornito scarso nutrimento all’iniziativa e
all’imprenditorialità locali. Fino a circa un decennio fa, l’economia irlandese si basava quasi
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interamente sull’agricoltura e sul turismo, ed entrambi questi settori lottavano per sopravvivere. Sebbene da un decennio sia una delle economie che registra i migliori risultati al mondo,
l’economia irlandese indigena - al contrario dell’economia “infiltrata” che comprende capitale e industria transnazionali - continua a registrare livelli banali di produttività e di crescita.
È ospitando un’attività internazionale nomade che l’Irlanda è riuscita a trarre vantaggio
dalle proprie capacità e risorse umane. Da lungo tempo gli irlandesi, come lavoratori, sono
ammirati in tutto il mondo e, come emigranti in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, si sono guadagnati una reputazione invidiabile per la loro energia e dedizione. Lo sviluppo dell’economia
globale e la concomitante disponibilità di una generazione di giovani irlandesi con un elevato
grado di istruzione hanno fatto sì che, per la prima volta, fosse possibile utilizzare queste qualità nel proprio Paese.
Per un po’ di tempo sono state sollevate critiche a questo tipo di economia, evidenziando i rischi connessi a un così alto grado di dipendenza da attività straniere, che potrebbero lasciare il Paese se si presentassero altrove condizioni più
favorevoli. Vi sono però pochi
segnali effettivi che questo stia
accadendo. L’Irlanda non dipende da un’economia a basso costo:
i costi, compresi quelli di manodopera, sono tra i più alti in
Europa. Il boom dell’edilizia dello
scorso decennio ha per esempio
visto il prezzo di un’abitazione
media aumentare di circa il
500%. Le tipologie di settori che
l’economia della Tigre celtica ha
attratto - soprattutto elettronica,
industria farmaceutica e servizi
finanziari - tendono a essere
quelle in cui il costo della manodopera rappresenta un fattore
marginale. Questo ha garantito
all’economia irlandese una notevole protezione dalle pressioni
della concorrenza dell’Europa
orientale e di altri Paesi.
L’economia è sostanzialmente una questione di fiducia, e
questo è forse il cambiamento
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più importante avvenuto in Irlanda. Come società postcoloniale, la vecchia Irlanda non aveva
assolutamente il senso delle proprie forze e dei propri talenti. L’idea che l’Irlanda sarebbe
diventata una delle economie di maggior successo a livello mondiale sarebbe sembrata un
decennio fa una barzelletta di pessimo gusto. E tuttavia questo è ciò che si è verificato. La
fiducia genera fiducia e, senza dubbio, si sta ora creando la possibilità che anche l’economia
indigena acquisisca la medesima forza e capacità delle componenti transnazionali in Irlanda.
In ultima istanza, nel prossimo decennio questo potrebbe assicurare il completamento della
trasformazione dell’economia irlandese, via via che una nuova generazione di imprenditori
comincerà a creare un modello di sviluppo economico più adeguato alla personalità e alla
realtà nazionale.
Ma qualcosa doveva succedere per creare l’iniziale senso di ottimismo e vi è chi - pochi
a dire il vero e con moderazione - continua ad additare il contributo di Charles Haughey al
cambiamento di rotta dell’economia. Perfino gli aspetti della sua vita politica ora ritenuti corrotti - comprese le ingenti somme ricevute da uomini d’affari per finanziare il suo pretenzioso stile di vita - possono aver giocato un ruolo in questa trasformazione. Perché, a prescindere dal modo in cui ha acquisito la propria ricchezza, in retrospettiva appare innegabile che il
Capotribù grasso abbia mantenuto la propria promessa di far diventare il suo popolo grasso
come lui.
Note e indicazioni bibliografiche
1 Partito nazionalista irlandese.
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