spexit ex Scorpio et veneno ipsi comminatus est in ferendam necem

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spexit ex Scorpio et veneno ipsi comminatus est in ferendam necem
rimaste immuni dalla sua nonchalance (non scetticismo) le credenze
astrologiche. La scienza, per la quale nulla vi è più grato che invecchiare
ogni giorno imparando nuove cose (D.A., p. 86). La sapienza del divino
Aristotele. Distacco: In questa umana caligine che cosa mai possiamo
imparare? Lo stesso Aristotele ha errato pressoché in un numero infinito
di problemi (D.A., p. 494). La gloria. Distacco. Che resta? « Nome senza
soggetto, eco, una ombra del sogno » (D.A., p. 494). L'Amore. Distacco:
La stessa donna può concedersi ad altri uomini! Distacco ulteriore. Elg
-bè.Cheimporta?(DA,493).ncheprlamoticVnusalo
spegnitoio di una prosastica nonchalance, e, si badi, mentre si avvia consapevolmente al supplizio. Va ricordato a correzione di certa apologetica
che si ostina ad imporre al Vanini le pose bollandistiche del martirio. Il
Vanini invece muore secondo il suo carattere bestemmiando e negando.
« Bravando la morte », dice lo Spini. E' vero, ma bravando a modo suo,
in questa nonchalalnce cinicheggiante. Infatti giudicando Socrate e la
sua fine, scrive nell'Anfiteatro (p. 303): « Socrate nascente, Saturnus re-
spexit ex Scorpio et veneno ipsi comminatus est in ferendam necem, in
ipsius tamen Socratis emolumentum, ut fortitudinis ederet specimen et
in universorum commodum, ut nimirum eius illustrissimo exemplo indurti, pro veritatis tutela mortem non pertimescerent. Aristyppus interrogatus, qualis mortuus esset Socrates, respondet: Utinam mihi similis mors contingeret ». Il Vanini parlava della morte di Socrate; un
genere di morte che sfidava e che esaltava. Ma non senza nonchalance.
Infatti nei Dialoghi a pagina 356, trattando per bocca di un ateo di
questo genere di morti eroiche, sia dei martiri cristiani che dei Turchi,
degli Indi e degli eretici, dice che non si contano quasi gli stolti « qui pro
patriae religionis tutela ultro se tormentis obiicerint ». L'eroismo degrada
a valida immaginativa facultas, honoris cupediae, necnon humor hippocondriacus (D.A., p. 356-357). E più precisamente per Socrate: E' vero
che « in Deorum detestationem pro veritatis tutela mori non dubitavit;
at non pro religionis zelo, sed ut contumeliam effugeret, risui namque
se exposuisset, si in illo constantiae et fortitudinis saeculo ob poenarum
formidinem ab incepto desistere volztisset et fortassis Athenienses inquisitores eius palinodiam non admiserunt » (D.A., p. 453).
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C) IL VANINI NELLA CIRCOLAZIONE DEL PENSIERO EUROPEO.
I) Proselitismo.
a) Cenni storici sui discepoli del Vanini.
A rigore la ricerca sul proselitismo e sui discepoli del Vanini esulerebbe dal nostro tema, se non si risolvesse ad indagare la influenza che
il Vanini insieme con le sue fonti ha esercitato come pensatore nella
circolazione del pensiero europeo.
Che il Vanini abbia avuto discepoli genericamente lo afferma il Gramond. Il Garasse lo dà per corifeo e guida dei libertini. Secondo il Baudouin, magistrati e alunni dei loro figli erano compromessi per intima
amicizia col Vanini. Il Voétius parla di «socii superstites, cum quibus illi
foedus inerat ». Il Parker precisa che quando i suoi discepoli lo videro
tratto alle fiamme s'affrettarono ad abbandonare la sua casa, tranne
Teofilo (30).
Precisiamo i nomi di alcuni di essi: Téophile de Viau (31), il Maresciallo di Bassompierre (32), il Barone di Panat (33), il Conte di Cre(30) Questi scrittori sono riportati dal Porzio: il primo nel vol. I°, p. XCVII;
il secondo nel vol. P, p. XLIX; il terzo nel vol. II°, p. CCX; il quarto nel vol. I,
p. XLV; il quinto nel vol. IP, p. XVII-XVIII.
(31) TEOFILO DE VIALI. Di questo scolarcato parla il Lachèvre. (Le procès du
poète Théophile Viau. Champion. Paris. Tom. I, p. 314). Nell'Apologia contro il
Garasse non si mostra troppo riverente alla memoria del maestro (p. 388). Nello
stesso volume si riporta il secondo interrogatorio di Teofilo; la seconda proposizione accenna a ciò che egli pensava compromettente alla dottrina del suo maestro Vanini. Il Parker (Disputationes de Deo et Providentia divina. Londini, Typis
M. Clark, impensis Jo. Martyn 1678, p. 86. Dal Porzio, op., cit., vol. II, p. XVIIXVIII) lo indica come « magistro digno discipulus ».
(32) BASSOMPIERRE FR. Il Vanini dedica i Dialoghi a questo suo protettore-discepolo, in fama di ateo libertino. Su questo sfondo diventa feroce la beffa ch'è nella
nuncupatoria, dove egli precisa che il suo Mecenate « atheorum contumaciam perstringit, petulantiam comprimit, nefariosque conatus reprima ». Perché essi mirando lo splendore e la maestà della sua venustissima faccia non indugiano a confessare che nell'uomo vi ha un vestigio della divinità (D.A., p. V). La protezione
del Bassompierre, di cui il Vanini sarebbe diventato l'elemosiniere con duecento
scudi l'anno (Perrens, op. cit., p. 65), deve aver molto influito a spingere il Vanini
all'audacia di pubblicare i Dialoghi, nella illusione che l'aulica protezione gli sarebbe valsa di scudo, così come le sopravvenute disavventure dello stesso Bassompierre, devono aver affrettato il tragico epilogo. Che il Bassompierre sia stato del
gruppo libertino del Vanini ce lo dice il Mersenne (op. ci t.) e Tallemant des Réaux
(Les Historiettes, mémoires pour servir à l'hist. du XVII siècle. Paris, H.L. Delioye
1849, tom. II, p. 72, 144. Dal Porzio, op. cit., vol. II, p. XVII). Le stesse cose ripetono
lo Chasle (Études sur l'Espagne et sur les influences de la litt. espagnole en France
et in Italie. Paris, Aymot 1847, p. 349. Dal Porzio, op. ci t., vol. II, p. XVII); Perrens
(op.., cit., p. 65), il Lachèvre (op. cit., vol. I o, p. XXXV e p. 14). Lo Charbonnel
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mail (34), Lioteray (35), Fontainier (36), Bruslart (37), D'Epinay (38).
b) L'Anticristo.
Il Proselitismo del Vanini deve essere considerato come una semplice ed ordinaria manifestazione delle sue idee, sia pura spinta per impudenza giovanile fino all'audacia? Rispondiamo senz'altro negativamente.
Già basterebbe riferirsi all'impostazione delle sue opere per convincersi che determinatamente, secondo un progetto che persegue da anni,
egli tende a compiere opera di propaganda delle sue intuizioni materialistiche, razionalistiche, di particolare orientamento irreligioso e libertino. L'Anfiteatro è tutto in funzione di questo intendimento. Non si può
dir lo stesso dei Dialoghi dove il Vanini improvvisa, saccheggiando lo
Scaligero e altri autori se non tutti padovani, padovani nell'ispirazione,
un sostrato larvale di sistema nei primi tre libri. Se dovessimo riferirci
alla consistenza di questo tumultuario rudimentale rimpannucciamento,
avremmo motivi bastevoli per considerarlo un eccipiente degli spunti
libertini che appaiono qua e là nei primi tre libri e nel trattato del libro
quarto. Ma tale non fu l'intenzione del suo autore, se egli stesso ce lo
dà come un acerbo tentativo di sistemazione dottrinaria del materialismo, da cui le negazioni irreligiose e amorali o ciniche sarebbero dovute
discendere come corollarii.
(op. cit., p. 303) e il Busson (De Charron à Pascal, libr. Phil. Vrin, Paris 1933,
p. 12, 316). Per la moglie del Bassompierre, Principessa de' Conti, anch'essa libertina,
vedi del Lachèvre Les recueills collectifs de poésies libres et satiriques. Libr.
Champion, Paris 1914, p. 148.
(33) BARONE DE PANAT. Ce lo dice il Mersenne e Tallemant de Reux (op. cit.,
p. 72). Lo ripete lo Chasle (op. cit., p. 349), il Perrens (op. cit., p. 65, 84), lo
Charbonnel (op. cit., p. 303), che cita il Mersenne e il Lachèvre (Les procès., p. 14).
E' anche riportato nel Porzio (op. cit., vol. II, p. XVII-XVIII).
(34) A. MONTLUC CONTE DI CREMAIL. E' riportato dal Marsenne (op. cit.), e ripreso dal Lachèvre (Les procès., vol. I, p. )(XXV; Les recueils... p. 151, 162, 473, 476,
531, 540); dallo Charbonnel (op. cit., p. 303) che cita il Mersenne (op. cit.); dal
Busson (op. cit., p. 12, 460, 624).
(35) LIOTERAY. E' riportato dal Mersenne (op. cit.) e ripetuto dallo Charbonnel
(op. cit., p. 303) che cita il Mersenne.
(36) FONTAINIER Giov. E' riportato dal Mersenne (op. cit.). Pel Fontainier, morto nel 1621 sulla piazza di Greve, vedi Perrens (op. cit., p. 68), Garasse (op. cit.,
p. 150); Charbonnel (op. cit., p. 303) che cita il Mersenne.
(37) BRUSLART L. E' citato dal Vanini nel Dialogo LX, p. 482 e 489. Vedi Porzio
(op. cit., vol. II, p. CLXXXVIII), Lachèvre (Les recueils... p. 398).
(38) D'EPINAY SAINT Luc AR. abate di Redon. E' citato dal Vanini nella nuncupatoria dei Dialoghi a p. VII. E' riportato dal Mersenne (op. cit.), dal Perrens (op.
cit., p. 65, 214), dallo Charbonnel che cita il Mersenne, ma ne fa una persona a
parte del Redon (op. ci t., p. 303-304), dal Busson (op. cit., p. 12, 316), dal Lachèvre
(Les recueils..., p. 115, 339, 343, 514).
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Abbiamo già dichiarato che intendiamo rimanere nell'ambito del
nostro tema, cioè delle opere e delle loro fonti. Ma non crediamo di violare i limiti che ci siamo imposti, se accenniamo a mo' di sfondo all'aureola delle opere vaniniane, che in questo capitolo consideriamo come
aspetti dell'opera e della personalità del Vanini.
Intorno ai più celebri negatori, specialmente intorno a quelli finiti
tragicamente,) si è sempre formato un alone di satanismo. Né poteva
sfuggirvi il Vanini, che, come vedremo, si è adoperato a suscitarlo intorno alla sua figura. Siano pure favole le dichiarazioni che il. Vanini
avrebbe reso innanzi ai giudici sul patto stretto con dodici apostoli di
Satana per diffondere l'ateismo in Europa e di cui danno notizia il
Mersenne e il Garasse (39); bisogna tuttavia tenerne conto, perché rappresentano le specificazioni più o meno fantasmagoriche di un reale
stato d'animo del Vanini. Anche nel processo verbale del Capitolo di Tolosa, nell'Estratto delle memorie manoscritte del Malenfant nel Mercure
Franeois del 1619 (tom. V, p. 63-64), tornano le note di questa opera
quotidiana che con determinazione compiva il Vanini, facendo propaganda delle sue dottrine. Lo stesso ripete il Thomasius. Secondo l'Arpe
egli avrebbe aperta in casa sua una scuola di ateismo (40).
Facciamo pure la tara a queste notizie; un fondo di verità resta.
Il Vanini, nell'ultima fase disperata del suo interrogatorio, quando
ormai vide che nulla più valeva a sottrarlo al supplizio, riprese il suo
volto.
E' lo stesso volto che si intravede in lampi sinistri attraverso i suoi
scritti. Ma fra i molti atteggiamenti empii, nei quali egli si mostra al
lettore, deve averne ripreso uno che assume qua e là toni strani, sfuggiti ai critici. Essi, rifacendosi più all'esterno della sua vita e al generico
delle sue opere, han parlato di proselitismo, di missionarismo, ma vi è
di più.
Il Campanella in un suo sonetto (41) dice: « Nessun ti dirà - Son Anticristo ». Ebbene il Vanini si concede di accennare a questa che si può
chiamare un'idea, una tentazione, un'ossessione, una fanfaronata magari, di rappresentare la parte dell'Anticristo (42).
Disposizioni al missionarismo si trovano in Bruno, Galileo, Campanella (43). Ma come remoti da quello del Vanini! Nel Taurisanese il pes(39) Per queste notizie vedi il Porzio, op. cit., vol. TI, p. XXVIII e CLXXI.
(40) Per queste notizie vedi il Porzio, op. cit., vol. II, p. CCXLIX e CCLV; vol. I,
p. XXXVII; vol. II, p. XXVIII.
(41 Campanella T.: Poesie a cura di Gentile. Bari, Laterza 1915, p. 95.
(42) Al missionarismo del Vanini accenna vagamente il Corsano (op. cit.,
p. 159). Lo Spini (op. cit., p. 126-127) invece si propone di proposito il problema
concludendo che esso non è praticamente risolvibile allo stato attuale degli studi.
Noi crediamo al contrario di poter recare dei barlumi.
(43) Per il missionarismo del Bruno, vedi Spini, op. cit., p. 51, 63, 126.
Per il missionarismo del Galilei, vedi Charbonnel, op. cit., p. 579.
Per il missionarismo del Campanella, vedi Spini, op. cit., p. 67.
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simisiììo connaturato con la sua concezione materialistica non è rasse-
gnato, intrepida consequenzialità lucreziana del pensatore che volontariamente si sommerge nell'universa natura asservendo ad essa anche le
leggi della sua umani là, cioè della sua storia, ma è celebrazione satanica
di questo riconoscimento. C'è in lui l'idea di dissolvere apocalitticamente tutti i valori umani. L'apocalisse del missionarismo di solito, come nel
Bruno, nel Galilei, nel Campanella, si illumina dell'idea di una nuova
verità se non di una nuova religione, di cui il pensatore si sente antesignano. Il Vanini non appare meno intrepido nell'assolvere la missione a
cui si sente destinato. Senonchè ogni missionarismo si ispira, qual più
qual meno, all'idea del Messia, donde il nome.
Il ruolo del Messia si svolge sullo sfondo dei valori umani della tradizione e della religione in vista di una parusia che rinnovi il mondo..Il
Vanini invece, che si sente sollecitato a compiere l'opera contraria di dissolvimento, non può essere il Messia, ma l'antimessia, non il Cristo ma
l'anticristo.
1) L'argomento dell'anticristo è stato sempre presente alla dottrina della Chiesa. Il Vanini deve averne avuta particolare conoscenza
durante i suoi studi teologici. In quei primi anni del secolo sull'anticristo si era accesa una polemica, suscitata da Giacomo I (Spini, op. cit.,
p. 37).
2) E' innegabile che nel Vanini c'è un accanimento verso la religione cristiana che va oltre il generico saggio o fanfaronata libertina.
Anche quando mira a « sanare le piaghe dell'avversa fortuna » (A.,
VI), scrivendo un'opera di apologetica come l'Anfiteatro. L'apologia che
sarebbe stato in procinto di pubblicare sarà stata composta con lo stesso
metodo fraudolento.
3) Questa propaganda egli compie non a caso, ma quotidianamente, metodicamente, come le notizie biografiche ci documentano.
4) Sia in quest'opera di propaganda verbale che in quella più impegnata nei libri egli procede con cautela. Accennano anche le fonti a
questo suo metodo di insinuazione prudente. Ma se ci riferiamo ai tempi
in cui egli si consentiva un proselitismo di tal genere e a certi ambienti
particolarmente rigidi e già tristemente famosi per le repressioni feroci,
le cautele appaiono un gioco. Già nell'Anfiteatro esse si rivelano di una
audacia impressionante. Solo la superficialità di certa critica che suole
pronunziarsi senza leggere i testi o soltanto sublegendoli, o la cecità
intellettuale poteva non rilevarne la struttura, l'orientamento parodistico, gli spunti arrischiati.
Non si dice poi dei Dialoghi. In essi il Vanini non si nasconde quasi
più, specie nel libro quarto, dove gli stessi ripieghi del repertorio mi300
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metico diventano elementi di beffa che invece di coprire la critica empia le creano intorno un alone di irrisione. La marachella del tipografo
e gli altri espedienti sono residui larvali. In fondo al libro lo studioso
ha la sensazione che il Vanini è ormai deciso a correre fino in fondo
l'avventura del missionarismo anticristiano, se, deposta la maschera,
espone senza quasi più alcun velo il suo pensiero. Le fonti ci informano
infatti che dopo un mese dalla pubblicazione dei Dialoghi sorse l'allarme nel campo del pubblico timorato e nelle roccheforti della dottrina
tradizionale (44).
5) Dopo quel po' po' di scandalo egli fugge per portare altrove la
sua propaganda irreligiosa. Dove? Nella cittadella del conservatorismo
moralistico e cattolico, Tolosa, già tristemente celebre per il supplizio
di Dolet.
6) Da questi rilievi il contegno del Vanini potrebbe essere ritenuto
sconsideratezza, audacia libertina che ama scherzare col fuoco sino a
bruciarsi le ali. Ma vi è di più. Sollecitati da un passo dei Dialoghi, di
cui parleremo dopo, abbiamo cercato se anche nell'Anfiteatro non vi siano eì2menti che possano collegarsi con una più concreta congettura.
Infatti non mancano sprazzi: Nella nuncupatoria al lettore (p. XII)
parla di atei « qui sese a communione catholica et societate in interitum
ruentes voluntarium, segregarunt ». La frase ove appare l'interitus voluntarius ritorna anche nei Dialoghi a p. 421. E' un fioretto ciceroniano e
potrebbe esser stata adoperata in questo infrascamento di preziosità
stilistica.
Ma vi è modo di rapportarlo ad altro tratto del Dial. L (p. 354 e
segg.) . Un ateo prestanome avrebbe scodellato all'interlocutore Alessandro alcuni spunti empi. Ibridamente collegando premesse fisiologiche
sugli effetti della fantasia sul feto con passi del Vangelo, l'ateo aveva
dedotto che i cristiani nascono stupidi e perciò adatti alla fede, in conformità delle promissioni evangeliche che ai poveri di spirito riservano
il regno dei cieli, Alessandro invece lo avrebbe smentito: I cattolici sono
fortissimi, come provano i martiri innumerevoli.
L'ateo avrebbe ribattuto: Il coraggio dei martiri va attribuito a trasmodante fantasia; a vana gloria e ad umore malinconico (45); tant'è
vero che in tutte le religioni, sia pure assurdissime, come quelle dei Turchi, degli Indi e degli eretici del nostro secolo ci sono stati degli stolti
innumerevoli, i quali per sostenere la loro religione, « ultro se tormentis
obiicerint ». Alessandro allora infiammato dall'amor di Dio, chiama l'ateo
Anticristo.
(44) Cfr. Porzio, op. cit., Vol. II, p. CLXXXIII.
(45) Sull'ippocondria attribuita ai libertini vedi Lachèvre. Le procès..., op. cit.,
p. 53 e segg.
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E' qui che la critica anticristiana del Vanini si colloca in una luce
ricca di particolari suggestioni. E' ovvio che Alessandro e gli Atei sono
dei portavoce del Vanini. Che cosa è secondo il Vanini l'Anticristo?
Veri anticristi furono Ebione e Cherin to, « qui. Christum Jesum di vinitate spoliare nitebantur » (p. 357). Infatti l'ateo (cioè Vanini), per
fare onore alla qualifica attribuitagli da Alessandro, si dà senz'altro a
spogliare Cristo degli attributi della divinità (p. 357 e segg.), rimaneggiando il Pomponazzi e più specialmente il Cardano. A questo compito
il Vanini ha anche atteso e attenderà in altri passi. Il lettore pensi a ciò
che da queste sue fonti egli riporta sulle religioni, sui Legislatores, sui
profeti in generale e sulla religione cristiana-cattolica e Cristo in particolare, allineando accanto alla drastica negazione lucianesca, machiavellica e achitofellistica, una spiegazione pseudonaturalistica dedotta dalla
astrologia. (Ex. VII, XIII. Dial. LII, LIII), mercé la quale egli spoglia
di ogni divinità Cristo e la sua religione.
Ma, a parte questi concetti generali, egli si esercita anche più direttamente contro Cristo. Infatti egli infirma le profezie delle Sibille che ne
annunziarono la nascita (D.A., p. 402-403); i miracoli; la vittoria ottenuta
su Satana mediante la Redenzione da Cristo operata, se si tien conto del
numero limitato dei cattolici rispetto a quelli che son fuori della Chiesa
(D.A., p. 402). Ne spiega machiavellicamente la fine infelice di profeta
disarmato (D.A., p. 360); ne distorce intenzioni e dottrine riducendole a
virtuosità cavillatorie come nell'episodio dell'adultera, del tributo a Cesare, del non veni solvere ecc., della potestà in nome della quale istruiva
le genti ecc.
Un impegno particolare rileva il Vanini per ricondurre a ripiego machiavellico le predizioni furbescamente sapientissime intorno all'avvento
dell'anticristo. Egli scrive: I profeti dell'antica Legge avevano profetizzato l'avvento del Messia, attribuendogli doti e virtù eccelse, in modo da
invogliare qualcuno a spacciarsi per Messia. Cristo invece tratteggia nella sua profezia l'anticristo in toni foschi e repellenti, perché « praedicit
novum legislatorem, suae Legi adversarium, qui erit Deo invisus, assecla daemonium, vitiorum omnium sentina et orbis desolatio, quare nemo
se finget Antichristum, cum nonnisi dedecus et infamiam inde consegui
possit ». L'altro avrebbe ribattuto: Ma i profeti sacri predissero che il
Messia sarebbe stato condannato a morte ignominiosa, ragion per cui
o un folle o un Dio si sarebbe esposto a così grave pericolo. Cristo si
espose. Perciò era un folle o un Dio. « Ma tu » — egli dice all'ateo —
« l'hai qualificato sapientissimo, dunque era un Dio » (D.A., p. 359) (46).
Il dilemma qui posto per Cristo ritorna per lo stesso Vanini più innanzi a p. 409. « De tua sapientia ita eloquar: Vel Deus est vel Vaninus ».
(46) Anche lo Spini si è soffermato pensoso innanzi a questo tratto (op. cit.,
p. 127).
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A cui egli risponde: « Hic sum ». Associazioni sì esteriori, formali, ma in
ogni caso non trascurabili in questa ricerca di stati d'animo larvali o larvalmente espressi.
Vi sono specificazioni meno nebulose? Sì. A p. 354 scrive: « Verae aeternitatis amor per paucos allicit. Ideo vis unus est ipseque miserrimus
qui mori desideret». A pag. 360 vi è invece un lampo. L'ateo avrebbe detto:
« Sapientis esse brevissimos iuxta et in certissimos et laborosissimos
nostrae vitae dies contemnere, pro aeterni nominis gloria apud posteros
comparan da ».
Dopo la solita correzione di scettico distacco il Vanini accenna alla
grande fama di onore e stima e santità che si procaccerà l'Anticristo fra
gli ebrei. Alla fine l'ateo avverte: Eruditus philosophus adimplebit quae
Daniel aliique Aebraeorum prophetae de Antichristo vaticinati sunt...
Unum dumtaxat verisimile de Antechristo scriptum adinveniri mortem
eius turpissimam. (D.A., p. 360).
Io m'ingannerò, ma il Vanini deve aver pensato a se stesso. Non si
concreti, per carità, il riferimento personale sino ad attribuirgli corpulenza di impegno, di programma, di « missione » vera e propria.
Il lettore deve ritenerlo al modo e nei limiti inconfondibilmente vaniniani, cioè riferendosi alla sua varietas, alla sua fan faronade, al suo
distacco, alle sue reticenze mimetiche sia pur residue. Certo vi ha più
che intenzioni larvali. Si ha l'idea che nonostante la mentalità da libertino persifleur, egli ceda all'ossessione di essere predestinato a svolgere
il ruolo satanico di nemico di Dio.
La turpissima mors è nel suo oroscopo. Alla sua nascita presiedeva
« Mars in octava domo (quod absit) », come ci dice a p. 25 dell'Anfiteatro.
Coincidenza suggestiva. «Oblatus est Christus quia ipse voluit», aggiunge nella stessa p. 360 del De Admirandis a seguito della predizione
che fa l'ateo sulla morte turpissima dell'Anticristo. Se ci riportiamo a
p. 60 dell'Anfiteatro, essa ci riserva una sorpresa: Anche qui si dice:
« Christus oblatus est quia ipse voluit ». E perché? Per una ragione astrologica: Come pel Vanini « in ipsius genitura, existens in octavo domo Mars
mortem ci comminatus est acerbissimam, unde exordium Lex cepit firmissimum ».
La coincidenza non è sfuggita al Vanini, anche se ha lasciato ai suoi
diligenti esegeti il compito di collegarla e porre in luce il suo dramma
interiore, che si colora di complicazioni sconcertanti attraverso questi
lampeggiamenti. Questi barlumi crepuscolari che oscillano tra la ossessione, la esaltazione, la votazione di un missionarismo satanico, se depauperano il persifleur e il razionalista, arricchiscono la figura del Vanini di complicazioni psicologiche che le danno unità estetica e umana
singolarissime. Tutto di lui si compone nella più o meno nebulosa suggestione di uomo predestinato a rappresentare all'incirca, se non proprio, l'Anticristo, una specie di Anticristo: il materialismo, l'ateismo, e
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soprattutto il cinismo libertino col quale cerca di incarnare la figurazione classica del vitiorum omnium sentina. Nel tempo stesso il presupposto fatalistico astrale che è in questa sua remota ossessione non gli
impedisce di rivendicare a se stesso l'« oblatus est quia ipse voluit » di
Cristo, cioè di assolvere con zelo ed intrepidezza consapevole la satanica
mansione missionaria, esaltandosi nella rappresentazione immaginosa.
* * *
1l Vanini è tutto in questo dannato intrepido proselitismo.
La sua dottrina non -è... sua ed è ben poca cosa. Anche come tentativo di coordinazione di alcuni elementi delle dottrine padovane, si riduce ad una sopravvivenza «appauvrie» dell'aristotelismo naturalistico (47).
Le figurazioni sfocate e peggio le sbagliate di critici frettolosi, i più
in vena di celebrazioni apologetiche del Vanini, hanno tutte un vizio di
origine: il buio pressoché completo in cui si brancola sul Rinascimento
filosofico italiano. Il Vanini è una delle intricate diramazioni nella foce
a delta di un fiume, di cui sono state malamente esplorate le sorgive, gli
affluenti e il corso. E' una specie di sorgenti del Nilo, così come apparivano agli umanisti quando, non essendo state ancora esplorate, alimentavano logorree di esercitazioni fabulose. Così per il Vanini si è discorso
e si discorre con una mentalità fabulosa, perché non si è studiata e non
si vuole da molti ancora a fondo studiare con metodo scientifico la parte
che vi hanno le fonti specie quelle della Scuola padovana. Vi è uno jato
di grande estensione alle confluenze e alle divergenze dell'ultimo aristotelismo naturalistico. Non si dice tanto del Nifo, del Cremonini, del Cesalpino, del Cardano ecc., argomenti pressocché vergini, quanto dello
Scaligero. Lo Scaligero è il più grande degli scrittori della Scuola di Padova. Le sue opere più che quelle di tutti gli altri filosofi uniti insieme
hanno contribuito a divulgarne le dottrine per tutta l'Europa. I più
degli stessi novatori muovono dal suo De Subtilitate. Eppure, dopo due
secoli di incontrastata dittatura le ombre dell'oblio calarono su di lui, forse perché, come si suol dire, ha più spettatori il sole che sorge che non
quello che tramonta. Lo jato è visibile in tutte le storie della filosofia, in
tutti i trattati monografici.
Arrivati allo Scaligero, gli storici passano sicco pede. Invece la dottrina dello Scaligero è centro di confluenze che non si può trascurare
senza sostituire itinerari fantastici nella circolazione del pensiero europeo.
Il Vanini è una di queste innumerevoli derivazioni. L'asprezza rocciosa delle rive materialistiche le conferisce aspetti di orrido e più ancora il salto pauroso col quale si inabissa. L'iridescenza equivoca dei
riflessi libertini, delle vivezze e preziosità stilistiche accrescono i richia(47) Busson. De Charron à Pascal, op. cit., p. 2.
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mi con effetti di contrasto. Ma il Vanini è tutto in questa derivazione. La
critica, non solo dopo il ravvivamento degli studi vaniniani avvenuto
intorno al terzo decennio del secolo, ma anche prima, è nella stragrande
maggioranza concorde: il Perrens (48), lo Strowski (49), lo Charbonnel (50), Busson (51), e lo Spini (52).
(48) Perrens (op. cit., p. 64) l'ha per « porte-voix sonore, réflecteu'r infidèl et
bizarre ».
(49) Strowski (op. cit., p. 158-159 passim) « Un personnage comme Vanini est
extrémement important... Son importante ne dépend pas de la valeur de ses doctrines. Suivant le mote de père Garasse, il déniaise, il ouvre les yeux des gens; il
rende familier, accessible, humain, un état d'esprit qui paraissait monstreux et forcené: l'irreligion. Il porte avec aisance, avec allégresse, le poids de sa réprobation. Il montre que les consciences s'épouvantent à tort; essayz de devenir athée,
semble-t-il dire, vous verrez comme la chose est facile!
Un incrédule tendu et frénétique au simplement réservé et pensif, aurait fait
comprendre à ses disciples l'énormité qu il y a de ne croire a rien. Les jeunes
gens auraient siirement réflechi et peut-étre reculé. Mais un Vanini les prend par
leur faible... il cachève de tuer en eux le sentiment religieux sous la joie de vivre... ».
(50) Charbonnel (op. cit., p. 274) Vanini Cardano sono « deux intéressants,
inquétants et suggestifs « essaystes », beaucoup moins sérieux et équilibrés que
les deux précédents philosophes (Pomponazzi e Cremonini), mais dont l'esprit
éveillé et fertile, papillonant sur toutes les matières, a semé, à travers les incidents des vies nomades et turmentées, de vues ingénieuses, parfois méme profondes, inspirées, en tout cas, de l'enseignement de l'école padouane. Au surplus,
l'influence de ces deux vulgarisateurs et leur renommée au delà des Alpes ont, à
coup sùr, égalé, sinon dépassé celles d'un Pomponace ». Lo stesso ripete a p. 280.
A p. 302 osserva: « C'est un esprit soupple et brillant, qui joint l'éclat de l'imagination à la finesse de l'ironie, qui pare d'une déconcertante et amusante faconde le
bagage d'une érudition assez vaste. Parfaitement amoral, apte à jouer tous les
róles avec cete apparente sincérité qui semble étre le fait des artistes, il va répandre en France, en leur donnant un tour plus accusé et plus mordant, les plus
suspectes d'entre les doctrines enseignées par se maitres ». Anche a p. 354 lo chiama « essayste » brillant. A p. 355 pone in risalto « l'attitude critique qui donne
aux affirmations déja formulées par les autres libertins quelque chose de plus
incisif et de plus mordant ».
A p. 383 indica la zona in cui si muove il Vanini con la sua speculazione
« d'un point de vue très rarement "constructif", un peu à la maniere d'un Lucien
qui aurait lu les Scolastiques et passé quelques mois à Padoue. A notre avis, il a les
qualités et les défauts, mais sourtout les facultés de vulgarisation, d'un journaliste
de talent. Il a beaucoup contribué à répandre hors de son pays natal, notamment
en France, et sans s'asservir à aucun maitre, la plupa'rt des idées hétérodoxes que
l'on rencontre chez les philosophes transalpins. Bref, si l'on autorise cette expression, il a été, à l'aube du XVII . siècle, mais presque avec génie, le virtuose de la
"libre pensée" italienne ».
(51) Busson. Prefazione al De Incant., op. cit., p. 83 « A défaut d'originalité il
faut lui reconnaitre un pouvoir sérieux de diffusion. Les théses de Pomponazzi
enchevétrées selon une méthode détestable dans des chapitres qui se contredisent
et se répondent alternativamente selon qu'ils sont pairs ou impairs, coupés de
digressions et de redites, exposées dans un latin barbare et avec les formules et
l'argumentation de
deviennent dans le De Arcanis simples, réparties en
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3 - LA ZAGAGLIA
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II) L'influenza delle opere vaniniane.
Queste facoltà di volgarizzatore brillante delle dottrine delle fonti
che il Vanini riorganizza nelle sue opere quali risultati pratici ebbero
nella circolazione del « libertinaggio » e in genere del pensiero europeo?
Il Busson (De Charron..., op. cit., p. 13) giustamente riduce l'importanza dei volgarizzatori del sec. XVII, compreso il Vanini.
Essi « ne faisaient guère que populariser des théories depuis longtemps professées à Padoue et dejà répandues en. France et en Europe
par les étudiants du XVI siècle ». La documentazione di questo diffondersi delle dottrine padovane in Francia nel secolo XVI è magistralmente fatta nel volume « Le Razionalisme dans la litterature francaise de la
Renaissance (1533-61) ». Paris Libr. Philos. J. Vrin 1957, e nell'Introduzione del De Incantationibus del Pomponazzi. Anche lo Charbonnel ne
tratta.
Dopo questa premessa, rifacciamoci rapidamente alla fortuna delle
opere e delle dottrine vaniniane. Per la sorte dell'Anfiteatro e dei Dialoghi il lettore può cercare da sé nel Porzio (53). Ci limitiamo a ricavarne
alcuni cenni. Il Rosset ci dà notizia della condanna che la Sorbona ne
avrebbe fatta nel 1616. Il Porzio la smentisce. Nel 1620 l'autorità ecclesiastica di Tolosa, dopo di aver invano sollecitato un provvedimento
della Facoltà Teologica di Parigi, scomunica gli scritti del Vanini; seguono perquisizioni presso i librai e presso i privati. Nel 1623 furono
posti all'Indice i Dialoghi. Un divieto di pubblicazione di quest'opera
secondo il Patin sarebbe stato fatto in Olanda nel 1660. Queste condanne
e queste resistenze portarono a rendere rare le opere del Vanini, a detta
del Reiserus, del Diecmannus, dell'Olearius, del Thomasius, del Brucker,
del Buhle, dell'Hallam. Nonostante ciò, il Sicco dà notizia che il De Admirandis fu diffuso per l'Italia. Il Garasse (54) constata con livore che
esso ancora « voltige, quoy che soubs la cappe et se preste soubs mains »
chapitres distincts... Elles sont soutenues avec esprit et élégance dans la forme
d'un dialogue parfois spirituel... ». Nel vol. De Charron à Pascal op. cit., p. 317-18
aggiunge Le ton persifleur du jeune abbé était beaucoup plus révelateur que la
gauche argumentation du vieux philosophe ».
(52) Spini. (op. cit., p. 135) « Il Vanini ci tiene ad abbagliare il proprio lettore
con la sua girandola scoppiettante di paradossi, di frizzi, di canzonature. Ci si diverte a scandalizzare con la sua audacia la brava gente timorata di Dio. Più che
un filosofo innamorato della sua idea, arriva alle volte a darci l'impressione di un
cinico alla moda, che si pavoneggia della sua empietà e dei suoi paradossi... ».
Lo Spini indica gli sviluppi ulteriori « dell'empietà libertina su questa strada,
dalle celle dei frati filosofi e dalle lucubrazioni tenebrose degli astrologhi e dei
maghi, nel bel mondo profumato dei grandi signori, verniciati di cultura e di
lettere ».
(53) Porzio, op. cit. vol. II, p. CLXXX, CLXXXII-CLXXXV,CLXXXVII1.
(54) Porzio, op. cit., vol. I, p. CXVI.
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e che è diventato il breviario dei libertini e lo indica tra i libri che fanno
parte della loro biblioteca (55). Per gli effetti della morte del Vanini
sulle sorti del libertinaggio rimandiamo il lettore ai volumi sopra citati
del Perrens, dello Chasles, dello Charbonnel, del Lachèvre e del Busson.
Secondo il Lachèvre (56), né il supplizio del Vaninì, né quello del Fontan ier (1621) avevano affatto intimiditi i libertini. Senza voler prendere
sul serio l'esagerazioni del Mersenne, che precisa in cinquantamila il
loro numero, bisogna ammettere che la sua sopravvivenza si fa grama
e larvale (57). Tracce di rispondenze si notano negli « invisibili » tra i
medici (58). Rispondenze letterali nota il Busson tra il Vanini e il Cotin (59). In realtà, almeno nelle professioni esteriori esso si scarica del
bagaglio teoretico, per sopravvivere in uno dei suoi elementi complementari: la deboche con Teofilo, De Barreaux, Saint-Pavin; o fiancheggiatori: lo scetticismo. Lo Strowski giudicando dall'influenza degli scrittori
padovani sul libertinaggio francese, li ritiene sterili, ma ne eccettua il
Vanini. L'opinione è stata corretta dallo Charbonnel e dal Busson. La
nostra documentazione delle fonti chiarisce anche per altra via l'errore
dello Strowski perché dimostra che il Vanini non è altro che un « ristretto » delle più accreditate dottrine padovane.
Il supplizio del Taurisanese è una delle feroci repressioni con le
quali trionfa la crociata antilibertina. Pari passo con la diffusione del libertinaggio in Francia, iniziatosi verso la metà del secolo precedente, si
era sviluppata la reazione con l'apologetica ortodossa e coi roghi. Tra la
fine del secondo e il principio del terzo decennio del sec. XVII il libertinaggio riceve il colpo di grazia.
Teofilo de Viau non lo rappresenta più se non nelle larve poetiche
e pratiche di una incredulità fanfarona e di una sensualità torbida. Con
De Barreaux, l'illustre débauché e con Saint-Pavin, le roy de Sodomé,
il libertinaggio si dissolve in liquame, sotto un sudario di conversioni
equivoche. Secondo lo Chasle (60) la filiazione vaniniana segue questa
linea: « De Lucilio Vanini à Geoffroy Vallée, brùle en piace de Grève, de
ce dernier à Vallée Desbarreaux (son petit-neveu) puis à Theophil Viau,
de Theophile à Lhuillier, père de Chappelle et de là jusqu'à Molière,
Ninon, Gassendi, Locke, Saint-Evremon, puis jusqu'à Fontenelle, Voltaire et aux philosophes du dix-huitième siècle; cette génealogie est evi(55) LACHÈVRE. Les procès..., op. cit., tom. I, p. 163 e segg.
(56) LACHÈVRE. Disciples et successeurs de Theophile de Viau. Paris Cham-
pion 1911.
(57) PORZIO, (op. cit., volume TI, p. XXX).
(58) BussoN. De Charron..., op. cit., p. 362, 463, 465, 469.
(59) BUSSON. De Charron..., op. cit., p. 79.
(60) Chasle Phil. La France, l'Espaigne et l'Italie au XVII siècle, Charpentier,
Paris 1877. A rigore il Vanini è preceduto da Vallée (bruciato il 9 febbraio 1574); e
De Barreaux da Teofilo.
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dente... Panat re9oit les le9ons de Vanini et protége ensuit Théophile. Le
neveu de Vallée devient disciple de Viau. Le philosophe Gassendi est ami
de l'enfant bMard de Lhuillier ».
Le correzioni e le precisazioni di questo filone sono negli storici che
abbiamo citati, né pensiamo di ripeterli, tanto più che l'indagine esorbita
dal nostro tema. Basta ricavare questi tratti più generali: la crociata antilibertina dei primi decenni del sec. XVII « a rctardé de cent cinquante
ans l'avenement du libertinage ». Secondo il Lachèvre « La propagande
libertine, dont les Quatrain du Déiste resteront la manifestation la plus
osée, se trouvait arrètée du coup; non seulement elle était définitivement
abandonnée au XVII siècle, mais un mouvement in sens contraire, qui a
persisté pendant soixante ans au moins, s'est immédiatement déssiné
chez les classes dirigentes d'alors. (61).
Per il Busson il libertinaggio doveva adattarsi a « chercher un
siècle encore avant de s'emprimer definitivement en Voltaire » (62).
Le procès..., op. cit., p. XVI. Tom. I; Disciples et successeurs...,
op. cit., Preface, p. VII.
(61)
LECHÈVRE.
(62)
BussoN.
De Charron à Pascal. op. cit., p. 515.
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