Un lupo mannaro americano a Londra

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Un lupo mannaro americano a Londra
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Un lupo mannaro americano a Londra
Inviato da Fabio Fulfaro
Even a man who is pure of heart and says his prayers by night may become a wolf when the wolfbane blooms and the
autumn moon is bright. (Curt Siodmak)
Nel 1981 uscirono quasi contemporaneamente tre film che ruotavano intorno al tema della licantropia: Wolfen - La belva
immortale di Michael Wadleigh (l'autore del documentario sul mito Woodstock), L'ululato di Joe Dante e Un lupo
mannaro americano a Londra di John Landis, reduce dai successi straordinari di Animal House (1978) e The Blues
Brothers (1980). In realtà la sceneggiatura originale, scritta dallo stesso Landis, risaliva al 1969, epoca in cui il diciottenne
regista americano lavorava come assistente di produzione alla Metro Goldwyn Mayer sul set del film I guerrieri. La
caratteristica specifica del film di Landis era abbastanza evidente, soprattutto nel tono: non abbastanza horror per alcuni
aspetti comici demenziali, non abbastanza comica in virtù degli evidenti aspetti horror esaltati dagli stupefacenti effetti
speciali di Rick Baker. Quest'ultimo aveva già lavorato con John Landis per il film Slok (1973) e venne contattato agli inizi
degli anni Ottanta perchè, dopo The Blues Brothers, John Landis poteva contare su una maggiore disponibilità economica
e di tempo per realizzare il suo ambizioso progetto. Nel frattempo Joe Dante stava portando avanti il progetto de
L'ululato e contattò Baker per gli effetti speciali: si venne così a creare una situazione ambigua che si risolse solo dopo la
mega incazzatura di John Landis, che intimò al geniale truccatore di evitare il doppio gioco e di tornare a lavorare con lui.
Baker si decise a completare make up e trucchi per Landis e il suo magnifico lavoro venne premiato con l'Oscar.
La storia di An American Werewolf in London ricalca un po' quella della saga dei film sui licantropi (evidente la citazione
de L'uomo lupo di George Waggner del 1941), seppur con qualche variante. Due ragazzi americani in vancanza in
Inghilterra, Jack (un sardonico Griffin Dunne, che ritroveremo splendido attore protagonista di Fuori Orario di Martin
Scorsese e successivamente, negli anni Novanta, regista di commedie sentimentali) e David (David Naughton, attore
importato dalla pubblicità, qui alla migliore performance della sua carriera) vengono assaliti da un licantropo: Jack muore,
mentre David viene ferito gravemente al petto e poi ricoverato in ospedale a Londra, dove viene curato dal Dott Hirsch
(un perfetto John Woodvine) e amorevolmente accudito dall'infermiera Alex (una convincente Jeny Agutter). Ma il
destino di David è segnato, come gli verrà puntualmente ricordato dalle apparizioni del cadavere di Jack: la prossima
notte di plenilunio si trasformerà in licantropo e seminerà terrore. Riuscirà l'amore di Alex a trasformare il mostro in un uomo?
Il successo del film di Waggner del 1941 era dovuto a tre fattori determinanti: la sceneggiatura di Curt Siodmak, che
importò elementi della religione ebraica come la stella a 5 punte e cercò di sviluppare l'aspetto tragico di un uomo
trasformato in bestia e braccato da tutti, i trucchi avveniristici di Jack Pierce, che a quei tempi fecero molto scalpore, e le
cupe musiche medioevali (musiche tritonali dissonanti) che ben sottolineavano l'atmosfera di morte. L'operazione di John
Landis tocca proprio questi tre aspetti: lavora molto sulla sceneggiatura, mescolando insieme aspetti comici ed horror, ed
amalgamandoli in un miracoloso equilibrio. Crea, soprattutto nella parte iniziale, una tensione insostenibile con
l'isolamento dei due americani che vengono cacciati fuori dalla locanda “L'Agnello Macellato” perchè extracomunitari.
Proprio nella scena della locanda Landis fa interagire i personaggi in modo da innalzare un muro di incomunicabilità che
trova il suo culmine nell'avventore che sbaglia il suo tiro di freccette. È il comportamento intollerante degli inglesi a
determinare le condizioni per l'aggressione da parte dell'uomo lupo, una sorte di proiezione mostruosa delle zone oscure
dell'animo umano. Jack e David si trovano da soli, al freddo della brugheria, sotto la luce spettrale della luna piena
perchè non sono stati ospitati, non sono stati accolti. Anche nel film di Landis l'aspetto drammatico della consapevolezza
della propria condizione di mostro viene sottolineato più volte, sia durante le apparizioni dello zombie Jack (che si va
decomponendo a brandelli), che acuiscono il senso di colpa del sopravvissuto David, sia nella crescente preoccupazione
dell'infermiera Alex, che arriverà a una struggente quanto grottesca dichiarazione d'amore a David trasformato in lupo
feroce. David ha perso l'amico ma ha trovato l'amore: il suo conto alla rovescia verso il nuovo plenilunio è accompagnato
dalla rassegnazione al suo destino di creatura mostruosa. La telefonata di David a casa per l'ultimo saluto ai familiari
riassume il senso di questa sofferente consapevolezza. Durante la prima trasformazione quello che colpisce di più, oltre
alla raffinatezza degli effetti speciali, è l'immenso dolore che si sviluppa dentro il corpo di David, quasi una resistenza
strenua a perdere ogni parvenza di umanità.
Dicevamo della colonna sonora. Landis anche qui gioca in maniera anticonvenzionale: invece di utilizzare musica
extradiegetica in tono con gli aspetti macabri del film, decide di utilizzare il repertorio classico di canzoni che parlano
della luna (Blue Moon nelle versioni di Sam Cook e Bobby Vinton, Bad Moon Rising eseguita da Creedence Clearwater
Revival, Moondance di Van Morrison), creando un effetto straniante, soprattutto nelle scene della metamorfosi e degli
intermezzi amorosi. Al resto ci pensa Elmer Benstein, con un repertorio classico da film di genere. Cat Stevens e Bob
Dylan rifiutarono di cedere i diritti dei loro pezzi, rispettivamente Moonshadow e una versione di Blue Moon, perchè non
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Generata: 16 March, 2017, 08:20
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apprezzarono i contenuti del film. Gli aspetti tecnici sono il terzo punto da considerare: il trucco di Baker rimane nella
storia del cinema soprattutto per quanto riguarda la metamorfosi, un po' meno per il lupo in movimento, che è azionato
meccanicamente da un operatore nella sua avanzata a quattro zampe. Inoltre, quando l'uomo lupo si scaglia ad
azzannare il povero malcapitato di turno, si nota una certa rigidità nell'atto e tutta l'artificiosità del pupazzo. La
trasformazione del povero Jack in zombie è invece spaventosamente convincente, e alla fine, nel cinema porno, Jack è
sostituito da un manichino scarnificato davvero orripilante. Da sottolineare l'uso della steadycam, in particolare nelle
scene oniriche nel bosco e nell'assassinio in metropolitana che amplificano il terrore con effetto Shining.
Per chi si aspetta(va) una commedia modello Animal House o The Blues Brothers certo rimane alquanto basito: la
comicità demenziale di John Landis si fa strada in certi personaggi di contorno, come il poliziotto imbranato stile Peter
Sellers o la vecchietta al parco, in certe battute folgoranti (“sono stata con sette uomini, tre in una notte sola”, “è
deprimente parlare con un cadavere”, “mi arresti, il principe Carlo è gay”), in certe situazioni da commedia dell'assurdo
(David nudo allo zoo ruba i palloncini al bambino, la chiacchierata tra David e le sue vittime mentre proiettano il porno
See You Next Wednesday, tormentone di gran parte dei film di Landis). Ma alla fine il tono prevalente è quello del terrore
e degli ettolitri di sangue versati senza avarizia: la catena di incidenti innescata dal mostro a Piccadilly miete decine di
vittime e la resa dei conti tra la bella e la bestia tronca il film in maniera improvvisa e inaspettata, lasciando un po' di
amaro in bocca. Anche il talento visionario di John Landis si fa strada attraverso le divagazioni oniriche di David: le
scene nel bosco con il letto posizionato tra gli alberi e gli occhi trasformati modello Thriller di Michael Jackson, il sogno
dei mostri nazisti che sterminano la famiglia di David e poi lo sgozzano, un sogno dentro un sogno (alla maniera di Edgar
Allan Poe), con la bella infermiera che sussulta, penetrata più volte dalla lama del coltello sotto l'urlo munchiano
dell'amato. C'è anche la catastrofe finale a Piccadily Circus, che richiama gli incidenti a catena di Animal House e di The
Blues Brothers, girata fermando il traffico cittadino e con almeno cinque macchine da presa. Il risultato è sorprendente,
con lo stesso Landis che partecipa come stuntman alla baraonda tra lamiere accartocciate e cocci di vetro.
Lo sguardo di John Landis verso il mondo è alquanto disilluso: un campionario di mostri o zombie emarginati dalla società
civile che a volte li sfrutta, a volte li peseguita, altre semplicemente li ignora, rimuovendoli come un errore. Non ci sono
fini analisi sociologiche o spericolati intellettualismi psicoanalitici. Il livello di John Landis è felicemente più superficiale e
contestualizzabile. Quegli spari finali fanno emergere il corpo di un uomo dalla bestia, ma è solo una illusione. Non c'è
salvezza. Non c'è assoluzione. Il corpo estraneo dell'edonismo reaganiano viene rigettato dagli anticorpi della vecchia
Europa.
TITOLO ORIGINALE: An American Werewolf in London; REGIA: John Landis; SCENEGGIATURA: John Landis;
FOTOGRAFIA: Robert Paynter; MONTAGGIO: Malcolm Campbell; MUSICA: Elmer Bernstein; PRODUZIONE:
USA/Gran Bretagna; ANNO: 1981; DURATA: 95 min.
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