Ferrante d`Avalos
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Ferrante d`Avalos
Dal Castello d'Ischia al Ticino, il vincitore della battaglia di Pavia Ferrante d'Avalos di Domenico Di Spigna Francesco Ferrante d’Avalos era nato a Napoli nel 1489 da Alfonso (1) e Diana de Cardona. A sei anni per volontà di Ferdinando 1° d’Aragona, viene «fidanzato» ad un’altra fanciulla anch’essa di aulica discendenza, qual era Vittoria Colonna, figlia di Fabrizio e Agnese di Montefeltro. Questa venne alla luce in Marino, presso Roma nel 1490. Il 6 giugno 1507 furono concordate le loro nozze che avvennnero il 27 dicembre di due anni dopo (1509) nella cattedrale del Castello isclano, dedicata all’Immacolata. Quest'anno ne ricorre il quinto centenario, che sarà ricordato con varie manifestazioni. I parenti più prossimi erano: per la sposa la madre Agnese, Fabrizio e Prospero Colonna; per lo sposo sua madre Diana (il padre era deceduto), la zia Costanza d’Avalos, la zia acquisita Laura Sanseverino, madre di Alfonso marchese del Vasto, e tanti altri bei nomi, quali Guglielmo Tuttavilla conte di Sarno, Giovanni Guevara, Luigi Giovanni Mormile napoletano, Ludovico Picchi romano, Guidone Fieramosca di Capua, Cosimo de Mayo, Galeazzo Tarsia, Giovanni Musofilo umbro e maestro di lettere di Ferrante, Jacopo Sannazaro umanista, Giovanni Paolo Cossa gentiluomo d’Ischia. Gli atti furono vergati dal notaio isolano Giacomo Melluso (2). Le nozze furono benedette da Mons. Matteo d’Aquino, arcivescovo di Gravina. Purtroppo l’unione tra i due giovani durò soltanto poco tempo e i sussulti amorosi tra i due dovettero interrompersi per superiori motivi di contingenza. L’edera veniva staccata dal tralcio! La presenza del prode Francesco Ferdinando (Ferrante) si rendeva utile alla causa degli equilibri politici d’Italia, che quasi sempre si manifesta con la guerra. Il nostro era figlio d’un uomo d’arme; suo padre Alfonso fu gran connestabile del regno di Napoli e venne ucciso a Castelnuovo (3) con una saetta da uno schiavo moro, mentre si adoperava a cacciare i Francesi giunti al seguito di Carlo VIII il 22 febbraio 1495. La sua scomparsa fu compianta dal re e dal popolo tutto. Suo avo fu Roderigo, che diede lustro al suo casato; suo nonno Innico o Ignico, che seguendo le sorti di re Alfonso 1° d’Aragona venuto alla conquista del regno di Napoli, fu catturato assieme a questi dai Genovesi nelle acque dell’isola di Ponza. Una volta liberato per intercessione di Filippo Maria Visconti, fu permesso all’aragonese di portarsi a Napoli e al d’Avalos di stare presso il duca Filippo a Milano. Ferrante che aveva preso dal padre il soprannome di Pescara (per il marchesato di quel luogo), nonché talento nell’arte bellica, aveva aulica discendenza anche per parte materna, che dal canto suo aveva avuto quattro fratelli capitani e di singolare bravura. Due di loro, don Antonio marchese di Padula e don Giovanni conte di Avellino molto si prodigarono per lui per farlo crescere forte e stratega nelle azioni di guerra. Il Pontano (4) umanista e letterato, come si evince dalle«Vite» di Paolo Giovio, era esperto nella scienza delle stelle e alla sua nascita aveva previsto vittorie e gloria, ma che avesse dovuto guardarsi il volto dalle ferite, cosa che puntualmente si avverò. Le vittorie sui campi di battaglia saranno numerose e faranno da corollario all’altra grande Vittoria (5), vale a dire sua moglie, donna eletta per linguaggio, lettere e religione, con la quale convolerà a nozze a venti anni d’età. Dice di lui Paolo Giovio (6) nella sua Vita del signor Don Ferrante d’Avalo: «Se noi volessimo mettere insieme tutte le onorate virtù del corpo e dell’animo delle cose da lui fatte, egli senza ombra di dubbio supererebbe tutti i suoi uguali e i valorosi capitani che lo hanno preceduto per lode di combattente. Già adolescente, dopo aver giocato con i soldatini, si dilettava a organizzare azioni militari o fasi di guerra simulata 1) Questa aulica famiglia spagnola, che diede valorosi combattenti, era giunta a Napoli al seguito di Alfonso I d’Aragona, provenendo dalla vecchia Castiglia. Alcuni lo dicono nato ad Ischia. 2) Cfr. O. Buonocore, Storia di uno Scoglio, pg.108. 3) È il castello che ancora oggi ammiriamo lungo il porto di Napoli, per le trasformazini fatte dagli Aragonesi al vecchio maniero degli Angioini. 4) Fu segretario di re Ferdinando d’Aragona e autore del “De Bello Neapolitano”. Era nato a Cerreto d’Umbria nel 1426 e morì a Napoli nel 1503. 5) P. Giovio, Vita del Marchese di Pescara. 6) Giovio, op. cit. La Rassegna d’Ischia 1/2009 17 Alfonso Davalo Marchese del Vasto e allorquando il suo maestro Musofilo, egubino, lo invitava allo studio delle lettere, lui preferiva i romanzi storici cavallereschi. Una volta maturo per la guerra, ebbe in dono dalla madre Diana, un’insegna sulla quale era riportato uno scudo con il beneaugurante scritto: «con questo o sopra questo», in una parola, vincitore! L’anno 1511 parte per la Lombardia per dar man forte a suo suocero Fabrizio, che per il Papa combatteva contro i Francesi. Hanno luogo così le lunghe assenze dalla consorte, che resterà molti anni nella terra d’Ischia, anzi nel castello dell’isola, come prigioniera ad aspettare il suo «bel sole». Soltanto alcune volte potrà vederlo apparire sull’orizzonte dell’azzuro mare del golfo, che al contrario, alla sua dipartita le sembrerà nero come inchiostro. Al volgere del successivo anno lo vediamo sfortunato protagonista nella memorabile battaglia di Ravenna, in quell'11 aprile, giorno di Pasqua. L’esercito, comandato dal viceré Ramon de Cardona, assieme ad altri capitani, è sconfitto, costretto a fuggire. La vittoria è dei transalpini, comandati dal giovane e valoroso Gastone de Foix, di anni 23, che però vi troverà la morte, cosa che per ironia della sorte, capiterà anche al nostro, dopo la vittoria a Pavia nel 1525 e la morte qualche mese dopo. Il d’Avalos a Ravenna è seriamente ferito nel centro della mischia, assieme a suo zio marchese della Padula ed al valente cavaliere Placido de Sangro; pur destreggiandosi egregiamente deve soccombere, riportando numerose ferite. Il Guicciardini nella sua Historia d’Italia dice: «... e i cavalli leggieri dei quali era capitano generale Ferrante Davalo, ancor giovinetto ma di rarissima aspettazione». Consigliato dal Sangro di fuggire, il Pescara respinse l’invito rispondendo che avrebbe preferito essere onorato dagli amici da morto. Venne abbattuto assieme al suo cavallo trafitto dalle lance, 18 La Rassegna d’Ischia 1/2009 privato delle armi dorate e della veste di broccato. Di poi sanguinante in volto, sfinito per la intensa lotta sostenuta, fattosi riconoscere tra i tanti corpi esanimi, fu rimesso in piedi dai soldati nemici che lo consegnarono al cardinale Sanseverino, per le cure del caso. Suo zio, Don Giovanni Cardona (Conte d’Avellino), per le ferite riportate nell’infausta giornata di Ravenna, morirà pochi giorni dopo a Ferrara, come pure Placido de Sangro. Il Pescara (7) è prigioniero assieme a suo suocero Fabrizio e portato a Ferrara e dopo a Milano rinchiuso nella rocca di Porta Giovia (8). Verrà liberato dietro pagamento di seimila ducati e con i buoni uffici di Gian Giacomo Trivulzio marito di un sua zia paterna, Ippolita d’Avalos, mentre Fabrizio sarà reso libero per magnanimità del duca di Ferrara, ed il Padula evaderà dalla prigione. Il giovane Ferrante durante la sua detenzione, esente dalle attività militari, col pensiero volerà alla moglie Vittoria che stava in Ischia, nella sua corte del castello aragonese, dedicandole un poemetto «Dialogo d’Amore». Dirà il Giovio (9) : «Così il Pescara per singolar beneficio del Trivulzio fu tratto di prigione». Mentre che egli era in castello e medicava le ferite, non avendo comodità alcuna di esercitare il corpo, esercitò talmente l’ingegno non mediocramente ripieno delle lettere umane per la dottrina del Musefilo suo precettore che in pochi giorni scrisse un piacevolissimo Dialogo d’Amore alla signora Vittoria sua moglie». Non molto tempo dopo, ancor recante cicatrici al viso per le ferite riportate, si reca ad Ischia sul bruno castello e v’incontra la consorte; ivi riceve l’ammirazione di Isabella d’Aragona, vedova di Galeazzo Sforza nipote di Ludovico il Moro. La cronologia storica ci tramanda che nel 1516, anno della venuta di Francesco I di Francia, Ferrante trovavasi a Napoli, intento a proporre ai locali Principi l’accettazione di Carlo V d’Asburgo, che aveva ereditato i domini di Spagna, quale loro sovrano. Verosimilmente avrà incontrato la moglie, alla quale si ricongiungerà nel febbraio 1517, in occasione delle nozze di sua cugina Costanza d’Avalos con il Duca d’Amalfi Piccolomini. Di nuovo impegnato in guerra, lo incontriamo assieme a Prospero Colonna (1452 – Milano 13-12-1523), contro i Francesi a cui tolsero Parma e la stessa Milano nel 1521 e nell’anno successivo alla Bicocca (10), zona periferica di Milano in direzione di Monza come riportato dallo storico pavese Antonio Grumello :«La Bichocha si è un loco lontano de la città mediolanense millia quatro et posta fra doi fontanoni che portano aqua et una strata, qual va al camino di Monza». Lo scontro ebbe luogo nella mattinata del 27 aprile 1522; l’esercito francese è comandato da Odette de Foix visconte di Lautrec, quello pontificio da Prospero Colonna, con a capo della cavalleria il Pescara. Sono questi gli anni della massima attività bellica, della sua breve ma intensa vita, che lo portò a lasciare questo mondo a soli trentasei anni. Nel 1523 è protagonista ad Abbiategrasso e a Robecco sul Naviglio 7) Già capitano di cavalleria a 21 anni. 8) Era questa situata presso l’antica Porta di Giove. Oggi il luogo corrispondente è indicato con una scritta nell’attuale castello sforzesco di Milano. 9) Vita del Marchese di Pescara, op. cit. 10) Questo termine nel dire dei Lombardi sta per casupola, casa diroccata, cascina. contro gli eterni nemici francesi, che nonostante gli insuccessi militari, guidati dal giovane e baldanzoso Francesco 1°, si organizzano maggiormente, si ingrossano e ritornano in Italia, riprendendosi Milano e cingono d’assedio la città di Pavia sul fiume Ticino. Altre sue azioni guerresche si riscontrano, a fianco dello zio Don Antonio de Cardona, a Trezzo d’Adda, nel quale castello si sono ritirate le forze francesi. Vuole il nostro acquisire onori nella milizia a testimonianza della famiglia d’Avalos. Racchiude in sé, intraprendenza, dinamismo, equilibrio e molta bravura nel combattimento a piedi e a cavallo. La sua giovanile figura era degna di ammirazione per i suoi occhi vivaci, la pacatezza nei momenti sereni, il fuoco ardente nei momenti della tenzone. Evidenziava in viso una barba alquanto rossiccia che contornava un naso aquilino. D’altro canto era definito superbo per il portamento ieratico, il suo parlare sempre serio e la severa brevità delle risposte. Con tali componenti portava in sé il carattere del«militare nato». Si abbigliava nel costume della moda spagnola e in quella lingua sempre gli piacque esprimersi, anche con la moglie. La validità dei suoi subalterni era dovuta, tra l’altro, anche alla disciplina che sapeva imporre nelle sue file, pronto a punire per manchevolezze o insubordinazioni. A tal proposito, va ricordato che un giorno un suo soldato uscito dalle file penetrò in una casa per depredare. Gli fu portato davanti e lui ordinò che gli fosse tagliato un orecchio. Al che il malcapitato rispose che si sarebbe vergognato per il tipo di pena; pertanto Ferrante decise di farlo impiccare ad un albero. Quando suo zio, il Marchese della Padula, dai Medici di Firenze fu nominato Capitano delle Genti, il Pescara ottenne il comando dell’esercito, portandosi sotto Casteggio e Voghera ove vistosi rifiutare vettovaglie, espugnò la stessa Voghera mentre i suoi cavalleggeri compivano scorribande nella città di Alessandria. Passa di poi a combatterre in Liguria, dove gli Adorni avevano cacciato da Genova i Fregoso e una volta battuti i Francesi con una squillante vittoria, riporta in città Ottaviano Fregoso (che tra l’altro era discendente per parte materna, dai Montefeltro di Urbino, come pure sua moglie, la poetessa Vittoria Colonna). Quest’ultima non molto tempo dopo le nozze, quando il suo Ferdinando dovette partire per la guerra in Lombardia, gli aveva dato in dono, un camerino ornato con ricamo, sopra la cui porta si leggeva ciò che giustamente fu detto di Vespasiano imperatore:«Numquam minus,otiosus, quam cum otiosus erat ille» (11), (non è mai meno ozioso che quando riposa). Dopo la battaglia di Pavia, il D’Avalos ch’era rimasto ferito in più parti del corpo, ricevette lodi dagli«imperiali» e dai vari Principi, riuniti in lega, la proposta di acquisire il Regno di Napoli in cambio dell’infedeltà al suo imperatore. Saputo della cosa, Vittoria Colonna gli scrisse in tali termini: «Si sovvenga della sua solita virtù, con la cui reputazione e lode egli avanza la fortuna e la gloria di molti re. Perciocché non la grandezza dei Regni e de’ titoli, ma per la via della virtù l’onore si acquista, il quale sempre con chiara lode arriva a discendenti; ch’ella non desiderava essere moglie di re, bensì di quel Gran Capitano, il quale non solamente in guerra con valore ma ancora in pace con la magnanimità aveva saputo vincere i re più grandi» (12). Stando il Pescara a Milano e ammalatosi gravemente, vinto da una sete continua, indebolito per le tante fatiche di guerra, poiché a nulla servivano le cure mediche allora posssibili, peggiorando le sue condizioni generali, si pensò di avvisare la moglie che si portasse a Milano desiderando egli vederla, prima di lasciare la vita terrena. Partitosi da Ischia Vittoria, arrivò fino a Viterbo, laddove venne raggiunta dalla funesta notizia della morte di Francesco Ferdinado d’Avalos avvenuta in quel freddo 25 novembre. Il Pescara fu sepolto in Milano con onorate esequie il 30 novembre 1525 e successivamente (13) fu portato a Napoli e posto nella chiesa di S. Domenico Maggiore (dove ancora giace); lodato con magnificenza in pubblico da Gualtiero Corbetta milanese (14). La Battaglia nel Parco Pavese Prima di addentrarci nella descrizione dei fatti bellici, avvenuti fuori le mura di Tesino (15) è opportuno volgere uno sguardo a ciò che era la situazione politica di quel tempo in Lombardia, che determinò tali avvenimenti. Nel 1447 morto l’ultimo dei Visconti, vale a dire Filippo Maria, senza lasciare prole maschile, il Ducato di Milano passò a suo genero Francesco Sforza. Successivamente uno di questa famiglia, Ludovico detto «il Moro» era in guerra con i francesi di re Luigi XII, ma fu battuto da un altro milanese, il gentiluomo Gian Giacom Trivulzio che combatteva per il re francese. Questa vittoria non durò a lungo perché tre anni dopo, il capoluogo lombardo fu riconquistato da Massimiliano Sforza figlio di Ludovico. Morto Luigi XII nel 1515 viene in Lombardia un giovane re, Francesco I, valoroso, elegante, amante delle lettere, che sconfigge a Marignano (Melegnano) Massimiliano Sforza che è costretto a rintanarsi nella fortezza di Porta Giovia (nell’at11) G.B. Rota, Vita di Vittoria Colonna, appresso Pietro Lancellotti, Bergamo 1760. 12) Giovio, nella vita di lui, lib.7. 13) Ciò il 12-5-1526. Cfr.O. Buonocore, Sul castello d’Ischia. 14) Bullart. 15) Meglio dovrebbe chiamarsi la “Battaglia di Mirabello” perché là iniziata e conclusa. La Rassegna d’Ischia 1/2009 19 tuale Castello Sforzesco), per uscirne indenne ma esiliato in Francia dove morirà. Il giorno 11 ottobre Francesco entra in Milano acclamato da Porta Ticinese fino al Duomo. Formatasi allora una coalizione tra Firenze, Mantova, Carlo V (16) imperatore e Papa Leone X alla testa, i francesi di Odette de Foix sono battuti da Prospero Colonna nella nota battaglia della Bicocca, di cui prima abbiamo fatto cenno, cosicché il secondogenito di Ludovico il Moro, Francesco Maria, si riprenderà Milano. Dopo la scomparsa del comandante Prospero Colonna, a capo dell’esercito imperiale fu posto il fiammingo Carlo di Lannoy (signore di Sanzelles) che era viceré di Napoli. Questi porta dal sud un nutrito numero di soldati al fianco di quel Francesco Ferrante, già chiaro per le sue vittorie in battaglia, che poi passerà alla storia quale vincitore della battaglia di Pavia (17). La fanteria di questi è formata da soldati spagnoli abili a combattere a piedi e compiere irruzioni notturne a sorpresa; oggi si direbbe un blitz nel campo nemico. A tal proposito si può far riferimento a quanto avvenne la notte del 27 gennaio 1524 ad Abbiategrasso, dove si trovava il capitano francese Pierre du Terray, signore di Bayard, allorquando il Pescara e Giovanni de’ Medici (18) piombano nel campo nemico seminando strage e terrore, con lo stesso Bayard che fugge via evitando di essere catturato. Oramai i Francesi sono in rotta, davanti alle truppe imperiali che si fanno largo, rafforzate da Veneziani e 6000 Lanzichenecchi; si oltrepassa il fiume Sesia, gettando un ponte di barche, col Pescara che nato guerriero e di tal cosa consapevole semina morte e panico. Lo stesso comandante Bonnivet è ferito ad un braccio, mentre il Bayard viene colpito alla colonna vertebrale dagli archibugieri e si consegnerà al D’Avalos; morirà poco appresso e la sua salma imbalsamata sarà trasportata in patria. Sulle ali del successo il Pescara e il connestabile di Borbone tentano di invadere la Francia, dalla parte della Provenza, ma ad Avignone sono fermati dalle truppe nemiche che vanno ad ingrossarsi. Capovolta la situazione militare, stavolta è il Pescara che indietreggia, riuscendo però a riportare al sicuro tra le mura di Pavia il resto dei suoi, passando per Voghera. Le ostilità tra le parti non sono finite. Francesco I, l’aitante re alto quasi due metri, decide di riportare il suo esercito in Italia, mentre le forze imperiali non in grado di far fronte agli avversari, lasciano Milano, ripiegando su Lodi. Anche Francesco II Sforza, non sicuro e con la città colpita dalla peste, va via. Allora il re di Francia, con un numero di soldati che supera le due decine di migliaia, si porta sotto le mura della «ex longobarda» Pavia cingendola d’assedio; ciò alla fine dell’ottobre 1524. Per più di tre mesi questa storica città (19) deve patire le dure conseguenze di tale isolamento. Essa è comandata e difesa da Antonio de Leyva, aiutato da Don Francesco Sarmiento col quale provvede a fortificarla, anche 16) Carlo d’Asburgo diventa Carlo V il 28-6-1519. Nato il 24 febbraio 1500, morì il 21-9-1558. 17) Ogni due anni in questi luoghi si tiene una rievocazione storica, in costume d’epoca. 18) Giovanni dalle Bande Nere (1498- 1526) era figlio di Giovanni de’ Medici e Caterina Sforza. 19) Pur non essendo più capitale del regno longobardo, era allora sempre importante per il castello e la sua nota università. 20 La Rassegna d’Ischia 1/2009 con torrioni formati da botti riempite di terra: Dall’interno l’aiuto viene da parte di un cavaliere pavese, Matteo Beccaria, che organizza i suoi concittadini per la difesa della città. Ciò nonostante la città assediata, scarsa di viveri e afflitta dalla pestilenza viene a trovarsi sempre più in difficoltà; la sua popolazione scende a meno di diecimila abitanti (20). Le forze francesi dislocate fuori città sono così organizzate: l’avanguardia è comandata da Jacques de Chaban, signore de la Palice e da Robert de La Marck, signore de Fleuranges. Le truppe che si trovavano presso il castello di Mirabello e la cascina Pantaleone sono comandate da Jacques de Amboise, signore di Bussy e Galeazzo Sanseverino (con i suoi lancieri), che già era stato al servizio degli Sforza. Inoltre fanno parte dell’armata francese, i lanzichenecchi tedeschi al comando di Francesco di Lorena e l’inglese Charles Brandon, duca di Suffolk, quelli dalle bande nere, cosiddetti per il colore dell’uniforme, al comando di Anne de Montemorency. Saranno proprio costoro a sferrare il primo attaco all’assediata Pavia, ma dopo l’iniziale successo, verranno respinti dai cittadini (mercanti, artigiani, persone varie), sotto il comando di Antonio de Leyva (21), tra l’altro sofferente di gotta, aggravata dal freddo e dall’umidità e portato in lettiga. Si tenteranno altre forme di offese alla città accerchiata, facendo affondare i mulini ad acqua per non poter così macinare il grano per la fabbricazione del pane. Nei giorni 5 e 6 novembre la città è martorizzata da continui bombardamenti, durante i quali si distinse per abnegazione e opera di coordinamemento la marchesa di Scaldasole, Hippolita Malaspina. Francesco 1° tenta inoltre un’opera ciclopica, quella di deviare il corso del Ticino, che costituisce una difesa naturale per la città, ma vanamente dal momento che il fiume è ingrossato per le piogge cadute. Un’altra sua idea è quella di attaccare il regno di Napoli per indure il comandante degli imperiali, Carlo di Lannoy, ad accorrere laggiù e lasciare la Lombardia ai Francesi, il tutto avvalorato dalla notizia che il Papa mostra benevolenza al re e che il Duca di Ferrara promette aiuti economici. Nei primi giorni di gennaio Pavia sarà ancora una volta martellata dalle cannonate e si solleverà alquanto dagli stenti, quando due soldati spagnoli riusciranno furtivamente ad entrarvi recando della moneta, ma oltrepiù la notizia che 2000 «imperiali» verranno in loro aiuto. Ed ecco che entra in azione nuovamente Ferdinando d’Avalos, che dopo aver espuganto Sant’Angelo Lodigiano si porta verso Pavia. Dopo tale avvenimento, scriverà a Girolamo Morone (22) in tale modo: «stata bona cosa, io ho hanto a fare; per caso uno schiopeto me hanno passato uno stivale, senza farmi poco male che abrusarme le calze, et che un altro el zupone e la camisa in la manega senza farmi poco altro male che brusarme la carne«(23). In condizioni climatiche quasi proibitive per le nevicate che hanno reso quasi impraticabili le strade, il 6 febbraio i due eserciti belligeranti cominciano a schierarsi. Nel mentrte il De Leyva fa uscire dalla città alcuni fanti e 50 cavalli leggeri 20) Cfr. L. Casali – M. Calandra, La Battaglia di Pavia, pg. 49. 21) Era un Navarrese, di alta statura e dal naso a becco. 22) Segretario di Francesco II Sforza, a cui è intitolata una strada a Milano. 23) Giovio, op. cit. libro VI, cap II, pg. 418. in direzione di San Lanfranco e San Salvatore che uccidono qualche centinaio di soldati grigioni e distruggono il ponte di barche fatto dai francesi sul Ticino. Un altro mattone che si screpola, nell’orgoglio del re franco è il ferimento di Giovanni de’ Medici, maestro di scaramucce che è ferito ad un tallone; viene così a mancargli un valido capitano a cui si aggiunge la defezione di soldati grigioni (24). Dalla parte avversa non è buona, anzi è preoccupante la situazione degli assediati, per le lunghe sofferenze, mancanza di vettovaglie e penuria di danaro per la paga ai mercenari. Il comandante De Leyva pone qualche rimedio a quest’ultimo bisogno, facendo fondere il vasellame dei ricchi pavesi e i cibori delle chiese e suoi ori, per forgiare monete su cui sono riportete le sue iniziali A. L. e la scritta:«Pavia sazia, Cesare trionferà». Con tale stato di cose si arriva all’azione bellica, che viene stabilita nella notte tra il 24 e 25 febbraio. Esclama il Marchese di Pescara:«Deme Dios cien anos de guerra, y no un dia de batalla de la qual son tan varios y dudosos los sucessos y tan cierto y calamitosos los peligros, pero las causas para no dilatar la batalla son tan manifiestas». Al tuonar di tre colpi di cannone le forze militari di Don Antonio de Leyva sarebbero uscite dalla città circondata e dalla parte del castello si sarebbero dirette verso Mirabello, con Fernando d’Avalos (25) subito all’attacco; con la conquista di questa posizione si sarebbe tagliata la strada per Milano al re franco. Nel campo dell’esercito avversario i duci, Tremoille, Galeazzo Sanseverino, La Palice consigliano al loro re di portarsi via per accamparsi a Binasco località a metà strada con Milano per indurre i nemici ad uscire di città e sfaldarsi da sé. Il re però darà ascolto al suo«angelo custode», l’ammiraglio Guglielmo Gouffier, signore di Bonnivet, che lo farà agire diversamente. Le forze impegnate in questa battaglia, tra le più cruente dell’epoca, saranno di circa trentamila per i francesi muniti di un numero maggiore di cannoni e di 20.000 per gli imperiali, a loro volta supportate dalle truppe spagnole, brave nella battaglia campale e dai lanzichenecchi di George Frundsberg. La differenza precipua che farà pendere la bilancia verso gli imperiali, consisterà nel modo di gestire le azioni belliche, dirette dal connestabile di Borbone, il Lannoy, e da Ferrante d’Avalos, che passerà alla storia quale il vincitore della battaglia. Dirà di quest’ultimo lo storico Paolo Giovio:«se noi volessimo mettere insieme tutte le onorate virtù del corpo, e dell’animo con la perpetua felicità delle cose da lui fatte, senza alcun dubbio il Signore Don Ferrando Marchese di Pescara avanzerà non pure tutti i suoi uguali ma ancora i capitani stati innanzi di lui di lodi di guerra». È proprio lui che prende coscienza di non attaccare i nemici frontalmente, ben fortificati sulle proprie posizioni con solidi terrapieni, ma più utile inviare il Marchese del Vasto a Mirabello, per un attacco laterale. Francesco Ferrante d’Avalos irrompe nel Parco È un mattino grigio di quel 24 febbraio, giorno di S. Mattia Apostolo e venticinquesimo genetliaco di Carlo V. Ferrante concepisce lo stratagemma di attaccare di notte di sorpresa, per la qual cosa fece prova generale alle tre di notte del 22 febbraio; pertanto finge una ritirata verso Lardirago, lasciando la postazione di Casa dei Levrieri distraendo le sentinelle con colpi di archibugio, mentre i guastatori spagnoli s’impegnano ad aprire un varco tra le mura che circondano il Parco Visconteo, allora detto«Barcho». I primi ad irrompere nel campo francese però saranno i cavalleggeri guidati da Alfonso d’Avalos, Marchese del Vasto. Essi indossano una camicia bianca per riconoscersi tra loro; sono circa le sette del mattino ed è piuttosto oscuro. Questi massacreranno gli aggregati dei francesi, ovvero sia mercanti, animatori, vivandieri, familiari dei soldati, prostitute. Qualcuno che riesce a sottrarsi a tale furia, dà l’allarme generale! I tempi ormai sono maturi per lo scontro finale che deciderà le sorti di questa guerra. Ritiratosi il Del Vasto, per non isolarsi dal resto degli«imperiali, le prime fasi della reazione nemica sono a loro favorevoli. Difatti la cavalleria guidata dal viceré di Napoli Lannoy che si trovava schierato sulla riva destra della Vernavola, corso d’acqua più abbondante di quanto sia oggi, subisce notevoli perdite. Il re francese abbatte personalmente Ferrante Castriota e sulle ali del successo (effimero) esclama al Lescun: «Oggi voglio chiamarmi signore di Milano». Ed ecco che entra in azione il Pescara con i suoi archibugieri che attacca sul fianco sinistro la cavalleria avversaria, 24) Soldati del cantone svizzero dei Grigioni. 25) Nome anagrafico del d’Avalos, detto comunemente Ferrante. che trovasi presso una zona fangosa della Vernavola e quindi svantaggiata nei movimenti; vengono abbattuti molti cavalli e cavalieri. Intervengono con ferale azione pure i «lanzi» dell’imperatore che odiano gli omonimi della Banda Nera, pur essi tedeschi al servizio dei francesi e comandati da Richard Pool e Carlo di Lorena, distruggendoli nella quasi totalità. Cade il comandante Lagmantel, sul cui corpo fa atti di sciacallaggio un soldato spagnolo e, con azione macabra, gli mozza una mano mostrandola quale trofeo! Gli scontri, cruenti, si susseguono. Il Pescara, caricando a cavallo, viene gravemente ferito ad una mano, al volto, ad un piede e disarcionato. Suo cugino Alfonso, a capo d’un quadrato spagnolo sconfigge gli svizzeri di Floranges, considerati una forte fanteria, avvelendosi dell’azione del De Leyva che li attacca alle spalle. Questi è uscito dalle mura di Pavia, alla quale difesa ha lasciato il fedele Matteo Beccaria. Il duca d’Alarcon, che era in retrogurdia, giudicata sfavorevole la situazione, con poco valore militare, si ritira. Il La Palice rimasto a piedi, combatte con la spada ma si arrende poi. Un soldato vigliaccamente lo uccide sgozzandolo come un porco (26). Francesco di Lorena, già ferito, è abbattuto con un colpo d’alabarda; il duca di Suffolk è sventrato con la picca mentre Luigi d’Ars è colpito da una palla d’archibugio; il Sanseverino muore in sella al suo destriero. Il Bonnivet, vista la devastante sconfitta e sentendosene responsabile si lancia a viso scoperto verso i nemici andando incontro alla morte. 26) J. Giono, Le desastre de Pavie, pg.206. La Rassegna d’Ischia 1/2009 21 Il re francese, contornato da cinquanta fedelissimi, tenta un'improbabile salvezza con la fuga, ma invano. È circondato e deve arrendersi al Lannoy che gli esclama: Sire siete ferito? No, risponde, guarisco! In una tetra atmosfera, nel grigiore della nebbia che offusca i tanti cadaveri sparsi sull’umida e fredda terra (tanto per cambiare) della Bassa Padana, si conclude in poco più di un’ora la battaglia, iniziata verso le sette del mattino. Ferrante d’Avalos, grazie alle sue innate doti di stratega eccezionale fu l’artefice principale della vittoria finale. Francesco 1°, sotto cavalleresca protezione (perché ancora inviso agli spagnoli quantunque prigioniero) viene condotto alla Casina dei Levrieri e successivamente, tramite il Pescara chiede di non essere posto prigioniero nel castello di Pavia (27), paventando le offese dei pavesi, da lui assediati per quattro mesi. La sua non lunga prigionia avverrà difatti nella fortezza di Pizzighettone (28) dove rimarrà fino a giugno. Gli altri capi catturati saranno: Enrico d’Albret re di Navarra, il Bastardo di Savoia, il Signore di Saint Pol, Galeazzo Visconti, il Signore di Lescun che morirà il giorno seguente ospite nella casa di Hippolita Malaspina Marchesa di Scaldasole, il Florange verrà tradotto prigioniero nel castello di Bereguardo. Francesco di Lorena e il Duca di Suffolk saranno sepolti nella basilica di S. Pietro in Ciel d’Oro, mentre Galeazzo Sanseverino è tumulato alla Certosa di Pavia. Prima della prigionia a Pizzighettone Francesco 1° venne condotto al monastero di S. Paolo, dove proruppe in pianto e nello sconforto; scrivendo alla madre, pronunciò la famosa frase «tutto è perduto fuor che l’onore». Del fermo del re, ne darà notizia a Francesco Sforza il suo Cancelliere Girolamo Morone che gli comunicherà:«Qua a Pavia, ho fatto la riverentia al re di Franza nel alogiamento di San Paulo». A sera sarà a cena con tutto lo stato maggiore imperiale, al quale poche ore dopo si presenterà un numero di soldati tumultuosi per rivendicare le loro spettanze, perché da tempo non pagati. Il marchese di Pescara, tormentato dalle ferite ricevute riportate in battaglia, che ne ammorbidivano la sua caratteriale fierezza, decide da parte sua, come promessa, la contribuzione di tre quartieri di Milano per i postulanti e buoni di credito firmati dal viceré. Termina così la baruffa, per tale risoluzione, che ha del capzioso o quantomeno un velo di illusione. Quali saranno gli avvenimenti successivi? Re Francesco, dopo circa quattro mesi di prigionia a Pizzighettone, sarà trasportato sulla costa toscana e di lì imbarcato per la Spagna, laddove dopo ancora sei mesi di prigionia verrà accompagnato libero alla frontiera e rimpatriato; Ferrante d’Avalos morirà in novembre a Milano, lontano dalla poetessa Vittoria Colonna sua moglie. Oggigiorno a Mirabello di Pavia, che fu teatro della sanguinosa battaglia, si nota una stele a ricordo dei numerosi caduti d’ambo le parti, dei quali resti sembra che non si sia ritrovato mai nulla. Sul muro della cascina Repentita, luogo della cattura del re, è posta una epigrafe con la seguente didascalia; Cascina Repentita Francesco I re di francia avversato su questi campi dalla sorte delle armi il 24 febbraio 1525 cadeva prigioniero dell’emula Spagna orgogliosa di tanto trono. Domenico Di Spigna Bibliografia essenziale Jean Giono, Le désastre de Pavie, Gallimard, France 1963. Paolo Giovio, La Vita del signor Don Ferrando Davalo, Marchese di Pescara, in “Le vite di dicenove huomoni illustri” in Venetia presso Giova Maria Bonelli MDLXI. Faustino Gianani, Mirabello di Pavia, ed. succ. Fusi Pavia 1971. L. Casali – M. Galandra, La Battaglia di Pavia. Gianni Juculano ed. Pavia 1999. Marin Sanuto Diari XXXVII – XXXVIII- Venezia 1893 Norino Cani e Gian Carlo Stella, La Battaglia di Ravenna, 11 aprile 1512. De Paoli Gianfranco, L’assedio e la battaglia di Pavia, estratto dal bollettino di storia patria, 1963. Mirabello di Pavia Monumento a ricordo dei caduti della battaglia del 24 febbraio 1525 22 La Rassegna d’Ischia 1/2009 27) La sua costruzione fu voluta dai Visconti. 28) In tale epoca era un castello con quattro torri; ne rimane oggi una soltanto, proprio quella della detenzione del re.