di Pat Patfoort,”il comportamento non - VIS

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di Pat Patfoort,”il comportamento non - VIS
CORSO DI AUTOAPPRENDIMENTO PER VOLONTARI IN PARTENZA
Area relazionale
Lezione 1
Gestione non violenta dei conflitti interpersonali
(a cura di Paola Francesconi)
Qualcuno forse si starà chiedendo per quale motivo all’interno di un corso che tratta di
formazione ai diritti umani, sia presente una dispensa dedicata alla riflessione sulla
gestione nonviolenta dei conflitti interpersonali.
Può sembrare che si sia passati da un argomento ad un altro senza motivi e legami.
Proviamo ad andare in profondità.
Fino ad ora abbiamo parlato di diritti umani, di culture e di diversità; in altri termini, il
nostro obiettivo è il perseguimento della giustizia e della pace, possiamo forse immaginare
tutto ciò senza tenere di conto dei conflitti che si generano tra le persone?
In fin dei conti i diritti umani vengono discussi da persone appartenenti a culture diverse,
possiamo forse pensare che non siano mai esistiti e che tutt’oggi non esistano conflitti
riguardo le differenti opinioni?
Il conflitto è un fatto inevitabile della vita quotidiana e Pace non è assenza di conflitto. La
pace consiste nell'affrontare in modo creativo i conflitti e qui cercheremo di conoscere
e approfondire come procedere in questo intento in modo tale che entrambe le parti
vincano e quindi non vi sia un perdente e un vincitore.
Un argomento tanto vasto come i diritti umani in cui si è visto spesso e anche ultimamente
come una cultura tende a prevalere sull’altra imponendo la propria visione sul rispetto dei
diritti fondamentali, ci induce a ritenere fondamentale un percorso dedicato alla gestione
nonviolenta dei conflitti. Un percorso sul tema dei conflitti può indicare come non esistano
solo reazioni di aggressione, fuga o resa, vittoria e sconfitta, ma sia possibile una terza via
alternativa, cioè superare alcuni aspetti negativi per giungere ad esprimere i propri punti
di vista e le proprie emozioni, ascoltare le ragioni dell'altro, veder comprese le esigenze di
più parti, senza forme di violenza.
L’opportunità di conoscere modalità utili nell’affrontare in modo equilibrato gli inevitabili
conflitti della vita quotidiana, può contribuire a formare delle persone capaci di gestire la
propria aggressività e può favorire la creazione di un'atmosfera più serena.
Nella nostra cultura il conflitto assume una connotazione esclusivamente negativa,
riconducibile allo scontro, alla lotta, alla guerra o alla sopraffazione, vedremo in questa
sede come non sia l’unico modo per affrontarlo.
Abbiamo introdotto il termine “conflitto”, che riprenderemo approfonditamente più avanti
e adesso vediamo insieme cosa vuol significare l’espressione “gestione nonviolenta”.
1. Introduzione alla “nonviolenza”
Come sostiene Pier Cesare Bori nella prefazione al libro “Costruire la nonviolenza” di Pat
Patfoort,” il comportamento nonviolento ha una sua naturalezza, ha un suo radicamento
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profondo. Si tratta allora di divenire consapevoli degli aspetti nonviolenti del nostro
comportamento, di confermare questi aspetti, di rafforzarli, di svilupparli”.
La comunicazione nonviolenta è trasversale all’argomento dell’educazione ai diritti umani,
lo è in quanto terza via, è un approccio alternativo di educazione, praticamente una scelta
obbligata quando educhiamo ai diritti umani in contesti fortemente poveri e deprivati.
Non è accomodante cioè, non rinuncio a dire quello che penso in favore tuo, non impone
cioè, non prevalgo su di te.
Non si tratta di distinguere quello che è buono da ciò che è cattivo, cerchiamo piuttosto di
far luce sul modo in cui le cose si rapportino o si oppongono tra loro, su come siano
intimamente legate le diverse forme del comportamento umano e su quali siano le
conseguenze di tale comportamento.
Obiettivo della lezione:
capire e accettare che gli aspetti negativi di molte situazioni della nostra società sono
direttamente legati ad alcuni comportamenti che appaiono innocenti.
Tali comportamenti generano riflessi negativi e proprio partendo da questa realtà
cercheremo di dimostrare che se vogliamo far sparire questi aspetti e far si che non si
generino più, tutti dobbiamo cambiare alcuni nostri comportamenti lavorando con
pazienza su noi stessi.
Se il nostro scopo come donna e come uomo è il raggiungimento della pace e del rispetto
quindi dei diritti umani da parte di tutti, la strada comincia proprio da qui:
♦ Acquisire una consapevolezza ossia attraverso la conoscenza giungere alla
comprensione
♦ Cambiare; attingere ad una serie di tecniche, metodi e programmi.
Un metodo per affrontare e studiare e affermare la nonviolenza è considerare i due aspetti
fondamentali riguardo la consapevolezza di noi stessi:
a) Divenire consapevoli della violenza insita nei nostri comportamenti
b) Divenire consapevoli degli aspetti nonviolenti del nostro comportamento
Perché è importante avere consapevolezza degli aspetti nonviolenti dei nostri
comportamenti?
Semplice, per svilupparli e confermarli.
Ma cosa vuol dire nel nostro caso “violenza nei comportamenti”? (potremmo pensare che
non ci riguardi in prima persona visto che noi non abbiamo mai aggredito, mai ucciso,…)
permettetemi qualche precisazione:
il nostro comportamento è violento ogni qual volta non agiamo in modo nonviolento e
quando usiamo o incoraggiamo la violenza.
Mi sembra opportuno riportare una frase, a mio parere la più significativa, letta
sull’argomento della nonviolenza.
Dal libro di Pat Patfoort, Costruire la nonviolenza :”comportarsi in modo nonviolento
significa cercare continuamente di perseguire la nonviolenza in ogni istante della
nostra vita, la nonviolenza è un ideale da perseguire: la nonviolenza perfetta non esiste.”
Leggendo questa frase probabilmente ci rendiamo subito conto che i risultati che possiamo
ottenere da questo metodo non sono immediati e tanto mento non possiamo aspettarci un
successo della nonviolenza pari al 100%; quello che però possiamo affermare al riguardo
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è che l’efficacia della nonviolenza aumenterà significativamente quanto più sarà elaborata
e naturalmente quanto più numerosi saranno le donne e gli uomini che la impiegheranno.
Il motivo per cui la nonviolenza viene scelta è l’importanza e la rilevanza che sta nei
propositi e nei valori fondanti.
2. Per una esatta comprensione del termine nonviolenza
Soffermandoci sulla parola nonviolenza siamo richiamati come per riflesso al termine
“violenza”.
Questo è un buon inizio per dar spazio e quindi accogliere in noi il termine nonviolenza.
Se nonviolenza è intesa come assenza di violenza, è necessario, definire con precisione
quello che intendiamo con il termine violenza.
Così facendo saremo certi di poter giungere ad una esatta comprensione del significato di
nonviolenza.
Proviamo a pensare ad una situazione di violenza che abbiamo subito.
Se ognuno di voi scrivesse tale situazione subita, si confrontasse poi con i colleghi in
gruppi di studio e decidessero in seguito di riportare su un cartellone una definizione
“unica” di violenza, beh ci sarebbe una gran sorpresa: le opinioni divergerebbero
nonostante tale termine sia usato di frequente e da tutti, uomini, donne, adulti e bambini.
A riguardo, il contributo della belga Pat Patfoort di cui beneficiamo dei testi anche in lingua
italiana oltre che in inglese, ci aiuta a puntualizzare questo vasto argomento.
Gli studi che ha effettuato mostrano che le situazioni violente sono caratterizzate da una
relazione squilibrata tra due posizioni di potere che lei raffigura in un modello chiamato
M(maggiore), m(minore) in cui ognuno cerca di presentare il proprio punto di vista o
comportamento o caratteristica come migliore di quello dell’altro. Ognuno cerca di essere
nella posizione M e di porre l’altro nella posizione m.
È possibile però che M si trovi in questa situazione intenzionalmente o no e di questo, può
esserne consapevole o meno.
M, può differire da m semplicemente per una serie di caratteristiche; tale differenza può
generare una discriminazione, una forma di ingiustizia che rappresenta/realizza uno
squilibrio fra le parti letto da m.
L’origine di M-m è nelle differenze.
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differenze
x
y
differenze
C
a) situazione iniziale: due persone possiedono delle
b)ci sentiamo inferiori o superiori,
non semplicemente diversi: diamo un giudizio di valore
giudizi
di
valore
c)si determina il prevalere di una parte sull’altra
M
●
m
●
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Queste differenze si trovano a diversi livelli:
a) in esperienze e pensieri non detti: differenze fra caratteristiche;
b) in discussioni rivolte a un’elaborazione teorica dove nessuna decisione deve
essere presa: differenze fra opinioni;
c) in conflitti aperti e rivolti alla pratica, dove occorre prendere una decisione:
differenze tra punti di vista.
Le differenze di opinioni e di punti di vista possono nascere sia dalle differenze tra le
caratteristiche, sia dal modo diverso con cui ciascuno di noi fa esperienza della stessa
realtà.
Vediamo dunque come anche le esperienze e non solo le caratteristiche producono il
sistema M-m.
A questo proposito la Patfoort facilita la comprensione attraverso la lettura di una storiella
indiana che riportiamo qui sotto.
Parabola indiana dei sette ciechi
“un giorno sette ciechi ebbero la fortuna di
toccare un elefante che passava dalle loro
parti. Erano soddisfatti e orgogliosi.
Sfortunatamente ciascuno di loro aveva
toccato solo una parte dell’elefante e, tuttavia
erano convinti di averlo toccato tutto. Così
iniziò una discussione. Il primo era convinto
che l’elefante fosse una lancia perché aveva
toccato una zanna. Il secondo era convinto
che l’elefante fosse una colonna perché
aveva toccato un piede. Il terzo era sicuro che
l’elefante fosse un muro perché aveva toccato
la pancia. Il quarto insisteva che l’elefante
fosse un ventaglio perché aveva toccato un
orecchio. La discussione prosegui fino al
settimo cieco…”
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Come possiamo ben capire dal testo, nessuno possiede la Verità, ma ognuno ne
possiede un pezzo diverso.
Credo che ognuno di noi almeno in un’occasione abbia pensato, o addirittura pronunciato
questa frase, ciononostante nel bel mezzo di una discussione, siamo portati a credere che
la nostra opinione sia quella giusta e la sola che conti.
Se questo accade, di riflesso, l’opinione dell’altro verrà considerata sbagliata anzi, per la
precisione, non “conta niente”, per di più subentra un senso di “prevalenza sull’altro”
esigiamo infatti che l’altro pensi che la nostra opinione sia la sola giusta.
Quello che abbiamo appena descritto entra nella logica M-m che si manifesta nel
pensiero o in un ragionamento bipolare nel caso in cui ci siano due opinioni diverse.
Questo pensiero definito bipolare, riduce tutto molto semplicisticamente:
buono / cattivo
bello / brutto
giusto / ingiusto
normale / anormale
non accoglie entrambe le definizioni, le oppone.
Se ci soffermiamo con attenzione viene alla luce che è proprio il pensiero bipolare che ci
riduce a perseguire una posizione di M (giusta, buona) per noi stessi e una posizione di m
(ingiusta e cattiva) per l’altro, e questo per la paura di vestire noi stessi la situazione
minore.
Esercizio sul momento.
A questo punto propongo un esercizio all’apparenza facile e sbrigativo, (non cadete
nell’inganno!), vi invito a prendere un po’ di tempo per riflettere sull’atteggiamento che
prevale in voi in una situazione conflittuale. Rifletteteci adesso. Quando assistete ad un
conflitto fra altri, un genitore con un figlio, quando siete di fronte alla TV e qualcuno vive
un conflitto, che siano attori o politici o personaggi del “Grande Fratello”,…ogni qualvolta
vediate una situazione conflittuale, ripercorrete il vostro atteggiamento di fronte al
conflitto. Quale comportamento assumerei se io fossi nei panni della persona che sto
osservando?mi imporrei?, mi adeguerei?, cercherei un compromesso?, lo eviterei?,
collaborerei?
Questo tipo di esercizio ci aiuta ad aumentare la consapevolezza dei nostri pregiudizi e
facilita la trasformazione nonviolenta dei conflitti.
Torniamo a noi, riprendiamo l’ultima frase scritta: ”… e questo per la paura di vestire noi
stessi la situazione minore”.
Cosa ci spinge a questo pensiero se non il nostro “sano” istinto di autoconservazione?
Oltre che il livello di sopravvivenza, noi sviluppiamo un livello dei valori il quale ci porta a
difendere le proprie credenze, i propri valori affinché abbiano il loro spazio, questo lo
riscontriamo ad esempio nei conflitti tra generazioni diverse, pensiamo all’idea che hanno i
“nonni” sulla convivenza prematrimoniale rispetto al pensiero dei giovani di oggi su questa
realtà tra l’altro sempre più diffusa; naturalmente ogni parte tende a dare maggiore spazio
alle proprie convinzioni e questo, proprio sulla base del modello M-m e quindi mi prendo
lo spazio alle spese di un altro.
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Ho bisogno di un vincitore così avrò un perdente e di un cattivo perché ci sia un buono;
possiamo riscontrare quindi che la sana energia che deriva dall’istinto di
autoconservazione si trasforma in aggressione verso l’altro passando da aggressività
positiva, ossia quella combattiva detta anche assertività, ad un’ aggressività negativa,
offensiva verso l’altro.
Nella maggior parte dei casi l’impressione che si ha è quella che il modello M-m sia
l’unico, spesso si sente dire che questo modello è naturale, che è un istinto dell’essere
umano, di tutti gli esseri umani.
Come abbiamo appena visto, è insito negli esseri umani il volersi difendere, il voler
sopravvivere, ma quello che non è insito negli uomini e nelle donne, è il volersi difendere
sulla base del modello M-m.
3. Argomentazioni e fondamenti
Approfondendo ulteriormente l’argomento ci rendiamo subito conto che le conseguenze di
questo modello/comportamento evidenziano i tre meccanismi della violenza:
1. violenza contro se stessi, chiamata interiorizzazione della violenza
2. violenza contro l'altra persona che ci ha messi nella posizione minore detta escalation
della violenza
3. violenza contro una terza persona esterna ai fatti, definita catena di violenza.
Nel modello M-m si usano strumenti ben precisi, le argomentazioni. Queste permettono
a noi stessi di credere che possediamo la posizione della ragione in ogni situazione,
conflittuale o no.
La belga Pat Patfoort suddivide le argomentazioni in tre tipi:
•argomentazioni positive: ossia quelle argomentazioni che cercano aspetti positivi del
proprio punto di vista per dargli valore
•argomentazioni negative: sono quelle che cercano di sminuire il punto di vista dell'altro
•argomentazioni distruttive: sono quelle argomentazioni che hanno il fine di sminuire sia
il punto di vista dell'altro sia la persona stessa
A livello inconscio quello che molto spesso si verifica è che ognuno cerca, in qualsiasi
situazione, di ampliare, il proprio punto di vista al fine di rafforzarlo e metterlo in
opposizione all'altro affinché sull'altro possa prevalere.
Fino a qui niente di nuovo, ma ora entra in gioco una diversa realtà, per alcuni senza
dubbio è già stata incontrata, per altri ancora no e questo non per negligenza o
disinteresse, piuttosto per ignoranza dettata dalla nostra società che ci rende sempre più
protagonisti di realtà conflittuali mal gestite o peggio ancora affrontate con il solo modo
che permette ancora oggi di assistere a discriminazioni, la violenza. Questo capitolo vuol
rappresentare uno strumento di confronto su una realtà che da sempre nella storia non ha
mai avuto ampio spazio di riflessione.
Esiste un altro modo di affrontare una situazione conflittuale di partenza, è il modello che
si basa sulla nonviolenza, chiamato modello dell'Equivalenza e detto anche modello E.
La nonviolenza, sulla base di questo modello fa si che possiamo difenderci ma in modo
che non avvenga a spese di altri, difenderci senza attaccare.
Come il modello che abbiamo visto poco prima, anche il modello E si avvale di strumenti
ben precisi: i fondamenti, ossia quei fattori latenti in entrambi i punti di vista, sono
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elementi emotivi e razionali: motivazioni, bisogni, interessi, finalità e valori.
Per facilitare la comprensione possiamo dire che i fondamenti racchiudono le risposte alla
domanda: perchè questo è il mio punto di vista?, perchè l'altro ha un punto diverso dal
mio?
La differenza fra le argomentazioni del modello M-m e i fondamenti del modello E è
essenziale per comprendere e attuare il metodo nonviolento di comunicazione. Affrontare
un conflitto con il metodo E vuol dire partire da una situazione che sta in profondità, tanto
in profondità che spesso non viene espressa perchè non ne siamo consapevoli;
naturalmente a seconda del modello adottato la soluzione di una divergenza o di un
conflitto porta con se contenuti e risultati diversi.
Andando nello specifico secondo il modello M-m ci possono essere solo due possibilità di
soluzione, o hai ragione tu o ho ragione io. Secondo il modello E ci sono invece molte
soluzioni che nascono appunto da un modo di pensare che è al di fuori di una visione
duale, o io, o tu, queste molteplici soluzioni nascono da una raccolta dei fondamenti delle
due parti che si trovano in conflitto.
Un punto a mio avviso essenziale è che mentre nel modello M-m predomina il trovare una
soluzione, nel modello E, la cosa fondamentale e di maggior rilievo è il processo
adottato che vede gli "attori"del conflitto aprirsi ai fondamenti di entrambi e il rispetto dei
fondamenti dell'altro come i propri.
Il modello E è sicuramente il più difficile e dispendioso di energie da parte di entrambi,non
è facile infatti valutare i fondamenti di entrambe le parti, per raggiungere questo fine è
necessario lavorare e approfondire alcuni punti che ci aiutano a comprendere quei passi
fondamentali per una soluzione nonviolenta.
Innanzi tutto è necessario imparare a gestire il nostro potere evitando di abusarne o di
lasciarlo inutilizzato, inoltre è di estrema importanza lavorare sulla nostra autocoscienza e
quindi sulle nostre motivazioni e sul perchè abbiamo certi punti di vista e non altri, a tal
fine è opportuno sviluppare un'immagine più positiva di se stessi, per far sì che aumenti la
fiducia in noi e di conseguenza la nostra forza interiore.
Naturalmente anche l'altro è chiamato ad affermarsi positivamente e ciò permetterà ad
entrambi gli "attori" di assumere un atteggiamento tranquillo e di umiltà, di prendersi il
tempo necessario e di non temere le difficoltà; è proprio la nostra forza interiore ad
aiutarci a dare spazio all'altro accettandolo così com'è, senza sminuirlo. Per approfondire i
tre passi di cui stiamo parlando è utile immaginarci una discussione, è importante pensare
ad un fatto realmente accaduto e provare a rielaborarlo dopo avere letto i seguenti punti:
•il primo passo consiste nel riuscire a metterci nella posizione equivalente nei confronti
dell'altra persona e ampliare i nostri fondamenti accogliendo, dando spazio ai fondamenti
dell'altro.
•il secondo passo vede raccolti i fondamenti di entrambe le parti e lo sviluppo di una
comunicazione in tutte le sue modalità, verbale, non verbale, emotiva, sia per inviare che
per ricevere un messaggio.
a questo punto è necessaria una pausa, un momento di meditazione per assorbire ed
accogliere seriamente i fondamenti dell'altro (è necessario dormirci sopra!).
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•il terzo punto si sviluppa in profondità delle persone coinvolte nel conflitto, qui si cercano
soluzioni che soddisfino entrambi. se le fasi precedenti sono state seguite con
consapevolezza è possibile trovare la soluzione in tempi brevi, ma a volte rimane
complicato ed è qui che entra in gioco l'arte della creatività.
una volta scelta la soluzione può venirci spontaneo confrontarla con i due punti di vista
originari, quelli che hanno formato il conflitto, e questo è l'errore più frequente nella
trasformazione nonviolenta dei conflitti, infatti ciò che viene elaborato in profondità,
al livello dei fondamenti, non deve in alcun modo essere riportato in superficie
perchè questo riporterebbe la discussione ad un livello in cui le due parti
cercherebbero di presentare la soluzione come se fosse una decisione propria
tornando così alla realtà M-m.
Conclusioni
Non si può improvvisare la nonviolenza.
E’ necessario investire molte energie, tempo, soldi preparazione e rischio personale
proprio nello stesso modo in cui altri investono le stesse risorse nel preparare la guerra, lo
sfruttamento, la mafia, il terrorismo e tutte quelle realtà sociali e strutturali che
mantengono il diverso in una posizione inferiore.
La nonviolenza non è questione di buona volontà e tanto mento questione di "bonismo", è
un impegno costruttivo, una strategia di cambiamento uno stile di vita che lavora sulle
cause di certi fenomeni sociali e non solo, oltre che sugli effetti dei conflitti.
Quando parliamo di strategie e sempre bene tenere alla mente una frase di Mahatma
Gandhi, " il mezzo sta nel fine come il seme sta nell'albero", la nonviolenza favorisce infatti
la relazione, la capacità di cooperare, la conoscenza reciproca al fine di far nascere un
potere collettivo che possa modificare le ingiustizie.
Occorre agire per il cambiamento; oltre il pensiero e le parole che già sono azioni, si
agisce solo quando si rischia e agire vuol dire cambiare. Occorre quindi decidere, ciascuno
per se, decidere di spezzare il circolo vizioso della violenza e indirizzarci una buona volta
verso quello virtuoso dei comportamenti nonviolenti e per far questo è necessaria
un'inversione di rotta, una vera e propria conversone, bisogna imparare ad andare
controcorrente, rompere le regole di gioco in modo non distruttivo, ma creativo.
Educare alla nonviolenza significa prepararsi specificamente a utilizzare la nonviolenza
come metodo di strategia concreta che ridefinisca progettualmente le attività, l'agire
quotidiano e infine le istituzioni.
Naturalmente la dispensa è uno strumento per accorciare le distanze, ma non è possibile
pensare all’ educazione nonviolenta come a una realtà che non agisce attraverso tutti e
cinque i sensi.
Infatti la nonviolenza si serve di training, l'idea di fondo sta proprio nel proporre non un
apprendimento formalizzato, ma un imparare insieme a piccoli gruppi a cambiare, e
cambiare imparando, attraverso sguardi, emozioni vissute sul momento e comunicate con
il linguaggio non verbale.
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