Joos van Cleve - Trittico dell`adorazione dei Magi
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Joos van Cleve - Trittico dell`adorazione dei Magi
Joos van Cleve - Trittico dell'adorazione dei Magi Autore: Joos van Cleve Materia e tecnica: Olio su tavola in quercia d'Olanda. Privo di cornice Dimensioni: 5: pala centrale cm 156,5 x 138; ante 162,6 x 67; cimase 53 x 46 Collocazione: Genova, chiesa di San Donato. Oggi è ritornata nella prima cappella a sinistra Scheda a cura di Carla Cavelli Traverso Il trittico, considerato da Ratti (1766, p. 77; IIA ed., 1780, p. 94) opera d'autor Fiammingo, fu attribuito prima a Quentin Metsys (Alizeri 1874, p. 200; 1875, p. 51), poi al Maestro della Morte di Maria (Burckardt 1901, p. 741; Suida 1906, p. 86), personalità alla quale Cleve fu assimilato, ed infine a Cleve (De Foville 1907, p. 59; Grosso 1908, p. 551; 1914, p. 157; Baldas 1925. p. 24). Baldas data l'opera intorno al 1514, Friedländer (1931, p. 127) la considera di poco posteriore (1518), Hoogewerff (1961, p. 187) del 1516, eseguita durante il primo soggiorno genovese del Cleve (anni 1512-1516), insieme al trittico di Napoli ed a quello della collezione Blumenthal di New York. Già Friedländer aveva supposto un soggiorno a Genova di questo pittore inizialmente (192728, p. 274) tra il 1525 ed il 1530 e successivamente (1931, pp. 127-130) tra il 1515 e il '20; mentre Castelnovi (1970, p. 173), pur supponendo due soggiorni distinti, sposta il primo viaggio di Cleve tra il 1515 ed il 1518. Tutti questi studiosi sono comunque concordi nell'assegnare il trittico al secondo decennio del Cinquecento; recentemente Rotondi Terminiello (in Restauri 1978, pp. 251-257) ha sollevato alcune perplessità circa la datazione delle ante laterali. La studiosa ha, infatti, supposto che Cleve avese dipinto la tavola centrale durante il primo soggiorno genovese tra il 1512 ed il 1516 e l'avesse poi completata con le ante al suo ritorno a Genova nel terzo decennio del '500. A conferma di ciò, sono state rintracciate alcune differenze di grandezza e di spessore tra i legni dei supporti, differenze mai notate in precedenza perché compensate dalla cornice. I supporti lignei apparterebbero quindi a forniture di materiale avvenute in momenti diversi. Per spiegare la presenza della sola figura della Maddalena, nello sportello di sinistra, che per ragioni di simmetria con il destro, avrebbe dovuto raffigurare la moglie del committente presentata dalla santa protettrice, Rotondi Terminiello ipotizza che Stefano Raggio fosse già rimasto vedovo di Maria Maddalena Giustiniani, sposata nel 1517, che pertanto la moglie, ormai morta, appaia come "anima purificata" nella mandorla di luce sopra la Maddalena. Scaillierez (in La pittura 1997, pp. 111-125), pur non escludendo un viaggio di Cleve in Liguria trova difficile affermare con certezza di un suo soggiorno genovese, non certo breve perchè necessario alla realizzazione di tre pale d'altare, che, a suo avviso, sarebbero state dipinte in un periodo compreso tra il 1515 ed il 1525. Oltre al trittico di San Donato, si trovavano a Genova l'Adorazione dei Magi nella chiesa di San Luca d'Albaro (Dresda, Gemäaldegalerie) ed il Compianto sul Cristo morto della chiesa di Santa Maria della Pace (Parigi, Musée du Louvre). L'arte locale, come sostiene la studiosa, non ha certo influenzato Cleve, né le sue opere, pur destando molta ammirazione, hanno lasciato il loro segno, se si esclude qualche citazione della pala di Santa Maria della Pace. Cleve sarebbe stato scelto dal committente per una questione di "gusto" e di "moda da mecenate". La mancanza della raffigurazione della committente nell'anta sinistra potrebbe essere stato causato dalla fretta per la consegna, prima che il secondo matrimonio di Raggio con Chiara Adorno invalidasse la rappresentazione. L'artista potrebbe non aver potuto ritrarre Maria Maddalena Giustiniani, in quanto ella non aveva seguito il marito nelle Fiandre e la mandorla di luce potrebbe essere allusione all'apoteosi di Santa Maddalena. Nessun documento, però, attesta la presenza di Stefano Raggio ad Anversa, dove viveva un suo zio, Lorenzo Raggio, mercante genovese citato in svariati atti notarili di Anversa fra il 1506 ed il 1513, in relazione con altri genovesi che soggiornavano ad Anversa, quali Damiano Maruffo e Francesco Pallavicino. Di Stefano si hanno notizie solo in ambito genovese: fu "membro" del Gran Consiglio nel 1500, "mercante" nel 1511, "Anziano" nel 1517 e nel 1524, ascritto all'Albergo Fieschi nel 1518, membro della fabbrica della cattedrale nel 1530 ed ambasciatore della Repubblica di Genova in altre città italiane come Milano, Bologna, Sarzana tra il 1530 ed il 1536; fu sepolto nella chiesa di San Donato "con quadro di Luca d'Olanda" (F. Federici, Scruttinio della Nobiltà Ligustica, Genova, Archivio Storico del Comune di Genova, ms. 53, pp 117). In merito alla mandorla di luce nella tavola della Maddalena Zanelli (cfr. scheda n.) ipotizza la raffigurazione dell'Estasi di Maria Maddalena, una vicenda della vita della Santa. Il trittico non ha presentato problemi iconografici, a parte la piccola figura nella mandorla di luce sopra la Maddalena, di cui si è parlato. Esso raffigura l'Adorazione dei Magi dipinta da Cleve secondo l'iconografia tradizionale: l'episodio principale si svolge in un grande edificio classicheggiante, motivo di derivazione rinascimentale che nell'opera assume un valore essenzialmente decorativo. Dei tre Re Magi, in ricche vesti, sono riconoscibili Gaspare, dal nome Jasper ricamato sul bordo del vestito nero, e Baldassarre, il Re Mago nero, dalla scritta Balteser incisa sulla pisside d'oro che tiene in mano. Il primo è inginocchiato in primo piano, a baciare la mano di Gesù, l'altro, lievemente arretrato si accompagna al sontuoso corteo. Nello sfondo, contemporanee all'adorazione del figlio di Dio, sono raffigurate piccole scene di vita che di sacro hanno ben poco: alcuni soldati bevono stretti intorno ad un tavolo di una locanda, un cavallo viene desellato, le donne chiaccherano alle finestre, i muratori accomodano un tetto, i pastori pascolano i loro animali; intanto lungo le strade tortuose del fondo avanza verso il primo piano una processione di magi, che portano i loro doni, con asini ed esotici cammelli. L'epifania del divino è colta nella laboriosa vita quotidiana, la lapidazione di Santo Stefano, che avviene nell'anta destra, dov'è in primo piano il santo omonimo, è ambientata tra mulini ad acqua ed abitazioni popolari quattrocentesche. Sul libro di Santo Stefano vi sono tratti imitanti la scrittura, con leggibile la parola Stephani nella seconda riga. Questi presenta il committente, appoggiato ad un inginocchiatoio, sul quale è dipinto lo stemma della famiglia Raggi. L'abbigliamento del nobile, come quello molto più prezioso dei Magi, segue la moda coeva: giubba rossa, camicia plissettata, grande mantello scuro con collo di pelliccia, maniche bordate di passamaneria doppia in velluto nero. Nell'anta destra, dietro alla Maddalena, una città portuale è ritratta in un momento di grande attività commerciale; sulla banchina, in mezzo ad una grande confusione di merci e di materiali, è raffigurata la massa ingombrante di una macchina, dalla sagoma inclinata verso l'alto, munita di una ruota laterale, forse un'enorme gru o un montacarichi di legno. La grande ruota laterale è una ruota a gradini in uso per i mulini, la cui energia per il funzionamento era fornita da uomini che facevano girare la ruota con i piedi (H. A. Klein, Pieter Bruegel il Vecchio e la tecnica del Cinquecento, in "Le Scienze", n.117, maggio 1978, pp. 78-88). Questa apparecchiatura, dipinta con precisione da Cleve, è raffigurata in altri dipinti fiamminghi del periodo, nel trittico di San Lorenzo della Costa, nel trittico del Matrimonio mistico di Santa Caterina di Memling (Bruges, Ospedale di San Giovanni). L'esame stilistico del paesaggio rivela che non fu concepito unito e con un unico orizzonte, come affermò Hoogewerff (1961, p.187). Lo stesso intervento di pulitura non ha fatto emergere elementi nuovi nell'analisi del paesaggio, tali da ipotizzare l'eventuale collaborazione di Patinir con Cleve, anche se del primo ripropone la scansione dello spazio adottata nel secondo decennio del Cinquecento. Dipinto con pittorica leggerezza di tocco in un'atmosfera vibrante e densa di rimandi al manierismo anversese, il trittico presenta la stessa scioltezza di esecuzione, perciò è da escludere la sua realizzazione in tempi diversi, come è stato affermato. Mi preme ricordare che tavole più spesse per la pala centrale e più sottile per le ante erano frequenti nelle opere primitive fiamminghe per ragioni di solidità (com. or. Veronée, Bruxelles). Forse la cimasa centrale, eseguita senza le finezze di Cleve, è ascrivibile ad un allievo (Rotondi Terminiello in Restauri 1978, p. 253 ). Come Scailliérez non porrei come sicuro un soggiorno a Genova di Cleve per realizzare in situ le tre pale, ma neppure escluderei un viaggio in Liguria per rapporti di committenza. Cleve non compare nei documenti anversesi negli anni 1516-1519, 1520-1522, 1523-1525 ed i committenti delle tre pale genovesi non risultano ad Anversa. Rispetto a queste opere il trittico di San Donato è sicuramente il più nordico, il rimando alla cultura italiana è riscontrabile solo in certi elementi dell'ornamentazione architettonica che già da tempo rientravano nel repertorio decorativo di questa pittura, la struttura a timpano sagomato con ante mobili presenta il carattere decorativo del suo coronamento caratteristico della scuola d'Anversa di questa generazione (Scailliérez in La pittura 1997, p. 119).