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EPATITE A
C A P I T O L O
M1_14 Cap 14 0311-0340:M1_14 Cap 14 0311-0340
Glossario (PNLG, 2002)
Allerta epidemica: caso di epatite A in una comunità chiusa in cui la maggior parte delle persone sia verosimilmente suscettibile all’infezione
Analisi economica: valutazione analitica dei costi e delle conseguenze di interventi sanitari alternativi
Caso di epatite A: diagnosi eziologica attraverso la determinazione degli anticorpi anti-HAV della classe IgM
Caso secondario: soggetto che manifesta l’esordio clinico dopo almeno 14 giorni dall’inizio dei sintomi nel caso indice e non oltre le sei
settimane
Comunità aperta: gruppo di persone che vive nella stessa regione, provincia o città, ma non condivide la stessa abitazione, luogo di lavoro, svago o altro
Comunità chiusa: gruppo di persone che condivide la stessa abitazione, luogo di lavoro o di svago. Esempi di comunità chiuse sono, oltre
alle abitazioni, gli ospedali, gli asili, le scuole, le residenze per anziani
Contatto: individuo che è o è stato in contatto con il caso
Endemia: livello di presenza superiore alla norma di una caratteristica o di una malattia
Epatopatia cronica: malattia del fegato di durata superiore a sei mesi
Epidemia: incremento non casuale, rispetto a quanto atteso, dell’incidenza di epatite A
Focolaio epidemico: epidemia limitata a un incremento localizzato nell’incidenza di una malattia
HAV: virus dell’epatite A
Ipertransaminasemia: aumento dei valori normali delle transaminasi (aminotransferasi)
Ittero: comparsa di colore giallo alle sclere o dell’intero corpo
Modello economico-decisionale: rappresentazione sintetica delle alternative decisionali basata sull’analisi economica
Revisione sistematica (Cochrane): individuazione, raccolta, valutazione e sintesi delle evidenze disponibili sull’efficacia e sulla sicurezza di
un intervento sanitario
L’epatite A negli ultimi anni è stata in Italia la forma
più frequente di epatite acuta.
Il quadro clinico dell’epatite A acuta è indistinguibile da quello degli altri tipi di epatite.
Nei bambini, soprattutto se di età inferiore ai 6 anni, l’infezione decorre asintomatica nella maggior parte dei casi (70%); talvolta si accompagna a segni e
sintomi che non richiamano per niente il quadro tipico
dell’infiammazione del fegato.
Con l’aumentare dell’età, e soprattutto nell’adolescente e nel giovane adulto, in oltre il 70% dei casi,
l’epatite A si dimostra nella sua interezza: i sintomi
Tabella 14.1
più comuni, insorti spesso acutamente, sono: stato di
malessere, anoressia, nausea, dolori addominali, ittero,
urine di colore scuro e scolorimento delle feci.
La febbre (38-39 °C) può essere presente, ma spesso non si riscontra quando il paziente giunge all’osservazione del medico.
La diarrea è più frequente nei bambini che negli
adulti. Splenomegalia e adenopatia cervicale sono presenti nel 10-20% dei pazienti (tab. 14.1).
La malattia acuta ha una durata di una-tre settimane
e può essere seguita da un periodo prolungato di stanchezza. L’elevazione dell’attività degli enzimi della
Quadro clinico dell’epatite A in una grande epidemia (8647 pazienti a Shangai nel 1988)
Sintomi
Ittero
Perdita di peso
Stato di malessere
Febbre
Nausea
Dolore addominale
Artralgia
Reperti clinici
84%
82%
80%
76%
69%
37%
7%
Epatomegalia
Splenomegalia
Esantema
Lieve edema
Petecchie
87%
9%
3%
2%
2%
Complicazioni
Colestasi
Sanguinamenti dall’apparato gastro-intestinale superiore
Trombocitopenia, sindrome di Guillain-Barré, aplasia
midollare, anemia emolitica autoimmune, mielite
trasversa, neurite ottica
1,6-5,3%
0,5-1,2%
< 0,1% ciascuna
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citolisi (soprattutto le aminotransferasi) è già presente
prima dell’inizio del quadro clinico e può persistere
per molte settimane: tuttavia entro qualche mese dall’esordio della malattia, gli enzimi tornano sempre a
livelli normali.
La bilirubina può raggiungere livelli elevati (fino e oltre i 20 mg/dL): essa è di tipo misto, cioè è ugualmente
suddivisa in bilirubina coniugata e non coniugata.
Si riscontra spesso un’elevazione delle g-globuline:
sono soprattutto elevate le immunoglobuline della
classe M.
Rare nell’adolescente e nel giovane adulto le forme
colestatiche, che si ritrovano nel 10% degli adulti.
Negli ultimi anni sono state descritte forme ricorrenti di epatite A, presenti nel 4-20% dei pazienti sintomatici. In questi casi si assiste a una recrudescenza
dei segni clinici e a un peggioramento degli indici
biochimici d’infiammazione del fegato dopo un periodo di apparente benessere, durato settimane o mesi.
Durante queste recrudescenze il virus viene eliminato
di nuovo con le feci. Anche in questi pazienti la guarigione completa è sempre la regola.
Non c’è nessuna progressione verso forme croniche
(Koff RS, 1998).
Le forme fulminanti sono presenti nello 0,35% dei
casi sintomatici, rappresentano tuttavia il 10-20% sul
totale delle epatiti virali fulminanti. L’insorgenza di
un’epatite fulminante è resa più facile in soggetti che
soffrivano già di un’epatite cronica da virus dell’epatite C (HCV) (Vento S et al., 1998).
La morbilità non è maggiore nelle donne in stato di
gravidanza, né il decorso dell’infezione è più grave.
Non sono mai state riscontrate malformazioni fetali,
come conseguenza di un’infezione da HAV nella madre in gravidanza.
Di recente è stata proposta un’associazione fra infezione da HAV e malattie delle arterie coronarie ed è
stata sollevata la possibilità che questo virus possa
giocare un ruolo causale nell’aterogenesi (Zhu J et al.,
2000).
EZIOLOGIA
Agli inizi degli anni ’70 venne identificato il virus
dell’epatite A nelle feci, mediante la microscopia elettronica e finalmente nel 1979 fu possibile coltivarlo in
colture cellulari.
L’HAV appartiene alla famiglia dei Picornaviridae
(che comprende gli enterovirus e i rinovirus), genere
hepatovirus. Ha un diametro di 27 nm: è formato da
un genoma RNA di 7478 nucleotidi, a elica singola,
circondato da una parete proteica formata da 60 copie,
ognuna delle quali costituita da quattro diverse proteine strutturali (VP1, VP2, VP3 e VP4). La moltiplicazione virale avviene nel citoplasma della cellula.
L’HAV può essere inattivato con la bollitura (100
°C per un minuto) o quando trattato con formaldeide
o con cloro. L’HAV viene inattivato anche dall’esposizione ai raggi ultravioletti (Wang CH et al., 1995):
l’inattivazione non sembra compromettere l’antigenicità del virus, per cui questa metodologia è stata proposta per la preparazione di un vaccino.
Nonostante una notevole variabilità della sequenza
nucleotidica, tutti i ceppi di virus sono immunologicamente indistinguibili e appartengono quindi a un unico sottogruppo (Nainan OV et al., 2005).
EPIDEMIOLOGIA
Fino a quando non si sono rese disponibili, negli ultimi anni, le prove sierologiche specifiche per i singoli
virus epatitici, i casi di epatite virale venivano definiti
come “infettivi” o “da siero” a seconda dei dati anamnestici ed epidemiologici a disposizione. I casi di epatite A erano più spesso classificati come “infettivi”.
L’epatite A è diffusa in tutto il mondo. In alcune
aree essa è altamente endemica, in particolare nell’America centrale e meridionale, in Africa, in Medio
Oriente, in Asia e nel Pacifico occidentale (fig. 14.1).
L’uomo è l’unica riserva del virus; non esiste uno
sato di portatore cronico di HAV. Non esistono insetti
o animali vettori.
VIE DELL’INFEZIONE
L’HAV si trasmette per via oro-fecale, per contatto da
persona a persona o per ingestione di acqua o di cibi
contaminati (soprattutto molluschi, latte e altri alimenti). La diffusione del virus è facilitata dall’eccezionale
stabilità del suo capside, anche nell’ambiente acido
dello stomaco: il passaggio da una persona all’altra è
facilitato dalla scarsa igiene personale e dall’affollamento. Nonostante la possibilità di trasmissione attraverso l’acqua potabile, le epidemie, insorte attraverso
questa via, sono infrequenti e sono dovute per lo più a
inquinamento con liquami o per acqua non adeguatamente trattata. In Italia i principali fattori di rischio
sono il consumo di frutti di mare crudi (Salamina G
et al., 1998) e i viaggi in aree a elevata endemia, come l’Africa equatoriale e l’India (tab. 14.2).
Importanza dell’igiene personale
Di recente è stata descritta un’epidemia di epatite A in seguito
all’uso di bicchieri contaminati in un pub, il cui barman era
nella fase di incubazione dell’epatite A e che quindi eliminava
con le feci grandi quantità di virus (Sundkvist T et al., 2000):
fra coloro che avevano consumato bevande nei 15 giorni precedenti l’ittero del barman vennero identificati 10 casi di epatite A. Viene sottolineata l’importanza dell’igiene personale in
coloro che maneggiano e servono cibi.
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Alta/molto alta
Intermedia
Bassa/molto bassa
Figura 14.1
Diffusione nel mondo dell’epatite A (Van Damme P et al., 2003)
Tabella 14.2 Rischio attribuibile nella popolazione italiana – SEIEVA 1994-1996
Fattori di rischio
Consumo di frutti di mare crudi
Viaggi in aree ad alta endemia
Convivenza con bambini che frequentano
l’asilo nido
Rischio attribuibile
nella popolazione
33,3%
25,4%
vazione virale, non è efficace sull’HAV, che, come
abbiamo visto, è sprovvisto d’involucro lipoproteico
(Mannucci PM et al., 1994).
Il virus può essere presente nella saliva, ma la trasmissione per questa via non è stata dimostrata.
Non esistono apprezzabili variazioni stagionali nell’incidenza dell’epatite A.
2,4%
DIFFUSIONE DEL VIRUS
DAL SOGGETTO INFETTATO
Di recente sono state identificate altre fonti di diffusione dell’HAV, quali asili nido e scuole materne
(Venczel LV et al., 2001), centri di terapia intensiva
neonatale, uomini omosessuali, persone che fanno uso
di droghe pesanti per via venosa (Villano SA et al.,
1997) o di concentrati di fattori della coagulazione e
infine campi di rifugiati (Kaic B et al., 2001).
Contrariamente a quanto avviene per la altre malattie infettive, nelle comunità infantili i primi casi sintomatici (con ittero) si manifestano nei contatti con
adulti (per esempio nel personale degli asili nido o
delle scuole materne); la maggior parte dei bambini
rimane asintomatica o presenta sintomi aspecifici. La
trasmissione quindi da bambini infetti avviene spesso
prima che si manifesti il caso indice (Bonanni P et
al., 1998).
Durante la fase viremica della malattia, il virus può
essere trasmesso per via ematica: è quanto avviene
molto raramente nei soggetti emofilici, in seguito alla
somministrazione di fattore VIII, presumibilmente ottenuto da soggetti in fase preclinica della malattia. Il
normale metodo solvente-detergente, usato per l’inatti-
La diffusione del virus dal soggetto ammalato dura
per 1-3 settimane: le persone infettate trasmettono facilmente il virus da 1-2 settimane prima dell’inizio
della malattia, quando la sua concentrazione nelle feci
è molto elevata. Il rischio diminuisce con l’inizio della sintomatologia ed è minimo nella settimana dopo
l’inizio dell’ittero.
ANDAMENTO ATTUALE
DELLA DIFFUSIONE DELL’INFEZIONE
La grande maggioranza dei casi di epatite A si manifesta in modo sporadico o endemico: nel passato si
verificavano epidemie ogni 5-10 anni.
Nei paesi sviluppati la malattia è in netto declino,
probabilmente per il miglioramento della situazione
igienico-sanitaria. Oggi essa non si presenta più con
le grandi ondate epidemiche, ma con fiammate, relativamente localizzate a una città o al massimo a una regione.
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Tabella 14.3 Tassi d’incidenza (x 100.000) di epatite A, per anno e per classi di età – SEIEVA 1985-2002 (Mele A et al.
2003; Mele A, 2004)
Classi di
età (anni)
’85
’86
’87
’88
’89
’90
’91
0-14
15-24
≥ 25
Totale
29
16
2
10
4
7
3
4
6
6
1
2
4
5
1
2
2
4
2
2
3
5
2
2
8
7
2
4
Anno
’92
’93
11
15
2
6
Epidemia di epatite A in Puglia
In Puglia l’epatite A è una malattia endemica con un’incidenza
annuale che va da 1,8 a 66,2 casi su 100.000 abitanti. Su questa
situazione di endemia si manifestano ogni 5-10 anni delle epidemie. Durante il 1996, secondo quanto riportato dalla prof.
Cinzia Germinario, si sono verificati 5649 casi di HAV con un’incidenza di 138 casi su 100.000. L’epidemia iniziò nella città di
Bari e si diffuse all’intera regione (Germinario C et al., 2000).
L’incidenza fu maggiore fra i soggetti di 15-24 anni, con una
punta dal febbraio all’agosto. L’anno successivo (1997) ci furono in Puglia ancora 5395 casi di HAV con una punta nel mese
di luglio (131,8 casi su 100.000). Nel 1998 e nel 1999 l’infezione
gradualmente tornò ai livelli “normali”, caratteristici del periodo interepidemico, con 940 e 438 casi per anno rispettivamente. Il consumo di frutti di mari crudi rappresentò il maggior rischio di malattia, per cui vennero prese misure per ridurre questo rischio. Alla fine del 1997 venne iniziata una campagna di
vaccinazione per arrestare la diffusione dell’infezione. Fu deciso di immunizzare i bambini fra i 15 e i 18 mesi di età, come il
gruppo che poteva giocare un ruolo nella diffusione dell’infezione. Insieme vennero vaccinati anche i ragazzi di 12 anni
(Van Damme P, 2001).
Nei paesi in via di sviluppo invece si verificano ancora grandi epidemie, che colpiscono soprattutto i
soggetti al di sotto dei 10 anni di vita, molto spesso
in modo asintomatico. Di recente grande importanza
è stata data al bambino come prevalente soggetto diffusore dell’HAV nell’ambiente (Bartolozzi G, 2000;
Staes CJ et al., 2000). Parallelamente al declino delle
infezioni asintomatiche del bambino, aumentano i
soggetti suscettibili in età adulta, che, quando infettati con l’HAV, presentano spesso forme clinicamente
evidenti. Anche nel nostro Paese sono stati messi in
evidenza collegamenti fra determinanti sociali e rischio di epatite virale acuta (Malvasio P et al., 1998).
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
1985
7
9
3
5
’94
’95
’96
’97
’98
’99
’00
’01
’02
11
14
2
6
5
6
1
3
10
18
3
7
31
57
6
19
8
15
4
6
3
5
2
3
3
5
2
3
5
5
2
3
2
3
2
2
In Italia la diffusione della malattia viene riportata
dall’ISTAT (Statistiche della Sanità), dal Ministero
della Salute (Bollettino Epidemiologico) e dal Sistema
specifico di Sorveglianza dell’Epatite Virale Acuta
(SEIEVA), in funzione dal 1985. Come è da aspettarsi i dati numerici non sempre concordano: i dati
ISTAT e quelli del Ministero della Salute sono espressi come valori assoluti; quelli del SEIEVA come numero di casi su 100.000 abitanti.
Di recente (gennaio-maggio 2004) si è verificata
un’epidemia di epatite A in Campania, con circa 600
casi (Boccia D, 2004).
I dati del SEIEVA sono riportati nella figura 14.2 e
nella tabella 14.3, dalla quale risulta che negli anni
1996-1997 si è verificata un’epidemia di HAV, localizzata essenzialmente alla Puglia.
In Italia, secondo i dati ISTAT (tab. 14.4), le notifiche di casi di epatite A sono variate fra i 2097 del
1987 (anno in cui per la prima volta venne fatta statisticamente una distinzione fra le varie eziologie) e i
9937 del 1997: con una fiammata epidemica nel 19921994 e negli anni 1996-1998.
Dall’esame della figura 14.3 e della tabella 14.4 si
ricava che l’epatite A colpisce in circa la metà dei casi soggetti in età inferiore ai 19 anni. In particolare
l’età evolutiva è più colpita quando sia in corso un’epidemia, mentre in situazione di endemicità la percentuale dei soggetti nelle prime due decadi di vita tende
ad abbassarsi. La scarsa diffusione dell’infezione, che
caratterizza i primi venti anni di vita, permette la progressiva stratificazione dei soggetti suscettibili, che
vengono infettati quando penetri nella popolazione
l’HAV; a questo punto sono proprio i soggetti delle
Epatite A
Epatite B
Epatite C
1987
1989
1991
1993
1995
1997
1999
2000
2001
2002
Figura 14.2 Tassi d’incidenza
delle epatiti virali acute in Italia – SEIEVA 1985-2002
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Tabella 14.4
Numero dei casi di epatite A notificati in Italia – ISTAT, Statistiche della Sanità 1987-2003
Anno
0-4 anni
4-9 anni
10-14 anni
15-19 anni
0-19 anni
In tutte le età
1987
1988
1989
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
87
51
37
107
146
313
236
233
158
182
302
120
104
255
520
844
448
438
162
650
375
149
136
357
478
1.185
523
597
182
1.303
391
140
1.178
381
373
1.389
614
679
193
2.084
1.155
460
395
1.100
1.517
3.732
1.821
1.947
695
4.219
2.097
1.157
1.043
2.047
2.364
5.739
3.576
3.591
1.441
8.536
% 0-19 anni
sul totale
55
39,8
37,9
53,7
64,2
65
61
54
48
49
Anno
0-14 anni
15-24 anni
0-24 anni
In tutte le età
% 0-24 anni
su/ totale
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003*
2.917
781
442
385
319
475
191
4478
1033
477
376
530
434
169
7395
1814
919
761
849
909
360
9937
2960
1693
1494
1937
1706
1131
74
61
54
51
44
53
32
* Dati provvisori
prime due decadi che risultano i più colpiti e, fra questi, i bambini fino a 6 anni saranno quelli che, essendo molto spesso asintomatici, diffondono il virus con
maggiore facilità (Staes CJ et al., 2000; Malay S et
al., 2000; Bartolozzi G, 2001). In altre parole, il bambino deve essere considerato come l’untore per la diffusione dell’epatite A.
Sempre dai dati raccolti dal SEIEVA risulta che i
casi di epatite A negli anni 1994-1997 hanno rappresentato oltre il 50% di tutti i casi di epatite di qualsiasi tipo in Italia.
Come risulta infatti dall’esame della tabella 14.4 in
corso di una fiammata epidemica (anni 1992, 1994 e
1996-1997) il numero dei soggetti infettati al di sotto
dei 19 anni si innalza in senso assoluto e percentualmente in confronto a quanto si riscontra al di fuori dei
periodi epidemici.
In Italia i gruppi a rischio per le infezioni da HAV
Figura 14.3 Tassi d’incidenza
di epatiti virali acute in Italia
per fasce di età – SEIEVA 19852002
55
0-14 anni
50
15-24 anni
45
25 anni e oltre
40
35
30
25
20
15
10
5
0
1985 1987 1989
sono stati di recente ben definiti (Franco E et al.,
2003): essi sono riportati a pag. 330.
Come si vede nella tabella 14.5, al grado di endemicità è collegata la modalità di trasmissione del virus
dell’epatite A.
L’Italia viene considerata a endemicità intermedia
(FitzSimons D et al., 2004).
Negli Stati Uniti sono state individuate popolazioni
ben definite, differenziate sia su base geografica sia
culturale, nelle quali sono state identificate, ogni cinque-dieci anni, epidemie anche della durata di qualche
anno (abitanti dell’Alaska, indiani americani, gruppi di
ispanici, immigrati, comunità religiose). Come vedremo
meglio in seguito, secondo l’esperienza pugliese e secondo quella americana, un’estesa campagna di vaccinazione è capace di limitare il protrarsi dell’epidemia.
Secondo il CDC le fonti d’infezione più frequenti
negli Stati Uniti sono:
1991
1993
1995
1997
1999
2000
2001
2002
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14 - EPATITE A
Tabella 14.5
al., 2004)
Modalità di trasmissione del virus dell’epatite A in rapporto all’entità dell’endemicità (De Mattia D et
Endemicità
Frequenza della malattia
Picco dell’età d’infezione
Modalità di trasmissione
Alta
Moderata
Da bassa ad alta
Alta
Bassa
Bassa
Prima infanzia
Seconda infanzia
Giovane adulto
Giovane adulto
Molto bassa
Molto bassa
Adulto
Da persona a persona; epidemie rare
Da persona a persona;
Epidemie attraverso cibi e acque infette
Da persona a persona; epidemie attraverso cibi
e acque infette
Viaggiatori; epidemie rare
• il rapporto stretto con una persona infetta, in famiglia
(14%) o nell’ambito di una piccola comunità (8%);
• viaggi internazionali (5%);
• cibo o acqua infetti (4%);
• rapporti sessuali fra uomini (10%);
• droghe per via venosa (6%).
Casi
Nel 45% dei casi di epatite A non è possibile identificare un fattore di rischio per l’infezione.
Di recente è stata dimostrata una piccola epidemia
di epatite A tra giovani adulti partecipanti a concerti
in più Stati degli Stati Uniti (Grande P et al., 2003).
Un’altra epidemia di epatite A si è verificata negli
Stati Uniti con più di 5000 persone colpite (con tre
morti) dopo il consumo di alimenti preparati con dello
scalogno, in un ristorante messicano in Pennsylvania
(CDC, 2003; Josefson D, 2003).
Negli Stati Uniti (ACIP, Pink Book, 2003) l’epatite
A si presenta con grandi epidemie ogni 10 anni circa:
l’ultima risale al 1989. Tuttavia fra le puntate epidemiche l’infezione da HAV continua a essere presente
a livelli discretamente elevati (10-20.000 casi per anno): in particolare nel 2003 sono stati notificati 7653
casi (CDC, 2004). Tenendo conto della sottonotifica,
si può ritenere che negli Stati Uniti nel 2002 vi siano
state 93.000 infezioni, di cui circa la metà asintomatiche. La caduta degli ultimi anni, visibile nella figura
14.3, è probabilmente dovuta alla diffusione della vaccinazione contro l’HAV. Dal 1987 al 1997 l’incidenza
media annuale di epatite A è stata negli Stati Uniti di
10 casi su 100.000 abitanti (fig. 14.4).
Negli Stati Uniti le età più colpite sono quelle da 5
70.000
60.000
50.000
40.000
Vaccino
in commercio
30.000
20.000
70
70
19
70
19
19
70
70
19
70
19
70
19
19
70
19
70
19
19
70
10.000
0
Figura 14.4 Casi di epatite A notificati in USA, 1966-2002
(ACIP, Pink Book, 2003; Fiore AE, 2004)
a 14 anni, con 15-22 casi/100.000; circa un terzo dei
casi riportati si riferisce a bambini di età inferiore ai
15 anni.
In uno studio eseguito in Olanda mediante la ricerca
molecolare dei virus isolati, è risultato che, al di fuori
degli uomini che hanno rapporti sessuali con uomini e
dei soggetti, soprattutto bambini, di ritorno da viaggi
all’estero, la circolazione virale è molto limitata, per
cui viene suggerita la vaccinazione solo di queste categorie (van Steenbergen JE et al., 2004).
OSPEDALIZZAZIONE
La percentuale di ospedalizzazione va dall’11 al 22%. I
costi diretti e indiretti per un soggetto adulto, compresa
la profilassi postesposizione per i contatti (circa 11
contatti per ogni caso), vanno da 1817 a 2459 dollari;
per un bambino il costo va da 433 a 1492 dollari. Negli
Stati Uniti il costo totale ogni anno per l’epatite B è superiore a 200 milioni di dollari (Pink Book, 2003).
STUDI DI SIEROPREVALENZA
Mentre in corso di epidemia è evidente un elevato interessamento dei soggetti di età inferiore ai 15 anni, per
la gran parte suscettibli, dagli studi di sieroepidemiologia risulta che in una situazione di bassa endemia in
Italia la quasi totalità dei bambini e degli adolescenti e
oltre l’80% dei giovani adulti sono suscettibili all’infezione. Il livello anticorpale si è dimostrato in rapporto
non solo con l’età, ma anche con lo stato socioeconomico e con il livello generale della sanità pubblica.
Studi di sieroprevalenza negli Stati Uniti (NHANES
III) condotti nel 1988-94, hanno rilevato che nella popolazione in generale la prevalenza per anticorpi contro l’HAV è del 33%; essa aumenta con l’età per passare dal 9% a 6-11 anni al 75% per persone di 70 anni o più. La sieroprevalenza è risultata inversamente
proporzionale al reddito.
Lo spostamento della suscettibilità all’infezione verso l’età adulta comporta un aumento d’incidenza dell’infezione fra i giovani e gli adulti nei quali la malattia ha un andamento più grave.
Pubblicazioni riguardanti l’Italia (Stroffolini T et al.,
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14 - EPATITE A
1991; Stroffolini T et al., 1993; Mele A et al., 1997;
Mele A e Paná A, 2001) o parti d’Italia, come le regioni del nord-est (Chiaramonte N et al., 1991; Zanetti
AR et al., 1994; Moschen ME et al., 1997), del sud
(D’Argenio P et al., 1989) e delle isole (Stroffolini T
et al., 1989), hanno dimostrato nel primo decennio di
vita una bassa incidenza dell’infezione e una netta diminuzione in confronto a ricerche eseguite nelle stesse
popolazioni una decina di anni prima. In un ricerca su
430 maschi di 18 anni dell’area fiorentina solo il 6,2%
è risultato positivo (Calabri GB et al., 1999).
Per l’esecuzione di studi di sieroprevalenza è stato
suggerito di ricercare gli anticorpi nella saliva, che
sembra rappresentare un’accettabile alternativa ai
campioni di sangue (Oba IT et al., 2000).
Nonostante questi rilievi, secondo l’Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) l’Italia va
posta fra i paesi a bassa prevalenza (CDC, 1999).
Non è stato ancora definito con sicurezza quale sia
il livello anticorpale protettivo contro l’HAV: probabilmente è superiore a 10 mUI/mL, o secondo quanto
indicato da studi più recenti, superiore a 33 mUI/mL.
Non esiste uno stato di portatore. La perpetuazione
del virus in natura dipende probabilmente dai soggetti
con infezioni subcliniche, ad andamento non epidemico.
PATOGENESI E IMMUNITÀ
Il periodo di incubazione è di 28 giorni con limiti da
15 a 50 giorni.
Nella maggior parte dei casi il virus si trasmette per
via oro-fecale: la sua caratteristica acido-resistenza,
come abbiamo visto, probabilmente gli permette di
sopravvivere al passaggio attraverso l’acidità dello
stomaco. La sede primitiva di moltiplicazione dell’HAV è l’intestino, ma la localizzazione principale è
rappresentata dall’epatocita, anche se piccole quantità
di antigene virale sono state trovate nei linfonodi, nella milza e nella membrana basale glomerulare. Il virus
dall’epatocita passa nella bile, con la quale raggiunge
l’intestino e viene eliminato con le feci. Il bambino
elimina il virus dell’epatite A più a lungo dell’adulto.
È stata dimostrata una fase viremica che inizia 10-12
giorni dopo il contatto con il virus, 17 giorni prima dell’acme delle aminotransferasi e due settimane prima
dell’inizio della malattia. Il virus viene escreto attraverso il sistema biliare nelle feci e persiste nell’organismo
per una media di circa 80 giorni dopo che è stato raggiunto il livello massimo delle aminotransferasi. La durata media della viremia è quindi di circa 95 giorni (da
36 a 391). Ciò significa che gli adulti sono viremici per
una trentina di giorni prima dell’inizio dei sintomi e che
la viremia può avere una durata più lunga di quanto
non si pensasse in precedenza (Bower WA et al., 2000).
La moltiplicazione e l’eliminazione del virus avvengono in persone completamente asintomatiche, duran-
Ittero
ALT
IgG anti-HAV
HAV
nelle feci
0
IgM anti-HAV
4
8
12
16
20
Settimane dopo il contagio
Figura 14.5 Decorso di un’epatite A tipica (Lieberman JM
et al., 1996, modificata)
te la fase d’incubazione della malattia. La viremia è a
livelli inferiori di 1000 volte la concentrazione del virus nelle feci.
L’inizio della malattia coincide con la comparsa di
anticorpi specifici, inizialmente della classe IgM (che
permangono per meno di 6 mesi) e successivamente
della classe IgG (che permangono indefinitamente)
(fig. 14.5). I pazienti con anticorpi anti-HAV sono
immuni dalle reinfezioni, in quanto presentano un’attività anticorpo-neutralizzante il virus. La presenza di
complessi antigene-anticorpo o di anticorpi non sembra contribuire significativamente allo sviluppo della
malattia. È più facile che la lesione epatica sia mediata da cellule T citotossiche virus-specifiche e da
cellule natural killer. Viene ammessa una reinfezione
esogena asintomatica in soggetti anziani che abbiano
superato la malattia nei primi anni di vita.
Nel lattante la durata degli anticorpi, trasferiti dalla
madre alla fine della gravidanza, si prolunga fino al
12° mese di vita (De Silvestri A et al., 2002): su 18
madri con livelli anticorpali > 10 mUI/mL, 11 dei loro
figli avevano ancora anticorpi a 12 mesi di età (61,1%).
DIAGNOSI
I segni e i sintomi di epatite A sono difficilmente differenziabili da quelli dell’epatite B o di altre forme di
Definizione di caso
L’infezione da HAV non può essere differenziata clinicamente o
epidemiologicamente dagli altri tipi di epatite senza la prova
sierologica della presenza di anticorpi anti-HAV della classe IgM.
La definizione di caso clinco è dunque questa: una malattia
acuta con inizio attenuato dei sintomi, ittero o elevazione dei
livelli di aminotransferasi. Il criterio di laboratorio per la diagnosi è la positività della ricerca degli anticorpi anti-HAV IgM.
Come già visto la presenza di anticorpi della classe IgG significa
solo che il soggetto è venuto in contatto in precedenza, clinicamente o meno, con l’HAV.
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14 - EPATITE A
epatite acuta. La diagnosi può essere suggerita da indagini epidemiologiche e confermata dalle ricerche sierologiche: la presenza di anticorpi anti-HAV della classe
IgM è costante: essa inizia nelle fasi precoci della malattia, è già dimostrabile cinque-dieci giorni prima dell’inizio dei sintomi e prosegue, progressivamente, attenuandosi, fino a sei mesi dopo il contagio. Può essere
ricercato anche l’HAV RNA usando la PCR, ma si tratta di una ricerca costosa, che è prevista solo per studio.
Anticorpi anti-HAV della classe IgG compaiono
nella fase di convalescenza dall’infezione e durano
tutta la vita. La presenza nel sangue di anticorpi IgG
anti-HAV significa quindi che il soggetto ha incontrato l’HAV da cinque a sei settimane prima o più, che
ha superato l’infezione o la malattia ed è immune per
la vita (fig. 14.5) oppure, in alternativa, che è stato
vaccinato; la positività di questa classe di anticorpi
non significa affatto che il paziente sia in quel momento affetto da epatite da HAV.
Le prove per il dosaggio degli anticorpi anti-HAV
totali misurano sia gli anti-HAV IgM sia quelli IgG.
È stata messa a punto una metodica ELISA per il
dosaggio degli anticorpi anti-HAV nella saliva (Ochnio JJ et al., 1997).
Un’elevazione dell’attività dell’alanina-aminotransferasi (ALT) nel siero è quasi sempre presente, ma
ovviamente questa prova non è specifica dell’epatite
A. Può essere raggiunto anche un livello elevatissimo
(fino a 5000 U/L), che tuttavia non può essere correlato con la gravità della malattia o con la prognosi
(Kemmer NM e Miskovsky EP, 2000).
I metodi di studio della virologia molecolare, come
la già citata PCR, possono essere utili per amplificare
e sequenziare il genoma virale. Questo tipo di prove
può essere utile per studiare le fonti di un’epidemia di
epatite A (Chironna M, 2003).
TRATTAMENTO
Nessun agente antivirale disponibile è attivo verso
l’HAV.
Riposo ed eventuale trattamento sintomatico sono le
uniche misure suggeribili. Tuttavia un riposo forzato e
prolungato non è essenziale per ottenere una guarigione completa, anche se la maggioranza dei pazienti si
sente meglio se viene limitata la loro attività fisica.
Una dieta altamente calorica è sempre consigliabile;
quando sia presente vomito persistente, l’alimentazione per via venosa è sempre consigliabile.
La terapia con corticosteroidi non trova alcuna indicazione nell’epatite acuta da HAV.
Nella maggior parte dei casi non è richiesta l’ospedalizzazione: tuttavia tra gli adulti il 13% dei pazienti
viene ospedalizzato per disidratazione, grave prostrazione, coagulopatia, encefalopatia o per la comparsa
di segni di scompenso epatico.
MISURE GENERALI E PROFILASSI
PRE- E POSTESPOSIZIONE
Una buona igiene delle mani rappresenta il punto centrale della prevenzione dell’epatite A per le persone
che vivono in contatto con ambienti potenzialmente
suscettibili di esposizione all’HAV. Un’efficiente potabilizzazione delle acque e una buona igiene dell’alimentazione sono altrettanto importanti.
Le immunoglobuline in commercio sono un concentrato di anticorpi contro l’HAV, anche perché sono ottenute da un pool di sieri di soggetti diversi, gran parte dei quali, almeno fino a qualche anno fa, conteneva
alti livelli di anticorpi specifici.
PROFILASSI PRE-ESPOSIZIONE
La vaccinazione o la somministrazione di Ig viene
raccomandata per tutte le persone che si devono recare in paesi in via di sviluppo, nei quali si presuma
un’alta incidenza di epatite A. Per permanenze inferiori ai tre mesi, i viaggiatori devono ricevere Ig alla
dose di 0,02 mL/kg; per permanenze superiori le dosi
sono di 0,06 mL/kg ogni cinque mesi (tab. 14.6). Nella tabella 14.5 sono indicate l’associazione o la sostituzione con il vaccino contro l’epatite A.
PROFILASSI POSTESPOSIZIONE
La circolare n. 4 del Ministero della Sanità (13 marzo
1998) ricorda i punti più importanti nelle misure di
profilassi per esigenze di sanità pubblica.
Per i pazienti ospedalizzati devono essere osservate
precauzioni enteriche generiche, come per ogni altro
paziente ricoverato, senza che sia necessario un isolaTabella 14.6 Immunoprofilassi pre-esposizione dell’epatite A per i viaggiatori
Età
Probabile
esposizione
< 2 anni
< di 3 mesi
3-5 mesi
A lungo termine
2 anni
o più
< 3 mesi **
3-5 mesi
A lungo termine
Profilassi
raccomandata
Ig 0,02 mL/kg *
Ig 0,06 mL/kg *
Ig 0,06 mL/kg alla partenza e successivamente ogni 5 mesi, oppure
vaccino anti-HAV (Havrix), in età
superiore ai 5 mesi
vaccino anti-HAV ***
oppure
Ig 0,02 mL/kg + vaccino anti-HAV
oppure
Ig 0,06 mL/kg + vaccino anti-HAV
* Le Ig devono essere somministrate profondamente nel muscolo; in generale
non vengono iniettati più di 5 mL nell’adulto e non più di 3 nel bambino
** In questo caso il vaccino è preferibile
*** Per ottenere una difesa completa e veloce le Ig possono essere associate
al vaccino
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14 - EPATITE A
mento in stanze separate: al momento del ricovero infatti l’eliminazione di HAV con feci è già cessata o è
talmente bassa da non rappresentare un rischio. È necessario tuttavia assumere le precauzioni enteriche
per 15 giorni dalla diagnosi di epatite A, ma per non
più di una settimana dopo la comparsa dell’ittero. In
caso di insorgenza di epatite A in reparti di Neonatologia, le precauzioni enteriche devono essere adottate
per un periodo di tempo più lungo. I pazienti ricoverati devono essere dimessi non appena sia visibile un
sostanziale miglioramento, insieme a una significativa
caduta dell’attività delle aminotransferasi e della bilirubina ed eventualmente un ritorno nella norma del
tempo di protrombina. Una leggera elevazione delle
aminotransferasi (< x 4N1) non deve controindicare
un graduale passaggio a una normale attività fisica.
Le principali misure preventive da ricordare sempre
al personale di assistenza e alle famiglie, soprattutto
quando in una comunità si verifica un caso di epatite
A, sono:
• il controllo delle misure igieniche nella fornitura di
acqua;
• le normali misure igieniche nella preparazione del
cibo (ebollizione, cottura);
• un’accurata igiene personale, come il frequente lavaggio delle mani, soprattutto del personale degli
asili nido, che spesso cambia i pannolini ai bambini,
sia prima della preparazione sia durante la somministrazione di cibo;
• l’igiene ambientale, perché l’HAV può sopravvivere
sugli oggetti o nell’ambiente per settimane.
Nella Circolare n. 4 viene ricordata, fra i provvedimenti nei confronti di conviventi e di contatti, la ricerca di casi secondari, tanto in ambito familiare
quanto in ambito più allargato, qualora si sospetti
un’epidemia da fonte di esposizione comune.
Quando in una comunità (scuola, asilo nido, ambienti di lavoro) si verifichi un caso di epatite A, questo deve essere allontanato per una settimana, dopo
l’inizio dei sintomi.
Il più importante cambiamento nella prevenzione
dell’epatite A fra i conviventi e i contatti si è avuto
quando è stato dimostrato che una precoce somministrazione del vaccino è capace di impedire la malattia.
Uno studio italiano (Sagliocca L et al., 1999) ha dimostrato che il vaccino è dotato di un sicuro effetto
postesposizione (efficacia protettiva dell’82%), in alternativa alle Ig standard tuttora consigliate nella letteratura nordamericana.
Uno dei vantaggi del vaccino, in confronto alle Ig
1 “N” significa valore normale. Si tratta di un modo relativamente nuovo di esprimere il livello di attività delle aminotransferasi sieriche, senza tener conto dei valori normali per il laboratorio dove è stato eseguito l’esame. Per esempio un valore di
240 U/L, per un laboratorio che ha un valore massimo del normale di 40 U/L, viene indicato come x 6N.
La vaccinazione postesposizione
Lo studio è stato condotto sui familiari di casi sporadici di epatite A, ricoverati all’Ospedale Cotugno di Napoli: i partecipanti
alla ricerca sono stati sottoposti alla vaccinazione entro sette
giorni dall’ammissione in ospedale del caso primario, o sono
stati tenuti come casi controllo (Sagliocca L et al., 1999). Le
conclusioni dello studio sono che il vaccino contro l’epatite A è
efficace anche nella prevenzione delle infezioni secondarie e
deve essere raccomandato ai familiari di casi di epatite A, al
posto delle immunoglobuline (Stroffolini T et al., 2001; Sagliocca L et al., 2005).
In un altro studio italiano sull’uso del vaccino contro l’epatite
A nel corso di un’epidemia in un asilo, sono stati ottenuti risultati simili (Bonanni P et al., 1998). In quella occasione sono stati vaccinati sia i membri dello staff sia i bambini della scuola
materna, per interrompere un’epidemia che durava da sei settimane. I casi fra i bambini sono cessati dopo dieci giorni dalla
vaccinazione, mentre i casi fra gli adulti non vaccinati hanno
continuato a manifestarsi per altri due mesi.
nella profilassi postesposizione, è quello di conferire
un’immunità duratura in una popolazione a rischio.
D’altra parte chi consiglia l’uso delle Ig per la prevenzione dell’epatite A, già si preoccupa della concentrazione di anticorpi specifici anti-HAV, perché la
progressiva riduzione della sieropositività nella popolazione presto renderà difficile ottenere sieri che presentino una sufficiente quantità di anticorpi.
In una recente rassegna delle pubblicazioni sull’efficacia della prevenzione con immunoglobuline si afferma che in tutta la letteratura, dal 1945 a oggi, non risulta nessuna pubblicazione ufficiale che confermi
l’efficacia dell’immunoprofilassi (Taliani G e Gaeta
GB, 2003).
Nonostante questi risultati, gli autori americani continuano ad affermare che il vaccino contro l’epatite A
non è raccomandato nella profilassi postesposizione,
perché non sono stati condotti studi di confronto fra il
vaccino e le Ig (Bell BP, 2000; Red Book, 2003): un
ragionamento corretto ma non sufficiente a incidere
sull’indicazione precisa della vaccinazione in queste
specifiche circostanze.
Il vaccino contro l’HAV è efficace nel prevenire la
malattia in oltre l’80% dei casi, quando somministrato
entro sette giorni dalla diagnosi nel caso primario.
Probabilmente sull’efficacia del vaccino nella profilassi postesposizione gioca un ruolo importante il tempo
trascorso dalla trasmissione del virus dal paziente primario e insieme l’entità dell’inoculum.
Le immunoglobuline, somministrate per via intramuscolare entro due settimane dall’esposizione al
virus, sono anch’esse efficaci nel prevenire l’infezione sintomatica nell’85% dei casi (tab. 14.7). Dopo la somministrazione intramuscolo, la concentrazione sierica delle Ig viene raggiunta dopo 48-72
ore: è sufficiente usare le Ig standard in commercio,
per l’elevata concentrazione di anticorpi specifici in
esse contenuti. Lo spostamento della sieroconversione verso le età più avanzate, in atto nella popolazione, renderà necessario nei prossimi anni seguire con
attenzione la concentrazione di anticorpi nelle Ig
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Tabella 14.7
tite A
14 - EPATITE A
Immunoprofilassi postesposizione dell’epa-
Tempo
Probabile
trascorso
esposizione
dall’esposizione futura
Età del
paziente
Profilassi
raccomandata
Ig 0,02 mL/kg
Ig 0,02 mL/kg+
vaccino anti-HAV*
Nessuna profilassi
Vaccino anti-HAV
2 settimane
o meno
No
Sì
Tutte le età
5 mesi o più
> 2 settimane
No
Sì
Tutte le età
2 anni o più
* In Italia, oltre i 5 mesi, è permesso, nonostante l’età, usare un tipo di vaccino anti-HAV (Havrix)
che stiamo per usare. Le Ig sono indicate nella profilassi sia prima dell’esposizione al virus, sia dopo
qualche giorno.
Nei familiari, nel personale e nei bambini dei nidi e
delle scuole materne, è utile quindi, in caso di manifestazione di uno o più casi di epatite A, l’impiego
del vaccino o delle Ig umane in commercio (si tratta
di pool di Ig). In linea generale la dose di Ig è di
0,02 mL/kg, da somministrare il prima possibile dopo
l’esposizione. Non viene ritenuto necessario sottoporre a prove sierologiche i soggetti venuti in contatto.
Non è consigliato l’uso di Ig dopo 6 settimane dall’esposizione.
La somministrazione intramuscolo va eseguita in un
muscolo che abbia una massa sufficiente (per esempio
il vasto laterale o il deltoide). Le Ig ovviamente vanno
date solo a persone che non siano state vaccinate contro l’epatite A. Va ricordato che le Ig interferiscono
con la risposta ai vaccini vivi attenuati, come il vaccino contro morbillo, parotite e rosolia (MPR) e il vaccino contro la varicella. Il lasso di tempo fra la somministrazione di Ig e la vaccinazione è proporzionale
alla dose di Ig somministrata (cap. 5, pag. 160). Analogamente le Ig non vanno somministrate per due settimane dopo la vaccinazione MPR e per tre settimane
dopo la vaccinazione contro la varicella. Se le Ig fossero state somministrate entro questi periodi di tempo,
il soggetto va rivaccinato quando sia trascorso un sufficiente lasso di tempo.
Nei figli di madri infette non itteriche al momento
del parto non è necessario procedere ad alcuna prevenzione: l’allattamento al seno non va sospeso. Ma
se la madre è itterica è utile somministrare Ig al neonato, alle solite dosi, anche se in questo caso l’efficacia non è stata ben stabilita.
Anche le Ig standard in commercio per via venosa
sono probabilmente protettive nei confronti dell’HAV, ma ancora manca una sufficiente esperienza
per indicare per queste l’efficacia protettiva e quindi
la dose. Non è bene conosciuta nemmeno la durata
della protezione, anche se si ritiene che una dose di
Ig per via venosa di 400 mg/kg sia protettiva per almeno sei mesi.
Con la recente disponibilità del vaccino inattivato
contro l’HAV, l’uso delle Ig pre-esposizione è gradualmente diminuito; il ruolo delle Ig nella prevenzione dell’epatite A postesposizione è invece ancora
consigliabile quando l’esposizione possa mettere a
rischio il soggetto per l’epatite A, perché il tempo
trascorso dal contagio è stato superiore alle due settimane, per cui potrebbe non risultare efficace. Negli Stati Uniti questo vale anche per i bambini in età
inferiore ai 2 anni, nei quali il vaccino contro l’HAV
non è stato ancora approvato, ma in Italia il suo uso
non ha, come vedremo, limiti di età, essendo possibile usarlo oltre i cinque mesi (Levy MJ et al.,
1998).
È stato calcolato che una singola dose di Ig costi circa un quarto di una dose di vaccino, ma la concentrazione in anticorpi dopo due dosi di vaccino è di circa
50-100 volte superiore a quella che si ottiene dopo una
singola dose di Ig (Nalin D et al., 1993) e inoltre questa difesa attiva dura almeno per 20 anni.
La malattia è sottoposta a denuncia obbligatoria
(Classe II).
I VACCINI
Per la preparazione di questo, come di altri vaccini,
sono risultati essenziali alcuni presupposti (Feinstone
SM e Gust ID, 1999):
• la possibilità di coltivare il virus in colture di cellule di primati;
• l’identificazione del genoma virale;
• la disponibilità di metodi specifici per il riconoscimento del virus e degli anticorpi anti-HAV;
• la disponibilità di un modello animale per essere in
grado di giudicare l’attenuazione del virus, la risposta immunitaria e infine l’effetto protettivo.
La recente possibilità di disporre dei quattro presupposti sopra ricordati ha permesso di fare nuovi progressi nella preparazione di vaccini contro l’HAV.
Esistono tre tipi di vaccino:
1. vaccino costituito da virus vivi attenuati, non in
commercio nei paesi occidentali;
2. vaccino costituito da virus uccisi (inattivati);
3. vaccino costituito da antigeni, ottenuti con la tecnica DNA ricombinante, ancora in fase sperimentale.
Oggi sono presenti, sia nel nostro paese sia in tutti
gli altri, solo vaccini del secondo tipo (costituiti da
virus inattivati). Le difficoltà incontrate nell’attenuazione del virus e nella ricerca della migliore configurazione tridimensionale delle proteine di superficie
del virus (ottenibili con le tecniche DNA ricombinanti) hanno ritardato la preparazione di vaccini di cui ai
punti 1 e 3.
D’altra parte i vaccini costituiti da virus inattivati
hanno dato ottimi risultati, superiori alle attese.
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14 - EPATITE A
VACCINO VIVO ATTENUATO
Il principale vantaggio dei vaccini vivi attenuati contro l’HAV è rappresentato dalla possibilità della somministrazione per via orale, dal costo relativamente
basso, dalla possibilità di creare difese immunitarie a
livello intestinale e dalla probabile protezione per lunghi periodi di tempo.
Numerose esperienze sono state condotte anche nell’uomo con questi vaccini. In esperienze, condotte soprattutto in Cina (Mao JS, 1990; Mao JS et al., 1997), il
vaccino si è dimostrato efficace nel prevenire l’epatite
A: la protezione è risultata del 100% per un periodo di
quattro anni nei bambini di 11 scuole primarie. Nonostante i presupposti iniziali per la somministrazione, fino
a oggi è stata usata la via sottocutanea, perché la via
orale si è dimostrata incapace di dare sieroconversione.
Nonostante queste ricerche, da un punto di vista
teorico sembra difficile riuscire a sviluppare un vaccino vivo che sia insieme adeguatamente immunogeno e
sufficientemente attenuato, perché la moltiplicazione e
le capacità di difesa sono probabilmente collegate in
modo stretto.
È sorto il dubbio che l’effetto immunizzante del
vaccino non sia dovuto tanto alla moltiplicazione del
virus, quanto alla massa di virus contenuta dell’inoculum. Gli sforzi sono rivolti oggi allo studio di nuove
mutazioni (si conosce l’intera sequenza nucleotidica
del virus selvaggio e della variante attenuata HM175)
del genoma che contribuiscano a migliorare la moltiplicazione sia in vitro che in vivo.
In un confronto diretto fra vaccino vivo attenuato e
vaccino inattivato (Wang X-Y et al., 2004) ambedue i
vaccini si sono dimostrati altamente efficaci nel prevenire l’epatite A.
geni sia nei primati non umani che negli umani (tab.
14.8). Per produrre questo vaccino, il virus adattatato
su colture cellulari è stato propagato su fibroblasti
umani, purificato da lisati cellulari e inattivato con
formalina; infine è stato adsorbito con idrossido di alluminio come adiuvante.
VACCINO INATTIVATO
• Il vaccino inattivato, preparato dalla GlaxoSmithKline (Havrix) è stato disponibile in Europa dal
1992 e in Italia qualche anno dopo. Il vaccino è
preparato da un ceppo di virus attenuato, cresciuto
in terreno di coltura e inattivato con formaldeide. In
Italia è utilizzato nella confezione pediatrica in
bambini di oltre 5 mesi.
• Il vaccino inattivato, preparato dalla Sanofi Pasteur
MSD (Vaqta) nel 1996 è entrato in commercio in
Italia nel 1999. Anche questo vaccino è preparato
da un virus intero attenuato, cresciuto in terreno di
coltura (fibroblasti di polmone umano) e inattivato
con formaldeide (Langer BCA et al., 1996). Il vaccino è stato sottoposto a notevole purificazione
(Hennessey JP et al., 1999).
• Il vaccino preparato dalla Berna a partire da un diverso ceppo di virus attenuato (RG-SB) è stato ottenuto incorporando le particelle immunogeniche di HAV,
inattivate con formaldeide, all’interno di liposomi (virosomi) funzionanti come adiuvante (Loutan L et al.,
1994; Poovorawan Y et al., 1995; Lea AP e Balfour
JA, 1997; Ambrosch F et al., 1997; Gluck R, 1999): il
vaccino è in commercio in Italia dal 1999. Di recente
è stato tolto il timerosal, inizialmente contenuto.
• Il vecchio vaccino della Sanofi Pasteur era preparato sempre a partire da un ceppo di virus attenuato
(ceppo GMB): veniva purificato e inattivato con
formaldeide. È stato in commercio in Italia fino a
qualche anno fa (luglio 1999), quando è stato sostituito dal Vaqta (Garin D et al., 1995; Fisch A et al.,
1996; Vidor E et al., 1996). È stato di recente riformulato (Dagan R et al., 1999).
Dal 1978 sono stati preparati e sono entrati in commercio sia in Italia sia all’estero, molti vaccini di questo tipo, alcuni dei quali si sono dimostrati immuno-
I quattro vaccini in commercio in Italia sono stabili
e rimangono attivi, senza alcuna perdita di immunogenicità, per due anni, quando conservati a 2-8 °C (Rajan
Tabella 14.8
Vaccini disponibili in Italia, contro l’epatite A
Caratteristiche
Ditta preparatrice
Inattivazione con formaldeide
Ceppo
Linea cellulare
Virosomi
Preservante
Adiuvanti
Schedula
Dose pediatrica
Dose adulto
Confezione in commercio
Epaxal Berna
Havrix
Vaqta*
Berna
Sì
RG-SB
MRC-5
Sì
Timerosal
–
0, 12 mesi
No
Da 5 anni in poi
0,5 mL
GlaxoSmithKline
Sì
HN-175
MRC-5
No
2-fenossietanolo
Idrossido di alluminio
0, 6-12 mesi
Sì (720 UE) (da > 5 mesi a 10 anni)
Sì (1440 UE)
0,5-1 mL
Sanofi Pasteur MSD
Sì
CR326F
MRC-5
No
–
Idrossido di alluminio
0, 6 mesi
Sì (25 U) (da 2 a 17 anni)
Sì (50 U)
0,5-1 mL
* Il vaccino Avaxim della Sanofi Pasteur è stato sostituito in commercio dal Vaqta
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Vaccini contro l’epatite A in commercio in Italia
Epaxal Berna (Berna)
• antigene virale dell’epatite A inattivato (ceppo RG-SB)
almeno 500 unità RIA
• adiuvato con liposomi
• emoagglutinina del virus influenzale
• fosfolipidi
1 fiala da 0,5 mL IM
1 siringa preriempita da 0,5 mL IM
10 fiale da 0,5 mL IM
10 siringhe preriempite da 0,5 mL IM
Havrix 720 pediatrico (GlaxoSmithKlein)
• virus dell’epatite A, ceppo HM 175 inattivato, non meno
di 720 UE
• idrossido di alluminio
• 2-fenossietanolo
• polisorbato 20
1 siringa preriempita da 0,5 mL IM
Havrix 1440 adulto (GlaxoSmithKlein)
• virus dell’epatite A, ceppo HM 175 inattivato, non meno
di 1440 UE
• idrossido di alluminio
• 2-fenossietanolo
• polisorbato 20
1 siringa preriempita da 1 mL IM
Vaqta (Aventis Pasteur MSD)
Bambini e adolescenti:
• antigene adsorbito del virus dell’epatite A 25 U
• idrossido di alluminio 0,225 mg
• borato di sodio 35 µg
• nei processi di produzione vengono usate neomicina
e formaldeide
1 siringa preriempita da 25 U in 0,5 mL IM
Adulti:
• antigene adsorbito del virus dell’epatite A 50 U
• idrossido di alluminio 0,45 mg
• borato di sodio 70 µg
• nei processi di produzione vengono usate neomicina
e formaldeide
1 siringa preriempita da 50 U in 1 mL IM
Vaccini combinati col vaccino contro l’epatite B
Twinrix pediatrico (GlaxoSmithKlein)
• virus purificato e inattivato dell’epatite A, coltivato
su cellule diploidi umane MRC5, non meno di 360 UE
• proteina HBsAg da DNA-ricombinante 10 µg
• idrossido di alluminio
• alluminio fosfato
• formaldeide
• neomicina solfato
• 2-fenossietanolo
• polisorbato 20
1 siringa monodose da 0,5 mL con ago
E et al., 1996). Il vaccino tenuto alla temperatura di 37
°C per una settimana non aumenta la reattogenicità,
né perde l’immunogenicità, per cui viene confermata
la sua buona stabilità termica (Wiedermann G et al.,
1994). Il congelamento distrugge il potere immunizzante del vaccino, causando aggregazione delle particelle di alluminio: ogni vaccino che sia stato inavvertitamente congelato, va assolutamente scartato.
È in commercio in Italia un vaccino combinato per
l’epatite A e B, sia in formulazione per bambini sia per
adulti. Un vaccino combinato è utile per le persone a
rischio per entrambe le infezioni, come gli operatori sanitari, i viaggiatori nelle aree endemiche, i residenti in
istituti, il personale militare e appartenente ad altre situazioni a rischio. La somministrazione dei due vaccini
nella stessa formulazione implica un minor numero di
iniezioni, una migliore accettabilità e una diminuzione
dei costi, tutti vantaggi ben conosciuti per i vaccini
combinati (Reutter J et al., 1998; Thompson SC et al.,
1998; Diaz-Mitoma F et al., 1999; Thoelen S et al.,
1999). La Food and Drug Administration (FDA) ha approvato l’11 maggio 2001 l’uso del vaccino contro epatite A + B in soggetti di 18 anni o più (CDC, 2001).
Particolare attenzione viene rivolta ai sistemi di puri-
Twinrix adulti (GlaxoSmithKlein)
• virus purificato e inattivato dell’epatite A, coltivato
su cellule diploidi umane MRC5, non meno di 720 UE
• proteina HBsAg da DNA-ricombinante 20 µg
• idrossido di alluminio
• alluminio fosfato
• formaldeide
• neomicina solfato
• 2-fenossietanolo
• polisorbato 20
1 siringa monodose da 1 mL
ficazione per assicurare la massima sicurezza del vaccino inattivato con l’HAV (Hennessey JP et al., 1999).
Prima di essere immesso in commercio ogni lotto di
vaccino contro l’HAV deve essere sottoposto a un
controllo di qualità, che negli Stati Uniti viene eseguito dalla National Control Authority, che ne stabilisce
la potenza (Poirier B et al., 2000) utilizzando un metodo immunoenzimatico (ELISA) e prove su animali
(Akkermans AM e Hendriksen CF, 1999). In Italia,
per questo vaccino come per tutti gli altri, il controllo
viene eseguito dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS).
Modalità d’uso e via
di somministrazione
La somministrazione del vaccino viene eseguita per via
intramuscolare, nella faccia anterolaterale della coscia
o nel corpo del muscolo deltoide a seconda dell’età.
Come abbiamo già visto, la somministrazione per
via orale non determina alcuna risposta anticorpale
(Sjogren MH et al., 1992), mentre le iniezioni intradermiche inducono la produzione di anticorpi, ma per
la loro esecuzione è necessaria una tecnica accurata,
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Il ritiro temporaneo dal commercio del vaccino Vaqta in Europa nel 2001-2002
Nel dicembre del 2001 l’Aventis Pasteur ha ritirato dal commercio il vaccino Vaqta in tutto il continente europeo, sia nella confezione per
bambini che in quella per adulti, entrate in commercio rispettivamente nel 1997 e nel 1998 (Eurosurveillance Weekly, 5 dicembre 2001). La
causa di questo ritiro è legata al fatto che da un ricercatore tedesco era stato rilevato che il contenuto di antigene, presente in alcune siringhe preriempite, era al di sotto della quantità minima stabilita sulla scheda tecnica; secondo le leggi europee (EMEA) il rilievo in uno
Stato si estende automaticamente a tutta l’Unione Europea. Questo rilievo è risultato limitato alle confezioni in commercio in Europa, per
cui l’azienda Merk SD, preparatrice del vaccino, si è premurata di avvertire che il prodotto in vendita negli Stati Uniti, corrispondeva da
un punto di vista antigenico a quanto previsto sulla scheda tecnica. L’inconveniente è risultato legato al macchinario europeo per il confezionamento delle fiale, che in seguito a un guasto immetteva saltuariamente in qualche singola ampolla una quantità inferiore di antigene. Le reazioni al ritiro del vaccino da parte delle autorità sanitarie dei vari Stati europei sono state diverse. Nel Regno Unito è stato
raccomandato, per chi si trovi ancora in una situazione di rischio, di vaccinarsi conro l’epatite A con un vaccino diverso.
A distanza di tempo il vaccino è stato di nuovo introdotto in commercio in Europa e quindi anche in Italia.
mentre, per la loro scarsa immunogenicità, sono necessarie molteplici inoculazioni (Brindle RJ et al.,
1994). La somministrazione per via sottocutanea in
adulti del vaccino Vaqta ha dimostrato un’immunogenicità inferiore a quella ottenuta dopo iniezione intramuscolare, anche se la risposta immunologica è stata
abbastanza buona (77,9%) (Linglöf T et al., 2001).
L’uso del vaccino virosomiale per via intradermica
(0,1 mL per dose) si è dimostrato altamente immunogenico, anche con l’impiego di dosi ridotte (Pancharoen C et al., 2003).
Nell’esecuzione della vaccinazione contro l’epatite
A sono state studiate diverse schedule.
1) Vecchio ciclo con tre somministrazioni a 0, 1 e 6
mesi (ovvero 0, 2, 6-12 mesi)
Fino al 1996-1997 la schedula vaccinale più usata è
stata quella a tre dosi: una valutazione del livello anticorpale dopo un mese dalla terza dose ha dimostrato
una sieroconversione (livelli uguali o superiori a 20
UI/L) nel 100% dei vaccinati (Troisi CL et al., 1997).
Nell’adulto veniva usata la dose di 720 UE. È stata
dimostrata una correlazione fra dose di antigene e intensità della risposta immunitaria.
2) Ciclo attuale con due somministrazioni
Negli anni più recenti sono state impiegate due dosi, al tempo 0 e dopo 6-12 mesi. Le risposte anticorpali sono risultate altrettanto buone, quando si sono
adoperate 720 UE nel bambino e 1440 nell’adulto
(Havrix) (Briem H et al., 1994; Van Damme P et al.,
1994; Victor J et al., 1994; DeFraites RF et al., 1995;
Poovorawan Y et al., 1996); in un’alta percentuale di
casi fu ottenuta un’elevata risposta anticorpale anche
dopo la prima dose. Risultati analoghi sono stati otteTabella 14.9
nuti con il vaccino derivato dal ceppo CR326F (Vaqta) (Chen XQ et al., 1997; Bertino JS et al., 1998, Lu
MY et al., 1999) e con il vaccino Avaxim (Vidor E et
al., 1998). Se l’intervallo fra la prima e la seconda dose è di 12-18 mesi o è superiore ai due anni la risposta immunologica è paragonabile a quella che si ottiene dopo un intervallo di 6-12 mesi come di norma
(Landry P et al., 2000; Hornick R et al., 2001; Williams JL et al., 2003), per cui anche un ritardo nella
somministrazione della seconda dose non comporta la
necessità di riprendere da capo la vaccinazione.
Da un confronto fra due e tre somministrazioni, è
risultato che il regime con due dosi deve essere considerato il migliore, anche tenuto conto del costo (Lu
MY et al., 1999).
Sia l’Havrix che il Vaqta sono disponibili in due tipi di confezione: per il bambino, rispettivamente, Havrix 720 (da 6 mesi a 10 anni) e Vaqta 25 U (da 2 a
17 anni) in 0,5 mL, e per l’adolescente e per l’adulto,
rispettivamente, Havrix 1440 e Vaqta 50 U, in 1 mL.
Anche il Twinrix è in confezione pediatrica (360 UE
+ 10 µg) e in confezione adulti (720 UE + 20 µg).
La seconda dose (considerata come una dose di richiamo), a distanza di 6-12 mesi, può essere eseguita
con qualsiasi tipo di vaccino, sia per quanto riguarda
l’immunogenicità sia la reattogenicità (Havrix dopo
Vaqta; Vaqta dopo Havrix) (Zuckerman JN et al.,
1998; Clarke P et al., 2001) (tab. 14.9). Sono intercambiabili anche il vaccino liposomiale (Epaxal) e il
vaccino adsorbito su alluminio (Havrix) (Bovier PA et
al., 2005).
I due vaccini (Havrix e Vaqta) sono intercambiabili
(Andre FE, 2002), anche se per il completamento della serie è preferibile usare lo stesso prodotto. Tuttavia,
Dosi e schedule raccomandate per il vaccino contro l’epatite A
Età
6 mesi-16 anni
2-18 anni
17 anni e più
> 18 anni
ELU = unità immunoenzimatica
U = unità antigene
Vaccino
Dose di antigene
ML per dose
Numero di dosi
Schedula
Havrix
Vaqta
Havrix
Vaqta
720 ELU
25 U
1440 ELU
50 U
0,5
0,5
1
1
2
2
2
2
0, 6-12 mesi
0, 6-18 mesi
0, 6-12 mesi
0,6 mesi
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se il prodotto usato per la prima dose non fosse disponibile, è accettabile che la seconda dose venga attuata
con l’altro vaccino.
Per ambedue i vaccini, il tipo di dose di richiamo
da usare (pediatrico o adulto) si deve basare sull’età
della persona al momento della somministrazione e
non sull’età alla quale venne eseguita la prima dose.
Per esempio, se, usando il vaccino Vaqta, la prima
dose è stata fatta a 18 anni usando il vaccino per
bambini, quando si debba somministrare il richiamo
va usata la dose per adulti, se il soggetto ha 19 anni,
e non la formulazione pediatrica.
Come abbiamo visto l’intervallo fra la prima dose e
la dose di richiamo deve essere di sei mesi: se questo
intervallo è più lungo di quello raccomandato (di 6-18
mesi), come abbiamo già visto, non è mai necessario
ricominciare dalla prima dose.
È stata sperimentata la somministrazione di Havrix
con un sistema jet (Biojector), con la quale è stata
raggiunta una sieroconversione in una maggiore percentuale di persone, in confronto a quando era stata
usata la classica somministrazione con l’agosiringa
(Williams J et al., 2000).
dalla vaccinazione è stata ottenuta un’ottima risposta
anamnestica a una dose di richiamo con livelli di
GMT di 2993 mUI/mL.
3) Schedula di vaccinazione per il vaccino combinato contro l’epatite A e l’epatite B
Per la somministrazione del vaccino combinato
(Twinrix) viene consigliata la dose pediatrica in soggetti da 1 a 15 anni di età. Il ciclo standard di Twinrix
consiste di tre dosi, di cui la prima somministrata al
giorno 0, la seconda 1 mese più tardi e la terza 6-12
mesi dopo la prima. È necessario mantenenere un opportuno intervallo di tempo fra le dosi per assicurare
una protezione a lungo termine per ambedue le componenti del vaccino combinato A + B. Comunque fra
la prima e la terza dose devono passare più di sei mesi. Non è necessario riprendere la somministrazione
dall’inizio o aggiungere delle dosi se l’intervallo fra le
dosi sia stato più lungo di quello sopra ricordato.
Poiché la componente per l’epatite B contenuta nel
vaccino combinato è equivalente a una dose standard
di vaccino contro l’epatite B, la schedula è la stessa,
sia che venga usato il Twinrix, sia che venga usato il
vaccino contro l’epatite B da solo.
Una buona immunogenicità è stata riscontrata nei
bambini anche con una schedula a due dosi (al tempo
0 e dopo 6 mesi) in confronto alla schedula classica a
tre dosi (Roberton D et al., 2003). È stato accertato
che può andar bene anche una schedula 0 e 12 mesi
(Burgess MA et al., 2001). Da un confronto del livello anticorpale dopo 24 mesi in adolescenti vaccinati
con due (0-6 mesi) o tre dosi (0, 1 e 6 mesi), è risultato che sia l’immunogenicità che la reattogenicità sono simili nei due gruppi (Levie K et al., 2002).
Secondo Iwarson (Iwarson S, 2002) è sufficiente
una sola dose di vaccino inattivato contro l’epatite A
e B per indurre una buona risposta immunitaria; in
tutti i soggeti vaccinati, a distanza di quattro-sei anni
Nonostante la bassa concentrazione di antigene, il
vaccino è altamente immunogeno: induce una risposta
immune nel 95,7% e nel 99,8% dei soggetti rispettivamente dopo la prima e la seconda dose. L’immunizzazione induce la comparsa di anticorpi sierici neutralizzanti, protettivi, diretti verso gli epitopi di superficie
del virus (Lemon SM et al., 1997).
La comparsa degli anticorpi anti-HAV è evidente
già nella seconda settimana: il loro titolo gradualmente aumenta fino a dopo la seconda dose. Praticamente
tutti i soggetti vaccinati sieroconvertono entro un mese dal completamento della vaccinazione (Flehmig B
et al., 1997). La risposta in anticorpi specifici è limitata inizialmente alla classe IgM, cui segue la risposta
con anticorpi della classe IgG.
Dopo una sola dose gli anticorpi persistono per almeno un anno.
Il livello di anticorpi dopo la vaccinazione varia con
la dose usata e con lo schema di vaccinazione. Tuttavia dopo l’inoculazione per via intramuscolare di due
o più dosi di vaccino inattivato contro l’HAV, la concentrazione sierica di anticorpi è inferiore a quella che
siamo soliti riscontrare dopo un’infezione naturale
(Lemon SM, 1993; Zaajier HL et al., 1993): i livelli
ottenuti con l’immunizzazione attiva sono di molte
volte superiori a quelli che comunque si osservano
dopo la somministrazione di dosi protettive di Ig. Tuttavia nello studio di Delem (Delem A et al., 1993) i
titoli, misurati nei vaccinati sette mesi dopo, sono risultati simili a quelli ritrovati in adulti infettati asintomaticamente nell’infanzia, cioè oltre dieci anni prima.
Con la somministrazione dei diversi tipi di vaccino
si hanno ugualmente ottime risposte anticorpali. Sia
con il vaccino GSK, sia con quello della Sanofi Pa-
4) Altre schedule di vaccinazione
Per venire incontro alla necessità di vaccinare in breve tempo chi si accinge a compiere un viaggio in un
paese ad alta endemia per l’epatite A, è stata proposta
una schedula accelerata o abbreviata e usando un vaccino combinato (epatite A + B) con somministrazione
al tempo 0, 7 e 21 giorni con un richiamo a distanza
di 12 mesi: dopo la terza dose i livelli di anticorpi anti-HAV, valutati con la media geometrica dei titoli
(GMT), è stato di 520 UE (Zuckerman JN et al., 1998;
Nothdurft HD et al., 2002; Zuckerman JN, 2003). È
evidente che quando la seconda (o la terza dose in caso di vaccino combinato) è stata somministrata entro
tre settimane-un mese dalla prima dose i valori della
GMT sono risultati molto più bassi di quelli che si ottengono con lo schema abituale (Jilg W et al., 1992).
Immunogenicità
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steur MSD, sia con quello della Chiron, i livelli di anticorpi sono molto elevati e persistenti, nei bambini,
negli adolescenti e negli adulti (Castillo de Febres O
et al., 2000). Anche con il vaccino con virosomi della
Berna l’immunogenicità è risultata ottima (Holzer BR
et al., 1996; Lea AP e Balfour JA, 1997).
Con i comuni kit in commercio non è possibile riconoscere gli anticorpi indotti dalla vaccinazione da
quelli che si presentano dopo il superamento della malattia naturale; nella pratica clinica tuttavia può tornare
molto utile discriminare le due situazioni. È stato visto
che se si cercano le risposte anticorpali alla proteinasi
3C non strutturale dell’HAV, con la metodica ELISA,
è possibile identificare i soggetti che hanno superato la
malattia, mentre la ricerca è negativa in quelli che sono stati vaccinati. Questa ricerca è risultata diagnostica
in scimpanzé infettati con HAV e in bambini che hanno ricevuto il vaccino (Kabrane-Lazizi Y et al., 2001).
a) Effetto dell’età
Nonostante per il vaccino della GSK (Havrix) sia
prevista nel nostro Paese la somministrazione in soggetti di età superiore ai 5 mesi, negli Stati Uniti i due
vaccini in commercio (Havrix e Vaqta) sono utilizzabili solo in bambini dai 2 anni in su.
Per l’altro vaccino in commercio non esiste una formulazione pediatrica e i limiti inferiori per la somministrazione sono 5 anni (Epaxal Berna).
Negli Stati Uniti la somministrazione del vaccino
prima dei 2 anni non è approvata dalla FDA nel timore che al di sotto di questa età ci sia la possibilità di
una ridotta efficacia, dovuta all’interferenza degli anticorpi materni. Tuttavia, sebbene i titoli anticorpali siano più bassi per vaccinazioni eseguite prima del compimento del primo anno di vita, un’improvvisa risposta anamnestica si sviluppa quando venga somministrata una dose di richiamo oltre il 12° mese di vita
(Leach CT, 2004). Sono in corso studi negli Stati
Uniti per esaminare la protezione conferita dal vaccino contro l’epatite A all’età di 12-13 mesi.
Un primo punto importante è quello che riguarda la
persistenza degli anticorpi materni anti-HAV nel primo anno di vita (Lieberman JM et al., 1996): in 76
lattanti, positivi alla nascita, gli anticorpi di origine
materna restano elevati nei primi 6 mesi di vita, ma
tendono a diminuire fortemente alla fine del primo anno, a titoli molto bassi (tab. 14.10).
In una recente pubblicazione (Fiore AE et al., 2003)
Tabella 14.10 Persistenza degli anticorpi materni anti-HAV
in 76 lattanti, positivi alla nascita (Lieberman JM et al.)
2 mesi
Percentuale di positività
Media geometrica
dei titoli (mUI/mL)
Tempo dalla nascita
4 mesi 6 mesi 12 mesi
100%
100%
95%
39%
2634
563
211
9
con la vaccinazione contro l’HAV a 2, 4 e 6 mesi di
età è stato notato che l’immunogenicità nei lattanti
che avevano anticorpi di origine materna era significativamente più bassa di quella riscontrabile nei lattanti
che non avevano anticorpi materni, tuttavia, nonostante ciò, la memoria immunitaria risultò completamente
stimolata dopo la somministrazione di un richiamo all’età di 6 anni. Risultati analoghi sono stati ottenuti da
altri (Letson GW et al., 2004).
Una ricerca, eseguita con il vaccino virosomiale (Usonis V et al., 2003), ha dimostrato che l’inizio della vaccinazione in 30 lattanti all’età di 6 mesi, con un richiamo a 12 mesi, conferisce una buona sieroprotezione dopo la prima dose e una forte risposta anamnestica dopo
il richiamo. Da sottolineare che tutti i lattanti avevano
anticorpi di origine materna. Anche con una sola dose
di vaccino in lattanti di 6-6,5 mesi di età è stata ottenuta una buona risposta anticorpale, nonostante la presenza di anticorpi di origine materna (Lagos R et al., 2003).
Altre ricerche eseguite in bambini da 1 a 15 anni
hanno tutte dimostrato un’ottima risposta anticorpale
dopo la somministrazione del vaccino contro l’HAV,
con una sieroconversione pari al 100% dei vaccinati.
Risposte analoghe sono state riscontrate in adulti (Lu
MY et al., 1999).
Sulla base di tutto questo, a meno che non ci sia
un’indicazione specifica, sembra sia consigliabile comunque rimandare la vaccinazione contro l’HAV a
dopo il compimento del primo anno di vita. Indubbiamente sono necessari ulteriori studi per determinare la
dose e l’età più appropriate alla vaccinazione, in modo da offrire un bilancio vantaggioso fra l’immunogenicità a breve e a lungo termine e l’integrazione del
vaccino contro l’epatite A nella schedula corrente di
immunizzazione.
Vaccinazione contro l’epatite A nel lattante
Per capire meglio come il lattante risponda al vaccino contro
l’HAV e quale influenza abbiano gli anticorpi materni passivamente trasmessi, è stato condotto uno studio su 280 lattanti
sani dell’età di 2 mesi: le dosi di vaccino Vaqta usate sono state di 13, 25 e 50 U, al 2° e al 6° mese di vita. Tutti i bambini
sieroconvertirono dopo la seconda dose e i GMT furono superiori a 1000, con aumento del livello a seconda delle dosi impiegate. In tutti, tuttavia, vi fu una caduta di oltre 10 volte
delle GMT, 18 mesi dopo la seconda dose (Lieberman JM et al.,
1996). Queste ricerche confermano che gli anticorpi materni interferiscono con la risposta al vaccino anti-HAV inattivato, interferenza che non si riesce completamente a superare anche
con l’aumentare della dose.
Un altro studio (Piazza M et al., 1999) conferma questi risultati: nei lattanti con anticorpi specifici di origine materna la risposta anticorpale al vaccino (720 EU di vaccino Havrix) valutata in GMT fu di almeno otto volte inferiore a quella presentata
da bambini nati da madre anti-HAV negativa; tuttavia dopo
due dosi (al 5° e all’11° mese di vita) la sieroconversione fu del
100% e il livello di anticorpi raggiunse le 399 mUI/mL.
Con tre dosi di vaccino Havrix 720 ELU, a 2, 4 e 6 mesi è stato dimostrato che gli anticorpi materni non hanno eccessiva influenza sulla risposta immunitaria del piccolo lattante al vaccino (Dagan R et al., 2000): nello studio vennero vaccinati addirittura lattanti dalla 6a alla 10a settimana.
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In molti studi è stata notata la presenza di valori più
bassi della GMT in soggetti adulti, in età superiore ai
40 anni, in confronto a soggetti più giovani, almeno
dopo la prima dose: questa differenza veniva annullata
dopo la seconda dose (Briem H et al., 1994; Reuman
PD et al., 1997).
b) Effetto della somministrazione contemporanea di
immunoglobuline
L’uso contemporaneo di Ig e di vaccino anti-HAV
determina picchi di anticorpi specifici leggermente
più bassi di quelli che usualmente si osservano dopo
la somministrazione di solo vaccino, tuttavia sufficienti per conferire un buon livello di immunità (Zanetti AR et al., 1997): queste differenze sono ben visibili dopo la prima dose di vaccino, ma non dopo la
seconda dose (a 24 settimane di distanza) (Walter EB
et al., 1999).
c) Effetto del peso
In una pubblicazione è stato messo in evidenza che
la risposta anticorpale dopo vaccinazione in soggetti
adulti in età di 30 anni o superiore è influenzata dal
peso: i soggetti con peso superiore ai 96 kg avevano
un valore di GMT corrispondente a circa la metà di
quello di soggetti fra i 77 e i 95 kg: questa differenza
risultò scarsamente significativa (Bertino JS et al.,
1998).
In un’altra pubblicazione sullo stesso argomento
(Reuman PD et al., 1997) la risposta sierologica fu significativamente associata al peso minore e all’indice
di massa corporea, ma non all’altezza e allo spessore
delle pieghe cutanee.
d) Effetto del sesso
Non è stata notata nessuna differenza fra i sessi per
quanto riguarda il livello anticorpale, né dopo la prima né dopo la seconda dose (Bertino JS et al., 1998).
Tuttavia in ricerche precedenti era stato riscontrato
che i soggetti di sesso femminile, anche nel primo anno di vita, hanno livelli di anticorpi anti-HAV significativamente superiori a quelli dei soggetti di sesso
maschile (Van Damme P et al., 1994; McMahon BJ et
al., 1996): anche la determinazione sei anni dopo la
vaccinazione dimostrò un livello di anticorpi specifici
più elevato nelle donne, in confronto agli uomini
(Maiwald H et al., 1997).
e) Effetto della razza
I Navajo sono una popolazione degli Stati Uniti ad
alto rischio per l’infezione da HAV. Per tale ragione è
stato condotto uno studio, nei bambini dai 4 ai 12 anni, per osservare l’immunogenicità del vaccino contro
l’HAV, usando tre dosi diverse e tre somministrazioni
(0, 2, 6 mesi). Con tutte le dosi il livello anticorpale
raggiunto risultò elevato, almeno altrettanto, se non di
più, di quanto si osservi in altre popolazioni (Newcomer W et al., 1994).
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14 - EPATITE A
f) Condizioni di immunocompromissione
Soggetti sottoposti a trapianto renale o epatico sono
stati trattati con due dosi di vaccino contro HAV, a
distanza di sei mesi l’una dall’altra (Stark K et al.,
1999): dopo la seconda dose la sieroconversione avvenne nel 72% e nel 97% rispettivamente, contro il
100% dei controlli. È stato riscontrato un rapido declino dei livelli anticorpali in soggetti trapiantati di fegato o di rene (Günther M et al., 2001).
Il vaccino contro l’HAV con due dosi, è stato usato
in una ricerca in doppio cieco, randomizzata, controllata contro placebo, in soggetti HIV-positivi (Kemper
CA et al., 2003): una sieroconversione dopo nove mesi venne dimostrata nel 68% dei soggetti con cellule
CD4 ≥ 200/mm 3, ma soltanto nel 9% di quelli con
cellule CD4 positive numericamente inferiori.
È stata dimostrata la formazione di cellule della memoria dopo la somministrazione del vaccino inattivato
contro l’HAV (Havrix) (Cederna JB et al., 2000).
Dopo l’immunizzazione con il vaccino, si sintetizzano anticorpi che hanno caratteristiche diverse da quelle che si ritrovano nelle Ig, usate per l’immunizzazione passiva (Lemon SM et al., 1997a): nei primi sono
abbondanti anticorpi immunoprecipitanti, mentre nei
secondi si ritrovano in maggior numero anticorpi neutralizzanti accanto a uno scarso titolo di anticorpi precipitanti. Con la somministrazione del vaccino (Havrix) per via sottocutanea viene ottenuta, come abbiamo visto, una risposta anticorpale un po’ inferiore a
quella che si ottiene dopo la vaccinazione per via intramuscolare (Linglöf T et al., 2001).
Viene definita sieroconversione il livello di anticorpi equivalente a quello indotto dalla somministrazione
di Ig e dimostratosi protettivo: questo livello varia fra
le 10 e le 33 UI.
Risposte immunitarie al vaccino
combinato contro epatite A ed epatite B
Inaspettatamente dopo due sole dosi di vaccino A + B,
in soggetti in età superiore agli 11 anni, ai tempi 0 e
24 settimane, la risposta anticorpale per il vaccino
contro l’HBV è risultata inferiore a quella ottenuta con
i vaccini somministrati separatamente (Frey S et al.,
1999): è probabile si trattasse di un difetto di formulazione dei vaccini. Infatti sia in studi precedenti sia successivi, dopo tre dosi di vaccino A + B, sono stati ritrovati valori di GMT più elevati per entrambi gli antigeni nei volontari che hanno ricevuto il vaccino combinato o i vaccini miscelati, rispetto a quelli riportati
nei volontari che hanno ricevuto i due vaccini, simultaneamente, ma in sedi separate (Bruguera M et al.,
1996; Wagstaff AJ et al., 1997). Al 1999 erano stati
compiuti sei studi su 843 soggetti adulti: in tutti erano
stati riscontrati titoli protettivi per l’epatite A e B dopo
la terza dose (Thoelen S et al., 1999) (tab. 14.11).
Studi successivi (Knöll A et al., 2000; Czeschinski
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14 - EPATITE A
Tabella 14.11
Tempi
M1
M2
M3
M4
Immunogenicità dopo due o tre dosi (0, 6 mesi e 0, 1 e 6 mesi) (Van Damme P, 2001)
Schedula 0-6 mesi (720 EU Havrix)
% di + per
GMT
% di + per
GMT
anti-HAV
anti-HBs
99,3
100
100
100
349
245
178
5486,9
43
38
68
97,9
14,3
9,9
201
4948,6
PA et al., 2000; Van der Wielen M et al., 2000; Bryan
JP et al., 2001; Greub G et al., 2001; Van Damme P e
Van der Wielen M, 2001; Joines RW et al., 2001;
Tsai I-J et al., 2001) hanno confermato questi risultati:
se piccole differenze sono state trovate nel livello degli anticorpi contro l’HBsAg, sono state di scarso rilievo e non statisticamente significative. Da molti viene consigliato l’uso del vaccino contro epatite A e B
per l’immunizzazione corrente contro l’HBV, nei paesi dove le due malattie siano frequenti.
Nelle persone anziane l’immunogenicità del vaccino
combinato epatite A e B è notevolmente ridotta (Wolters B et al., 2003): dopo il completamento della vaccinazione solo il 36% ha anticorpi verso i due virus, il
20% risulta protetto per l’epatite B e il 65% per l’epatite A. Nella replica a questa pubblicazione Van Damme (Van Damme P et al., 2004) riporta sieroprevalenze molto più elevate sia per l’epatite A che B dopo la
vaccinazione con il vaccino A + B.
Sebbene siano stati condotti pochi studi di confronto,
i vaccini inattivati contro l’HAV sono molto simili
l’uno all’altro, per quanto riguarda sia l’immunogenicità sia la cinetica (comparsa e scomparsa) degli anticorpi neutralizzanti: Havrix contro Vaqta (Goilav C et
al., 1995; Zuckerman JN et al., 1997; Ashur Y et al.,
1999; Braconier J et al., 1999) Havrix versus Hepaxal
Berna (Holzer BR et al., 1993) e Havrix contro Nothav
(Minutello M et al., 2001). Solo in un recente confronto fra Vaqta e Havrix (Bryan JP et al., 2001) sono
stati riscontrati più alti valori dopo il primo rispetto al
secondo, specialmente quando il Vaqta è stato usato
come seconda dose.
Efficacia
Studi sul campo hanno dimostrato un’efficacia protettiva molto elevata del vaccino contro l’HAV, dell’ordine del 95-100% (Andre FE et al., 1990; Werzberger
A et al., 1992; Bancroft WH, 1992; Werzberger A et
al., 1993; Nalin D et al., 1993). In uno studio del
2001 l’efficacia protettiva del vaccino in circa 30.000
bambini fu del 98% (95% IC 86-100%) (Averhoff F
et al., 2001).
In uno studio spagnolo sulla vaccinazione di massa
degli adolescenti contro l’epatite A + B è risultata per
Schedula 0, 1, 6 mesi (360 EU Havrix)
% di + per
GMT
% di + per
GMT
anti-HAV
anti-HBs
93,2
99,3
99,3
100
227
548
298
4174
29,1
85,6
98
100
9,8
42
305,3
5054
l’epatite A un’efficacia del 97% (Dominguez A et al,
2003).
In studi preliminari in primati non umani, i vaccini
hanno dato risultati incoraggianti sulla diffusione intestinale del virus selvaggio: i primati vaccinati non
hanno eliminato il virus quando venuti in contatto col
virus selvaggio, mentre animali ai quali erano state
somministrate Ig, sebbene protetti dalla malattia, eliminavano il virus col quale erano venuti in contatto.
In una larga esperienza in Thailandia su circa 40.000
bambini trattati a caso col vaccino contro l’epatite A
o con quello contro l’epatite B, il vaccino contro
l’HAV ha dimostrato la sua efficacia: 29 casi di epatite fra i controlli contro un solo caso fra i vaccinati.
L’efficacia protettiva è stata valutata intorno al 97%:
dato che non si sono verificate infezioni dopo il richiamo (in confronto alle sei manifestatesi nel gruppo
controllo) l’efficacia protettiva dopo due dosi è stata
del 100% (Innis et al., 1994).
In un altro studio (Werzberger et al., 1993) 1037
bambini sieronegativi, in età fra 2 e 16 anni, che vivevano in comunità e che ogni anno presentavano piccole epidemie di epatite A, furono vaccinati con una dose di un vaccino inattivato con formolo, derivato dal
ceppo CR326F (Vaqta) o vennero tenuti senza prevenzione, come controllo. Nessun caso si manifestò nel
gruppo dei soggetti vaccinati, eccetto in alcuni nei
quali la malattia comparve entro tre settimane dalla
vaccinazione. Nel gruppo placebo si verificarono nello
stesso periodo di tempo 34 casi di epatite A.
In un’altra occasione il vaccino si dimostrò completamente protettivo contro l’epatite A, che insorse in 5
dei 17 soggetti controllo, contro nessuno nei 40 vaccinati (Richtman et al., 1996).
Anche la somministrazione del vaccino virosomiale
ha dimostrato un’efficacia elevata in una ricerca randomizzata e controllata contro placebo (Pérez OM et
al., 2003).
Confrontando l’efficacia del vaccino inattivato con
quello vivo attenuato in una rivista sistematica (Demicheli V e Tiberti D, 2003) si conclude che l’efficacia
del vaccino inattivato risulta dell’86% (95% CI 6395%) contro un’efficacia del 95% (95% CI 81-99%)
del vaccino vivo attenuato. L’efficacia del vaccino
inattivato nell’impedire casi secondari fu dell’82%.
Negli Stati Uniti il numero di casi di epatite A si è
abbassato a un livello mai prima raggiunto: questo ri-
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14 - EPATITE A
sultato è senz’altro da attribuire alla vaccinazione e
alla forte herd immunity da essa prodotta (Samandari
T et al., 2004). Negli 11 stati nei quali la vaccinazione contro l’epatite A è raccomandata, nei bambini da
24 a 35 mesi è stata raggiunta una copertura del 50,9%
(CDC, 2005).
Sull’importanza della vaccinazione dei familiari di
un caso primario e sulla possibilità che in un soggetto vaccinato si riscontri ugualmente un’infezione da
HAV, clinicamente inapparente, con eliminazione di
HAV nelle feci, tale da indurre casi secondari, viene
riferito in una lettera pubblicata di recente (Flehmig
B et al., 2000): una bambina di 5 anni è stata vaccinata con il vaccino contro l’epatite A dopo essere venuta in contatto con un bambino (il caso indice) che
frequentava la stessa scuola materna e che successivamente si è ammalato di epatite A. La bambina, che
non ha presentato sintomi, era venuta in contatto probabilmente con il virus dell’epatite A almeno una settimana prima che nel caso indice si sviluppassero i
sintomi. Nella famiglia della bambina si ammalarono
di epatite A grave il fratello di 7 anni, il padre di 43
anni e la madre di 39 anni a distanza di 35-37 giorni
dal momento in cui la bambina era stata vaccinata. È
evidente che la bambina vaccinata eliminava HAV
con le feci 1-2 settimane dopo la vaccinazione, infettando gli altri componenti della famiglia. La ricerca
dell’attività dell’alanino-aminotransferasi è risultata
positiva sia nella bambina sia nei suoi familiari. Viene sottolineata la necessità di vaccinare i membri della famiglia che siano entrati in contatto con pazienti
infettati con il virus dell’epatite A, proprio come suggerito da Sagliocca e altri (Sagliocca L et al., 1999).
Durata della protezione
La scomparsa degli anticorpi circolanti sembra avvenire con diversa velocità a seconda del tempo intercorso
dalla vaccinazione: la caduta è abbastanza rapida nei
primi mesi, ma in seguito, dopo la seconda dose, avviene in modo molto meno rapido e si prolunga per
molti anni. Nei bambini è stato osservato che la durata
di livelli protettivi di anticorpi supera largamente i 5
anni (Totos G et al., 1997; Fan P-C et al., 1998; Chang
C-Y et al., 1999). Con la proiezione a distanza dell’abbassamento della concentrazione degli anticorpi antiHAV si ritiene che, dopo due dosi di vaccino, la loro
presenza sia assicurata in soggetti adulti per almeno 10
anni, ma forse anche per più di 24-25 (Maiwald H et
al., 1997; Wiedermann G et al., 1997; Wiedermann G
et al., 1998; Van Herck K e Van Damme P, 2001). Ritenendo che il vaccino induca una memoria immunologica, è probabile che siano possibili risposte anamnestiche che durino per tutta la vita, anche quando il livello di anticorpi circolanti sia molto basso o addirittura caduto al di sotto dei livelli ritenuti protettivi.
A distanza di 12 anni dalla vaccinazione di adulti
con Havrix i titoli medi geometrici furono ancora di
242 UI/mL; negli stessi soggetti dopo la somministrazione di un richiamo venne messa in evidenza una
buona risposta anamnestica (Van Herck K et al.,
2004). Si concluse che non esiste alcuna necessità di
una dose di richiamo a distanza dalla vaccinazione
primaria. Ad analoghe conclusioni giungono altri ricercatori (Herzog C et al., 2003; Perez OM et al.,
2003) dopo la vaccinazione con vaccino virosomiale
contro l’epatite A.
In un piccolo numero di soggetti (44 casi) venne
eseguita, in Turchia, una dose di richiamo a distanza
di quattro anni dalla vaccinazione contro l’epatite A
(Kanra G et al., 2002): venne dimostrato che il richiamo risultò immunogenico e sicuro.
Anche dopo due anni dalla somministrazione del
vaccino combinato contro l’epatite A e B è presente
una sieroprotezione in circa il 95% dei vaccinati, che
essi siano stati immunizzati con due o con tre dosi
(Levie K et al., 2002).
Andando a studiare di nuovo la comunità di Monroe
(N.Y.) nelle quale vennero eseguite le prime prove
con il vaccino Vaqta nel 1991 (Werzberger A et al.,
2002) è risultato che, a distanza di 9 anni, non si è
verificato più alcun tipo di epidemia, nonostante l’introduzione sporadica di virus dell’epatite A fra i soggetti non vaccinati.
Le stime della persistenza degli anticorpi, secondo i
modelli di cinetica anticorpale, indicano che i livelli
protettivi di anti-HAV possono essere presenti dopo
un lasso di tempo ≥ 20 anni. Altri meccanismi, compreso quello cellulare, possono contribuire alla protezione a lungo termine, ma essi non sono attualmente
conosciuti.
Di recente l’International Consensus Group on HAV
immunity ha concluso che non ci sono prove a sostegno della necessità di una vaccinazione di richiamo a
distanza dalla vaccinazione primaria in soggetti sani
(Van Damme P et al., 2003).
Reazioni e complicazioni
I dati ricavati da un centinaio di studi clinici mostrano
che il vaccino è ben tollerato e presenta effetti collaterali lievi, per lo più limitati a dolore, edema e rossore nella sede d’iniezione (Wiedermann G et al.,
1990). Questi lievi effetti collaterali locali sono stati
riportati nel 9-21% dei bambini (Horng Y-C et al.,
1993) e nel 56% degli adulti vaccinati.
Reazioni sistemiche, come stanchezza, febbre, diarrea
e vomito si manifestano nel 5-12% dei vaccinati (Horng
Y-C et al., 1993). Cefalea è stata riscontrata nel 9% dei
bambini e nel 16% degli adulti, dopo la vaccinazione.
La vaccinazione di soggetti HIV-positivi è stata ben
tollerata e non ha avuto effetto sul decorso dell’infezione da HIV o sul carico plasmatico di HIV RNA
(Kemper CA et al., 2003).
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14 - EPATITE A
Reazioni gravi, chiaramente associate al vaccino
contro l’HAV, non sono state riportate.
È stato descritto un caso di vasculite leucocitoclastica, dopo vaccinazione con Havrix, completamente regredito senza terapia (Cone L et al., 1996).
Se si tiene conto che nel corso degli anni 1995-1997
negli Stati Uniti sono state praticate almeno sei milioni
di dosi di vaccino, si comprende come anche i dati di
Vaccine Adverse Event Reporting System (VAERS)
riaffermino la sicurezza di questo vaccino inattivato.
Da un confronto fra diversi tipi di vaccino (Zuckerman JN et al., 1997) è risultato che il vaccino Avaxim
induce, in confronto al vaccino Havrix, una minore
incidenza di reazioni locali lievi (15,1% dei riceventi
contro il 30,1% alla prima dose) e di reazioni sistemiche (19,3% contro 32,4%) alla prima dose; in occasione della seconda dose, le differenze sono meno pronunciate, ma sono sempre presenti. Anche il vaccino
Vaqta ha dimostrato, in un’esperienza di confronto, di
avere una migliore tollerabilità locale, in confronto all’Havrix (Braconier J et al., 1999).
Dopo l’uso del vaccino combinato epatite A-epatite
B, circa la metà degli adulti che lo hanno ricevuto ha
mostrato effetti collaterali, sia pur di lieve entità. L’incidenza degli effetti collaterali diminuisce dopo la prima dose. L’effetto indesiderato locale più comune è costituito da dolore e senso di irritazione nella sede dell’iniezione nel 30-40% delle somministrazioni. Rossore
locale ed edema sono stati osservati dopo il 6-7% delle
iniezioni. Le reazioni sistemiche più comuni sono state
il senso di affaticamento (dal 10 al 30%) e la cefalea
(11% dei soggetti vaccinati) (Wagstaff AJ et al., 1997).
Dai dati ricavati dal sistema passivo di rilevazione
VAERS (Stati Uniti), è risultato che fra il 22 febbraio
1995 e il 20 giugno 1997 sono stati notificati 428
eventi, insorti entro 30 giorni dalla vaccinazione con
HAV; questi eventi includono due morti (di cui uno
per altre cause e uno molto dubbio), 93 eventi gravi
(viene inteso come evento grave un evento che abbia
messo in pericolo la vita o che abbia richiesto l’ospedalizzazione o infine che abbia lasciato esisti permanenti) e 333 altri eventi. Dei 428 eventi, 335 sono avvenuti in soggetti di età superiore ai 19 anni e 93 in
soggetti da 2 a 18 anni. 415 eventi si sono verificati
dopo l’uso dell’Havrix e 11 dopo l’uso del Vaqta (da
sottolineare che la GSK ha messo in commercio il suo
vaccino oltre un anno prima della MSD). Fra i sintomi lievi, quelli più spesso riportati sono la febbre, la
mialgia, la cefalea, il prurito e la nausea; fra i sintomi
gravi la febbre elevata, l’innalzamento degli enzimi
epatici, le infezioni, i dolori addominali e la cefalea
intensa (Niu et al., 1998). I sintomi riferiti dai soggetti che avevano ricevuto il vaccino contro l’epatite A
sono simili a quelli notificati dai soggetti che avevano
ricevuto altri vaccini, a parte quello contro l’HAV.
19 degli eventi notificati sono stati giudicati “inaspettati”: si trattava, nella maggior parte dei casi, di
malattie autoimmunitarie, quali la porpora trombocitopenica immune, il diabete mellito, le vasculiti o l’anemia emolitica autoimmune. È utile ricordare ancora
che i dati raccolti da VAERS raramente permettono la
determinazione di un vero rapporto causale fra vaccinazione ed evento; ma, nonostante ciò, VAERS è l’unico sistema di sorveglianza che copre l’intera popolazione degli Stati Uniti e che è quindi capace d’identificare un evento avverso nuovo e raro e di proporre ipotesi, che possono essere successivamente documentate.
In una recente valutazione a distanza di un decina
di anni dall’entrata in commercio del vaccino Vaqta è
stato concluso che non si è verificato nessun grave
evento associato alla somministrazione del vaccino
(Black S et al., 2004). Ad analoga conclusione giungono anche riviste sistematiche italiane (Demicheli V
e Tiberti D, 2003; ISS, 2003).
Nel giugno 2004 è stata fatta l’unica segnalazione
di associazione fra vaccinazione contro l’epatite A e
sindrome di Guillain-Barré, in Israele, in un bambino
precedentemente sano (Blumenthal D et al., 2004).
PRECAUZIONI E CONTROINDICAZIONI
La principale controindicazione è rappresentata dall’anafilassi al vaccino o a qualcuno dei suoi componenti.
Negli Stati Uniti il vaccino non è indicato nei soggetti al di sotto dei 2 anni (Vaqta), mentre un altro dei
L’efficacia del vaccino nella prevenzione dell’epatite A
Un programma di vaccinazione venne iniziato in Slovacchia nei bambini delle scuole di due villaggi adiacenti, nei quali abitavano circa
5000 abitanti, fra cui era in corso un’epidemia di epatite A (Prikazsky V et al., 1994). Vi furono otto casi di epatite fra i 157 bambini non
vaccinati (5,1%), contro un solo caso fra i 404 bambini vaccinati (0,25%) con almeno una dose.
In Alaska forti epidemie di epatite si manifestano ogni 8-12 anni dal 1960. Inizialmente per arrestare queste epidemie vennero usate le Ig
(McMahon BJ et al., 1996), che dimostrarono di essere capaci per un certo tempo d’impedire la diffusione della malattia. Dopo un’indagine sierologica nella popolazione venne deciso di somministrare il vaccino a tutti i soggetti in età inferiore ai 40 anni e a quelli che erano
sieronegativi, in età superiore ai 40 anni. Venne usato il vaccino Havrix, da 720 EU per i soggetti in età inferiore ai 20 anni, e da 1440 EU
per quelli di 20 anni o più. La sieroconversione fu del 90%. Vi fu la comparsa di epatite A nel 2,1% dei vaccinati, contro il 12% dei non
vaccinati: la maggior parte dei casi avvenne precocemente dopo la vaccinazione. Nei villaggi nei quali la copertura fu di circa l’80%, l’epatite A fu virtualmente eliminata entro otto settimane dall’inizio della vaccinazione.
Risultati altrettanto buoni sono stati ottenuti durante un’epidemia di epatite A in un asilo nido della Toscana (Bonanni P et al., 1998) e in
un’istituto (Sayers G et al., 1999; Irwin DJ et al., 1999).
In Puglia, dove di recente si è sviluppata un’estesa epidemia di epatite A (Malfait P et al., 1996), la vaccinazione è stata inserita nel calendario regionale delle vaccinazioni, in tutti i nuovi nati al 15° mese di vita, in concomitanza con la vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia (MPR), e per gli adolescenti, all’età di 12 anni, in coincidenza con la vaccinazione contro l’epatite B (Lopalco PL et al., 1999).
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vaccini in commercio in Italia (Havrix) è usabile anche in bambini che hanno compiuto i 5 mesi di età.
La sicurezza del vaccino contro l’HBV durante la
gravidanza non è stata determinata; tuttavia, poiché si
tratta di un vaccino inattivato, il rischio teorico di sviluppare lesioni nel feto è basso. Tuttavia il rischio della
vaccinazione deve essere sempre attentamente valutato
rispetto al rischio che una donna in gravidanza possa
essere infettata con il virus dell’epatite A (CDC, 2003).
Nessuna precauzione è necessaria quando vengono
vaccinati soggetti immunocompromessi.
I soggetti positivi per il virus dell’immunodeficienza umana (HIV), come anche altri pazienti immunocompromessi, rispondono al vaccino contro l’HAV in
modo meno pronunciato dei soggetti sani: la risposta
è risultata correlata al numero dei linfociti CD4 (Neilsen GA et al., 1997). Le stesse conclusioni anche per
i soggetti HIV-positivi, affetti da emofilia (Tilzey AJ
et al., 1996). Il trattamento con i nuovi farmaci antiretrovirali aumenta le capacità di risposta anticorpale
(Valdez H et al., 2000; Tedaldi EM et al., 2004). Non
vi sono dati che facciano pensare a un effetto sfavorevole del vaccino contro l’HAV sull’evoluzione della
malattia in soggetti HIV-positivi (Bodsworth NJ et al.,
1997): tuttavia non è stato ancora accertato con sicurezza se il vaccino HAV sia in grado di modificare,
anche temporaneamente, il carico virale dell’HIV.
In uno studio di confronto condotto su 10 volontari,
positivi per l’HBsAg, e 50 negativi, dopo somministrazione del vaccino contro l’HAV (720 UE per tre
dosi a 0, 1 e 6 mesi) sono stati rilevati valori di GMT
inferiori dei soggetti portatori in confronto a 50 pazienti negativi. La sieroprevalenza tuttavia è risultata
uguale nei due gruppi (Horng Y-C et al., 1993): questa constatazione è stata di recente confermata (Chang
C-Y et al., 1999).
Vaccinazione delle categorie a rischio
Molto è stato discusso sulla diffusione da dare a questa vaccinazione, cioè se dovesse essere consigliata,
anche nel nostro Paese, a tutta la popolazione, solo ad
alcune classi di età o infine limitatamente alla popolazione a rischio, come è stato deciso in altri paesi
(Brewer MA et al., 1995).
A questo proposito è stata tenuta una Consensus
Conference, a Roma il 2-3 maggio 1995, organizzata
dal dottor Alfonso Mele, responsabile del Servizio
Epatiti del Laboratorio di Epidemiologia e Biostatistica dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e più di recente dal Comitato di Redazione e da esperti del Programma Nazionale Linee Guida (PNLG) (ISS, 2003;
Franco E et al., 2003).
A parte le considerazioni sulla vaccinazione universale, la vaccinazione contro l’HAV trova una sua precisa
indicazione per alcune categorie a maggior rischio.
Nel PNLG sono stati definiti i gruppi a rischio, per
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14 - EPATITE A
i quali la vaccinazione contro l’HAV risulta opportuna
e consigliabile (Franco E, 2003).
Di seguito riporto le indicazioni per la vaccinazione
pre e postesposizione, come risultate anche da altre
integrazioni.
• Viaggiatori internazionali: la vaccinazione è consigliata per soggetti che da zone di bassa endemia si
recano in aree a vasta circolazione del virus dell’epatite A (Asia, Africa, America centrale e meridionale, paesi dell’Est europeo, bacino inferiore del
Mediterraneo). La vaccinazione è raccomandata,
senza esecuzione dello screening preliminare, per i
soggetti nati dopo il 1960 (Steffen R e Gyurech D,
1994). La vaccinazione non è a carico del Servizio
Sanitario Nazionale (SSN), il costo dell’immunizzazione attiva è complessivamente senz’altro inferiore
a quello delle Ig abituali (Fenn P et al., 1998).
• Militari: la vaccinazione è consigliata per i militari
che si rechino in aree ad alta endemia, senza eseguire
screening prevaccinale. Non viene consigliata la vaccinazione ai militari di leva, al momento dell’arruolamento, in quanto non vi è evidenza significativa di
un maggior rischio d’infezione, rispetto alla popolazione generale di pari età e sesso. L’Olanda (Hopperus Buma APCC et al., 1997; Buma AH et al., 1998),
il Regno Unito (Jefferson TO et al., 1994) e gli USA
hanno già provveduto a vaccinare i rispettivi militari.
• Personale sanitario: la vaccinazione non è prevista.
Tuttavia da una ricerca sieroepidemiologica, fra
quanti si dedicano alla cura dei denti, è risultata, secondo alcuni ricercatori, l’utilità della vaccinazione
contro l’HAV (Ashkenazi M et al., 2001).
• Addetti allo smaltimento dei rifiuti: la segnalazione
di focolai epidemici tra gli addetti allo smaltimento
dei rifiuti e il riscontro di una sieroprevalenza aumentata in tale categoria di soggetti suggeriscono
un maggior rischio, per cui la vaccinazione viene
consigliata. Essi tuttavia non rappresentano un rischio per la comunità e non sono riportate epidemie
da ricondurre a questo personale, come fonte d’infezione. Pubblicazioni recenti concludono che il rischio di epatite A per questi lavoratori è limitato o
assente (Venczel LV et al., 2003).
• Alimentaristi: non esistono dati a conferma di un rischio maggiore d’infezione per gli adulti addetti alla
preparazione dei cibi. La vaccinazione non è consigliata. La contaminazione dei cibi da parte degli
operatori attraverso le mani infettanti è facilmente
evitabile, osservando la più comuni e basilari norme
igieniche.
• Personale di assistenza all’infanzia: non esistono
studi che dimostrino che complessivamente esiste
un rischio aumentato da parte del personale che lavora negli asili nido. La vaccinazione non viene
consigliata, anche perché con le normali norme igieniche l’eventuale rischio viene annullato.
• Persone istituzionalizzate: esistono studi che riporta-
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no un rischio maggiore di epatite A nei soggetti istituzionalizzati, soprattutto per handicap mentale. L’età
dei residenti e la lunghezza del soggiorno nell’istituzione sono in rapporto con il rischio di acquisire l’infezione, come è stato dimostrato dalla prevalenza degli anticorpi specifici. L’indicazione alla vaccinazione
deve essere data a livello locale sulla base della valutazione della capacità della struttura di mantenere
adeguati standard di norme igieniche. Il personale
dello staff può facilmente difendersi dalla esposizione
all’HAV seguendo le correnti norme igieniche.
Emofilici: epidemie di epatite A vennero descritte nel
passato fra i soggetti emofilici trattati con concentrati
di fattore VIII o IX, ma negli ultimi anni non è stato
registrato più alcun caso di epatite A fra gli emofilici, sia grazie ai metodi di inattivazione dell’HAV sia
per l’uso di prodotti ottenuti grazie alla DNA ricombinazione. La vaccinazione non viene attualmente
consigliata, a meno che non sia possibile garantire
l’esclusiva applicazione di preparazioni sicure.
Politrasfusi: gli studi non documentano un eccessivo rischio di epatite A associato alle trasfusioni. La
vaccinazione pertanto non è consigliata.
Tossicodipendenti attivi: sono stati rilevati focolai
epidemici e positività negli studi di prevalenza fra
soggetti che fanno uso di sostanze stupefacenti; la
vaccinazione viene pertanto raccomandata in coloro
che fanno uso di droghe per via endovenosa; meglio
se in associazione con la vaccinazione contro l’epatite B. Viene consigliata in questi soggetti una semplificazione della schedula di somministrazione
(Villano SA et al., 1997; Iwarson S, 2002).
Omosessuali: nel nostro Paese studi di prevalenza
non hanno dimostrato significative differenze nella
prevanza degli anticorpi anti-HAV fra gli omosessuali e il gruppo controllo. La vaccinazione non è
quindi consigliata. Negli Stati Uniti invece il CDC
ha raccomandato di vaccinare contro l’epatite A e B
gli uomini che hanno rapporti sessuali con uomini
(Kahn J, 2002).
Detenuti: nelle carceri esistono numerosi co-fattori di
rischio. La vaccinazione è consigliata. In una recente
pubblicazione del CDC viene ribadito questo concetto anche per le case di correzione (CDC, 2003).
Soggetti con epatopatia cronica: la vaccinazione
viene raccomandata nei pazienti con epatopatia cronica (comprese le malattie del metabolismo), soprattutto quelli con indicazione per il trapianto di fegato, previo screening sierologico (Almasio PL e
Amoroso P, 2003). Nei pazienti con malattie croniche del fegato, i vaccini contro l’HAV sono leggermente meno immunogenici che nei controlli: tuttavia la risposta immune può considerarsi come adeguata e sufficiente. La stessa insufficienza epatica,
d’altra parte, riduce la risposta anticorpale al vaccino (Dumot JA et al., 1999): per tale ragione viene
consigliato di anticipare la vaccinazione quando si
prevede un’evoluzione sfavorevole dell’epatopatia.
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La risposta al vaccino è buona (Majda-Stanislawska
E et al., 2004).
Soggetti conviventi con pazienti con epatite acuta
da HAV: non vi erano, fino a qualche anno fa, sufficienti dati per consigliare la vaccinazione. Tuttavia
di recente lo stesso dottor Mele (Sagliocca L et al.,
1999; Stroffolini T et al., 2001) ha dimostrato che il
vaccino, somministrato a conviventi di soggetti che
una settimana prima erano stati ricoverati in ospedale per epatite A, era in grado di prevenire la malattia in un’elevata percentuale di casi (83%).
In corso di epidemie di epatite A: è ormai accertato
che il vaccino anti-HAV è utile per arrestare le epidemie (McMahon BJ et al., 1996). In occasioni del
genere è utile identificare i gruppi a maggior rischio
(Hutin YJ et al., 1999). Il vaccino è utile anche in
piccole epidemie in comunità chiuse, dove il rischio
di trasmissione da persona a persona è alto: il vaccino è raccomandato per i membri della famiglia, per
il personale della scuola dopo un singolo caso d’infezione. Come abbiamo detto, il vaccino è utile anche nella prevenzione postesposizione (Sagliocca L
et al., 1999).
Campi profughi e comunità di immigrati: può tornare utile, in alcune circostanze, la vaccinazione contro l’HAV dei bambini da 1 a 15 anni (Kaic B et
al., 2001; Hoebe C e Vrijman K, 2004).
Bambini extracomunitari, che frequentino comunità
chiuse per l’infanzia e che si rechino nei paesi di
origine, ad alta endemia: il frequente rilievo di piccole epidemie in comunità chiuse infantili, al ritorno
di un componente extracomunitario che si è recato
presso il suo paese di origine ad alta endemia per
epatite A, consiglia di suggerire ai genitori di vaccinare il bambino prima di recarsi nel proprio paese
(Postma MJ et al., 2004). Diversi comuni italiani
hanno adottato provvedimenti del genere.
Nonostante queste considerazioni, si levano ancora
voci a favore di una vaccinazione universale dei bambini contro l’HAV (Piazza M et al., 1999; Craig AS e
Schaffner W, 2004). Anche se l’epidemiologia dell’epatite A suggerisce fortemente che l’immunizzazione
dei bambini potrebbe concorrere in modo decisivo all’eradicazione della malattia (Koff RS, 1999), almeno
per ora la vaccinazione dovrebbe essere implementata
solo nei gruppi a rischio sopra ricordati (Brewer MA
et al., 1995).
Controllo delle epidemie in atto
Nel documento di indirizzo sull’uso del vaccino antiHAV in Italia (ISS, 2003) vengono distinti tre diversi
scenari epidemiologici (D’Argenio P et al., 2003) secondo i quali le epidemie di epatite A si possono sviluppare e i provvedimenti da prendere nelle varie circostanze.
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• Comunità chiusa. Comunità chiuse come scuole
materne e asili nido, in cui gran parte dei soggetti è
suscettibile, il contatto fra le persone è frequente e
intimo, le infrastrutture sono di comune utilizzo ed
è quindi alto il rischio di trasmissione da persona a
persona. In queste condizioni viene suggerita la
vaccinazione dei familiari conviventi dei bambini
che frequentano il nido, dei compagni di classe, degli insegnanti e del personale direttamente in contatto, già dopo la segnalazione del primo caso (Bonanni P et al., 2005). Per i ragazzi più grandi a partire dalla scuola media inferiore (con un’età superiore agli 11 anni) in cui l’infezione è più spesso
sintomatica ed è minore la probabilità di contatti a
rischio, la vaccinazione è suggerita quando vi sia
prova di trasmissione secondaria all’interno della
comunità: deve cioè verificarsi almeno un caso secondario dopo 15 giorni dall’inizio dei sintomi nel
caso indice.
• Comunità aperta di piccole dimensioni. Per quanto
riguarda le comunità aperte, bisogna distinguere comunità di ridotte dimensioni (al di sotto dei 5000
abitanti), in cui è possibile raggiungere in breve
tempo elevate coperture vaccinali dei suscettibili o
potenzialmente tali (intorno all’80%), da comunità
di grandi dimensioni, in cui questo obiettivo non è
realistico. Viene suggerita la vaccinazione a coorti
di età che siano maggiormente suscettibili, soprattutto a bambini e adolescenti. Si è osservato che
questo intervento si dimostra efficace solo se si
raggiungono coperture superiori all’80% della popolazione.
• Comunità aperte di grandi dimensioni. È questo il
caso di grandi comunità nelle quali si verificano periodiche riaccensioni epidemiche a distanza di anni,
mentre nel periodo interepidemico continuano a verificarsi casi come avviene in Puglia. In questi casi
l’offerta attiva della vaccinazione a coorti di suscettibili non è praticabile per la difficoltà di raggiungere coperture elevate in tempi brevi. La strategia alternativa è la vaccinazione dei conviventi dei casi
acuti, combinata alle misure di controllo non immunitarie.
Come è facilmente comprensibile, questi suggerimenti si riferiscono agli interventi in corso di epidemia e non riguardano le strategie per la prevenzione
delle epidemie di epatite A in aree endemico-epidemiche, di cui verrà trattato a pag. 334.
Le insufficienze del vaccino
Come per ogni altro vaccino anche per quello contro
l’epatite A vengono descritti casi nei quali la vaccinazione ha rappresentato un insuccesso.
Classico il caso di un viaggiatore australiano (Elliott JH et al., 2002) vaccinato con 1 mL (50 U) del
vaccino anti-epatite A Vaqta in data 17 marzo 2001.
Insieme al vaccino contro l’epatite A ha eseguito altri vaccini (tifo, febbre gialla), nonché la profilassi
antimalarica con doxiciclina e clorochina. Il soggetto
è partito a giugno e ha trascorso un mese in ciascuno
dei seguenti paesi: Messico, Guatemala, Honduras,
Perù, Bolivia ed Ecuador. Durante il viaggio è sempre stato bene ed è tornato in Australia il 29 ottobre
del 2001. Otto giorni dopo ha accusato spossatezza,
febbre e ha sviluppato ittero con innalzamento dell’alanina-aminotransferasi (5830 U/L) ed elevazione
della bilirubina (138 µmol/L, corrispondenti a 8
mg/dL). I titoli anticorpali IgM antiepatite A furono
4,42 e 4,69 in due campioni diversi (cut off per la
positività 1,2). La sierologia per EBV, CMV, leptospirosi, epatite B e C non ha messo in evidenza alcun segno di infezione recente. La sierologia per
epatite E è risultata segativa.
Le prove si sono negativizzate nel giro di tre settimane e il paziente è guarito completamente.
Gli Autori sono dell’opinione che si tratti di epatite
A e del fallimento della vaccinazione. Non è da pensare alla possibilità di un sottodosaggio del vaccino,
perché l’incidente meccanico che portò a questo grave
inconveniente è stato limitato all’Europa.
Altri due casi di insufficienza del vaccino contro
l’epatite A sono stati successivamente riportati da autori italiani (Taliani G et al., 2003). Il primo riguarda
un uomo di 32 anni che era stato vaccinato nel 1999
con Twinrix; dal novembre 2001 al gennaio 2002 aveva soggiornato a Calcutta (India). Una settimana dopo
il suo ritorno in Italia presentava ittero e sulla base
degli accertamenti veniva posta diagnosi di epatite A
(alanino-aminotransferasi 2954 U/L e bilirubina totale
136,63 µmol/L, anticorpi IgM positivi per l’epatite
A). Il paziente è guarito e gli esami sono tornati normali entro tre settimane. Nel maggio 2001 il paziente
era stato ricoverato nello stesso ospedale per tubercolosi polmonare: gli anticorpi anti-HAV e HBV risultarono assenti, dimostrando la completa insufficienza
del vaccino.
Il secondo paziente è un uomo di 35 anni, che nel
febbraio del 2001 era stato vaccinato con Epaxal, un
vaccino liposomiale contro l’epatite A. Dal 22 marzo
2002 al 13 aprile 2002 egli aveva compiuto un viaggio in Eritrea. Un mese dopo il suo ritorno presentava
febbre, vomito e ittero (ALT 2235 U/L e bilirubina
63,10 µmol/L, corrispondenti a 4 mg/dL), e anticorpi
IgM positivi per l’epatite A. È guarito nell’arco di
quattro settimane.
Il fallimento della vaccinazione contro l’epatite A
è un evento molto raro. Abbiamo già visto che sia
con Vaqta che con Havrix si ha una sieroconversione
nel 97-100% dei casi; tuttavia qualche altro fallimento è già stato descritto. In Inghilterra e nel Galles sono stati descritti tre fallimenti, ma non si conosce
nulla sull’incidenza dei fallimenti sul totale delle
vaccinazioni.
Probabilmente se i viaggiatori che si recano in aree
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ad alto rischio ricevessero la dose di richiamo a distanza di sei mesi dalla prima, assisteremmo a una riduzione ulteriore delle insufficienze vaccinali.
L’esposizione di questi casi indica che per l’epatite
A la vaccinazione non deve essere intesa come sinonimo di assoluta protezione. Probabilmente l’essere vaccinati, come avviene per la profilassi farmacologica
della malaria, conferisce al soggetto una sicurezza che
gli fa trascurare le più comuni norme igieniche, così
importanti per una malattia come l’epatite A che si
diffonde per via oro-fecale.
Considerazioni di farmaco-economia
L’epidemia di epatite A, verificatasi in Puglia negli
anni 1996-1997 (5889 casi), ha permesso di eseguire
una valutazione precisa del costo della malattia per il
SSN e per la società: oltre a un costo complessivo di
12.395.000 euro per il SSN (2065,8 euro per paziente,
rappresentati essenzialmente dall’alta incidenza di ricoveri in ospedale) sono stati calcolati 19.109.000 euro di costo sociale (oltre 3253,7 euro per ciascun paziente), comprendenti le spese sostenute direttamente
dal paziente, quelle del SSN e i costi rappresentati dal
tempo impiegato per l’assistenza e quindi dal lavoro
perduto da parte degli accompagnatori (Lucioni C et
al., 1998).
Da un preciso calcolo costi-benefici è risultato che,
se il costo di due dosi di vaccino venisse ridotto a
meno di 56 dollari (circa 51 euro), la strategia della
vaccinazione universale potrebbe essere la preferita
(Das A, 1999). Oggi nel nostro Paese il prezzo di due
dosi di vaccino per i bambini è, in farmacia, 74 euro
e per gli adulti 100 euro.
Mentre per la vaccinazione universale, al di fuori di
condizioni epidemiche, il rapporto costo-benefici non
è favorevole per la vaccinazione, in condizioni epidemiche la vaccinazione universale sembra raccomandabile (Demicheli V et al., 2003; Péchevis M et al.,
2003).
Risulta infatti che il rapporto costo-efficacia possa
variare da una regione all’altra dello stesso paese a
seconda dell’epidemiologia locale o regionale dell’epatite A (Jacobs RJ et al., 2003).
È probabile che la disponibilità di vaccini combinati
e una netta diminuzione del costo potranno far riconsiderare tutto il problema della vaccinazione universale. Un ricercatore spagnolo ha pubblicato una precisa
formula statistica per la valutazione dei programmi di
vaccinazione contro l’HAV (Rubio PP, 1997). Da un
punto di vista economico per esempio la vaccinazione
contro l’HAV non è risultata conveniente per chi lavora nei ristoranti (Jacobs RJ et al., 2000; Meltzer MI
et al., 2001).
Secondo l’analisi costi-benefici l’immunizzazione
attiva è più economica di quella passiva, almeno per
le forze armate israeliane (Gillis D et al., 2000).
Vaccini combinati e vaccinazioni
associate
I vaccini inattivati contro l’HAV possono essere somministrati mescolati con il vaccino contro l’HBV prima dell’inoculazione, senza perdere di efficacia (Flehmig B et al., 1990). D’altra parte, come ricordato in
precedenza, è in commercio in Italia da qualche anno
un vaccino combinato epatite A ed epatite B (Twinrix). Non ci sono effetti sia sull’immunogenicità che
sulla reattogenicità del vaccino contro l’HAV, quando
somministrato simultaneamente con quello contro la
febbre gialla o contro il tifo (Bienzle U et al., 1996;
Van Hoecke C et al., 1998; Bovier PA et al., 1999;
Bock HL et al., 2000; Murdoch DL et al., 2003).
Ugualmente non è stato riscontrato un aumento degli effetti collaterali o una diminuzione dell’immunogenicità quando il vaccino contro l’epatite A sia stato
usato nella stessa seduta con altri vaccini (ACIP,
2003).
È stato preparato anche un vaccino combinato fra
vaccino contro l’epatite A e vaccino contro il tifo (polisaccaride della capsula), il vaccino, chiamato Vivaxim, viene preparato dalla azienda Sanofi Pasteur in
una confezione a due camere separate (Beran J et al.,
2003): la schedula è composta di due somministrazioni a distanza di sei mesi l’una dall’altra. La prova è
stata fatta usando questo vaccino come dose di richiamo, a distanza di sei mesi dalla prima vaccinazione,
eseguita solo con vaccino contro l’epatite A. Le risposte anticorpali corrisposero a quelle riscontrate nella
somministrazione separata dei due vaccini. Le reazioni locali, specialmente il dolore, furono più frequenti,
ma erano quasi sempre lievi e transitorie.
Raccomandazioni pratiche
per la vaccinazione
Per prima cosa è necessario rispondere a questa domanda: perché non eseguire una vaccinazione universale contro l’epatite A?
Una strategia vaccinale che si ponga l’obiettivo dell’eliminazione della malattia, attraverso l’adozione di
un vaccinazione su larga scala (universale o basata su
coorti di nascita o ad età filtro) non appare realizzabile, né raccomandata nel nostro Paese, come in altri
epidemiologicamente simili al nostro, in relazione a
diversi elementi, qui di seguito indicati.
• L’attuale situazione epidemiologica è caratterizzata
da una forte riduzione dei tassi d’incidenza dell’epatite A. Studi sieroepidemiologici hanno confermato che alla diminuzione dei casi notificati ha corrisposto una diminuzione della circolazione del virus
e delle infezioni. I fattori di rischio sono rappresen-
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tati prevalentemente dall’ingestione di molluschi bivalvi, dall’esperienza di viaggio in aree a elevata
endemicità e dal contatto con pazienti itterici.
L’impiego di massa del vaccino è, in ogni caso, limitato dal costo elevato.
L’organizzazione della campagna vaccinale di massa sottoporrebbe i servizi vaccinali a un ulteriore carico di lavoro, non sopportabile senza risorse organizzative.
La confezione del vaccino attualmente disponibile
in commercio, pur in presenza di un’adattabilità della schedula vaccinale a uno schema compatibile con
i tempi di somministrazione di vaccini attualmente
obbligatori, comporterebbe l’aggiunta di un’ulteriore
somministrazione parenterale con rilevanti problemi
di accettazione da parte dell’utenza.
I sottogruppi di popolazione a livello socio-economico più basso, nei quali maggiore è il rischio di
contrarre l’infezione, sono quelli più difficilmente
raggiungibili dai servizi sanitari, per cui è ipotizzabile che un approccio vaccinale di massa lascerebbe
comunque non coperti tali gruppi, con conseguente
perdita di efficacia dell’intervento preventivo.
La situazione epidemiologica sopra richiamata documenta l’efficacia di interventi di prevenzione
primaria, ambientali, alimentari e comportamentali.
Tali interventi sono altamente efficienti e non specifici; infatti, a parità di risorse impiegate, consentono di prevenire non solo le infezioni da HAV,
ma anche quelle da altre malattie a trasmissione
oro-fecale.
Nelle aree del paese nelle quali i fattori di rischio
ambientali e comportamentali si sono attenuati, ma
persistono tanto da sostenere riaccensioni iperendemiche in età adolescenziale, l’introduzione di una
vaccinazione di tutti i nuovi nati comporterebbe
l’effetto di uno spostamento dell’incidenza verso
l’età più adulta e quindi una maggiore proporzione
dei casi clinicamente severi. Ciò sarebbe evitabile
solo con uno sforzo organizzativo ed economico in
grado di garantire una drastica riduzione del livello
di suscettibilità della popolazione, vaccinando in
tempi brevi un’ampia popolazione bersaglio. Tale
sforzo non appare realizzabile e, a una prima analisi, non proporzionato allo scopo.
Non sono disponibili allo stato attuale dati sull’effettiva durata dell’immunità indotta dalla vaccinazione.
Non è ancora unanimemente riconosciuta la capacità del vaccino di ridurre l’attecchimento nel tratto
enterico e conseguentemente l’eliminazione del virus dall’intestino, e quindi non vi è allo stato attuale
evidenza sufficiente per affermare che un programma vaccinale è in grado di interrompere la circolazione.
Appare quindi consigliabile limitare la vaccinazione
nelle aree a media e ad alta endemicità.
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A questo proposito l’ACIP (Advisory Committee on
Immunization Practices) nella riunione del 18 febbraio
1999 ha suggerito di distinguere tre situazioni a seconda dell’incidenza dell’epatite A nella popolazione:
• vaccinazione di routine dei bambini all’età di 2 anni
(ma abbiamo visto che il limite di età può essere
abbassato a 1 anno e forse a 6 mesi) nelle regioni,
nelle ASL o nelle comunità nelle quali l’incidenza
media annuale nel decennio 1987-1997 sia stata di
20 casi o più per una popolazione di 100.000 abitanti;
• la vaccinazione routinaria va presa in considerazione quando l’incidenza media anuale sia superiore a
10 casi su 100.000, ma inferiore a 20/100.000 abitanti;
• la vaccinazione routinaria non va attuata quando
l’incidenza media annuale sia al di sotto dei 10 casi/100.000.
Poiché in Italia il tasso d’incidenza medio negli anni 1993-2002 è stato di 5,7/100.000, secondo quanto
riportato dal SEIEVA (vedi tab. 14.3), presa per buona la raccomandazione dell’ACIP, la vaccinazione
contro l’epatite A non è raccomandabile come intervento routinario per il nostro Paese.
La vaccinazione routinaria trova invece una sua corretta applicazione nelle regioni, come la Puglia, nelle
quali l’epatite A abbia avuto negli ultimi anni un’elevata incidenza, nettamente superiore all’atteso. Nelle
aree nelle quali si sia verificata una fiammata epidemica, la vaccinazione routinaria deve riguardare i
bambini a partire dal primo anno di vita (o dai 6 mesi) con un recupero di tutti quelli di età inferiore ai 6
anni. In altre aree nelle quali la vaccinazione sia raccomandata, fra le possibili strategie va presa in considerazionbe la vaccinazione di una o più coorti di età
di bambini e adolescenti (per esempio all’entrata alla
scuola materna, alla scuola elementare o alle medie) o
la vaccinazione di bambini e adolescenti appartenenti
a specifiche categorie.
Ovviamente le persone ad aumentato rischio per le
infezioni da HAV debbono continuare a essere routinariamente vaccinate (vedi pag. 330).
La WHO ha emanato nel 2000 delle raccomandazioni (WHO, 2000):
• nei paesi ad alta endemia quasi tutti i soggetti sono
infettati in modo asintomatico con HAV nell’infanzia: ciò previene l’epatite A clinica negli adolescenti e negli adulti. In questi paesi i programmi di vaccinazione su larga scala non sono raccomandati;
• nei paesi a endemicità intermedia, dove una larga
proporzione di popolazione adulta rimane suscettibile all’HAV e dove l’epatite rappresenta un fardello
significativo per la sanità pubblica, la vaccinazione
su larga scala nei bambini può essere considerata
come un supplemento all’educazione sanitaria e ai
miglioramenti nell’assistenza;
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• nelle regioni a bassa endemicità, la vaccinazione
contro l’epatite A è indicata per i soggetti a rischio
aumentato di contrarre l’infezione, come i viaggiatori verso aree a endemicità intermedia o elevata.
IL FUTURO
Le ricerche dei prossimi anni dovranno essere rivolte
soprattutto a chiarire alcuni punti:
•
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•
•
la durata dell’immunità;
la necessità futura di dosi di richiamo;
l’età minima per l’esecuzione della vaccinazione;
la possibilità che i vaccinati presentino infezioni
subcliniche e quindi possano eliminare virus con le
feci;
• la possibilità di poter disporre di vaccini di basso
costo (eventuali vaccini DNA ricombinanti o vacci-
ni costituti da virus vivi attenuati avrebbero un
prezzo inferiore).
Vaccini ottenuti con la tecnica del DNA ricombinante
sono attualmente allo studio da parte di molti gruppi
di ricerca.
Tuttavia da diversi anni in letteratura non sono
comparse pubblicazioni riguardanti questo tipo di preparazione del vaccino.
La combinazione del vaccino contro l’HAV in un
vaccino combinato, che contenga i vaccini contro difterite, tetano e pertosse acellulare (DTPa), insieme al
vaccino contro l’HBV, contro l’Haemophilus influenzae tipo b (Hib) e contro la polio (vaccino inattivato,
tipo Salk), dovrà richiedere una nuova valutazione
dell’attuale giudizio negativo per una vaccinazione
universale.
Anche la disponibilità nel futuro di un vaccino vivo attenuato per bocca riaprirà le possibilità di valutazione.
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