Piazza Nieri e Paolini (Piazza Grande)

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Piazza Nieri e Paolini (Piazza Grande)
Piazza Nieri e Paolini
(Piazza Grande)
La piazza, dedicata a Pietro Nieri ed Enrico Paolini, è occupata oggi dall’edificio del Comune e da un
parcheggio e ha perduto definitivamente le sue caratteristiche storiche.
E’ la piazza storica più significativa, vero centro della vita pubblica. Nel 1921 vi si consumò il
delitto di due giovani antifascisti: il calafato Pietro Nieri e il marinaio Enrico Paolini, a cui la piazza
(prima intitolata a Vittorio Emanuele II) fu dedicata dopo la guerra.
Era fiancheggiata a sud dal “Regio Casino”, sede del Municipio e del teatro “Pacini”, demoliti
avendo riportato gravi lesioni per i bombardamenti subiti nel corso della guerra e poi sostituiti con
anonime costruzioni. Dalla fine degli anni Sessanta fu, purtroppo, occupata dal nuovo edificio del
Comune e la successiva destinazione a parcheggio dell’area restante ha definitivamente cambiato
Topografia della Viareggio antifascista e resistente
le caratteristiche del luogo.
Piazza Grande - A Viareggio sul treno dei ricordi, Pezzini 1992
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La storia della Resistenza ricorda come in questa piazza, dopo il 25 luglio 1943, quando gli
italiani appresero dell’esito della combattuta seduta del Gran Consiglio e dell’ordine di arresto
emesso da Vittorio Emanuele III nei confronti del Duce, i giovani antifascisti viareggini che
segretamente si erano organizzati facendo riferimento soprattutto alla struttura clandestina del
Partito Comunista, decisero di passare subito ad azioni palesi.
Il 26 luglio 1943, preceduto da un volantinaggio rivolto anche ai militari presenti in città, fu
organizzato in piazza Grande il primo libero comizio dopo vent’anni di silenzio imposto dal
regime fascista. Il gesto, pensato per smuovere le acque nella città ancora incredula della caduta di
Benito Mussolini, vide Leonardo Di Giorgio emozionato oratore con intorno un centinaio di
persone. Ma il comizio fu bruscamente interrotto dall’arrivo di militari armati e si concluse con
l’arresto del Di Giorgio e di altri giovani antifascisti che furono tradotti nel carcere mandamentale,
la Torre Matilde.
La fine del fascismo salutata a Viareggio
Topografia della Viareggio antifascista e resistente
“Il 26 luglio 1943 ci portammo in piazza Grande per una manifestazione antifascista: eravamo
almeno un centinaio, fra cui Di Giorgio, Raggiunti, i fratelli Angelo e Aurelio Gianni, Luciano
Canova, Tristano Zekanowski, Silvestro Maffei, detto “Precisino”, Solideo Matraia. A un certo
punto, mentre il compagno Di Giorgio leggeva un foglio dove sottolineava la nuova situazione ed
esaltava la coraggiosa lotta della classe operaia che l’aveva determinata, intervennero i militari e i
carabinieri. Furono operati numerosi arresti: Raggiunti, Di Giorgio, i fratelli Gianni, Solideo
Matraia, Luciano Canova, Zekanowski ed altri ancora vennero associati al carcere della Torre con
l’imputazione di “istigazione alla rivolta”.
Testimonianza di Vivarello Vettori in F. Bergamini G. Bimbi, Antifascismo e Resistenza in Versilia, a
cura dell’ANPI Versilia e con il patrocinio dell’Istituto Storico Provinciale Lucchese della
Resistenza, Viareggio 1983, p. 46
Così Mario Tobino rievoca Piazza Grande nel suo romanzo dedicato alla resistenza
C’è una piazza a Medusa [Viareggio] che da tutti vien chiamata Piazza Grande, anche se
possiede un altro nome. È a forma di un quadrato; antichi platani si ergono lungo i suoi lati.
Le case intorno sono basse, a un solo piano, tinte di quel colore grigio, senza illusioni, che a volte
sembra l’emblema della Toscana. […]
È la piazza più antica del paese e all’inizio del Novecento, quando Medusa era soltanto abitata da
marinai, calafati e pescatori, nelle solenni festività di Natale e Pasqua era densa di capannelli,
formati da uomini che del mare sapevano tutto, l’amavano e lo temevano, marinai esperti e
coraggiosi, ascoltati dai giovani nel più profondo silenzio. […]
I platani di Piazza Grande nella stagione fiorita sono gravidi di foglie splendenti di verde;
d’inverno hanno avambracci e dita contorte verso il cielo e il color pallido, le nude gibbosità,
ricordano membra di poveri.
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Oggi Medusa è una celebre città balneare, e, se anche Piazza grande è rimasta intatta, la città si è
dilatata per ogni raggio, carica di alberghi, ville e palazzine. Le sue pinete, una volta dense di
muscoso mistero, sono tentate e frugate da ogni genere di affari.
Eppure, finita l’estate, gli ultimi forestieri scacciati da un furioso acquazzone, le vecchie usanze,
messe in sordina per la stagione, si ripresentano come se nulla fosse stato, e ci si accorge che Piazza
grande anche se lontana dalla furia estiva è sempre il fuoco degli autentici avvenimenti, che tra
quelle linee di platani scorre la storia di Medusa.
MARIO TOBINO, Il clandestino, Milano, Arnoldo Mondadori editore, 1962, pp. 11-12.
Dalla Commemorazione di Nieri e Paolini
di Stefano Bucciarelli
15 maggio 1994
[…] “Mi piace rileggere con voi le parole con cui il grande interprete dell'anima viareggina,
Mario Tobino, descrisse la loro vicenda: "Poichè a Viareggio, forse per imitazione dei marinai che
affrontano le tempeste, il coraggio è considerato la massima virtù, si venne ai fatti, ci fu un cartello di sfida. I
rossi (soliti a riunirsi in darsena al club dei calafati) mandarono a dire ai fascisti che se avevano coraggio si
trovassero alle sei di sera del 16 maggio in piazza Grande; loro ci sarebbero stati. Dieci da una parte e dieci
dall'altra. Niente armi, si sarebbero misurati con il semplice coraggio fisico, a cazzotti...Si trovano davanti e
un oscuro odio si accende e si fa chiaro, un contrasto secolare. Le due schiere erano diverse in tutto, nei
vestiti, nel parlare, nelle maniere, nelle idee. Le prime parole diventarono immediatamente acri, e già le mani
si alzarono perché la voce sembrava non avere sostanza. Un avvocato fu preso per i capelli; nell'aria volò un
bastone. Di colpo ci fu l'accapigliamento generale. Passarono lunghissimi minuti. / Improvviso il secco
suono delle armi. Chi ha sparato? Due uomini caddero". Qui, da un lato, risalta l'ingenua istintività
della sfida, e dall'altro la differenza quasi antropologica tra fascisti e antifascisti. Una differenza
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che diventa abisso morale nel racconto di un altro narratore molto caro a Viareggio, Leone Sbrana:
"Gli operai dimostreranno che solo con l'imboscata e con le armi, i fascisti, sono forti e spavaldi". Il grande
epos popolare è costruito con immagini entusiasmanti, commoventi, mitiche; ma sono immagini
che traggono dalla storia la loro forza, perché dietro ogni mito c'è la storia.
Ed è questa la storia di una comunità, quella viareggina, che partecipa intensamente ai travagli
nazionali di quel terribile 1921: una rapida, ma acuta crisi economica colpisce la classe operaia in
una fase di ripiegamento; il movimento della sinistra vive il travaglio, nel gennaio, nella vicina
Livorno, della scissione comunista; si scatena la reazione fascista, una violenza, nata dallo
squadrismo agrario e che si propaga per tutto il paese, che rappresenta il vero fatto nuovo di
quegli anni, che punta alla sistematica distruzione delle forze organizzate del movimento operaio e
contadino; una violenza che punta, anche con complicità e favore da parte di forze governative e di
apparati dello stato, a mettere in ginocchio la resistenza democratica; una violenza che certamente
sconcerta, e anche divide, un antifascismo che si interroga su cosa fare per evitare il peggio. Nei
soli primi sei mesi del '21 sono devastate in tutta Italia dai fascisti, secondo dati verosimilmente
approssimati per difetto,: 59 case del popolo, 53 circoli ricreativi operai, 119 Camere del lavoro, 107
cooperative, 83 leghe contadine, 141 sezioni e circoli socialisti e comunisti, 100 circoli di cultura, 28
sindacati di categoria, 17 giornali e tipografie.
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Anche a Viareggio, il 2 maggio, con la tipica logica della "spedizione punitiva", dopo l'uccisione
del fascista pisano Pacino Pacini, squadre provenienti dalle vicine città (elemento ricorrente in
queste operazioni, in cui si evitava di esporre i fascisti locali) si erano dirette nel pomeriggio alla
Camera del Lavoro, in piazza del Vecchio Mercato, devastandola; analoga sorte toccò al "Club dei
Calafati", allora vuoto, le cui suppellettili furono distrutte e da cui fu asportata, come trofeo, la
bandiera della Lega. Si era in campagna elettorale e per tutto quel periodo la sinistra, intimorita e
incerta, fu poco presente. Ma si andò alle elezioni anticipate di maggio come ad una rivincita, ad
una estrema rivincita democratica. I
risultati, a livello nazionale, videro una
tenuta
della
sinistra:
socialisti
e
comunisti flettevano di poco rispetto
alla precedente forza parlamentare del
socialismo,
i
popolari
addirittura
avanzavano, mentre la maggioranza di
governo,
raccolta
da
Giolitti
nel
"Blocco nazionale", si confermò, pur
nella sua debolezza, ed aprì per la
prima volta il parlamento a 35 deputati
fascisti.
La lapide apposta sul Municipio
A
confronto
col
dato
nazionale, il risultato di Viareggio fu
nettamente
più
favorevole
alle
opposizioni: oltre mille voti ai popolari (il partito più forte), oltre mille ai socialisti, che con i 377
comunisti, avanzavano del 10% rispetto allo storico risultato ottenuto dai soli socialisti due anni
prima, 868 voti al blocco.
L'esito delle elezioni lasciava dunque aperta la sfida e incoraggiava le speranze degli antifascisti.
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Un grande corteo festeggiò a Viareggio i risultati. E' in questo clima politico che partì la sfida, che
maturò lo scontro di Piazza Grande. Una sfida, si dirà, ingenua, intrapresa nella errata speranza
che una violenza così elementare potesse avere valore risolutivo, un atto da "sovversivi", non certo
da politici. Ma si trattò di un evento tutt'altro che eccezionale in questo tremendo 1921. Secondo
statistiche del Ministero degli interni si registrarono in Italia, nei quindici giorni che seguirono le
elezioni, 71 morti per eventi di natura politica, di cui 16 fascisti, 31 socialisti, 20 estranei, 4 della
forza pubblica; ma oltre 200 ce ne erano stati dal 1° gennaio al 15 maggio.
Certo è che i fascisti vennero armati allo scontro, che lo scontro degenerò, che gli spari stroncarono
le vite dei due antifascisti […]
Perquisita la sede del fascio, occupata e presidiata dalle truppe la Camera del Lavoro, indetto lo
sciopero generale, intorno a Nieri e Paolini si strinse il popolo viareggino, sfilando ai funerali
dietro la bandiera della Pubblica Assistenza, di cui le due vittime erano soci: la compostezza del
dolore, la speranza che il sacrificio di due vite servisse da monito prevalse sullo spirito di vendetta.
Ma non per questo cesserà l'attacco fascista alla città, che si concretizzerà, nei mesi successivi, ad
esempio, nella chiusura del giornale di Luigi Salvatori, "La Battaglia comunista", e che ridurrà in
pratica alla cessazione sia l'attività sindacale che quella politica e propagandistica dei partiti della
sinistra.”[…]
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