Garantire il servizio universale in mercati

Transcript

Garantire il servizio universale in mercati
GARANTIRE IL SERVIZIO UNIVERSALE IN MERCATI
LIBERALIZZATI: LE ALTERNATIVE A SOCIETÀ VERTICALMENTE
INTEGRATE
di Tiziana Sogari*
Dottore di ricerca in Diritto Pubblico dell’Economia e delle imprese Università
di Pisa - avvocato Collaboratrice della Direzione Legislativo e Legale presso
l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas
Giova preliminarmente osservare che a livello comunitario la
nozione di servizio universale appare per la prima volta nella
Comunicazione della CE del 1996 sui servizi di interesse generale
in cui è definita come “un insieme minimo definito di servizi di
determinata qualità disponibile a tutti gli utenti a prescindere dalla
loro ubicazione geografica e, tenuto conto delle condizioni
nazionali specifiche, ad un prezzo abbordabile”.
Si noti come tale definizione (applicabile a prescindere dai
settori specifici) sancisce alcuni tratti fondamentali del servizio
universale, segnatamente:
(i) il prezzo o tariffa per l’utilizzo del servizio deve essere
accessibile;
(ii) il servizio deve essere disponibili a tutti gli utenti,
ovunque risiedano;
(iii) i parametri di qualità, continuità, sicurezza del servizio
reso devono essere predeterminati;
(iv) il campo di applicazione del servizio universale deve
essere predeterminato e uniforme, e soprattutto suscettibile di
essere riveduto nel tempo per permettere a tutti gli utenti dello
stesso di beneficiare dei progressi indotti dallo sviluppo
tecnologico;
Tale nozione sarà in seguito ripresa nelle successive direttive
di liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni 1 e delle
poste. È infatti nel contesto dell’apertura dei servizi di pubblica
utilità alla libera concorrenza tra più operatori che emerge la
problematica del servizio universale come garanzia da parte dei
pubblici poteri della accessibilità alla fruizione di determinate
prestazioni essenziali per i cittadini utenti.
Nel regime precedente alla liberalizzazione, lo Stato o gli enti
pubblici economici cui lo stesso attribuiva diritti speciali o esclusivi
per la gestione dei servizi pubblici, assicuravano ai cittadini la
fruizione
di
determinate
“prestazioni
amministrative”
(principalmente l’energia elettrica, il gas, il servizio postale, il
servizio telefonico ed i trasporti) attraverso la costituzione di
monopoli pubblici secondo il modello strutturale della integrazione
verticale. In questo modo, i costi che il monopolista pubblico
doveva sostenere per l’erogazione di servizi non remunerativi dal
punto di vista strettamente commerciale venivano compensati
attraverso i sussidi incrociati che l’impresa stessa praticava tra aree
remunerative (ad alta produttività) e aree non remunerative (a
bassa produttività). Era questo il contesto ove le tradizionali
elaborazioni della dottrina pubblicistica italiana sui servizi pubblici
2
, di matrice francese, portarono ad affermare due diverse
concezioni della stessa nozione di servizio pubblico: la ben nota
* Le opinioni espresse, impegnano esclusivamente l’autore ed in alcun modo gli
enti con i quali collabora.
1 Si veda la direttiva 97/33/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 30 giugno 1997, di seguito abrogata dall’art. 26 della direttiva 02/21/CE del
7 marzo 2002 (c.d. direttiva quadro) e sostituita dalla direttiva 02/22/CE (cd.
direttiva servizio universale).
2 Si veda soprattutto A. DE VALLES, I servizi pubblici, in Trattato Orlando,
vol. VI, Milano, 1923; G. MIELE, Pubblica funzione e servizio pubblico, ora in Scritti
giuridici, Milano, 1987, p. 135 ss.; D. SORACE, Pubblico e privato nella gestione dei
servizi pubblici locali mediante società per azioni, in Riv. it. dir. Pubbl. comun., 1997, p. 51
ss.; per una discussione più ampia si veda N. RANGONE, I servizi pubblici,
Bologna, Il Mulino, 2000.
28
concezione soggettiva, secondo la quale è servizio pubblico
solamente l’attività erogata da soggetti pubblici (rectius, soggetti
qualificabili come enti pubblici), “un’attività cioè rispetto alla quale un
soggetto pubblico svolge in quanto tale un ruolo determinante” 3; affiancata
dalla cosiddetta nozione oggettiva, di più recente elaborazione,
secondo la quale è servizio pubblico qualsiasi attività, sia o meno
svolta da un soggetto pubblico, che sia tuttavia sottoposta ad un
particolare regime in ragione della rilevanza sociale degli interessi
perseguiti, i quali ultimi, in particolare, sono tutelati subordinando
lo svolgimento dell’attività ad apposite autorizzazioni o atti lato
sensu concessori 4.
Sia la politica comunitaria della concorrenza sia il forte
progresso tecnologico hanno provocato un significativo
cambiamento del sistema precedente ove lo Stato riservava la
gestione della attività economiche d’interesse generale ad un solo
soggetto (il monopolista legale). In particolare con il
riconoscimento nel Trattato (art. 86, comma 2) del principio della
libera concorrenza, la Commissione europea ha intrapreso “la
strada” della liberalizzazione dei servizi di pubblica utilità, nel
rispetto degli obiettivi d’interesse economico generale. Ciò ha
significato il venir meno di qualsiasi giustificazione alla base della
riserva allo Stato dei diritti d’impresa. Conseguentemente, sia
l’esclusione dei privati dalla titolarità dell’attività d’impresa sia il
regime speciale e derogatorio, a cui i servizi pubblici erano
sottoposti, non avevano più ragion d’essere.
Per introdurre il principio della libera concorrenza in tali
servizi di pubblica utilità, la Commissione ha agito su tre piani.
Così testualmente D. SORACE, op. cit, p. 52.
Le concezioni suesposte, sebbene distinte, sono accomunate dal fatto di
costruire la nozione di servizio pubblico su un elemento di natura “sintomatica”,
ossia esterno alla natura dell’attività (la concezione soggettiva individua tale
elemento nella qualifica di ente pubblico che deve avere il soggetto che svolge il
servizio; la concezione oggettiva individua detto elemento nel fatto che
l’esercizio del medesimo servizio sia subordinato ad un atto di natura lato sensu
autorizzatoria/concessoria da parte della pubblica amministrazione).
3
4
29
In primo luogo ha affermato il principio della separazione
tra rete e servizio e, cioè, tra una gestione riservata della rete
(infrastruttura essenziale per l’esercizio del servizio) ed una
liberalizzazione nella fornitura del servizio, attraverso quindi il
principio della separazione contabile. Questa che rappresenta la
prescrizione minima del diritto comunitario in tema di separazione
(a fronte di soluzioni sicuramente più efficaci come la separazione
societaria o strutturale) è considerata comunque una misura idonea
ad assicurare la trasparenza dei costi, necessaria per poter
determinare correttamente le tariffe di accesso e interconnessione
alla risorsa essenziale, nonché degli oneri derivanti dagli obblighi di
servizio universale.
In secondo luogo ha introdotto la regola della separazione
tra servizi di base e servizi a valore aggiunto, al fine di consentire la
liberalizzazione di quelle attività che rispondano ad esigenze
particolari di singole categorie di utenti e non soddisfano esigenze
di universalità della collettività.
Infine, il carattere qualificante del servizio pubblico come
servizio al pubblico consente di differenziare, rispetto al servizio di
base, le attività che non sono offerte sul mercato, come quelle
svolte in regime di autoproduzione o nell’ambito di gruppi chiusi
di utenti. La disciplina comunitaria riconosce, ad esempio, un
regime di autoproduzione nel settore dell’energia.
Successivamente a tali interventi, che hanno scandito la
prima fase di liberalizzazione, si è intervenuti direttamente sul
regime speciale che connotava tutti i servizi di pubblica utilità,
delineando pertanto un nuovo regime dei servizi pubblici che ha
imposto:
la soppressione degli obblighi di servizio pubblico diversi da
quelli necessari a garantire il perseguimento degli obiettivi
d’interesse generale individuati a livello comunitario (il c.d. servizio
universale);
l’interruzione di tutti i sostegni finanziari diversi da quelli
necessari a coprire gli oneri derivanti dal servizio universale;
la garanzia di una piena autonomia (patrimoniale, di bilancio
e contabile) degli operatori rispetto ai pubblici poteri;
30
il rispetto delle procedure ad evidenza pubblica nella scelta
dei contraenti e il loro superamento solo nelle ipotesi in cui le
imprese dei settori dell’energia, dei trasporti e delle TLC operino in
condizioni di concorrenza effettiva e, quanto al settore postale,
svolgano attività a carattere industriale e commerciale.
Ciò posto il nuovo regime dei servizi pubblici (ossia, quanto
al contesto nazionale, la gestione degli stessi non più secondo
l’articolo 43 Cost., bensì secondo l’articolo 41, comma 1 Cost.) ha
posto il problema di come assicurare l’universalità del servizio in
un mercato aperto alla concorrenza tra più operatori 5 e
conseguentemente di come compensare i costi sostenuti per la
fornitura del servizio universale che è un servizio non
remunerativo secondo la logica imprenditoriale 6.
A tale proposito è bene evidenziare che in Italia la
liberalizzazione del mercato dei servizi di pubblica utilità, e
5 Questa tematica è infatti un tipico problema da Stato regolatore (si veda
M. CLARICH, Servizio pubblico e servizio universale, evoluzione normativa e profili
ricostruttivi, in Diritto pubblico, 1998) il quale ha il compito di assicurare che in una
transizione da un mercato monopolistico ad uno regolato dalla concorrenza tra
più operatori siano tutelate le pretese giuridiche dei cittadini, nella veste di
utenti, alla fruizione di determinate prestazioni essenziali (si veda G.
NAPOLITANO, Il servizio universale e i diritti dei cittadini utenti, Mercato, concorrenza e
regole, 2000) secondo standards di qualità e quantità predeterminati ed in modo
che siano osservati i principi della parità di trattamento, della continuità e
dell’adattamento ai bisogni della collettività. Gli operatori privati, infatti, se
perseguissero esclusivamente il proprio interesse imprenditoriale, non sarebbero
propensi a fornire determinati servizi essenziali in certe aree del paese a bassa
remuneratività. Appare evidente come il servizio universale, nei suoi elementi
della doverosità, capillarità sociale e territoriale e nell’abbordabilità dal punto di
vista economico presenti un’antieconomicità oggettiva (si veda M. CLARICH,
op. cit).
6 Con riferimento a questo tema giova peraltro rilevare che la
compensazione dei costi per la fornitura del servizio universale ha fatto nascere
un atteggiamento diffidente (si veda S. FROVA, Telecomunicazioni e servizio
universale, in Mercato, concorrenza e regole, 1999) nei confronti del servizio universale,
soprattutto da parte della scienza economica (e della scienza giuridica sensibile
all’analisi economica del diritto). Secondo questo punto di vista, il servizio
universale rappresenterebbe addirittura un freno, un ostacolo allo sviluppo della
concorrenza nel mercato delle moderne public utilities.
31
segnatamente per quanto qui rileva dell’energia elettrica, non ha
significato il venir meno di quell’insieme minimo di pubblici
servizi, rectius di servizi di interesse economico generale, a favore e
verso la collettività 7 ma invero ha segnato un’evoluzione in senso
innovativo circa il loro contenuto, in particolare con riferimento al
servizio universale, in esito al parallelo processo di sviluppo del
servizio pubblico.
In altre parole il servizio universale sarebbe il germe del
servizio pubblico 8, ovvero si può dire che sarebbe stato presente
in questa figura ma in forma latente per poi manifestarsi in tutta
evidenza nel momento in cui si è deciso di liberalizzare i mercati e i
pubblici poteri regolatori si sono assunti la responsabilità di
assicurare a tutti gli utenti l’accessibilità a determinati servizi
essenziali in un mercato concorrenziale.
Il servizio universale pertanto pur essendo geneticamente e
funzionalmente collegato al servizio pubblico se ne distingue
principalmente per i seguenti profili:
A tale proposito e con particolare riferimento alla responsabilità dei
pubblici poteri per assicurare agli utenti l’accessibilità a determinate prestazioni
essenziali in un contesto liberalizzato è opportuno segnalare una distinzione
riguardo alle differenti funzioni che fanno capo rispettivamente all’organo
politico (Organo Ministeriale) il cui compito è quello di individuare il contenuto
del servizio universale (e procedere al periodico aggiornamento del suo
contenuto in ragione dei bisogni della collettività, dell’evoluzione dei mercati di
riferimento e della tecnologica) e all’autorità amministrativa indipendente cui
spetta vigilare sugli obblighi di servizio universale in capo alla/e impresa/e e
verificare - attraverso meccanismi di contabilità regolatoria - gli oneri
conseguenti alla fornitura dello stesso. La distinzione delle funzioni è di
fondamentale importanza. Politiche e sociali sono infatti le ragioni
dell’individuazione di determinati servizi considerati essenziali e tale compito
non può che essere affidato all’apparato ministeriale (si veda M. CLARICH, op.
cit.). Tecnico-regolatorio è invece il compito delle autorità dei servizi pubblici.
8 Parte della dottrina rileva che la nozione di servizio universale è
racchiusa dentro quella tradizionale di servizio pubblico, ne rappresenterebbe il
Nucleo essenziale (si veda ad esempio S. CASSESE, La retorica del sevizio
universale, in S. FROVA (a cura di), Telecomunicazioni e servizio universale, Milano,
1999).
7
32
(i) l’estensione, che è limitata ad un insieme “minimo” di
attività come diretta conseguenza dei costi per la loro prestazione;
(ii) i vincoli imposti agli operatori, che non sono solo quelli
di garantire un’offerta continuativa e diffusa su tutto il territorio
nazionale, ma anche l’ “affordability” (ossia l’accessibilità del servizio
da un punto di vista economico);
(iii) la diversità di obiettivi: il servizio pubblico si sostanzia in
un obbligo di prestazione (continuativa, non discriminatoria e
adatta ai bisogni), mentre l’universalità è all’origine di un vero e
proprio obbligo di predisposizione del servizio; infine
(iv) il diverso regime giuridico dell’operatore, il quale è
soggetto ad un regime speciale solo per le esigenze di solidarietà
caratterizzanti esclusivamente il servizio universale; quest’ultimo,
difatti, dovendo essere comunque svolto dall’operatore/i in
condizione di equilibrio economico, presuppone un meccanismo
di finanziamento trasparente e formalizzato.
Con riferimento al metodo con cui compensare/finanziare la
prestazione del servizio universale si presentano differenti
soluzioni nel campo dei servizi di pubblica utilità.
La prima (c.d. metodo di compensazione) è quella di
mantenere in capo all’ex monopolista pubblico – sovente l’impresa
dominante – specifici diritti esclusivi in determinati segmenti di
mercato (che rimangono quindi esclusi dal contesto
concorrenziale). Il titolare dei diritti esclusivi, nella fattispecie in
esame, compenserà i costi delle attività non remunerative con la
pratica della c.d. cross-subsidiation “ripianando” le perdite sostenute
con i ricavi provenienti dalle attività remunerative gestite in regime
di riserva.
Il secondo meccanismo – di matrice comunitaria – per
compensare i costi sostenuti per l’erogazione del servizio
universale si basa sul principio del pay or play (l’impresa partecipa
alla fornitura del servizio universale o ne paga i costi sostenuti dalle
altre imprese). Si tratta più specificatamente del metodo di
perequazione (adottato nel settore delle poste e delle TLC), ossia
gli oneri vengono sostenuti dagli operatori attraverso il sistema del
fondo, il quale è alimentato pro quota da tutti coloro che
33
esercitano quel servizio. In merito proprio al fondo per il
finanziamento del servizio universale di telefonia l’AGCM, in un
parere del 24/06/99, ha evidenziato che questo tipo di
finanziamento, oltre a non essere necessario quando si tratta di una
fase iniziale di apertura del mercato, deve essere comunque
“ridimensionato” alla luce dei significativi benefici indiretti
derivanti alle imprese incaricate di fornire il servizio universale.
Inoltre il medesimo parere prosegue affermando che è anzitutto
necessario introdurre una soglia di esenzione per la contribuzione
al fondo, al fine di evitare che quest’ultimo si traduca in una
barriera all’ingresso per i nuovi operatori, e che inoltre gli stessi
operatori incaricati a svolgere il servizio universale siano scelti con
meccanismi competitivi, in modo da incentivare lo sviluppo
efficiente di questa attività.
La terza soluzione è quella di ripartire i costi del servizio
universale direttamente sugli utenti ed in particolare sui
corrispettivi che gli stessi pagano per la fruizione del servizio, a
seconda che gli stessi vivano in aree remunerative (es. grandi città)
o non remunerative (es. la piccola comunità di montagna). Questa
soluzione è ad esempio adottata per coprire i costi del servizio
universale nel settore dell’energia elettrica.
Anche in relazione a quest’ultimo settore, normativa
nazionale e comunitaria annoverano svariati riferimenti testuali al
servizio universale, laddove la nozione finisce per convivere con
l’esigenza di separare l’attività di erogazione del servizio minimo
essenziale
(rectius: universale) rispetto alle altre attività di
svolgimento del normale servizio pubblico.
Quanto alla normativa italiana, invero, il primo riferimento
(in assoluto rispetto a tutti i settori) al servizio universale è
contenuto nella legge istitutiva dell’Autorità per l’energia elettrica e
il gas n. 481/1995, e più precisamente all’articolo 2, comma 12,
lettera f) e comma 19, lettera b) (successivamente il servizio
universale è comparso nella legge n. 249/1997, istitutiva
dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni).
Non a caso, nella prima ipotesi il riferimento al servizio
universale è contenuto nella descrizione dei poteri dell’Autorità di
34
emanare direttive per la separazione contabile e amministrativa,
regime di separazione che deve appunto, tra le altre, evidenziare
“separatamente gli oneri conseguenti alla fornitura del servizio
universale”; nel secondo caso il riferimento concerne invece gli
elementi (tra cui il servizio universale) che l’Autorità deve tenere in
considerazione per la determinazione della tariffa con il metodo
del price cap.
Successivamente, la delega del Parlamento (legge 24 aprile
1998, n. 128) per l’attuazione della direttiva 96/92/CE recante
norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica dispone
che “la liberalizzazione del mercato avvenga nel quadro di regole
che garantiscano lo svolgimento del servizio pubblico [e]
l’universalità (..) del medesimo” (articolo 36, lettera a).
In tale contesto l’Autorità, più precisamente in occasione
delle “Proposte per la liberalizzazione e la riorganizzazione del
settore elettrico”, ha dichiarato che “tra le attività del settore
elettrico che sono parte integrante del servizio universale rientrano
l’allacciamento dei clienti alla rete, l’accesso e l’uso delle reti di
trasmissione e di distribuzione, l’erogazione di energia elettrica ai
clienti vincolati e la fornitura di servizi di rete a tutti gli utenti”; e
quanto al meccanismo di finanziamento del servizio universale
l’Autorità ha chiarito inoltre che “nel riformare l’ordinamento
tariffario, renderà trasparenti gli oneri per le imprese elettriche
conseguenti agli obblighi di servizio universale, al fine di
assicurarne la copertura da parte della totalità dei consumatori, sia
idonei che vincolati” 9.
Sul versante comunitario, segnatamente con l’adozione della
nuova direttiva 2003/54/CE, viene ribadito come principio
generale (in modo più esplicito rispetto alla prima direttiva di
liberalizzazione) la necessità di tutelare i clienti finali al fine di
evitare che l’apertura del mercato possa pregiudicare la fornitura di
energia alle fasce più deboli della popolazione. Si fa riferimento
appunto alla garanzia di servizio universale, oltre agli obblighi di
9 Si veda, tra gli altri, il comunicato stampa del 29 ottobre 1998
pubblicato nel sito dell’Autorità.
35
servizio pubblico e alle ulteriori misure a favore dei clienti
vulnerabili.
In particolare la direttiva 2003/54/CE non si limita a fare un
espresso riferimento al servizio universale ma fornisce altresì una
definizione dello stesso. Più precisamente si dispone (articolo 3,
paragrafo 3) che “Gli Stati membri provvedono affinché tutti i
clienti civili e, se gli Stati membri lo ritengono necessario, le piccole
imprese (vale a dire aventi meno di 50 dipendenti e un fatturato
annuo o un totale di bilancio non superiore a 10 milioni di euro)
usufruiscano nel rispettivo territorio del servizio universale, cioè
del diritto alla fornitura di energia elettrica di una qualità specifica a
prezzi ragionevoli, facilmente e chiaramente comparabili e
trasparenti. Per garantire la fornitura del servizio universale, gli
Stati membri possono designare un fornitore di ultima istanza [..]”.
In conclusione giova rilevare che nonostante vi siano, come
sopra illustrato, molteplici previsioni normative a tutela del servizio
universale nel contesto dei servizi di pubblica utilità e
segnatamente in quello energetico (ciò che rappresenta una
garanzia indubbiamente necessaria ma non sufficiente), è tuttavia
fondamentale che si realizzi un fenomeno di “deconcentrazione”
delle imprese operanti in tale segmento di mercato, nell’ottica di
assicurare una maggiore trasparenza gestionale volta ad evitare
inutili deroghe ai normali canoni del diritto antitrust, immolati
sull’altare di un interesse sociale in realtà non tutelato nel migliore
dei modi a causa delle inevitabili ripercussioni che ingiustificate
distorsioni della concorrenza sono in grado di provocare avverso la
stessa collettività degli utenti. In tale contesto evidente è
l’importanza del ruolo di monitoraggio e vigilanza delle autorità di
regolazione dei servizi di pubblica utilità alle quali sono
riconosciuti dalla legge (articolo 2, comma 2, lettera f) della legge n.
481/1995) i poteri di emanare direttive (ed i relativi poteri di
vigilanza) per la separazione contabile e amministrativa delle
differenti attività svolte dall’operatore che fornisce il servizio
universale al fine di impedire che quest’ultimo, data la sua
posizione di ex monopolista, compia manovre contabili che
possono coprire inefficienze gestionali (a danno degli utenti e del
36
loro diritto alla qualità del servizio) o addirittura trasferire i privilegi
di un finanziamento ingiusto (perché non dovuto in quella misura)
in altri segmenti di mercati aperti alla libera concorrenza.
37