Via da scuola, sei ebreo! Tratto da "C`era una volta la guerra"a cura

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Via da scuola, sei ebreo! Tratto da "C`era una volta la guerra"a cura
Via da scuola, sei ebreo!
Tratto da "C'era una volta la guerra"a cura di Sonia Brunetti e Fabio Levi" – Silvio
Zamorani editore, Torino 2002.
Eravamo d'estate quando è uscita la legge che obbligava gli alunni ebrei a lasciare la
scuola. Io avevo finito la terza elementare, sarei dovuta andare in quarta. Non me
l'hanno fatto capire subito per non darmi dei dispiaceri. Però verso l'autunno mamma
un giorno m'ha detto, col tono di quella che racconta una cosa senza importanza: "Sai,
il prossimo anno non puoi più andare nella tua scuola e andrai in un'altra scuola dove ci
saranno tutti bambini ebrei". Per me è stata una doccia fredda: lasciare la maestra,
lasciare i compagni. Così è stato. L'inizio è stato abbastanza difficile, però ho fatto
amicizia coi nuovi compagni, poco per volta ho poi voluto bene alla maestra. Ad ogni
modo io aspettavo con grandissima ansia il giorno in cui ci sarebbe stata la
premiazione dei bambini alla scuola pubblica dov'ero andata. Perché io in terza avevo
avuto il "premio di secondo grado". Avevo meritato un premio, perché ero brava a
scuola, di secondo grado perché ce n'era una più brava di me. Ma ero contentissima. La
premiazione avveniva a metà dell'anno dopo e io aspettavo il giorno in cui sarei andata
a ritirare il mio premio e a rivedere la mia maestra e i miei compagni. Il giorno prima
di quello della premiazione suonarono alla porta di casa. Driin… chi sarà? Mia mamma
va ad aprire. Era la bidella della scuola Mignon, che portava un pacchetto contenente
un libro, e ha detto - potrei descrivervela, piccola e grassa-: "La signora direttrice
manda questo premio per la bambina Elena O.; non deve venire domani alla premiazione
per non profanare le scuole del Regno d'Italia". E' stato il primo dispiacere folle della
mia vita. Ho pianto, ho urlato e… quel libro oltretutto era anche brutto, un libro di
mitologia greca, fascistissimo. E ho pianto e urlato. Allora la mia mamma ha cercato di
consolarmi dicendomi: "Faremo una bella festa noi in casa, faremo la premiazione". Ha
fatto venire tutte le zie che fingevano di essere le patronesse e tutti i cuginetti
piccoli che erano piccolissimi e non capivano; ognuno ha avuto un piccolo premio, la
mamma s'è messa al piano e così abbiamo fatto una gran bella festa a casa. Ma quello
è stato il più grande dispiacere, il mio primo grande dispiacere.
Prima vennero per gli ebrei
" Prima vennero per gli ebrei
e io non dissi nulla perché
non ero ebreo.
Poi vennero per i comunisti
e io non dissi nulla perché
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non ero comunista.
Poi vennero per i sindacalisti
e io non dissi nulla perché
non ero sindacalista.
Poi vennero a prendere me.
E non era rimasto più nessuno
che potesse dire qualcosa."
Martin Niemoeller
Pastore evangelico
deportato a Dachau Mauthausen
Tratto da "C'era una volta la guerra" a cura di Sonia Brunetti e Fabio Levi –
Silvio Zamorani editore, Torino 2002.
[…]
Notte… la luce delle lampade delle SS…, i cani davanti al treno…, le urla "scendere,
raus, schnell". Il campo è a sei chilometri dalla stazione del paese, in salita. Avevamo
due valigie e un sacco, perciò incominciammo questa camminata, ogni tanto qualcuno
dei più deboli cadeva e allora si sentiva il colpo di pistola, perché in fondo alla fila dei
prigionieri c'erano le SS che ammazzavano quelli che si fermavano. Con un mitra
davano un colpo nella schiena per farti rientrare nella fila. Abbiam fatto una fatica
terribile. Poi, si presenta davanti a noi una fortezza con muraglioni di pietra altissimi,
garitte… si apre un portone e noi entriamo nel campo. Io e mio fratello abbiamo fatto
undici mesi. Io sono stato l'italiano più fortunato perché molti morivano. Sopravvivere
era solo una coincidenza. Nonostante fosse giugno faceva freddo. Mentre eravamo in
fila siamo circondati da fantasmi con la testa rapata, una riga in mezzo alla testa
perché i pochi capelli che crescevano venivano tagliati con una striscia bianca davanti,
in modo che non si potesse scappare. I vestiti erano a righe bianche e azzurre. Alcuni
avevano cucite delle toppe verdi, altri delle toppe rosse, e poi c'era il numero con un
triangolo cucito davanti in modo che nessuno potesse scappare. Erano tutti delinquenti
comuni tedeschi. Anche i capi che regolavano la vita del campo erano tutti delinquenti
comuni tedeschi e austriaci: li chiamavano Kapò. Quel campo inizialmente era stato
creato per gli oppositori tedeschi, per i delinquenti comuni, gli asociali, i testimoni di
Geova, gli zingari, quelli che avevano degli handicap. I nazisti volevano eliminarli dalla
razza ariana.
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Docce
Alla mattina ci portarono via tutto. Nudi ci classificarono, nome e cognome, e poi ci
mandarono sotto…. la doccia: che nel campo di Auschwitz per quelli che non erano
abilitati al lavoro era la camera a gas. Noi invece eravamo condannati ai lavori forzati.
Nelle docce tutti quanti veniamo messi su uno sgabello, depilati con rasoi senza
schiuma, in tutte le parti del corpo, capelli, peli delle braccia, del petto, del pube.
Dalla porta si raggiungeva un'altra camera dove c'erano un mucchio di vestiti. Dovevi
trovare una giacca e un paio di calzoni. Eravamo irriconoscibili.
Verso la Svizzera
tratto da "C'era una volta la guerra" a cura di Sonia Brunetti e Fabio Levi. Silvio
Zamorani editore, Torino 2002.
Sono arrivato in Svizzera di notte, al buio. Scivolando giù dalla discesa sono
rotolato con la valigia cadendo su un prato. In quel momento sono stato abbagliato da
una luce, come fosse quella di un faro dell'automobile, e una voce ha detto: "chi va là,
chi va là". I soldati svizzeri parlavano italiano e mi hanno chiesto: "chi sei?". Ho
spiegato loro che ero scappato dall'Italia. Mentre mi accompagnavano al Comando, in
fondo al paese vedevo le luci, le automobili che circolavano ci fari accesi, e mi pareva
d'impazzire. In Italia da ormai quattro anni, per paura dei bombardamenti, per le
strade non c'era nessuna luce. Chi si ricordava più com'era il mondo quattro anni
prima? Il giorno successivo al mio arrivo in Svizzera ho visto un soldato che mangiava
una banana. Per noi era impensabile perché le banane stavano in Africa e da noi, in
Italia, non arrivava più niente. Non c'era più neppure il pane bianco. Gustarlo
nuovamente mi sembrava impossibile. Forse ero arrivato in paradiso?
Prima di smistarmi gli svizzeri m'interrogarono. Un sergente mi chiese per quale
ragioni fossi fuggito laggiù. Gli risposi che ero ebreo e lui pretese il certificato. Che
follia! In Italia se avessi dimostrato di essere ebreo sarei finito …., in Svizzera invece
bisognava avere un certificato perché se no ti cacciavano.
Aharon Appelfeld
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Storia di una vita - Giuntina
“Sono passati già più di cinquant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale. Il
cuore ha dimenticato molto, soprattutto luoghi, date, nomi di persone, ma malgrado
ciò sento quei giorni con tutto il mio corpo. Ogni volta che piove, fa freddo o soffia un
forte vento, torno nel ghetto, nel campo di concentramento o nel bosco dove ho
trascorso molti giorni. A quanto pare la memoria ha radici profonde nel corpo. A volte
bastano l’odore del fieno che marcisce o il grido di un uccello per trascinarmi lontano e
dentro di me”.
Don Paolo Liggeri
“Vorrei conoscere queste guide”
Intervento di Don Paolo Liggeri, rinchiuso a San Vittore nel maggio 1944 per l’aiuto
fornito a ebrei e a renitenti alla leva
“Vorrei conoscere anche una sola di queste guide per sputarle sul viso almeno;
vorrei sapere se questi luridi figli di Giuda hanno dei bambini… perché neanche i
bambini risparmiano col loro schifoso mercato. Ed è uno spettacolo che farebbe
fremere il più santo dei santi: pazienza portare in carcere le donne, pazienza ancora i
vecchi, ma i bambini, poveri innocenti, alcuni ancora lattanti attaccati al collo della
mamma, altri barcollanti sulle loro gambette malferme che si guardano attorno
spauriti, e ad ogni passo, come per un misterioso presentimento, i loro occhi si
riempiono sempre più di terrore…"
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