Consulta il testo - Il Diritto Amministrativo

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NOTA A CONSIGLIO DI STATO – SEZIONE QUINTA
ORDINANZA di RIMESSIONE all’ADUNANZA PLENARIA – 22 gennaio 2015, n.284
A cura di CLAUDIO GIORDANO
Sui confini della pronuncia del G.A. ex art. 34 – 3’ co. C.p.A.
Massima :“ Ai sensi dell'art. 99 c.p.a., è rimessa all‟Adunanza Plenaria la questione se il giudice
amministrativo – in base ai principi fondanti la giustizia amministrativa ovvero in applicazione
dell‟art. 34, comma 3, del c.p.a. - possa non disporre l‟annullamento della graduatoria di un
concorso, risultata illegittima per un vizio non imputabile ad alcun candidato, e disporre che al
ricorrente spetti un risarcimento del danno (malgrado questi abbia chiesto soltanto l‟annullamento
degli atti risultati illegittimi), quando la pronuncia giurisdizionale – in materia di concorsi per
l‟instaurazione di rapporti di lavoro dipendente - sopraggiunga a distanza di moltissimi anni dalla
approvazione della graduatoria e dalla nomina dei vincitori, e cioè quando questi abbiano
consolidato le scelte di vita e l‟annullamento comporti un impatto devastante sulla vita loro e delle
loro famiglie.”
Premessa:
Con l'ordinanza in commento, il Collegio ritiene di rimettere all’esame dell’Adunanza Plenaria la
questione riguardante la sorte che in sede giurisdizionale debbano avere le risultanze di una
procedura concorsuale caratterizzata da atti risultati illegittimi, quando il suo espletamento risulti
avvenuto da tempo ormai risalente e sia stato seguito dalla assunzione in servizio dei suoi vincitori.
Il Commento:
La fattispecie in esame coinvolge principi di primaria importanza del nostro ordinamento, infatti, da
un lato, nei 15 anni intercorrenti tra l'assunzione in servizio dei vincitori e la sentenza in
commento che rileva i vizi della procedura concorsuale, coloro che hanno partecipato al concorso
ed hanno poi preso servizio (ed ai quali non sono attribuibili vizi del procedimento) hanno fatto le
loro scelte di vita confidando nella legittimità della procedura stessa, dall'altro lato, il decorso del
tempo non può essere considerato di per sé un elemento ostativo all’annullamento dell’atto
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illegittimo e all’affermazione del principio per cui chi ha proposto un ricorso fondato ha titolo alla
pronuncia favorevole.
In particolare, il caso de quo interessa il principio di “vera giustizia” per il quale il giudice
amministrativo non può disporre l'annullamento dell'atto risultato illegittimo, ma, eventualmente,
disporne la sola sostituzione con l'eliminazione del vizio riscontrato, quando l'annullamento non
comporti alcun beneficio per gli interessi pubblici coinvolti, né arrechi giovamento al ricorrente che
ha proposto il ricorso d'annullamento, risultato fondato.
Nel merito il Collegio ritiene che, ove la parte che abbia fondatamente impugnato gli atti del
procedimento concorsuale ne faccia espressa richiesta, la pronuncia del giudice amministrativo,
basandosi su una valutazione di tutte le circostanze, possa disporre unicamente il risarcimento del
danno, senza il previo annullamento degli atti risultati illegittimi: “Infatti, ragioni di equità e
giustizia inducono a ritenere che – sulla base di una complessiva valutazione del caso di specie - il
giudice amministrativo possa in linea di principio modulare la tutela spettante a chi abbia
fondatamente impugnato gli atti di un procedimento concorsuale (ad es., perché è risultato
illegittimamente escluso, ovvero perché sussistono altri vizi, che non siano imputabili ai vincitori
del concorso), decidendo di non annullare la graduatoria finale e di disporre la condanna al
risarcimento del danno. Il danno sociale derivante da un tale annullamento - disposto
„automaticamente‟ - risulta evidente: la perdita dell‟attività lavorativa da parte dei candidati a suo
tempo risultati vincitori comporta il radicale e gravissimo sconvolgimento delle loro vite e delle
loro famiglie. ”
Il Collegio afferma, inoltre, che l'annullamento dell'atto illegittimo rappresenta una corretta forma
di giustizia quando la rimozione dell'atto stesso contribuisce a garantire il bene della vita al soggetto
ricorrente.
Nella materia concorsuale, invece, l'annullamento degli atti risultati illegittimi può comportare la
privazione del bene della vita ad uno dei controinteressati, senza poterlo attribuire al ricorrente.
In queste fattispecie assume valenza decisiva il disposto dell'art. 34, comma 3, c.p.a., il quale
dispone testualmente che “quando, nel corso del giudizio, l‟annullamento del provvedimento
impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l‟illegittimità dell‟atto se
sussiste l‟interesse ai fini risarcitori”.
Riguardo all'applicazione della suddetta norma nella giurisprudenza del Consiglio di Stato si
riscontrano due differenti filoni; l'orientamento maggioritario “ha sin qui prevalentemente
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interpretato tale disposizione nel senso che debba esservi anche un'espressa richiesta
dell‟interessato (così, ad es., Cons. Stato, Sez. V, 14 dicembre 2011n. 6539 e 6 dicembre 2010 n.
8550), incombendo sulla parte medesima l‟onere di allegare compiutamente i presupposti per la
successiva proposizione dell‟azione risarcitoria (così Cons. Stato, Sez. IV, 28 dicembre 2012, n.
6703)”; secondo quello di segno opposto, invece, “al quesito se l‟applicazione della disciplina in
esame presupponga una specifica istanza dell'interessato va data risposta negativa, posto che in tal
senso milita, anzitutto, l'argomento testuale. Infatti, la norma dispone che in presenza dei
presupposti dalla stessa predefiniti il giudice accerta l'illegittimità dell'atto, impiegando una
locuzione vincolante. In secondo luogo, l'accertamento dell'illegittimità dell'atto impugnato è
contenuto nel petitum di annullamento come un presupposto necessario. Siccome il più contiene il
meno, il giudice limita la sua pronuncia ad un contenuto di accertamento in seguito ad una
valutazione dell'interesse a ricorrere, quindi da compiere d'ufficio: in quanto manca l'interesse
all'annullamento ma sussiste l'interesse all'accertamento ai fini risarcitori”.
Nel caso in esame la parte ricorrente non aveva esercitato l'azione risarcitoria, ma il Collegio,
aderendo al secondo orientamento giurisprudenziale sopra illustrato, afferma che il medesimo
comma 3 dell'art. 34 cpa non sembra ostacolare una pronuncia del giudice amministrativo che si
limiti ad accertare l'illegittimità dell'atto impugnato, senza disporne l'annullamento, anche se il
ricorrente non abbia esplicitato una domanda risarcitoria, qualora il giudice ritenga che
dall'annullamento medesimo possa derivare un danno sproporzionato per i controinteressati che non
abbiano determinato l'illegittimità degli atti.
In definitiva, con l'ordinanza in commento, i giudici di Palazzo Spada statuiscono che i principi di
vera giustizia e di effettiva tutela del ricorrente, in ipotesi di tutela di posti di lavoro, possano
trovare piena realizzazione attraverso l'accertamento dell'illegittimità degli atti al fine della
quantificazione del danno patrimoniale risarcibile e decidono di rimettere all'Adunanza Plenaria il
seguente quesito: “se il giudice amministrativo – in base ai principi fondanti la giustizia
amministrativa ovvero in applicazione dell‟art. 34, comma 3, del c.p.a. - possa non disporre
l‟annullamento della graduatoria di un concorso, risultata illegittima per un vizio non imputabile
ad alcun candidato, e disporre che al ricorrente spetti un risarcimento del danno (malgrado questi
abbia chiesto soltanto l‟annullamento degli atti risultati illegittimi), quando la pronuncia
giurisdizionale – in materia di concorsi per l‟instaurazione di rapporti di lavoro dipendente sopraggiunga a distanza di moltissimi anni dalla approvazione della graduatoria e dalla nomina
dei vincitori, e cioè quando questi abbiano consolidato le scelte di vita e l‟annullamento comporti
un impatto devastante sulla vita loro e delle loro famiglie.”
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