Incontro-Fornaciari

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Incontro-Fornaciari
IL CAMALDOLESE REGGIANO ROBERTO FORNACIARI RICORDA SAN ROMUALDO
Conta ormai un millennio di vita l’eremo di Camaldoli fondato secondo la tradizione nel
1012 dal ravennate San Romualdo in una località chiamata Campo di Maldolo, nell’Alto
Casentino (Arezzo).
Ne ha ripercorso le vicende e ha illustrato diffusamente la figura del fondatore, il reggiano
dom Roberto Fornaciari, che dal 1987 fa parte della comunità dei monaci camaldolesi.
Prima di compiere la scelta monastica, dom Roberto è stato impegnato in gioventù nella
parrocchia di Baragalla e come iscritto all’Azione Cattolica ha frequentato il Centro
Giovanni XXIII. Proprio qui, dopo oltre 25 anni, ha fatto nel pomeriggio di martedì 15
gennaio festa di San Mauro abate discepolo di San Benedetto, per la prima volta, con una
certa emozione, chiamato dall’UCIIM per illustrare ad un folto e attento pubblico la storia
millenaria di Camaldoli.
Introducendo l’incontro, il prof. Fabrizio Anceschi, studioso della presenza benedettina a
Reggio, ha analizzato la coeva situazione della Chiesa reggiana agli inizi del sec. XI
durante l’episcopato di Teuzone e l’attuazione della riforma ecclesiastica. Ha poi posto
l’accento sul ruolo avuto dall’eremo anche in tempi recenti: nel luglio del 1943 vi fu redatto
il “Codice di Camaldoli” che sta alla base della nostra Costituzione; inoltre si è distinto
come luogo privilegiato della cultura cattolica, ruolo che anche il reggiano Centro Giovanni
XXIII di via Prevostura 4 intende assolvere.
Dom Fornaciari, che ha conseguito il dottorato in storia della Chiesa, ha innanzitutto
ripercorso le vicende della fondazione dell’eremo da parte di Romualdo alla luce del
diploma datato agosto 1027 di Teodaldo vescovo di Arezzo nonché zio di Matilde di
Canossa, e delle “Costituzioni del Beato Riodolfo”, quarto priore di Camaldoli. Inoltre ha
illustrato le tre parole chiave della regola brevissima: “digiunare, tacere, rimanere nella
cella”, precisando come certe norme, che potrebbero apparire follia o stravaganza, sono in
realtà strumenti per un rigoroso ritorno alla comunità cristiana dei tempi apostolici. San
Romualdo, ha osservato il relatore, fu un “monaco in movimento” in quanto a lui si devono
numerose fondazioni eremitiche e cenobitiche, e si impegnò per riformare la Chiesa; se da
un lato di lui si disse “tacente lingua, predicante vita”, cioè che preferiva l’esempio alla
parola, dall’altro fu un predicatore capace di infiammare l’uditorio, ricercato e ascoltato da
papi, imperatori e feudatari. Nel 1113 papa Pasquale riconosceva la congregazione
camaldolese, in quanto a Camaldoli si erano affiliati altri eremi e cenobi. Altra caratteristica
di Camaldoli – ha sottolineato dom Roberto Fornaciari - sono la dolcezza e la carità con
cui nell’ospizio veniva esercitata l’accoglienza a viandanti e pellegrini.
Giuseppe Adriano Rossi
Nella foto:il folto pubblico nella sala conferenze del Centro Giovanni XXIII
Nella foto: da sinistra, il prof: Fabrizio Anceschi e dom Roberto Fornaciari