Atlante - Alcuni testi
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Atlante - Alcuni testi
La natura DIMENSIONE GEOGRAFICA E POSIZIONE ETICA ! i luoghi naturali come legge esistenziale !- Camillo Sbarbaro, Trucioli, 1914-1918 Ormai somiglio a una vite Ormai somiglio a una vite che vidi un dì con stupore. Cresceva su un muro di casa nascendo da un lastrico. Trapiantata, sarebbe intristita. Così l'anima ha messo radice nella pietra della città e altrove non saprebbe più vivere. E se ancora m'avviene di guardar come a scampo ai monti lontani, in realtà essi non mi parlano più. Mi esalta il fanale atroce a capo del vicolo chiuso. Il cuore resta appeso in ex voto a chiassuoli a crocicchi. Aspetti di cose mi toccano come nessun gesto umano potrebbe. Come la vite mi cibo di aridità. Più della femmina, m'illudono la sete e gli artifizi. Il lampeggiar degli specchi m'appaga. A volte, a disturbare l'inerzia in cui mi compiaccio, affiora, chi sa da che piega di me, un mondo a una sola dimensione e, smarrita per esso, l'infanzia. Al richiamo mi tendo, trepidante mi chino in ascolto… Ah non era che il ricordo di un'esistenza anteriore! Forse mi vado mineralizzando. Già il mio occhio è di vetro, da tanto non piango; e il cuore, un ciottolo pesante. ! Quest’anno le agavi del litorale han messo il fiore: un’alberella di pannocchie bionde, alloggio alle vespe. Sulla vertebra nuda della strada, sui monti calvi e calcinati luglio si accanisce. Scarnito l’osso, il paese s’apre secca fauce sul mare; che ne elude la sete spruzzandolo di schiume amare. ! - C. Sbarbaro, Trucioli, VII, 39 Aspetti per lo più staccati e come sospesi a mezz’aria della mia Liguria: quella che amo: dove l’ossatura è pietra e la terra rossa e poca e l’erba rada e forte; e tutto scabro e asciutto come se ogni superfluità fosse divorata da un ardore interno…. S’affacciano questi ricordi, senza ragione, dolci così che non paiono veri nella mia vita arsa, erba che si ostina nel lastricato della città. ! - C. Sbarbaro, Trucioli, VIII Mi specchio ancora in questo paesaggio; questa aridità mi sostenta. Nell’ulivo incassato nel muro mi riconosco, nello sterpo che vive nella rena ardente. Ma -per dissolvermi- guardare una volta bastava: filo d’erba anch’io, lucertola su sasso. Per gli occhi mi alleggerivo di me. A tutte l’ore adesso il mio individuo persiste. Come troppo cresciuto s’inframmette, ingombrante e caparbio. - Eugenio Montale, Meriggi e ombre, Ossi di seppia, 1925 L’agave sullo scoglio Tramontana Ed ora sono spariti i circoli d’ansia che discorrevano il lago del cuore e quel friggere vasto della materia che discolora e muore. Oggi una volontà di ferro spazza l’aria, divelle gli arbusti, strapazza i palmizi e nel mare compresso scava grandi solchi crestati di bava. Ogni forma si squassa nel subbuglio degli elementi; è in urlo solo, un muglio di scerpate esistenze: tutto schianta l’ora che passa: viaggiano la cupola del cielo non sai se foglie o uccelli – e non son più. E tu che tutta ti scrolli tra i tonfi dei venti disfrenati e stringi a te i bracci gonfi di fiori non ancora nati; come senti nemici gli spiriti che la convulsa terra sorvolano a sciami, mia vita sottile, e come ami oggi le tue radici. ! ! Eugenio Montale, Movimenti, Ossi di seppia Corno inglese ll vento che stasera suona attento ricorda un forte scotere di lame gli strumenti dei fitti alberi e spazza l'orizzonte di rame dove strisce di luce si protendono come aquiloni al cielo che rimbomba (Nuvole in viaggio, chiari reami di lassù! D'alti Eldoradi malchiuse porte!) e il mare che scaglia a scaglia, livido, muta colore lancia a terra una tromba di schiume intorte; il vento che nasce e muore nell'ora che lenta s'annera suonasse te pure stasera scordato strumento, cuore. ! ! ! La voce del mare LE PARVENZE, L’ABISSO, L’ASSOLUTO ! il tema del padre-mare ! - Eugenio Montale, Mediterraneo, Ossi di seppia Antico, sono ubriacato dalla voce ch’esce dalle tue bocche quando si schiudono come verdi campane e si ributtano indietro e si disciolgono. La casa delle mie estati lontane, t’era accanto, lo sai, là nel paese dove il sole cuoce e annuvolano l’aria le zanzare. Come allora oggi in tua presenza impietro, mare, ma non piú degno mi credo del solenne ammonimento del tuo respiro. Tu m’hai detto primo che il piccino fermento del mio cuore non era che un momento del tuo; che mi era in fondo la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso e insieme fisso:e svuotarmi cosí d’ogni lordura come tu fai che sbatti sulle sponde tra sugheri alghe asterie le inutili macerie del tuo abisso. ! ! - Eugenio Montale, Mediterraneo, Ossi di seppia Giunge a volte, repente, un’ora che il tuo cuore disumano ci spaura e dal nostro si divide. Dalla mia la tua musica sconcorda allora, ed è nemico ogni tuo moto. In me ripiego, vuoto di forze, la tua voce pare sorda. M’affisso nel pietrisco che verso te degrada fino alla ripa acclive che ti sovrasta, franosa, gialla, solcata da strosce d’acqua piovana. !Mia vita è questo secco pendio mezzo non fine, strada aperta a sbocchi di rigagnoli, lento franamento. È dessa ancora questa pianta che nasce dalla devastazione e in faccia ha i colpi del mare, ed è sospesa fra erratiche forze di venti. Questo pezzo di suolo non erbato s’è spaccato perché nascesse una margherita. In lei titubo al mare che mi offende, manca ancora il silenzio nella mia vita. Guardo la terra che scintilla, l’aria è tanto serena che s’oscura. E questa che in me cresce è forse la rancura che ogni figliolo, mare, ha per il padre. ! ! - Giorgio Caproni, Come un’allegoria, 1932-35 Spiaggia di sera Così sbiadito a quest’ora lo sguardo del mare, che pare negli occhi (macchie d’indaco appena celesti) del bagnino che tira in secco le barche. Come una randa cade l’ultimo lembo di sole. Di tante risa di donne, un pigro schiumare bianco sull’alghe, e un fresco vento che sala il viso rimane. ! ! ! Le radici del dolore IL VUOTO E IL DESERTO ! una profonda ragione d’esistere ! ! - Camillo Sbarbaro, Pianissimo, 1914 Taci, anima stanca di godere e di soffrire (all’uno e all’altro vai rassegnata). Nessuna voce tua odo se ascolto: non di rimpianto per la miserabile giovinezza, non d’ira o di speranza, e neppure di tedio. Giaci come il corpo, ammutolita, tutta piena d’una rassegnazione disperata. Non ci stupiremmo, non è vero, mia anima, se il cuore si fermasse, sospeso se ci fosse il fiato … Invece camminiamo, camminiamo io e te come sonnambuli. E gli alberi son alberi, le case sono case, le donne che passano son donne, e tutto è quello che è, soltanto quel che è. La vicenda di gioia e di dolore non ci tocca. Perduto ha la voce la sirena del mondo, e il mondo è un grande deserto. Nel deserto io guardo con asciutti occhi me stesso. ! A volte mentre vado solo al sole e gli aspetti del mondo accolgo e il cuore quasi m'opprime l'amorosa ressa, ombra il sole ecco farsi e l'ombra, gelo. Un cieco mi par d'essere che va lungo la sponda d'un immenso fiume. Scorrono sotto l'acque maestose; ma non le vede lui: il poco sole lui si prende beato. E se gli giunge a tratti mormorar d'acque, lo crede ronzìo d'orecchi illusi. Perché a me par vivendo questa mia povera vita, un'altra rasentarne come nel sonno; e che quel sonno sia la mia vita presente. Un vago smarrimento allor mi coglie, uno sgomento pueril. Mi siedo dove sono, sul ciglio della strada, miro il misero mio angusto mondo e carezzo con man che trema l'erba. ! ! - Eugenio Montale, Le occasioni, 1928-39 Il Balcone Pareva facile giuoco mutare in nulla lo spazio che m'era aperto, in un tedio malcerto il certo tuo fuoco. Ora a quel vuoto ho congiunto ogni mio tardo motivo, sull'arduo nulla si spunta l'ansia di attenderti vivo. La vita che dà barlumi è quella che sola tu scorgi. A lei ti sporgi da questa finestra che non s'illumina. ! ! ! ! ! ! ! ! La città PERDERSI PER RITROVARSI ! la poetica dello scarto e della differenza ! - Fabrizio De André, Via del campo, 1967 Via del Campo c'è una graziosa gli occhi grandi color di foglia tutta notte sta sulla soglia vende a tutti la stessa rosa. Via del Campo c'è una bambina con le labbra color rugiada gli occhi grigi come la strada nascon fiori dove cammina. Via del Campo c'è una puttana gli occhi grandi color di foglia se di amarla ti vien la voglia basta prenderla per la mano e ti sembra di andar lontano lei ti guarda con un sorriso non credevi che il paradiso fosse solo lì al primo piano. Via del Campo ci va un illuso a pregarla di maritare a vederla salir le scale fino a quando il balcone ha chiuso. Ama e ridi se amor risponde piangi forte se non ti sente dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior. ! - Camillo Sbarbaro, Pianissimo ! Talor, mentre cammino per le strade della città tumultuosa solo, mi dimentico il mio destino d’essere uomo tra gli altri, e, come smemorato, anzi tratto fuor di me stesso, guardo la gente con aperti estranei occhi. M’occupa allora un puerile, un vago senso di soff erenza e d’ansietà come per mano che mi opprima il cuore. Fronti calve di vecchi, inconsapevoli occhi di bimbi, facce consuete di nati a faticare e a riprodursi, facce volpine stupide beate, facce ambigue di preti, pitturate facce di meretrici, entro il cervello mi s’imprimono dolorosamente. E conosco l’inganno pel qual vivono, il dolore che mise quella piega sul loro labbro, le speranze sempre deluse e l’inutilità della loro vita amara e il lor destino ultimo, il buio. Ché ciascuno di loro porta seco la condanna d’esistere: ma vanno dimentichi di ciò e di tutto, ognuno occupato dall’attimo che passa, distratto dal suo vizio prediletto. Provo un disagio simile a chi veda inseguire farfalle lungo l’orlo d’un precipizio, od una compagnia di strani condannati sorridenti. E se poco ciò dura, io veramente in quell’attimo dentro m’impauro a vedere che gli uomini son tanti. ! ! - Giorgio Caproni, Il passaggio di Enea, 1943-55 Alba Amore mio, nei vapori d’un bar all’alba, amore mio che inverno lungo e che brivido attenderti! Qua dove il marmo nel sangue è gelo, e sa di rifresco anche l’occhio, ora nell’ermo rumore oltre la brina io quale tram odo, che apre e richiude in eterno le deserte sue porte?... Amore, io ho fermo il polso: e se il bicchiere entro il fragore sottile ha un tremitìo tra i denti, è forse di tali ruote un’eco. Ma tu, amore, non dirmi, ora che in vece tua già il sole sgorga, non dirmi che da quelle porte qui, col tuo passo, già attendo la morte. ! ! Il confine LIMITI E MURAGLIE SENZA ALDILA’ ! l’ultimo paesaggio, oltre l’idillio ! - Giorgio Caproni, Il franco cacciatore, 1973-1982 L’ultimo borgo S’erano fermati a un tavolo d’osteria. La strada era stata lunga. I sassi. Le crepe dell’asfalto. I ponti più d’una volta rotti o barcollanti. Avevano le ossa a pezzi. E zitti dalla partenza, cenavano a fronte bassa, ciascuno avvolto nella nube vuota dei suoi pensieri. Che dire. Avevano frugato fratte e sterpeti. Avevano fermato gente – chiesto agli abitanti. Ovunque solo tracce elusive e vaghi indizi – ragguagli reticenti o comunque inattendibili. Ora sapevano che quello era l’ultimo borgo. Un tratto ancora, poi la frontiera e l’altra terra: i luoghi non giurisdizionali. L’ora era tra l’ultima rondine e la príma nottola. Un’ora già umida d’erba e quasi (se ne udiva la frana giù nel vallone) d’acqua diroccata e lontana. ! - Eugenio Montale, Ossi di seppia Meriggiare pallido e assorto presso un rovente muro d'orto, ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi. Nelle crepe dei suolo o su la veccia spiar le file di rosse formiche ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano a sommo di minuscole biche. Osservare tra frondi il palpitare lontano di scaglie di mare mentre si levano tremuli scricchi di cicale dai calvi picchi. E andando nel sole che abbaglia sentire con triste meraviglia com'è tutta la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia. ! ! ! ! I morti ANGELI E DANNATI ! la Storia degli assenti ! ! - Eugenio Montale, Meriggi e ombra, Ossi di seppia I morti Il mare che si frange sull'opposta riva vi leva un nembo che spumeggia finché la piana lo riassorbe. Quivi gettammo un dì su la ferrigna costa, ansante più del pelago la nostra speranza! - e il gorgo sterile verdeggia come ai dì che ci videro fra i vivi. !Or che aquilone spiana il groppo torbido delle salse correnti e le rivolge d'onde trassero, attorno alcuno appende ai rami cedui reti dilunganti sul viale che discende oltre lo sguardo; reti stinte che asciuga il tocco tardo e freddo della luce; e sopra queste denso il cristallo dell'azzurro palpebra e precipita a un arco d'orizzonte flagellato. Più d'alga che trascini il ribollio che a noi si scopre, muove tale sosta la nostra vita: turbina quanto in noi rassegnato a' suoi confini risté un giorno; tra i fili che congiungono un ramo all'altro si dibatte il cuore come la gallinella di mare che s'insacca tra le maglie; e immobili e vaganti ci ritiene una fissità gelida. Così forse anche ai morti è tolto ogni riposo nelle zolle: una forza indi li tragge spietata più del vivere, ed attorno, larve rimorse dai ricordi umani, li volge fino a queste spiagge, fiati senza materia o voce traditi dalla tenebra; ed i mozzi loro voli ci sfiorano pur ora da noi divisi appena e nel crivello del mare si sommergono... ! ! - Eugenio Montale, Le Occasioni Vecchi versi Ricordo la farfalla ch'era entrata dai vetri schiusi nella sera fumida su la costa raccolta, dilavata dal trascorrere iroso delle spume. Muoveva tutta l'aria del crepuscolo a un fioco occiduo palpebrare della traccia che divide acqua e terra; ed il punto atono del faro che baluginava sulla roccia del Tino, cerula, tre volte si dilatò e si spense in un altro oro. Mia madre stava accanto a me seduta presso il tavolo ingombro dalle carte da giuoco alzate a due per volta come attendamenti nani pei soldati dei nipoti sbandati già dal sonno. Si schiodava dall'alto impetuoso un nembo d'aria diaccia, diluviava sul nido di Corniglia rugginoso. Poi fu l'oscurità piena, e dal mare un rombo basso e assiduo come un lungo regolato concerto, ed il gonfiare d'un pallore ondulante oltre la siepe cimata dei pitòsfori. Nel breve vano della mia stanza, ove la lampada tremava dentro una ragnata fucsia, penetrò la farfalla, al paralume giunse e le conterie che l'avvolgevano segnando i muri di riflessi ombrati eguali come fregi si sconvolsero e sullo scialbo corse alle pareti un fascio semovente di fili esili. Era un insetto orribile dal becco aguzzo, gli occhi avvolti come d'una rossastra fotosfera, al dosso il teschio umano; e attorno dava se una mano tentava di ghermirlo un acre sibilo che agghiacciava. Batté più volte sordo sulla tavola, sui vetri ribatté chiusi dal vento, e da sé ritrovò la via dell'aria, si perse nelle tenebre. Dal porto di Vernazza le luci erano a tratti scancellate dal crescere dell'onde invisibili al fondo della notte. Poi tornò la farfalla dentro il nicchio che chiudeva la lampada, discese sui giornali del tavolo, scrollò pazza aliando le carte - e fu per sempre con le cose che chiudono in un giro sicuro come il giorno, e la memoria in sé le cresce, sole vive d'una vita che disparì sotterra: insieme coi volti familiari che oggi sperde non più il sonno ma un'altra noia; accanto ai muri antichi, ai lidi, alla tartana che imbarcava tronchi di pino a riva ad ogni mese, al segno del torrente, che discende ancora al mare e la sua via si scava. ! ! ! La poesia NEL TEMPO DELLA POVERTÀ ! per una mitologia della Ragione ! !- Eugenio Montale, La Bufera e altro, 1940-1954 ! L’anguilla L’anguilla, la sirena dei mari freddi che lascia il Baltico per giungere ai nostri mari, ai nostri estuari, ai fiumi che risale in profondo, sotto la piena avversa, di ramo in ramo e poi di capello in capello, assottigliati, sempre più addentro, sempre più nel cuore del macigno, filtrando tra gorielli di melma finché un giorno una luce scoccata dai castagni ne accende il guizzo in pozze d’acquamorta, nei fossi che declinano dai balzi d’Appennino alla Romagna; l’anguilla, torcia, frusta, freccia d’Amore in terra che solo i nostri botri o i disseccati ruscelli pirenaici riconducono a paradisi di fecondazione, l’anima verde che cerca vita là dove solo morde l’arsura e la desolazione, la scintilla che dice tutto comincia quando tutto pare incarbonirsi, bronco seppellito; l’iride breve, gemella di quella che incastonano i tuoi cigli e fai brillare intatta in mezzo ai figli dell’uomo; immersi nel tuo fango, puoi tu non crederla sorella? ! ! ! - Giorgio Caproni, Il seme del piangere, 1952-58 … perch’io, che nella notte abito solo, anch’io, di notte, strusciando un cerino sul muro, accendo cauto una candela bianca nella mia mente - apro una vela timida nella tenebra, e il pennino strusciando che mi scricchiola, anch’io scrivo e riscrivo in silenzio e a lungo il pianto che mi bagna la mente… ! ! ! ! ! !