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FONDAZIONE ROSSELLI
Istituto di Economia dei Media
L’INDUSTRIA DELLA
COMUNICAZIONE
IN ITALIA
TREDICESIMO RAPPORTO IEM
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale
e delle telecomunicazioni
© 2011, Fondazione Rosselli
Corso Giulio Cesare 4 bis/B 10152 Torino
Tel. +39 011 2079083 Fax +39 011 76 52 613
[email protected] | www.fondazionerosselli.it
ISBN 978-88-97269-03-8
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FONDA ZIONE ROSSELLI
Fondazione Rosselli
Istituto di Economia dei Media
L’INDUSTRIA DELLA
COMUNICAZIONE IN
ITALIA
TREDICESIMO RAPPORTO IEM
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale
e delle telecomunicazioni
A cura di
Flavia Barca
Coordinamento operativo
Andrea Marzulli
Autori
Flavia Barca - Daniela Ciavarelli - Andrea Marzulli -Luca Murrau
Lorenzo Principali - William Ricci - Paola Savini - Roberto Triola
Chiara Valmachino - Bruno Zambardino
La Fondazione Rosselli ringrazia per il sostegno:
ed inoltre:
Se i dati e le informazioni di seguito rappresentati sono stati raccolti in maniera accurata, non si intende comunque offrire
alcuna garanzia formale, esplicita o implicita, che le fonti da cui sono stati raccolti siano veritiere o complete.
Le informazioni sono state espressamente raccolte per l’uso in questo rapporto di ricerca e basate sui dati e le fonti disponibili
al momento della realizzazione dello studio, per il quale ci si riserva il diritto di aggiornamenti e correzioni in qualsiasi
momento.
La Fondazione Rosselli non si assume, quindi, alcuna responsabilità formale su dati e valutazioni espresse e sull’eventuale
uso che di questi possa essere fatto in altre sedi, come ad esempio intraprendere iniziative o valutazioni commerciali basate
sulle informazioni qui raccolte e sulle opinioni qui espresse.
Indice
Introduzione (7)
di Flavia Barca e Andrea Marzulli
Parte prima
Mercati
Televisione
di Andrea Marzulli
1. Introduzione (15) - 2. Ascolti e penetrazione (16) - 3. Il mercato (23) - 4. L’andamento della pubblicità
televisiva: lo scenario europeo (26)
Radio
di Chiara Valmachino
1. Lo scenario (33) - 2. Gli investimenti pubblicitari (39) - 3. Il confronto internazionale (41) - 4. Le
piattaforme di distribuzione e il futuro della radio (42)
Cinema
di Bruno Zambardino
1. Produzione, distribuzione, esercizio (48) - 2. Le risorse del mercato (51) - 3. Una comparazione con i
mercati europei (59)
Home-video
di Andrea Marzulli
1. Il mercato italiano (63) - 2- Il confronto internazionale (66)
Libri
di Daniela Ciavarelli
1. Produzione e lettura (71) - 2. Valore del mercato (74) - 3. Confronti internazionali (76)
Quotidiani e periodici
di Paola Savini
1. Introduzione (80) - 2. La stampa quotidiana e periodica in Italia: analisi dei principali indicatori (82)
– 2.1 Tiratura, diffusione e vendita (82) – 2.2 La lettura (84) – 3. Le aziende editoriali: fonti di ricavo e
redditività (86) – 3.1 Quotidiani (86) 3.2 Periodici (88) – 4. Il confronto internazionale (89)
Directory
di Luca Murrau
1. Il mercato italiano (94) - 2. Il mercato europeo (96)
Musica registrata
di William Ricci
1. Il mercato italiano (99) - 2. Il mercato europeo (103) - 3. Il mercato mondiale (105)
Pubblicità
1. La comunicazione commerciale: lo scenario 2008-2009 (108) - 2. Il media mix italiano (111) - 3. Il
confronto internazionale (115) Telecomunicazioni fisse e banda larga
di Lorenzo Principali
1. Il mercvato dei servizi di rete fissa e la banda larga (120) - 2. Gli operatori, gli investimenti e l’ultra
broadband (126) - 3. Il confronto internazionale (132) - 4. La separazione funzionale della rete (136)
Telecomunicazioni mobili
di Lorenzo Principali
1. Lo scenario del mercato (142) - 2. Gli operatori infrastrutturati e i MVNO (144) - 3. La banda larga
mobile: contenuti, traffico e investimenti (146) - 4. Il confronto internazionale (149)
Informatica
di Roberto Triola
1. Introduzione (153) - 2. Le imprese IT in Italia (155) - 3. Il mercato (157) - 4. Il confronto internazionale
(163)
Videogiochi
di William Ricci
1. Il mercato italiano (167) - 2. Mercato europeo (173) - 3. Abitudini di consumo (174)
Parte seconda
Approfondimenti
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
di Flavia Barca, Andrea Marzulli, Luca Murrau, Lorenzo Principali, Bruno Zambardino
1. Introduzione e Nota Metodologica (178)
1.1. Introduzione (178)
1.2. Nota metodologica (182)
2. Gli aiuti di stato a cultura e telecomunicazioni: orientamenti e iniziative dell’Unione Europea (186)
2.1. I nuovi orientamenti sugli aiuti di Stato (186)
2.2. La deroga prevista per gli aiuti alla cultura e le iniziative di supporto (188) - 2.2.1. La deroga per la
cultura (188) - 2.2.2. Le iniziative di supporto (191)
2.3. L’azione europea per le telecomunicazioni (195) - 2.3.1. Il quadro generale (195) - 2.3.2. Gli aiuti di
stato a sostegno del broadband (197) - 2.3.3. Le aree di aiuto al broadband (199)
3. La spesa pubblica in Italia in telecomunicazioni e cultura nel sistema dei conti pubblici territoriali (201)
3.1. Introduzione (201)
3.2. Il quadro complessivo (202)
3.3. La spesa pubblica nelle telecomunicazioni (205) - 3.3.1. Spesa complessiva sul territorio italiano
(205) - 3.3.2. Spesa per regione (207)
3.4. La spesa pubblica in cultura (209) - 3.4.1. Spesa complessiva sul territorio italiano (209) - 3.4.2.
Spesa suddivisa per regione (214)
4. L’intervento pubblico in Italia nei settori dell’industria della comunicazione (217)
4.1. Radio e tv (217) - 4.1.1. Introduzione (217) - 4.1.2. Sostegno alla tv pubblica nazionale (217) - 4.1.3.
Le convenzioni Rai con la PA (222) - 4.1.4. I contributi del Ministero dello Sviluppo Economico –
Dipartimento delle Comunicazioni (228) - 4.1.5. I contributi della Presidenza del Consiglio dei Ministri
– Dipartimento Editoria ed Informazione (233) - 4.1.6. Rimborsi per messaggi autogestiti a titolo
gratuito in campagna elettorale (236) - 4.1.7. Contributi per il digitale terrestre (239)
4.2. Editoria (247)
4.3. Cinema e spettacolo dal vivo (251) - 4.3.1. Introduzione (251) - 4.3.2. Evoluzione degli
stanziamenti Fus e macrotendenze (258) - 4.3.3. I settori più rilevanti: cinema, fondazioni liricosinfoniche, attività musicali, prosa (262) - 4.3.4. Investimenti pubblici a favore della fiction nazionale e
i fondi regionali per l’audiovisivo (271) - 4.3.5. I fondi extra-FUS (273) - 4.3.6. Le risorse Arcus per la
cultura e lo spettacolo (275) - 4.3.7. Le risorse del lotto per lo spettacolo (283) - 4.3.8. La ridistribuzione
della spesa pubblica nazionale a livello regionale (285)
4.4. Forme di incentivi pubblici alle infrastrutture di telecomunicazione (290) - 4.4.1. Introduzione
(290) - 4.4.2. I principali organismi impegnati nella diffusione della banda larga (291) - 4.4.3. I
principali interventi a livello nazionale (294) - 4.4.4. I principali interventi a livello regionale (300) 4.4.5. Le risorse stanziate nella lotta al digital divide (302)
Bibliografia (304)
Considerazioni a margine dello studio (306)
di Carla Bodo (306)
di Maurizio Dècina (309)
di André Lange (310)
di Mario Morcellini (311)
di Mariella Volpe (314)
Note sugli autori (326)
Introduzione
di Flavia Barca e Andrea Marzulli
Una forte flessione nel 2009 e una ripresa generalmente debole, con l’eccezione di alcuni
comparti, nel 2010. Il quadro disegnato dall’andamento dell’industria della comunicazione
nel corso della crisi economica non è particolarmente differente da quello dell’economia in
generale nel nostro Paese.
La flessione di questo macro-settore, dal perimetro non immune da puntualizzazioni
metodologiche, è stata complessivamente del 4,4%, una percentuale non lontana da quella
pronosticata nel precedente rapporto (4,9%), grazie a una ripresa migliore del previsto negli
ultimi mesi del 2009. Il valore totale si attesta sui 96.147 milioni di euro (contro i 100.520 del
2008), una cifra di poco inferiore a quella registrata nel 2005. Questo valore non supererà i 100
miliardi a fine 2010; anzi, considerando le difficoltà dell’ICT, resterà decisamente al di sotto.
Figura 1 - Ricavi dell’industria della comunicazione, 2005-2009
105.000
100.321
100.000
100.520
98.712
96.263
96.147
95.000
90.000
85.000
80.000
2005
2006
2007
2008
2009
Note: dati in milioni di euro. Fonte: IEM su varie.
L’andamento dei diversi mercati nel 2009 lascia poco spazio a considerazioni fuori dall’alveo
nel quale i fenomeni degli ultimi anni sono stati letti e interpretati. Se guardiamo ai pochissimi
segmenti che hanno chiuso l’anno con un segno positivo, troviamo il mercato pubblicitario
su Internet, la cui forte crescita è stata solo frenata ma il cui ruolo nel riposizionamento degli
investimenti in comunicazione si conferma. A questa si aggiunge il box office cinematografico,
che conferma la sua straordinaria valenza anticiclica, ma che rappresenta solo la prima delle
tipologie di sfruttamento del prodotto. Prodotto che invece non è immune dal restringersi delle
finestre successive, come l’home video, in forte caduta, e la televisione con la flessione dei ricavi
Introduzione
7
pubblicitari e il rallentamento di quelli da abbonamento. Terzo e ultimo segmento in positivo,
la pubblicità below the line, forma di comunicazione commerciale che tradizionalmente meno
risente dell’andamento macroeconomico rispetto agli investimenti sui mezzi classici.
La lista dei mercati con segno negativo comprende tutti quei settori che hanno pagato la crisi
pubblicitaria, a diversi livelli d’incidenza. Per cui può essere considerato persino positivo il
–3,4% della televisione, dove la flessione pubblicitaria, meno forte che in altri media, è stata
parzialmente compensata dalla crescita, persistente seppur a tassi inferiori, della pay. Peggio è
andata alla radio e, soprattutto, a quotidiani e periodici, i quali non hanno trovato nelle vendite
dirette un fattore di compensazione quanto di aggravamento del risultato finale.
Se musica e home video proseguono nella loro erosione, condizionata dalle alternative offerte
Internet (in senso ampio, leggi: file sharing), che colpiscono ormai anche i quotidiani e le
directory, desta preoccupazione la forte battuta d’arresto (-8%) dell’informatica, mercato che
nel nostro Paese è già fortemente sottodimensionato e che ha risentito in particolare della
contrazione della domanda business.
Figura 2 - Andamento dei mercati della comunicazione (var. % 2009 su 2008)
Internet (pubblicità)
6,4
Cinema
4,2
Pubblicità below the line
1,5
-1,5
Tlc mobili
Tlc fisse
-3,3
Televisione
-3,4
Libri
-4,3
Industria della Comunicazione
-4,4
Radio
-7,8
Informatica
-8,1
Quotidiani
-9,0
Directory
-9,7
Videogiochi
-10,6
Musica registrata
-13,1
Periodici
Home video
Pubblicità esterna
-25,0
-14,1
-17,9
-18,9
-20,0
-15,0
-10,0
-5,0
0,0
5,0
10,0
Fonte: IEM su varie.
Nel corso del 2010 si sono visti i segnali di ripresa, ma non per tutti i settori. Sul versante
pubblicitario, hanno ripreso la loro corsa in doppia cifra gli investimenti su Internet (nel
periodo gennaio-ottobre), così come superiore al 10% è stata la crescita della radio, che ha
pressoché recuperato quanto perso nel 2009, ed anche la pubblicità televisiva registra un
confortante +6%. Non si arresta, viceversa, la caduta dei quotidiani, per i quali gli investimenti
pubblicitari retrocedono di un ulteriore 2,6% e il segno negativo delle vendite sfiora addirittura
il 5%. Superfluo citare ancora il consumo di informazione sui nuovi media per commentare
questa ulteriore flessione. Mentre può essere ritenuto soddisfacente, nel disastro degli ultimi
anni, il segno positivo per la musica (+7,7%) e per l’home video (+2%) nella prima parte del
2010. Riprendono a marciare anche i videogiochi, con un incremento di quasi il 7% nei primi
8 Introduzione
cinque mesi dell’anno.
Più preoccupante, invece, la flessione continua dell’ICT, dove le telecomunicazioni fisse
perdono il 4%, quelle mobili l’1% e l’informatica il 2,5%. Per l’IT, è proseguita la contrazione
degli investimenti delle imprese nell’adeguamento delle dotazioni tecnologiche. Nelle TLC si
registra principalmente il calo dei ricavi da fonia e, per quanto riguarda la rete fissa, dei servizi
a valore aggiunto.
Figura 3 - Andamento dei mercati della comunicazione (var. % parziale 2010 su stesso periodo
2009)
Cinema (incassi)
26,0
Internet (pubblicità)
17,7
Radio (pubblicità)
10,2
Musica (fisico + digitale)
7,7
Videogiochi (Hw + Sw)
6,9
Televisione (pubblicità)
6,3
Pubblicità mezzi classici
3,8
Home video
2,0
Tlc mobili
-0,9
Informatica
-2,5
Quotidiani (pubblicità)
-2,6
Tlc fisse
Quotidiani (vendite)
-10,0
-4,0
-4,7
0,0
10,0
20,0
30,0
Note: l’arco temporale si riferisce a gennaio-ottobre (tutti i dati pubblicitari e le vendite dei Quotidiani), gennaioagosto (incassi Cinema), gennaio-giugno (Informatica, Telecomunicazioni fisse e mobili, Home video, Musica),
gennaio-maggio (Videogiochi). La variazione percentuale è sullo stesso periodo dell’anno precedente.
Fonte: IEM su varie.
Dal raffronto con i principali mercati europei, sistematicamente affrontato nelle analisi
contenute in questo Rapporto, emerge come l’industria della comunicazione nel nostro
Paese sia meno ricca, in proporzione, rispetto a quella degli altri grandi Paesi europei, dove i
consumi culturali e tecnologici sono, in qualche caso di gran lunga, più sviluppati. Una positiva
eccezione è rappresentata dal mercato della pubblicità televisiva, il più ricco del continente.
Non v’è dubbio che sia anche il più concentrato ma è anche vero che la leadership, a valore, sia
raggiunta grazie al fatto che il servizio pubblico vi concorre con la cifra più alta fra i servizi
pubblici degli altri Paesi e che nel computo sono inseriti i ricavi commerciali delle emittenti
locali, assenti o marginali negli altri Paesi considerati.
Lo stesso valore, qualora considerato pro capite, peggiora la classifica dell’Italia in alcuni
segmenti, a favore della meno popolata Spagna. Il risultato del 2009, in variazione percentuale
sull’anno precedente, dà alla Spagna il non invidiabile primato della peggiore performance in
quasi tutti i segmenti dell’industria. Primato che l’Italia ha avuto nel box office cinematografico
(pur nel segno positivo, come detto) e nel mercato dell’editoria libraria. In molti casi, quello
italiano è il secondo peggior risultato dopo quello spagnolo. A perimetro costante (cioè solo
per i settori considerati), la flessione dell’Italia (6,4%) è però inferiore non solo a quella della
Introduzione
9
Spagna ma anche a quella del Regno Unito (6,6%). Più contenuta è stata la caduta in Francia
(-3,2%) e Germania (-4,9%).
Tabella 1 - Mercati della comunicazione a confronto, per valore totale (2009)
Francia
Germania
Italia
Regno Unito
Spagna
Rank Italia
3544
3640
3983
3467
2343
1
Radio (pubblicità)
676
679
436
456
537
5
Cinema (incassi)
1232
976
664
1059
668
5
Televisione (pubblicità)
Home video
1411
1633
680
2877
125
4
Libri
4213
9691
3407
3821
3109
4
680
1099
226
1128
176
4
Musica registrata
Pubblicità mezzi classici
10724
14068
8844
13989
5621
4
Tlc fisse (servizi)
20000
34200
15390
9900
6500
2
Tlc mobili (servizi)
20400
23600
17700
16710
13340
3
Informatica
53100
69000
18686
59700
14400
4
Videogiochi
2441
2364
1129
3110
1200
5
Note: dati in milioni di euro. Fonte: IEM su varie.
Tabella 2 - Mercati della comunicazione a confronto, per valore pro capite (2009)
Francia
Germania
Italia
Regno Unito
Spagna
Rank Italia
Televisione (pubblicità)
56,44
44,52
65,99
55,88
49,90
1
Radio (pubblicità)
10,77
8,31
7,22
7,35
11,44
5
Cinema (incassi)
19,62
11,94
11,00
17,07
14,23
5
Home video
22,47
19,97
11,27
46,37
2,66
4
Libri
67,09
118,53
56,45
61,59
66,21
5
Musica registrata
10,83
13,44
3,74
18,18
3,75
5
Pubblicità mezzi classici
170,78
172,07
146,54
225,48
119,71
4
Tlc fisse (servizi)
318,50
418,31
255,00
159,57
138,43
3
Tlc mobili (servizi)
324,87
288,66
293,27
269,33
284,10
2
Informatica
845,63
843,96
309,61
962,26
306,68
4
Videogiochi
38,87
28,91
18,71
50,13
25,56
5
Note: dati in euro. Fonte: IEM su varie.
Tabella 3 - Mercati della comunicazione a confronto, per var. % 2009 su 2008
Francia
Germania
Italia
Regno Unito
Spagna
Televisione (pubblicità)
-9,8
-9,8
-11,7
-11,0
-22,7
Radio (pubblicità)
-8,9
-5,6
-7,8
-7,1
-16,4
7,9
22,8
4,2
11,1
7,9
-0,2
5,0
-17,9
-10,0
-36,9
Cinema (incassi)
Home-video
Libri
Musica registrata
Pubblicità mezzi classici
3,9
0,8
-4,3
-2,9
-2,4
-2,6
-3,0
-13,1
1,9
-14,6
-10,7
-9,7
-11,7
-11,0
-20,9
-0,5
-3,1
-2,4
-2,9
-8,5
1,5
-7,1
-3,5
-3,2
-5,5
Informatica
-3,8
-4,6
-8,1
-6,7
-8,9
Videogiochi
-17,1
-14,2
-10,6
-16,2
-16,2
-3,2
-4,9
-6,4
-6,6
-10,1
Tlc fisse (servizi)
Tlc mobili (servizi)
Totale (solo settori in tabella)
Note: dati in percentuale. Fonte: IEM su varie.
10 Introduzione
Lecito in questo scenario ripensare, come in qualunque altro settore dell’economia nazionale,
le politiche pubbliche per l’industria della comunicazione.
Le politiche pubbliche non si limitano necessariamente a quanto e come viene speso dallo Stato
(e dagli enti locali) per sostenere e stimolare l’industria della comunicazione. Nondimeno, sul
“quanto” e “a chi” si concentra generalmente l’attenzione degli operatori e di chiunque, a vario
titolo, si occupi del settore. Il 2010 è stato caratterizzato da infinite polemiche sul taglio dei fondi
pubblici (dall’emittenza locale all’editoria, dal Fondo Unico per lo Spettacolo agli investimenti
pubblici sulla banda larga). D’altronde, polemiche di questo tipo si riaccendono ogni anno
in corrispondenza dell’approvazione della legge finanziaria o del decreto “milleproroghe”,
e già questo è il segno di come sia latitante una programmazione di lungo periodo e di
ampia visione, a favore di un sistema di contribuzione pubblica stratificato e, diremmo, di
“cronicizzata precarietà”, erroneamente scambiata per stabilità. Ma nel 2010, i tagli sono stati, e
tali si preannunciano per il futuro, particolarmente pesanti in tutti i settori che godono di fondi
pubblici, con una virulenza che ha trovato legittimazione nell’emergenza economica ma che
non sembra avere chiari i criteri su come e cosa tagliare né essersi posta il problema.
Non è però per spirito giornalistico che il rapporto IEM di quest’anno dedica un
approfondimento a Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni.
Benché, certo, l’attualità ponga questo argomento sotto sguardi particolarmente attenti.
L’analisi delle tendenze dei flussi di spesa del settore pubblico diventa un elemento necessario
su cui basare la valutazione qualitativa dei trasferimenti, ovvero la loro efficacia (in termini
di risultati economici sul territorio, nonché di redistribuzione sociale della spesa) e quindi
la loro redditività e funzione sociale. Un’attendibile ed efficace rilevazione dei dati di spesa
rappresenta in effetti il punto di partenza per consentire misurazioni degli impatti prodotti
dalla spesa sul settore e nel territorio, e comprendere quanta parte di essa può ritenersi per
davvero spesa produttiva (ad esempio qualora essa sia destinata a sostenere innovazioni
d’impresa o di sistema) piuttosto che spesa destinata a sostenere attività dallo scarso o nullo
impatto sulla capacità produttiva del settore e dell’economia. Soprattutto, data la crescente
scarsità di finanziamenti pubblici alla cultura e alle telecomunicazioni, sprechi non sono
veramente più ammissibili e, quale che sia la quantità di denaro utilizzata, essa non può più
non essere accompagnata da una valutazione della sua efficacia. Il decisore politico che deliberi
un investimento pubblico dovrà necessariamente prevedere un monitoraggio continuativo di
questa spesa, poiché troppi sono i casi di erogazioni concesse in un deficit di conoscenza e
senza la preoccupazione di verificarne l’efficacia. Monitoraggio che determina anch’esso un
costo, aggiuntivo, che va considerato ineliminabile.
La scelta di focalizzare l’attenzione sugli investimenti pubblici ci è sembrata inoltre
particolarmente rilevante dal momento che la natura di questi ultimi definisce e condiziona i
processi creativi, produttivi e distributivi che danno forma e visibilità al sistema cultura.
Il perimetro di analisi prescelto è, però, sui generis rispetto a quello che tradizionalmente si
disegna quando si ragiona di cultura. Si è, infatti, definito un universo composto da cultura
e telecomunicazioni, inserendo sotto il cappello “cultura” lo spettacolo dal vivo, il cinema, la
televisione, la radio e l’editoria.
Si tratta di una scelta che trae la sua ratio dalla volontà di riflettere su una accezione di cultura
come punto di intersezione di diversi settori che si trovano all’interno di una stessa filiera,
fortemente interconnessi, dalla creazione a monte alla distribuzione a valle. Ragionare sui
fondamenti economici della cultura in qualità di “filiera della cultura” significa, quindi, aver
fatto un salto concettuale dalle riflessioni sull’industria culturale ad un universo in cui la
cultura non è più messa sotto esame come prodotto intellettuale che si è fatto merce, ma come
prodotto intellettuale, della conoscenza, in grado di generare benessere e sviluppo, all’interno
di un circolo virtuoso di innovazione e di sviluppo tecnologico.
I settori che compongono la filiera qui indagata, sono, da più o meno tempo, e con minore e
maggiore attenzione, e con diverse logiche, “aiutati” dallo Stato laddove e nella misura in cui
Introduzione
11
l’aiuto di Stato, senza infrangere i naturali processi concorrenziali, è in grado di aumentare il
benessere della società stimolando “forzatamente” alcuni nodi del sistema.
L’obiettivo dell’Approfondimento di questa edizione è dunque quello di misurare questo aiuto,
cioè l’ammontare della spesa dell’amministrazione pubblica in cultura e telecomunicazioni. Si
tratta di un primo passaggio, la base di partenza sulla quale poggiare qualsivoglia ragionamento
di merito e di metodo. La mission che ci siamo dati è, infatti, quella di rendere i dati manifesti e
trasparenti. Ed elaborati con un’analisi di tipo comparato e diacronico, che provasse a collocare
i conti nella loro progressione temporale e quindi nelle modificazioni intervenute negli ultimi
anni, e mettesse a confronto tra loro i vari segmenti dell’industria culturale. Ci auguriamo che
questo possa essere un utile punto di partenza per iniziare a ragionare sulle logiche che stanno
alla base delle strategie di spesa, ed aprire così la strada ad una riflessione più ampia sulle
politiche pubbliche riguardo alla cultura.
12 Introduzione
Parte prima
Mercati
Televisione
Radio
Cinema
Home-video
Libri
Quotidiani e periodici
Directory
Musica registrata
Pubblicità
Telecomunicazioni fisse e banda larga
Telecomunicazioni mobili
Informatica
Videogiochi
Radio
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Televisione
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Televisione
di Andrea Marzulli
1. Introduzione
Il mercato televisivo italiano sta finalmente facendo i conti con alcuni cambiamenti strutturali
che già da qualche anno si avvertono nei mercati televisivi più avanzati. Il crescente grado
di concorrenza rappresenta un elemento sicuramente positivo. Se la spinta all’innovazione
appare ancora flebile, è legittimo l’auspicio che nei prossimi anni alcune tendenze si affermino e
movimentino le dinamiche di mercato accrescendo quella che è – giova ricordarlo una volta di
più – il fine ultimo del sistema televisivo, ossia la soddisfazione dei bisogni di intrattenimento
e informazione dello spettatore.
Il passaggio al digitale e la conseguente frammentazione degli ascolti, con l’accrescimento delle
possibilità di scelta, sta innescando pratiche concorrenziali più decise alle quali il mercato
italiano non era abituato. I broadcaster tradizionali presidiano le nuove offerte, sia sul versante
dei canali digitali, sia sul versante dell’on demand, riorganizzando l’offerta Internet (si pensi
al portale Rai.tv, a Video Mediaset o al portale di La7) in vista della minaccia della Over-thetop Tv (i contenuti Internet sul televisore domestico) che rappresenta un temibile fattore di
destabilizzazione per le posizioni consolidate e un progressivo allargamento/convergenza della
fruizione televisiva tradizionale con i contenuti professionali e semi-professionali del mondo
web.
La crisi pubblicitaria sta avendo forti ricadute sul mercato della produzione, con crescenti
difficoltà per la produzione indipendente, ma anche con una spinta all’innovazione che
non si aveva in periodi più floridi, e in qualche modo autoreferenziali. Ora la sfida non è
solo comporre i budget di produzione in forme nuove ed efficienti, cercando altre fonti di
finanziamento per bilanciare la pressione sui costi, ma anche produrre programmi e format in
grado di conseguire risultati di ascolto che non sono più garantiti. Se la maggiore competizione
porterà più qualità e diversità sul versante dei contenuti, è una legge di mercato che sarà messa
alla prova dei fatti nei prossimi anni.
In tutta Europa, inoltre, il servizio pubblico rimodella le proprie fonti di finanziamento
affrancandosi dall’altalenante mercato pubblicitario, per il quale si preannuncia una scarsa
crescita nel medio termine. La virata di Francia e Spagna verso il “modello Bbc” rende l’Italia
l’unico grande Paese in cui il broadcaster pubblico conserva ricavi bi-partiti tra canone
e pubblicità. Rinunciare alla pubblicità è sicuramente una leva (necessaria anche se non
sufficiente) per migliorare la qualità e non costringere il servizio pubblico ad una affannosa
rincorsa agli ascolti.
Gli elementi di possibile cambiamento sono, dunque, molti, solo in parte rintracciabili nei dati
per ora a disposizione.
Televisione
15
2. Ascolti e penetrazione
L’accessibilità alle nuove offerte in digitale terrestre di una porzione crescente di telespettatori
italiani è probabilmente la principale ragione di una ulteriore crescita della platea televisiva
nel 2009 – crescita tra l’altro adeguatamente distribuita in tutte le fasce orarie. Mentre la
contrazione dei consumi nella società può rappresentare un ulteriore incentivo ad orientarsi
verso forme di consumo a costo zero o quasi, come la televisione gratuita.
La media di visione giornaliera è stabile a 3 ore e 59’ (ma in crescita rispetto alle 3h e 49’
del 2007) e nelle 24 ore la presenza media di fronte al piccolo schermo è di 9,44 milioni di
spettatori. Nella delicata fascia del prime-time, la platea è cresciuta a 24,42 milioni di spettatori
(anche se il rating non supera il 43% - era oltre il 44% nel 2005). Tra le altre fasce, si riscontrano
i maggiori incrementi in quelle mattutine, fra le 7 e le 12. Si tratta di fasce sulle quali le emittenti
generaliste hanno intensificato sforzi e investimenti, e nelle quali, diffondendosi sempre più il
digitale terrestre, le accresciute possibilità di scelta concorrono ad allargare la platea.
Tabella 1 - Audience e rating nel giorno medio, 2005-2009
2009
Fasce orarie
2008
2007
2006
2005
Audience Rating Audience Rating Audience Rating Audience Rating Audience Rating
(000)
(%)
(000)
(%)
(000)
(%)
(000)
(%)
(000)
(%)
07.00-09.00
4.658
8,16
4.383
7,73
4.292
7,61
4.338
7,79
4.256
7,67
09.00-12.00
4.967
8,70
4.686
8,26
4.378
7,76
4.485
8,06
4.572
8,24
12.00-15.00
14.076
24,65
13.767
24,28
13.634
24,18
13.911
25,00
14.030
25,29
15.00-18.00
10.331
18,09
9.878
17,42
9.497
16,84
9.885
17,76
9.811
17,68
18.00-20.30
15.516
27,17
15.282
26,95
14.936
26,48
15.348
27,58
15.518
27,97
20.30-22.30
24.425
42,92
24.161
42,61
23.695
42,02
24.424
43,88
24.615
44,36
22.30-25.59
10.364
18,15
10.093
17,80
9.887
17,53
10.163
18,26
9.835
17,73
02.00-25.59
9.445
16,58
9.211
16,25
8.989
15,94
9.230
16,58
9.213
16,60
Ascolto medio
giornaliero
(minuti)
238,7
234,0
229,5
238,8
239,0
Fonte: elaborazioni Iem su dati Auditel.
Poco più di 1 punto di share separa, nel 2009, il totale degli ascolti dei canali Rai dal totale
Mediaset, a vantaggio del gruppo pubblico. Si tratta del più esiguo distacco da molti anni a
questa parte (per trovare una differenza minore bisogna risalire al 1993: 45,49% contro 44,50%
- e da allora entrambe hanno perso cumulativamente circa 10 punti). Nel consolidato trend
che vede le generaliste perdere ascolti a vantaggio delle digitali (tematiche e targettizzate che
vanno in parte spostandosi verso configurazioni semi-generaliste), le nuove offerte dei due
maggiori gruppi (per ascolti) compensano parzialmente le perdite. Ma il risultato del 2009
si deve soprattutto allo sforzo del gruppo privato per sostenere l’audience di Canale 5, che è
l’unica generalista ad aver guadagnato share (dal 20,33 al 20,65) e soprattutto rappresenta circa
i 2/3 dei ricavi pubblicitari Mediaset. Vale la pena sottolineare la caduta di Rai Due (-1,4),
penalizzata sia da un’identità di rete “sfocata” sia dai processi di transizione al digitale nelle
diverse regioni, nelle quali ha funzionato da “battistrada” (insieme a Rete 4 che però limita le
perdite allo 0,50). Un altro punto viene guadagnato dalle tv “altre terrestri”, e segnatamente
dalle emittenti digitali non afferenti ai due gruppi perché i dati relativi alle locali pubblicate
non sono confortanti, e circa un punto per le tv satellitari le quali, pur in una decrescita del
parco abbonati, vanno evidentemente consolidando il proprio rapporto col pubblico.
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Televisione
Tabella 2 - Audience share nel giorno medio, 2005-2009
09 vs 08
09 vs 05
Rai Uno
21,17
21,80
22,49
23,15
23,00
-0,63
-1,83
Rai Due
9,20
10,60
10,48
11,35
11,37
-1,40
-2,17
Emittente
2009
2008
2007
2006
2005
Rai Tre
8,94
9,07
9,15
9,38
9,18
-0,13
-0,24
Rai canali digitali
1,36
*0,82
.
.
.
0,54
-
40,67
42,29
42,12
43,88
43,55
-1,62
-2,88
sub-totale Rai
Canale 5
20,65
20,33
20,60
20,95
21,84
0,32
-1,19
Italia 1
10,38
10,83
11,17
11,09
11,47
-0,45
-1,09
Rete 4
7,78
8,28
8,63
8,18
8,59
-0,50
-0,81
Mediaset canali digitali
sub-totale Mediaset
0,80
0,29
-
-
-
0,51
-
39,61
39,73
40,40
40,28
41,93
-0,12
-2,32
La 7
3,01
3,08
2,97
3,02
2,71
-0,07
0,30
Altre terrestri
7,57
6,57
6,45
6,14
6,33
1,00
1,24
Altre satellitari
9,22
*8,33
8,05
6,75
5,51
0,89
3,71
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
-
-
Totale
Note: (*) nel 2008, lo 0,48% dei canali Raisat, ospitati all’epoca sul satellite, era ricompreso nei canali digitali Rai e
non fra le altre satellitari. Fonte: elaborazioni Iem su dati Auditel e Rai.
Nel prime-time, gli ascolti delle generaliste sono migliori rispetto al dato all-day, con l’eccezione
di Italia 1 che scende sotto il 10% per la prima volta da molti anni. Anche qui, unica generalista
a crescere è stata Canale 5, che risale oltre il 21%. Più deboli, come di consueto, le performance
dei canali digitali in questa fascia. Considerando anche i canali digitali, nell’ultimo quinquennio
Rai ha perso solo 1 punto e mezzo, contro gli oltre 3 e mezzo di Mediaset.
Tabella 3 - Audience share nel prime-time, 2005-2009
09 vs 08
09 vs 05
Rai Uno
22,34
22,67
23,28
24,22
23,91
-0,33
-1,57
Rai Due
10,04
10,70
10,28
10,51
10,63
-0,66
-0,59
Rai Tre
9,42
10,06
10,15
10,28
9,75
-0,64
-0,33
Rai canali digitali
1,01
*0,57
.
.
.
0,44
-
sub-totale Rai
42,81
44,00
43,71
45,01
44,29
-1,19
-1,48
Canale 5
Emittente
2009
2008
2007
2006
2005
21,04
20,69
21,57
22,01
22,50
0,35
-1,46
Italia 1
9,77
10,29
10,73
10,53
11,51
-0,52
-1,74
Rete 4
7,80
8,57
8,35
8,05
8,80
-0,77
-1,00
Mediaset canali digitali
sub-totale Mediaset
0,56
.
.
.
.
-
-
39,17
39,55
40,65
40,59
42,81
-0,38
-3,64
La 7
2,63
2,62
2,30
2,42
2,06
0,01
0,57
Altre terrestri
7,33
6,64
6,33
5,98
5,84
0,69
1,49
Altre satellitari
8,10
*7,19
7,01
6,01
4,99
0,91
3,11
100,00
100,00
100,00
100,00
100,00
-
-
Totale
Note: fascia oraria 20.30-22.30; (*) nel 2008, lo 0,38% dei canali Raisat, ospitati all’epoca sul satellite, era ricompreso
nei canali digitali Rai e non fra le altre satellitari. Fonte: elaborazioni Iem su dati Auditel.
Man mano che la penetrazione del digitale terrestre cresce, aumenta lo share dei canali digitali.
Nel 2009 l’insieme dei canali digitali monitorati, terrestri e satellitari, è cresciuto di oltre 2 punti,
dal 9,3 all’11,5. A giugno 2010 (anche grazie ai mondiali di calcio, trasmessi integralmente su
Sky), gli ascolti si sono impennati oltre il 14%.
Nel corso del 2009, quasi tutti gli editori hanno mostrato un andamento positivo: oltre ai citati
Rai e Mediaset, soprattutto Sky che ha superato il 3%. Nei primi mesi del 2010 a crescere sono
stati soprattutto i canali digitali delle generaliste. Boing si è confermato leader fra i digitali ma
Televisione
17
è stata soprattutto l’offerta Rai a imporsi, superando il 3% complessivo su base nazionale (e
circa il 7 nelle regioni all-digital). La fuoriuscita del pacchetto Raisat da Sky, col successivo rebranding, si è rivelata la leva per accrescere gli ascolti complessivi, anche se la monetizzazione
pubblicitaria non compensa ancora (ci vorrà qualche anno) i ricavi da abbonamento cui il
gruppo pubblico ha rinunciato. L’ex canale pay Rai Yoyo ha in breve superato Rai Gulp per
ascolti (0,45 vs 0,35 a giugno 2010), mentre Rai Premium e Rai Movie si sono rapidamente
imposti fra i canali digitali più seguiti (risultato veramente notevole se si pensa che sono
presenti solo nelle regioni all-digital), dopo Rai 4 (0,81 a giugno 2010). Mediaset sfiora il 2%,
grazie agli ottimi risultati di Boing (1,36) e Iris (0,58). Tra gli editori minori, da segnalare
Switchover Media, il cui canale per bambini e ragazzi K2 viaggia costantemente (anche grazie
alle finestre analogiche in syndication sulle locali) sopra lo 0,50.
Tabella 4 – Audience share canali digitali, 2008-giugno 2010 (%)
Emittenti e gruppi di emittenti
Sky
- canali sportivi
Giu 2010
2009
2008
4,29
3,02
2,76
2,38*
1,12
0,92
- canali cinema
1,44
1,28
1,24
- altri canali
0,47
0,62
0,58
Fox
1,84
1,75
1,68
Newscorp (Sky+Fox)
6,13
4,77
4,44
Rai
3,11
1,36
0,82
- Boing
1,36
0,72
0,29
- Iris
0,58
0,03**
-
- Premium Calcio
0,03*
-
-
Mediaset (tot.)
1,97
0,80
0,29
Disney
0,91
0,86
0,75
Switchover Media
0,74
**0,27
-
Viacom – Mtv Italia
0,60
0,36
0,31
Discovery
0,41
0,32
0,28
Turner Italia (Time Warner)
0,33
0,42
0,31
De Agostini
0,19
0,04
-
Sitcom
0,19
0,12
0,12
Axn (Sony)
0,12
0,08
0,05
La7d (Telecom Italia Media)
0,11
-
-
Eurosport (Groupe Tf1)
0,10
0,07
0,09
Digicast (Rcs Mediagroup)
0,09
0,06
0,07
Elemedia (Gruppo Espresso)
0,05
0,05
0,05
Altri canali e gruppi
1,97
1,95
1,69
Totale
14,02
11,53
9,27
Note: rilevazione 02-26, totale abitazioni, individui 4+. Tabella ordinata secondo lo share giugno 2010; (*) il dato di
giugno 2010 risente della trasmissione dei mondiali di calcio (che ha alzato lo share dei canali sportivi Sky) e della
fine del campionato nazionale di calcio (che ha abbassato lo share dei canali Premium Calcio di Mediaset). Ad aprile
2010, lo share dei canali sportivi (calcio + altri sport) di Sky era 1,40 (di cui 0,34 per i soli canali Sky Calcio), quello
di Premium Calcio 0,62 (e lo share totale dei canali digitali Mediaset 2,13); (**) ponderazione sull’anno dei soli mesi
di rilevazione. Fonte: elaborazioni IEM su dati Auditel.
Al contrario, il digitale terrestre sta progressivamente erodendo gli ascolti delle locali.
Guardando le emittenti principali in ciascuna regione, i dati nelle aree digitalizzate fanno
segnare cadute dei contatti netti giornalieri fino al 20-30%. Incrementi si riscontrano in
Toscana, Marche, Sicilia e Puglia. Grandi emittenti come Telelombardia e Telenorba, con
rilevanti investimenti in programmazione originale locale, mantengono la propria platea. Ma,
in generale, la perdita è stata di quasi il 5% dei contatti nel 2009 e ha riguardato in misura più
18
Televisione
pesante le piccole. Sembra confermato dai dati, quindi, come i contenuti – originali, locali,
riconoscibili – siano il principale elemento di tenuta, anche se non sono nelle possibilità di
tutti i soggetti. La fondamentale questione della posizione sul telecomando nel sistema Lcn
s’intreccia con la necessità di costruire fidelizzazione con programmi tali da essere “cercati”
più che “intercettati” dallo spettatore. Fatte salve tutte le opzioni di policy, questa appare la
questione centrale, perfino più importante dell’allargamento dell’offerta con spin-off tematici
– processo che pure molte emittenti hanno intrapreso, seppur con sforzi e qualità diseguali.
Tabella 5 - Contatti medi giornalieri tv locali, 2005-2009 (le prime 3 per regione)
Emittente
2009
2008
2007
2006
2005
410
459
Δ % 09-08
Δ % 09-05
Piemonte-Val d’Aosta
Telecity Piemonte
337
411
411
-18,0
-26,6
Telecupole
261
302
316
333
371
-13,6
-29,6
Quarta Rete
190
280
318
325
343
-32,1
-44,6
Liguria
Primo Canale
232
244
254
236
268
-4,9
-13,4
Telenord
154
129
122
112
142
19,4
8,5
Telecittà
88
88
99
103
122
0,0
-27,9
1118
0,0
6,4
Lombardia
Telelombardia
1190
1190
1222
1177
Antenna Tre
874
961
1006
1093
982
-9,1
-11,0
Telenova
637
683
714
656
659
-6,7
-3,3
Veneto
1091
1174
1197
1346
1318
-7,1
-17,2
Antenna Tre Nord Est
7 Gold Telepadova
594
658
677
650
656
-9,7
-9,5
Rete Nord Telenuovo
540
533
561
621
645
1,3
-16,3
Rttr
124
Tca
114
Trentino-Alto Adige
167
144
137
139
-25,7
-10,8
150
146
137
143
-24,0
-20,3
Friuli-Venezia Giulia
Telefriuli
158
166
165
192
214
-4,8
-26,2
Rete Nord Telequattro
134
118
98
107
112
13,6
19,6
663
559
-2,6
0,9
Emilia-Romagna
7 Gold Sesta Rete
564
579
658
E’ Tv Emilia Romagna
386
395
402
418
-
-2,3
-
Telesanterno
154
177
192
202
224
-13,0
-31,3
Toscana
Italia 7
450
434
481
468
411
3,7
9,5
Rtv 38
367
356
325
392
417
3,1
-12,0
Tvr Teleitalia
173
149
-
-
-
16,1
-
138
140
156
26,3
10,9
Marche
Tv Centro Marche
173
137
7 Gold Teleadriatica
98
80
55
60
-
22,5
-
E’ Tv Marche
41
32
42
42
-
28,1
-
Umbria
Umbria Tv
67
81
69
83
79
-17,3
-15,2
Rte 24
53
63
59
59
-
-15,9
-
Tef
34
32
-
-
-
6,3
-
Lazio
Televisione
19
Tvr Voxson – Teleregione
275
325
376
393
466
-15,4
-41,0
Super 3
273
251
252
233
365
8,8
-25,2
Teleroma 56
135
187
226
212
244
-27,8
-44,7
Abruzzo
Rete 8
137
132
138
118
121
3,8
13,2
7 Gold Antenna 10
125
131
133
110
92
-4,6
35,9
Telemolise
73
68
59
59
64
7,4
14,1
Teleregione Molise
25
-
-
-
-
-
-
1072
1229
1231
1209
1291
-12,8
-17,0
Teleoggi - Canale 9
510
593
710
729
758
-14,0
-32,7
Napoli Canale 21
448
459
438
380
371
-2,4
20,8
1407
1391
0,8
5,2
Molise
Campania
Telecapri
Puglia e Basilicata
Telenorba (Tn7)
1464
1452
1302
Teledue (Tn8)
635
586
536
502
495
8,4
28,3
Antenna Sud
260
243
212
226
229
7,0
13,5
8 Videocalabria
174
203
198
202
236
-14,3
-26,3
Reggio Tv
57
74
61
58
70
-23,0
-18,6
Teleuropa
52
64
54
-
-
-18,8
-
524
506
508
11,3
20,1
Calabria
Sicilia
Antenna Sicilia
610
548
Telecolor Italia 7
368
334
353
388
373
10,2
-1,3
Tgs
356
379
430
425
443
-6,1
-19,6
Sardegna
Videolina
Tcs
5 Stelle Sardegna
Totale contatti
395
474
561
559
580
-16,7
-31,9
47
81
127
147
142
-42,0
-66,9
19
39
59
-
-
-51,3
-
16788
17621
17851
18025
17776
-4,7
-5,6
Note: valori in migliaia; la graduatoria degli anni precedenti poteva comprendere emittenti non più nella “top 3” nel
2009; sono state prese in considerazione esclusivamente le emittenti pubblicate da Auditel nel 2009, a prescindere
dagli anni precedenti; qualora la rilevazione non abbia coperto i 12 mesi, il dato annuale corrisponde alla media dei
mesi rilevati. Fonte: elaborazioni Iem su dati Auditel.
In termini di ascolto medio e di share su base nazionale – valori meglio raffrontabili a quelli
delle emittenti nazionali e digitali – i numeri testimoniano allo stesso modo le difficoltà delle
locali. I tre principali circuiti nazionali mostrano un sensibile calo di share (specie Odeon 24 che
ha raccolto l’eredità di Odeon Tv) e così la maggior parte delle prime 10 emittenti locali italiane,
in testa alle quali si conferma Telenorba con lo 0,28% su base nazionale (dallo 0,30 del 2008).
Crescono invece Telelombardia e Antenna Sicilia (di 2.000 e 3.000 spettatori rispettivamente).
Il calo è invece netto per le emittenti campane e sarde, già passate al “tutto digitale”.
20
Televisione
Tabella 6 - Principali tv locali e circuiti, ascolto medio e share, 2008-2009 (intero giorno)
Emittenti
2009
Area
A.M.
2008
Share
A.M.
Share
Syindication
7 Gold
circuito nazionale
43410
0,46
47613
0,52
Canale Italia
circuito nazionale
18885
0,20
21844
0,24
Odeon 24
circuito nazionale
486
0,01
15452
*0,17
Telenorba
Puglia e Basilicata
26374
0,28
27658
0,30
Telecapri
Campania
15521
0,16
17796
0,20
TeleLombardia
Lombardia
14661
0,16
12460
0,14
Antenna Sicilia
Sicilia
12352
0,13
9330
0,10
7 Gold Telepadova
Veneto
11461
0,12
12028
0,13
Nuova Antenna Tre
Lombardia
9445
0,10
9519
0,10
Teleoggi Canale 9
Campania
7516
0,08
8535
0,09
Emittenti locali
Videolina
Sardegna
6890
0,07
9486
0,10
Antenna Tre Nordest
Veneto
6727
0,07
6642
0,07
Napoli Canale 21
Campania
6703
0,07
6085
0,07
Note: (*) dati relativi al canale Odeon Tv. Fonte: elaborazioni Iem su dati Auditel.
Piattaforme e abbonati
La penetrazione della tv digitale, a fine 2009, ha superato i 19 milioni di famiglie televisive
(oltre l’80% delle abitazioni) grazie alla diffusione crescente del digitale terrestre (+7 milioni
nel 2009). Sono cresciute, seppur di poco, anche le altre piattaforme digitali: il satellite sale a 6,6
milioni (pur in una flessione della platea a pagamento), anche grazie alla diffusione delle tessere
Tivù Sat e all’installazione di parabole nelle zone dove lo switch-off si è rivelato particolarmente
problematico. L’Iptv si attesta a poco meno di 700mila abbonati (grazie a politiche di prezzo
decisamente al ribasso per attrarre utenza). Pur con qualche mese di ritardo nella pianificazione
degli switch-off nell’Italia settentrionale, a fine 2010 la penetrazione del digitale è destinata a
crescere ancora (a fine aprile 2010, le famiglie erano 16,88 milioni, con una penetrazione del
68,5%, per un totale ricevitori – set-top-box e tv integrati – di 27,46 milioni).
Tabella 7 - Penetrazione delle tecnologie di distribuzione televisiva, 2006-2009 (primo accesso)
2009
Famiglie tv
satellite
( di cui satellite pay)
(di cui satellite free)
digitale terrestre
adsl /fibra
(totale famiglie ‘multichannel’)
solo analogico-terrestre
% 09
2008
2007
2006
24,28
100,00
23,60
23,50
23,40
6,60
27,18
6,35
5,93
5,43
4,74
19,52
4,75
4,43
4,03
1,86
7,66
1,60
1,50
1,40
12,43
51,19
5,70
4,80
3,60
0,69
2,51
0,40
0,25
0,20
19,72
80,89
12,45
10,98
9,23
4,56
19,11
11,15
12,52
13,17
Note: dati in milioni. Fonte: Agcom, ItMedia, Makno.
La complessità tecnica del Piano Nazionale di Assegnazione delle Frequenze, approvato
dall’Agcom (Delibera 300/10/Cons) ha ritardato la convocazione dei tavoli tecnici di
pianificazione, spostando di un mese le procedure di switch-off per le aree tecniche dell’Italia
settentrionale (Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, mentre la Liguria
sarà posticipata a inizio 2011). Il Piano ha provocato le polemiche delle emittenti locali che
Televisione
21
sostengono non sia stata rispettata la riserva di 1/3 delle frequenze, né su base quantitativa né
su base qualitativa, e pongono problemi di scarsità dello spettro, specie per quanto riguarda il
coordinamento internazionale delle frequenze di confine. Un altro piano approvato dall’Agcom,
quello relativo al Logical Channel Numbering, ossia la numerazione automatica dei canali sul
telecomando (Delibera 366/10/Cons), ha optato per la determinazione di archi di numerazione
a partire dalle 2 cifre, invece che su 3 cifre, avvantaggiando di fatto le emittenti nazionali
(generaliste e digitali) e parte di quelle locali (in particolare quelle che, secondo modalità che
faranno riferimento alle preferenze del pubblico, troveranno posto nell’arco di numerazione
10-19).
Novità normative non di poco conto hanno poi riguardato la possibilità, per Sky Italia, di
partecipare al beauty contest per le 5 frequenze del dividendo digitale (con l’obbligo di offrire
programmi in chiaro) e, soprattutto, il decreto di recepimento (decreto lgs. 44 del 15 marzo
2010) della Direttiva Servizi Media Audiovisivi che ha emendato la precedente Tv Senza
Frontiere. Il decreto ha impostato una base normativa comune per i servizi audiovisivi lineari
e non-lineari e ha introdotto la pratica del product placement per i programmi televisivi,
intervenendo anche sui codici di condotta per l’attribuzione dei diritti residuali ai produttori
di contenuto indipendenti, di fatto ancorandola al contributo dei produttori al finanziamento
della produzione, limitando inoltre l’affollamento pubblicitario sulle emittenti a pagamento.
Per quanto riguarda le offerte a pagamento, queste hanno raggiunto, nelle loro diverse modalità
distributive e commerciali, i 10 milioni di clienti. La concorrenza delle offerte pay su digitale
terrestre ha contribuito al rallentamento della crescita del parco abbonati di Sky Italia: dai
4,752 milioni di fine 2008, passando per i 4,790 di metà anno, a fine 2009 l’operatore satellitare
contava 4,740 milioni di abbonati (scesi a 4,734 a giugno 2010, 56.000 in meno sui 12 mesi).
Tabella 8 - Abbonati alla pay-tv, 2005-2009
Operatore
Piattaforma
Sky Italia
Satellite
Fastweb
2009
2008
2007
2006
2005
4.740
4.752
4.430
4.030
3.560
Fibra-adsl
213
****200
****190
****180
191
80
31
-
-
-
Alice Home Tv
Adsl
423
329
Infostrada Tv
Adsl
51
20
Tiscali Tv
Adsl
-
-
-
-
5.427
5.301
4.710
4.241
3.751
*3.725
*2.911
*2.067
*1.560
nd
Totale abitazioni pay-tv
Mediaset Premium
Digitale terrestre
10
La7 Cartapiù
Digitale terrestre
-
240
700
***715
nd
Dahlia Tv
Digitale terrestre
°°450
-
-
-
-
La3 Tv
Dvb-h – Umts
-
-
Vodafone Sky Tv
Dvb-h – Umts
Tim Tv
Totale altre modalità
Dvb-h
°720
(°790)
**400
****4.895
****3.550
**300
****3.070
nd
-
-
2.525
-
Note: dati in migliaia al 31-12 di ogni anno; (*) numero di “clienti attivi”, di cui 228mila abbonati con formula
EasyPay al 30 settembre 2008 (dato ufficiale Mediaset). A fine 2009, gli abbonati con questa formula sono stimati da
Milano Finanza in 1,8 milioni; in assenza di dati ufficiali distinti fra “abbonati” e “clienti attivi”, i clienti del Dtt pay
non sono stati inseriti fra gli “abbonati pay-tv”; (**) fonte Agcom per il 2007 e fonte Rethink per il 2008; altre fonti
stimano in 850mila (per il 2007) e 1,2 milioni (per il 2008) il numero di utenti della mobile tv in Italia ma si tratta,
più probabilmente, di “possessori di terminali abilitati”, a prescindere dall’abbonamento; (***) numero di smart-card
attivate dal lancio del servizio (su 1,1 milioni di card vendute); (****) stime; (°) stime Assinform/Netconsulting; (°°)
di cui circa il 20% in modalità abbonamento. Fonte: elaborazioni Iem su dati Agcom, Newscorp, Assinform, Rethink,
Mediaset.
Sono stati 800mila, invece, i nuovi “clienti attivi” delle offerte Mediaset Premium in payper-view sul digitale terrestre nel 2009, saliti oltre quota 3,7 milioni (di cui, si stima, circa
1,8 milioni in modalità abbonamento e i restanti attraverso carta pre-pagata, segno di una
conversione crescente dei “clienti attivi” in abbonati veri e propri) rispetto ai 2,9 milioni di fine
22
Televisione
2008. L’offerta Dahlia, dal canto suo, posizionata verso un pubblico maschile, ha chiuso il 2009
a quota 450mila abbonati (saliti a 600mila a metà 2010).
In fase di stallo, invece, l’andamento degli abbonati sulle altre piattaforme digitali. L’Iptv è salita
a quota 687mila, ma già a metà 2010 si è profilata una flessione. Flessione anche per gli abbonati
alla Mobile Tv, stimati in 720mila a fine 2009 (contro 790mila a fine 2008), anche se altre fonti
indicano in meno della metà gli utenti effettivi di tv via cellulare.
3. Il mercato
Le risorse del sistema
Nel 2009, complice la crisi pubblicitaria, il mercato televisivo nel suo complesso ha perso il
3,4%, poco sotto quota 8,5 miliardi di euro (erano quasi 8,8 l’anno precedente). La pubblicità
televisiva (emittenti nazionali e locali cumulativamente) cede l’11,7%, a meno di 4 miliardi e,
per la prima volta dall’avvento della tv commerciale, la sua quota sul totale delle risorse del
sistema scende a meno del 50% (il 46,9% contro il 51,3% del 2008). I ricavi da abbonamento
crescono di oltre 200 milioni (sfiorano il 34%) e più della metà di questa crescita si deve al
digitale terrestre. Il canone – la cui evasione ha superato il 40% delle famiglie secondo
l’associazione Contribuenti Italiani – continua la sua lenta progressione a valore, toccando
quota 1.630 milioni e il 19,2% del mercato.
Tabella 9 - Le risorse del sistema televisivo, 2005-2009
Tipologia
2009
2008
2007
2006
2005
∆ %09-08
1.630
1.603
1.567
1.491
1.483
1,7
∆ %09-05
Valori assoluti (mln €)
Canone
9,9
Pubblicità
3.983
4.512
4.482
4.463
4.418
-11,7
-9,8
Pay-tv
2.873
2.671
2.384
2.221
1.717
7,6
67,3
Totale
8.486
8.786
8.433
8.175
7.618
-3,4
11,4
19,2
18,2
18,6
18,2
19,5
1,0
-0,3
Valori percentuali
Canone
Pubblicità
46,9
51,3
53,1
54,6
58,0
-4,4
-11,1
Pay-tv
33,9
30,4
28,3
27,2
22,5
3,5
11,4
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
100,0
-
-
Note: dal computo presente in questa come nelle tabelle successive, sono esclusi dal calcolo i ricavi di tipologia diversa
dalla tripartizione classica, compresa la rivendita diritti ad altri operatori e il fatturato da attività di operatore di
rete. Fonte: elaborazioni Iem su dati operatori, Agcom, Assocomunicazione, Frt, Upa et alia.
I ricavi delle emittenti
Nel 2009, limitandoci alla classica tripartizione dei ricavi, Sky è il maggior gruppo televisivo
italiano con 2.686 milioni di euro, di cui 2.463 milioni da abbonamenti. Il calo della pubblicità
ha retrocesso Rai a quota 2.552 milioni e Mediaset a 2.592 milioni.
Il gruppo pubblico ha pagato una flessione pubblicitaria superiore alla media del mercato
(-17,2%) ma è riuscita a compensare in parte con le altre attività1.
1
Il fatturato consolidato del gruppo Rai è stato, nel 2009, di 3.178 milioni (3.211 nel 2007). Gli altri ricavi
provengono principalmente da attività commerciali (Rai Trade), cinematografiche e di home video (Rai Cinema e
01 Distribution), convenzioni con la P.A. per servizi radiotelevisivi all’estero, pubblicità radiofonica, ricavi Raisat e
altro. Ma è stato soprattutto grazie alla contabilizzazione della cessione dei diritti sui mondiali di calcio del 2010 e
del 2014 (per 175 milioni di euro) che Rai ha potuto compensare la flessione dei ricavi.
Televisione
23
Tabella 10 - Ricavi emittenti televisive, 2005-2009
Emittente
2009
2008
2007
2006
2005
Δ % 09-08
Δ % 09-05
Canone
1.630
1.603
1.567
1.491
1.483
1,7
9,9
Rai
1.630
1.603
1.567
1.491
1.483
1,7
9,9
Pubblicità
3.983
4.512
4.482
4.463
4.418
-11,7
-9,8
Rai
908
1.096
1.137
1.133
1.121
-17,2
-19,0
Rti - Mediaset
2.241
2.452
2.451
2.425
2.516
-8,6
-10,9
La 7
91,7
81
91
84
75
13,2
22,3
Mtv
45,7
63
67
67
71
-27,0
-35,6
Rete A – All Music
6,8
16
19
19
18
-57,5
-62,2
Sportitalia**
7,5
5,9
6
8
9
27,1
-16,7
Sky
223
232
200
192
144
-3,9
54,9
Altre satellitari*****
43
45
32
30
nd
-4,4
-
Digitale terrestre
40,5
25,9
22,9
13
11
23,1
268,2
- Rai°°
14
10
8
nd
nd
40,0
-
- Mediaset free
10,3
9,1
6,0
6,5
6,2
13,2
66,1
- Mediaset pay
29,8
13,1
8,1
5,7
4,6
127,5
547,8
- Qoob (Mtv)**
0,4
0,7
0,8
1
-
-42,9
-
Locali
*375
487
454
491
453
-23,0
-17,2
Dahlia
0,15
-
-
-
-
-
-
Operatori Tlc***
0,7
1,2
2
1
nd
-41,7
-
Abbonamenti / Ppv
2.873
2.671
2.384
2.221
1.717
7,6
67,3
Sky Italia
2.463
2.373
2.172
2.030
1.642
3,8
50,0
Mediaset Premium
311
199
125
84
36
56,3
763,9
La7 Cartapiù
-
11
12
10
6
-
-
Dahlia**
12
-
-
-
-
-
-
Conto Tv**
3
4
-
-
-
-25,0
-
-
Operatori Tlc***
- Fastweb
- H3g
84,1
88
75
97
(****38)
- Altri
sub-totale Rai
27
-4,4
154,8
2.604
-5,8
-2,0
6
2.552
2.709
2.712
2.624
sub-totale Rti-Mediaset
2.592
2.673
2.590
2.521
2.563
-3,0
1,1
sub-totale Sky Italia
2.686
2.605
2.372
2.222
1.786
3,1
50,4
sub-totale TI Media°
Totale
138
155
171
162
152
-11,3
-9,3
8.486
8.786
8.433
8.175
7.618
-3,4
11,4
Note: dati in milioni di euro; (*) stime su tassi di incremento Assocomunicazione (fino al 2008 dati Frt sulle società di
capitali); (**) stime (per Dahlia altre fonti riportano 17,5 milioni) (***) offerte Iptv e mobile; (****) Agcom indicava,
per il 2006, 97 milioni nella relazione 2007 e 38 milioni nella relazione 2008; (*****) stime Assocomunicazione; (°)
La7, Mtv, Qoob, La7 Cartapiù (non disaggregabile Alice Home Tv fra gli Operatori Tlc per un “sub-totale Telecom
Italia”; (°°) fino al 2008 comprende i canali satellitari. Fonte: elaborazioni e stime IEM su bilanci operatori, Agcom,
Upa, Assocomunicazione, Frt et alia.
Dell’8,6% (oltre 200 milioni) è stata la flessione dei ricavi pubblicitari Mediaset sulle emittenti
generaliste. Circa 130 milioni sono stati però recuperati con la crescita delle attività pay (più del
50% di crescita) e della pubblicità sui canali digitali2.
2
I ricavi complessivi di Mediaset sono stati di 3.883 milioni di euro nel 2008 (4.199 milioni nel 2008), di cui
656 da Telecinco (982 nel 2008). Alla controllata spagnola può quindi imputarsi, in pratica, la totalità della flessione
del guppo. I ricavi del segmento Italia sono quindi stati di 3.219 milioni (3.229 nel 2008), di cui 2.351 milioni nel segmento free (di cui 2.241 da pubblicità sulle reti generaliste), 219 come operatore di rete (ma con 125 milioni di ricavi
infragruppo), 561 nel segmento pay (con 223 milioni dalla rivendita diritti e altri ricavi e 311 milioni dalla vendita
24
Televisione
Nel panorama restante, perdite severe per le tv locali e i canali musicali (Mtv e soprattutto
All Music). La flessione pubblicitaria non ha risparmiato Sky e le altre satellitari (266 milioni
contro 277 l’anno precedente). Tra le generaliste, va evidenziato il buon risultato di La7 (+13%),
mentre il primo anno d’esercizio ha portato 12 milioni di introiti all’operatore pay su digitale
terrestre Dahlia Tv.
Relativamente ai dati di mercato della pay-tv sulle nuove piattaforme, Agcom valuta i ricavi
pay degli operatori attivi sul digitale terrestre in 323 milioni, mentre secondo Confindustria
la spesa degli utenti finali è stata di 377 milioni. I ricavi complessivi degli operatori di Iptv e
Mobile tv sono invece di 84 milioni, mentre Confindustria ha rivisto le proprie stime di spesa
degli utenti su queste piattaforme in 188 milioni (127 per l’Iptv, 61 per la mobile tv).
Secondo l’Authority, quindi, i ricavi da nuove piattaforme (escluso il satellite) sarebbero di 407
milioni, mentre la spesa degli utenti, secondo l’associazione degli industriali, ammonterebbe a
565 milioni.
Tabella 11 - Ricavi pay-tv sulle nuove piattaforme, 2007-2009
Segmento di mercato
Agcom(ricavi operatori)
2009
Digitale terrestre
Iptv
Mobile Tv
Totale
2008
Confindustria(spesa utenti finali)
2007
323
210
137
84
**88
75
407
298
212
*2009
2008
2007
377
239
201
127
111
75
61
74
76
565
424
427
Note: dati in milioni di euro, esclusi ricavi pubblicitari; (*) stime; (**) Agcom ha indicato circa 33 milioni di ricavi
dalla sola Iptv nel 2008. Fonte: elaborazioni Iem su dati Agcom, Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici, Assinform, Netconsulting.
Le stime relative al mercato della pubblicità televisiva variano considerevolmente da fonte a
fonte, sia per la scelta del computo fra investimenti delle aziende e ricavi affluenti ai media,
sia per quegli operatori con quote ridotte di mercato (emittenti locali e satellitari), in grado
di variare considerevolmente il risultato finale (dai 3,5 miliardi di Agcom ai 4,7 miliardi di
Assocomunicazione).
Tabella 12 - Rilevazioni del mercato pubblicitario televisivo a confronto, 2008-2009
Fonte
2009
2008
Var. %
Note
Agcom
3.541
3.929
-9,9
Valori tv nazionali terrestri netti (quota retrocessa
alle emittenti). Sottostima tv locali e satellitari.
Assocomunicazione
4.756
5.296
-10,2
Valori tv nazionali terrestri al lordo degli sconti
d’agenzia. Sottostima delle tv locali.
Iem
3.983
4.512
-11,7
Dati di bilancio degli operatori, integrati da fonti
terze per tv locali e piattaforme digitali.
Nielsen Media Research
4.359
4.851
-10,2
Valori tv nazionali terrestri per investimenti netti.
Perimetro ridotto delle tv satellitari e locali
Note: valori in milioni di euro. Fonte: IEM su Agcom, Assocomunicazione, Upa, Nielsen Media Research.
di abbonamenti) e 425 nelle attività altre (di cui 105 di ricavi esterni di Medusa e Taodue, 61 da Mediashopping e
191 milioni di ricavi infragruppo). Si tenga presente, però, che i ricavi pubblicitari retrocessi a Rti – la controllata che
costituisce la società editrice dei canali tv in Italia – sono stati di 1.983 milioni. Il gruppo Endemol (1.189 milioni
di ricavi globali nel 2009, contro i 1.301 del 2008), di cui Mediaset detiene indirettamente il 33%, non è consolidato
all’interno del bilancio di gruppo
Televisione
25
4. La crisi della pubblicità televisiva in Europa e gli investimenti in programmazione
A consuntivo 2009, la pubblicità televisiva mostra segni negativi in tutti i grandi Paesi europei,
proseguendo la tendenza negativa già rilevata a fine 2008. La flessione è dell’ordine del 10% in
tutti i Paesi (9,8 in Francia e Germania; 11,0 nel Regno Unito; 11,7 in Italia), ad eccezione della
Spagna, dove è stata superiore al 20% (e la Spagna aveva già registrato il calo più consistente
nel 2008), e si era fatta sentire già a consunitvo 2008 per tutti i Paesi, tranne l’Italia che aveva
conservato un seppur minimo segno positivo (ma, per converso, senza mostrare nell’ultimo
quadriennio crescite superiori all’1% annuo, a differenza degli altri Paesi, a conferma di una
maggiore anelasticità).
Figura 1 - Tassi di crescita della pubblicità televisiva, 2006-2009 (%)
2006
2007
2008
2009
15,0
8,8
10,0
5,0
0,0
5,1 3,2
4,7
1,0 0,4 0,7
3,1
1,0
-2,3
-2,9
-5,0
-10,0
-2,9
-4,3
-9,8
-11,7
-15,0
7,3
-9,8
-11,0
-15,4
-20,0
-22,7
-25,0
Italia
Germania
Francia
Regno Unito
Spagna
Fonte: IEM su dati operatori e istituti di rilevazione pubblicitaria.
Una costante in tutti i Paesi è il dato negativo sia per i canali gratuiti leader (Itv, Telecinco, Tf1,
i canali Rtl Group in Germania) che per i canali gratuiti minori (come M6, Five e Cuatro).
Questa perdita viene ammortizzata, un po’ ovunque, dai canali digitali, colti in una fase di
crescita degli ascolti. Il dato migliore, in questo senso, viene dai canali francesi, con un notevole
+46%, mentre in mercati dove la mutazione del consumo è già a livelli avanzati, come il Regno
Unito, il multichannel registra un segno negativo, seppur attenuato (-1,9% ma +44% sul 2005).
Tabella 13 - Francia, ricavi pubblicitari tv, 2005-2009
Operatori
2009
2008
2007
2006
2005
Δ % 09-05
nd
310
427
442
428
-
-
France 3 (pubblica)
nd
221
289
289
270
-
-
France 5 (pubblica)
sub-totale France Télévisions
Tf1
nd
18
36
34
33
-
-
405
549
752
765
731
-26,2
-44,6
1429
1647
1718
1708
1648
-13,2
-13,3
M6
606
658
676
650
625
-11,0
-6,8
Tdt gratuita (digitali)
338
232
109
40
18
45,7
1767,4
Cavo e satellite (digitali)
Totale
150
172
181
169
149
-12,8
0,7
3544
3930
4106
3977
3783
-9,8
-6,3
Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazioni IEM su dati operatori, Npa Conseil.
26
Δ % 09-08
France 2 (pubblica)
Televisione
Pesante è anche il consuntivo delle emittenti pubbliche, in particolare France Télévision, per
via della progressiva esclusione degli spazi pubblicitari dal palinsesto (il dato di 405 milioni di
ricavi è stato comunque superiore alle previsioni del gruppo, che si attendeva una débacle ben
maggiore) e la spagnola Tve, che ne ha seguito lo stesso destino alla fine del 2009. Conservando
il suo modello di finanziamento, la Rai ha limitato le perdite al 17%.
La crisi della pubblicità televisiva dell’ultimo biennio, ammortizzata in Italia (dove il mezzo è
preponderante rispetto alla stampa e a Internet) meglio che altrove, ha reso il mercato italiano
il più ricco con poco meno di 4 miliardi di euro. Francia, Germania e Regno Unito si attestano
intorno ai 3,5 miliardi, mentre la Spagna ha perso 1,2 miliardi in 2 anni e a fine 2009 il suo
mercato vale 2,3 miliardi.
La crisi pubblicitaria ha avuto e avrà significative conseguenze sul mercato della produzione di
contenuti, segnatamente per le emittenti commerciali che hanno nella pubblicità la principale
fonte di ricavo e che rappresentano un fondamentale segmento della domanda e fonte di
finanziamento. I principali broadcaster privati europei, di conseguenza, sono intervenuti con
tagli più o meno pesanti sul budget di programmazione, cercando di trovare un equilibrio che
consentisse di conservare i margini operativi senza svilire l’appeal dei contenuti e perdere ascolti,
meccanismo che innescherebbe un circolo vizioso al ribasso. I tagli alla programmazione stanno
avendo, però, un effetto negativo sul mercato della produzione di contenuti originali da parte
delle società di produzione, indipendenti o collegate che siano. Ovviamente, la predilezione dei
broadcaster, specie in una fase di magra, va verso le società collegate, nel tentativo di assicurarsi
maggiore margine e di massimizzare gli eventuali ricavi secondari.
Tabella 14 - Germania, ricavi pubblicitari tv, 2005-2009
Operatori
2009
2008
2007
2006
2005
Δ % 09-08
Δ % 09-05
Ard (pubbliche)
141
171
168
177
158
-17,5
-10,8
Zdf (pubblica)
112
123
117
125
102
-8,9
9,9
Rtl Group
1583
1872
1799
1802
1721
-15,5
-8,0
ProsiebenSat.1 Media
1511
1582
1791
1786
1717
-4,5
-12,0
altri (analogici+digitali)
293
287
280
224
231
2,1
26,7
Totale
3640
4035
4156
4114
3930
-9,8
-7,4
Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazioni IEM su dati operatori, Zaw.
Tabella 15 - Regno Unito, ricavi pubblicitari tv, 2005-2009
Operatori
2009
2008
2007
2006
2005
Δ % 09-08
Δ % 09-05
Itv 1
1238
1406
1532
1655
1880
-12,0
-34,1
Channel 4
601
699
760
748
796
-14,1
-24,6
Five
233
305
322
322
339
-23,5
-31,0
Multichannel (digitali)
1395
1422
1333
1170
969
-1,9
44,0
- di cui Itv digital
275
272
235
176
125
1,2
120,7
- di cui C4 digital
192
190
167
140
99
0,8
94,3
- di cui Five digital
49
64
48
21
0
-22,8
-
- di cui Bskyb
346
368
395
384
369
-6,1
-6,4
Sub-totale Itv
1513
1678
1767
1831
2005
-9,8
-24,5
Sub-totale Channel 4
792
890
926
887
895
-10,9
-11,5
Sub-totale Five
283
369
370
343
339
-23,4
-16,4
Totale
3467
3896
4013
3894
3984
-11,0
-13,0
Note: dati in milioni di euro al cambio medio 2009 (0,8909 sterline = 1 euro). Dati Bskyb al 30 giugno di ogni anno.
Fonte: elaborazioni IEM su dati operatori, Ofcom.
Televisione
27
Tabella 16 - Spagna, ricavi pubblicitari tv, 2005-2009
Operatori
2009
2008
2007
2006
2005
Δ % 09-08
Δ % 09-05
Tve (pubbliche)
422
597
715
693
709
-29,3
-40,5
Autonómicas (pubbliche)
238
320
355
345
381
-25,6
-37,5
Telecinco
590
893
1006
923
871
-33,9
-32,3
Antena Tres
555
659
802
804
800
-15,8
-30,6
Cuatro
249
293
273
173
21
-14,9
1109,7
La Sexta
189
157
120
45
-
20,0
-
Veo Tv (digitale)
9
11
5
-
-
-15,2
-
Net Tv (digitale)
22
9
<1
-
-
149,4
-
Locali
9
38
51
47
42
-76,0
-78,4
Tematiche (digitali)
60
56
60
44
31
7,1
91,4
Totale
2343
3032
3582
3291
3067
-22,7
-23,6
Note: dati in milioni di euro. I dati a disposizione per il mercato spagnolo sottostimano generalmente le tv locali e
tematiche. Fonte: elaborazioni IEM su dati operatori, Cmt, Infoadex.
Nell’ultimo triennio – prendendo in esame i maggiori broadcaster commerciali di Italia, Francia
e Regno Unito, la contrazione dei ricavi ha prodotto sia un taglio ai costi di programmazione
che un’erosione del margine di programmazione (l’incidenza percentuale dei costi di
programmazione sui ricavi pubblicitari), particolarmente grave per le emittenti britanniche,
il cui punto di rottura sarebbe già occorso se non contribuissero ulteriori margini prodotti dai
canali digitali e dalle attività diverse.
Figura 2 - Incidenza dei costi di programmazione sui ricavi, 2007-2009 (%)
100
86,9 87,1
90
80
77,7
82,1
86,8
2007
77,1
70
59,6
60
62,7
2008
2009
64,9
50,6 50,9
54,8
50
52,7
50,1
44,8
40
30
20
10
0
Itv 1
Channel 4
Tf1
Mediaset
M6
Fonte: IEM su bilanci aziendali.
I margini si sono dunque assottigliati, specialmente sul mercato britannico, dove il grado di
competizione sul mercato interno è alto e la concorrenza costringe a tagliare sui contenuti il
meno possibile. Ciononostante, il taglio è stato rilevante per i principali broadcaster finanziati
da pubblicità come Channel 4 e Itv. Il margine di Channel 4, ad esempio, si è dimezzato negli
ultimi due anni.
Itv 1, dal canto suo, in crisi permanente ormai da una decina di anni, ha scaricato la flessione
pubblicitaria del 2009 quasi integralmente sul costo dei contenuti (134 milioni di sterline di
flessione, 114 di tagli ai programmi).
28
Televisione
Sul mercato francese, che sta sperimentando solo negli ultimi anni l’impetuosa crescita dei
canali digitali, i margini sono relativamente più alti. Nondimeno, per il canale leader Tf1 la
decrescita degli introiti pubblicitari è stata, nel 2009, di oltre 200 milioni, e 100 sono stati
recuperati sul costo della programmazione, mantenendo il margine operativo lordo sui 500
milioni.
Con ricavi minori ma margini storicamente elevati, il follower M6 ha tagliato il budget di più
di 40 milioni, recuperando parte dei 50 milioni di minori introiti pubblicitari.
Figura 3 - Channel 4, ricavi e costo della programmazione, 2007-2009 (M£)
Ricavi pubblicitari
1400
costo della programmazione
1224
1127
1200
993
979
951
1000
865
800
600
400
200
0
2007
2008
2009
Fonte: IEM su bilanci Channel 4.
Figura 4 - Itv 1, ricavi e costo della programmazione, 2007-2009 (M£)
Ricavi pubblicitari
800
700
costo della programmazione
677
620
600
522
509
500
535
465
400
300
200
100
0
2007
2008
2009
Fonte: IEM su bilanci Itv.
Televisione
29
Figura 5 - Tf1, ricavi e costo della programmazione, 2007-2009 (M€)
Ricavi pubblicitari
2000
1800
1718
Costo della programmazione
1647
1600
1429
1400
1200
1032
1024
927
1000
800
600
400
200
0
2007
2008
2009
Fonte: IEM su bilanci Tf1.
Figura 6 - M6, ricavi e costo della programmazione, 2007-2009 (M€)
ricavi pubblicitari
800
700
676
costo della programmazione
658
606
600
500
400
303
300
347
304
200
100
0
2007
2008
2009
Fonte: IEM su bilanci M6.
Come ultimo esempio, l’italiana Mediaset. Il gruppo, in un contesto di mercato dove la
concorrenza digitale comincia ora a guadagnare ascolti sensibili, anche se non ancora
accompagnati da ricavi pubblicitari adeguati (poche fra le offerte in chiaro sono arrivate a breakeven, e buona parte dei ricavi del digitale terrestre sono appannaggio dei canali Mediaset), ha
sempre avuto margini più elevati degli omologhi europei – tali che a fronte di un decremento
dei ricavi sulle generaliste dell’8,6%, il taglio al costo del palinsesto è stato di solo l’1,8% (20
milioni). Taglio che si è comunque concentrato sulla produzione di fiction originale (secondo
stime di mercato, 60-80 milioni in meno nel 2009).
30
Televisione
Figura 7 - Mediaset, ricavi e costo della programmazione, 2007-2009 (M€)
Ricavi pubblicitari
costo della programmazione
3000
2500
2452
2451
2241
2000
1500
1249
1239
1227
1000
500
0
2007
2008
2009
Note: solo canali generalisti. Fonte: IEM su bilanci Mediaset.
Televisione
31
Radio
32
Radio
di Chiara Valmachino
1. Lo scenario
Secondo le rilevazioni Audiradio, nel 2009 la platea radiofonica italiana era composta da
39,1 milioni di ascoltatori nel giorno medio, con un incremento dell’1,87% rispetto all’anno
precedente.
Il dato conferma una tendenza positiva, perdurante dal 2005: con una sola, lieve battuta di arresto
nel 2008 (-0,7% sull’anno precedente), gli ascolti della radio risultano, infatti, costantemente in
crescita nell’ultimo quinquennio, a un tasso medio dell’1,25% annuo.
Tabella 1 - Ascolto della radio in Italia, 2005-2009
Anno
Ascoltatori (000)
2005
37.205
2006
37.995
2007
38.654
2008
38.381
2009
39.098
Var. annuale %
1,76
2,12
1,73
-0,70
1,87
Note: migliaia di ascoltatori nel giorno medio, base: individui anni 11+. Fonte: elaborazione IEM su dati Audiradio.
La radio tocca il suo picco di ascolti nella fascia oraria mattutina tra le 6 e le 9, in cui raggiunge
mediamente 21,3 milioni di utenti; dopo un progressivo calo nel corso della mattinata, la curva
di ascolto torna a crescere tra le 15 e le 18 (con circa 16,5 milioni di utenti), per poi scendere
nuovamente, fino ai 5,6 milioni di ascoltatori della serata (tra le 21 e le 24).
I picchi di ascolto nel cosiddetto “drive time” - il tempo dedicato agli spostamenti in auto - sono
il segnale di un consumo radiofonico prevalentemente extra-domestico: secondo Audiradio, in
effetti, nel 2009 ben il 73% degli ascoltatori nel giorno medio ha utilizzato la radio fuori casa, e,
in particolare, il 60% ne ha fruito in automobile.
Come già più volte sottolineato anche nei precedenti Rapporti IEM, la portabilità è, del resto,
una delle principali chiavi del duraturo successo della radio, un mezzo interstiziale e versatile,
che accompagna, punteggia e si adatta alle attività quotidiane del pubblico.
Come il numero assoluto di ascoltatori, risulta in crescita nel 2009 anche il tasso di penetrazione
della radio nel giorno medio (ovvero il rapporto percentuale tra gli ascoltatori del mezzo e
l’intera popolazione sopra gli 11 anni), che si attesta al 73,1%, contro il 72,3% del 2008.
Il core target della radio è quello giovane-adulto: è utente di questo medium più dell’80% della
popolazione tra i 15 e i 44 anni; il tasso di penetrazione più elevato si registra, in particolare,
Radio
33
nella fascia 25-34 anni (83,7%). I valori decrescono, invece, sensibilmente con l’avanzare dell’età,
fino a raggiungere il 56,9% di penetrazione tra gli ultra sessantacinquenni.
Figura 1 - Percentuale di penetrazione della radio per fasce di età (2009)
90
80
81,1
78,1
82,1
83,7
80,6
75
73,1
66,9
tasso % di penetrazione
70
56,9
60
50
40
30
20
10
0
Totale 11-14
più di 11 anni
anni
15-17
anni
18-24
anni
25-34
anni
35-44
anni
45-54
anni
55-64
anni
65 anni
e oltre
fasce di età
Fonte: elaborazione IEM su dati Audiradio.
Rispetto al 2008, tuttavia, i dati rilevano un – seppur modesto – invecchiamento nel profilo
demografico dell’utente radiofonico. L’appeal del mezzo descresce, infatti, nella fascia 18-24
anni (-1,5% sul 2008); resta sostanzialmente invariato tra i 25-34enni (-0,3%); cresce, invece, in
tutte le fasce di età successive: in particolare, si registra un aumento del tasso di penetrazione
dell’1,7% nella fascia 45-54 e dell’1,5% nella popolazione over 65.
Figura 2 - Percentuale di penetrazione della radio per sesso, istruzione e area geografica
(2009)
0
20
40
80
60
totale (% media)
73,1
sesso
Uomini
78,4
Donne
68,2
grado di istruzione
Univers./Secondaria II gr.
77,9
Secondaria I grado
Scuola primaria/nessuno
72,3
54
area geografica
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud /isole
Note: target individui anni 11+. Fonte: elaborazione IEM su dati Audiradio.
34
Radio
75
74,6
73,3
70,8
100
I dati Audiradio 2009 confermano, rispetto agli anni precedenti, che l’ascoltatore radiofonico
è prevalentemente di sesso maschile: il 78,4% dei maschi sopra gli 11 anni è utente della radio,
contro il 68,2% della popolazione femminile.
Il tasso di penetrazione è massimo, inoltre, tra gli individui che hanno conseguito il diploma o
la laurea (77,9%), ed è minimo tra i cittadini senza titoli di studio (54%, dato in calo dell’1,6%
rispetto al 2008). Infine, l’ascolto radiofonico è più frequente nelle regioni del Nord Italia (con
un tasso medio del 74,8%) rispetto al Centro e al Sud.
Emerge, infine, nel 2009 rispetto agli anni precedenti, l’immagine inedita di un ascoltatore più
“nomade”, che probabilmente tende a incrociare, alternare e accumulare molteplici consumi
su diverse piattaforme. La durata media di ascolto radiofonico giornaliero risulta, infatti,
sensibilmente in calo: si passa da 179 a 166 minuti (- 7,3%), valore inferiore a tutti i livelli
registrati dal 2005 in avanti1.
Figura 3 – Durata media di ascolto della radio in Italia (2005-2009)
185
181
180
173
171
minuti
175
179
170
166
165
160
155
2005
2006
2007
anni
2008
2009
Note: minuti di ascolto nel giorno medio, target individui anni 11+. Fonte: elaborazione IEM su dati Audiradio.
Attualmente il mercato radiofonico italiano conta 18 emittenti nazionali, pubbliche e private,
che trasmettono prioritariamente in analogico terrestre. Ad esse si aggiungono le syndication
nazionali o sovraregionali (ovvero i consorzi di emittenti locali, che condividono la gestione
della raccolta pubblicitaria e acquistano da una capofila – o super station – parte della
programmazione, trasmettendola poi in simultanea); le radio comunitarie, nazionali e locali;
le emittenti locali.
L’esatta quantificazione dell’emittenza radiofonica locale in modulazione di frequenza (Fm) è
difficoltosa. Come sottolinea l’associazione di categoria Frt, in un mercato radiofonico da anni
interessato a un forte processo di concentrazione, le frequenze di piccole emittenti vengono
spesso acquisite e inglobate da grandi network senza nemmeno un’ufficializzazione puntuale
dei cambiamenti. Pur con le dovute cautele, la stessa Frt stima comunque che nel 2007 fossero
in onda (in Fm) circa 930 emittenti locali.
I principali operatori sul mercato italiano della radiofonia sono riconducibili a tre categorie:
1- L’editore radiotelevisivo pubblico, Rai - Radio Televisione Italiana. La Rai possiede tre
emittenti nazionali, Radio 1, Radio 2 e Radio 3, le cui infrastrutture sono gestite dalla controllata
Rai Way spa. Inoltre, alla concessionaria pubblica appartiene il canale radiofonico di pubblica
1
Tra le emittenti nazionali, nel 2009 si aggiudica il primato nella durata di ascolto l’emittente commerciale
Radio 105, con una media di 105 minuti giornalieri. Seguono il terzo canale pubblico, Rai Radio 3, con una media
di 104 minuti di ascolto, e l’emittente religiosa Radio Maria, con 97 minuti. La minor durata di ascolto è registrata,
invece, da Radio Radicale e da M2o, che totalizzano entrambi 58 minuti nel giorno medio.
Radio
35
utilità Isoradio (che trasmette per lo più in isofrequenza, con informazioni sulla mobilità e
musica).
2. Gruppi editoriali privati, con un core business nella radiofonia, tra cui i principali sono:
•
il Gruppo Finelco spa (presieduto dall’azionista di maggioranza, Alberto Hazan): è
proprietario di tre canali nazionali, ovvero Radio 105, Radio Montecarlo (RMC) e
Virgin Radio. Quest’ultima emittente è nata dal rebranding di Play Radio, che il gruppo
Finelco ha acquisito nel 2007 da RCS Media Group. In cambio, RCS era entrata con il
34,6% nell’azionariato della stessa Finelco. Nel luglio 2009 l’accordo tra Finelco ed RCS,
valido fino al 2012, è stato rinnovato fino al 2014; il nuovo patto prevede un aumento di
capitale del gruppo radiofonico per 10 milioni di euro, in seguito a cui RCS incrementa la
partecipazione nel capitale sociale di Finelco, arrivando al 37,2%. L’accordo, inoltre, dà a
RCS diritti di opzione per acquisire l’intero gruppo radiofonico tra il 2014 e il 2015;
•
Radio Dimensione Suono spa (di cui è proprietario e presidente l’imprenditore Eduardo
Montefusco): gestisce a livello nazionale l’emittente musicale di flusso Rds 100% Grandi
successi, e a livello locale le radio Dimensione Suono Roma, Dimensione Suono Due, Ram
Power e Discoradio (acquisita nel 2006);
•
Rtl 102.5 Hit Radio srl (di cui è presidente il fondatore Lorenzo Suraci): controlla la radio
nazionale Rtl 102.5 e l’omonima emittente televisiva (ex Hit channel), che trasmette freeto-air, con la formula della “radiovisione”, sul satellite e sul digitale terrestre;
•
Radio Italia spa: controlla l’emittente nazionale Radio Italia Solomusicaitaliana; dal 2004,
la società era anche editore del canale Tv satellitare Radio Italia Tv, chiuso nel luglio 2009.
Dal 1° gennaio 2010, la raccolta pubblicitaria di Radio Italia è stata affidata in esclusiva a
Manzoni, concessionaria del Gruppo Espresso (che già cura la raccolta dei canali radio di
Elemedia);
•
l’Associazione Radio Maria: edita l’omonima emittente religiosa (nata come radio
parrocchiale ad Arcellasco d’Erba, in provincia di Como e divenuta poi radio nazionale).
Nel 1998, l’Associazione ha fondato anche l’Ong World Family of Radio Maria, da cui
dipendono oggi 45 emittenti radiofoniche sparse nel mondo.
3. Filiali radiofoniche di gruppi editoriali con un core business nella carta stampata. Tra questi,
i principali sono:
•
Elemedia Spa (controllata al 100% dal Gruppo editoriale L’Espresso): gestisce tre emittenti
radiofoniche nazionali, ovvero la generalista Radio Deejay, il canale di informazione
e musica Radio Capital, la rete musicale a target giovane M2o. Elemedia controlla
anche l’emittente televisiva Deejay Tv, che dal settembre 2009 ha rimpiazzato Allmusic,
ereditandone la programmazione. Deejay Tv è in onda in chiaro sul digitale terrestre e
in analogico. Sulla pay tv satellitare di Sky Allmusic è stata invece sostituita da un nuovo
canale musicale, MyDeejay Tv;
•
Monradio Srl (interamente controllata dal Gruppo Mondadori): possiede l’emittente allgenre Radio 101 (R101). Si deve anche sottolineare che, nel marzo 2009, la Mondadori
Pubblicità ha acquisito in esclusiva la raccolta pubblicitaria dell’emittente commerciale
Radio Kiss Kiss, con sede a Napoli;
•
Nuova Radio Spa (controllata al 100% dal Gruppo Il Sole 24 Ore), che gestisce l’emittente
“news and talk” Radio 24;
•
Rcs Mediagroup: come si è già ricordato, la media company milanese è attualmente socia
di minoranza nel gruppo radiofonico Finelco, a cui ha ceduto nel 2007 l’emittente Play
Radio; nel dicembre 2008, inoltre, Rcs ha ceduto al gruppo Next di Domenico Zambarelli
il marchio (detenuto ma non utilizzato) di Radio Italia Network, emittente che ha ripreso
a gennaio 2009 le trasmissioni in Fm, su scala sovra regionale.
Analizzando i dati di ascolto delle emittenti nel 2009, balza subito in evidenza una generalizzata
36
Radio
contrazione nei contatti delle emittenti nazionali (-5,5% in totale, rispetto al 2008), pur a fronte
del già citato aumento complessivo di ascoltatori del mezzo radiofonico: sono, probabilmente,
le radio locali e sovra regionali ad aver guadagnato in termini di audience, a discapito delle
emittenti nazionali. In questo settore, le uniche performance positive del 2009 sono registrate
dalle reti del gruppo Finelco Radio 105 (con un ottimo + 23,1% sul 2008) e Virgin Radio
(+4,6%), e da Radio Kiss Kiss (2,1%).
La rete ammiraglia della concessionaria pubblica, Radio 1, conferma - come in tutto il
quinquennio precedente - la propria leadership nella classifica dell’audience, con 6,2 milioni
di contatti nel giorno medio; tuttavia, gli ascolti del 2009 risultano fortemente ridimensionati
rispetto all’anno precedente (-9,1%). Il sensibile calo di ascolti riguarda anche le altre due
emittenti Rai, Radio 3 (-6,3%) e soprattutto Radio 2 (che passa da 4,9 a 3,8 milioni di contatti,
con un crollo del 23,1%), probabilmente penalizzata dalla chiusura del programma di punta
Viva Radio 2, condotto da Fiorello e da Marco Baldini.
Come nel 2008, Rtl 102.5 è la seconda radio nazionale più ascoltata, con 5,3 milioni di contatti
(in calo, però, di un moderato 2% sull’anno precedente).
Segue, a breve distanza, Radio Deejay, che perde però 210 mila ascoltatori rispetto al 2008,
contribuendo a confermare i risultati poco brillanti del Gruppo Elemedia (che resta il primo
gruppo commerciale italiano, ma totalizza una perdita del 5,9% sul 2008, stesso risultato
negativo dell’anno precedente).
Al contrario, si osserva l’ascesa del gruppo Finelco (+4,8%): i già citati lusinghieri risultati
di Radio 105 (che guadagna ben 530 mila ascoltatori) e, in parte, di Virgin Radio riescono a
tamponare la performance negativa di Radio Montecarlo (-13,6%).
Tabella 2 - Ascolto delle emittenti radiofoniche nazionali nel giorno medio (2005-2009)
Rai Radiouno (R)
2009
2008
2007
2006
6.250
6.876
6.744
6.720
2005
6.399
Variaz. %
2008-09
-9,10
RTL 102.5
5.291
5.399
5.166
4.907
4.125
-2,00
Radio Deejay (E)
5.037
5.249
5.586
5.758
5.587
-4,04
RDS 100% Grandi Successi
5.034
5.263
5.014
4.965
4.505
-4,35
Radio 105 Network (F)
4.507
3.975
3.961
3.703
3.547
13,38
Rai Radiodue (R)
3.781
4.918
4.988
5.486
4.213
-23,12
Radio Italia Solo Musica Italiana
3.662
3.799
3.776
3.223
3.260
-3,61
Radio Kiss Kiss
2.290
2.242
2.374
1.724
1.355
2,14
Radio R101
1.990
2.080
1.952
1.381
n.d.
-4,33
Radio 24 - Il Sole 24 Ore
1.885
2.113
1.859
1.763
1.572
-10,79
Rai Radiotre (R)
1.868
1.993
1.943
1.914
1.858
-6,27
Virgin Radio (F)
1.786
1.707
n.d.
n.d.
n.d.
4,63
Radio Maria
1.608
1.715
1.806
1.694
1.829
-6,24
RMC Radio Montecarlo (F)
1.571
1.818
1.920
2.056
2.075
-13,59
Radio Capital (E)
1.520
1.623
1.857
2.039
1.980
-6,35
M2O (E)
1.292
1.469
1.416
1.066
1.007
-12,05
Isoradio (R)
969
1.181
1.177
1.115
1.086
-17,95
Radio Radicale
448
515
536
545
449
-13,01
Gruppo Rai (R)
12.868
14.968
14.852
15.235
13.556
-14,03
Gruppo Elemedia (E)
7.849
8.341
8.859
8.863
8.574
-5,90
Gruppo Finelco (F)
Totale contatti * emittenti nazionali
7.864
7.500
5.881
5.759
5.622
4,85
50.825
53.935
50.685
50.059
44.847**
-5,77
Note: migliaia di ascoltatori nel giorno medio; in corsivo le emittenti pubbliche; (*) i dati sui contatti sono al lordo
delle sovrapposizioni (ovvero dell’ascolto quotidiano di più emittenti); (**) dato non comparabile per l’assenza di
rilevazioni dell’emittente R101 nel 2006. Fonte: elaborazione IEM su dati Audiradio.
Radio
37
In relazione ai dati di ascolto, occorre comunque precisare che dal 2009 Audiradio ha iniziato
la sperimentazione di una nuova metodologia di raccolta dati, perfezionata e ampliata con
l’indagine 2010: la tradizionale ricerca, effettuata per via telefonica su un campione di 120.000
soggetti, viene ora integrata, anche per gli ascolti del giorno medio (ma solo per le emittenti
nazionali che hanno aderito alla nuova metodologia) con un’indagine tramite panel-diari, su
un campione di 14.400 individui.
I primi dati del 2010 pubblicati, relativi al primo trimestre dell’anno, restituiscono uno
scenario radicalmente modificato, che non può essere tout court comparato con i risultati delle
precedenti rilevazioni, ma che – se confermato2 – apre la via a nuove riflessioni.
Innanzitutto, il totale dei contatti per le emittenti radiofoniche nazionali - pari a 58 milioni
nel giorno medio - risulterebbe molto superiore a quello indicato in tutto il quinquennio
precedente (con dati che oscillavano tra i 50 e i 54 milioni) .
Anche dalle performance delle singole emittenti sembrano giungere variazioni rilevanti agli
equilibri stabiliti. In sintesi, emerge nel primo trimestre 2010 un inatteso successo di Radio
1, che, con 7,6 milioni di contatti, distanzia nettamente Radio Deejay; quest’ultima conquista
la seconda posizione, superando la soglia dei 6 milioni di ascoltatori e scavalcando Rtl 102.5
(ferma a 5,5 milioni).
In sorprendente controtendenza rispetto alla precedente rilevazione, risulta al quarto posto il
secondo canale Rai, Radio 2 (5,3 milioni), seguito dalla capofila del gruppo Finelco, Radio 105, a
quota 4,7 milioni di ascoltatori. Completerebbe un quadro molto positivo per la concessionaria
pubblica il balzo in avanti di Radio 3, che arriverebbe a sfiorare i 3 milioni di contatti nel giorno
medio.
Tutte le radio presenti nella top ten 2009 vedono ritoccati in positivo i propri ascolti: fa però
eccezione RDS Radio Dimensione Suono, pesantemente ridimensionata rispetto alle precedenti
rilevazioni (con 4,6 milioni di ascoltatori, contro i 5 milioni di tutto il triennio precedente).
Osservando, infine, le performance dei principali gruppi radiofonici commerciali, si deve
sottolineare, da un lato, che il gruppo Elemedia totalizzerebbe 9,5 milioni di contatti complessivi,
ben al di sopra dei 7,8 del 2009 (ai positivi risultati di RadioDeejay e di Radio Capital, fa tuttavia
da contraltare l’opaca performance di M2o, ferma intorno al milione di contatti).
In chiaroscuro paiono, d’altra parte, i risultati del concorrente gruppo Finelco (a quota 8,1
milioni di contatti totali, solo lievemente superiori ai 7,9 calcolati nel 2009): mentre Radio
105 si mantiene al quinto posto della classifica generale, Virgin Radio si ferma a 1,6 milioni di
ascoltatori e viene superata in classifica dalla “cugina” Radio Montecarlo, oltre che da Radio
Capital.
Tabella 3 - Ascolto delle emittenti radiofoniche nazionali nel giorno medio (I trimestre 2010)
Ascolti (I trimestre 2010)
Rai Radiouno (R)
7.634
Radio Deejay (E)
6.276
RTL 102.5
5.533
Rai Radiodue (R)
5.280
Radio 105 Network (F)
4.764
RDS 100% Grandi Successi
4.658
Radio Italia Solo Musica Italiana
3.902
Rai Radiotre (R)
2.978
Radio Kiss Kiss
2.494
2
La metodologia di Audiradio è probabilmente destinata ad essere presto nuovamente modificata. A luglio
2010, il CdA di Audiradio ha dato, infatti, mandato al proprio presidente di studiare tutte le soluzioni più affidabili
per affinare i risultati della nuova metodologia di indagine, contestata in questi mesi da diversi operatori del settore.
38
Radio
Radio R101
2.491
Radio 24 - Il Sole 24 Ore
2.371
Radio Capital (E)
2.251
RMC Radio Montecarlo (F)
1.731
Radio Maria *
1.626
Virgin Radio (F)
1.605
M2o (E)
1.031
986
Radio Radicale *
470
Totale
contatti **
Isoradio (R) *
Gruppo Rai (R)
16.878
Gruppo Elemedia (E)
9.558
Gruppo Finelco (F)
8.100
Totale contatti ** emittenti nazionali
58.081
Note: migliaia di ascoltatori nel giorno medio; in corsivo le emittenti pubbliche; (*) Radio Maria, Isoradio e Radio
Radicale non hanno aderito alla rilevazione tramite panel-diari; pertanto, i dati di queste emittenti risultano dalla
sola indagine telefonica; (**) i dati sui contatti devono essere considerati al lordo delle sovrapposizioni tra diverse
emittenti. Fonte: elaborazione IEM su dati Audiradio.
2. Gli investimenti pubblicitari
Nel 2009, secondo le stime di Nielsen Media Research, gli investimenti pubblicitari nei
principali media italiani (stampa, radio, tv, cinema, internet e affissioni) hanno subito una
contrazione del 13,2% rispetto all’anno precedente, attestandosi complessivamente a 7,99
miliardi di euro. In questo contesto, la radio ha chiuso l’anno con una perdita – tutto sommato
moderata - del 7,7%, raccogliendo investimenti per 436,3 milioni di euro (contro i 472,9 del
2008). Secondo i dati Nielsen, il settore radiofonico ha rappresentato nel 2009 il 5,46% del
mercato pubblicitario, dato in lieve crescita rispetto alla precedente rilevazione.
Tabella 4 – Radio: investimenti pubblicitari in Italia (2005-2009)
Totale pubblicità (*)
Radio (**)
Incidenza % Radio su
Totale
Var. %
2008-09
2009
2008
2007
2006
2005
2004
7.994.277
9.214.314
8.978.580
8.553.825
8.460.442
8.116.241
-13,24
436.317
472.904
476.084
440.669
408.597
400.214
-7,7
5,46
5,13
5,3
5,15
4,83
4,93
-
Note: dati in migliaia di euro; (*) Sono inclusi nel totale gli investimenti nei seguenti media: tv, stampa, radio,
cinema, Internet, affissioni; (**) investimenti sulle radio nazionali. Fonte: elaborazione IEM su stime Nielsen Media
Research
Vale la pena sottolineare che, confrontando i dati di Nielsen Media Research sugli investimenti
pubblicitari con quelli prodotti da altre fonti, emergono valori differenti, dovuti principalmente
alle discrepanti metodologie di elaborazione dei dati (tra l’altro considerati talora al lordo,
talora al netto delle commissioni di vendita e/o degli sconti di agenzia)3. Tuttavia, restano
costanti due importanti elementi di fondo: il settore radiofonico detiene nel 2009, secondo
tutte le fonti, una quota tra il 5 e il 5,5% del mercato pubblicitario complessivo; gli investimenti
pubblicitari nella radio nel 2009 risultano diminuiti rispetto all’anno precedente, di una quota
oscillante tra l’8% circa (indicato da Agcom, Nielsen, Fcp-Assoradio) e l’11% (indicato dalle
stime di Assocomunicazione).
3
Si deve ricordare che, dal gennaio 2009, Nielsen Media Research elabora le proprie stime sul mercato
pubblicitario utilizzando anche i dati sulla radio raccolti dall’Osservatorio FCP-Assoradio: quest’ultimo aggrega i
dati mensili di fatturato pubblicitario forniti direttamente dalle concessionarie nazionali (e non si basa, invece, sui
prezzi di listino successivamente ponderati secondo un valore medio di abbattimento, come faceva in precedenza
Nielsen).
Radio
39
Il periodo nero del mercato pubblicitario italiano – iniziato nel secondo semestre 2008 e
connesso alla crisi economica internazionale – mostrava i segnali di un’inversione di tendenza
già alla fine dell’anno scorso: secondo Nielsen Media Research, nel mese di dicembre 2009 il
calo di investimenti complessivi era solo dell’1,6% rispetto allo stesso mese del 2008; proprio la
radio faceva segnare performance mensili molto incoraggianti, con una crescita del 24,6% sul
mese di dicembre 2008.
Tabella 5 – Rilevazioni del mercato radiofonico nazionale a confronto (2008-2009)
Radio - volume
investimenti
2009
Radio - volume
investimenti
2008
Variazione %
% radio su totale
investimenti nei
media - 2009 (*)
Nielsen Media Research
436.317
472.904
-7,7
5,46
Fcp-Assoradio
370.859
402.037
-7,7
-
Agcom / Nielsen Media Research (**)
403.000
437.000
-7,8
5,32
-
396.530
-
-
443.000
498.000
-11
5
Fonte
Agcom – IES (**)
Assocomunicazione (***)
Note: Dati in migliaia di euro, relativi agli investimenti sulle radio nazionali (*) Sono inclusi nel totale gli investimenti
sui seguenti media: Tv, stampa, radio nazionali, cinema, Internet, affissioni; (**) La relazione annuale Agcom rielabora
dati forniti da Nielsen Media Research; Agcom produce anche un’altra valorizzazione del settore radiofonico, con
dati estratti dall’Informativa Economica di Sistema (IES). (***) Le cifre di Assocomunicazione sono frutto di stime
previsionali, prodotte in corso d’anno, per le radio nazionali. Comprendendo le emittenti locali il dato sarebbe di 589
milioni. Fonte: elaborazione IEM su stime Nielsen Media Research , Fcp-Assoradio, Agcom, Assocomunicazione.
La tendenza a una cauta ripresa è stata confermata nei primi mesi del nuovo anno: sempre
secondo Nielsen, nel primo trimestre 2010, infatti, gli investimenti pubblicitari sui principali
mezzi aumentano del 4,35% rispetto allo stesso periodo 2009; positivi appaiono, in particolare,
i risultati del settore radiofonico, che da gennaio a marzo cresce del 12,6% sul primo trimestre
2009, grazie soprattutto alla buona performance della pubblicità tabellare.
Tabella 6 – Radio: investimenti pubblicitari in Italia (primo trimestre 2010)
I trimestre 2010
I trimestre 2009
Variazione %
2.044.616
1.959.338
4,35
104.726
93.031
12,6
di cui Tabellare
96.491
85.282
13,1
di cui Extra Tabellare
8.236
7.748
6,3
Totale pubblicità (*)
Radio (**)
Note: Dati in migliaia di euro; (*) Sono inclusi nel totale gli investimenti nei seguenti media: Tv, stampa, radio,
cinema, Internet, affissioni; (**) investimenti sulle radio nazionali. Fonte: elaborazione IEM su stime Nielsen
Media Research.
Anche il Rapporto 2010 “Comunicare Domani” di Assocomunicazione segnala che “nonostante
il perdurare di difficoltà nell’economia reale e nel mercato dei capitali, esistono primi solidi
segnali di ripresa […] per quanto riguarda gli investimenti in comunicazione”. Le stime di
Assocomunicazione parlano di una crescita costante ma lenta, che dovrebbe portare a recuperare
i livelli di investimento del 2008 entro 4 anni. Per il 2010, l’incremento complessivo degli
investimenti pubblicitari previsto è intorno al 2%. In questo contesto, la raccolta pubblicitaria
sulle radio nazionali dovrebbe crescere del 4% rispetto al 2009, trainata dai buoni risultati delle
emittenti commerciali (+4,5%, a fronte di un + 2,2% delle reti pubbliche).
Assocomunicazione, a differenza di altre fonti4, rileva anche gli investimenti sulle radio locali:
calcolando che il settore locale abbia rappresentato il 28% degli investimenti radiofonici totali
nel 2009, con 171 milioni di euro, Assocomunicazione prevede in questo segmento, per il 2010,
un perdurante stallo (con 170 milioni di investimenti, pari al 29% circa del totale).
4
Anche l’Agcom produce, per la verità, dati sulla raccolta pubblicitaria delle radio a diffusione locale, integrando le informazioni fornite dai maggiori operatori locali per l’Informativa Economica di Sistema con stime sui
restanti operatori. L’ultimo dato disponibile è purtroppo fermo al 2008, e calcola che la raccolta pubblicitaria delle
radio locali fosse di 182 milioni di euro, pari al 31,4% della raccolta radiofonica totale.
40
Radio
Tabella 7 - Radio: investimenti pubblicitari in Italia (previsione 2010)
Previsione 2010
Radio nazionali
Variaz. %
419.000
4
emittenti pubbliche
91.000
2,2
emitt. commerciali
328.000
4,5
Radio locale
170.000
0
Totale radio
589.000
2,8
Note: Dati in migliaia di euro. Fonte: elaborazione IEM su dati Assocomunicazione
3. Il confronto internazionale
Su scala mondiale, gli investimenti pubblicitari nel settore radiofonico ammontavano nel 2009
a 24,3 miliardi di euro: secondo Zenith Optimedia, tale cifra era il risultato di una perdita
del 10,9% sul 2008, superiore di un punto percentuale al decremento medio della raccolta
pubblicitaria globale (che si è fermata nel 2009 a quota 319 miliardi di euro, con una perdita
complessiva del 9,8% sull’anno precedente).
Tabella 8 - Radio: investimenti pubblicitari nel mondo e in Europa (2008-2009)
2009
2008
Δ%
Totale pubblicità (mondo)
319.900
354.500
-9,8
Radio (mondo)
24.300
27.300
-10,9
Radio (Europa)
5.200
6.000
-13,3
Europa occidentale
4.300
4.800
-9,4
900
1.200
-25,6
Europa orientale
Note: dati in milioni di euro. Fonte: Zenith Optimedia
In Europa, il mercato dell’advertising radiofonico nel 2009 valeva 5,2 miliardi di euro, e
rappresentava il 21,4% degli investimenti globali nel mezzo. Gli investimenti pubblicitari nella
radio, in Europa, risultavano nel 2009 calati del 13,3% rispetto all’anno precedente; presentava
un saldo particolarmente negativo l’area dell’Europa orientale, con un decremento del 25,6%
rispetto al 2008.
Tabella 9 - Investimenti pubblicitari nei principali mercati europei (2009)
Totale pubblicità
Radio
% Radio su totale
Francia
10.291
676
6,57
Germania
18.337
679
3,70
Italia
7.994
436
5,46
Regno Unito
16.275
456
2,80
Spagna
5.621
537
9,55
Totale
58.518
2.784
4,76
Note: dati in milioni di euro, riferiti agli investimenti pubblicitari netti; (*) i dati relativi all’Italia riguardano solo le
emittenti radiofoniche nazionali; (**) i dati relativi al Regno Unito sono al netto delle sponsorizzazioni e del branded
content radiofonico. Fonti: elaborazione IEM su dati Irep, Zaw, Nielsen, Warc/AA, Infoadex.
I dati sulla spesa pubblicitaria nei singoli mercati europei sono di difficile comparazione,
poiché non coincidono perfettamente le metodologie di raccolta e di elaborazione utilizzate
dai diversi centri di ricerca nazionali. In generale, si può comunque osservare che la radio
occupa nel 2009 una porzione assai ridotta nel media mix dei due maggiori mercati pubblicitari
europei, ovvero Regno Unito (2,8%, su un totale di investimenti pari a 16,3 miliardi di euro) e
Germania (3,7%, sul totale di 18,3 miliardi di euro). Seguono, nel mercato EU-5, l’Italia (in cui
la radio rappresenta il 5,46% degli investimenti totali), la Francia (6,57%) e, infine la Spagna,
Radio
41
che è il mercato pubblicitario più piccolo (con 5,6 miliardi di euro di investimenti), ma riserva
alla radio una rilevante quota di mercato, pari al 9,6% del totale.
Nel 2009, i già citati effetti della crisi finanziaria hanno avuto effetti negativi in tutti i principali
mercati pubblicitari, seppur con proporzioni diverse; il mercato radiofonico tedesco, in
particolare, ha retto meglio degli altri, con una perdita del 5,6% (pari a 40 milioni di euro) sul
2008, inferiore anche al decremento medio complessivo della spesa pubblicitaria nazionale
tedesca, che si è attestato al 9,8%. La complessiva tenuta della radio in Germania è attribuibile,
in parte, agli investimenti del settore automobilistico, che coprono un terzo dell’ad-spend radio
totale e che nel 2009 sono rimasti invariati – secondo uno studio di Nielsen Media Research rispetto all’anno precedente, con una spesa di 228,5 milioni di euro.
Il mercato radiofonico che più ha risentito, invece, della congiuntura economica sfavorevole
è quello spagnolo, che – dopo un triennio di crescita tra il 2005 e il 2007 e una prima battuta
d’arresto nel 2008 - si contrae nel 2009 del 16,3% (nel contesto, tuttavia, di una perdita del
20,9% subita in complesso dai cosiddetti “media convenzionali”).
In Italia, Regno Unito e Francia le perdite nel 2009 si sono assestate su valori compresi tra il
7 e il 9%. Se in Italia, tuttavia, gli investimenti radiofonici nell’ultimo quinquennio crescono
complessivamente a un tasso medio dell’1,7%, nel Regno Unito e in Francia, al contrario, la
radio pare attraversare una crisi più strutturale, come segnalano anche i tassi di decrescita
media dal 2005 al 2009, rispettivamente del 7 e del 4% circa.
Tabella 10 - Radio - Investimenti pubblicitari nei principali mercati europei (2005-2009)
Francia
2005
2006
2007
2008
2009
Δ%
2008-09
Cagr
795
807
767
742
676
-8,89
-3,97
Germania
664
681
743
719
679
-5,56
0,56
Italia (*)
408
440
476
473
436
-7,82
1,67
Spagna
610
637
678
642
537
-16,36
-3,14
Regno Unito (**)
609
549
555
491
456
-7,13
-6,98
Note: dati in milioni di euro, riferiti agli investimenti pubblicitari netti; (*) i dati relativi all’Italia riguardano solo
le emittenti radiofoniche nazionali; (**) i dati relativi al Regno Unito sono al netto delle sponsorizzazioni e del
branded content. Fonti: elaborazione IEM su dati Irep, Zaw, Nielsen, Warc/AA/Ofcom, Infoadex.
ZenithOptimedia prevede per il 2010 una cauta ripresa degli investimenti globali in
advertising: secondo le stime pubblicate ad aprile, tale ripresa si dovrebbe attestare intorno
al 2,2% complessivo. La ripresa procede, tuttavia, con velocità asimmetriche nelle diverse
aree geografiche del pianeta e in relazione ai diversi media. La radio, in particolare, dovrebbe
soffrire ancora, secondo Zenith, una stagnazione nel 2010 (-0,5%); la raccolta pubblicitaria
radiofonica, nel mondo, dovrebbe poi tornare lentamente a crescere, del 2,3% nel 2011 (a
fronte di una crescita del 4,1% dell’adspend complessivo) e di un ulteriore 4,5% nel 2011.
4. Le piattaforme di distribuzione e il futuro della radio: bilanci e tendenze
Più volte i rapporti annuali IEM hanno sottolineato la straordinaria capacità di adattamento
della radio allo scenario tecnologico contemporaneo. Medium antico, che ha saputo ibridarsi e
integrarsi con le nuove tecnologie, oggi la radio è fruibile:
•
con ricevitori audio analogici (per le tradizionali trasmissioni in Fm e Am) e digitali (per
esempio fondati sui sistemi Dab-T, per la ricezione digitale terrestre; Dab-S, per la ricezione
diretta satellitare5; Drm);
5
Negli Stati Uniti e in Canada la radio satellitare a ricezione diretta (Dab-S) è offerta principalmente da
Xm/Sirius, operatore nato nel 2008 dalla fusione dei due maggiori provider (Xm e Sirius, appunto); negli Usa, gli
utenti della radio in Dab-S, nel 2008, erano circa 20 milioni. Al di fuori del Nord America, il maggiore provider di
radio satellitare è stato negli scorsi anni WorldSpace, società fallita però nel 2008 (e acquisita, nel marzo 2009, dal
42
Radio
•
attraverso la televisione digitale, terrestre (standard Dvb-T), satellitare (Dvb-S), mobile
(Dvb-H) e via cavo (Dvb-C);
•
con apparecchi di telefonia mobile (che ricevono le radio analogiche in Fm ma offrono
anche, sempre più spesso, web radio in streaming, fruibili con connessione a Internet, via
3G, 3,5G, GPRS, Wi-fi);
•
attraverso Pc e lettori portatili (per la ricezione, via broadband, di web radio e Pod radio).
In generale, la moltiplicazione delle piattaforme è un’opportunità per la radio di ampliare i propri
bacini di utenza, offrendo maggiori listening point dei canali radiofonici esistenti, ma soprattutto
incrementando l’offerta con nuove emittenti. Secondo Ofcom, per esempio, le emittenti
radiofoniche digitali in Italia, Francia, Germania e Regno Unito erano complessivamente 333
nel 2007, e ben 717 nel 2009 (con un aumento del 115%); particolarmente rilevante risulta il
dato del Regno Unito, con un’esplosione di emittenti digitali, che sono passate in due anni da
172 a 423 (di cui 380 commerciali e 43 pubbliche).
Figura 4 - Numero di stazioni disponibili su piattaforme radio digitali (2007 e 2009)
2007
450
2009
423
400
350
300
250
200
172
150
113
100
50
0
107
116
65
46
8
Francia
Germania
Italia
Regno Unito
Note: sono escluse le radio distribuite esclusivamente via web. Fonte: elaborazioni IEM su dati Idate /Ofcom.
Bisogna, in ogni caso, sottolineare che le diverse piattaforme distributive penetrano nei mercati
con velocità differenziate.
In Europa, in particolare, emergono attualmente tre tendenze, tra loro interconnesse:
1. la resistenza della distribuzione radiofonica in analogico;
2. le difficoltà di affermazione delle reti audio digitali terrestri;
3. il successo della radio via Internet.
Accanto ai trend trasversali, sono, inoltre, rilevabili alcune tendenze peculiari di singoli mercati
locali: in Italia, per esempio, tra i device d’elezione gioca un ruolo fondamentale il cellulare
(per l’ascolto della radio in Fm ma anche – sempre più spesso – per la ricezione in streaming
attraverso Internet6 ). Nel 2008, Ofcom sosteneva per esempio che il 22% degli adulti italiani in
Ceo e fondatore della società stessa, Noah Samara). La bancarotta di Worldspace Inc. ha bloccato diversi progetti di
espansione in Europa, tra cui il lancio della radio satellitare in Italia, annunciato già dal 2007 e preparato da WorldspaceItalia, joint venture tra la stessa Worldspace Inc. e la Newsatellite Radio, del gruppo Class Editori.
6
Secondo Forrester Research, del resto, è proprio il mercato italiano - insieme ai Paesi nordici, all’Austria
e al Regno Unito – a trainare la diffusione mondiale dei servizi Internet mobile; secondo le previsioni dell’istituto
di ricerca statunitense, entro la fine del 2010 più del 60% degli utenti mobile italiani avrà un telefono 3G o 3,5G, e
l’Italia sarà tra i paesi più veloci nell’adottare anche i servizi 3,5G, raggiungendo un tasso di penetrazione di oltre il
25% entro la fine del 2013, contro il 20% di Francia, Germania e Olanda.
Radio
43
possesso di una connessione Internet utilizzasse il cellulare come terminale di ricezione della
radio in Fm, contro il 16% dei tedeschi e il 13% dei francesi.
Una recente ricerca, condotta da Aegis Media Expert e pubblicata nel giugno 2009 da “I
Quaderni della Comunicazione”, sostiene a sua volta che il 21% degli italiani tra i 15 e i 64 anni
utilizza regolarmente il cellulare o i lettori portatili per ascoltare la radio.
La radio analogica e il digitale terrestre
Come riassume lo studio “The future of radio”, pubblicato nel 2008 dalla Swedish Tv and
Radio Authority, la radio analogica terrestre in Fm offre perduranti vantaggi, tra cui: l’ampiezza
della copertura territoriale garantita, la robustezza e affidabilità della rete, la qualità del segnale,
l’economicità dei sistemi di trasmissione e l’accessibilità, tutti fattori che continuano a soddisfare
sia gli operatori che gli utenti.
Il limite principale della distribuzione analogica, come è noto, risiede invece nella scarsità
delle risorse frequenziali disponibili, che rendono limitate le possibilità di sviluppo dell’offerta
radiofonica. L’implementazione di nuovi canali e di servizi addizionali può essere invece essere
garantita dalle tecnologie digitali terrestri sound-radio based, che sfruttano con maggiore
efficienza lo spettro elettromagnetico.
Finora, tuttavia, il passaggio al digitale è stato per la radio un cammino accidentato e tortuoso,
di cui non si vede, tuttora, chiaramente l’esito. Emblematica, in tal senso, è la parabola del
Dab-T (Digital Audio Broadcasting), standard europeo per la diffusione delle trasmissioni
radio in digitale terrestre.
La sperimentazione del sistema Dab è stata avviata nel 1995 dalla Comunità Europea, che ha
individuato blocchi di frequenze utilizzabili (in banda VHF III e banda UHF-L) e ha lasciato ad
ogni nazione facoltà di scelta sulla data di introduzione della nuova tecnologia.
In Italia, il primo programma di sviluppo della radiofonia in Dab-T risale al 2001; lungo tutto
il decennio successivo sono continuate le sperimentazioni della tecnologia Dab (e, dal 2007,
dello standard più evoluto Dab+, nonchè del formato Dmb, che permette la trasmissione della
mobile Tv via Dab), ma anche di altre tecnologie per la trasmissione in digitale terrestre, tra cui
il Drm (che utilizza le frequenze Am per la radio digitale).
Nel 2005 l’Agcom emanava il primo regolamento per la disciplina dei mercati e l’assegnazione
delle frequenze digitali. Diversi fattori hanno, tuttavia, ostacolato l’effettiva entrata a regime del
sistema numerico. In Italia, in particolare, si sono sommati problemi tecnologici e logistici, tra
cui:
•
alti costi di realizzazione dei centri di trasmissione adeguati per una capillare copertura
del territorio;
•
scarsa diffusione di buoni ricevitori a prezzi modici;
•
difetti nella qualità audio percepita (problema poi superato con l’implementazione del
sistema Dab+, introdotto a partire dal 2006);
•
ritardi nella liberazione delle frequenze individuate – occupate da emittenti televisive – e
problemi negli standard del sistema di canalizzazione della banda III.
Si è così giunti al novembre 2009, con l’approvazione di un un nuovo regolamento Agcom
(Delibera 664/09/CONS) per l’assegnazione delle frequenze digitali alle emittenti radiofoniche.
Il documento assegna alla radio 14 blocchi di frequenze in banda III, di cui 3 destinate a
emittenti nazionali e fino a 11 alle emittenti locali.
44
Radio
Tabella 11 - La radio digitale terrestre nei principali mercati europei (Francia, Germania,
Regno Unito)
•
•
Francia
•
•
•
Germania
•
•
•
Regno Unito
•
Per anni si sono sperimentate le tecnologie Drm, Dab, Dab+, Dmb-T e Hd radio;
I risultati del Forum Tecnico aperto nel 2007 dal CSA (Conseil Supérieur de
l’Audiovisuel) hanno condotto nel 2008 alla decisione di adottare per la radio digitale
lo standard Dmb-T (Digital Multimedia Broadcasting), che permette la tramissione
della mobile Tv all’interno del network Dab;
Entro il 2013 tutte le radio in vendita dovranno essere Dmb-compatibili.
La radio in standard Dab-T trasmette regolarmente in Germania fin dal 1999, ma ha
raggiunto bassi livelli di penetrazione (con meno di 500.000 ricevitori finora venduti);
Dal gennaio 2008, la KEF (Commissione per il finanziamento dei media audiovisivi)
ha sospeso fino al 2009 i finanziamenti pubblici al Dab, vista la scarsa redditività
mostrata dal sistema;
Dalla primavera 2008 si pianifica il re-start della radio numerica, con test sul Dab+,
ma anche sul Drm e la Hd Radio. La radio numerica in Dab+ dovrebbe entrare a
regime tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011.
La radio digitale terrestre trasmette nel Regno Unito con lo standard Dab-T dal 1997;
A fine 2009, con 400 canali radio e 10 milioni di ricevitori Dab venduti, quello britannico
si conferma il maggiore mercato Dab in Europa. Gli osservatori ritengono, tuttavia,
che senza innovazione (per esempio, senza l’adozione della più evoluta tecnologia
Dab+ al posto del Dab di prima generazione) il mercato del digitale terrestre sia vicino
alla saturazione. Nel 2009 – in controtendenza rispetto agli altri mercati – il Governo
britannico aveva annunciato lo spegnimento della radio analogica entro il 2015;
Il nuovo Governo Cameron, tuttavia, ha successivamente dichiarato, nel luglio 2010,
di rinunciare all’intenzione, prolungando sine die la vita dell’Fm.
I tre principali consorzi italiani di circuiti radiofonici commerciali che, oltre a Rai, detengono
l’autorizzazione a trasmettere in digitale (Club Dab, C.R. Dab, Euro Dab), non ritengono che la
nuova normativa sia uno strumento sufficiente per far decollare finalmente il Dab. Innanzitutto,
i consorzi sottolineano come il regolamento, nel dettare i requisiti di accesso ai diritti d’uso
delle radiofrequenze digitali, penalizzi di fatto le emittenti locali. Inoltre, si sostiene che il Piano
nazionale di assegnazione delle frequenze digitali, successivamente approvato a giugno 2010,
riserva alle emittenti radiofoniche un numero di frequenze ancora insufficiente, a vantaggio
degli operatori televisivi.
Lo sviluppo della tecnologia audio digitale procede a singhiozzo anche negli altri mercati
europei, dove – tra l’altro – non è sopito un dibattito “a monte”, sull’opportunità di digitalizzare
la rete analogica Fm (tramite, per esempio, i formati HD radio7 o FMeXtra) o di adottare nuovi
sistemi (come il Dab o il Drm). Nessun Paese ha, in ogni caso, stabilito una data per lo switchoff del segnale analogico.
La radio via Internet: web-radio, podcasting, web-site delle emittenti
Per vari motivi, la radio via web e la Pod radio sembrano candidate ad essere una valida
alternativa alle reti digitali terrestri e un fondamentale complemento delle reti radio analogiche.
Tra i principali vantaggi della radio diffusa in streaming via web c’è, innanzitutto, la potenziale
illimitatezza dei canali e dei programmi distribuibili. Inoltre, la semplicità tecnologica
di accesso, i costi limitati di gestione, nonché la possibilità di trasmettere senza ottenere
licenze, permettono a molteplici operatori di entrare nel mercato e di offrire canali di nicchia,
targettizzando la programmazione.
Ancora: nel passato, la web radio è stata soprattutto fruibile attraverso postazioni pc fisse, ma
7
Il modello ibrido analogico-digitale in Fm Hd radio è stato scelto dagli Usa come formato prevalente per
la radio digitale ; anche il Canada, dopo dieci anni di infruttuosa sperimentazione del Dab-T, ha deciso nel giugno
2010 di revocare le licenze concesse in banda L, probabilmente per passare al formato Hd radio.
Radio
45
oggi le tecnologie wireless di accesso a Internet permettono di consolidare una caratteristica
peculiare della radio, ovvero la portabilità. Il già citato sodalizio tra cellulari di nuova
generazione, Internet e radio è il principale esempio delle nuove possibilità di utilizzo della
web radio in movimento.
Il podcasting rappresenta, in questo quadro, l’ideale complemento all’offerta della radio via
web. Permettendo di scaricare files da Internet e di ascoltarli direttamente su pc o su lettori
portatili (come l’Mp3) la Pod-radio, infatti, restituisce al consumatore la scelta dei contenuti e
dei tempi di fruizione, sottratta dalle web radio in streaming8.
Bisogna, infine, ricordare che Internet non rappresenta soltanto una tra le piattaforme di
distribuzione di canali radiofonici, ma rappresenta anche – sempre più – un supporto per tutte
le emittenti radio e per le altre piattaforme di distribuzione. I siti web delle emittenti radio,
infatti, fidelizzano il consumo e integrano i contenuti radiofonici, svolgendo per il consumatore
almeno sette diverse funzioni, che l’ultima indagine CCS (Consumer Connection Source) di
Aegis Media Expert così sintetizzava:
•
(Re)listen: ascoltare la musica o riascoltarla dopo averla sentita in radio durante un
concerto;
•
(Re)watch: vedere la musica e i protagonisti del mondo radiofonico;
•
Search: cercare la musica (album, titoli, brani, concerti…);
•
Deepen: approfondire il proprio livello di conoscenza sul mondo della musica, leggendo
notizie, curiosità etc.;
•
Explore & discover: esplorare il mondo della musica per scoprire brani, artisti, generi;
•
Live & buy: acquistare brani, merchandising, biglietti di concerti, per vivere al meglio la
propria passione;
•
Share & discuss: condividere e discutere i propri interessi musicali con la comunità online.
8
I consumi di radio via broadband sono massicci in tutti i mercati europei. Secondo Ofcom, nel 2008,
per esempio, più del 30% degli adulti dotati di una connessione internet domestica nei 4 principali mercati europei
(Francia, Germania, Italia, Regno Unito) dichiarava di ascoltare via web la radio (con un picco del 37% tra i tedeschi). Ben il 39% degli utenti Internet italiani e il 35% di quelli britannici facevano, inoltre, regolarmente podcasting
attraverso l’home-Internet. Aegis Media Expert, a giugno 2009, calcolava invece che fossero circa 5 milioni gli utenti
italiani di Internet che fruivano regolarmente della radio attraverso il web; 1,3 milioni di consumatori, inoltre, scaricavano ogni mese contenuti dalle radio in podcast.
46
Radio
Cinema
47
Cinema
di Bruno Zambardino
1.
Produzione, distribuzione, esercizio
Nell’anno 2009 il numero di titoli cinematografici prodotti al 100% in Italia registra un forte
calo, scendendo a quota 97, ben 26 produzioni in meno rispetto all’anno precedente con
una variazione negativa del 29% circa. Solo 26 titoli (erano 41 nel 2008) hanno beneficiato
di finanziamenti statali. In lieve crescita i titoli in coproduzione con l’estero che passano da
31 a 34 (grazie al maggior numero di coproduzioni minoritarie). Il numero totale dei film
prodotti nell’anno 2009 (coproduzioni incluse) si attesta così a 131, 23 in meno rispetto al 2008,
registrando una flessione pari a quasi il 20% nel biennio, più contenuta rispetto all’andamento
dei film interamente italiani.
Ad incidere sulla contrazione dei volumi produttivi, la riduzione pari al 46% dell’investimento
da parte dello Stato nei film italiani. Il numero complessivo delle produzioni che hanno
beneficiato di finanziamenti pubblici, infatti, scende da 56 a 38 titoli.
Tabella 1 - Film prodotti in Italia, 2004-2009
2009
2008
2007
2006
2005
2004
97
123
90
90
68
96
11
23
19
15
6
32
di cui finanziati ex art. 8
1
10
4
2
6
9
di cui opere prime e seconde
14
8
6
4
2
_
34
31
31
26
30
38
Produzioni italiane al 100%
di cui finanziati "interesse culturale"
Co-produzioni con l'estero
di cui maggioritarie
17
20
17
11
16
15
di cui minoritarie
17
11
14
15
14
23
(di cui finanziate "interesse culturale")
9
10
15
3
3
5
(di cui opere prime e seconde o finanziate ex art. 8)
3
5
2
0
1
0
131
154
121
116
98
134
Totale film prodotti
di cui finanziati "interesse culturale"
20
33
34
18
9
37
di cui finanziati ex art. 8
1
10
4
2
7
9
di cui opere prime e seconde
17
13
8
4
2
_
38
56
46
24
18
46
Totale film prodotti con l'apporto dello Stato
Fonte: elaborazioni Iem su dati ANICA. Per film prodotto s’intende il film che ha ottenuto il visto censura nell’anno
di riferimento.
I film distribuiti in sala in prima uscita nel 2009 mostrano un arretramento rispetto all’anno
precedente (-5,6%), assestandosi a quota 355 titoli. La quota di film italiani distribuiti, coproduzioni incluse, scende al 32,4%, perdendo poco più di 2 punti percentuali a vantaggio della
quota di film made in Usa che sfiora il 45% pur avendo distribuito 4 titoli in meno rispetto al 2008.
48
Cinema
Tengono i titoli europei ed extra-europei, dopo il brusco calo registrato nel biennio precedente
rafforzando la propria quota che ora sfiora il 30%. Se includiamo anche i proseguimenti, i
titoli usciti nel 2009 sono stati 857 di cui 294 italiani (coproduzioni incluse), 313 americani e
250 provenienti dall’Europa e Paesi terzi. Considerando tale perimetro allargato, la forbice tra
quota americana e quella italiana è di poco più di due punti percentuali (36,5 % contro 34,3%)
a fronte dei 12,4 punti percentuali a perimetro ristretto alle sole prime uscite.
Tabella 2 - Film distribuiti in Italia per origine, 2004-2009
2009
2008
2007
2006
2005
2004
Δ % 09-08 Δ % 09-04
Italia ( Incl. Co-prod.)
115
130
110
100
98
106
-11,5
10,6
Usa
159
163
154
161
166
152
-2,5
4,6
Valori assoluti
Altri Paesi Ue (escl. Ita) extra Ue
81
83
106
124
128
113
-2,4
-28,3
355
376
370
385
392
369
-5,6
-3,8
Italia
32,4
34,6
29,7
26,0
25,0
28,2
-2,2
4,2
Usa
44,8
43,4
41,6
41,8
42,3
41,2
1,4
3,6
Altri Paesi Ue (escl. Ita) extra Ue
22,8
22,1
28,6
32,2
32,7
30,6
0,7
-7,8
Totale
100
100
100
100
100
100
-
-
Totale
Valori percentuali
Fonte: elaborazioni Iem su dati ANICA (prime uscite).
Il numero di ingressi al cinema in Italia nel 2009 fa registrare, secondo i dati consolidati Siae,
un lieve decremento (-1,6%) rispetto al 2008. Il mercato cinematografico, a dispetto della crisi
generalizzata dei consumi, ha tenuto meglio di altri settori, confermando la propria natura
anticiclica.
Dall’esame della composizione degli ingressi per nazionalità delle produzioni spicca il calo della
quota italiana (incluse coproduzioni) che perde circa 5 punti passando dal 29,3% al 24,3%. Ne
beneficiano i film di origine americana che superano la quota del 60%, guadagnando due punti
rispetto all’anno precedente, tornando così ai livelli del 2004.
La contrazione della quota di mercato nazionale che, in valore assoluto, si traduce in una
perdita secca di quasi 5 milioni di spettatori (da 29 a 24 milioni), è addebitabile a fattori di
natura congiunturale dovuti ad una stagione cinematografica avara di titoli domestici. I
distributori, infatti, hanno concentrato le uscite di numerosi film italiani nei primi mesi del
2010 (Io, Loro e Lara di Carlo Verdone, La prima cosa bella di Paolo Virzì, Baciami Ancora
di Gabriele Muccino, Mine Vaganti di Ferzan Ozpetek, Happy Family di Gabriele Salvatores).
Analizzando le presenze relative al primo semestre 2010 si nota come i film domestici abbiano
nuovamente incontrato i gusti del pubblico risalendo la china fino a quota 30% (contro il 25%
registrato nello stesso periodo del 2009).
Nel 2009 perdono terreno anche i film italiani in coproduzione: i 69 titoli (inclusi proseguimenti)
programmati nel 2009 hanno raccolto 863mila spettatori contro 1.300mila accorsi a vedere i
74 film del 2008. Recuperano spazio i film di origine europea non nazionale che rafforzando la
propria quota passando dal 10% al 12% guadagnando in valori assoluti 2 milioni di spettatori.
In crescita, seppure in misura più contenuta, anche la quota dei film extra europei non Usa che
sale dall’1,08 al 1,70%.
Nel 2009 il numero totale di strutture di proiezione cinematografica conferma la tendenza
al decremento, registrando una flessione del 2,2% rispetto all’anno precedente (-11,2% negli
ultimi sei anni), mentre il numero di schermi continua a crescere attestandosi a 3202 (61 in
più rispetto a quelli del 2008) registrando una crescita pari al 2% circa; il rapporto schermistrutture sale a 2,90 nel 2009, a conferma della diffusione crescente di multiplex e multisala.
Si consolida il processo di “mutazione genetica” delle sale cinematografiche. Impianti multiplex
e relativi schermi registrano una crescita superiore al 5% (+45,1 rispetto al 2004). Si rafforza di
Cinema
49
pari passo la quota di mercato relativa alle presenze che, dopo aver superato la quota del 50%
nel 2008, consolida la posizione sul totale degli ingressi, passando dal 52,1% al 53,3%.
Tabella 3 - Presenze nei cinema italiani (totali e per origine dei film), 2004-2009
2009
Tot. Ingressi
(Siae)
2008
2007
2006
2005
2004
Δ%
09-08
Δ%
09-04
-1,6
-3,5
109.228.858 111.017.381 116.429.995 104.979.882 104.684.194 113.214.274
Composizione percentuale degli ingressi per nazionalità dei film (Cinetel)
Italia 100%
23,48
27,91
26,96
20,51
18,69
14,04
0,9
13,87
Italia co-produzioni
0,87
1,38
4,96
4,52
6,01
6,27
-3,6
-4,89
Totale Italia
24,35
29,29
31,92
25,03
24,70
20,31
-2,6
8,98
Europa (escl.
Italia)
12,13
9,98
11,86
11,58
19,58
10,93
-1,9
-0,95
Usa
61,83
59,64
54,89
61,33
53,78
61,91
4,7
-2,27
1,69
1,08
1,33
2,06
1,94
6,84
-0,2
-5,76
Altre nazionalità
Fonte: elaborazioni Iem su dati Cinetel e Siae (inclusi proseguimenti). Risultati fino al 31.12.2009.
Tabella 4 - Strutture di proiezione e schermi, 2004-2009
2009
2008
2007
2006
2005
2004
Δ%
09-08
Δ%
09-04
Strutture di proiezione
1.104
1.129
1.164
1.210
1.275
1.243
-2,2
-11,2
Schermi
3.202
3.141
3.086
3.062
3.016
2.802
1,9
14,3
2,90
2,78
2,65
2,53
2,37
2,25
0,12
0,65
Rapp. Schermi/strutture
Fonte: elaborazioni Iem su dati ANICA.
L’assetto delle multisala (fra 2 e 7 schermi) non presenta variazioni significative: a fronte di un
numero di strutture sostanzialmente inalterato (403) e di un lieve incremento nel numero degli
schermi (+2,7%), si osserva una lieve flessione nelle presenze (-1,1%) dopo la forte contrazione
subita nel biennio precedente. La relativa quota di mercato si è attestata al 36,1%.
In costante, inesorabile decremento la quota di mercato delle monosala, praticamente
dimezzata rispetto al 2004. In 6 anni tali strutture, ridotte nel 2009 a 582, hanno perso 10
milioni di spettatori (da 20,7 a 10,5 milioni). Nel biennio 2008-2009 le monosala hanno perso
poco più di un milione di spettatori, mostrando tuttavia qualche timido segnale di tenuta
rispetto all’emorragia del biennio precedente (quando avevano perso 2,6 milioni di spettatori).
La quota di mercato di questo segmento di mercato risulta sempre più marginale assorbendo
ormai poco più del 10% del totale delle presenze.
In 6 anni le monosala hanno più che dimezzato i propri incassi passando dai 117 milioni di
euro del 2004 ai 59,5 del 2009. Ad essere penalizzati dalla metamorfosi del parco sale sono
in particolare i film italiani ed europei di qualità - prodotti che trovavano maggiori sbocchi
distributivi nelle sale cittadine. Il declino delle sale urbane ha generato, infatti, una progressiva
sostituzione del pubblico più adulto degli schermi cittadini con quello più giovane dei multiplex
1
.
1
Anche per contrastare tale tendenza, la Direzione Generale Cinema del Ministero dal 2006 sostiene, in
collaborazione con Arcus, un progetto speciale denominato “Schermi di qualità”, gestito da Agis, Anec, Anem, Acec
e Fice e giunto alla sua quarta edizione. Il progetto premia con un incentivo economico le sale (672 schermi partecipanti per 214 film in possesso dei requisiti) che effettuano programmazione di film di qualità italiani ed europei
entro determinate soglie individuate in base alla tipologia di strutture e all’ampiezza del bacino di popolazione. Uno
studio Cattid-Sapienza per Agis ha dimostrato l’efficacia del progetto nel sostegno della quota di mercato nazionale
e più in generale una maggiore redditività di incasso dovuta alla maggiori tenitore all’interno del circuito. Cfr. IV
Quaderno ANICA “Cinema di Qualità. Analisi del progetto Schermi di Qualità (Edizioni dal 2007 al 2009), a cura
di Ufficio Studi ANICA.
50
Cinema
Tabella 5 - Multiplex e multicinema attivi in Italia, 2004-2009
Multiplex (8+ schermi)
2009
2008
2007
2006
2005
2004
Δ%
09-4
Δ%
09-4
119
113
108
103
93
82
5,3
45,1
Numero schermi
1245
1184
1132
1080
981
844
5,2
47,5
Presenze (milioni)
52,8
51,8
51,1
43,7
40,6
39,6
1,9
33,3
(% sulle presenze totali)
53,3
52,1
49,3
47,4
44,7
40,4
1,2
12,9
Multisala (2-7 schermi)
Numero schermi
403
404
398
394
403
383
-0,2
5,2
1381
1345
1296
1269
1256
1180
2,7
17,0
Presenze (milioni)
35,7
36,1
38,4
34,5
34,3
37,7
-1,1
-5,3
(% sulle presenze totali)
36,1
36,3
37,0
37,8
37,8
38,5
-0,2
-2,4
Monosala
582
612
658
713
779
778
-4,9
-25,2
Numero schermi
582
612
658
713
779
778
-4,9
-25,2
Presenze (milioni)
10,5
11,5
14,1
14,0
15,9
20,7
-8,7
-49,3
(% sulle presenze totali)
10,6
11,5
13,6
15,2
17,6
21,1
-0,9
-10,5
Fonte: ANICA.
In piena fase di accelerazione è il processo di digitalizzazione delle sale, sotto la spinta del
buon riscontro registrato dalla proiezione di titoli in 3D e in linea con quanto sta accadendo a
livello internazionale2. Alla fine di aprile 2010 gli schermi digitali avevano superato quota 500.
Nell’arco di due anni si è assistito ad una crescita impetuosa, considerando che a luglio 2008
gli schermi in 2K erano appena 50. Tale fenomeno pone un ulteriore freno alla fruizione di
prodotto domestico.
Tra le Regioni in cui il digitale si è maggiormente diffuso, la Lombardia con 70 schermi, il
Lazio (64), il Piemonte (45) e la Toscana (40). Con 31 schermi, Roma è la città più digitalizzata,
seguita da Milano con 18. Grazie al digitale anche le sale cittadine, incluse quelle d’essai,
potranno trovare nuove strade e strategie, dalla possibilità di offrire una programmazione più
elastica di qualità all’offerta di contenuti alternativi. Secondo gli operatori del settore, con la
conferma del tax credit (che prevede misure a sostegno degli investimenti per l’aggiornamento
tecnologico delle sale) entro il 2011, potrebbe essere superata la soglia dei mille schermi,
rendendo possibile l’obiettivo della completa digitalizzazione dell’esercizio entro il 2012.
Motore della crescita avvenuta nel 2009-2010 è, come detto, il cinema 3D. La percentuale degli
schermi con tecnologia 3D ha continuato perciò a crescere, passando dal 54,4% del giugno
2009 al 68,8% di gennaio 2010.
2. Le risorse del mercato
Gli investimenti italiani in produzione cinematografica, dopo 4 anni di crescita progressiva,
subiscono nel 2009 una battuta di arresto, scendendo sotto i 300 milioni di euro e registrando
una flessione del 10% rispetto all’anno precedente. La contrazione è dovuta al forte declino
dei contributi statali (-46,4% rispetto al 2008, coproduzioni incluse) e allo stallo del Fondo di
garanzia. Stazionari gli investimenti dell’imprenditoria di settore, il cui apporto è fermo sui
livelli del 2008 (258 milioni di euro). L’andamento risulta più dinamico se consideriamo un
arco temporale più esteso (in 6 anni è aumentato del 36%).
La composizione degli investimenti risulta ancora più squilibrata rispetto al passato con
l’87,2% a carico dei privati (in particolare dei tre principali broadcaster) e il restante 12,8% di
provenienza statale.
2
Secondo Media Salles, a gennaio 2010, gli schermi digitali sono 4.693, con un incremento del 206% rispetto all’anno precedente.
Cinema
51
Dal 2004 (anno dell’entrata in vigore del “Decreto Urbani” 3) al 2009 il volume di risorse
pubbliche si è ridotto del 60%. A partire dal prossimo anno, tuttavia, un parziale effetto
compensativo giungerà grazie ai primi importi deliberati dal Ministero per la concessione di
agevolazioni fiscali, sotto forma di crediti di imposta (vedi infra). I valori degli investimenti
medi italiani per singolo film, per effetto del più basso numero di titoli prodotti, registrano una
crescita significativa (+42% rispetto all’anno precedente) superando la soglia dei 3 milioni di
euro4.
Tabella 6 - Investimenti italiani in produzione, 2004-2009
Investimenti in produzione
2009
2008
2007
2006
2005
2004
Δ%
08-0
Δ%
09-04
Film italiani 100%
218,9
253,3
221,1
187,6
152,1
197,4
-13,6
10,9
di cui contributi statali
24,5
49,3
41,5
37,1
21,8
83,4
-50,3
-70,6
investimento medio per film
2,26
2,06
2,46
2,08
2,24
2,06
9,6
9,5
Film co-prodotti
77,1
76,8
91,4
69,7
62,4
86,9
0,4
-11,3
di cui contributi statali
13,6
21,7
21,5
6,2
7,7
11,4
-37,3
19,3
investimento medio per film
2,27
2,48
2,95
2,68
2,08
2,29
-8,4
-1,0
Totale investimenti italiani
296,0
330,2
312,5
257,3
214,4
284,4
-10,4
4,1
di cui imprenditoria di settore
258,0
259,1
249,4
214
184,9
189,5
-0,4
36,1
(%)
87,2
78,5
79,8
83,2
86,2
66,6
8,7
20,6
di cui contributo statale
38,1
70,9
63
43,3
29,5
94,9
-46,4
-60,0
(interesse culturale nazionale)
29,0
55,1
53,7
38,5
21,2
85,9
-47,4
-66,2
-
-
-
-
7,3
8,9
-
-
(ex art.8)
(opere prime e seconde)
(%)
Investimento medio italiano per
film
9,0
15,8
9,3
4,8
0,9
-
-43,0
-
12,8
21,5
20,2
16,8
13,8
33,4
-8,7
-20,6
3,051
2,144
2,582
2,218
2,188
2,122
42,3
43,8
Fonte: Elaborazioni Iem su dati ANICA. Note: dati in milioni di euro
La quota di riparto del FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo)5 a sostegno delle attività
cinematografiche (sviluppo, produzione, distribuzione, esercizio e promozione) è stata pari
a 75,8 milioni di euro, in crescita (+8,8%) rispetto all’anno precedente grazie alla maggiore
dotazione complessiva e a parità di aliquota (18,5%). Va ricordato che lo stanziamento
originario relativo al 2009 è stato successivamente incrementato grazie ad un reintegro di 24
milioni di euro6.
La contrazione delle risorse nazionali ordinarie a sostegno del comparto riflette l’andamento
generale dello stanziamento complessivo del Fus. Se per l’anno 2010 l’importo è leggermente
aumentato rispetto al 2009 (+3,2%), occorre ricordare che l’ultima Legge Finanziaria, nella
previsione triennale, indica per gli anni 2011 e 2012 un drastico ridimensionamento che
3
La normativa in materia cinematografica si fonda sul Decreto legislativo n° 28 del 22 gennaio 2004 (“Riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche, a norma dell’articolo 10 della Legge 6 luglio 2002, n.
137) e sui successivi decreti attuativi. Il grado di penetrazione è pari a circa il 13% rispetto al totale degli schermi
presenti in Europa, contro il 4,1% dell’anno precedente. Guidano la crescita i cinque mercati maggiori: la Francia,
presenta il 19,3% del totale degli schermi digitali in Europa, il Regno Unito il 14,2%, la Germania il 12,6%, l’Italia il
9,1% e la Spagna il 5,1%.
4
Nei film italiani al 100% con maggiore forza commerciale (con budget sopra il milione e mezzo di euro)
l’investimento medio è salito da 4,3 a 4,5 milioni di euro.
5
Istituito con Legge 30 aprile 1985 n. 163 “Nuova disciplina degli interventi dello Stato a favore dello spettacolo”. Annualmente il Ministero per i Beni e le Attività Culturali emana un decreto di riparto nel quale, sulla base
dell’ammontare complessivo stabilito dalla Legge Finanziaria e aliquote, fissa per ciascun settore (lirica, musica,
teatro di prosa, cinema, circhi e spettacolo viaggiante) il relativo stanziamento.
6
Nel settembre 2009, infatti, il governo ha deciso un reintegro pari a 60 milioni di euro, ripartiti nei vari
settori dello spettacolo. Il cinema ha ottenuto 24 milioni aggiuntivi, di cui 18 alla produzione e 6 all’esercizio. Nel
2009, pertanto la quota cinema “integrata” ammonta a circa 94 milioni di euro.
52
Cinema
farebbe scivolare il Fondo a poco più di 304 milioni7.
Tabella 7 - La quota - Cinema del Fondo Unico dello Spettacolo, 2004-2010
Stanziamenti
2010
2009
2008
2007
2006
2005
Δ%
10-09
Δ%
10-05
Totale FUS
409,7
397,0
470,0
441,3
427,3
464,6
3,2
-11,8
di cui stanziamento cinema
75,8
69,7
90,0
79,4
77,9
83,6
8,8
-9,3
Quota cinema/ FUS %
18,5
18,5
19,5
18,0
18,2
18,0
-
-
Fonte: elaborazione IEM su dati del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Nel 2009 la Direzione Generale Cinema del Ministero per i Beni e le Attività culturali ha
disposto finanziamenti e contributi per la produzione per complessivi 36,2 milioni di euro,
un volume di risorse decisamente più ridotto rispetto all’anno precedente (7 milioni in
meno), nonostante il numero di progetti sostenuti sia rimasto stabile8. In 5 anni l’entità dei
finanziamenti si è praticamente dimezzata passando dai circa 74 milioni deliberati nel 2005 ai
poco più di 36 stanziati nel 2009.
Nel dettaglio, il Ministero ha finanziato 27 opere di interesse culturale (2 in più rispetto al
2008) per un totale di 24,9 milioni e un investimento medio che scende sotto il milione di euro.
Le 27 opere prime e seconde riconosciute meritevoli del contributo hanno ottenuto un sostegno
finanziario complessivo pari a 9,6 milioni, inferiore rispetto ai 10,8 milioni ottenuti nel 2008.
Nel 2009 sono stati finanziati 6 cortometraggi in meno, mentre il fondo per lo sviluppo delle
sceneggiature pari a 700mila euro e il relativo numero di progetti (20) è rimasto invariato
rispetto agli anni precedenti.
L’importo medio dei finanziamenti in rapporto al numero di progetti complessivi sostenuti dal
Ministero ha subito una progressiva contrazione nel corso degli ultimi 5 anni, attestandosi a
poco meno di 370mila euro.
Tabella 8 - Investimenti del Ministero nella produzione cinematografica, 2005-2009
Finanziamento
2005
N° Film
Media
Finanziamento
2006
N° Film
Media
Finanziamento
2007
N° Film
Media
Finanziamento
2008
N° Film
Media
Finanziamento
2009
N° Film
Media
Interesse
culturale
Opere prime
e seconde
54.000.000
17.996.000
Cortometraggi
1.599.200
Sviluppo
375.000
Totale
73.970.200
37
26
40
15
118
1.459.459
692.154
39.980
25.000
626.866
34.500.000
11.700.000
960.000
700.000
47.860.000
26
25
24
20
95
1.326.923
468.000
40.000
35.000
503.789
34.500.000
12.000.000
1.080.000
700.000
48.280.000
27
26
27
20
100
1.277.000
461.538
40.000
35.000
482.800
30.600.000
10.800.000
1.200.000
700.000
43.300.000
25
22
30
20
97
1.224.000
490.909
40.000
35.000
446.391
24.900.000
9.600.000
960.000
700.000
36.160.000
27
27
24
20
98
922.222
355.555
40.000
35.000
368.979
7
n. 191 del 23 dicembre 2009. La programmazione triennale della spesa è indicata nella Tabella C allegata
alla Legge Finanziaria. Lo stanziamento si riferisce a risorse ordinarie cui vanno ad aggiungersi fondi integrativi. Va
rilevato che gli importi programmati per gli anni a seguire sono spesso modificati dalla Legge Finanziaria dell’anno
successivo in funzione delle esigenze dell’amministrazione.
8
In realtà il numero dei film che hanno ottenuto il riconoscimento dello Stato è più elevato. Nella tabella
sono contemplati solo quelli che hanno ricevuto un contributo finanziario.
Cinema
53
Note: dati in euro. In alcuni casi le società hanno successivamente rinunciato al contributo. Fonte: Anica su dati
Mibac (esiti delibere della Commissione per la Cinematografia negli anni in oggetto).
I fondi regionali per l’audiovisivo
Una preziosa fonte di finanziamento complementare a quella nazionale è rappresentata dai
fondi regionali per l’audiovisivo. Negli ultimi anni l’interesse crescente delle Regioni verso il
cinema e l’audiovisivo e le loro ricadute economiche e di marketing sul territorio, ha preso
forma attraverso la creazione delle Film Commission, agenzie pubbliche (raramente private o
pubblico-private) di attrazione di attività di produzione audiovisiva sul territorio, di facilitazione
amministrativa e, spesso, di intermediazione fra domanda e offerta delle professionalità
coinvolte nella filiera produttiva. La fase successiva al 2005 ha visto la costituzione in molte
Regioni dei Film Fund, fondi di sostegno alla produzione, generalmente vincolati a clausole di
territorializzazione degli investimenti. Questi fondi sono spesso gestiti dalle Film Commission
stesse, per le quali rappresentano una delle leve di azione della propria mission, oppure
direttamente dalle Regioni attraverso gli uffici degli Assessorati competenti9.
Una prima quantificazione delle risorse regionali a disposizione dell’audiovisivo è stata
operata dalla Fondazione Ente dello Spettacolo10. Nel 2009 risultano risorse di competenza dei
Film Fund regionali per 15 milioni di euro, più che triplicati rispetto ai 4,9 milioni del 2007.
Questi fondi hanno quasi compensato il calo delle risorse del Fus a sostegno della produzione
(senza considerare, però, i fondi extra Fus e tenendo presente che la maggior parte delle
risorse regionali sono destinate alla fiction) e sono erogati, per la maggior parte, dalle Film
Commission, per quanto una parte considerevole di queste somme (6,4 milioni, oltre il 40%)
venga gestita direttamente dalle Regioni.
Tabella 9 - Fondi Regionali alla produzione audiovisiva, 2009
Fondo
Budget
Fondi delle Film Commission
8,57
F.C. Regione Siciliana
3,00
Friuli Venezia Giulia F.C.
2,09
F.C. Regione Campania
1,80
Abulia F.C.
0,70
Piemonte Doc Film Fund (F.C. + Regione)
0,50
Bologna F.C.
0,24
Emilia Romagna F.C.
0,14
Marche F.C.
0,10
Fondi delle Regioni
6,44
Regione Toscana
4,50
Regione Lazio (via Filas)
1,29
Regione Sardegna
0,65
Totale fondi regionali
15,01
Fonte: Ente dello Spettacolo. Note: dati in milioni di euro.
Provvedimenti normativi a sostegno del cinema
Due i provvedimenti recenti di maggior rilievo adottatati nel 2010. Il primo, datato 30 luglio
2010, è l’approvazione in esame preliminare in Consiglio dei Ministri di un disegno di legge
9
Cfr. A. Versace, L. Canova, T.M. Fabbri, F. Medolago Albani, “L’evoluzione del sostegno pubblico
all’audiovisio” in L’industria della comunicazione in Italia. XI Rapporto IEM, Guerini e Associati, Milano 2008,
anche per una disamina storica dei finanziamenti regionali all’audiovisivo, a livello italiano ed europeo.
10
Fondazione Ente dello Spettacolo, Il mercato e l’industria del cinema in Italia. Rapporto 2009.
54
Cinema
con il quale il Ministero per i Beni e le Attività Culturali interviene in materia di attività
cinematografiche, riformando in modo significativo il sistema di sostegno varato nel 2004
(Decreto Urbani). Il provvedimento prevede che l’intervento diretto dello Stato sia focalizzato,
a partire dal 2011, sulle opere prime e seconde, i cortometraggi e i documentari11. Non è chiaro
se e in che misura si intenda operare anche una revisione del sistema che regola l’accesso ai
contributi percentuali sugli incassi e ai contributi in conto capitale alle sale cinematografiche.
Nel settore della promozione l’intervento statale sarà riservato ai soli enti ed eventi con rilevanza
internazionale o nazionale, con l’obiettivo di snellire le procedure e migliorare la gestione delle
risorse, eliminando gli sprechi nell’assegnazione dei fondi pubblici statali. La composizione
della Commissione per la cinematografia è inoltre ridotta in ragione delle nuove e limitate
funzioni.
Il disegno di legge interviene anche sulla revisione cinematografica, prevedendo, oltre al nulla
osta alla visione per tutti, ai minori degli anni 14 e ai minori degli anni 18, l’ulteriore soglia
relativa ai minori di anni 1012.
Il secondo provvedimento è il rinnovo triennale delle agevolazioni fiscali (al momento vi è un
impegno formale da parte del Consiglio dei Ministri) per gli anni 2011-2013, in ragione della
loro efficacia nella prima fase di applicazione e del consenso unanime riscosso da parte degli
operatori del settore13.
I provvedimenti relativi al tax credit interno ed esterno, seppure con tempistiche differenti,
sono diventati pienamente operativi tra il 2009 e il 201014. Il 7 maggio 2009 è entrato in vigore il
tax credit interno che riconosce, ai fini delle imposte sui redditi, un credito d’imposta che, per
le imprese di produzione cinematografica, è fissato in misura pari al 15% del costo complessivo
di produzione di opere cinematografiche, riconosciute di nazionalità italiana. Il credito spetta
fino all’ammontare massimo annuo di 3,5 milioni per ciascun periodo d’imposta15. Per le
imprese di produzione esecutiva e le industrie tecniche che svolgano attività commissionate da
committenti esteri il credito sale al 25% del costo di produzione fino all’ammontare massimo
di 5 milioni di euro per opera filmica16.
Il 21 gennaio 2010 ha visto la luce il decreto più atteso a favore degli investitori esterni
(siano essi soggetti non appartenenti al settore, distributori e, in parte esercenti17) a seguito
dell’approvazione della Commissione europea giunta il 22 luglio 2009. Il tax credit esterno è
riconosciuto in relazione ad investimenti nella produzione dei film riconosciuti di “interesse
culturale” o con i requisiti per ottenere la nazionalità italiana. Gli investitori “esterni” potranno
beneficiare di un credito di imposta pari al 40% degli apporti in denaro versati fino ad un
importo massimo di € 1.000.000 per ciascun periodo d’imposta18. Grazie alla possibilità di
11
Tra le misure in discussione anche l’introduzione di 20 contributi al massimo a favore degli autori di
sceneggiature originali del valore di 5mila euro ciascuno.
In questo modo si allinea il nostro sistema a quelli della gran parte degli altri Paesi e si assicura una tutela
12
più puntuale e efficiente della sensibilità dei minori di età infantile e preadolescenziale, ampliando al contempo, con
una maggiore articolazione, la platea di film la cui visione altrimenti risulterebbe limitata ai maggior di 14 anni.
Se le misure saranno confermate nell’attuale impianto normativo, non sarà necessario chiedere una nuova
13
autorizzazione alla Commissione europea.
14
Il complesso iter procedurale dei provvedimenti ha avuto origine nella Finanziaria 2008 varata il 24
dicembre 2007. La normativa segna una svolta nella logica di erogazione dei finanziamenti pubblici, spostando
l’attenzione dai contributi diretti a meccanismi automatici e indiretti che riducono il potere discrezionale delle commissioni, premiano le capacità imprenditoriali dei produttori e aprono il mercato a nuovi investimenti privati esterni
al comparto. Per una panoramica più completa si rimanda alla precedente edizione del Rapporto IEM.
15
Il beneficio è sempre condizionato al sostenimento sul territorio italiano di spese di produzione per un
ammontare complessivo non inferiore, per ciascuna produzione, all’80% del credito d’imposta stesso.
16
La misura è applicabile con effetto retroattivo a partire dal 30 giugno 2008 ed è operativa dal settembre
2009, con la pubblicazione della modulistica.
17
Restano tuttavia esclusi gli incentivi per la digitalizzazione delle sale sui quali la Commissione europea ha
deciso di promuovere una consultazione pubblica. Gli esercenti, in via transitoria, stanno applicando il cosiddetto
de minimis ovvero un ammontare massimo di contributi pubblici entro il quale non scatta l’aiuto di Stato (non è
necessaria una autorizzazione da parte della Commissione) e che l’Ue, a causa della crisi finanziaria, ha elevato da
200.000 a 500.000 euro.
18
Le imprese di produzione cinematografiche destinatarie degli apporti di denaro, anche in questo caso,
Cinema
55
beneficiare di questo incentivo il gruppo bancario Intesa Sanpaolo ha deciso di investire 2,5
milioni di euro nel prossimo film di Paolo Sorrentino (This must be the place)19.
Per le imprese di distribuzione cinematografica sono previste due differenti percentuali e
relativo ammontare massimo a seconda della tipologia di opera: 10 % fino ad un massimo di
2 milioni di euro per le spese sostenute per il sostegno alla distribuzione nazionale di opere di
nazionalità italiana; 15 % fino ad 1,5 milioni di euro nel caso in cui il film sostenuto fosse anche
di interesse culturale20.
Sia distributori che esercenti possono stipulare (in analogia ai soggetti esterni) contratti di
associazione in partecipazione e sostenere la produzione di opere cinematografiche di
nazionalità italiana riconosciute di interesse culturale. In questo caso il credito di imposta è
fissato al 20% dell’apporto in denaro fornito e può arrivare fino ad un ammontare massimo
annuo di 1 milione di euro per ciascun periodo d’imposta.
I progetti cinematografici per essere ammessi al beneficio fiscale devono possedere requisiti di
valenza culturale, da valutare tramite specifici “test di culturalità”21.
Per quanto riguarda il tax credit interno – secondo i dati forniti dalla Direzione Generale
Cinema - nel 2010 sono arrivate 129 comunicazioni e 107 istanze. Si tratta di 79 società, di cui
6 straniere. Sono stati già autorizzati interventi per 6,7 milioni di euro relativi a 7 film stranieri
e 20 italiani.
In due anni di applicazione (giugno 2008 – giugno 2010) gli operatori del settore hanno richiesto
benefici fiscali per circa 48 milioni di euro, di cui 10 milioni circa da parte di produttori esteri.
Nel complesso è stato calcolato che, annualmente, a fronte di minori entrate per 77 milioni di
euro, l’effetto indotto genererebbe maggiori entrate per lo Stato per 173 milioni.
Un terzo provvedimento di carattere più generale che ha riflessi anche in campo cinematografico
è il Decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali in materia di equo compenso varato
nel gennaio 2010 in attuazione del Decreto Legislativo n.68/2003. Legato alla legge sul diritto
d’autore, il provvedimento stabilisce i nuovi importi degli aumenti dei prezzi che devono essere
applicati, a spese dei fabbricanti e degli importatori, alle memorie di massa, per esempio dvd
e chiavette usb, con importi che variano a seconda della loro capacità, nonché a computer e
telefoni cellulari che consentono di memorizzare e/o seguire opere audiovisive protette dalla
legge sul diritto d’autore. Queste somme, indicate come “equo compenso”, costituiscono i diritti
che vengono corrisposti, tramite la Siae, agli autori e agli editori.
A cavallo tra il 2009 e il 2010 altre due questioni sono state al centro del dibattito, entrambe legate
alla diffusione di nuove piattaforme di fruizione del prodotto cinematografico e alla ricerca di
nuove forme di finanziamento22. La prima attiene alla proposta di dar vita ad un’offerta legale
di film su Internet vista, da alcuni operatori del settore, come unica arma contro la pirateria.
devono utilizzare obbligatoriamente l’80% di queste risorse impiegando mano d’opera e servizi italiani e privilegiando la formazione e l’apprendistato in tutti i settori tecnici della produzione (nel rispetto del criterio di territorializzazione previsto a livello comunitario). Questi investimenti, inoltre, non possono risultare maggioritari (soglia
posta sino al 49%), lasciando quindi sempre al produttore cinematografico il ruolo di titolare e gestore del “progetto”.
In sostanza si stimola il soggetto esterno a stipulare un “contratto di associazione” con il produttore in base al quale
si fissa la percentuale di investimento sul budget totale del film e la relativa percentuale di partecipazione agli utili
che per le imprese esterne non può superare il 70%, sempre a tutela dell’autonomia del produttore.
19
L’investimento è pari al 10% del budget totale del film (28 milioni di dollari), frutto di una coproduzione
internazionale italo (Lucky Red, Medusa, Indigo ciascuna con quote al 20%) franco-irlandese. E’ la prima volta che
una banca partecipa alla produzione di un film assumendo un rischio di impresa.
20
Ai sensi dell’articolo 7, D.Lgs. 22.1.2004, n.28.
21
I test di culturalità consistono in griglie contenenti specifici criteri di eleggibilità, cui è associato un sistema di punteggio minimo e massimo ottenibile per ciascun film, attribuito attraverso procedure prettamente di tipo
automatico. Proposti dalle Autorità nazionali, i “test” sono sottoposti al vaglio della Commissione europea, proprio
allo scopo di verificare il concreto ed effettivo legame tra l’aiuto concesso e il prodotto culturale che ne beneficia.
22
A tal proposito , sembra essere tramontata l’ipotesi di un sistema “alla francese” con prelievo sull’intera
filiera, mentre si discute su un eventuale prelievo sul biglietto (forse maggiorato) gestito dalle Associazioni di categoria, limitandolo al segmento sala e home video. Le risorse generate dovrebbero essere destinate, in prima battuta,
alle sale urbane e alla produzione indipendente.
56
Cinema
La seconda, connessa alla prima, una revisione del sistema attuale che regola lo sfruttamento
commerciale attraverso le windows nella direzione di una maggiore flessibilità. Si tratta di nodi
che, verosimilmente, dovranno essere oggetto di autoregolamentazione tra le varie associazioni
di categoria, prima di sfociare in eventuali provvedimenti normativi.
Gli incassi
Nel 2009 gli incassi, secondo i dati consolidati Siae, hanno registrato una crescita del 4,3% circa
(27 mln in termini assoluti) rispetto all’anno 2008, con un valore pari a circa 664,2 mln di euro.
La variazione positiva è addebitabile alle prime uscite di film in 3D con prezzo maggiorato (del
20% circa).
A partire dal 2010, anno in cui il numero dei titoli in 3D è aumentato in nodo significativo,
la forbice tra andamento delle presenze e trend degli incassi è destinata ad allargarsi
progressivamente, a vantaggio del box office americano.
Tabella 10 - Box Office cinematografico, 2004-2009
Tot. Incassi (mln €)
( Siae)
2009
2008
2007
2006
2005
2004
664,2
636,7
669,6
601,2
599,5
655,4
Δ % 09-08 Δ % 09-04
4,3
1,3
Fonte: Elaborazione IEM su dati Siae.
Osservando la composizione percentuale degli incassi per nazionalità delle produzioni (secondo
fonte Cinetel), la quota dei film italiani si ritrae di più di 5 punti percentuali rispetto al 2009,
attestandosi al 23,4%. I film statunitensi, al contrario, recuperano altri 3 punti raggiungendo la
più elevata quota di mercato (63,5%) degli ultimi 6 anni.
La contrazione della quota di mercato nazionale che, in valore assoluti, si traduce in una perdita
superiore ai 26 milioni di euro (scendendo da 171,8 a 145,5 milioni), come già accennato, è
legata anche ad una stagione cinematografica “povera” di prodotto nazionale. Considerando
che gran parte dei titoli italiani è uscita nel primo semestre 2010, il prossimo anno è previsto
un forte recupero della quota di mercato domestica23.
Le produzioni non nazionali di origine europea registrano un lieve miglioramento portandosi
all’11,5%; analogo discorso per la quota di mercato dei film extra-europei che nel 2009
raggiunge l’1,6%.
Tabella 11 - Composizione percentuale degli incassi per nazionalità, 2004-2009
Provenienza
Italia 100%
Coproduzioni
Totale Italia
2009
2008
2007
2006
2005
2004
22,6
27,7
26,9
20,5
18,7
14,0
0,8
1,3
4,8
4,3
6,0
6,3
23,4
29,0
31,7
24,8
24,7
20,3
Europa
11,5
9,8
11,6
11,2
19,6
10,9
USA
63,5
60,2
55,4
61,9
53,8
61,9
1,6
1,0
1,3
2,1
1,9
6,9
100%
100%
100%
100%
100%
100%
Altre nazionalità
Totale
Fonte: Cinetel
Nel 2009 Medusa riconquista il primato in termini di incassi pur registrando una variazione
negativa pari a circa l’11% rispetto all’anno precedente24.
Il mercato italiano della distribuzione cinematografica è dominato dalle filiali nazionali
23
Lo confermano i dati Cinetel relativi ai primi sei mesi del 2010 che indicano di nuovo al 30% (incluse
coproduzioni) la quota di mercato domestica (era al 25% nello stesso periodo dell’anno scorso), mentre quella
americana è pari al 60% contro il 64 % dell’anno precedente.
24
Nel 2010 Medusa ha investito 90 milioni sui film tra acquisizioni e produzioni, di cui 70 milioni destinati
al cinema italiano.
Cinema
57
delle major statunitensi (Universal/Uip, Warner Bros, Disney/Buena Vista, Fox e Sony,) che
complessivamente rafforzano la propria quota di mercato portandosi dal 48,4% al 56,1%.
Analizzando le singole quote di mercato non si riscontra un trend omogeneo. Universal Uip,
in testa alla classifca l’anno scorso, perde ben il 30% rispetto al 2008. Spicca, di converso, la
performance di Sony Pictures (+131%) il cui incasso vola da 30 a 70 milioni di euro anche grazie
ad un più robusto listino italiano (52 titoli distribuiti rispetto ai 24 del 2008). Ottima anche la
performance di 20th Century Fox (+53%) che, peraltro, nel 2010 beneficerà del successo del
film di Cameron Avatar.
L’altra mini-major italiana, 01 Distribution, subisce un deciso arretramento (-25%) con
incassi che scendono sotto i 50 milioni, retrocedendo così dal 3° al 7° posto in classifica. Perde
posizioni anche FilmAuro che passa dal 5° al 9° posto. In valori assoluti l’incasso della società
guidata da Aurelio De Laurentiis è pari a 35,6 milioni contro i 47,3 del 200825. La performance
più significativa è quella registrata da Eagle Pictures26, che fa segnare nel biennio un incremento
degli incassi pari all’80%, superando la soglia dei 40 milioni di euro. Per quanto attiene alle
società indipendenti, Bim guadagna il 6,4% raggiungendo Lucky Red che, al contrario perde
quasi il 9%. Le due società sono entrambe attestate su una quota di mercato del 2,5%.
Il comparto distributivo si conferma il segmento con il più elevato livello di concentrazione,
relegando ad un ruolo marginale gli indipendenti e in cui le imprese leader esercitano un forte
peso finanziario sulla produzione, imponendo i propri listini agli esercenti. Una dimostrazione
delle difficoltà di (ri)posizionamento viene dallo storico marchio Mikado che, dopo il fallito
tentativo di rilancio condotto da Franco Tatò, è tornata sotto il controllo totale di De Agostini,
gruppo che, a causa degli ingenti debiti della controllata, è intenzionato a ricollocarle sul
mercato27.
Tabella 12 - Quote di mercato dei distributori, 2009
Società
Medusa
Incasso 09
perc 09
perc 08
perc 07
perc 06
perc 05
Δ%
09-08
87.768.874
14,2
16,60
17,33
12,98
10,4
-10,9
Universal/Uip
83.077.041
13,4
19,68
13,11
13,07
19,95
-28,9
Warner Bros
75.664.780
12,2
9,59
13,64
7,45
13,97
32,8
Sony Pictures
69.675.764
11,2
5,08
6,35
9,25
6,68
131,0
Walt Disney/Buena Vista
61.490.021
9,9
7,67
9,25
12,03
8,90
35,0
20th Century Fox
58.020.156
9,4
6,37
11,00
11,77
5,94
53,4
01 Distribution
49.968.645
8,1
11,10
9,90
9,49
9,99
-24,2
Eagle Pictures
41.952.090
6,8
3,94
3,68
6,02
7,33
79,4
FilmAuro
35.568.883
5,7
7,97
8,21
8,18
6,13
-24,9
Lucky Red
15.692.807
2,5
2,90
1,36
0,84
1,70
-8,8
Bim Distributione
15.476.735
2,5
2,45
0,87
2,39
1,76
6,4
Moviemax
13.421.538
2,2
2,35
1,86
1,09
0,70
-3,9
12.096.576
2,0
4,57
1,88
4,44
5,28
-52,4
Major usa (Uip-Wb-Bv-Sony-Fox)
Altri
347.927.762
56,1
48,40
53,35
53,57
55,44
21,1
Major ita (Medusa-01 Distr)
137.737.519
22,2
27,70
27,23
22,47
20,39
-16,3
Super indies ita (Eagle-Filmauro)
77.520.973
12,5
11,91
11,89
14,20
13,46
9,6
Altri
56.687.656
9,1
11,98
7,53
9,66
10,71
-20,3
Totale
619.873.910
100,0
100,00
100,00
100,00
100,00
4,4
25
Filmauro continua a detenere il primato del miglior incasso medio per film (circa 7 milioni per 5 titoli
distribuiti) seguita Disney/Buena Vista (1,6 milioni per 37 titoli distribuiti) e 20th Century Fox (1,5 milioni per 37
titoli distribuiti).
26
Società controllata dalla Alliance Film Europe di Tarak Ben Ammar.
27
Nel 2009 la quota di mercato della società fondata da Luigi Musini e Roberto Cicutto (poi ceduta al
gruppo di Novara nel 2007) è pari allo 0,27% sul totale delle top 20 società di distribuzione per incasso.
58
Cinema
Fonte: Cinetel. Incassi fino al 31.12.2009, inclusi i proseguimenti.
I primi 20 film per incasso nel 2009 assorbono circa il 42% del mercato complessivo. Nella top
20 figurano 6 titoli di produzione italiana (1 in meno rispetto al 2008), 13 di origine Usa ed 1
di origine Uk. I film di origine domestica incidono per il 23,3% sul totale dei primi 20 incassi,
contro il 35% registrato nell’anno precedente.
I primi due film di origine italiana sono distribuiti da un distributore indipendente, FilmAuro
(Natale a Beverly Hills) e da Medusa (Cado dalle nubi).
Tabella 13 - Top 20 dei film in sala, 2009
Titolo
Paese
Distributore
Incasso
(mln euro)
L’era Glaciale 3 - l’Alba dei dinosauri
Usa
20 Th Century Fox Italia
29.690.712
Angeli e Demoni
Usa
Sony Pictures Italia
18.724.657
Harry Potter e il Principe Mezzosangue
Uk
Warner Bros Italia
18.356.557
New Moon
Usa
Eagle Pictures
16.427.604
Natale a Beverly Hills
Ita
FilmAuro
16.339.019
UP
Usa
Walt Disnesy S.M.P Italya
15.345.556
2012
Usa
Sony Pictures Italia
14.311.547
Cado dalle Nubi
Ita
Medusa Film
12.787.555
Italians
Ita
FilmAuro
12.158.520
Sette Anime
Usa
Sony Pictures Italia
11.258.003
A Christmas Carol
Usa
Walt Disnesy S.M.P Italya
11.001.542
Il curioso caso di Benjamin Button
Usa
Warner Bros Italia
10.935.460
EX
Ita
01 Distribution
10.652.049
Baaria
Ita
Medusa Film
10.534.935
Bastardi senza Gloria
Usa
Universal
9.324.983
Gran Torino
Usa
Warner Bros Italia
9.127.986
Io & Marilyn
Ita
Medusa Film
8.883.362
Fast & Furious - Solo Parti originali
Usa
Universal
8.323.487
Viaggio al centro della Terra
Usa
Universal
8.203.251
Trasnformes - La Vendetta del Caduto
Usa
Universal
8.189.080
Totale film italiani nei primi 20
60.703.391
Totale film USA nei primi 20
199.872.474
Toatale primi 20 film
260.575.865
Fonte: Cinetel, ANICA. Note: in neretto i film di origine italiana
3. Una comparazione con i mercati europei
Il raffronto con gli altri principali mercati europei (Francia, Germania, Regno Unito e Spagna)
mostra, anche per il 2009, il ritardo del sistema italiano soprattutto con riferimento ai tradizionali
indicatori di performance. Prendendo in esame le presenze e gli incassi al botteghino, infatti, il
mercato nazionale è posizionato sugli stessi livelli della Spagna, a debita distanza da Germania,
Regno Unito e Francia Oltralpe il box office ha superato nel 2009 la soglia storica dei 200
milioni di biglietti con un incasso pari ad 1,2 miliardi di euro (praticamente il doppio delle
cifre registrate nel nostro Paese). Il numero di film nazionali prodotti in Italia che, fino al 2008,
aveva mostrato un incoraggiante andamento in crescita, ha subito una contrazione (scendendo
da 154 a 131 film) in controtendenza rispetto agli altri mercati, fatta eccezione per la Francia
che continua comunque a mantenere la leadership nel volume di output. Per quanto riguarda
la frequenza di consumo cinematografico in rapporto alla popolazione, l’Italia si colloca agli
ultimi posti, con una media pro capite di 1,9 spettacoli all’anno.
Cinema
59
Tabella 14 - Il mercato cinematografico nei principali paesi europei, 1999-2009
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
tot. Film nazionali
230
240
228
203
240
203
212
200
204
171
181
Ingressi (in milioni)
200,9
190,1
178,2
188,8
175,5
195,7
173,5
184,4
187,5
165,8
153,6
frequenza media
3,4
3,2
3
3,2
3
3,3
3
3,2
3,2
2,8
2,6
Incassi totali (M€)
1232
1141,7 1060
1120,7
1031,9
1138,9
996,1
1030
1021
894
824
da film nazionali (%)
35,6
45,1
36,1
44,6
36,3
38,4
34,6
34,6
41,4
28,1
32,5
da film americani (%)
51,7
43,9
50,1
44,7
46,5
48,3
52,9
50,2
46,6
63,2
54,4
da film europei (%)
9,6
9,2
12,1
8,8
15,5
9,4
5,3
8,4
7,5
6,1
11,1
tot. Film nazionali
144
125
129
122
103
87
80
84
83
75
74
Ingressi (in milioni)
146,3
129,4
125,4
136,7
127,3
156,7
149
163,9
177,9
152,5
149
frequenza media
1,8
1,6
1,5
1,7
1,5
1,9
1,8
2
2,2
1,9
1,8
Incassi totali (M€)
976,1
794,7
757,9
814,4
745
892,9
850
960,1
987,2
824,5
808,4
da film nazionali (%)
27,4
21
15,1
21,5
13,9
20,8
16,7
9,5
15,7
9,4
11,1
da film americani (%)
n.d
66,9
73,2
72
77,2
72,1
76,8
83
77
81,9
78,6
da film europei (%)
n.d
16,9
19,5
13,8
22,2
13,6
9,4
21,4
18,6
8,8
14,3
tot. Film nazionali
131
154
121
116
98
134
117
130
103
103
108
Ingressi (in milioni)
109,3
111
116
105
104,7
113,2
105
111,5
110
100,9
103,5
frequenza media
1,9
1,9
1,9
1,8
1,9
2
1,9
1,9
1,9
1,8
1,8
Incassi totali (M€)
664,1
636,7
669,6
601,2
559,5
655,4
608,6
654
600,7
545,8
532,9
da film nazionali (%)
23,4
29
31,7
24,7
24,7
20,3
21,8
22,2
19,4
17,5
24,1
da film americani (%)
63,5
60,2
55,4
61,9
53,8
61,9
64,5
60,2
59,7
69,5
53,1
da film europei (%)
11,5
9,8
11,6
11,2
19,6
10,9
8,3
12,6
23,7
11,4
14,3
tot. Film nazionali
125
126
127
134
164
174
196
119
83
90
103
Ingressi (in milioni)
173,5
164,2
162,4
156,6
164,7
171,3
167,3
175,9
155,9
142,5
139,1
frequenza media
2,8
2,7
2,7
2,6
2,7
2,8
2,8
2,9
2,6
2,4
2,4
Incassi totali (M€)
1059,3 953,5
921,5
855,3
864,3
864,3
832,8
847,4
724
654,4
631,9
da film nazionali (%)
16,5
31,1
28,6
19,1
33
23,6
10,2
8,3
4,9
19,6
16,5
da film americani (%)
n.d.
65,2
67,7
77,1
63,1
73,2
73,5
71,3
73,9
75,3
80,5
da film europei (%)
n.d
2,3
1,8
1,2
3,1
1,3
2,5
1,2
4
1,5
1,6
tot. Film nazionali
186
173
172
150
142
133
110
137
106
98
82
Ingressi (in milioni)
109,5
107,8
116,9
121,7
127,6
143,9
137,5
140,7
146,8
135,3
131,3
frequenza media
2,4
2,4
2,6
2,8
2,9
3,5
3,3
3,4
3,7
3,4
3,3
Incassi totali (M€)
667,8
619,3
643,7
636,2
635
691,6
639,4
625,9
616,4
536,3
495,9
da film nazionali (%)
16
13,3
13,5
15,4
16,7
13,4
15,8
13,7
17,9
10,1
13,9
Francia
Germania
Italia
Regno Unito*
Spagna
60
Cinema
da film americani (%)
70,6
71,5
67,6
71,2
60,3
69,8
67,3
66,1
62,2
82,7
64,2
da film europei (%)
n.d
13,6
14,5
12,2
20,3
9,9
12
14,8
15
7,2
13,1
Note: (*) per il Regno Unito è stato applicato il tasso di cambio medio annuale relativo al 2009 (pari a 0,89094 ovvero
1,12241 euro per una sterlina) fornito dall’Ufficio Italiano Cambi della Banca d’Italia. Fonte: elaborazioni Iem su
ANICA, Siae, Cinetel, Centre National de la Cinématographie.
Osservando l’andamento delle quote di mercato nei 5 mercati, l’unico Paese che registra
una crescita progressiva nell’ultimo triennio è la Germania28. Nel 2009 la quota di mercato
francese torna ai livelli del 2007, attestandosi al 35,6% dopo l’impennata (45,1%) registrata
nel 2008 grazie al clamoroso successo del film Giù al Nord. Vistoso anche il decremento della
quota di prodotto domestico italiano (23,4%, in calo di più di 5 punti percentuali rispetto
alla performance dell’anno precedente)29. Fortemente negativo anche il dato relativo al Regno
Unito che nel 2009 dimezza la propria quota di mercato precipitando dal 31,1% al 16,5%,
interrompendo bruscamente la crescita rilevata nel triennio prevedente e allineandosi alla
quota di mercato spagnola (16%) che, al contrario, guadagna quasi 3 punti rispetto all’anno
precedente.
Figura 1 - Quota di mercato dei film nazionali, 1999-2009
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
1999
2000
2001
Francia
2002
2003
Germania
2004
Italia
2005
2006
2007
Regno Unito
2008
2009
Spagna
Fonte: elaborazioni Iem su ANICA, Siae, Cinetel, Centre National de la Cinématographie
28
Il dato relativo alla quota di mercato nazionale registrata in Germania nel 2009 (27,4%) va letto con cautela, riferendosi agli ingressi e non agli incassi e includendo coproduzioni realizzate nel Regno Unito supportate
da investimenti americani. Il dato è ricavato dalla base dati del CNC che a sua volta lo ha elaborato utilizzando il
database Lumière curato dall’Osservatorio Europeo dell’Audiovisivo di Strasburgo.
29
Come già ricordato, nel primo semestre 2010 la quota di mercato era già risalita al 30%, coproduzioni
comprese.
Cinema
61
Home Video
62
Home Video
di Andrea Marzulli
1. Il mercato italiano
Anche nel 2009, così come nel 2008, la flessione dei consumi home video in Italia è stata
particolarmente pesante. La somma tra atti di noleggio e pezzi venduti è scesa di quasi il 19%
(dopo il 20% del 2008), sotto quota 100 milioni. Solo nel 2006, i volumi erano di oltre 160
milioni. E, per l’ennesimo anno, è stato il noleggio a soffrire di più: attestatisti a 42,9 milioni,
gli atti di noleggio sono diminuiti di oltre il 22% nell’ultimo anno e si sono più che dimezzati
rispetto al 2005. Secondo la CCIAA di Rimini riportati dal rapporto Univideo 2010, nel 2009
hanno cessato l’attività quasi 500 imprese di videonoleggio (nel 2007-2008 erano state oltre
400), che sono quindi stimate essere 3.800 (un numero, per la verità, che risulta elevato se
paragonato al valore del segmento; secondo Screen Digest nel 2008 il numero di outlet attivi
nel rental era di 2.200). Se negozi singoli e catene brick’n’mortar sono sempre più in crisi –
negli Usa la catena di videonoleggio Blockbuster ha chiesto il “chapter 11”, ossia la procedura
di bancarotta assistita, dopo il fallimento del suo principale competitor Hollywood Video - il
suo rivale digitale Netflix è in netta ascesa (1,67 miliardi di dollari di fatturato nel 2009) grazie
all’offerta di subscription-video on demand online in modalità over-the-top e al recapito/
ritiro domestico dei film noleggiati (a conferma, come segnalato nelle edizioni precedenti di
questo rapporto, che la “logistica” del noleggio risulta sempre più gravosa per l’utente). Le forti
pressioni sulla window del rental da parte di molti distributori cinematografici e il filesharing
(attraverso i client di condivisione oppure i grandi portali cyberlocker di archiviazione remota,
primo fra tutti Megavideo) contribuiscono al progressivo calo del settore.
Negli ultimi anni, il rapporto fra atti di noleggio e atti di acquisto si è ribaltato a favore di
questi ultimi, la cui flessione è stata inferiore (il 24% circa negli ultimi 5 anni, contro oltre
il 54% per il noleggio). Il consumo di video passa sempre più per i grandi mediastore (dove
generalmente è possibile solo l’acquisto) piuttosto che per le videoteche. Tra i canali di vendita,
nell’ultimo anno ha particolarmente sofferto l’edicola, dove gli atti d’acquisto sono caduti del
24%, a conferma della flessione, seguita alla saturazione, del mercato dei collaterali (prodotti in
abbinamento a quotidiani e periodici). Appare invece più contenuto il calo del Normal Trade,
che è stato dell’8%, per il quale ormai da anni non sono più disponibili pubblicamente i dati
di vendita secondo la tipologia di outlet. Comunque, è dal 2006 che gli atti di vendita non
registrano un saldo annuale positivo; nel primo semestre 2010, però, le vendite sono cresciute
del 2% grazie al Blu-ray (le cui vendite nel 2009 sono state però inferiori al milione di pezzi
– una cifra che denota un processo di sostituzione col Dvd molto in ritardo rispetto agli altri
grandi Paesi europei: i lettori venduti in Italia nel 2009 sono stati solo 119mila).
Home video
63
Tabella 1 – Atti di noleggio e acquisto (milioni), 2005-2009
2009
Noleggio
42,9
2008
55,4
2007
2006
75,4
∆%
09-08
2005
86,2
94,2
∆%
09-05
-22,6
-54,5
Dvd
42,8
55,3
75,2
81,8
86,8
-22,6
-50,7
Blu-ray Disc
0,14
0,04
0,03
-
-
250,0
-
Vhs
-
0,1
0,2
4,4
7,4
-100,0
-100,0
Vendita
54,3
64,5
75,7
76,3
70,2
-15,8
-23,6
Dvd
53,3
63,5
74,2
73,4
63,4
-16,1
-15,9
(di cui Normal Trade) 29,5
32,3
37,5
37
33,5
-8,7
-11,9
(di cui Edicola) 23,8
31,2
36,7
36,4
29,9
-23,7
-20,4
0,4
0,1
-
-
125,0
-
Blu-ray Disc
0,9
Altri supporti (Umd, Hd-Dvd)
0,1
0,5
0,1
0,1
0,04
-80,0
150,0
Vhs
-
*
1,2
2,9
6,8
-
-100,0
(di cui Normal Trade) -
*
1
2,6
4,7
-
-100,0
0,1
0,2
0,3
2,1
-100,0
-100,0
(Totale Normal Trade)
(di cui Edicola) 30,5
33,2
38,8
39,6
38,2
-8,1
-20,2
(Totale Edicola)
23,8
31,3
36,9
36,7
32,0
-24,0
-25,6
(Totale Dvd)
96,1
118,8
149,4
155,2
150,2
-19,1
-36,0
(Totale Vhs)
-
0,2
1,4
7,3
14,2
-100,0
-100,0
(Totale Altri Supporti)
1,1
0,9
0,2
0,1
0,1
22,2
1000,0
Totale atti di noleggio + vendita
97,2
119,9
151,1
162,5
154,4
-18,9
-37,0
Note: dati in milioni di atti. Fonte: elaborazioni Iem su dati Prometeia, Univideo.
La contrazione del consumo si ritrova nei dati economici: nel 2009 il mercato dell’home video
ha registrato un calo in valore del 17,9% rispetto al 2008, passando da 828 a 680 milioni, il
valore più basso dal 2001 (quando era di 615 milioni).
Il noleggio cede il 22,6%, scendendo a circa 115 milioni, quasi interamente coperti dal noleggio
di Dvd, mentre il Blu-ray vale ancora 0,5 milioni di euro.
Del 15,3% è stato il decremento delle vendite sui vari canali, da 667 a 565 milioni. La flessione
tocca principalmente l’Edicola (-23%, a 201 milioni), mentre è del 10,4% (a 364 milioni) per
il Normal Trade. Il calo a valore dei due segmenti, leggermente superiore al calo dei volumi,
testimonia l’ulteriore diminuzione dei prezzi medi (sotto i 12 euro per i Dvd, circa 24 euro per
il Blu-ray). Le vendite di Blu-ray sono cresciute del 113%, da 9,7 a 20,7 milioni ed il formato
rappresenta il 3,7% delle vendite.
Tabella 2 – Mercato Home-Video: valore a prezzi finali (milioni di euro), 2005-2009
64
2009
2008
2007
2006
2005
∆ % 09-08
∆ % 09-05
Noleggio
114,6
160,6
218,4
272,4
Vhs
-
0,2
0,2
12,0
315,0
-28,6
-63,6
19,8
-100,0
-100,0
Dvd
114,1
160,3
218,1
260,4
295,1
-28,8
-61,3
Blu-ray Disc
0,5
0,2
Vendita
564,9
667,0
0,1
-
-
150,0
-
780,0
765
738
-15,3
-23,5
Vhs
0,3
1,3
2,7
12
39
-76,9
-99,2
(di cui Normal Trade)
(di cui Edicola)
0,3
1,2
2,4
11
33
-75,0
-99,1
-
0,1
0,3
1
7
-100,0
-100,0
Dvd
544,0
654,8
772,9
753
697
-16,9
-22,0
(di cui Normal Trade)
343,2
394,3
466,5
453
436
-13,0
-21,3
(di cui Edicola)
200,7
260,5
306,4
300
262
-23,0
-23,4
Home Video
Blu-ray Disc
20,7
9,7
3,0
-
-
113,4
-
Umd
-
0,9
0,7
1,2
0,8
-100,0
-100,0
Hd-Dvd
-
0,4
0,5
-
-
-100,0
-
(Totale Normal Trade)
364,2
406,4
473,4
464
469
-10,4
-22,3
(Totale Edicola)
200,7
260,7
306,7
301
269
-23,0
-25,4
(Totale Vhs)
0,3
1,5
3,2
24
60
-80,0
-99,5
(Totale Dvd)
658,1
815,0
991
1014
993
-19,3
-33,7
(Totale Blu-Ray Disc)
21,2
9,9
3,0
-
-
114,1
-
(Totale altri supporti)
-
1,3
1,2
-100,0
-
Totale mercato
679,6
827,6
998,4
-17,9
-38,2
1037
1099
Fonte: elaborazioni Iem su dati Prometeia, Univideo.
In termini di contenuti, il film è naturalmente la principale tipologia di prodotto, con il 56%
circa del mercato della vendita di Dvd. Questa percentuale è in leggera flessione rispetto agli
anni precedenti ma bisogna considerare che la categoria comprende i soli film live-action,
mentre i film di animazione sono ricompresi nella categoria Animazione, che è invece quella
che mostra la migliore crescita (dal 20 al 26%). In un contesto di forte caduta del mercato, i film
per bambini e i cartoni animati televisivi tengono meglio di altre categorie di prodotto. Vistosa
(almeno nei termini relativi delle più ridotte dimensioni del segmento) è anche la flessione
del prodotto televisivo, generalmente impacchettato in più costosi cofanetti, che in due anni è
sceso dal 10 al 7,7%. Tra gli altri si segnala, nel 2009, una buona crescita del segmento Musica:
per il mercato discografico il Dvd è divenuto un elemento per contrastare il file-sharing
digitale, mettendo sul mercato prodotti aggiuntivi rispetto ai contenuti audio, confidando nel
loro maggiore appeal.
Figura 1 – Vendite Dvd per tipologia di contenuto,2007-2009 (%)
100%
7
6
5,8
20
24
25,8
90%
80%
70%
2
3
60%
2
2
1,4
3,7
10
9
58
58
55,5
2007
2008
2009
7,7
50%
40%
30%
20%
10%
0%
Film
Serie Tv
Musica
Special
Animazione
Promo
Fonte: elaborazioni Iem su dati Prometeia, Univideo.
Essendo il film cinematografico il principale prodotto home-video, e stante il controllo sulla
filiera dei principali gruppi media, la “magnitudo” dei principali operatori attivi nel settore
rispecchia prevalentemente le quote di mercato dello sfruttamento in sala, con le filiali della
major Usa ai primi posti della graduatoria per ricavi (oltre i 60 milioni di euro per Buena
Vista).
Home Video
65
Il primo operatore italiano è Medusa, con oltre 26 milioni di ricavi (e in circa 20 milioni sono
stimati i ricavi home-video dell’altro grande soggetto italiano, 01 Distribution), seguita da
Mondo Home Entertainment con 23 milioni.
Tabella 3 – Ricavi di alcuni fra i principali editori home-video
Rank
Anno
Ricavi
1
Buena Vista Home Entertainment
Editore
2008
61,2
Disney
Azionisti principali
2
Twentieth Century Fox HE Italia
2007
49,0
Newscorp
3
Paramount Home Entertainment Italy
2008
34,2
Viacom
4
Universal Pictures Italy
2008
30,3
Comcast-Nbc Universal
5
Medusa Video
2008
26,6
Mediaset
6
Mondo Home Entertainment
2009
23,4
Mondo Tv
7
Sony Pictures Home Entertainment
2008
20,6
Sony
8
Cecchi Gori Home Video
2009
12,7
amministrazione straordinaria
9
Rai Trade
2008
*8,0
Rai
10
Filmauro
2007
*6,3
De Laurentiis
11
Dolmen Home Video
2009
4,1
De Agostini
Note: (*) solo ricavi hv. Dati in milioni di euro. Tra le maggiori società attive, dati indisponibili per 01 Distribution
del gruppo Rai (stimati intorno ai 20 milioni di euro), Warner HE, Dnc HE. Fonte: elaborazioni IEM su dati
European Audiovisual Observatory, Ente dello Spettacolo e bilanci operatori.
2. Il confronto internazionale
Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare – dal fatto che il 2009 è stato un anno di
grave crisi economica e dalla considerazione che, fra i grandi mercati media, l’home video è
uno di quelli che soffrono maggiormente di una crisi strutturale e del ripensamento di logiche
di business legate ai nuovi media – in Europa il 2009 non è stato un anno negativo in tutti i
Paesi. Il dato italiano è stato fra i più negativi, secondo solo a quello spagnolo (Paese, in cui per
molti mercati media, la televisione ad esempio, l’anno 2009 è stato particolarmente pesante). In
Spagna la caduta del mercato è stata del 37% (per il solo noleggio addirittura del 58%) ed è la
più alta fra i 5 grandi Paesi europei. Meglio ha fatto il Regno Unito (che con 2,9 miliardi rimane
il mercato più ricco), la cui flessione, del 10% circa, ha riguardato il noleggio e la vendita quasi
in egual misura.
Ma se in Francia il mercato è rimasto sostanzialmente stabile (-0,2%, ma +0,6% per la vendita),
in Germania si è registrato addirittura un incremento a valore del 5%, dovuto essenzialmente
a un’ottima performance del canale vendita (+6,7%), che ha riportato i valori sopra quelli del
2006.
Tabella 4 – Il mercato home-video nei principali Paesi europei, 2005-2009
2009
2007
2006
2005
∆ % 09-08 ∆ % 09-05
Italia
680
828
998
1037
1099
-17,9
-38,1
Noleggio
115
161
218
272
315
-28,6
-63,5
% noleggio su mercato totale
16,9
19,4
21,8
26,2
28,6
-12,8
-40,9
Vendita
565
667
780
765
784
-15,3
-27,9
Francia
1411
1414
1543
1737
1889
-0,2
-25,3
20
31
47
78
105
-35,5
-81,0
Noleggio
% noleggio su mercato totale
66
2008
1,4
2,2
3,0
4,5
5,6
-35,3
-74,5
Vendita
1391
1383
1496
1659
1784
0,6
-22,0
Germania
1633
1555
1605
1591
1686
5,0
-3,1
Noleggio
256
264
274
284
320
-3,0
-20,0
% noleggio su mercato totale
15,7
17,0
17,1
17,9
19,0
-7,7
-17,4
Home Video
Vendita
1377
1291
1331
1307
1366
6,7
Regno Unito
0,8
2877
3196
3305
3256
3489
-10,0
-17,5
Noleggio
223
246
334
382
448
-9,1
-50,1
% noleggio su mercato totale
7,8
7,7
10,1
11,7
12,8
0,9
-39,5
Vendita
2654
2950
2971
2874
3041
-10,0
-12,7
Spagna
125
198
272
276
292
-36,9
-57,2
16
38
52
76
93
-57,9
-82,8
% noleggio su mercato totale
Noleggio
12,8
19,2
19,1
27,5
31,8
-33,3
-59,8
Vendita
109
160
220
200
199
-31,9
-45,2
Note: dati in milioni di euro (cambio medio 2009 UK: 1 € = 0,89049 £). Fonte: elaborazioni IEM su dati Prometeia,
Univideo (Italia), Sevn, Cnc-Gfk (Francia), Bvv (Germania), Bva, UKFC (Regno Unito), Uve, Sgae, Screen Digest
(Spagna).
Fin qui i valori. Per quanto riguarda i volumi, Francia e Germania mostrano una crescita dei
pezzi venduti fra il 9 e il 10%, dopo anni di caduta (Francia) o di stabilità (Germania). Il dato
italiano è invece preoccupante perché il dato (sia sul 2008 che sul 2005) è molto più negativo
degli altri grandi (esclusa la Spagna) e denota una propensione al consumo in netto calo. In
Francia, la riduzione a 4 mesi del periodo minimo fra la sala e il rental ha rivitalizzato le vendite
natalizie e ha contribuito a determinare il risultato particolarmente positivo, insieme a una
deregolamentazione sui prezzi. In Germania, l’ascesa del Blu-ray è stata più rapida che in altri
Paesi.
Tabella 5 – Pezzi venduti nei principali Paesi europei, 2005-2009
2009
2008
2007
2006
2005
∆ % 09-08
∆ % 09-05
Italia
54
64
76
76
70
-16,3
-23,6
Francia
141
128
131
136
143
10,0
-1,7
Germania
113
104
104
103
104
9,0
8,1
Regno Unito
243
258
250
229
222
-5,8
9,5
Spagna
16
21
28
30
34
-23,8
-52,9
Note: dati in milioni di pezzi. Fonte: elaborazioni IEM su dati Prometeia, Univideo (Italia), Cnc-Gfk (Francia), Bvv
(Germania), Bva (Regno Unito), Uve (Spagna).
Non c’è dubbio che il file-sharing abbia delle conseguenze, negative, sul mercato dell’home
video. Il dibattito, in Italia e altrove, riguarda però la misura del danno. In molti casi questi
calcoli tendono a quantificare il danno attribuendo il valore di mercato alle opere scambiate o
scaricate online e alle copie fisiche contraffatte e vendute. In altri si tende a misurare l’effettivo
tasso di sostituzione e a ridurre l’incidenza del danno sul mercato. Un raffronto fra l’entità dei
download e delle contraffazioni e l’andamento del mercato mostra, in ogni caso, come fra i
grandi Paesi europei ci sia una proporzione diretta fra il numero dei c.d. copyright infringements
e la flessione nel tempo dei consumi “regolari”. E’ evidente il caso della Spagna che mostra il
numero più elevato degli infringements (568 milioni nel 2009, di cui 539 milioni di download di
film e serie tv e 29 milioni di pezzi contraffatti) e il maggior calo degli atti di acquisto/noleggio
tra il 2005 e il 2009 (-57,9%). Segue l’Italia con 327 milioni di infringements (di cui 228 milioni
di download e 99 milioni di pezzi contraffatti, il numero più alto fra i Paesi citati relativamente
alla “pirateria fisica”) da una parte e un calo degli atti del 36,5% dall’altra. Il Paese con il numero
di infringements più basso (la Germania, con 164 milioni) è anche il Paese con la flessione
del mercato più contenuta (-1,8% di atti nel quinquennio). Germania e Regno Unito sono gli
unici Paesi dove il numero di infringements (2008) è inferiore al numero di atti di acquisto/
noleggio (2009) e che mostrano il minor calo del mercato (nel Regno Unito è dell’11,5%).
Questo numero è invece superiore agli atti di acquisto/noleggio in Francia, Italia e Spagna,
dove la flessione del mercato è maggiore, con una proporzione particolarmente aderente.
Home Video
67
Figura 2 – Rapporto fra atti di acquisto/noleggio e file-sharing/contraffazione nel mercato HV
UK
DE
FR
IT
ES
29
539
314
99
6
224
162
71
9
152
228
97
252
153
16
-1,8%
-11,5%
-19,4%
Download film e serie tv (mln file)
Contraffazione fisica film e serie tv (mln pezzi)
-36,5%
Atti di acquisto/noleggio (mln)
Variazione atti acquisto/noleggio 05-09 (%)
-57,9%
Note: dati download e contraffazione 2008, atti di acquisto/noleggio 2009. Fonte. IEM su Bva, Ukfc, Cnc, Bvv,
Prometeia, Univideo, Sgae, Tera Consultants.
Tabella 6 – Mercato del video on demand in Regno Unito, Germania e Francia, 2006-2009
2009
2008
2007
2006
∆ % 09-08
Regno Unito
139,2
134,1
103,5
80,5
3,8
- di cui Tv-based
121,3
127,1
97,7
nd
-4,6
- di cui online
16,8
7,0
6,2
nd
140,0
Francia
82,3
53,3
29,1
14,0
54,4
- di cui Tv-based
75,2
46,9
23,7
nd
60,3
- di cui online
7,1
6,4
5,4
nd
10,9
Germania
13,1
9,0
3,0
nd
45,6
Note: dati in milioni di euro (cambio medio 2009 UK: 1 € = 0,89049 £). Fonte: Screen Digest, UKFC, Cnc, Bvv.
Il mercato del video on demand, quale alternativa al rental fisico, continua a crescere nei
maggiori mercati europei, a buon ritmo. In Francia (+54% nell’ultimo anno, a quota 83 milioni)
vale ormai più del noleggio. Ed anche in Germania, pur con valori marginali (13 milioni di
euro nel 2009), la crescita è stata di oltre il 45%. Fa parzialmente eccezione il Regno Unito, che
rimane il mercato più ricco con 139 milioni di euro, dove la crescita è stata più modesta (3,8%)
a causa di un’improvvisa flessione del vod aggregato ad offerte televisive che ha registrato una
flessione di quasi il 5% (per il calo dei ricavi delle offerte n-vod, a favore di servizi vod puri
come Fetch Tv e iTunes, che da solo genera il 55% dei ricavi vod online nel Regno Unito). In
68
Home Video
assenza, di dati puntuali sui ricavi vod in Italia, si possono confermare le stime più conservative
(Univideo, E-media, versioni precedenti di questo rapporto) che vedono il mercato online
sui 4-5 milioni di euro (per Confindustria sono ben 40 ma comprensivi di pubblicità).La
contrazione del mercato home video continua a penalizzare il prodotto televisivo, riducendo
ulteriormente le fonti di ricavo della fiction al di fuori dello sfruttamento primario sul mercato
interno (anche i dati di export non sono particolarmente buoni, limitandosi a poco più di 10
milioni di euro), almeno per quanto riguarda la fiction italiana (dopo il picco del 10% del 2007,
il peso della fiction sulle vendite Dvd è sceso al 7,7%, e si tratta solo in minima parte di fiction
italiana). Anche in Francia il valore della fiction continua a diminuire (272 milioni) così come
l’incidenza della fiction francese sul totale fiction in home video (9,3%). Positiva eccezione,
anche per questo indicatore, è rappresentata dalla Germania, dove il valore delle vendite del
prodotto televisivo è cresciuto da 205 a 233 milioni, ritornando ai valori del 2004.
Tabella 7 – La fiction nel mercato home-video in Italia, Francia e Germania (2004-2009)
2009
2008
2007
2006
2005
2004
564,9
654,8
772,9
753
697
616
valore fiction (M€)
42
59
77
63,1
46
41,2
Fiction sul mercato (%)
7,7
9
10
8,3
6,5
6,6
Italia
valore mercato, vendita (M€)
Francia
valore mercato, vendita (M€)
1390
1382
1481
1658
1786
1959
valore fiction (M€)
272
283
317
317
247
196
fiction sul mercato (%)
19,6
20,5
21,2
19,1
13,8
9,9
fiction nazionale su totale fiction (%)
9,3
9,5
9,9
14,3
16,9
15,2
1377
1291
1331
1307
1366
1440
Germania
valore mercato, vendita (M€)
valore fiction (M€)
233
205
222
183
177
233
fiction sul mercato (%)
16,9
15,9
16,7
14,0
13,0
16,9
Fonte: elaborazioni IEM su dati Prometeia, Univideo (Italia), Cnc-Gfk (Francia), Bvv (Germania).
Home Video
69
Libri
70
Libri
Libri
di Daniela Ciavarelli
1. Produzione e lettura
Una situazione di difficoltà ma non drammatica quella del mercato editoriale italiano nel corso
del 20081. Rispetto all’anno precedente la produzione libraria resiste con un leggero calo pari
allo 0,5% (tutte le edizioni) ma con un saldo sempre molto positivo (11,5%) rispetto al 2004.
Nel complesso la produzione si attesta ad un valore di poco inferiore ai 59mila titoli, grazie alla
ripresa delle prime edizioni (vedi infra).
A fronte del lieve calo del numero dei titoli continua a diminuire, e di molto, la tiratura
complessiva che, nel 2008, si attesta a poco più di 213 milioni di copie, in netta contrazione
sia rispetto all’anno precedente che all’andamento dell’ultimo quinquennio. Dal 2004 si rileva
infatti una diminuzione del 12,1%, mentre dall’anno precedente un calo del 9,4%.
In forte flessione, di conseguenza, la tiratura media per opera che, rispetto al 2004, scende del
21,2% (cioè di 1.000 copie) e del 9% sul 2007.
Tabella 1 - Produzione libraria in Italia (titoli e tiratura), 2004-2008
2008
2007
2006
2005
2004
Totale (prime edizioni,
ristampe ed edizioni
successive)
58.829
59.129
61.440
59.743
52.760
Tiratura (000)
213.163
235.389
268.097
261.054
242.639
-9,4
-12,1
3.623
3.981
4.364
4.373
4.599
-9,0
-21,2
Tiratura media
Δ % 08-07 Δ % 08-04
-0,5
11,5
Fonte: elaborazioni Iem su dati Istat e Aie.
La tenuta del mercato si deve principalmente all’incremento delle prime edizioni che
raggiungono quasi 38mila titoli, in aumento di circa mille unità rispetto all’anno precedente.
Le prime edizioni vanno quindi a rappresentare il 64,3% delle opere pubblicate, a fronte di
un costante calo di ristampe e edizioni successive. Riguardo le ristampe il valore continua a
seguire il trend negativo iniziato dal 2006 fermandosi a poco meno di 18mila copie (30,6%)
mentre riguardo alle edizioni successive, in controtendenza con quanto avveniva nel 2007, il
valore torna a scendere: dal 6,6 al 5,1%. Come si nota dalla tabella 2 i valori di quest’ultimo
tipo di edizione hanno seguito sempre un andamento altalenante negli ultimi sei anni senza
descrivere un trend chiaro.
Le prime edizioni sono cresciute in maniera omogenea tra i vari generi di opera: +257 titoli
nel segmento delle edizioni scolastiche, +230 nel segmento per ragazzi e +539 nel segmento
Varia che comprende, oltre alla narrativa, manuali, saggi, guide, volumi di arte e illustrati,
guide di viaggio, libri universitari, pubblicazioni scientifiche tecniche e mediche, reference ed
1
Si tratta dell’ultimo anno disponibile, alla stesura di questa ricerca, relativamente ai dati che riguardano la
produzione libraria. I dati economici, nel prosieguo del capitolo, sono invece allineati al 2009.
Libri
71
enciclopedie. Le prime edizioni, nei segmenti Varia e Ragazzi, rappresentano rispettivamente
il 67 e il 72% dei titoli pubblicati, mentre per le edizioni scolastiche, con un ricambio minore,
il valore scende al 32,8.
Tabella 2 – Produzione libraria in Italia per tipo di edizione, 2002-2008
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
prima edizione
37.845
36.819
37.991
37.694
33.641
34.496
32.781
Valori assoluti
Ristampa
17.991
18.431
19.999
18.596
16.440
16.417
19.083
edizione successiva
2.993
3.879
3.450
3.453
2.679
3.353
2.760
Totale
58.829
59.129
61.440
59.743
52.760
54.266
54.624
prima edizione
64,3
62,27
61,83
63,09
63,76
63,57
60,01
Valori percentuali
Ristampa
30,6
31,17
32,55
31,13
31,16
30,25
34,94
edizione successiva
5,1
6,56
5,61
5,78
5,08
6,18
5,05
Totale
100
100
100
100
100
100
100
Fonte: elaborazioni Iem su dati Istat e Aie.
Le ristampe e le edizioni successive, a fronte dell’aumento delle prime edizioni su tutti i generi
di opera, calano drasticamente e parallelamente: nel segmento Varia nel 2008 le ristampe
costituiscono il 28,1 per cento dei titoli e le edizioni successive il 5,1. Anche nel segmento dei
libri per bambini e ragazzi il peso delle ristampe passa dal 64% del 2007 a poco più del 60% del
2008 e la stessa cosa succede per le edizioni successive che passano dal 7 al 3,3 con un calo di
più del 50%. Le ristampe dei libri scolastici scendono al 60,6% e le edizioni successive al 6,6.
Tabella 3 - Produzione libraria in Italia per tipo di edizione e genere di opera, 2008
Prima edizione
Edizione
successiva
Ristampa
Totale
Scolastiche
1.636
331
3.024
4.991
Per ragazzi
2.939
136
996
4.071
Tipo di edizione per genere di opera
Valori assoluti
Varia
33.270
2.526
13.971
49.767
Totale
37.845
2.993
17.991
58.829
Valori percentuali
Scolastiche
4,3
11
16,8
8,5
Per ragazzi
7,8
4,6
5,5
6,9
Varia
87,9
84,4
77,7
84,6
Totale
100
100
100
100
Genere di opera per tipo di edizione (valori percentuali)
Scolastiche
32,8
6,6
60,6
100
Per ragazzi
72,2
3,3
24,5
100
Varia
66,9
5,1
28,1
100
Totale
64,3
5,1
30,6
100
Fonte: elaborazioni IEM su dati Istat.
Nel 2009, secondo l’Indagine Multiscopo “Aspetti della vita quotidiana” dell’Istat, il tasso di
lettura della popolazione italiana di 6 anni e più sale al 45,1, dal 44% dell’anno precedente.
Rilevante è che tale aumento sia relativo ai cosiddetti “lettori forti” (da 12 libri in su all’anno), che
crescono di 2 punti fino a rappresentare il 15,2% dei lettori di libri (almeno 1 libro nell’ultimo
anno) e in parte ai lettori medi (4-11) libri. Diminuisce di conseguenza la percentuale di coloro
che leggono fino a 3 libri (come si vedrà in seguito). La quota più alta di lettori si riscontra
tra la popolazione di 11-17 anni (oltre il 58%), con un picco tra gli 11 e i 14 anni (64,7%),
72
Libri
e decresce all’aumentare dell’età. Già a partire dai 35 anni la quota di lettori scende sotto il
50%, per diminuire drasticamente dai 65 anni in poi e raggiungere il valore più basso tra la
popolazione di 75 anni e più (22,8%).
Le donne leggono più degli uomini: le lettrici, infatti, sono il 51,6% rispetto al 38,2% dei lettori.
Le differenze di genere sono presenti in tutte le fasce di età e risultano molto forti tra i 20 e
i 24 anni, dove la quota di lettrici supera il 66%, mentre quella dei lettori si attesta al 39,2%.
Le differenze di genere si annullano solo per le persone con 75 anni e più, fascia di età in cui
dichiarano di leggere nel tempo libero il 23,3% degli uomini e il 22,5% delle donne.
Il titolo di studio influisce fortemente sui livelli di lettura: si va da un massimo dell’80,6% tra i
laureati a un minimo del 28,4% tra chi possiede la licenza elementare o nessun titolo di studio.
Se poi si tiene conto della condizione professionale, livelli di lettura superiori alla media si
evidenziano, per le persone di 15 anni e più, tra dirigenti, imprenditori e liberi professionisti
(62,7%), studenti (65,2%), direttivi quadri e impiegati (68,1%). Al contrario, i più bassi livelli di
lettura si registrano tra gli operai (30,6%), i ritirati dal lavoro (33,2%) e le casalinghe (35,9%).
A livello territoriale, le quote più alte di lettori di libri si registrano al Nord, dove quasi il 52%
della popolazione di 6 anni e più ha letto almeno un libro nei 12 mesi precedenti l’intervista,
e al Centro (48%). Nel Sud e nelle Isole, invece, la quota di lettori cade rispettivamente al
34,2% e al 35,4%. Esiste, inoltre, una significativa variabilità regionale nei livelli di lettura: se
Trentino-Alto Adige (60%) e Friuli-Venezia Giulia (56,7%) fanno registrare i livelli di lettura
più alti, Marche, Umbria e tutte le regioni del Mezzogiorno si attestano al di sotto della media
nazionale. In particolare, agli ultimi posti si collocano Sicilia (31,5%), Campania (32,9%), Puglia
(33,1%) e Calabria (34,3%). Relativamente al tipo di comune, si nota una maggiore diffusione
di lettori nei centri e nelle aree di grande urbanizzazione, con una progressiva riduzione della
quota dei lettori nei centri più piccoli: si passa, infatti, dal 51,3% nei comuni centro dell’area
metropolitana al 40,5% nei centri da 2.001 a 10.000 abitanti.
Tabella 4 - Indici di lettura in Italia, 1997-2009
Hanno letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi (%)
per 100 lettori
1-3 libri
4-11 libri
12+ libri
39,9
40,5
38,9
38,4
39,0
39,1
38,8
39,0
39,8
40,8
39,1
39,9
13,0
11,7
12,9
12,1
12,9
12,6
12,4
13,5
12,9
13,3
13,2
15,2
1997
41,6
47,1
1998
41,9
47,8
1999
38,3
48,2
2000
38,6
49,5
2001
40,9
48,1
2002
41,4
48,3
2003
41,3
48,8
2005
42,3
47,5
2006
44,1
47,3
2007
43,1
46,2
2008
44,0
47,7
2009
45,1
44,9
Note: per 100 persone di 6 anni e +. Fonte: Istat.
I lettori deboli (da 1 a 3 libri l’anno) sono soprattutto maschi (48,1%), bambini e ragazzi fino a
14 anni (più del 48%), persone con 75 anni e più (49,5%), persone con la licenza media o titolo
inferiore (più del 50%), operai (55,3%), persone in cerca di prima occupazione e casalinghe
(oltre il 51%), residenti nelle regioni meridionali (57,6%). Le quote maggiori di lettori forti
(oltre i 12 libri) si riscontrano, invece, tra le persone di 65-74 anni (19,8%), tra le donne (16%),
con un picco tra quelle di 65-74 anni (22,1%), tra i laureati (24,4%) e tra dirigenti, imprenditori
e liberi professionisti (19,8%) e i ritirati dal lavoro (18,7%). A livello geografico le quote più alte
di lettori forti si riscontrano nel Nord-ovest (19,5%) e nel Nord-est (18,3%).
Libri
73
2. Valore del mercato
Per la seconda volta in due anni cala il valore del mercato del libro, attestandosi sui 3.407
milioni di euro, con una flessione del 4,3% rispetto al 2008. In questo quadro però mostrano
buoni risultati le vendite nei canali: Internet (+12%), Grande Distribuzione (+4%) e librerie
tradizionali +2,5%), che corrispondono complessivamente a 1430 milioni di euro.
Il canale libreria sta cambiando profondamente e forse questa è la ragione della sua sostanziale
tenuta nelle vendite. La Gdo (banco libri e grandi magazzini) dopo un -2,9% del 2008,
ricomincia a crescere (del 4%) giovandosi della crescente incidenza della grande distribuzione
organizzata nella spesa delle famiglie. Il 2009 ha visto le “catene” crescere di oltre il 4% a valore,
e le librerie a “conduzione familiare” sostanzialmente stabili (+0,6%). Continuano a crescere le
librerie on line con un +26,8% nelle vendite (percentuale più alta di tutti i canali trade) grazie
anche all’entrata sul mercato di nuovi operatori.
L’edicola (relativamente alla sola vendita libri) fa segnare un lieve miglioramento (+2,6%)
grazie al rinnovamento del canale portato avanti con la formula del franchising da parte di
alcuni grandi gruppi e grazie ad assortimenti di libri non più composti solo da tascabili e
supereconomici. I collaterali sono esclusi da questa percentuale: nel 2009 hanno subito
un’ulteriore battuta d’arresto, di quasi il 4%, mentre la perdita dal 2005 è di oltre il 50%.
Crollano anche i collezionabili: -31,5%, a 161 milioni di euro.
Il mercato scolastico registra un ulteriore rallentamento, dell’1,4%, nelle vendite. Contrazione
dovuta a un probabile accentuarsi del fenomeno dell’usato e all’effettivo avvio della riforma
voluta dal Ministero dell’Istruzione, con il blocco delle adozioni dei libri di testo per cinque
anni nella primaria e per sei anni nella secondaria e obbligo dal 2012 di adottare i soli libri di
testo disponibili e scaricabili da Internet.
Veramente agli inizi il mercato dell’e-book che, nonostante il battage mediatico che lo ha
imposto all’attenzione dei lettori e alla diffusione crescente di e-reader (questo più nel 2010,
per la verità), vale ancora poco più di 1 milione di euro, ossia lo 0,03% del mercato.
Tabella 5 - Il mercato dei libri in Italia, 2005-2009 (milioni di euro)
2009
2008
2007
2006
2005
Δ%
09-08
Δ%
09-05
GDO (1)
261
251
258,4
246,1
226,8
4,0
15,1
Edicola (2)
19,5
19
18,5
16,5
20,5
2,6
-4,9
Altro al dettaglio (3)
21,9
20,8
19,8
19,3
18,4
5,3
19,0
Internet (4)
101,2
90,4
71,3
52,1
40,1
11,9
152,4
Libreria (5)
1068
1042
1048
1043,3
1034
2,5
3,3
e-book (stime)
1,1
-
-
-
-
-
-
Libri scolastici
667
676,8
716,3
705,5
669
-1,4
-0,3
Bookshop musei
23,6
26,2
28,4
25,4
21,9
-9,9
7,8
Rateale
213,4
268,1
311,8
308,4
315
-20,4
-32,3
120
128,9
143,2
140,6
145
-6,9
-17,2
Corrispondenza
Book club
75
78,9
83,3
82,5
81,5
-4,9
-8,0
Vendita diretta a biblioteche
45
48
50,2
54,3
65,5
-6,3
-31,3
Export
42
41,1
40,7
39,9
39,5
2,2
6,3
161,1
235,2
293,2
307
342,3
-31,5
-52,9
264,5
348
330,5
336,9
326,5
-24,0
-19,0
97,8
75,2
70
60,5
51
30,1
91,8
Collezionabili
puntate
e
opere
Editoria elettronica
Rom, DVD Rom)
a
(CD
Editoria elettronica (banche
dati)
74
Libri
Libri usati e remainders
Non book
Iniziative speciali
Totale
95
84,6
79,8
78,1
76,5
12,3
50,5
40,7
38,2
80
85,8
101
3407,5
3560,7
3702,6
24,2
35,4
33
24,1
53,0
118
115
-6,8
-30,4
3670
3621,4
-4,3
-5,9
Collaterali (libri) (6)
250,6
260,6
453,3
489
537,5
-3,8
-53,4
Totale libri e collaterali libri
3658,2
3821,3
4155,9
4159
4158,9
-4,3
-12,0
Note: (1) banchi libri fissi in supermercati, grandi magazzini, autogrill, escluse librerie dei centri commerciali; (2)
esclusi allegati, opere a fascicoli e collezionabili; (3) in occasione di fiere, vendite temporanee, banchi dei mercati;
(4) vendite dai soli siti italiani; (5) libri nuovi di varia adulti e ragazzi; (6) valori forniti da Fieg, su dati relativi a 53
quotidiani. Il dato si riferisce alle sole vendite di libri. Fonte: elaborazione IEM su dati Aie.
Secondo l’AIE (Associazione Italiana Editori), nel 2008 risultavano censite, tra attive e non,
10.335 case editrici. Nel 2009, il numero delle case editrici attive era di 7.009, anche con un solo
titolo. Tuttavia gli editori che hanno una presenza organizzata e stabile in tutte le librerie del
territorio nazionale sono 1.600. Gli addetti di tutta la filiera sono circa 36mila.
Tabella 6 - quote di mercato gruppi editoriali, 2007-2009
2009
2008
2007
Gruppo Mondadori
28,4
28,8
29,0
- di cui Mondadori
14,5
15,1
14,3
- di cui Einaudi
5,9
5,7
5,4
- di cui Piemme
4,3
4,3
5,1
- di cui Sperling & Kupfer
2,4
2,4
2,8
- di cui altri Gruppo Mondadori
1,3
1,3
1,4
RCS MediaGroup
12,6
12,8
13,6
Gems - Gruppo Editoriale Mauri Spagnol
9,3
8,9
8,2
Gruppo Giunti
5,8
5,5
5,4
Feltrinelli
4,0
3,9
3,8
Altri Editori
39,9
40,1
40,0
Totale
100,0
100,0
100,0
Note: dati a valore. Quote 2009 calcolate su €m 1.171 nei canali trade (esclusa GDO). Fonte: Nielsen Bookscan,
Rispetto all’anno precedente la quota di mercato dei maggiori operatori del mercato italiano
– Mondadori, Feltrinelli, RCS Media Group, Gems e Giunti – sale nel 2009 di 0,2 punti
percentuali, rappresentando oltre il 60% del valore.
Il gruppo Mondadori, seppur con un leggero calo dal 28,8 al 28,4%, mantiene la propria
posizione di leadership rispetto agli altri player. Le ragioni della flessione sono da ricercare
proprio nella divisione omonima che perde il 3,9% rispetto al 2008 mentre le altre divisioni
restano ferme allo stesso valore o crescono leggermente: Piemme, Sperling & Kupfer e gli altri
operatori del gruppo restano stabili mentre Einaudi incrementa del 3,5%.
La quota di mercato di RCS (Rizzoli, Bompiani, Fabbri, Marsilio...) continua a scendere
e si ferma allo 12,6% con un calo dell’1,6%. A seguire il Gruppo Editoriale Mauri Spagnol
(Longanesi, Salani, Guanda, Garzanti), Giunti e Feltrinelli tutti con variazioni positive rispetto
al 2008: guadagna il 4,5% Gems, passando dall’8,9 al 9,3; 5,2 punti percentuali il Gruppo
Giunti salendo al 5,8% del valore del mercato e sale anche il Gruppo Feltrinelli passando dal
3,9 al 4% con un aumento del 2,6%.
Mondadori conferma il suo ruolo di leader del mercato anche in relazione ai ricavi raggiungendo
la quota di quasi 620 milioni di euro: di questi circa 426 milioni derivano dalla divisione Libri,
mentre 194 dal settore della distribuzione che gestisce il canale delle librerie. Entrambi questi
valori sono in calo rispetto all’anno precedente perdendo rispettivamente il 2 e lo 0,3 per cento.
A seguire, come secondo gruppo si registra Messaggerie Italiane holding che nel 2008 fattura
517 milioni di euro considerando entrambe le voci della distribuzione e dell’editoria, in aumento
Libri
75
del 2% rispetto al 2007.
Il terzo player del settore è il gruppo Feltrinelli con un fatturato complessivo (tra retail ed
editoria) di 460 milioni euro, in crescita rispetto al 2008 circa del 21 per cento. Rappresenta
la variazione più importante rispetto all’anno scorso e, considerando che nel mercato dei libri
la fatturazione maggiore di Feltrinelli viene dal canale retail, può considerarsi una risposta al
potenziamento della vendita on line nonché all’attenzione che il gruppo ripone nella cura e
sponsorizzazione delle librerie, entrate nell’immaginario collettivo degli utenti come sinonimo
di qualità e convenienza.
Gli altri gruppi attivi non superano i 200 milioni di euro e si attestano tutti sugli stessi valori:
secondo gli ultimi bilanci aziendali disponibili Giunti ha fatturato 191 milioni di euro (anno
di riferimento 2008) tra editoria e retail, De Agostini Editore 186 (2009) considerando editoria
e distribuzione.
RCS Libri, per cui il dato si riferisce solo al segmento “varia Italia”, fattura nel 2009 145,2 milioni
di euro, Zanichelli Editore 135,5 (2008), e infine il gruppo Pearson Paravia Bruno Mondadori
86,6 milioni di euro. Per tutti e tre si tiene in considerazione solo il fatturato derivante dalla
divisione editoria.
Tabella 7 - Fatturato maggiori gruppi italiani editori o distributori di libri
Gruppo
Attività
Anno
Ricavi
Mondadori
editoria, retail
2009
619,7
- Mondadori Libri
editoria
2009
425,7
- Mondadori Retail
retail
2009
194,0
Messaggerie Italiane holding
edit., distrib., retail
2008
*517,0
Feltrinelli
editoria + retail
2009
460,0
Giunti
editoria, retail
2008
190,9
De Agostini Editore
editoria, distrib.
2009
**186,0
Rcs Libri (solo varia Italia)
editoria
2009
145,2
Zanichelli Editore
editoria
2008
135,5
Pearson Paravia Bruno Mondadori
editoria
2008
86,6
Note: (*) di cui 25% circa distribuzione periodici; (**) esclusi collezionabili e direct mktg, non è scorporabile il
fatturato all’estero. Fonte: Mbres, dati societari et alia.
3. Confronti internazionali
L’Italia si conferma il penultimo paese, tra i 5 maggiori stati europei, in riferimento al valore
complessivo del mercato editoriale, mentre per quanto riguarda l’ammontare della spesa pro
capite è all’ultimo posto con poco più di 60 euro annui.
La situazione complessiva non varia di molto rispetto al 2008, in cui lo scenario presentava la
Germania unica eccezione, cioè in progresso, e al primo posto con valori, di ricavo e di spesa
pro capite, di molto sopra la media europea. Quest’ultima si mantiene comunque costante
attorno ai 64 euro pro capite. Nel dettaglio i tedeschi nel 2009 hanno speso 118 euro a testa,
a seguire francesi (67), spagnoli (66), inglesi (61,6) e italiani (60,8). Come già osservato le
variazioni positive non riguardano tutti e 5 i paesi infatti il valore della spesa, oltre che in Italia,
per abitante diminuisce rispetto al 2008 in Spagna e in Regno Unito, rispettivamente del 5,3 e
13,5%.
Anche riguardo il valore del mercato 2009, l’Italia è il Paese che mostra il risultato più negativo
(-4,3%), precedendo Spagna e Regno Unito. I ricavi dalle vendite, infatti, passano in Spagna
da 3.185 milioni di euro a 3.109 con un calo del 2,4%, mentre in Uk passano da 3.936 a 3.821,
perdendo il 2,9%.
Significativo è anche il dato francese, che passa da 4.055 milioni di euro a 4.213 con un
76
Libri
incremento di quasi il 4%. La Germania si conferma il paese con le maggiori vendite editoriali,
con un lieve aumento dello 0,8 per cento, sfiorando nel 2009 i 9.700 milioni di euro.
Tabella 8 - Valore delle vendite di libri in Europa, anni 2006-2009
2009
2008
2007
2006
∆ % 09-08
Popolazione
(000)
Fatturato
per ab. (€ 2009)
Francia
4.213
4.055
4.100
4.110
3,9
62.793
67,1
Germania
9.691
9.614
9.576
9.261
0,8
81.758
118,5
Italia
3.407
3.561
3.703
3.670
-4,3
60.402
60,8
Spagna
3.109
3.185
3.157
3.015
-2,4
46.951
66,2
Uk
3.821
3.936
3.950
3.784
-2,9
62.042
61,6
Note: dati in milioni di euro. Per Uk dati al cambio medio 2008 (1 euro = 0,89094 sterline). Fonte: elaborazioni IEM
su dati Gfk (Francia) Boersenblatt (Germania), Aie e Nielsen (Italia: 2007 e 2008 Aie, 2009 stime su tasso di crescita
Nielsen), Fgee (Spagna), Publishers Association (Uk).
Libri
77
Quotidiani e
periodici
Quotidiani e periodici
di Paola Savini
1. Introduzione
In misura più marcata rispetto all’anno precedente, nel corso del 2009 l’editoria italiana ha
fronteggiato da un lato gli effetti della crisi economica generale, dall’altro quelli più specifici e,
probabilmente, di maggiore portata, legati alle trasformazioni in atto nella filiera industriale
di produzione-distribuzione e consumo di informazione. I dati provvisori relativi al 2010 non
preludono a significative inversioni di tendenza, e rimarcano lo stato di crisi permanente del
settore, quotidiano e periodico, in atto da ormai un quinquennio, come sottolineano i continui
– parziali e spesso contraddittori - interventi legislativi in materia nonché l’indagine conoscitiva
dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (d’ora in avanti, AGCM), la seconda1 in
sei anni.
Rispetto al primo punto, il riferimento è da un lato al decreto ministeriale del 21 ottobre 20102
che recepisce i nuovi accordi tra gli editori e la società Poste Italiane in merito alle tariffe per
la spedizione delle pubblicazioni profit; dall’altro, è al Decreto del Presidente della Repubblica
25 novembre 2010, n. 2233, in emanazione dell’attesissimo Regolamento sulla disciplina dei
contributi diretti all’editoria, che modifica i criteri di calcolo dei contributi e introduce una
ripartizione proporzionale dei fondi in caso di insufficienza degli stessi nonché un maggiore
controllo sulle richieste di ammissione alle provvidenze.
Rispetto al secondo punto, l’AGCM ha infatti concluso, il 23 settembre 2009, l’Indagine
conoscitiva 35 (Indagine Conoscitiva riguardante il Settore dell’editoria Quotidiana, Periodica
e Multimediale), pubblicando, a distanza di due anni dalla I parte (Le sovvenzioni pubbliche e i
limiti alla concentrazione per i quotidiani), la II parte (La distribuzione dei prodotti editoriali):
l’AGCM, attraverso l’Indagine, ha «inteso offrire un contributo per una rilettura delle modalità
di funzionamento del settore distributivo della stampa, per evidenziare le restrizioni di
carattere concorrenziale che sembrano limitare ingiustificatamente le capacità di risposta del
settore alle sfide odierne», auspicando, in conclusione, completa liberalizzazione per il mercato
della vendita all’utente finale, in adattamento alle mutevoli esigenze della domanda di prodotti
editoriali.
Drammatico appare dunque il calo della diffusione dei quotidiani nel Paese, sceso sotto la
1
Cfr. nel 2004 l’Indagine conoscitiva 20 - Distribuzione di Stampa Quotidiana e Periodica. Provvedimento
n.13425.
2
Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 21 ottobre 2010 recante “Tariffe per le spedizioni di prodotti editoriali, ad esclusione dei libri spediti tramite pacchi, effettuate dai soggetti di cui all’articolo 1 comma 1, del
decreto -legge 24 dicembre 2003, n. 353, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2004, n. 46”, Gazzetta
Ufficiale n. 274 del 23 novembre 2010.
3
“Regolamento recante misure di semplificazione e riordino della disciplina di erogazione dei contributi
all’editoria a norma dell’articolo 44 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla
legge 6 agosto 2008, n. 133”, Gazzetta Ufficiale n. 299 del 23 dicembre 2010.
80 Quotidiani e periodici
storica soglia dei 5 milioni di copie; drastico il ridimensionamento dei ricavi pubblicitari,
che ha toccato il record negativo del -16,4% a fine anno4; coerente ma non meno duro per
gli attori operanti nel settore è infine il tracollo dei ricavi complessivi, che in un decennio
sono scesi del 20%5. Tale contrazione viene confermata anche dall’Autorità per le Garanzie
nelle Comunicazioni (d’ora in avanti, AGCOM) che nell’analisi quasi censuaria del comparto,
finalizzata all’individuazione dei mercati rilevanti nell’ambito del Sistema integrato delle
comunicazioni6, valuta in circa 8,8 miliardi di euro nel 2008 i ricavi di editoria quotidiana,
periodica, agenzie di stampa a carattere nazionale, editoria elettronica e annuaristica, contro
i 9 miliardi stimati nel 2007 (-2,7% per il comparto editoriale complessivo, considerando che
l’editoria elettronica si attesta a un +18,5%).
Un quadro, questo, che ha mostrato come la razionalizzazione e i tagli nei costi – di stampa,
soprattutto, ma anche di personale – siano ad oggi l’unica strategia per la sopravvivenza delle
imprese editoriali, operanti in un mercato sempre più frammentato per l’approvvigionamento
di informazione, grazie a un’aumentata disponibilità di scelte per i fruitori/lettori7, che permette
anche di distinguere maggiormente tra notizie di approfondimento e notizie di interesse
generale/breaking news, sempre più percepite come commodity8.
Seppur sfavorita dalle ben note criticità nazionali – quali la bassa penetrazione dei giornali
presso la popolazione italiana, la rete distributiva inefficiente e lo sbilanciamento del mercato
pubblicitario a favore del mezzo televisivo – la crisi del settore in Italia si colloca in un contesto
internazionale che vede moltissimi Paesi accomunati dalla stessa sorte: outsourcing della
produzione di contenuti9, disintegrazione verticale della filiera produzione-edizione-stampa,
razionalizzazione e concentrazione dei centri di produzione e difficile convivenza tra testate
cartacee e web, alla ricerca spasmodica di modelli di business capaci di valorizzare i contenuti
diffusi on-line allo stesso tempo difendendo la proprietà intellettuale10. A queste tendenze si
aggiunge la diffusione di modelli di giornalismo basati sul crowdsourcing, certamente non
ancora capaci di competere con l’editoria tradizionale ad based ma in significativa crescita
per diffusione e autorevolezza, come il caso ProPublica.com, insignito dal Premio Pulitzer in
Investigative Reporting a febbraio 2010, mostra.
Si sottolinea infine come il settore, seppur tendenzialmente caratterizzato da indicatori negativi
(lettura, diffusione, numero addetti tra giornalisti e poligrafici), goda di un significativo e
positivo sviluppo nei paesi non-Ocse, tale per cui il numero globale delle testate quotidiane è
continuato a crescere anche in questo periodo di crisi, quasi raddoppiando rispetto al 200011.
4
Dati Federazione Concessionarie Pubblicità (d’ora in avanti, FCP).
5
Dati Federazione Italiana Editori di Giornali (d’ora in avanti, FIEG).
6
Cfr. Allegato A alla Delibera N. 555/10/CONS recante “Procedimento per l’individuazione dei mercati
rilevanti nell’ambito del Sistema integrato delle comunicazioni”, Gazzetta Ufficiale n. 267 del 15/11/2010.
7
Non tanto dovuta all’aumento del numero di testate (se si escludono quelle free press per i quotidiani),
quanto alla diffusione di nuove fonti, più o meno professionalizzate, comunque disponibili su differenti device, in
primis tramite Internet.
8
Cfr. PricewaterhouseCoopers (2010). Global Entertainment & Media Outlook 2010-2014, 15 June 2010.
9
Con inevitabili cambiamenti per la professione del giornalista, come dimostrano i continui interventi in
materia, quali la ridefinizione del nuovo Contratto nazionale di lavoro giornalistico, definito dopo l’intesa siglata
il 26 marzo 2009 tra Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) e FIEG, o il Decreto del Ministero del
lavoro 8 ottobre 2009, n.47385, recante “Semplificazione delle procedure amministrative e riordino dei criteri per
l’accesso al trattamento di integrazione salariale in favore dei lavoratori dipendenti di aziende appartenenti al settore
dell’editoria”.
10
Cfr. Osservatorio Tecnico per i quotidiani e le agenzie di informazione “Carlo Lombardi”, Rapporto 2010
sull’industria italiana dei quotidiani. A tal proposito, si ricorda che la FIEG a giugno 2009 si era rivolta all’Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato chiedendo la valutazione dell’eventuale abuso di posizione dominante del
motore di ricerca Google rispetto al servizio Google News (eventuale discriminazione nella search tradizionale se
non aderenti al servizio) e rispetto al servizio AdSense (di cui si richiedeva maggior trasparenza nelle tariffe).
11
Cfr. OCSE (2010). The evolution of news and the Internet, DSTI/ICCP/IE(2009)14/FINAL. 11 giugno.
Quotidiani e periodici
81
2. La stampa quotidiana e periodica in Italia: analisi dei principali
indicatori
2.1 Tiratura, diffusione e vendita
Quotidiani
Gli indicatori relativi all’evoluzione della distribuzione delle copie cartacee dei giornali
quotidiani italiani sono il primo segnale dell’andamento negativo del settore.
Secondo i dati Ads (Accertamenti Diffusione Stampa, Tab. 1), la tiratura12 è scesa del 6,4%, su
65 testate considerate. Il dato relativo alla diffusione13 conferma il trend negativo, attestandosi a
6.254.467 copie (-6,6%), mentre le vendite14 risultano ancora più penalizzate, con un decremento
del 7% rispetto al 2008.
Tabella 1 - ADS: Tiratura, diffusione e vendita quotidiani, 2005-2009*
2005
2006
2007
2008
2009
∆% 09-08
∆% 09-05
Tiratura
8.910.045
9.266.232
9.278.070
9.053.245
8.466.674
-6,48%
-4,98%
Diffusione
6.507.581
6.774.847
6.844.908
6.695.909
6.254.467
-6,59%
-3,89%
Vendita
5.632.191
5.695.715
5.563.256
5.353.961
4.978.547
-7,01%
-11,61%
Note: (*) Media mobile 12 mesi. N. testate certificate non omogeneo nel corso degli anni. Fonte: elaborazione Iem su
dati Ads.
Figura 1 - Composizione tiratura giornali quotidiani, 2009
Abbonamenti
paganti
5,7%
Vendite in blocco
0,7%
Vendita
59,0%
Gratuita
(Abbonamenti
gratuiti, Omaggi,
Coupons)
7,2%
Resa (Italia +
Estero)
25,9%
Diffusione Media
Estero (Pag.+
Grat.)
1,5%
Fonte: elaborazione Iem su dati Ads.
12
Si intende il totale delle copie stampate, esclusi gli scarti di macchina. cfr. www.adsnotizie.it/glossario/
index.php
13
Si intende il totale delle copie diffuse in Italia ed all’estero così ripartite: diffusione pagata (vendita edicole,
abbonamenti a pagamento); vendite in blocco; abbonamenti da quota associativa; diffusione gratuita (coupons gratuiti, abbonamenti gratuiti, omaggi). ibidem.
14
Si intende il totale delle copie vendute.
82
Quotidiani e periodici
La composizione delle copie stampate, risulta dunque composta come mostra la Fig. 1: la resa
dei quotidiani rappresenta nel 2009 il 25,9% della tiratura complessiva. Il rapporto rese su
distribuzione è stato invece del 35%.
L’analisi FIEG sull’evoluzione della tiratura e delle vendite dei quotidiani in Italia, effettuata
sulle aziende aderenti15, mostra anch’essa una flessione per entrambi gli indicatori, -5,9% per
tiratura e vendite nel 2009 rispetto al 2008.
Negli ultimi 5 anni, ad eccezione di una timida ripresa nel 2006 (+1,1%), la rilevazione mostra,
su un numero di aziende non omogeneo, una drastica diminuzione, pari al -9,12% per le copie
stampate e addirittura al -11,35% per le copie vendute.
Tabella 2 - FIEG: Tiratura e vendita dei quotidiani, 2005-2009*
2005
2006
2007
2008
2009
∆% 09-08
∆% 09-05
Tiratura**
7.823.333
7.960.559
7.805.914
7.555.256
7.109.496
-5,90%
-9,12%
Vendita**
5.461.811
5.510.325
5.399.837
5.145.647
4.842.054
-5,90%
-11,35%
Note: (*) media giornaliera; (**) numero di testate 2009: 57; 2008=58; 2007 e 2006 = 54; 2005= 59. Fonte: elaborazione
Iem su dati FIEG.
Un discorso a parte, relativamente agli indicatori fin qui presentati, merita il segmento della
free press. Il 2009 non è stato infatti un anno felice per le testate distribuite gratuitamente nel
nostro Paese: né dal punto di vista degli investimenti pubblicitari (-26,6% tra il 2009 e il 2008)
né rispetto alla stabilità delle società editrici (con problemi di gestione ordinaria e di raccolta
pubblicitaria per quasi tutte le testate). In Italia il settore è sostanzialmente composto dalle
testate Leggo, City, DNews, EPolis e Metro, diffuse in alcune delle maggiori città italiane, e da
poche altre testate a tiratura locale, per un totale di circa 3,5 milioni di copie distribuite per
circa 270 giorni l’anno16, leggermente in calo rispetto al 2008 quando il Rapporto “Osservatorio
Lombardi” ne stimava circa 4 milioni di copie.
Periodici
Gli indicatori relativi alle vendite, alla tiratura e alla diffusione del segmento della stampa
periodica sono anch’essi significativamente in flessione nel 2009, come quelli dei quotidiani,
mostrando dunque un periodo di recessione condiviso da tutti i mezzi editoriali a stampa.
Rispetto all’altro comparto editoriale, quello dei periodici mostra da un lato una riduzione
delle vendite drastica per i settimanali nel triennio 2007-2009 (-10,15%) e davvero significativa
per i mensili (-33,14%), dall’altro una certa razionalizzazione, poiché sebbene la tiratura non
sia scesa come le vendite, piuttosto significativi sembrano gli sforzi di ottimizzazione in questo
senso, come mostra la riduzione del 26% nel triennio da parte dei mensili.
I settimanali, nel 2009, hanno avuto un calo diffusionale dell’1,9%; i mensili hanno sofferto
molto di più, riducendo il numero delle copie diffuse del -3,9% rispetto al 2008.
Il quadro complessivo indica dunque una contrazione per il mercato dei periodici nel suo
complesso, considerando il numero delle testate edite e la diffusione delle stesse: laddove nel
2000 le 55 testate settimanali oggetto delle rilevazioni Ads diffondevano quasi 15 milioni di
copie, nel 2009, le rilevazioni estese a 62 testate indicano una diffusione media molto inferiore
ai 13 milioni; per i mensili, se nel 2000 la diffusione delle testate Ads (129) era di 15 milioni di
copie, nel 2009 sono state rilevate 131 testate diffuse in 14,2 milioni copie.
15
16
Con dati forniti dalle imprese associate.
Secondo i dati diffusi dagli editori, essendo una sola testata, EPolis, certificata ADS.
Quotidiani e periodici
83
Tabella 3 - Tiratura, diffusione e vendita dei periodici, 2007-2009
2009
2008
2007
∆ % 09-08
∆ % 09-07
Tiratura
16.573.140
17.843.417
18.346.526
-7,12%
-9,67%
Diffusione
12.350.040
12.599.736
13.684.164
-1,98%
-9,75%
Vendita
9.953.470
10.186.984
11.078.393
-2,29%
-10,15%
Settimanali
Mensili
Tiratura
20.154.730
25.571.857
27.269.639
-21,18%
-26,09%
Diffusione
14.194.368
14.771.047
16.064.005
-3,90%
-11,64%
Vendita
9.165.239
9.475.336
13.708.048
-3,27%
-33,14%
Note: (*) Media mobile 12 mesi. N. testate certificate non omogeneo nel corso degli anni. Fonte: elaborazione Iem su
dati Ads.
2.2 La lettura
Quotidiani
Rispetto alla lettura, a partire dalla rilevazione Autunno 2009, spinta dalla necessità di adeguare
l’analisi di questo importante indicatore sia alla quantità che alla qualità dei contatti con i giornali
da parte dei lettori, tenendo conto anche dello shifting della domanda verso le testate on-line,
la società Audipress ha deciso di dotarsi di una nuova architettura di indagine. Tra le novità
introdotte – tali da non permettere un confronto con gli anni precedenti - c’è l’allungamento
del periodo di rilevazione (a circa 10 mesi), la frequenza di uscita dei dati (quadrimestrali) e
la rilevazione della duplicazione tra la lettura su supporto cartaceo e la visita del sito web solo
per la testata dichiarata.
Per l’indagine quotidiani, la dimensione campionaria annua è diventata di 33.000 interviste
base, per l’indagine periodici è di 21.000 interviste base.
Proprio per evitare la diffusione di dati non corrispondenti al reale avvicinamento degli utenti
al prodotto editoriale, inteso sia nella sua versione cartacea che nelle edizioni on-line, la società
Audipress ha deciso di non pubblicare i dati relativi all’andamento della lettura dei giornali dal
secondo semestre 2008 né dei primi tre trimestri del 2009, mentre l’edizione 2010/I deriva dalla
cumulazione dei campioni rilevati nell’Autunno 2009 (21 settembre - 20 dicembre 2009) e nel
1° ciclo 2010 (11 gennaio - 28 marzo 2010).
Tabella 4 - Lettura dei quotidiani, 2010*
Lettori medi giornalieri
2003
2004
2005
2006
2007
2008 (I)
2010 (I)**
20.439
20.534
21.410
22.494
22.798
23.278
24.108
- Uomini
12.458
12.450
12.965
13.440
13.651
13.940
//
- Donne
7.981
8.084
8.445
9.055
9.147
9.337
//
Penetrazione
40,79
41,29
42,64
44,3
44,66
45,3
46,2
Note: (*) Lettori nel giorno medio; adulti 14 anni e più; valori in migliaia.(**) Dati non confrontabili con quelli
precedenti. Fonte: elaborazione Iem su dati Audipress.
Il dato complessivo, tuttavia, nei limiti di non comparabilità sopra riportati, indica che i lettori
dei quotidiani nel giorno medio sono comunque aumentati nel decennio, passando ad oltre
24 milioni, il 46% della popolazione. Nel complesso, confrontando anche i dati di Audipress
con quelli di Audiweb, l’indagine che misura le audience online e fornisce informazioni qualiquantitative sulla fruizione dei mezzi operanti su internet, si ricava che ogni giorno dai tre ai
quattro milioni di utenti internet, pari a circa il 36% del totale, accedono ai siti internet dei
giornali quotidiani.
84
Quotidiani e periodici
Tabella 5 - Lettura dei quotidiani, testata cartacea e web, 2010*
Totale
Lettori in un Giorno Medio
Di cui anche Visitatori Sito Web
Testata Corrispondente
(Valori Assoluti per 1.000)
(Valori Assoluti per 1.000)
Uomini
Donne
Resp. Acq.
Totale
Popolazione
52.179
25.107
27.072
24.641
Totale Lettori dei Quotidiani
24.108
14.232
9.876
9.695
3.076
Totale Letture
40.553
25.610
14.945
15.146
4.716
Uomini
Donne
3.438
1.278
Note: (*) Lettori nel giorno medio; adulti 14 anni e più; valori in migliaia. Fonte: elaborazione Iem su dati Audipress.
Tale lettura sull’importanza dell’informazione ottenuta tramite giornali ma anche tramite
il web viene confermata anche dall’indagine svolta dalla società Gfk Eurisko su incarico
dell’AGCOM17, a marzo 2010, da cui emerge che sebbene la televisione sia il mezzo più
utilizzato dalla popolazione italiana attiva per l’informazione (l’89,1% della popolazione che si
informa lo fa tramite il mezzo televisivo, per i fatti internazionali nell’86% dei casi e per quelli
nazionali nel 90% dei casi), i giornali quotidiani sono il mezzo scelto per informarsi dal 61,6%
della popolazione attiva, ricoprendo questi ancora un ruolo particolare per l’informazione
sui fatti locali. Segue quindi Internet che, viceversa, tende ad essere utilizzato soprattutto per
l’approvvigionamento di informazione su fatti internazionali (20% della popolazione attiva), e
solo dopo viene la radio.
Periodici
Quanto premesso sui dati Audipress per il segmento dei quotidiani vale, dal punto di vista
metodologico, anche per il comparto dei periodici. Vale la pena sottolineare però, come si
può comprendere intuitivamente, che l’impatto del digitale abbia influito in misura diversa su
tale prodotto editoriale (cfr. Tab. 7) , per la tipologia e frequenza dell’informazione fornita da
quest’ultimo.
I dati Audipress indicano comunque che, nel 2010, al primo semestre, c’è stata una sostanziale
tenuta, rispetto agli ultimi anni di rilevazione, dei livelli di lettura per i periodici, come mostra
la penetrazione nella popolazione, anche se si sottolinea nuovamente che il campione rilevato
nel corso degli anni non è confrontabile.
Tabella 6 - Lettura dei periodici, 2010*
2005
2006
2007
2008 I
2010 I**
Lettori di settimanali
25.409
23.930
24.019
23.634
23.723
- Uomini
10.634
9.571
9.514
9.420
9.230
- Donne
14.775
14.358
14.505
14.214
14.493
Penetrazione (%)
50,6
47,13
47,05
46,0
45,0
Lettori di mensili
24.014
22.462
21.537
21.554
21.957
- Uomini
11.720
10.958
10.428
10.700
10.697
- Donne
12.294
11.503
11.109
10.854
11.260
Penetrazione (%)
47,83
44,24
42,19
41,9
42,0
Totale lettori periodici
34.207
32.689
32.483
32.352
32.763
- Uomini
15.650
14.691
14.471
14.586
14.592
- Donne
18.557
17.999
18.012
17.766
18.171
Penetrazione (%)
68,13
64,38
63,63
62,9
62,9
Note: (*) Lettori numero medio; adulti 14 anni e più; valori in migliaia.(**) Dati non confrontabili con quelli
precedenti. Fonte: elaborazione Iem su dati Audipress.
17
Cfr. Allegato B alla Delibera N. 555/10/CONS, cit.
Quotidiani e periodici
85
Dal punto di vista del genere, la popolazione femminile si conferma come target di riferimento
prevalente dei periodici, sia nei settimanali che nei mensili.
Tabella 7 - Lettura dei periodici, 2010*
di cui anche visitatori sito web
testata corrispondente
Lettori nell’ultimo Periodo
(Valori Assoluti Per 1.000)
Popolazione
(Valori Assoluti Per 1.000)
Totale
Uomini
Donne
Resp. Acq.
52.179
25.107
27.072
24.641
Totale
Totale Lettori dei Settimanali
23.723
9.230
14.493
12.188
729
Totale Letture
46.799
16.074
30.724
24.958
916
Totale Lettori dei Mensili
21.957
10.697
11.260
9.740
1.772
Totale Letture
51.441
24.162
27.277
23.083
2.773
Totale Lettori dei Periodici
32.763
14.592
18.171
15.681
2.260
Uomini
Donne
656
262
2.016
762
242
Note: (*) Lettori numero medio; adulti 14 anni e più; valori in migliaia.(**) Dati non confrontabili con quelli
precedenti. Fonte: elaborazione Iem su dati Audipress.
3. Le aziende editoriali: fonti di ricavo e redditività
3.1 Quotidiani
Se nel 2000 i ricavi pubblicitari rappresentavano il 58% del fatturato editoriale dei quotidiani, a
nove anni di distanza tale incidenza è scesa al 41,8%, quasi pari al 2004, spinta al ribasso dalla
crisi del mercato pubblicitario (e da quella economica, in generale).
La Fig. 2 mostra l’andamento discontinuo del rapporto tra ricavi da pubblicità e ricavi totali
da vendite (comprensivi anche delle vendite di prodotti collaterali) nell’editoria quotidiana
italiana, sull’insieme delle società editoriali aderenti alla FIEG. Tale andamento discontinuo
rende manifesta la necessità per le case editrici di poter correttamente valutare sia la vendita
di spazi pubblicitari sia quelle delle copie, principali fonti di ricavo per il modello editoriale ad
based, non essendo ad oggi risultato vincente nessun modello editoriale che prescinda da una
di queste due componenti di reddito (il recente declino, a livello europeo18, della free press è
emblematico, in questo senso).
Se la domanda di informazione è sempre più imprevedibile e mutevole (sia per motivi strutturali19
sia per le diverse abitudini di consumo delle nuove generazioni di lettori), le manovre sugli
spazi pubblicitari (aumento foliazione, aumento spazi, aumento/diminuzione dei prezzi degli
stessi) diventano la leva fondamentale su cui si gioca il risultato aziendale: per questo motivo,
in un decennio, il prezzo di vendita medio di un modulo di pubblicità sui quotidiani è passato
da 42,29 € nel 2000 a 21,05 € (a prezzi 2009) nel 200920.
Nel 2009 il risultato dell’abbassamento delle vendite e del ridimensionamento degli investimenti
pubblicitari ha portato a una riduzione del fatturato decisamente significativa: dai 3,35 miliardi
di euro nel 2008 si è passati ai 3,05 miliardi del 2009.
Oltre al drastico ridimensionamento del prezzo di vendita pubblicitario e alla diminuzione
delle vendite per copia, la vendita di prodotti collaterali, che negli anni passati ha rappresentato
una quota significativa dei ricavi aziendali (anche il 15%, ad esempio nel 2006), ha mostrato
saturazione (-23,3% nel 2007 e -42,9% nel 2008, pari al 10,3% dei ricavi totali; non sono
disponibili dati per il 2009).
18
19
20
86
Cfr. paragrafo “Il confronto internazionale”.
Perché le vendite in abbonamento sono una percentuale bassissima del totale, pari circa al 9% del venduto.
Fonte: elaborazione Asig Service su dati Osservatorio Stampa Fcp.
Quotidiani e periodici
Figura 2 - Ricavi editoria quotidiana: rapporto vendite/pubblicità, 2000-2009
58,88%
Ricavi da vendite e abbonamenti
56,94%
Ricavi pubblicitari
58,02%
56,06%
53,74%
54,25%
53,78%
52,66%
47,34%
43,94%
46,26%
46,56%
2005
2006
51,05%
51,28%
49,28%
49,20%
45,75%
41,98%
43,06%
41,12%
2000
2001
2002
2003
2004
2007
2008
2009
Fonte: elaborazione Iem su dati FIEG.
Venendo invece all’andamento degli investimenti pubblicitari (1.510 milioni nel 2009, -16,8%
sul 2008 a prezzi correnti, cioè -17,4% a prezzi 2009), la Tab. 8 non solo mostra il trend negativo
dell’indicatore (a prezzi correnti, -9,9% a prezzi 2008), ma sottolinea anche come alcune
tipologie siano in flessione molto marcata (è il caso della pubblicità commerciale nazionale,
esattamente come nel 2008, scesa del -17,8%!). Come sopra riportato, il caso della free press è
emblematico: ben -26,6% tra il 2009 e il 2008.
Tabella 8 - Investimenti pubblicitari* su quotidiani, 2005-2009
∆%
09-08
∆%
09-05
1.741.746 1.747.620 1.901.359 1.816.448 1.510.912
-16,8%
-13,3%
Quotidiani a pagamento (totale) 1.713.705 1.716.413 1.773.073 1.676.234 1.407.988
-16,0%
-17,8%
2005
Quotidiani (totale)
2006
2007
2008
2009
Commerciale Nazionale
923.686
947.956
972.438
868.350
714.007
-17,8%
-22,7%
Locale
451.673
443.254
465.861
482.019
416.374
-13,6%
-7,8%
Rubricata + di Servizio
338.346
325.203
334.774
325.865
277.607
-14,8%
-18,0%
28.041
31.207
128.286
140.214
102.924
-26,6%
28.041
30.163
95.597
103.705
73.998
-28,6%
Locale
0
0
28.900
33.913
27.280
-19,6%
Rubricata + di Servizio
0
1.044
3.789
2.596
1.646
-36,6%
Quotidiani Free Pay Press**
(totale)
Commerciale Nazionale
163,9%
Note: dati in migliaia di euro; (*) a prezzi correnti; (**) non viene fornito il delta percentuale della free press per i
diversi universi di rilevazione nel corso degli anni (dal 2003 al 2006 rilevate solo City/Metro/Leggo nell’edizione
di Milano; da gennaio 2007 tutte le edizioni di City/Metro/Leggo/24 Minuti; EPolis da maggio 2007). Fonte:
elaborazione Iem su dati Nielsen AdEx.
Secondo i dati FCP-Assoquotidiani21, inoltre, nel 2009 sono aumentati del 15,7% gli spazi
di pubblicità commerciale nazionale venduti sui quotidiani a pagamento (stabile la vendita
totale), a fronte di una flessione dei ricavi derivanti da tale vendita del 16,4%: tale dato indica
proprio che, nel tentativo di mantenere i clienti ed attrarne di nuovi, la cessione degli spazi
pubblicitari sui quotidiani ha patito una politica tariffaria significativamente rivolta al ribasso,
come il prezzo medio per modulo pubblicitario sceso di oltre il 50% in dieci anni ci mostra.
I prezzi di vendita degli spazi pubblicitari in un solo anno sono diminuiti in media del 18%.
21
FCP raggruppa le Aziende, sia Concessionarie che Gestori Diretti, che operano nel settore della vendita di
spazi pubblicitari.
Quotidiani e periodici
87
Nel 2009 il margine operativo lordo aggregato - risultato della differenza tra ricavi e costi
industriali -delle aziende FIEG è infatti drasticamente sceso (-89,7%, stimato a 16,2 milioni di
euro), da cui si deduce la critica situazione complessiva delle imprese considerate. La situazione
è diventata davvero drammatica per la gestione caratteristica, e non solo per quella straordinaria:
le aziende considerate dallo studio FIEG mostrano un rapporto tra mol e fatturato addirittura
dello 0,5%.
Rispetto ai costi, incrementati nell’ultimo triennio a ritmi crescenti (+1,1% nel 2005, +3,1%
nel 2006, +6,1% nel 2007), il 2008 rappresenta il primo vero drastico ridimensionamento degli
stessi (-6,9%), seguito da un 2009 in linea (-5%).
Tabella 9 - Editoria quotidiana - Ricavi e costi operativi, 2005-2009
2005
2006
2007
2008
2009*
∆% 09-08
∆% 09-05
Ricavi editoriali
3.462.402
3.556.655
3.507.632
3.348.300
3.046.953
-9,00%
-12,00%
Costi operativi
3.174.984
3.273.251
3.246.065
3.190.205
3.030.695
-5,00%
-4,54%
287.418
283.404
261.567
158.095
16.258
-89,72%
-94,34%
8,30%
7,97%
7,46%
4,72%
0,53%
-88,70%
-93,57%
Mol
Mol/fatturato
Note: dati in migliaia di euro su un campione di 66 testate quotidiane; (*) stima. Fonte: elaborazione Iem su dati
FIEG.
3.2 Periodici
I 3.359 milioni di € che rappresentano i ricavi (vendite + pubblicità) del settore editoriale
periodico indicano, anche in questo caso, una flessione molto significativa rispetto all’anno
precedente (-14%) corrispondente nello specifico a un -29,5% per la pubblicità e a un -9% per
la vendita delle copie.
Tabella 10 - Periodici: evoluzione dei ricavi editoriali, 2003-2009*
Anno
Pubblicità
∆% YoY
Vendite
2003
2004
2005
∆% YoY
Totale
∆% YoY
964.422
-
3.214.740
-
4.179.162
-
968.254
0,4%
3.260.114
1,4%
4.228.368
1,2%
1.004.611
3,8%
3.117.207
-4,4%
4.121.818
-2,5%
2006
1.056.695
5,2%
3.077.303
-1,3%
4.133.998
0,3%
2007
1.083.188
2,5%
3.015.757
-2,0%
4.098.945
-0,8%
2008
1.024.006
-5,5%
2.898.539
-3,9%
3.912.092
-4,6%
2009**
721.924
-29,5%
2.637.670
-9,0%
3.359.594
-14,1%
Note: dati in migliaia di euro; (**) stima. Fonte: elaborazioni Iem su dati Osservatorio Fcp-Fieg e Tradelab.
La Fig. 3 mostra come, nel corso degli ultimi 9 anni, il rapporto tra vendite e ricavi pubblicitari
sia stato, nel comparto dei mensili e dei settimanali, molto più costante rispetto a quello
manifestato dai giornali quotidiani, ma evidenzia anche come la crisi del mercato pubblicitario
ancora in corso abbia ancorato nel 2009 i ricavi del comparto alla vendita di copie (con tentativi
di aumento delle vendite e del prezzo di copertina), per il 78,5% dei ricavi totali.
Coerentemente con l’andamento economico generale, negli anni 2003-2007 gli investimenti
pubblicitari nel settore erano aumentati (Tab. 10), in qualche modo arginando la diminuzione
dei ricavi da vendita, ma nel 2008 si nota la prima significativa flessione nel quinquennio, che
porterà a un -28,7% gli investimenti sul comparto nel 2009.
Tabella 11 - Evoluzione investimenti pubblicitari netti, 2005-2009
Periodici
2005
2006
2007
2008
2009
∆% 09-08
∆% 09-05
1.222.562
1.296.024
1.328.475
1.231.481
877.572
-28,74%
-28,22%
Fonte: elaborazione Iem su dati Nielsen AdEx.
88
Quotidiani e periodici
Tra le due macro-tipologie di periodici, si evidenzia come nel 2009 siano stati i mensili a soffrire
maggiormente: in controtendenza rispetto al passato, i ricavi da pubblicità per i mensili sono
scesi del -32,3% rispetto a una cessione spazi del -25,8%, mentre i settimanali hanno perso il
-27,5% dei ricavi a fronte della diminuzione del -15,1% degli spazi.
Figura 3 - Ricavi editoria periodica: rapporto vendite/pubblicità, 2000-2009
72,51%
65,90%
65,82%
34,10%
34,18%
27,49%
2000
2001
2002
78,51%
75,44%
77,22%
75,63%
74,44%
73,57%
73,70%
24,56%
22,78%
24,37%
25,56%
26,43%
26,30%
2003
2004
2005
2006
2007
Ricavi complessivi da vendita
21,49%
2008
2009
Ricavi pubblicitari
Note: stima FIEG per il 2009. Fonte: elaborazione Iem su dati FIEG.
4. Il confronto internazionale
L’analisi comparata degli indicatori relativi al settore editoriale, sempre ricordando i limiti di una
comparazione fondata su metodologie di rilevazione non omogenee, mostra che l’andamento
negativo riscontrato in Italia è confermato in molti Paesi europei, e non solo.
Ad esempio la free press, il cui calo diffusionale nel Paese è stato sopra ricordato, scende
significativamente anche nel resto d’Europa22, dove la diffusione (stimata) è infatti scesa del
-19% nel 2009, passando da 26,2 a 21,3 milioni di copie, con un calo complessivo anche dei
titoli, essendo sceso il numero di testate censite a 82 nel 2010, in 29 Paesi europei, contro le 115
attive in 32 Paesi nel 2008.
Anche i dati (aggiornati al 2008) relativi alla diffusione nei paesi analizzati dalla World
Association of Newspapers confermano il sostanziale calo: nel 2008 solo il Lussemburgo, dove
è scoppiato il fenomeno della free press (+72,8% in totale), il Portogallo (+2,4% sempre trainato
dalla free) e Austria (+6,4%, significativamente spinto dal gratuito) hanno mostrato incrementi
(Tab. 13). Diverso appare il caso della stampa a pagamento, in calo ovunque.
Costante rimane la differenza tra Italia e resto dei Paesi europei per il rapporto tra vendita di
copie in abbonamento e vendita in edicola. Il fatto che gli abbonamenti siano relegati in una
posizione del tutto marginale costituisce nel Paese uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo del
mercato.
Tabella 12 - Quotidiani: diffusione media gionaliera nei paesi europei, 2006-2008
Paesi
A pagamento
Gratuiti
Totale
∆% 08-07
2006
2007
2008
2006
2007
2008
2006
2007
2008
Lussemburgo*
304,8
304,8
297
0
53,5
322,3
304,8
358,3
619,3
72,8%
Svezia
466,2
449
436,4
158,8
152,5
138,7
Norvegia
601,2
580,3
570,6
0
0
Finlandia
514,7
491
482,8
46,3
45,7
22
37,9
625
601,5
575,1
-4,4%
601,2
580,3
570,6
-1,7%
561
536,7
520,7
-3,0%
Cfr. le newsletter mensili di www.newspaperinnovation.com.
Quotidiani e periodici
89
Danimarca
287,3
279,8
262,6
478,8
367,5
222,4
766,1
647,3
485
Austria
340,7
344,8
331,7
Olanda
287
267,9
270,1
-25,1%
95,2
83,4
124,1
435,9
428,2
455,8
6,4%
70,3
129,5
124,1
357,3
397,4
394,2
-0,8%
51,4
385,3
358,5
358,7
0,1%
300,2
292,2
283,1
-3,1%
Regno Unito*
335,4
308
307,3
49,9
50,5
Germania
297,9
290,5
283,1
2,3
1,7
Irlanda
245,2
236,1
236,3
50,6
46,5
41,4
295,8
282,6
277,7
-1,7%
Spagna
109,8
109,5
106,4
132,5
120,2
108,2
242,3
229,7
214,6
-6,6%
Usa
241,2
212,6
200,3
18,2
13,1
11,5
259,4
225,7
211,8
-6,2%
Francia
155,8
153,9
152
42,9
51,6
53,8
198,7
205,6
205,8
0,1%
Belgio*
163,4
161,3
160,9
25,9
28,2
29
189,3
189
189,9
0,5%
Italia*
116
112,4
86
77,8
81
85,6
193,8
193,4
171,6
-11,3%
144,6
135,2
133
32,3
34,4
32,5
176,9
169,6
165,5
-2,4%
Ungheria
Portogallo
74,7
74,7
67,1
39,2
62,7
73,6
113,9
137,4
140,7
2,4%
Polonia
138,9
123,3
114,5
39,9
15,7
15,4
178,8
139
129,9
-6,5%
Nota: diffusione per 1.000 abitanti adulti (16 anni ed oltre tranne alcune eccezioni, segnalate con *). Fonte:
elaborazione IEM si dati FIEG/WAN.
In quei Paesi dove gli abbonamenti rappresentano il veicolo di diffusione largamente prevalente
(Nord Europa in primis) la stampa gode del grande vantaggio di una domanda maggiormente
conosciuta nelle sue dimensioni, tale da consentire una programmazione della produzione
meno esposta alle oscillazioni (Tab. 13 e 14).
Tabella 13 - Quotidiani: canali distributivi
nei principali paesi, 2008
Tabella 14 - Periodici: canali distributivi nei
principali paesi, 2008
Paesi
Abbonamento
Edicola
Paesi
Olanda
90
8
Finlandia
Abbonamento
Edicola
95
5
Finlandia
88
12
Svezia
90
10
Danimarca
84
16
Usa
87
13
Norvegia
78
22
Danimarca
85
15
Svezia
76
19
Austria (2006)
68
32
Lussemburgo
70
10
Ungheria
60
40
Austria
67
12
Olanda
58
42
Germania
65
35
Germania
49
51
Ungheria
65
33
Francia
36
64
Belgio
49
51
Italia
36
64
Francia
31
69
Norvegia
30
70
Spagna
23
72
Spagna
8
92
Fonte: elaborazione IEM si dati FIEG/WAN.
Polonia
19
79
Irlanda
9
91
Italia
9
91
Fonte: elaborazione IEM si dati FIEG/WAN.
La crisi è comunque fortemente sentita all’estero, tanto da apparire come un fenomeno di
natura non transitoria23. Il caso statunitense può sempre essere guardato e analizzato nei suoi
aspetti generali per intravedere possibili evoluzioni del mercato in Europa, ed emblematico
appare l’indicatore degli investimenti pubblicitari sui quotidiani (Fig. 5), dove ormai la crisi si
sente non solo sulla carta stampata ma anche sull’on-line (-11,8% tra 2009 e 2008).
23
La spesa totale sui consumer magazines è scesa del -10,6% nel 2009, secondo le stime PricewaterhouseCoopers. Cfr. PricewaterhouseCoopers (2010), op. cit.
90
Quotidiani e periodici
Figura 4 - USA: Investimenti pubblicitari su quotidiani 2000-2009
60.000
40%
1,90%
3,90%
1,51%
30.000
3.109
30%
18,80%
-1,68%
-9,00%
20%
10%
2.743
-0,50%
2.664
1.541
1.216
5,10%
2.027
26,70%
50.000
40.000
3.166
31,46%
31,48%
-1,80%
0%
-9,40%
-11,80%
-17,70%
20.000
-10%
-20%
44.305
44.102
44.939
46.703
47.408
46.611
42.209
34.740
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
-28,60%
24.821
48.670
10.000
-30%
0
-40%
Print TOT
On-line TOT
% YoY print
2009
% YoY on-line
Note: dati in milioni di US$. Fonte: elaborazione IEM su dati NAA.
1387
1408
1422
1437
1452
1457
1456
1457
1600
1400
1000
800
600
45653
48597
50742
52329
53345
54626
55185
1200
55186
1468
55578
55773
1480
1611
1800
41132
50.000
N. testate
2000
62328
1745
62202
53829
55.000
45.000
1748
58882
60.000
62108
1763
1772
Migl. copie
65.000
1878
Figura 5 - Circolazione quotidiani e n° di testate edite - USA 2000-2009
40.000
400
200
0
1940
1960
1980
2000
2002
2004
2006
2008
Nota: * esclusi i domenicali. Fonte: elaborazione IEM su Editor and Publisher International Yearbook.
Quotidiani e periodici
91
Anche la circolazione dei quotidiani nel Paese, inoltre, mostra un drastico ridimensionamento
a partire dagli anni ‘90 e, tra i primi 25 quotidiani americani, solo il Wall Street Journal ha fatto
registrare una sostanziale tenuta (-0,7%) della diffusione a fine anno, mentre altre storiche
testate hanno pagato maggiormente lo shifting delle abitudini di consumo di informazione
verso altri mezzi a contenuto editoriale (tv via cavo e Internet in primis), portando a un calo
complessivo del -6,1% sul 2008. Nonostante il numero complessivo delle testate di cui viene
calcolata la diffusione a fine dicembre 2009 risulti (Fig. 5) quasi in linea con l’andamento in
leggero calo tipico dell’ultimo decennio, drammatici sono i numeri che riguardano l’uscita dal
mercato delle testate cartacee nel Paese: - 21 testate dal 2008 al 2009 secondo i dati Editor and
Publisher, 143 risultano invece le testate cartacee chiuse nel 2009 da un censimento del blog
newspaperlayoffs.com (delle quali 13 hanno sostituito la carta con una versione esclusivamente
on-line), mentre 40 sono quelle chiuse nel 2010.
Anche il Regno Unito sta soffrendo lo stesso cambiamento, soprattutto per i giornali a diffusione
locale, e la circolazione totale dei quotidiani a pagamento è scesa di circa il 2,2% nel 2009 (a
marzo 2010, secondo i dati ABC sono crollati del -10% il Daily Telegraph e The Independent,
del -16% The Times e The Guardian, mentre ha retto il Financial Times con - 6,4%).
92
Quotidiani e periodici
Directory
93
Directory
di Luca Murrau
1. Il mercato italiano
Il mercato italiano delle directory nel 2010 ha dovuto fronteggiare gli effetti negativi della crisi
finanziaria, che ha portato ad una riduzione dei ricavi. A fronte della crisi, le grandi directory
italiane ha ricercato nuove forme di integrazione strategica delle proprie attività, volte a creare
nuove sinergie.
Il principale gruppo italiano delle directory, Seat Pagine Gialle, ha cercato di contenere gli
effetti della crisi economica sul fatturato attraverso la crescita dei ricavi provenienti dalle
attività basate su internet, ricercando un aumento del tasso di penetrazione della base clienti
on line esistenti e del numero di nuovi clienti acquisiti. In particolar modo, tale strategia è stata
sostenuta dal lancio di nuovi prodotti e servizi di marketing on line e attraverso la vendita di
pacchetti multimediali. Al tempo stesso, il gruppo ha intrapreso azioni strutturali di riduzione
dei costi operativi, basate sul contenimento delle spese correnti e sul ridisegno dei principali
processi operativi.
Il difficile scenario economico, che ha avuto ripercussioni negative sul mercato pubblicitario
tradizionale – segnato da andamenti in contrazione anche nel corso del 2009 -, ha tuttavia
consentito la forte espansione della pubblicità e dei servizi online, comportando nuove
modalità di ricerca delle informazioni da parte degli utenti nonché impiego di nuovi strumenti.
Conseguentemente Seat Pagine Gialle, nella seconda metà del 2009, ha adottato una nuova
visione del proprio mercato di riferimento, includendo, oltre al comparto tradizionale (sia offline che on line) i servizi di marketing on line (dalla creazione di siti web alle strategie di
posizionamento dei clienti Seat all’interno dell’”ecosistema” internet al fine di migliorarne la
visibilità, alla misurazione e analisi dei contatti generati tramite il web, ecc.). In Italia, la quota
di Seat Pagine Gialle sul mercato pubblicitario degli elenchi cartacei ed on line è stimata a circa
l’84%.
Il gruppo ha proseguito nel 2009 il processo di revisione strategica del proprio portafoglio di
partecipate, avviato nel 2008. Tale processo ha portato alla decisione, a giugno 2009, di uscire
dalla joint-venture turca Katalog Yayin ve Tanitim Hizmetleri A.S. e a settembre di uscire
dal mercato francese della directory assistance mediante la vendita, attraverso la controllata
tedesca Telegate AG, della società francese 118 000 SAS.
Per quanto concerne i più recenti risultati economico-finanziari del gruppo, nel primo
semestre 2010, i ricavi consolidati sono diminuiti dell’8,7% rispetto al primo semestre dell’anno
precedente (463,22 milioni di euro contro i 507,325 milioni di euro del primo semestre 2009),
parzialmente compensati dalla crescita dei ricavi online in Italia (che hanno registrato un
incremento del 60% circa). Su base annuale, invece, i ricavi delle vendite e delle prestazioni
raggiungono, nel 2009, 952,2 milioni di euro, in calo rispetto all’esercizio 2008, quando i ricavi
consolidati sono stati pari a 1.058,7 milioni, con l’andamento delle attività online in Italia che
94 Directory
ha limitato le perdite.
Sui mercati finanziari, il titolo Seat Pagine Gialle ha chiuso le quotazioni a fine dicembre 2009
ad un prezzo di 0,16 euro, in calo del 65,9% circa rispetto al prezzo di 0,48 euro del 1° gennaio
2009. Tale riduzione si è concentrata nei primi mesi dell’anno; infatti nel corso del secondo
semestre 2009 il titolo ha fatto registrare un andamento in leggera crescita (+1,2%), così come
altre società del comparto directory (specialmente positive sono state in Europa le performance
dei titoli Yell e Pages Jaunes). Il titolo Seat Pagine Gialle ha toccato il massimo dell’anno (1,13
euro) nei giorni in cui è stata attuata l’operazione di aumento di capitale, conclusasi il 30 aprile
2009 con l’integrale sottoscrizione delle azioni offerte.
La performance negativa del titolo, particolarmente significativa se confrontata con l’andamento
dei titoli del mercato media, è stata influenzata dalla struttura dell’Enterprise Value della
Società, costituito in misura prevalente dalla componente “indebitamento”. Lievi diminuzioni
dell’Enterprise Value della Società (diminuito nel corso del 2009 del 14,8%) si traducono in
riduzioni sempre più significative del suo valore di mercato rappresentato dalle quotazioni
borsistiche. Tale valore, peraltro, è stato penalizzato anche dal de-rating della Società e dalla
crisi del mercato finanziario.
Tabella 1 – Incidenza % sul totale ricavi 2009 dei prodotti “CORE”
Prodotti
Descrizione
Quota
Carta
Pagine Gialle
Elenco categorico delle attività economiche italiane
27,8
Pagine Bianche
Elenco abbonati al telefono
37,1
altri prodotti carta
0,1
Internet
paginegialle.it
Motore di ricerca specializzato nelle attività commerciali
20,4
89.24.24 Pronto Pagine Gialle
Servizi a valore aggiunto di directory assistance
4,8
12.40 Pronto Pagine Bianche
Servizi di base elenco abbonati
altri prodotti Internet
Telefono
Totale ricavi core
90,2
Fonte: elaborazioni Iem su dati SEAT Pagine Gialle
Per rispondere all’obiettivo di creare sinergie che consentano di reagire con nuove strategie
alle ristrettezze di mercato imposte dalla crisi, nel 2010, Seat Pagine Gialle ha dato vita ad una
partnership strategica con Sky Italia. Il primo risultato di questa partnership si è concretizzato
nella stipula di un accordo commerciale tra le due società che permette alle piccole imprese
di fare pubblicità su Sky durante le partite di calcio. Nel contesto di un processo di evoluzione
dell’offerta di Seat Pagine Gialle, in un ottica multicanale, essa mette così a disposizione delle
PMI, oltre ai mezzi cartacei, web e telefonici, il canale televisivo, per garantire il massimo
supporto ed efficacia alle strategie di comunicazione e marketing dei propri clienti. La sinergia
risultante dalla partnership infatti consentirà di promuovere le imprese locali nei confronti
di audience televisive fortemente localizzate, e al tempo stesso caratterizzate da profili sociodemografici di grande appeal per gli investitori pubblicitari.
In virtù dell’accordo, Seat Pagine Gialle diventa così la prima directory al mondo a vendere
pubblicità televisiva ai propri clienti “core”, costituiti dalle piccole e medie imprese.
Un ulteriore cambiamento nella struttura del mercato delle directory è - a seguito della
liquidazione di Pagine Italia S.p.A. nel 2008 - la progressiva crescita di Pagine Sì: l’azienda
umbra, operativa dalla fine del 1996 nel settore dell’editoria pubblicitaria multimediale e
annuaristica telefonica, ha fatto registrare un fatturato superiore ai 21 milioni di euro per il
2009, in crescita rispetto ai 18 milioni del 2008. Ma il dato davvero straordinario è che si tratta
di un’azienda che vive una crescita ininterrotta da tredici anni, e che a partire dal 2005 ha
ottenuto incrementi medi annui del fatturato del 20%.
Directory
95
Tabella 2 - Risultati economici dei principali operatori italiani
Seat Pagine Gialle
Pagine Sì
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
% 09-08
% 09-03
952,2
1058,7
1090,2
1077,6
1061,9
1060,4
1056,7
-10,06
-9,89
21
18
nd
nd
nd
nd
nd
16,67
-
Nota: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazioni Iem su dati SEAT-Pagine Gialle e Pagine Sì
Dal 1996, l’impresa ha puntato sempre più ad offrire servizi ed informazioni, sia sul cartaceo
che sulle PagineSi on-line, a diffusione gratuita, così come è la consegna degli elenchi telefonici.
L’ElencoSì, è stato distribuito in nuove province del centro e del nord, segnando l’allargamento
dell’area di operatività della società.
Un altro player di rilievo attivo nella business information è la Guida Monaci S.p.A., la società
operativa nel settore B2B fondata da Tito Monaci nel 1870. Negli ultimi anni il gruppo è riuscito
a tenere il passo con l’innovazione ottimizzando l’utilizzo del sito web che è diventato non solo
un vero e proprio portale ma anche un punto di riferimento per le aziende grazie a strumenti
quali l’area “Servizi informativi per le aziende”, la pubblicazione di videoclip promozionali
direttamente sulla home page e le sezioni “Comunicati”, “Case History” e “Articoli” i cui
contenuti riguardano i prodotti commerciali venduti dalle varie aziende rintracciabili nel
database, diventando un’ulteriore forma promozionale. Inoltre l’accordo del 2008 con Siseco,
una società specializzata nel realizzare soluzioni informatiche personalizzate nell’ambito CRM,
CIM & IP Contact Management, ha permesso di rendere la propria banca dati più facilmente
consultabile da parte delle aziende. Nel 2010, la Guida Monaci si è presentata sul mercato con
un nuovo modello di business organizzato su due linee: il Publishing Multimediale e il Business
Intelligence.
2. Il mercato europeo
Anche i principali player sul mercato estero delle directory hanno dovuto affrontare gli effetti
della crisi finanziaria internazionale, che ha portato ad una riduzione dei ricavi, a cui i principali
player hanno risposto soprattutto attraverso strategie di rafforzamento dei prodotti e dei servizi
offerti attraverso la piattaforma di Internet, che continua ad offrire ai competitor prospettive ed
occasioni di crescita.
Una delle principali directory europee, il gruppo francese Pages Jaunes, ha visto nel 2009 i
propri ricavi diminuire del 2,4% rispetto all’anno precedente. Le attività del gruppo francese
sono organizzate in due segmenti: 1. Pages Jaunes in Francia: sono le attività del gruppo
in Francia relative alla pubblicazione e la distribuzione di directory e la vendita di spazi
pubblicitari su directory a stampa (Pages Jaunes, L’Annuaire) e online (“pagesjaunes.fr”). Esse
inoltre includono la creazione e l’hosting di siti internet, servizi di assistenza per telefono e
sms, l’attività ads online (“annoncesjaunes.fr”) e varie altre attività come la pubblicazione di
PagesPro e QuiDonc directory. 2) International & Subsidiares: sono le attività sussidiarie del
gruppo, che comprendono principalmente la pubblicazione di directory dedicate al consumo
e che operano fuori dalla Francia (Spagna, Lussemburgo e Marocco) e lo sviluppo di attività
complementari relative alla pubblicazione di directory, come i servizi geografici di Mappy e
le attività dirette di marketing di Pages Jaunes Marketing Services. Questo segmento inoltre
include le attività di pubblicità su internet di Horyzon Média.
Il fatturato complessivo del gruppo è ammontato nel 2009 a 1.163,9 milioni di euro, contro
1.192,8 milioni di euro nel 2008. In un mercato fortemente sotto pressione per effetto della
crisi, l’entità della diminuzione del ricavo è stata notevolmente attenuata dalla crescita dei
servizi internet, il cui giro d’affari è arrivato a rappresentare nel 2009 il 42,3% del fatturato
complessivo (39,5% nel 2008). I siti del gruppo in Francia, “pagesjanues.fr”, “mapping.com”,
“annoncesjaunes.fr” e “pagespro.com”, hanno registrato una crescita del numero di visitatori
del 7% rispetto al 2008 e nel loro insieme sono il sesto sito per numero di visite in Francia.
96 Directory
Entrambi i segmenti di attività del gruppo hanno visto una contrazione dei ricavi, ma a
registrare una performance particolarmente negativa è il segmento di Pages Jaunes rivolto
al mercato estero il quale (pur rappresentando una quota minore attorno al 5% del ricavo
complessivo) tra il 2008 e il 2009 ha visto una variazione negativa dei ricavi del 17,2%, a fronte
della riduzione dell’1,2% del segmento operante su base nazionale – che invece identifica la
quasi totalità del business del gruppo
Nel corso del 2009, il gruppo Pages Jaunes ha proseguito l’opera di ottimizzazione di tutti i
costi dei vari segmenti di attività del gruppo. Ha completato la ristrutturazione di QDQ Media
in Spagna e la reintegrazione di Pages Jaunes Petites Annonces, realizzando per queste vie
operazioni di riduzione e ottimizzazione dei costi. Allo stesso tempo, il gruppo ha mantenuto
i suoi investimenti in tecnologia, commerciali e del marketing, che rappresentano interventi
cruciali nella strategia del gruppo.
La maggiore directory britannica, Yell Group, dopo la crescita dei ricavi nel 2009, ha registrato
un calo degli stessi nel 2010, diminuiti rispetto all’anno precedente dell’11,5%. Yell Group è
una delle principali directory internazionali che opera attraverso attività cartacee, online e
telefoniche sul mercato pubblicitario negli UK, Stati Uniti, Spagna e America Latina.
A controbilanciare in parte la riduzione dei ricavi del gruppo – dovuta interamente
all’andamento negativo delle printed directories del gruppo inglese – è stata la performance
positiva del segmento delle attività Internet che hanno portato la propria quota sui ricavi totali
nel 2010 al 20%, rispetto al 15% del 2009. Inoltre le iniziative volte a generare un risparmio sui
costi, hanno consentito da una parte di ridurre l’impatto negativo della riduzione dei ricavi,
dall’altro di compensare le maggiori risorse dedicate ad investimenti aggiuntivi finalizzati alla
ripresa.
Tabella 3 – Rivavi complessivi delle principali directories estere (milioni di euro)
Directory
Pages Jaunes Group
Yell Group*
2010
2009
2008
Var. % 10/09
Var. % 08/09
-
1.164,00
2.450,84
2.768,58
1.192,90
-
-2,42
2561,68
-11,48
8,07
Note: (*) l’anno finanziario del gruppo termina il 31 Marzo di ogni anno. Fonte: elaborazioni IEM su dati di bilancio
Pages Jaunes e Yell Group
Nel 2009 Yell Group ha completato l’opera di rifinanziamento che era stata intrapresa a
seguito di un accordo siglato il 27 Aprile 2006 (“Old Facilities Agreement”) con Citigroup
Global Markets Limited, Deutsche Bank AG, Goldman Sachs International, HSBC Bank plc
e altre istituzioni finanziarie, che consentiva a Yell Group di ottenere prestiti di lungo termine
e condizioni favorevoli di accesso al credito. Esso è stato sostituito con il “New Facilities
Agreement” che è entrato in vigore il 30 Novembre 2009.
Sempre nel 2009, Yell Group ha lanciato un canale video online, fornito da VideoJug, uno
dei maggiori specialisti nella produzione di brevi contenuti video. Inoltre, Yell ha stipulato
un’alleanza strategica con Google con l’obiettivo di fornire servizi avanzati e sofisticati di
marketing a più di 450.000 SME del Regno Unito.
Nel 2010 Yell Group ha lanciato una serie di servizi dinamici per piccole imprese disponibili
online nel nuovo Yellowbook360 Business Center, che aiuta la crescita del business delle
imprese, aumentandone la visibilità, ed offrendo ad esse una molteplicità di prodotti e servizi
a sostegno del marketing, sul portale yellowbook.com.
Directory
97
Musica registrata
98
Musica registrata
di William Ricci
1. Il mercato italiano
Le speranze riposte nei nuovi mercati della musica digitale rimangono purtroppo disattese
nel corso del 2009, anno in cui, sia in Italia che in Europa e nel Mondo, si registra una nuova
flessione dei ricavi in seguito ad un complesso mix di fattori tra cui il file sharing è senz’altro
una delle cause maggiori. Prima di addentrarci nell’analisi delle ragioni che impediscono un
reale cambio di rotta, iniziamo con l’illustrare la situazione nazionale partendo dallo stato dei
volumi venduti nel territorio italiano.
Come per gli anni scorsi, le diverse fonti mostrano una andamento assai vario, con Siae1 e Fimi2
in particolare che raccontano un andamento delle unità vendute a tratti discordante3. Dal 2007
al 2008 notiamo come secondo la Siae la vendita di supporti registri un incremento di circa 10
punti percentuali a fronte del dato Fimi che, coerentemente con i trend che caratterizzano il
dato in valore, descrive una flessione del 22% circa. La contrazione dei volumi continua anche
nel 2009 con un decremento che la Federazione dell’Industria Musicale Italiana stima intorno
al 18% a fronte di poco più di 15 milioni di unità vendute.
Figura 1- Il mercato discografico italiano, 2003-2009 (milioni di unità - album equivalente)
450
400
Fimi
390
378
364
340
350
300
293
M&D
322
305
295,6
258
272
250
208
222
200
162
178
144
150
124
100
50
0
2005 f
2005 f+d
2006 f
2006 f+d
2007 f
2007 f+d
2008f
2008f+d
2009f
2009f+d
Elaborazione IEM su dati FIMI, IFPI, M&D e SIAE
1
Società Italiana degli Autori ed Editori, Dati di vendita dei supporti fonografici per il 2008, 2010.
2
Federazione dell’Industria Musicale Italiana, Dati di mercato – anno 2009, 2010.
3
L’enorme differenza che caratterizza il dato Fimi da quello Siae è in parte interpretabile a partire dalla
natura dell’informazione. La SIAE in qualità di unica collecting society nazionale ha infatti il monitoraggio dettagliato delle licenze concesse sul venduto. Fimi monitora il sell-in delle principali compagnie.
99
Disaggregando il dato notiamo alcune note positive come la buona performance del
macrosegmento dei singoli, cresciuti del 100%, trainati dalla vendita dei supporti CD che,
a fronte di oltre 550 mila copie vendute, totalizzano un incremento di 99 punti percentuali.
Ciò in parte descrive una mutazione dei gusti dell’ascoltatore medio come delle strategie delle
compagnie musicali, oggi maggiormente concentrate sulla redditività del singolo contenuto a
scapito di un modello di fruizione musicale maggiormente organico e complesso come quello
dell’album di canzoni.
L’andamento in valore non ha purtroppo invertito la tendenza che, dal 2003, caratterizza il
mercato della musica registrata. Il declino nel 2009 è stato costante e ugualmente registrato
sia da FIMI che dalla sua corrispettiva internazionale IFPI (International Federation of the
Phonographic Industry) con rispettivamente un -19% e un -17%. Analizzando il dato FIMI,
maggiormente disaggregato nelle sue componenti, notiamo come quasi tutte le voci fisiche
registrino un forte decremento del fatturato, in particolare nel mercato dei CD album che,
risultando la maggior fonte di ricavo con i suoi 114 milioni e 100 mila euro, traina l’universo dei
supporti fisici verso un declino percentuale di circa 24 punti a fronte di un valore pari a poco
meno di 124 milioni. Rimane la nota positiva dei CD singoli che, crescendo del 7%, portano
l’intero macrosegmento a descrivere un incremento del 5% con poco meno di 2 milioni di euro
generati.
Figura 2 - Il mercato discografico italiano, 2003-2009 (milioni di euro*)
700
Fimi
Ifpi (trade)
Ifpi (retail)
574
600
535
535
478
500
400
M&D
402
370
333
300
392
344
306
390
343
305
392
364
306
274
301
266
222
200
260
226
219
181
178
144
100
0
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
Note: * Il dato IFPI (trade) 2009 è stato calcolato effettuando una conversione in base alla media 2009 del cambio
dollaro/euro pari a 0,72. Fonte: Ufficio Italiano Cambi. Dato originale IFPI: 252 milioni di dollari. Fonte: elaborazioni
e stime IEM su dati FIMI, IFPI e M&D.
Il dato sopra descritto è naturalmente comprensivo del mercato digitale che, pur in continua
crescita dal 2005 ad oggi, non riesce a compensare le gravi perdite economiche che la controparte
fisica registra di anno in anno. E’ infatti possibile notare come, secondo le informazioni FIMI,
il declino del mercato fisico vada progressivamente peggiorando, in particolare passando da un
-22% tra il 2008 e il 2007 ad un -23% tra il 2009 e il 2008, mentre la somma fisico + digitale,
pur riducendo il trend negativo di un punto nel biennio tra il 2008 (-20%) e il 2009 (-19%), non
inverte le sorti generali del mercato.
Si prevede quindi un futuro ancora difficile per la musica registrata in Italia, che deve di fatto
riporre le speranze non tanto in una stabilizzazione dei trend di decrescita del mercato fisico,
destinati al contrario a peggiorare nel tempo, ma in una crescita sostanziale dei modelli di
fruizione digitali in grado di ribaltare l’andamento totale del mercato fino ad arrivare ad una
sostituzione completa e autosufficiente dell’universo musicale.
Diverse difficoltà sono inoltre riscontrabili nel complesso mondo del mercato liquido.
100 Musica registrata
Nonostante la sua crescita complessiva che supera nel 2009 i 20 milioni di euro con un +27%
rispetto al 2008, la fruizione digitale mostra un cattivo andamento delle piattaforme mobili.
In particolare vediamo come, dal 2006 in poi, l’acquisto di musica via smartphone descriva un
decremento costante che dagli oltre 9 milioni e 600 mila euro porta la musica su cellulare a
poco meno di 4 milioni di euro (–30% rispetto al 2008).
Figura 3 - Il mercato discografico italiano digitale e fisico, 2005-2009 (milioni di euro)
450
Fimi digitale
400
350
Fimi fisico
12
300
14
250
14
200
16
150
20
293
258
208
100
162
124
50
0
2005
2006
2007
2008
2009
Il mercato discografico italiano secondo FIMI: 144 milioni di euro nel 2009 (124 fisico e 20 digitale)
450
Musica & Dischi digitale
12
400
Musica & Dischi fisico
24
350
25
300
27
250
29
200
378
340
150
276
233
100
197
50
0
2005
2006
2007
2008
2009
Il mercato discografico italiano secondo Musica & Dischi: 226 milioni di euro nel 2009 (197 fisico e 29 digitale)
Fonte: elaborazioni e stime IEM su dati FIMI e M&D.
Figura 4 - Valore del mercato digitale Mobile e Internet 2006-2009 (milioni di euro*)
25
internet
mobile
pubblicità
Totale digitale
20,4
20
12,1
9,6
10
5
16,1
14,6
14,5
15
8,0
5,6
5,4
4,2
9
3,9
0,7
0
2006
2007
2008*
2009*
Note: * Il totale comprende anche altre voci di ricavo; il dato internet 2008/2009 e mobile 2008/2009 comprende anche
gli introiti provenienti da sottoscrizioni a servizi. Fonte: Elaborazione IEM su dati FIMI.
Musica registrata
101
L’osservazione di tale andamento di fatto sfata la convinzione comune che vede gli italiani
fortemente attivi e ricettivi rispetto alle novità di prodotto e alle modalità di fruizione delle
piattaforme mobili, descrivendo al contrario una forte dinamicità delle piattaforme informatiche
quali i PC e Notebook con una crescita del download online e delle sottoscrizioni a servizi web
based di fruizione e acquisto di musica pari ad oltre il 34%. Possiamo parzialmente interpretare
il dato come l’effetto di un modello di comportamento che premia l’acquisto di tracce online
da casa, in seguito trasferite su device mobili come iPod e lettori Mp3 oggi sempre più diffusi.
Va inoltre segnalata l’importanza crescente che le fonti di ricavo da pubblicità (e diritto d’autore)
stanno assumendo soprattutto nelle forme di fruizione via streaming. Nel 2009, per la prima
volta, si registra un valore generato da tali inediti modelli di business musicale pari a oltre 700
mila euro (per una quota sul totale stimabile intorno allo 0,7%). Tale processo va in parte ad
inserirsi nei recenti accordi che YouTube e Siae hanno stipulato, prevedendo un modello di
distribuzione streaming in grado di generare profitti su ogni singola utilizzazione effettuata.
L’accordo prevede un modello di condivisione degli introiti pubblicitari che contempli anche
i proprietari dei contenuti4, con un minimo garantito. Siamo quindi di fronte a nuovi modelli
di business che, basandosi sulle opportunità che la rete offre, possono in futuro stabilizzare le
coordinate di un mercato ancora poco sfruttato potendo monetizzare la fruizione protetta dal
diritto d’autore, ancorché gratuita.
Tabella 1 - Mercato Digitale, Italia (€)
Abbonamenti
Mobile Downloads
Online Downloads
2009 (Valore) 2008 (Valore) Scostamento
Pubblicità
Scostamento %
Traccia Singola
4.749.625
4.083.239
666.386
16%
Album
4.512.826
3.417.218
1.095.608
32%
33.875
14.413
19.462
135%
153
328
-175
-53%
Streaming
1.915.970
1.510.830
405.140
27%
TOTALE
11.212.449
9.026.028
2.186.421
24%
Master Ringtones
1.569.705
2.754.518
-1.184.813
-43%
Traccia Singola
1.944.567
1.925.662
18.905
1%
Ringback Tunes
108.357
121.409
-13.052
-11%
Video Musicali
77.489
150.917
-73.428
-49%
Video Musicali
Altro
Altri Prodotti
27.085
310.357
-283.272
-91%
Streaming
87.731
148.249
-60.518
-41%
TOTALE
3.814.934
5.411.112
-1.596.178
-29%
Abbonamenti (servizi
indipendenti) - Online
978.619
30.454
948.165
3113%
Abbonamenti (servizi
indipendenti) - Mobile
158.954
208.151
-49.197
-24%
Abbonamenti (servizi
dipendenti)
411.640
0
411.640
100%
TOTALE
1.549.213
238.605
1.310.608
549%
Pubblicità
734.722
0
734.722
100%
Anticipi non
riscossi e
pagamenti una
tantum
Anticipi non riscossi e
pagamenti una tantum
2.168.260
346.433
1.821.827
526%
Altro
Altri Contenuti Musicali
Digitali
966.534
1.109.659
-143.125
-13%
20.446.113
16.131.837
4.314.276
27%
TOTALE Valore Mercato Digitale
Elaborazione IEM su dati FIMI
Da sottolineare infatti la notevole crescita dello streaming musicale su piattaforma Pc nel
4
Claudio Tamburrino, Youtube e SIAE, licenza di monetizzare, Punto Informatico, 2010.
102 Musica registrata
2009 pari al +27%, la buonissima performance del download degli album musicali (+32%)
in controtendenza rispetto al mercato tradizionale, ma soprattutto l’enorme bacino d’utenza
in parte cannibalizzato dalle pratiche di file sharing illegale (circa il 23% degli internauti) che,
almeno nel 2009, ha trovato vita difficile in seguito alla decisione della Corte di Cassazione
di poter consentire ad un magistrato il blocco dell’accesso alla rete nell’eventualità di pratiche
illegali5. In particolare il caso Pirate Bay6 ha di fatto chiarito quanto sia necessaria ed urgente
una piena collaborazione dei provider nel contrastare ed impedire la crescita di modelli di
fruizione musicale illegali e controproducenti per il mercato.
2. Il mercato europeo
Secondo le informazioni IFPI7, in tutta Europa si registra una flessione dei diversi mercati
nazionali ad eccezione del Regno Unito che, con oltre un miliardo e 570 milioni di dollari,
cresce dell’1,9% rispetto al 2008. A parziale interpretazione del dato va segnalata la particolare
natura della situazione inglese che, godendo storicamente di una forza tale da renderlo il
primo mercato in Europa e il terzo nel Mondo (dopo Stati Uniti e Giappone), rappresenta
di fatto una delle avanguardie musicali da cui trarre ispirazione. Nel Regno Unito si è infatti
sperimentata, come in Asia l’anno passato8, la capacità del mercato liquido di compensare
le perdite economiche della controparte fisica. In particolare il mercato tradizionale
(comprensivo dei ricavi da diritti d’autore) ha registrato una flessione di circa l’1% contro un
+17% del mercato liquido, confermando come l’eventuale risalita dell’economia musicale possa
oggi essere ottenuta solo grazie ad una forte capacità di soddisfare la domanda di contenuti in
forma digitale sostenendone l’acquisto e la fruizione. Ancora va sottolineato il tessuto sociale
inglese in grado di sostenere una produzione sempre in linea con i gusti mondiali favorendo
la scoperta e la crescita di talenti artistici, come dimostra il caso di Susan Boyle e il suo album
di esordio I Dreamed a Dream (Syco - Columbia) risultato nel 2009 il più venduto al mondo9.
Figura 5 - Il mercato discografico europeo, 2005-2009 (milioni di dollari – Trade)
2.500
2.162
R.U.
2.054
2.000
1.500
GERMANIA
FRANCIA
ITALIA
SPAGNA
1.893
1.698
1.457
1.580
1.248
1.574
1.544
1.411
1.212
1.126
974
948
1.000
428
500
383
369
1.533
393
327
305
328
252
287
246
0
2005
2006
2007
2008
2009
Elaborazione IEM su dati IFPI.
Gli altri mercati europei hanno invece confermato la flessione continua già dal 2007. Nello
specifico l’Italia sperimenta il trend negativo più grave (-17%) rispetto al 2008, confermandosi
al penultimo posto prima della Spagna anche nel 2009. In particolare sia il mercato tedesco che
francese riescono a minimizzare le perdite registrando rispettivamente un –3% e un –2,7% sul
2008. Pesante è invece il declino spagnolo che, a fronte di poco più di 246 milioni di dollari,
5
IFPI, IFPI Digital Music Report 2010, 2010. Versione italiana.
6
Motore di ricerca per file torrent svedese.
7
Syndicat National de l’Edition Phonograpique, L’économie de la production musicale – edition 2010,
2010.
8
William Ricci, “Musica Registrata”, in Barca F. (a cura di), L’Industria della Comunicazione in Italia.
Dodicesimo rapporto IEM, Guerini, Milano.
9
The British Recorded Music Industry, The Market – Useful facts. Fonte: http://www.bpi.co.uk/musicbusiness/article/the-market.aspx
Musica registrata
103
vede contrarre il fatturato di oltre il 14%, piazzandosi per valore all’ultimo posto tra i cinque
mercati europei .
Buone notizie provengono invece dal versante liquido che, pur non riuscendo a compensare
le perdite del mercato tradizionale (ad eccezione del Regno Unito), mostra costanti trend
positivi dal 2005 in poi. Unica pecca è la contrazione francese che dal 2008 perde circa 2
punti percentuali declinando il proprio fatturato digitale in circa 131 milioni di dollari. Molto
positiva è la crescita registrata da Germania e Spagna, rispettivamente del 27% e del 23%, con
la prima in particolare a vantare in questo comparto oltre 40 servizi di donwload di musica
digitale tra cui Amazon MP3 e iTunes Germany10. Buona infine la crescita di Regno Unito e
Italia che totalizzano un +17% rispetto al 2008, pur con la nostra nazione sofferente per la grave
decrescita del mercato fisico che in Inghilterra al contrario viene, seppur di poco, compensata
dal valore generato in campo digitale.
Figura 6 - Il mercato discografico digitale europeo, 2005-2009 (milioni di dollari - Trade*)
350
R. U.
Germania
Francia
Spagna
Italia
295
300
252
250
200
163
150
100
123
122
156
131
133
94
70
69
39
50
28
16
76
67
23
3
25
16
28
24
33
26
32
0
2005
2006
2007
2008
2009
Note: * Italia 2008: dato ricavato dal trend di crescita del dato FIMI 2008 applicato al dato IFPI 2007; Spagna 2008:
dato ricavato dal trend di crescita del dato Promusicae 2008 applicato al dato IFPI 2007. Fonte: Elaborazione IEM
su dati IFPI.
Analizziamo infine la composizione del mercato liquido nelle sue declinazioni online e mobile.
Purtroppo non sono disponibili informazioni sulla situazione tedesca e inglese, che tuttavia
hanno già in passato affermato una netta prevalenza del comparto digitale online su quello
mobile. Dal 2005 al 2007 osserviamo infatti una progressiva crescita delle quote online, che
in Germania raggiunge il 69% e nel Regno Unito il 71%. Vista la forte connotazione digitale
di questi mercati e la loro importanza economica nel valore complessivo, possiamo a ragion
veduta considerarli modelli virtuosi, imitandone vision e strategie e premiando modelli di
fruizione online che dimostrano essere più redditizi di quelli mobile.
Tabella 2 - Mercato musicale digitale europeo, 2005-2009 (quote del valore online e mobile*)
Online
Mobile
2009
online
2008
mobile
online
2007I
mobile
2006I
2005
online
mobile
online
mobile
Regno Unito non disp. non disp. non disp. non disp.
71%
29%
70%
30%
62%
38%
Germania
69%
31%
69%
31%
66%
34%
II
38%
62%
47%
53%
III
31%
69%
non disp. non disp. non disp. non disp.
Francia
50,5%
Italia
59,3
19,1%
59%
41%
Spagna
53%IV
47%IV
37%IV
63%IV non disp.non disp.
II
III
II
37,9%
III
II
58%
42%
39%
61%
III
44%
56%
24%
76%
22%
78%
online
mobile
non disp. non disp.
Note * La somma delle quote mobile e online dei dati Francia 2009 e Italia 2009 risulta minore di 100 in quanto
nel totale dei rispettivi mercati digitali viene inclusa una quota riferibile agli introiti generati da altre voci di ricavo.
(Italia: Ad-Supported Income, Unearned Advances & One-Off Payments, Other Digital Music Content; Francia:
Streaming). Fonte Ifpi, I dati Ifpi relativi alla prima metà dell’anno; IISyndicat National de l’Edition Phonograpique;
III
FIMI; IVPromusicae;
A conferma di quanto appena scritto segnaliamo la decrescita delle quote online in Francia
10
IFPI, IFPI Digital Music Report 2010, 2010. Versione italiana.
104 Musica registrata
che, nel 2009, combaciano perfettamente con la contrazione del valore generato dal mercato
digitale (-2%). Sia l’Italia che la Spagna vedono quindi aumentare l’importanza del valore
online sul mobile; la seconda in particolare, sperimentando una crescita del digitale del
23%, vede la quota di fatturato generato via computer aumentare dal 37% al 53% nel 2009,
a dimostrazione di quanto strategica risulti una buona gestione dei servizi digitali web based
insieme, naturalmente, ad una seria lotta alle pratiche di file sharing illegale. Concludiamo
segnalando come la leggerissima crescita dal 2008 al 2009 delle quote online italiane (+0,3%)
rispetto alle pratiche di fruizione mobile, siano in parte dettate dalle cattive performance di
queste ultime che, dal 2008 al 2009, come abbiamo in precedenza accennato, crollano del 30%.
3. Il mercato mondiale
Continua la flessione del mercato anche a livello mondiale. Nel 2009 la musica registrata riesce
a generare poco più di 17 miliardi di dollari perdendo rispetto al 2008 oltre 7 punti percentuali.
La diminuzione è purtroppo la più grave dal 2006 e testimonia di fatto la diffusa difficoltà dei
grandi mercati internazionali nel gestire al meglio le nuove risorse distributive digitali. Nel
2009 vediamo infatti le due più grandi realtà mondiali, Stati Uniti e Giappone, contrarre il
proprio fatturato di quasi l’11%, con un peso dell’80% sul decremento mondiale che, al netto
delle loro performance, sarebbe stato all’incirca del -3,2%11. Tra le motivazioni possiamo citare
gli effetti prodotti, almeno negli Stati Uniti, dalla crisi finanziaria e la conseguente contrazione
dei consumi.
La composizione delle quote di mercato mondiali per azienda discografica vede quindi la
Universal Music Group mantenere stabile il suo primato con oltre il 27% delle revenue; con
quasi il 21%, troviamo Sony Music Entertainment e, infine, con il 15% e il 12,2%, rispettivamente
la Warner Music Group ed EMI. Si segnala la progressiva perdita di potere dell’universo
indipendente che, da una quota complessiva pari al 27,1% nel 2007, nel 2009 scende al 24,7%12.
Tabella 3 - Il mercato discografico mondiale, 2005-2009 (milioni di dollari – Trade)
valore
2009
var%
2008
var%
2007
var%
2006
var%
2005
17.026
-7,2%
18.347
-5,4%
19.398
-0,9%
19.587
-5%
20.795
Elaborazione IEM su dati IFPI
Il mercato digitale mondiale, come è logico, riesce ancora a guadagnare valore, seppur
diminuendo di molto il proprio trend di crescita. Rispetto infatti agli anni precedenti (+ 107%
nel 2006, +35% nel 2007 e 2008) il valore del fatturato liquido aumenta di “appena” il 9,2%
registrando complessivamente poco più di 4 miliardi e 300 milioni di dollari. Ciò è in parte
dovuto alle scarse performance di un continente strategico ed economicamente importante
come il Nord America (che registra un incremento di appena l’1,1%), pur a fronte di un
aumento dei servizi di distribuzione digitale ed una loro maggior penetrazione nei diversi
mercati nazionali.
I ricavi del mercato liquido, nella prima metà del 2009, sono così composti: con il 61,9%
domina incontrastato il servizio iTunes, aiutato da un’accorta politica industriale che lega a
doppio filo il sistema di download a pagamento con la produzione proprietaria dei lettori iPod.
Molto distaccati sono invece gli altri concorrenti Amazon Mp3, Rhapsody, Zune Marketplace
e Napster rispettivamente al 7,6%, 3,7%, 2,6%, 1,5%13.
11
Robert Andrews, ’09 Music Sales Shed $1 Billion; U.S. Downloads Stagnant, paidContent: UK, 2010.
12
Redazionale, Sony Music makes gain on dominant Universal in 2009, Music & Copyright’s Blog, 2010.
Fonte: http://musicandcopyright.wordpress.com/
13
Redazionale (dati NPD), NPD Musica Market Share – Report For The Firts Half 2009, RouteNote Blog,
2009. Fonte: http://routenote.com/blog/npd-group-music-marketshare-report-for-the-first-half-of-2009/
Musica registrata
105
Tabella 4 - Il mercato discografico mondiale digitale, 2005-2009 (milioni di dollari – Trade)
valore
2009
var%
2008
var%
2007
var%
2006
var%
2005
4.307
9,2%
3.944
35,5%
2.909
35%
2.154
107%
1.039
Elaborazione IEM su dati IFPI
Unica nota realmente positiva nella situazione mondiale è il progressivo aumento d’importanza
che il mercato digitale va acquisendo sul totale del valore generato. Dal 2005 in poi la quota
di fatturato attribuibile alle pratiche di fruizione liquida è passata dal 5% al 25%. Va tuttavia
sottolineato come il risultato del 2009 sia principalmente l’effetto di una drastica diminuzione
del mercato fisico (-12,7% dal 2008 e al netto dei ricavi da diritti d’autore), più che dell’aumento
del digitale che, come abbiamo visto, negli anni passati è stato decisamente più consistente.
Figura 7 - Il mercato discografico mondiale fisico-digitale, 2005-2009 (% - Trade)
25.000
20.000
Digitale
5%
11%
15%
15.000
10.000
95%
89%
85%
Fisico e P.R.
21%
79%
5.000
25%
75%
2005
2006
2007
2008
2009
Elaborazione IEM su dati IFPI
Rimane comunque intatta la speranza che in un futuro il fatturato digitale possa compensare le
perdite del mercato fisico: diverse sono infatti le nazioni che nel 2009 hanno sperimentato una
crescita del valore totale grazie alle ottime performance delle voci di ricavo appartenenti alla
distribuzione liquida. Oltre al Regno Unito, unico esempio europeo, segnaliamo i trend positivi
registrati dal mercato Indiano, dal Messico, dalla Thailandia, dall’Australia e dal mercato
sudcoreano14.
Naturalmente parte delle cause che impediscono una diffusa crescita del mercato liquido
vanno ricercate anche nei modelli di fruizione illegali, oltre che nella contrazione dei consumi
provocata dalla crisi. Non a caso il Ceo dell’IFPI John Kennedy si è spesso espresso in favore
di misure drastiche nei confronti dei corresponsabili che alimentano un clima d’impunità nei
confronti di chi pratica illeciti, citando in particolare le esperienze legislative di Taiwan, Corea
del Sud e Francia e il loro processo di responsabilizzazione degli Internet Service Provider e
invocando nel contempo l’intervento dello Stato15.
Concludiamo segnalando il positivo incremento degli introiti generati dallo sfruttamento dei
diritti d’autore i quali, facendo leva sulle tecnologie di rete e prodotti appartenenti ad altri
settori dell’entertainment (ricordiamo i videogiochi musicali come Guitar Hero o Rock Band),
aumentano il proprio fatturato del 7,6%, generando nel 2009 circa 785 milioni di dollari e
raggiungendo il 5% della quota complessiva del mercato della musica registrata.
14
15
Robert Andrews, ’09 Music Sales Shed $1 Billion; U.S. Downloads Stagnant, paidContent: UK, 2010.
IFPI, IFPI Digital Music Report, 2010. Versione italiana.
106 Musica registrata
Pubblicità
Musica registrata
107
Pubblicità
1. La comunicazione commerciale: lo scenario 2009-2010
La congiuntura economica negativa che ha caratterizzato l’ultima parte del 2008 e il 2009 si
sta, molto lentamente, affievolendo e nella prima metà del 2010 l’economia internazionale e
il mercato pubblicitario a livello mondiale ricominciano a mostrare segni di crescita positivi
che, però, qualora conservassero questo ritmo, impiegherebbero circa un lustro per riportare
il mercato ai livelli raggiunti nel 2008. La pubblicità si è dimostrata, anche in questa fase e per
l’ennesima volta, estremamente sensibile all’andamento economico generale. In Italia, così come
nel resto del mondo, la flessione è stata nettamente più accentuata rispetto ad un indicatore di
ricchezza come il PIL e, benché la ripartenza economica sia particolarmente lenta, il mercato
pubblicitario si sta riprendendo in maniera più rapida. Certo è che, a fronte di una flessione del
PIL di 5 punti percentuali nel 2009, la pubblicità ha perso oltre 13 punti. Discorso a parte per
la comunicazione below the line che ha continuato a mostrare segni positivi e ha compensato
parte della perdita complessiva del mercato, attestatasi poco al di sotto – praticamente in linea
– della flessione del Prodotto interno lordo.
Figura 1 – Andamento investimenti in comunicazione e PIL, Italia (1990-2009)
ANDAMENTO PIL
ANDAMENTO SPESA PUBBLICITARIA
(MEZZI CLASSICI)
ANDAMENTO SPESA PUBBLICITARIA &
MARKETING RELAZIONALE
1990
1992
1994
1996
1998
2000
2002
2004
2006
2008
Fonte: elaborazione IEM su dati FMI (PIL a prezzi correnti); Nielsen Media Research; IAB, Interactive Advertising
Bureau; UPA.
108
Considerando solo gli investimenti sui media classici (stampa, televisione, radio, esterna,
cinema, Internet), il 2009 è stato, quindi, segnato da una pesante contrazione (-10,2%) negli
investimenti mondiali rilevati da ZenithOptimedia, che ha portato il totale del mercato a 443,7
miliardi di dollari (erano 494 l’anno precedente). Le previsioni dello stesso istituto indicano
una ripresa molto lenta nel 2010, quando il consuntivo finale dovrebbe segnare un +0,9%.
La crescita dovrebbe farsi più robusta nei due anni successivi, previsti poco sotto il 4 e il 5%,
rispettivamente, senza però che il dato 2012 sia superiore ai livelli del 2008.
400,0
Pubblicità globale (mld $)
Var. % yoy
447,7
465,1
487,4
15
443,7
12,6
437,5
500,0
409,8
600,0
494,0
492,7
Figura 2 - Investimenti pubblicitari nel mondo (2005-2012F)
10
5
6,8
4,8
3,9
300,0
0
0,9
0,3
200,0
-5
100,0
-10
-10,2
0,0
-15
2005
2006
2007
2008
2009
2010E
2011F
2012F
Nota: miliardi di US$ a prezzi correnti (conversioni al tasso medio 2008). Fonte: elaborazione IEM su dati
ZenithOptimedia.
Figura 3 - Investimenti pubblicitari nel mondo per macro-aree (2007-2011F)
Nord America
Europa Occidentale
Asia Pacifico
Europa Centro-Orientale
America Latina
Africa-Medio Oriente-RdM
2011F
156
2010E
153
2009
157
2008
180
109
106
0%
20%
108
107
121
188
2007
114
125
40%
35
21
28
33
19
18
104
28
31
107
35
30 20
105
60%
30
31
80%
27 17
100%
Note: dati in miliardi di US$ a prezzi correnti (conversioni al tasso medio 2008). Fonte: elaborazione IEM su dati
ZenithOptimedia.
Per le aree mondiali più mature, Nord America ed Europa Occidentale, la caduta è stata
particolarmente brusca e i livelli di spesa del 2010 sono previsti comunque al di sotto del dato
Pubblicità
109
2009, con una risalita particolarmente lenta nei due anni successivi. E lo stesso può dirsi per
l’Europa Centro-Orientale. Più dinamiche saranno l’America Latina e la zona Asia-Pacifico,
grazie soprattutto alle performance, che continuano ad essere buone, se non ottime vista
la congiuntura internazionale, di Cina e Brasile. La zona asiatica, in particolare, dovrebbe
chiudere il 2010 con valori superiori, per la prima volta, a quelli dell’Europa Occidentale.
Nel mercato italiano, il consuntivo 2009 è stata negativa per i mezzi classici (-13,3%, secondo
un’opportuna miscela delle rilevazioni Nielsen, UPA e Assocomunicazione) e positiva,
dell’1,5%, per il c.d. “below the line” (secondo le stime UPA).
Rispetto all’economia nazionale, crollata del 5%, l’incidenza dell’investimento pubblicitario
sui mezzi classici scende ulteriormente, sotto la bottom line dello 0,6%. Considerando anche
l’insieme delle iniziative di comunicazione “non media” (direct marketing, promozioni,
relazioni pubbliche e sponsorizzazioni/eventi), cioè ben oltre il 50% dell’investimento in
comunicazione commerciale secondo le stime fornite da Assocomunicazione e UPA (Tab. 1),
che invece hanno incrementato la propria incidenza fino allo 0,77%, la percentuale sul PIL è
dell’1,36% per il 2009 (Fig. 4), con un lieve arretramento sull’anno precedente.
Figura 4 - Investimenti pubblicitari above e below the line/PIL - Italia (1999-2009)
1,8%
Investimenti in comunicazione Below the Line/PIL
1,6%
Investimenti pubblicitari su mezzi classici/PIL
1,4%
1,2%
1,0%
0,8%
0,8%
0,8%
0,8%
0,8%
0,8%
0,7%
0,7%
0,7%
0,7%
0,8%
0,8%
0,6%
0,4%
0,66%
0,70%
0,68%
0,64%
0,64%
0,65%
0,66%
0,67%
0,67%
0,65%
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
0,2%
0,0%
1999
0,59%
2009
Fonte: elaborazione IEM su dati FMI (PIL a prezzi correnti); Nielsen Media Research; IAB, Interactive Advertising
Bureau; UPA.
L’evoluzione del settore, come la tenuta della componente “below the line” lascia intravedere,
passa attraverso la contaminazione tra i vari comparti della comunicazione commerciale
(la parola chiave è “integrazione”), e la capacità di rispondere in maniera sempre più rapida
alle sollecitazioni del mercato, tenendo fermi alcuni punti strategici fondamentali, come
l’accrescimento dell’engagement del consumatore.
Le attività di comunicazione relazionale, o below the line (eventi e sponsorizzazioni, promozioni,
relazioni pubbliche e direct marketing) rispondono positivamente a queste necessità ed
hanno fatto registrare, nel 2009, un progresso dell’1,5% che le ha portate a pesare oltre il 54%
della spesa complessiva in comunicazione (e a sfiorare i 10,5 miliardi). Pur nella difficoltà di
identificare e analizzare segmenti così frammentati e dispersi, per il 2010 Assocomunicazione
stima una crescita di questi segmenti del 2,5% complessivo1.
1
Cfr. Assocomunicazione, Comunicare Domani, 2010. Si tenga inoltre presente che Assocomunicazione
stima il mercato del direct marketing in valori praticamente doppi rispetto a UPA. Nelle elaborazioni è stata prescelta la stima più conservativa di quest’ultima.
110
Pubblicità
Tabella 1 - Ripartizione investimenti area classica e below the line in Italia, 2005-2009
2009
2008
2007
2006
2005
Mln.
€
Quota
%
Mln.
€
Quota
%
Mln.
€
Quota
%
Mln.
€
Quota
%
Mln.
€
Δ%
Δ%
Quota 09-08 09-05
%
Totale
mezzi
classici
8.843
45,8
10.196
49,8
10.178
50,3
9.567
49,6
9.250
49,5
Totale
below
the line
10.445
54,2
10.293
50,2
10.042
49,7
9.709
50,4
9.419
50,5
1,48
10,89
TOTALE 19.288
100,0
20.489
100,0
20.220
100,0
19.276
100,0
18.669
100,0
-5,86
3,32
-13,27 -4,40
Fonte: elaborazioni IEM su dati Nielsen Media Research, IAB, UPA, Assocomunicazione.
Tabella 2 - Investimenti in marketing relazionale in Italia, 2005-2009
2009
2008
2007
2006
2005
Mln.
€
Quota
%
Mln.
€
Quota
%
Mln.
€
Quota
%
Mln.
€
Quota
%
Mln.
€
Δ%
Δ%
Quota 09-08 09-05
%
Direct
Response
2.425
23,22
2.425
23,56
2.372
23,62
2.314
23,83
2.271
24,11
0,00
6,78
Promozioni
4.350
41,65
4.300
41,78
4.185
41,67
4.059
41,81
3.937
41,80
1,16
10,49
Relazioni
pubbliche
2.150
20,58
2.103
20,43
2.040
20,31
1.927
19,85
1.842
19,56
2,23
16,72
Sponsorizza
zioni/Eventi
1.520
14,55
1.465
14,23
1.445
14,39
1.409
14,51
1.369
14,53
3,75
11,03
10.445
100
10.293
100
10.042
100
9.709
100
9.419
100
1,48
10,89
Totale
Fonte: elaborazioni IEM su dati UPA, Assocomunicazione.
2. Il media mix italiano
Riguardo ai mezzi classici, la maggiore vittima della crisi del 2009 è stata la pubblicità sulla
stampa che, secondo i dati Nielsen (tab. 4), ha perso complessivamente il 21,6% sull’anno
precedente – risultato del 16% del calo dei quotidiani e del 28,7% del crollo dei periodici. Alla
consolidata tendenza negativa (cambiamenti nelle modalità di consumo delle news, diffusione
del digitale e difficoltà a monetizzare gli accessi ai siti dei quotidiani, calo delle copie vendute
a ritmi più veloci che in passato), ha dato un colpo di acceleratore la crisi economica e il calo
degli investimenti, le cui risorse disponibili si sono dirette in percentuale maggiore verso
mezzi capaci di garantire una più elevata copertura del messaggio, come la televisione (la
cui flessione è stata del 10%). Il discorso vale anche per la stampa periodica, finanziata dalla
spesa di investitori pubblicitari di minor peso economico, e quindi più sensibili alle difficoltà
congiunturali. Complessivamente, quindi, a fine 2009 il peso della stampa sulla pubblicità
above the line, secondo Nielsen, è sceso dal 34,4 al 29,9%, mentre, integrando i dati di altri
istituti, lo stesso indicatore passa dal 31,8 al 27%.
La televisione, quindi, grazie al calo degli altri media, accresce la propria share of investment
sul totale dei mezzi classici: la sua quota risale al 54,5% secondo le elaborazioni Nielsen.
Qualora invece si considerino le elaborazioni UPA e Assocomunicazione, che valorizzano
maggiormente la radio e la pubblicità esterna, nonché i dati IAB su Internet, la quota della
televisione si ferma al 49,2%.
La diffusione del 3D e gli sforzi per migliorare la programmazione pubblicitaria sul mezzo,
hanno invece sostenuto gli investimenti, comunque marginali, sul mezzo cinematografico, che
ha limitato le perdite al 4% e, se si esclude Internet, è stato il mezzo con la migliore performance
nel 2009 - l’investimento è stato infatti pari a 55,7 milioni di euro, lo 0,7% sul totale rilevato da
Pubblicità
111
Nielsen.
La pubblicità esterna (investimenti in cartellonistica, poster, arredo urbano, maxi affissioni,
aeroporti, circuiti tematici, insegne luminose e altro) secondo le rilevazioni UPA e
Assocomunicazione ha registrato una pesante flessione del 19%, a quota 619 milioni. Nelle
rilevazioni Nielsen, limitate alle affissioni statiche2, la perdita è anche maggiore (-25%),
parzialmente compensata nelle statistiche dalla rilevazione del c.d. Transit (pubblicità dinamica
su mezzi di trasporto e aeroporti), con 99 milioni. Il dato principale è rappresentato dall’utilizzo
delle nuove tecnologie digitali, apparentemente in grado di ridare nuova vitalità al comparto.
Unico mezzo a mantenere un segno positivo, seppur molto più basso rispetto agli anni
precedenti, è stato Internet (termine che, in questo caso, sbrigativamente include display
advertising classica, paid search, directory on line e mobile advertising). Il valore assoluto
degli investimenti è stato, secondo IAB, di 849 milioni di euro, in aumento del 6,4% sul 2008
(secondo Nielsen, +7,3% a 585 milioni).
Tabella 3 – Media mix Italia, 2005-2009 (%)
2009
2008
2007
2006
2005
% 09-08
% 09-05
Quotidiani
17,09
17,82
18,78
18,27
18,83
-0,73
-1,74
Periodici
9,92
12,08
13,05
13,55
13,22
-2,15
-3,29
Televisione
49,29
47,58
46,38
48,07
50,47
1,71
-1,18
Radio
6,48
6,65
6,53
6,17
6,02
-0,17
0,46
Esterna
6,99
7,47
7,89
8,05
8,21
-0,48
-1,22
Cinema
0,63
0,57
0,69
0,80
0,90
0,06
-0,27
Internet
9,60
7,83
6,68
5,10
2,36
1,77
7,24
Fonte: elaborazioni IEM su dati Nielsen, UPA, Assocomunicazione.
Tabella 4 - Investimenti pubblicitari sui mezzi classici in Italia, 2005-2009
2009
Mezzi
Mln.
€
2008
2007
2006
2005
∆%
∆%
Quota 09-08 09-05
%
Quota
%
Mln.
€
Quota
%
Mln.
€
Quota
%
Mln.
€
Quota
%
Mln.
€
29,88
3.030,03
34,39
3.229,83
35,97
3.043,64
35,58
2.964,31
35,04
-21,64
-19,43
17,61
1.658,34
18,82
1.773,07
19,75
1.716,41
20,07
1.713,71
20,26
-16,00
-17,84
102,92
1,29
140,21
1,59
128,29
1,43
31,21
0,36
28,04
0,33
-26,60 267,03
877,57
10,98
1.231,48
13,98
1.328,48
14,80
1.296,02
15,15
1.222,56
14,45
-28,74
-28,22
4.358,94
54,53
4.687,40
53,19
4.720,29
52,57
4.598,78
53,76
4.668,74
55,18
-10,15
-6,64
436,32
5,46
487,66
5,53
476,08
5,30
440,67
5,15
408,60
4,83
-7,74
6,78
169,60
2,12
227,20
2,58
200,65
2,23
196,96
2,30
198,70
2,35
-25,35
-14,64
55,75
0,70
58,32
0,66
69,79
0,78
76,19
0,89
83,04
0,98
-4,41
-32,86
Totale Stampa
2.388,49
Quotidiani a pagamento
1.407,99
Free press
Periodici
Televisione
Radio
Esterna
Cinema
Internet
2
Da maggio 2009 la banca dati Nielsen AdEx rileva anche le informazioni relative al Transit, la pubblicità
dinamica gestita da IGPDecaux sulle metropolitane, gli aeroporti, gli autobus. Il dato, disaggregato, è riportato in
Tab. 4.
112
Pubblicità
585,19
7,32
321,19
3,64
281,93
3,14
197,58
2,31
137,06
1,62
5,15
326,96
100
8.811,81
100
8.978,58
100
8.553,83
100
8.460,44
100
-9,28
-5,51
TOTALE
7.994,28
Principali variazioni rispetto ai dati Nielsen
Radio (Assocomunicazione)
573
-
678
-
665
-
590
-
557
-
-15,49
2,87
-
803
-
770
-
759
-
-18,90
-18,58
-
680
-
488
-
218
-
6,39
289,45
Esterna (Assocomunicazione)
618
-
762
Internet + Mobile (IAB Italia)
849
-
798
Il dato Internet (Assointernet-IAB Italia) comprende display, search e altri tipi di advertising. Il numero di schermi
cinematografici rilevati del 2008 non è confrontabile con il numero di schermi degli anni precedenti. Il dato sulla
pubblicità esterna risente di nuove modalità di rilevazione nel corso degli anni. La somma degli investimenti
rilevati nella Tabella 3 non corrisponde alla somma della Tabella 1 perché la Tabella 3 utilizza solo dati Nielsen.
Sono stati quindi inserite le rilevazioni di altri Istituti che presentano le maggiori differenze nei dati. Fonte:
elaborazione IEM su dati Nielsen Media Research et alia.
Nel primo semestre del 2010 il dato continua a presentare un segno negativo per la stampa, che
perde un ulteriore 3,5% rispetto al già brusco crollo del primo semestre dell’anno precedente.
Alla tenuta dei quotidiani a pagamento (+0,5%), pur con significative differenze al loro interno
(tiene la commerciale nazionale ma cade ancora la commerciale locale, che aveva peraltro
perso meno della nazionale nel 2009, e cede il 5% la rubricata, che prosegue il suo movimento
migratorio verso Internet), fanno da contraltare il crollo della free press (-8%, qui invece è la
commerciale nazionale a perdere di più) e quello inarrestabile dei periodici, che perdono un
ulteriore 9%.
Tabella 5 - Investimenti pubblicitari sui mezzi classici in Italia (1H 2010 vs 1H 2009)
Gen.-Giu. 2010
Gen.-Giu. 2009
1.173,94
1.216,45
-3,5
Quotidiani a Pagamento
712,26
708,83
0,5
Commerciale Nazionale
366,30
352,54
3,9
Commerciale Locale
209,15
211,76
-1,2
Rubricata + Di Servizio
136,81
144,53
-5,3
Quotidiani Free/Paypress
48,99
53,38
-8,2
Commerciale Nazionale
35,93
39,50
-9,1
Commerciale Locale
12,35
13,14
-6,0
0,72
0,74
-2,4
Totale Stampa
Rubricata + Di Servizio
Periodici
Δ% 1H 10 – 1H 09
412,69
454,24
-9,1
2.558,15
2.385,19
7,3
Radio
249,61
217,43
14,8
Tabellare
231,10
200,20
15,4
18,51
17,23
7,5
Tv
Extra Tabellare
Internet (escluso search)
175,40
153,11
14,6
Affissioni
74,63
68,40
9,1
Cinema
23,29
23,21
0,3
Cards*
Direct Mail*
Out Of Home Tv*
Transit*
Totale
3,50
3,49
0,3
258,18
247,03
4,5
4,92
4,59
7,3
58,42
56,23
3,8
4.580,04
4.375,19
4,7
Note: dati in milioni di euro; (*) nuove rilevazioni Nielsen, afferenti il campo del c.d. below the line. Fonte:
elaborazione IEM su dati Nielsen Media Research.
La ripresa si presenta più robusta per la radio (+15%) e le affissioni (+9%) ma il dato è positivo
Pubblicità
113
anche per la televisione, che recupera un 7% variamente distribuito (le grandi generaliste
intorno al 5%, le tv satellitari oltre il 40%), e per il display advertising su Internet (+14,6%).
Riguardo alle categorie merceologiche degli investitori sui mezzi classici, il 2009 ha mostrato
cali generalizzati un po’ in tutti i principali comparti (significative eccezioni tra i minori:
tempo libero e viaggi), mentre la prima metà del 2010 vede segni positivi un po’ ovunque (in
particolare per consumi primari come Alimentari, Distribuzione, Casa e Toiletries).
Tabella 6 - Investimenti pubblicitari su mezzi classici per settore merceologico (2006 – 1H 2010)
Settori
Merceologici
2006
% 07-06
2007
% 08-07
2008
% 09-08
2009
1H10
Δ% 1H101H09
Alimentari
1.062,16
3,76 1.103,67
928,69
8,55 1.015,57
1,59 1.121,27
-6,50
1.052,79
600,62
10,0
Automobili
-4,38
971,05
-19,28
814,09
476,85
1,1
Telecomunicazioni
648,94
13,69
751,83
3,28
776,52
-7,16
724,65
411,31
2,3
462,05
21,93
591,81
2,00
603,63
-29,07
467,68
238,62
5,1
458,44
1,30
464,49
-3,36
448,86
-16,34
385,83
228,38
9,2
362,79
15,02
426,90
21,61
519,14
-20,65
430,27
217,05
-0,7
282,57
11,96
320,93
49,69
480,42
-16,77
411,44
213,70
17,6
441,58
6,57
472,65
20,65
570,23
-25,80
453,29
208,21
-4,2
305,04
3,88
317,36
8,22
343,44
-3,90
330,56
196,41
11,6
317,73
16,23
379,27
-4,22
363,26
-16,83
310,92
174,87
7,5
280,25
8,60
306,62
-7,93
282,29
-7,92
261,58
164,11
16,9
217,25
16,04
258,73
8,96
281,92
-4,61
269,50
161,88
-3,1
279,98
11,46
316,22
12,71
356,40
-14,01
312,61
155,87
-1,4
161,15
10,88
180,82
22,77
221,99
9,58
245,52
99,11
-16,0
134,99
2,12
137,92
67,34
230,79
10,07
256,62
98,68
2,4
106,58
3,48
110,42
26,10
139,24
1,76
141,73
91,24
6,9
100,59
35,58
156,14
25,67
196,22
-40,81
139,35
87,78
20,5
154,36
10,98
173,41
26,48
219,32
-24,35
176,38
79,17
-1,6
88,34
43,80
157,18
-7,39
145,57
-21,56
119,75
71,92
27,7
Abbigliamento
Bevande/Alcoolici
Finanza/Assicurazioni
Distribuzione
Media/Editoria
Toiletries
Cura Persona
Gestione Casa
Farmaceutici/Sanitari
Abitazione
Turismo/Viaggi
Enti/Istituzioni
Tempo Libero
Industria/Edilizia/Attivita’
Servizi Professionali
Elettrodomestici
Oggetti Personali
114
Pubblicità
148,22
27,28
203,81
-12,71
177,90
-35,65
131,15
57,59
25,7
60,01
11,23
67,60
6,60
72,06
-19,38
60,36
35,52
-0,4
60,43
37,43
96,58
25,80
121,50
-16,48
104,31
35,46
7,6
83,21
11,89
94,44
11,65
105,44
-18,86
88,71
28,71
28,6
57,52
14,02
66,90
185,49
190,99
-19,68
159,59
56,89
13,2
Moto/Veicoli
Giochi/Articoli Scolastici
Informatica/Fotografia
Varie
Note: dati in milioni di euro. Tabella ordinata per 1H 2010. Fonte: elaborazione IEM su dati Nielsen Media Research.
3. Il confronto internazionale
In termini di benchmark, il confronto dell’investimento pubblicitario in Francia, Regno
Unito, Germania e Spagna mostra come, con l’eccezione della Spagna che perde oltre il 20%,
le flessioni complessive dei vari Paesi siano state, nel 2009, intorno al 10%. In tutti i Paesi la
stampa perde più della televisione (con la parziale eccezione della Spagna, dove il crollo della tv
è stato superiore a quello dei quotidiani) e i periodici perdono più dei quotidiani (ad esclusione
della Francia). Internet è l’unico mezzo a mostrare un segno positivo in tutti i Paesi, ma ad una
sola cifra (tra il 7 e l’8%).
Il media mix, quindi, tradizionalmente differente da Paese e Paese con specifiche declinazioni
(la forza dei quotidiani in Germania e, ad un minor livello, nel Regno Unito; la predominanza
del mezzo televisivo in Italia…), vede un rafforzamento della televisione rispetto alla stampa
ma, soprattutto, una incidenza decisamente crescente di Internet. Nel Regno Unito, infatti,
complice la crisi, il mezzo ha superato la televisione e i quotidiani, rappresentando quasi il
30% della spesa e sfiorando i 4 miliardi di euro. In Germania, con 2,7 miliardi di ricavi netti,
Internet rappresenta il 19% del mercato pubblicitario sui mezzi classici, fra i quali sono leader
i quotidiani e la televisione. In Francia il valore sfiora i 2 miliardi e la quota è giunta al 18%.
Decisamente inferiori gli investimenti in Italia (849 milioni) e Spagna (654), con quote ferme,
rispettivamente, al 9,6 e all’11,6%.
Tabella 7 - Investimenti pubblicitari su mezzi classici nei Big 5 europei, 2009
Mezzi
Germania
Mln. €
Regno Unito
Francia
Italia
Spagna
Quota % Mln. €* Quota % Mln. € Quota % Mln. € Quota % Mln. € Quota %
Stampa
6.245
44,4
4.941
35,3
3.750
35,0
2.389
27,0
1.645
29,3
Quotidiani
3.694
26,3
3.652
26,1
2.043
19,1
1.511
17,1
1.174
20,9
Periodici
2.551
18,1
1.289
9,2
1.707
15,9
878
9,9
471
8,4
Televisione
3.640
25,9
3.520
25,2
3.094
28,9
4.359
49,3
2.368
42,1
Radio
679
4,8
485
3,5
710
6,6
573
6,5
537
9,6
Esterna
738
5,2
878
6,3
1.127
10,5
618
7,0
401
7,1
Cinema
72
0,5
199
1,4
77
0,7
56
0,6
15
0,3
2.696
19,2
3.967
28,4
1.966
18,3
849
9,6
654
11,6
14.068
100
13.989
100
10.724
100
8.843
100
5.621
100
Internet
Totale
Note: dati in milioni di euro; supplementi e domenicali inclusi in Periodici; (*) tasso di cambio medio anno 2009
(1€=0,89094£), fonte Ufficio cambi Banca d’Italia. Fonte: elaborazioni IEM su dati WARC, IREP/France Pub, Infoadex,
ZAW, Nielsen, Assocomunicazione, IAB.
La crisi, e le fluttuazioni del cambio euro/sterlina, hanno permesso alla Germania di scalzare il
Regno Unito dalla leadership del mercato pubblicitario sui mezzi classici: il valore del mercato
tedesco è sceso a poco più di 14 miliardi di euro, circa 100 milioni in più del Regno Unito. Ciò si
deve, in particolare, alla tenuta della stampa tedesca, che mostra perdite decisamente inferiori:
Pubblicità
115
in due anni i quotidiani tedeschi hanno perso circa 1/5 dei propri ricavi pubblicitari, mentre
gli omologhi britannici ne hanno visto sfumare circa 1/3 (in maniera proporzionale, si può
aggiungere, con la diffusione del consumo di Internet nei due paesi).
Tabella 8 - Investimenti pubblicitari su mezzi classici in Francia, 2005-2009
2009
Televisione
Radio
3094
2008
3476
2007
3617
2006
3495
2005
3313
% 09-08
-11,0
% 09-05
-6,6
710
779
805
848
836
-8,9
-15,1
Quotidiani
2043
2527
2629
2636
2537
-19,2
-19,5
Periodici
1707
2071
2162
2236
2243
-17,6
-23,9
Esterna
1127
1265
1237
1221
1223
-10,9
-7,8
Cinema
77
75
89
82
78
2,7
-1,3
Internet
1966
1821
1537
729
382
8,0
414,7
10724
12014
12076
11247
10612
-10,7
1,1
Totale
Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazioni IEM su dati IREP/France Pub.
Crollo della stampa, ascesa di Internet e la sfida portata alla leadership televisiva, sono quindi i
principali movimenti che riguardano la competizione interna fra i c.d. mezzi classici (inserendo
nominalmente Internet fra di essi) in tutti i Paesi, pur senza sottovalutare elementi di rilevanza
come il ruolo della radio, la ricerca di una pianificazione efficiente per il cinema, e la rilevanza
dell’esterna alle prese con le mutazioni dell’arredo urbano.
Certo è che il peso raggiunto da Internet rimane un indicatore incontrovertibile della capacità
degli investitori pubblicitari di raccogliere le nuove sfide ed opportunità e, al contrario, della
vischiosità degli investimenti nei mercati sud-europei.
Tabella 9 - Investimenti pubblicitari su mezzi classici in Germania, 2005-2009
2009
Televisione
Radio
3640
2008
4036
2007
4156
2006
4114
2005
3930
% 09-08
-9,8
% 09-05
-7,4
679
720
743
681
664
-5,7
2,2
Quotidiani
3694
4373
4567
4533
4477
-15,5
-17,5
Periodici
2551
3077
3198
3162
3037
-17,1
-16,0
Esterna
738
805
820
787
769
-8,4
-4,1
Cinema
72
77
106
118
132
-6,5
-45,9
Internet
Totale
2696
2498
2093
1500
682
7,9
295,3
14068
15585
15684
14895
13691
-9,7
2,8
Note: dati in milioni di euro. Domenicali e supplementi inclusi in Periodici. Fonte: elaborazioni IEM su dati Zaw.
116
Pubblicità
Tabella 10 - Investimenti pubblicitari su mezzi classici in Regno Unito, 2005-2009
Televisione
Radio
2009
2008
2007
2006
2005
% 09-08
% 09-05
3520
3895
4014
3886
4058
-9,6
-13,3
485
548
586
575
595
-11,5
-18,5
Quotidiani
3652
4509
5247
5271
5507
-19,0
-33,7
Periodici
1289
1779
1974
2052
2122
-27,6
-39,3
Esterna
878
1054
1095
1217
1171
-16,7
-25,0
Cinema
199
229
231
211
211
-13,2
-5,9
Internet
3967
3703
3156
2263
1533
7,1
158,7
13989
15716
16304
15474
15196
-11,0
-7,9
Totale
Note: dati in milioni di euro. Cambio medio 2009: 1€ = 0,89094£. Fonte: elaborazioni IEM su dati Warc.
Figura 5 - Investimenti pubblicitari pro capite su mezzi classici (2005-2009)
2005
2006
2007
2008
2009
251,4
255,3
Regno Unito
268,3
257,9
228,9
166,1
180,7
Germania
190,3
189,2
170,9
175,0
184,8
Francia
189,5
187,5
167,4
166,6
180,9
Spagna
197,4
175,4
138,7
145,6
147,1
Italia
154,4
151,6
137,5
0,0
50,0
100,0
150,0
200,0
250,0
300,0
Note: dati in euro. Fonte: elaborazioni IEM su fonti tabelle precedeni e CIA World Factbook.
Pubblicità
117
Tabella 11 - Investimenti pubblicitari su mezzi classici in Spagna, 2005-2009
2009
Televisione
Radio
2368
2008
3082
2007
3469
2006
3188
2005
% 09-08
% 09-05
2951
-23,2
-19,8
537
642
678
637
610
-16,3
-11,9
1174
1508
1894
1791
1666
-22,1
-29,5
Periodici
471
721
855
811
794
-34,7
-40,7
Esterna
401
518
568
529
494
-22,6
-18,7
Cinema
15
21
38
41
43
-26,7
-64,1
Quotidiani
Internet
Totale
654
610
482
310
162
7,2
302,8
5621
7103
7985
7307
6721
-20,9
-16,4
Note: dati in milioni di euro. Domenicali inclusi in Periodici. Fonte: elaborazioni IEM su dati Infoadex.
Naturalmente, l’indicatore degli investimenti pro capite sui mezzi classici è in caduta in tutti i
Paesi per il 2009, con il Regno Unito - storicamente leader - a 229 euro annui (268 nel 2007),
Francia e Germania scese intorno ai 170, Italia e Spagna poco meno di 140, con la Spagna che
era cresciuta a ben 197 euro (seconda dopo il Regno Unito) nel 2007.
118
Pubblicità
Telecomunicazioni
fisse e banda larga
Musica registrata
119
Telecomunicazioni fisse e
banda larga
di Lorenzo Principali
1. Il mercato dei servizi di rete fissa e la banda larga
Nel mercato delle telecomunicazioni continuano ad accentuarsi le tendenze osservate negli
ultimi anni: insieme alla progressiva diminuzione del peso della fonia fissa e al parallelo
aumento dei servizi mobili, assumono un peso sempre più rilevante la diffusione della banda
larga (sia fissa che wireless), la conseguente riduzione del digital divide, sia territoriale sia
relativo alle competenze informatiche della popolazione, e le politiche relative alla creazione di
una rete di nuova generazione.
Anche le tlc fisse hanno risentito della crisi finanziaria, presentando volumi in decremento di
circa il 2,3% rispetto al 2008. Come rilevato anche negli anni precedenti è il segmento fisso a
presentare le performance meno positive (-3,3%), mentre si osserva la maggiore resistenza del
comparto mobile (-1,5%).
Tabella 1 - Il mercato delle Tlc in Italia
2009
2008
2007
2006
2005
∆ % 09-08
Cagr 09-05
Telefonia fissa
19.070
19.730
20.130
20.398
20.490
-3,35
-1,78%
Telefonia mobile
24.015
24.390
24.070
23.642
22.625
-1,54
1,50%
Totale Tlc
43.085
44.120
44.200
44.040
43.115
-2,35
-0,02%
Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazione Iem su dati Assinform/Net Consulting.
Rispetto ai servizi di rete (Tab. 2) si nota come il trend negativo del settore fisso nel quinquennio
2005-2009 si sia acuito nell’ultimo anno e come la crescita costante del comparto mobile nello
stesso 2009 non sia stata in grado di compensare il decremento del mercato servizi nel suo
complesso.
Tabella 2 - Mercato dei servizi di rete fissa e mobile, 2005 - 2009
2009
2008
2007
2006
2005
∆ % 09-08
Cagr 09-05
Fisso
15.390
15.770
16.070
16.310
16.545
-2,41
-1,79%
Mobile
18.825
18.760
18.510
18.040
17.170
0,35
2,33%
Totale
34.215
34.530
34.580
34.350
33.635
-0,91
0,43%
Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazione Iem su dati Assinform/Net Consulting.
I dati relativi all’ultimo quinquennio (fig.1) mostrano come il peso del mercato dei servizi di
rete fissa sul totale sia diminuito progressivamente, mentre si è registrata la parallela crescita
120
Telecomunicazioni fisse e banda larga
del segmento mobile, con una forbice nel 2009 vicina ai 3,5 miliardi di euro annui.
Figura 1 - Mercato dei servizi di rete fissa e mobile, 2005 - 2009
20.000
15.390
18.760
18.510
16.070
16.310
15.000
16.465
16.000
15.770
17.170
17.000
18.040
18.000
18.825
19.000
14.000
2005
2006
2007
2008
2009
Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazione Iem su dati Assinform/Net Consulting.
Nel dettaglio (Tab.3), l’andamento negativo dei servizi di rete fissa è dovuto a tre fattori: in primis
il crollo del mercato della fonia classica (-7,3% sul 2008 e quasi -6% medio annuo nell’ultimo
quinquennio), che deriva dalla progressiva affermazione delle tariffe flat; in secondo luogo
il repentino calo dei prezzi, frutto di una crescente concorrenza fra gli operatori, e infine il
prevedibile rallentamento della crescita degli abbonamenti di accesso ad Internet a banda larga
che, sebbene in costante aumento (+4,5% sul 2008), non sono riusciti a compensare il calo della
fonia fissa mostrando percentuali di crescita decisamente inferiori al tasso medio dell’ultimo
quinquennio (7,9% tra il 2005 e il 2009).
Inoltre, se da un lato il mercato della trasmissione dati appare in crisi, attestato ora a quota 1,1
mld di euro (-5% sul 2008, valore in linea con il calo medio annuo registrato nel quinquennio),
dall’altro prosegue la crescita dei servizi a valore aggiunto, che anzi vedono un incremento
anno su anno dal 3% al 4,8%, dovuto preminentemente ai clienti business.
Tabella 3 - Mercato dei servizi tlc di rete fissa, 2005-2009
2009
2008
2007
2006
2005
∆ % 09-08
Cagr 09-05
Fonia
7.780
8.390
9.010
9.490
9.950
-7,27
-5,97%
VAS*
3.270
3.120
3.030
2.920
2.745
4,81
4,47%
Accessi Internet
3.240
3.100
2.780
2.570
2.390
4,52
7,90%
Trasmissione dati
Totale
1.100
1.160
1.250
1.330
1.380
-5,17
-5,51%
15.390
15.770
16.070
16.310
16.645
-2,41
-1,94%
Note: dati in milioni di euro; (*) includono servizi di infotainment, di personalizzazione, giochi e servizi di
comunicazione. Fonte: elaborazione Iem su dati Assinform/Net Consulting.
Analizzando i servizi voce di rete fissa per direttrice (Tab. 4) si nota distintamente il calo
generalizzato della fonia vocale, peraltro con picchi di decremento molto importanti: oltre
al crollo delle connessioni ad Internet in modalità dial up, progressivamente sostituite dalle
connessioni a banda larga, diminuiscono di quasi 1/5 le chiamate internazionali, probabilmente
per l’abbattimento delle tariffe determinato dal roaming e per via della diffusione dell’uso di
servizi di VoIp presso l’utenza connessa in banda larga. Diminuiscono in modo consistente
anche le chiamate da fisso a mobile, il cui andamento quinquennale mostra la progressiva
Telecomunicazioni fisse e banda larga
121
evoluzione nelle modalità di consumo da parte degli utenti, sempre più attenti all’utilizzo delle
tariffe più convenienti e quindi al matching tra il punto di accesso e il punto di destinazione
della chiamata (fisso-verso-fisso e mobile-verso-mobile).
Tabella 4 - Traffico dei servizi voce di rete fissa per direttrice, 2005-2009
2009
2008
2007
2006
2005
∆ % 09- 08
Cagr 09-05
Locale
48,0
50,0
52,0
54,3
52,3
-4,08
-2,14%
Nazionale
30,7
30,5
29,5
27,0
40,2
0,72
-6,52%
Fisso-mobile
13,4
14,9
15,8
16,8
20,1
-10,33
-9,69%
Internet dial-up
7,8
12,0
17,4
31,9
n.d.
-34,72
-
Internazionale
3,8
4,7
4,7
5,1
3,6
-19,11
1,43%
103,7
112,1
119,4
135,1
116,2
-7,52
-2,81%
Totale
Note: dati in miliardi di minuti. Fonte: elaborazione Iem su dati Agcom.
Osservando nel dettaglio la diffusione della banda larga presso la popolazione (fig. 2) si nota
come, dopo anni di crescita in doppia cifra, il numero di accessi tenda a stabilizzarsi, essendo
passato dal +44,6% del 2006 al +10,9% del 2008. Ciononostante, nel 2009 le linee sono cresciute
del 9,8%, attestandosi a quota 12,3 milioni e mostrando una tenuta migliore rispetto a quanto
preventivabile osservando il trend 2005-2009.
Figura 2 - Accessi a banda larga in Italia su rete fissa, 2005 - 2010
14
Milioni di accessi
12
50%
Variaz %
44,6%
12,3
11,2
45%
40%
10,1
10
35%
8,5
30%
8
6,8
25%
25,0%
6
20%
4,7
18,8%
4
15%
10,9%
2
10%
9,8%
0
5%
0%
gen-05
gen-06
gen-07
gen-08
gen-09
gen-10
Fonte: elaborazione Iem su dati Agcom.
Nel considerare questa buona performance, tuttavia, occorre sottolineare che la quota abbonati
broadband in Italia e il relativo tasso di crescita non risultano soddisfacenti se comparati a
quelli degli altri Paesi europei1.
Il dato relativo alla penetrazione del broadband nelle famiglie italiane presenta valori piuttosto
diversi a seconda delle fonti analizzate (tab. 4): se per l’Autorithy la banda larga ha raggiunto
quota 43% delle famiglie (+2,7% sul 2008), inferiori risultano le percentuali fornite da Between
1
122
Cfr. paragrafo 3.
Telecomunicazioni fisse e banda larga
(39%)2 e soprattutto dall’Istat (34,5%)3. Relativamente alle ultime due fonti, tali discrepanze
sono dovute sia a diverse metodologie di campionamento (la prima utilizza un campione di
4mila famiglie, la seconda un campione di 19mila), sia alle diverse tempistiche di rilevazione
(giugno 2010 contro febbraio 2009) sia alla rilevazione o meno delle connessioni tramite
dispositivi mobili (Between le stima in circa un milione e mezzo di unità separandole dalle
connessioni di rete fissa, mentre Agcom sembra non darne conto).
Tabella 5 - Confronto dei dati di penetrazione del broadband su rete fissa nelle famiglie italiane
Penetrazione Broadband nelle famiglie italiane
Fonte
2009
2008
Agcom
43
40,3
Between
39
36
34,5
27,6
Istat
Elaborazioni Iem su fonti varie.
Per ovviare alle discrepanze derivanti dal calcolo delle famiglie, in sede europea si utilizza
il dato relativo alla penetrazione rispetto a singoli abitanti, sebbene tale metodologia
sovrastimi il ritardo italiano rispetto agli altri paesi europei per via della presenza di una
maggiore percentuale di individui over 65 rispetto al totale della popolazione. Al netto di tali
considerazioni, in termini di penetrazione rispetto ai singoli abitanti, il broadband italiano
presenta ad aprile 2010 una diffusione pari al 20,6% della popolazione (tab. 6), distante dai
valori raggiunti dagli altri grandi Paesi europei e soprattutto da quelli scandinavi4.
Tabella 6 - Confronto dei dati di penetrazione del broadband su rete fissa nelle famiglie italiane
Anno
Penetrazione (%)
Accessi broadband
(in milioni)
Popolazione (n. abitanti)
gen-06
11,6
6,8
58.751.711
gen-07
14,4
8,5
59.131.287
gen-08
17,0
10,1
59.619.290
gen-09
18,7
11,2
60.045.068
gen-10
20,4
12,3
60.340.328
apr-10
20,6
12,5
60.418.559
Fonte: elaborazioni Iem su dati Agcom (accessi broadband ) e Istat (individui residenti in Italia).
Anche dall’analisi delle altre variabili connesse allo sviluppo della banda larga, cioè la diffusione
di Internet e del pc presso la popolazione, emergono risultati diversi a seconda delle fonti
considerate: Between stima una crescita di Internet e pc ad un tasso rispettivamente di 1 e 2
punti percentuali annui, valori che rischierebbero seriamente di determinare la saturazione
del mercato broadband allorché questo raggiungerà la totalità della popolazione alfabetizzata
digitalmente (ovvero dotata di almeno un pc).
Più incoraggianti i dati Istat, che rivelerebbero un sensibile incremento di tutte le componenti,
addirittura superiore alle attese derivanti dai trend degli anni passati: la diffusione del pc, dopo
aver toccato il tasso di crescita minimo nel 2008 (+2,3%), tornerebbe a salire di oltre il 4%; allo
stesso modo, la diffusione di Internet risulterebbe in aumento di oltre 5 punti, alimentando
così la massa critica per la penetrazione del broadband, in crescita di quasi 7 punti rispetto ai
5 del 20085.
2
Rapporto Between “La domanda di connettività e servizi a Banda Larga nelle famiglie italiane”, giugno
2010.
3
Rapporto Istat “Cittadini e nuove tecnologie”, dicembre 2009.
4
Cfr. paragrafo 3.
5
La categoria “connessione ad Internet” comprende sia le connessioni in banda larga che quelle in banda
stretta e in modalità dial up. Al momento, tuttavia, non esiste né in Italia né in Europa una soglia determinata e
unanimemente riconosciuta della capacità di trasmissione dati sopra la quale una connessione possa essere definita
“a banda larga”. In sede europea, nella Raccomandazione della Commissione relativa ai mercati rilevanti di prodotti
e servizi del settore delle comunicazioni elettroniche suscettibili di una regolamentazione ex ante ai sensi della direttiva 2002/21/CE si afferma che “i servizi Internet ad ampiezza di banda superiore o a banda larga si distinguono per
Telecomunicazioni fisse e banda larga
123
Tabella 7 - Famiglie dotate di pc, internet e broadband (%)
Fonte
Tecnologia
Istat
Between
2009
2008
2007
2006
Bb
34,5
27,6
22,6
11,6
Internet
47,3
42
38,8
34,5
Pc
54,3
50,2
47,8
43,9
Bb
39
36
32
25
Internet
42
42
40
39
Pc
52
50
48
46
Elaborazioni Iem su fonti varie.
Anche orientandosi verso la prospettiva più positiva, dal confronto (fig. 3) tra l’utilizzo frequente
di Internet e l’analfabetismo informatico (individui che non hanno mai utilizzato un pc), se da
un lato si osserva la progressiva diffusione delle competenze digitali presso la popolazione
(oltre il 40% degli italiani si connette al web almeno una volta a settimana), dall’altro si nota
chiaramente come la percentuale di “esclusi” dalla e-society appaia decisamente ancora troppo
elevata.
Figura 3 - Utilizzo di internet e pc in Italia, 2006 - 2009 (%)
60
54
49
50
45
40
31
34
42
43
37
30
20
10
0
2006
2007
2008
2009
individui che si connettono ad internet almeno 1 volta a settimana
individui che non utilizzano mai il pc
Fonte: elaborazione Iem su dati Eurostat.
A livello territoriale, Between ed Epitiro stimano una copertura di rete fissa della popolazione
italiana pari al 96%, che tocca il 99% nelle aree urbane (zone con più di 500 abitanti per km2 )
scendendo sotto l’85% nelle aree rurali (meno di 100 ab. per km2). La copertura complessiva
scende al 92% considerando gli abitanti che, oltre ad essere attestati nel raggio di una centrale
telefonica abilitata al servizio, non hanno nessun impedimento tecnico aggiuntivo6. Un valore
ancora inferiore, pari all’87% della popolazione, emerge escludendo le utenze collegate a linee
eccessivamente distanti dalle centrali, connesse ad apparati obsoleti o a centrali telefoniche che
consentire una capacità digitale in entrata per gli utenti finali superiore a 128 kbit/s.”, ragione per la quale si tende
a definire banda larga tutte le connessioni con capacità superiore a questa soglia, propria dell’ISDN. Tuttavia, considerando che il valore appare, alla luce dei rapidi aggiornamenti tecnologici, estremamente basso, la nuova soglia
potrebbe essere desumibile dall’Agenda digitale, che ha fissato l’obiettivo di coprire tutta la popolazione entro il 2013
considerando come banda larga di base una capacità di connessione ≥2Mb/s (cfr. IP/10/581, 19 maggio 2010).
6
Rapporto Broadband Quality Index, Between e Epitiro, gennaio 2010.
124
Telecomunicazioni fisse e banda larga
non forniscono servizi con banda nominale superiore ai 2 Mbps. I comuni la cui popolazione
è coperta oltre il 95% sono 6500, mentre 750 presentano valori tra il 95% e il 5%. Circa 850
comuni, infine, restano in condizioni di digital divide (meno del 5% dei propri abitanti sono
raggiunti dal broadband).
Tabella 8 - Copertura lorda del broadband rispetto alla popolazione (in % per aree di residenza)
Copertura lorda (% popolazione)
In aree urbane*
In aree suburbane*
In aree rurali*
96%
99%
95%
85%
Note: * aree urbane: > 500 ab. per km2; aree suburbane: 100-500 ab./km2; aree rurali: <100 ab./km2. Fonte:
elaborazione Iem su dati Between - Epitiro (gennaio 2010).
Tabella 9 - Copertura lorda del broadband rispetto alla popolazione (in % per comuni di
residenza)
Copertura lorda (% popolazione)
Copertura >95%
Copertura tra il 6 e il 95%
Copertura <5%
Comuni coperti
6500
750
850
Fonte: elaborazione Iem su dati Between - Epitiro (gennaio 2010).
Per ciò che concerne i tassi di adozione del broadband a livello regionale, l’Agcom stima una
penetrazione che presenta valori ancora piuttosto diversi da caso a caso: Lazio, Campania e
Lombardia vantano le migliori performance, vicine al 50% delle famiglie, mentre in Calabria e
Basilicata gli abbonamenti a banda larga sono stati sottoscritti da meno di una famiglia su tre.
Il Molise resta il fanalino di coda, con una percentuale di diffusione che supera di poco una
famiglia su quattro.
Tabella 10 - Diffusione degli accessi a larga banda (marzo 2010, in % delle famiglie)
Piemonte
39,9
Molise
26,7
Valle d’Aosta
36,5
Campania
48,3
Lombardia
47,7
Puglia
39,7
Trentino-Alto Adige
36,9
Basilicata
31,8
Veneto
39,9
Calabria
31,6
Friuli-Venezia Giulia
39,4
Sicilia
40,4
Liguria
42,8
Sardegna
39,6
Emilia-Romagna
41,9
ITALIA
Toscana
42,4
Principali Comuni
54,6
Umbria
36,5
Nord Ovest
44,9
Marche
42,2
Nord Est
40,4
Lazio
51,5
Centro
46,3
Abruzzo
37,0
Sud e Isole
40,7
43
Fonte: Agcom.
Anche per quanto concerne la capacità di banda, le velocità medie delle linee attive risultano
ancora poco performanti: quasi il 23% viaggia sotto i due Megabit al secondo, mentre gli
abbonamenti ad alta velocità (sopra i 10 Mb/s nominali7) non raggiungono il 7% delle
connessioni totali. Sebbene gli operatori alternativi all’incumbent mostrino percentuali migliori
rispetto alle connessione “base” (solo 13% di abbonamenti sotto i 2 Mb/s) i loro valori relativi
alle connessioni ad alta capacità appaiono decisamente modesti (sotto il 3%).
7
I dati forniti dall’Agcom si riferiscono alle capacità di banda dichiarate dagli operatori. Poiché queste sono
apparse in molti casi inferiori alle capacità effettive, la stessa Autorità ha realizzato, d’intesa con la Fondazione Ugo
Bordoni e l’Istituto superiore delle comunicazioni (Iscti), un software certificato, distribuito gratuitamente tramite il
web per permettere alla popolazione abbonata di verificare l’effettiva velocità di connessione offerta dagli operatori.
Inoltre, grazie alla sinergia con supermoney.eu, gli utenti potranno confrontare i prezzi delle offerte Adsl sul mercato tramite un benchmark fissato per profilo e area geografica. Nel caso gli utenti verifichino con questi strumenti
l’inadeguatezza delle offerte ADSL rispetto alle promesse, potranno esercitare il diritto di recesso giacché i risultati
ottenuti attraverso il software certificato avranno valore legale.
Telecomunicazioni fisse e banda larga
125
Figura 4 - La capacità delle linee broadband in Italia, 2009
100%
2,9
7,7
5,8
69,5
71
22,8
23,2
Accessi totali
Linee Dsl
90%
80%
70%
60%
83,7
50%
40%
30%
20%
10%
13,4
0%
≥ 10 Mbps
Nuovi entranti
≥ 2 Mbps and <10 Mbps
≥ 144 Kbps and < 2 Mbps
Fonte: elaborazione Iem su dati Agcom
2. Gli operatori, gli investimenti e l’ultra broadband
Anche nel 2009 è diminuita la quota di mercato detenuta dall’incumbent, seppur con valori
diversi a seconda dei comparti considerati. Il valore minimo si registra nelle quote di mercato
della telefonia vocale fissa (rete commutata e a banda larga) dove Telecom Italia è sceso sotto
il 55% (con punte del 54,6% per quanto riguarda il segmento residenziale). Gli operatori che
si avvantaggiano maggiormente di tale riduzione sono Fastweb, Wind e Vodafone: il primo è
giunto a detenere il 16,5% del settore (+12% rispetto al 2008) mentre Wind ha rafforzato la
propria terza posizione toccando quota 8,4%. Vodafone, con una crescita anno su anno di oltre
il 12%, si è avvicinato a British Telecom: quest’ultimo, specializzato nella clientela affari, detiene
presso questa tipologia di utenza il 13% del mercato, valore che lo rende il terzo operatore
assoluto nel segmento business ed il quarto sul mercato totale, con il 6,4%.
Tabella 11 - Quote di mercato nella telefonia vocale fissa (in volume %), 2005 - 2008
2009
2008
2007
2006
2005
∆ % 09-08
Cagr 09-05
Telecom Italia
54,9
57,3
59,6
59,6
63,9
-4,19
-3,72%
Fastweb
16,5
14,7
12,3
9,5
5,8
12,24
29,87%
Wind
8,4
7,7
7,4
9,4
9,2
9,09
-2,25%
BT Italia
6,4
6,7
6,9
6,7
6,1
-4,48
1,21%
Vodafone Italia
6,2
5,5
5,8
5,9
6,3
12,73
-0,40%
Tiscali
2,8
3
2,6
2
1,1
-6,67
26,31%
Altri
4,7
5,2
5,4
6,9
7,6
-9,62
-11,32%
Totale
100
100
100
100
100
-
-
Fonte: elaborazione IEM su dati Agcom.
Il valore totale del mercato della telefonia fissa è sceso a 8,16 miliardi di euro (-300 milioni
di euro rispetto al 2008), riduzione dovuta interamente al comparto business e che il settore
126
Telecomunicazioni fisse e banda larga
residenziale non è stato in grado di colmare, pur passando da 4,14 a 4,16 miliardi di euro annui.
Più alta è la quota di Telecom Italia se si fa riferimento al dato complessivo della spesa di
famiglie e imprese in servizi tlc su rete fissa, attestata nel 2009 al 64,1%, in calo di 2 punti
sull’anno precedente. Nell’intero settore, che passa da 16,6 a 16,2 miliardi di euro annuali, sono
Fastweb, Wind e Vodafone a guadagnare terreno: il primo fa registrare la migliore performance
annuale guadagnando l’1,5% e si avvicina al 10% complessivo; Wind si porta al 7,7% mentre
Vodafone guadagna terreno su British Telecom, che pure cresce dello 0,1% nel proprio comparto
di riferimento. Nel segmento business la concorrenza degli Olo appare complessivamente più
agguerrita, come mostra la discesa dell’incumbent dal 63,7 al 61,5%: Fastweb si afferma quale
secondo operatore, scavalcando la stessa BT (11,7% contro 11,6%).
Tabella 12 - Spesa finale degli utenti per operatore (%)
Spesa utenti
Telecom Italia
di cui residenziali
di cui affari
2009
2008
2009
2008
2009
2008
64,1
66,1
66,7
68,8
61,5
63,6
Fastweb
9,9
8,4
8,1
7,1
11,7
9,6
Wind
7,7
7,0
12,4
11,2
3,2
3,1
BT Italia
5,8
6,0
0
0
11,6
11,5
Vodafone Italia
4,3
3,4
7,7
6,4
0,8
0,6
Tiscali
1,8
1,7
3,3
2,8
0,5
0,6
Altri
7,3
6,5
3,2
2,3
11,1
10,6
Totale %
Totale (miliardi di euro)
100
100
100
100
100
100
16,66
16,2
7,96
8,05
8,7
8,15
Fonte: Agcom.
È nel mercato della banda larga, tuttavia, che la competizione raggiunge il livello più alto:
rispetto al giro d’affari complessivo, che nel 2009 è arrivato a 3,94 miliardi di euro (+7,7%
sull’anno precedente), la quota di Telecom scende al 45,6% dei ricavi broadband. Wind
guadagna oltre 1 punto avvicinandosi al 10% complessivo mentre Vodafone, cresciuta di
quasi 2 punti percentuali, supera British Telecom (-0,4%) e Tiscali (-0,2%). Fastweb rafforza
la propria seconda posizione: oltre a raggiungere il proprio apice tra i clienti business (32,3%),
riduce il proprio distacco da Telecom di quasi 7 punti nel solo 2009 e si attesta a quota 28,4%
del mercato broadband.
Tabella 13 - Ricavi da servizi finali su rete a larga banda (%)
Totale
2009
di cui residenziali
2008
2009
di cui affari
2008
2009
2008
Telecom Italia
45,6
48,3
42,6
43,5
48,7
52,6
Fastweb
28,4
27,8
24,7
25,6
32,3
29,8
9,8
8,7
15,5
14,1
3,8
3,8
Wind
Vodafone Italia
4,7
2,8
6,9
5
2,3
0,8
Tiscali
4,6
4,8
7,7
9,1
1,2
0,9
BT Italia
3,4
3,8
0
0
6,9
7,2
Altri
3,6
3,8
2,5
2,6
4,7
4,8
Totale
100
100
100
100
100
100
3,94
3,68
2,02
1,76
1,92
1,92
Totale (miliardi di euro)
Fonte: Agcom
Anche nell’analisi degli accessi fisici alla rete decresce sensibilmente la quota di mercato di
Telecom Italia, scesa in appena 15 mesi di oltre 5 punti percentuali e attestata ora al 73,5% del
mercato. Per converso si osserva il progressivo avanzamento degli Olo che, in poco più di un
anno, hanno fatto registrare un incremento di oltre 1 milione di unità, avvicinandosi a quota
Telecomunicazioni fisse e banda larga
127
6 milioni. Si rilevano inoltre la crescita degli accessi in full unbundling, aumentati di oltre 700
mila unità, e il decremento degli accessi complessivi (totale linee incluse quelle telefoniche), a
riprova del progressivo spostamento dell’utenza verso l’utilizzo di connessioni mobili.
Tabella 14 - Accessi fisici alla rete fissa (in migliaia)
Dic 08
Dic 09
Mar 10
17.372
16.116
15.931
Accessi OLO
4.667
5.583
5.730
Full Unbundling
Accessi Telecom Italia
3.664
4.273
4.366
Virtual ULL
183
102
97
Fibra
248
269
271
DSL Naked
Accessi Complessivi
Quota Telecom Italia (%)
572
939
996
22.039
21.699
21.661
78,8
74,3
73,5
Fonte: Agcom.
Per ciò che concerne gli investimenti in immobilizzazioni, il comparto di rete fissa ha registrato
un sensibile incremento, in netta controtendenza rispetto al mercato mobile e all’intera
economia italiana: Telecom mantiene il primato in termini assoluti, facendo segnare un
aumento dell’1,8% rispetto al 2008, ma in termini percentuali crescono in misura maggiore gli
altri operatori, i cui volumi sono aumentati di oltre il 12%, avvicinandosi complessivamente a
quota 1,5 mld di euro.
Tabella 15 - Investimenti in immobilizzazioni, 2005 - 2009
Incumbent
OLO
totale rete
fissa
% OLO su
totale
Incremento
Incumbent YoY
Incremento % OLO
YoY
2009
2.356
1.435
3.791
37,9
1,82
12,11
2008
2.314
1.280
3.594
35,6
-11,91
13,78
2007
2.627
1.125
3.752
30,0
14,17
-12,66
2006
2.301
1.288
3.589
35,9
-1,58
3,29
2005
2.338
1.247
3.585
34,8
-
-
Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazione IEM su dati Agcom.
Parte di tali investimenti viene destinata dagli operatori agli esperimenti nella ultrabroadband
o “banda larghissima”: Telecom, dopo aver concluso le sperimentazioni del programma
Alicefibra a Milano (50 Mb/s), ha iniziato a maggio quelle della banda a 100 Mb/s su circa un
migliaio di utenze nella città di Roma, mentre Fastweb, lo scorso 6 settembre, ha lanciato la
connessione “Fibra100” nella stessa capitale e nelle maggiori città italiane8.
L’ultrabroadband si distingue dal basic broadband e dall’extended broadband per via della
maggiore capacità di trasmissione dati, che va dai 30 ai 100 Mb/s, per la qualità del servizio e la
simmetria nel trasferimento dati (in upload e download), oltre che per l’utilizzo preminente di
infrastrutture in fibra ottica (anche se sono possibili collegamenti wireless)9. Giova ricordare
che, mentre con la definizione basic broadband si intende una capacità di connessione
di 2 Mb/s asimmetrica (la capacità di download è maggiore di quelle di upload) basata sui
8
Il piano di Telecom, partito dal quartiere Prati di Roma, prevede di estendere la copertura a 100Mb/s a
circa 80mila abitazioni della capitale entro la fine del 2010 e 350mila abitazione entro l’anno solare 2012, secondo le
norme introdotte dal nuovo Regolamento Scavi del Comune di Roma (Del. 105 del 23/11/09). A livello nazionale,
il progetto prevede di raggiungere 1.300.000 utenti dislocati in 13 città entro il 2012 e 10 milioni di clienti entro il
2016. Nel corso dell’audizione presso l’Agcom, l’ a.d. di Telecom Bernabè ha ufficialmente chiesto l’autorizzazione a
procedere per lanciare, entro la fine del 2010, la propria offerta a 100 Mb/s a Roma, Milano, Catania, Bari, Venezia
e Torino, con una copertura complessiva di circa 520 mila abitazioni. L’offerta di Fastweb fornisce agli utenti la capacità di 100 Mb/s in download e 10Mb/s in upload ed è disponibile nelle abitazioni già raggiunte dalla fibra ottica
delle città di Roma, Genova, Torino, Bologna, Napoli e Bari. Il costo varia tra i 10 e i 15 euro extra rispetto al normale
abbonamento broadband a seconda del tipo di abbonamento di base.
9
Elaborazioni da F. Ananasso, Broadband Summit – Roma, 31 Marzo 2010
128
Telecomunicazioni fisse e banda larga
collegamenti in rame o wireless e sul principio del best effort (non è garantita la qualità del
servizio), utile per veicolare servizi quali government, banking, l’ e-learning e health di base,
l’extended broadband include collegamenti tra i 7 e i 20 Mb/s dei quali né simmetria né velocità
sono sempre garantite ma che permettono tutte le operazioni di file transfer (audio, video e una
discreta capacità di trasmissione del segnale televisivo) proprie del web 2.0.
In Italia la copertura in fibra ottica è ancora relativamente limitata a livello territoriale e
concentrata nei grandi centri abitati, fattore che determina percentuali di copertura della
popolazione relativamente elevate e un discreto numero di abbonati per questa tecnologia
(soprattutto se comparati a quelli degli altri Paesi, cfr. Tab. 17).
Allo stesso tempo sono nate moltissime iniziative per la creazione di reti in fibra ottica a livello
locale sia regionale (Emilia, Friuli, Piemonte, Sardegna e Sicilia) sia provinciale o comunale
(Modena, Bologna, Imola, Forlì, Cesena, Rimini, Riccione, Ravenna, Ferrara, Parma, Piacenza,
Reggio Emilia, Genova, Milano), che si dispiegano per un totale di oltre 18.600 Km, cui vanno
aggiunti il Piano Banda Ultra Larga della Regione Lombardia (che mira a connettere 167
Comuni esclusa Milano), il piano UniCasNet (collegamento di 5 sedi Università di Cassino),
il Piano sviluppo regionale NGN Valle d’Aosta, le connessioni in banda ultra larga dei distretti
industriali della Provincia di Lucca e la Rete Cittadina Mantova (TEANET).
Tabella 16 - Reti locali in fibra ottica, 2009
Regione
Gestore
LEPIDA
Infrastruttura
(km)
Note
3000
Rete regionale (prevalentemente per la P.A)
2000
Province di Modena, Bologna, Imola, Forlì,
Cesena,Rimini, Riccione, Ravenna e Ferrara
850
Province di Parma, Piacenza, e Reggio Emilia
DELTA WEB
250
Ferrara e provincia
FRIULI VENEZIA
G. INSIEL (ex
MERCURIO)
1200
LIGURIA
SASTERNET
250
METROWEB
2255
ACANTHO
EMILIA ROMAGNA (HERA)
BT ENIA TEL
LOMBARDIA
ABM ICT
AEMCOM
Progetto “WI-PIE”
PIEMONTE
Rete regionale
Comune di Genova
Reti MAN e di quartiere (provincia di Milano)
Reti di lunga distanza
400
Bergamo e provincia
235
Cremona (città e hinterland)
1670
Zone a rischio di esclusione digitale
Progetto Patti
Territoriali
430
Provincia di Torino
AEMnet
140
Torino
SARDEGNA
RETE TELEMATICA REGIONALE
1190
Rete per connettere varie sedi delle PP.AA.
SICILIA
SICILIA
e-INNOVAZIONE
3100
Rete regionale e capoluoghi
TOSCANA
TERRE CABLATE
650
Siena e provincia
NETSPRING
100
Grosseto e provincia (P.A.)
TRENTINO ALTO
ADIGE
TRENTINO
NETWORK
800
Trento e provincia
VENETO
AGSM
150
Verona
Fonte: Isbul.
Tuttavia, proprio il carattere locale di queste iniziative rende difficile un coordinamento
centralizzato della cablatura del territorio, necessario sia per ottimizzare gli interventi che per
assegnare le risorse alle aree disagiate. Per colmare questo gap, alla luce dei risultati emersi
dal programma Isbul10, l’Agcom appare intenzionato a creare un benchmark delle iniziative
10
Il programma di ricerca Isbul (Infrastrutture e servizi a banda larga e ultralarga), avviato a dicembre 2008
Telecomunicazioni fisse e banda larga
129
territoriali legate all’Ultrabroadband, per avviare un processo di “Inventory Mapping” (IMAP)
finalizzato a conoscere dettagliatamente la dislocazione delle reti di accesso in fibra ottica
e a porre le basi per la realizzazione, da parte degli Enti competenti, di un Registro delle
Infrastrutture di Nuova Generazione (RING).
Nella cablatura del territorio in fibra ottica l’Italia gode di una posizione di relativo vantaggio
rispetto agli altri Paesi europei sia per quanto concerne la popolazione raggiunta che per il
numero di abbonati: relativamente a questa categoria, l’operatore Fastweb è tra i primi tre
player in Europa e tra i primi 10 nel mondo.
Tabella 17 - La diffusione delle reti in fibra ottica in Europa: top ten European countries
Paese
Abbonati
giugno
2009
Abbonati
dicembre
2008
Abitazioni
coperte
giugno 2009
Abitazioni
coperte
dicembre 2008
Rapporto
abitazioni
coperte/n.
abbonati
% crescita
dicembre 2008
- giugno 2009
Russia
724.000
630.000
7.500.000
6.300.000
9,7
14,92
Svezia
478.900
401.310
1.000.000
910.000
47,9
19,33
Italia
324.500
305.980
2.133.000
2.110.200
15,2
6,05
Francia
252.900
182.660
5.389.000
4.455.200
4,7
38,45
Norvegia
204.550
180.070
332.000
274.500
61,6
13,59
Olanda
174.500
166.170
455.500
385.500
38,3
5,01
Danimarca
143.700
90.190
629.000
622.000
22,8
59,33
Germania
66.000
60.590
418.000
281.800
15,8
8,93
Slovenia
62.000
50.000
370.000
282.000
16,8
24,00
Spagna
33.000
29.000
258.000
298.000
12,8
13,79
Fonte: elaborazione Iem su dati Agcom (centro studi e ricerche), ISBUL, Beeline e Idate.
Anche per ciò che concerne la correlazione tra home passed (abitazioni connesse in
ultrabroadband) e abbonati effettivi, l’Italia mostra percentuali superiori rispetto agli altri
grandi paesi d’Europa (15,2%), esclusa la Germania (15,8%) che però vanta un numero di
connessioni assolute molto inferiore (66mila contro 320mila). Allo stesso tempo, però, la
quota di abbonati italiani in fibra non è cresciuta sensibilmente negli ultimi anni (+6% rispetto
al 2008 ma in valore assoluto di appena 19mila unità), mentre il piano per la creazione di una
rete di nuova generazione, tra strappi, frenate e improvvise accelerazioni, non è ancora stato
definito.
Dal punto di vista normativo, il Comitato tecnico Ngn Italia ha approvato le linee guida del
modello infrastrutturale per la rete in fibra ottica. In tale contesto si è acceso il dibattito tra
Olo e Incumbent: i primi prediligono la tecnologia P2P (point-to-point), a loro avviso più
efficiente per stimolare la concorrenza nell’unbundling della fibra ottica e nel settore dei servizi,
direzione verso cui sembra tendere anche l’Unione Europea alla luce della Raccomandazione
della Commissione relativa all’accesso regolamentato alle reti di accesso di nuova generazione
(NGA)11. Questa pone l’accento sulla capacità delle reti FTTH di allargare la competizione
anche a livello dei servizi, sul limite alla deregulation, sulla necessità di operare investimenti
a segmentazione geografica solo dopo attente analisi di mercato e sull’obbligo di orientare il
bitstream al costo. La visione di Telecom, che preferisce la tecnologia GPON12, si ispira invece
e concluso a maggio 2010, è stato lanciato dall’Agcom e gestito dalla Direzione studi, ricerca e formazione della
stessa Autorità in collaborazione con alcuni dei principali Atenei italiani. Suddiviso in tre macro aree, ha analizzato la possibilità di realizzare una rete NGN in Italia sia dal punto di vista tecnico-infrastrutturale che da quello
economico-regolatorio e giuridico-normativo, elaborando puntuali modellizzazioni dei costi e delle prestazioni
delle soluzioni tecnologiche impiegabili, della sostenibilità dei modelli di business degli stakeholder, dell’impatto
competitivo e delle conseguenze per la regolamentazione che la realizzazione di una tale infrastruttura comporterebbe, fornendo inoltre stime e proiezioni dell’impatto macroeconomico degli investimenti e degli effetti delle
politiche pubbliche in materia di NGN.
11
Raccomandazione della Commissione europea del 20/09/2010.
12
La tipologia di rete GPON (Gigabit PON) può essere “applicata sia ad architetture di tipo FTTH (Fiber
To The Home), nelle quali la singola ONT [la singola terminazione di rete] è dedicata al singolo cliente, sia ad
130
Telecomunicazioni fisse e banda larga
ai principi su cui si sono basate le recenti decisioni regolamentari di Francia, Spagna e Regno
Unito e considera sia la fase di coesistenza tra la rete in rame e quella in fibra, sia quella in cui la
prima verrà progressivamente disattivata per essere sostituita dalla rete di nuova generazione.
L’incumbent propone di adottare soluzioni diverse a seconda della differente domanda che
si registrerà nelle diverse aree del Paese suggerendo che, stante l’obbligo di accesso alle reti
per tutti gli operatori, qualora non dovesse essere possibile il coinvestimento di più soggetti
in determinate aree, la rete dovrebbe essere aperta ai concorrenti a prezzi regolamentati
dall’Agcom ma non necessariamente correlati ai costi. Secondo l’incumbent un tale meccanismo,
in cui il prezzo per il wholesale venisse agganciato non solo ai costi operativi ma anche al
rischio di impresa, preserverebbe la concorrenza rendendo allo stesso tempo remunerativi gli
investimenti.
L’Agcom prevede di pubblicare le regole per l’NGN entro dicembre 2010. Il documento in
preparazione sarà sottoposto a consultazione pubblica per poi approdare sul tavolo della
Commissione Ue.
Nel frattempo al c.d. Tavolo Romani è stato trovato l’accordo tra gli operatori sulle architetture
di rete: il modello infrastrutturale di base prevede la realizzazione di un cavidotto in cui
far transitare le fibre che permetterà l’utilizzazione sia della tecnologia Gpon (preferita da
Telecom Italia) sia di quella point-to-point (su cui invece sono orientati gli Olo), assicurando
la massima armonizzazione con le infrastrutture esistenti. La nuova rete dovrebbe essere
sviluppata congiuntamente dagli operatori insieme al Governo e agli Enti locali. Per
armonizzare le operazioni, il Dipartimento Comunicazioni del MiSE ha avviato un censimento
delle infrastrutture in fibra ottica presenti nel Paese e dei relativi piani di investimento per lo
sviluppo delle stesse nei prossimi tre anni, allo scopo di identificare le aree oggetto di intervento
e sviluppare le reti di nuova generazione sul territorio nazionale13.
Resta aperto il nodo degli investimenti: se da parte degli Olo rimane la proposta di stanziare 2,5
miliardi di euro per coprire 15 città entro il 201514, dall’altra Telecom ha rivisto al rialzo i propri
di circa 2,65 miliardi nel triennio 2010-201215.
Secondo l’Isbul gli investimenti da effettuare per le reti Ngn sono ingenti, tra i 3 e i 15 miliardi
di euro a seconda della tecnologia (o del mix di tecnologie) utilizzata e della copertura della
popolazione.
Tabella 18 - Impatto Ngn sull’economia nazionale
Tipologia di rete
Effetti Diretti
Investi- popolazione Domanda Occupaz.
coperta
menti
aggregata Potenziale
mld €
Unità lav.
Effetti Indiretti
Effetti Totali
Minimo Massimo Minimo Massimo
mld €
mld €
mld €
mld €
mista P2P/GPON
15,5
91%
20,25
311.087
89,6
765,5
109,9
785,7
FTTH P2P
13,3
50%
17,38
248.121
49,2
420,6
66,6
438
3
20%
3,92
57.131
19,7
168,2
23,6
172,2
FTTB GPON
architetture con un maggior grado di condivisione della terminazione ottica (ONU, Optical Network Unit) quali
FTTB (Fiber To The Building), FTTC (Fiber To The Curb) o FTTCab (Fiber To The Cabinet): in questi due ultimi
casi l’architettura di rete d’accesso potrà prevedere un parziale impiego di rete in rame, sfruttando così la capillarità
di quest’ultima nel tratto terminale della rete e riducendo notevolmente la necessità di posa di nuova fibra”. Fonte:
R. Mercinelli, P. Solina, Notiziario Tecnico Telecom Italia, pp 64.65, Aprile 2007.
13
Fonte: Dipartimento Comunicazioni del ministero dello Sviluppo economico, 29 settembre 2010
14
Fastweb, Wind e Vodafone hanno proposto la creazione di un’unica rete Fiber To The Home in modalità
punto-punto, in grado di coprire 15 città e circa 10 milioni di abitanti entro cinque anni, con un investimento di
circa 2,5 miliardi di euro. Secondo il piano, i fondi dovrebbero essere ripartiti tra tutti gli operatori e le istituzioni
coinvolte e garantire ritorni economici entro nove anni. La seconda fase del progetto prevede l’estensione della rete
Ftth fino al raggiungimento del 50% della popolazione italiana (circa 500 comuni con più di 20.000 abitanti) con
un’ulteriore spesa di 8,5 miliardi di euro.
15
La spesa annua nel segmento dell’accesso di rete fissa, sia in rame che in fibra ottica è stata aumentata
passando dagli attuali 817 milioni di euro (2009) ai circa 900 milioni di euro del 2012, per un investimento totale, al
2012, pari a 2,65 miliardi di euro.
Telecomunicazioni fisse e banda larga
131
Fonte: Isbul.
Tutte e tre le ipotesi prevedono un aumento del canone e di conseguenza un aumento del
costo del servizio broadband nella bolletta telefonica degli utenti, fattore che potrebbe
costituire un elemento problematico nella sostenibilità di tali investimenti. Per tale motivo
occorrerebbe un’analisi specifica volta a valutare la disponibilità degli abbonati a pagare un
extra per un servizio migliore. Allo stato attuale è noto (fig. 5) che il prezzo dell’abbonamento
non costituisce un impedimento forte alla adozione del broadband, al contrario dell’inutilità
percepita da larga parte dei cittadini che non dispongono della connessione a banda larga.
Tali risultati confermano la pregnante necessità di promuovere l’alfabetizzazione informatica
della popolazione tramite politiche di stimolo della domanda e miglioramento della qualità dei
servizi di e-government. I ritorni economici stimati dall’Isbul in termini di domanda, posti di
lavoro (un incremento compreso tra le 57mila e i 310mila unità) e indotto (le previsioni stimano
un crescita tra 23 i 700 miliardi di euro) confermano come la rete Ngn sia un investimento cui
l’Italia non può rinunciare.
Figura 5 - Ostacoli all’adozione del broadband (%)
70
60
60
50
40
30
21
20
16
10
6
3
0
Inutilità
Copertura
Costo
Complessità
Altro
Note: famiglia non dotate di connessione broadband. Fonte: elaborazione Iem su dati Between (2008).
3. Il confronto internazionale
Il mercato dei servizi di rete fissa dei big five europei ha subito complessivamente una perdita di
quasi il 2% nel 2009, mostrando un trend leggermente più negativo rispetto all’andamento del
settore negli ultimi 5 anni (-1,7%). La Francia, grazie alla solidità del proprio mercato, risulta
il paese che ha risentito meno della crisi, confermando la propria tenuta di lungo corso (valori
pressoché identici nell’ultimo lustro), mentre tutti gli altri mostrano valori negativi nell’ultimo
quinquennio: la Germania, che si conferma il mercato più grande d’Europa, ha perso oltre 4
miliardi di euro, di cui 1 solo nel 2009, mentre l’Italia, che pure ha consolidato la propria terza
posizione, è diminuita in misura leggermente superiore rispetto al proprio andamento degli
ultimi 5 anni, perdendo quasi 2 punti e mezzo a fronte di un calo medio dell’1,9%.
Tabella 19 - Mercato dei servizi tlc di rete fissa, 2005-2009
2009
2008
2007
2006
2005
∆ % 08-09
Francia
20,0
20,1
20,1
20,0
20,0
-0,2
0,0%
Germania
34,2
35,3
36,8
38,3
38,5
-3,1
-2,9%
Italia
15,4
15,8
16,1
16,3
16,6
-2,4
-1,9%
Regno Unito
9,9
10,2
10,4
10,7
11,1
-2,9
-2,8%
Spagna
6,5
7,1
7,2
7,5
8,3
-8,5
-5,9%
Totale
87,2
89,0
90,6
92,3
93,3
-1,9
-1,7%
Note: dati in miliardi di euro. Fonte: elaborazione IEM su dati Arcep,VATM, Agcom, Ofcom e CMT.
132
Cagr 09-05
Telecomunicazioni fisse e banda larga
Anche il Regno Unito ha mostrato valori in netta diminuzione (– 2,9%), in linea col proprio
andamento degli ultimi anni, mentre la Spagna ha risentito maggiormente della crisi del 2009,
facendo registrare un calo dell’ 8,5% contro il -5,9% medio degli ultimi 5 anni.
Per quanto concerne le quote di mercato detenute dagli incumbent europei, Telecom Italia
risulta ancora quello che detiene in percentuale il numero maggiore di linee broadband,
sebbene sia allo stesso tempo quello che presenta il maggiore tasso di riduzione (quasi 10 punti
in meno rispetto a gennaio 2007). France Télécom e Deutsche Telekom mostrano andamenti
ondivaghi, attualmente attestati rispettivamente a quota 46,2% e 46,8%, mentre Telefónica,
dopo anni di leggera crescita in cui ha sfiorato quota 56,7%, si è attestata nel 2009 a 55,6%. A
parte British Telecom, che pure guadagna quasi 4 punti rispetto al 2007 (dal 23,7% al 27,2%),
complessivamente tutti gli incumbent dei big five mostrano, sul totale delle linee attive nei
propri Paesi d’origine, percentuali superiori alla media degli incumbent europei (45,2%).
Tabella 20 - Quota detenuta dall’incumbent nel mercato degli accessi a banda larga, 2007-2009
Paese
lug-09
gen-09
lug-08
gen-08
lug-07
gen-07
Francia
46.2%
47.2%
47.2%
47.7%
46.8%
46.2%
Germania
46.8%
47.0%
46.0%
46.1%
46.4%
48.0%
Italia
57.8%
59.8%
61.3%
63.6%
64.8%
66.6%
Regno Unito
27.2%
25.4%
25.6%
25.8%
25.7%
23.7%
Spagna
55.6%
56.7%
56.3%
56.1%
55.8%
55.9%
EU27
45.2%
45.5%
45.7%
46.1%
46.8%
46.9%
Note: il valore descrive la percentuale detenuta dall’incumbent rispetto al totale delle linee attive. Fonte: elaborazione
Iem su dati Commissione europea, luglio 2009.
D’altro canto, l’Italia risulta l’unico paese che non ha risentito della crisi sugli investimenti in
infrastrutture di rete fissa: a fronte di un calo dei fondi francesi e tedeschi nell’ordine del 10%
(rispettivamente -9,76% e -9,23%) e del crollo spagnolo (-17%) l’Italia mostra una crescita del
5,5% sul 2008 ed è anche l’unico paese che può vantare un andamento positivo negli ultimi 5
anni (+1,41%)
Tabella 21 - Investimenti in infrastrutture di rete fissa, 2005-2009
∆ % 08-09
Cagr 09-05
Francia
2009
3,70
2008
4,10
2007
3,80
2006
3,80
2005
3,70
-9,76
0,00%
Germania
5,90
6,50
6,50
6,60
6,40
-9,23
-2,01%
Italia
3,79
3,59
3,75
3,59
3,59
5,48
1,41%
Spagna
4,28
5,17
5,79
5,69
5,51
-17,31
-6,16%
Totale
17,67
19,37
19,84
19,67
19,20
-8,77
-2,06%
Note: dati in miliardi di euro. Fonte: elaborazione IEM su dati Arcep,VATM, Agcom e CMT.
Tuttavia, dal punto di vista della capacità delle infrastrutture a banda larga il confronto
internazionale mostra diverse lacune del nostro Paese: la popolazione abbonata che gode di
una capacità inferiore alla soglia di 2Mb/s supera il 22% contro il 15% della Germania, il 12%
della Spagna il 3% del Regno Unito, che sta concretizzando il piano per dare a tutti i cittadini
una connessione basic broadband.
Telecomunicazioni fisse e banda larga
133
Figura 6 - La capacità delle linee broadband nei maggiori Paesi europei, 2009
100%
6,1
7,7
90%
13,3
22,9
80%
70%
60%
50%
69,5
74,5
90,8
62,1
40%
30%
20%
10%
22,8
14,9
12,2
3,2
0%
Germania
≥ 10 Mbps
Italia
Regno Unito
≥ 2 Mbps and <10 Mbps
Spagna
≥ 144 Kbps and < 2 Mbps
Fonte: elaborazione Iem su dati Eurostat e Agcom. Note: dati in milioni di euro.
Anche rispetto alle connessioni ad alta velocità l’Italia non presenta valori particolarmente
positivi (appena il 7,7% è connesso in modalità extended broadband) superiori solo alla
Gran Bretagna (6,1%, che però vanta un altissimo tasso di diffusione per ciò che concerne la
capacità compresa tra i 2 e i 10Mb/s, di cui gode oltre il 90% degli utenti del Regno Unito),
ma inferiori alla Spagna (13,3%) e alla Germania (22,9%), che beneficia di un’ampia diffusione
della connessione via cavo digitale.
Tabella 22 - Individui che utilizzano internet almeno una volta a settimana nei maggiori paesi
europei (%)
Paese
2009
2008
2007
2006
2005
Francia
65
63
57
39
n.d.
Germania
71
68
64
59
54
Italia
42
37
34
31
28
Regno Unito
76
70
65
57
54
Spagna
54
49
44
39
35
EU27
60
56
51
45
43
Fonte: elaborazione Iem su dati Eurostat
134
Telecomunicazioni fisse e banda larga
Resta molto evidente anche il gap italiano rispetto all’utilizzo delle nuove tecnologie da parte
dei cittadini (Tab. 21): secondo Eurostat, la quota di persone che si possono annoverare fra gli
internet users16 supera appena il 42%, contro il 54% della Spagna che ci precede ora di 12 punti
(erano 8 nel 2006). Decisamente meglio ha fatto negli ultimi 3 anni la Francia, passata dal 39%
al 65% di cittadini cybernauti (+26 punti rispetto al 2006 contro il +11 italiano nello stesso
periodo). Molto avanti appaiono Germania e Regno Unito, “alfabetizzati” per quasi i ¾ della
popolazione (71% e 76%) mentre in Europa la media dei navigatori abituali è del 60%, quasi 20
punti sopra quella italiana.
Il distacco appare ancora maggiore considerando i cittadini che non hanno mai utilizzato un
pc: in Italia sono il 43%, contro il 20% dei francesi, il 14% dei tedeschi e l’11% dei britannici. Ciò
significa che il nostro Paese si divide nettamente tra utilizzatori frequenti del web e individui che
ne sono totalmente estranei, fattore che rende ancora più difficile l’alfabetizzazione informatica
e dunque evidente la necessità di sviluppare politiche di promozione della domanda di servizi
ict. La scarsa diffusione della banda larga rispetto agli altri paesi non è che l’ovvia conseguenza
di questo stato di cose: secondo Eurostat17, il broadband in Italia non raggiunge il 40% delle
famiglie, oltre 30 punti sotto la media britannica (69,5%) e 17 punti sotto la media europea
(56%). Considerando che tali percentuali includono soltanto i nuclei familiari con almeno
un componente tra i 16 e i 64 anni, criterio che esclude le famiglie composte solamente da
anziani, è ancora più evidente come il gap sia dovuto a motivazioni culturali (individui che
non percepiscono il valore aggiunto di Internet o che non sanno come superare il proprio
analfabetismo informatico) e al fatto che siano molto rare le iniziative di sensibilizzazione
verso i vantaggi che le informazioni e i servizi che transitano sulla rete possano portare.
Infine, anche comparando il numero di accessi rispetto al totale della popolazione secondo la
metodologia europea, l’Italia risulta l’ultimo dei grandi Paesi europei, seppur con un distacco
minore dalla Spagna, ma in ritardo di 3,5 punti rispetto alla media europea e lontano oltre 10
punti percentuali dai più virtuosi Paesi nordeuropei.
Tabella 23 - Individui che non hanno mai utilizzato il pc (%)
Paese
Francia
2009
2008
2007
2006
20
20
23
n.d.
Germania
14
14
16
17
Italia
43
45
49
54
Regno Unito
11
13
14
18
Spagna
31
33
36
39
Fonte: elaborazione Iem su dati Eurostat
Tabella 24 - Famiglie dotate di connessione ad internet a banda larga nei maggiori paesi
europei (%)
2009
2008
2007
2006
2005
Regno Unito
69,5
61,5
56,7
43,9
31,5
Germania
64,6
54,9
49,6
33,5
23,2
Francia
57,5
57,1
42,9
30,3
n.d.
EU 27
56,0
48,6
41,6
30,4
23,0
Spagna
51,3
44,6
39,2
29,3
20,8
Italia
39,0
30,8
25,3
16,2
12,9
Note: famiglie con almeno un componente tra i 16 e i 64 anni. Fonte: elaborazione Iem su dati Eurostat
16
In questa sede si utilizza la definizione di Eurostat, seconda la quale i considerano Internet Users gli individui che si collegano a internet almeno una volta a settimana
17
In questa sezione sono stati utilizzati i dati Eurostat per effettuare una comparazione con le stesse metodologie di rilevazione per tutti i paesi.
Telecomunicazioni fisse e banda larga
135
Figura 7 - Penetrazione broadband per numero di individui
40
35
30
37,9
37,2
32,5
30,5
29,4
25
29,2
28,8
23,9
20
20,7
20,4
15
10
5
0
Note: i dati italiani sono aggiornati a gennaio 2010 mentre quelli relativi agli altri paesi sono di giugno 2009. Fonte:
elaborazione Iem su dati Eurostat, Istat e Agcom.
4. La separazione funzionale della rete
Il tema della separazione funzionale tra reti e servizi nasce per risolvere il problema di come
garantire la concorrenza nelle telecomunicazioni in presenza di un’unica infrastruttura di
rete nazionale che, facendo capo agli operatori storici dei diversi paesi (le telco nazionali), in
principio monopolisti pubblici e in seguito privatizzati, si trovano attualmente nella duplice
posizione di competitor con gli operatori nuovi entranti e di gestori della rete su cui transitano
anche i servizi forniti dagli altri player tlc.
Tale complessa situazione ha determinato un ampio dibattito internazionale sulle misure
necessarie a garantire la concorrenza tra imcumbent e newcomer. Inizialmente, la liberalizzazione
del mercato tlc è stata regolata prevalentemente tramite normative asimmetriche (limiti imposti
ai soli incumbent nel tentativo di far crescere gli operatori alternativi) e il c.d. unbundling
dell’“ultimo miglio”, ovvero la disciplina del tratto finale della rete che va dalla centralina più
vicina alla casa dell’utente fino alla sua dimora. Attualmente, infatti, gli operatori alternativi
pagano un canone d’accesso per transitare sulla capillare infrastruttura dell’ex monopolista (in
Italia il canone viene pagato a Telecom e fissato dall’Agcom) mentre competono tra loro e con
l’incumbent per la fornitura di servizi (di connettività, telefonici, audiovisivi ecc). Proprio il
duplice ruolo dell’incumbent (gestore della rete e allo stesso tempo competitor nel mercato dei
servizi tlc) desta perplessità sul corretto funzionamento dei meccanismi della concorrenza,
ragione per cui si è sviluppato un intenso dibattito sull’opportunità o meno di separare gli
ex monopolisti in due società, una incaricata di gestire esclusivamente l’infrastruttura e
un’altra incaricata di amministrare la parte commerciale (fornitura di servizi tlc). Il tema della
separazione funzionale tra reti e servizi è stato affrontato in modi diversi a seconda dei diversi
136
Telecomunicazioni fisse e banda larga
mercati nazionali, passando dall’autoregolamentazione, all’affidamento dei compiti di vigilanza
alle autority nazionali, alla creazione di organi di raccordo tra telco nazionali e autority, fino
alla creazione di divisioni separate, in capo agli ex monopolisti, che gestiscono l’accesso alla
rete.
In Italia, nel luglio del 2008, Telecom Italia ha proposto all’Agcom l’adozione di un paniere di
Impegni, approvati dall’Autorità a dicembre dello stesso anno18, per integrare e rafforzare gli
obblighi già esistenti in tema di parità di trattamento tra Telecom Italia Retail (la divisione
incaricata di gestire i servizi commerciali) e gli altri operatori (OLO) relativamente alla
fornitura dei servizi sulla rete di accesso. In tale ambito, nel 2008 Telecom Italia ha creato la
divisione Open Access, incaricata della gestione della rete di accesso e della fornitura dei servizi
ad essa associata, in modo tale da garantire il rispetto del principio di parità di trattamento a
tutti gli operatori. Open Access fornisce servizi sia alla divisione retail dell’incumbent che a
quella wholesale (dedicata agli altri operatori) secondo una serie di direttive volte a garantire la
parità di trattamento in ottemperanza di 14 impegni specifici. Tra questi spiccano: l’istituzione
di un nuovo processo di delivery che superi le asimmetrie di gestione degli sviluppi di rete
tra Telecom Italia e gli OLO; un sistema per il monitoraggio delle performance dei servizi
SPM (Significativo Potere di Mercato) ed il rispetto della parità di trattamento internaesterna (mediante il confronto tra key performance indicator concernenti la produzione dei
servizi destinati agli operatori e quelli relativi ai servizi destinati alle funzioni commerciali di
Telecom Italia); la pubblicazione delle linee guida per la manutenzione della rete di accesso;
la predisposizione delle condizioni economiche di cessione interna dei servizi SPM forniti da
Open Access alla funzione Retail (viene garantita una evidenza contabile separata relativa ai
servizi forniti da Open Access in modo da verificare l’equivalenza tra tali transfer charge e le
corrispondenti condizioni economiche praticate agli OLO); la pubblicazione di un’offerta per
l’accesso e la condivisione delle “infrastrutture di posa”; la formulazione di una proposta tecnica
ed economica per la possibile condivisione con gli Operatori interessati degli investimenti e dei
costi per la realizzazione di nuove infrastrutture di posa19; l’adesione al Comitato NGN Italia; ed
infine, l’istituzione di un Organo di vigilanza (OdV) per la corretta attuazione degli impegni.
L’Organo di Vigilanza (OdV) è incaricato di svolgere una attività di controllo in merito
alla corretta implementazione degli Impegni, anche tramite una serie di indicatori atti a
misurare la qualità della fornitura dei servizi wholesale. È composto da cinque membri, tre
dei quali, compreso il Presidente, sono designati dall’Agcom. L’OdV procede alla verifica di
eventuali violazioni comunicandole all’Autorità, con la quale coopera nella propria attività di
vigilanza. Gli atti dell’Organo sono da considerare come misure volte ad assicurare la corretta
implementazione degli Impegni, mentre la possibile imposizione di sanzioni rimane nelle
competenze dell’Autorità. Nei suoi primi 2 anni di attività, l’OdV ha verificato il corretto
espletamento di molti tra gli impegni assunti da Telecom Italia, ed ha lanciato una verifica sulla
gestione degli annullamenti di Ordinativi di Lavoro20 per andare incontro alle segnalazione
degli operatori alternativi e garantire la parità di trattamento nella risoluzione dei problemi di
rete degli abbonati a servizi di telecomunicazione dei diversi operatori.
Nel Regno Unito, alla luce dei risultati dello Strategic Review of Telecommunications (2005),
che hanno individuato nella proprietà esclusiva della rete da parte di British Telecom una
barriera all’ingresso in grado di restingere l’accesso al mercato degli operatori alternativi,
18
Delibera 718/08/CONS
19
Per ciò che concerne le nuove reti di accesso Telecom Italia ha sinora adempiuto ai dettami di questo
Gruppo di Impegni, avendo trasmesso all’Autorità, entro le scadenze stabilite, i seguenti documenti: l’“Offerta di
Telecom Italia di infrastrutture di posa per lo sviluppo di reti FTTX”, la “Proposta di Telecom Italia per la condivisione con gli OLO degli investimenti e costi per la realizzazione di nuove infrastrutture di posa per lo sviluppo di reti
FTTX” e le “Linee guida di migrazione verso reti NGAN – tempi minimi di preavviso e modalità di comunicazione
agli OLO nella transizione alla rete di nuova generazione”.
Il processo di fornitura di linee e servizi di telecomunicazioni a disposizione degli Operatori alternativi da
20
parte di Telecom prevede che l’incumbent possa respingere una richiesta qualora si verifichino problemi legati alla
errata compilazione dell’ordine, alla indisponibilità di rete d’accesso (KO rete) o alla indisponibilità del cliente (KO
cliente).
Telecomunicazioni fisse e banda larga
137
l’Ofcom ha impegnato BT a sottoscrivere una serie di undertakings finalizzati a stabilire
nuove regole per la fornitura di prodotti e servizi verso gli OLO e verso le proprie divisioni
commerciali. Il nodo centrale dell’intervento consiste nell’obbligo per l’incumbent di garantire
la parità di accesso alla rete a condizioni non discriminatorie per gli operatore concorrenti,
l’Equality of Inputs (EOI) e la separazione funzionale, ovvero una separazione dei sistemi tale
da consentire un’offerta wholesale “on an EOI basis”, cioè un’offerta commerciale da parte dei
diversi operatori a condizioni eque. In particolare, BT si è impegnato a garantire che l’offerta
fatta alla propria rete commerciale ed agli OLO sia uguale in termini di prezzo, condizioni
commerciali, tempistiche ecc.
Sulla scia degli undertakings si colloca la nascita di Openreach (2006), un’entità funzionalmente
separata che, pur facendo parte del Gruppo British Telecom, è responsabile della rete fissa
d’accesso ed è dotata di una propria sede e di sistemi gestionali indipendenti. Openreach
dispone inoltre di un proprio brand commerciale e il suo responsabile riferisce direttamente al
CEO di British Telecom Group plc. Sia BT Retail che gli OLO hanno un rapporto diretto con
Openreach.
Gli undertakings hanno previsto anche la creazione di un apposito organo, l’Equality of Access
Board (EAB), cui affidare il compito di monitorare il rispetto degli impegni assunti. L’EAB,
insediatosi nel novembre 2005, è un organo del British Telecom Group plc Board Committee, ed
è presieduto da un non-executive director di BT, cui è affiancato un senior manager dell’operatore
dominante; gli altri tre membri sono indipendenti, scelti dopo una consultazione con l’Ofcom.
L’EAB è supportato dall’EAB Secretariat, che si occupa prevalentemente dell’organizzazione
degli incontri del Board, ed è assistito dall’Equality of Access Office (EAO), il cui responsabile
risponde gerarchicamente al responsabile della funzione Public Affairs di BT, che monitora
il corretto adempimento degli Undertakings da parte di BT e procede ad una valutazione
in merito alle segnalazioni ricevute. In particolare, l’EAO procede ad effettuare verifiche
periodiche sul rispetto di una serie di criteri individuati in merito al corretto adempimento da
parte di BT degli impegni presi con l’Ofcom, nonché al rispetto del Code of Practice, riferendo
poi mensilmente i risultati all’EAB.
In Spagna, nel 2007, l’Autorità nazionale per le comunicazioni (CMT) ha imposto all’incumbent
Telefonica di comunicare tanto alla stessa CMT quanto ai concorrenti una serie di KPI (key
performance indicator) sul livello di qualità del servizio erogato sia all’esterno che internamente,
al fine di verificare che non vi fossero situazioni discriminatorie a danno degli operatori
alternativi.
Nel 2008, in seguito ai risultati della consultazione pubblica avviata in tema di NGA, la CMT
ha concluso che, prima di procedere ad una separazione funzionale della rete di accesso,
occorrerebbe analizzarne approfonditamente gli impatti sul quadro competitivo e sugli
investimenti, e che comunque si tratterebbe di una misura “estrema ed eccezionale”.
In Francia, fino ad oggi, non è stato adottato alcun modello di separazione della rete
dell’incumbent, ed anzi l’Authority francese (ARCEP) ha sottolineato in diverse occasioni e
con particolare enfasi i risvolti negativi che l’adozione di un modello di separazione funzionale
potrebbe comportare sotto il profilo dei costi (riorganizzazione dell’operatore storico e
duplicazione delle strutture organizzative), i quali appaiono troppo ingenti se confrontati con
i problemi a cui la separazione dovrebbe ovviare. L’ ARCEP sostiene inoltre che, mentre la
separazione funzionale rappresenta un modello difficilmente reversibile, si potrebbe pervenire
agli stessi risultati attraverso una regolamentazione più puntuale, modalità che garantirebbe
la possibilità di modificare la stessa regolamentazione qualora si rilevasse che le condizioni
che avevano alterato la concorrenza fossero mutate. L’ARCEP critica inoltre la separazione
funzionale anche per la sua potenzialità disincentivante sulle strategie di investimento
degli operatori, e osserva come questa non eliminerebbe comunque la necessità di azioni di
regolamentazione sui prezzi e le qualità dei servizi offerti, mantenendo peraltro inalterato il
problema del controllo sulla società incaricata di gestire la rete di accesso, che anzi opererebbe
in situazione di effettivo monopolio.
138
Telecomunicazioni fisse e banda larga
Anche in Germania non sono stati posti in essere modelli di separazione della rete dell’operatore
storico Deutsche Telekom, né creati organi indipendenti di vigilanza assimilabili all’Organo di
vigilanza.
L’Autorità di settore ha altresì ribadito la sua contrarietà alla adozione di simili modelli,
evidenziando i possibili impatti negativi conseguenti a tale decisione.
Molto più articolato risulta il discorso relativo alla Svezia: in seguito all’analisi di mercato svolta
tra il 2006 e il 2007, che ha evidenziato l’assenza di operatori alternativi all’incumbent in diverse
aree del Paese e l’imposizione da parte dello stesso ex monopolista Telia Sonera delle proprie
condizioni commerciali agli operatori alternativi, l’Autorità svedese ha proposto al Parlamento
una modifica legislativa per garantirsi la possibilità di imporre un modello di separazione
funzionale in capo all’operatore storico. La nuova normativa, in vigore da luglio 2008, consente
all’Autorità di obbligare l’incumbent allo scorporo della rete in rame, ma solo in caso di parere
positivo da parte dell’Unione europea. L’Autorità non ha tuttavia imposto all’operatore storico
la separazione funzionale come effetto immediato, manifestando l’intenzione di procedere ad
una analisi del mercato volta a decidere se procedere o meno in tale direzione nel corso del
2009. L’incumbent, dal canto suo, ha creato volontariamente la divisone funzionale Skanova
Access, operativa dal 1° gennaio 2008, che gestisce in modo separato l’accesso sia alla rete in
rame che in fibra con l’intento di garantire il rispetto del principio di parità di trattamento tra
tutti gli operatori e le divisioni commerciali di Telia Sonera. Skanova costituisce una divisione
legalmente distaccata di Telia, con sistemi informatici separati e sottoposta ad obblighi di
financial auditing, sebbene il 100% dell’assetto proprietario resti in capo all’operatore storico.
Il personale di Skanova Access è tenuto ad osservare i dettami di uno specifico Codice di
Condotta contenente misure volte a garantire il rispetto dei principi di parità di trattamento e
non discriminazione.
Secondo le nuove regole adottate in materia di separazione funzionale, qualunque proposta
autonoma di separazione avanzata da parte dell’operatore storico deve essere sottoposta
all’approvazione dell’Autorità (PTS); in questo senso, si noti come PTS non abbia fino ad ora
espresso alcuna valutazione in materia, fatto salvo un intervento (datato novembre 2009) che
rilevava come l’introduzione di Skanova non avesse comportato significativi miglioramenti in
termini di una effettiva trasparenza.
Per controllare l’operato di Skanova Access è stato creato un organo apposito, l’Equality of Access
Board, con lo specifico compito di vigilare sul rispetto del principio di parità di trattamento
degli Olo da parte della divisione di rete. Tale attività di supervisione si basa innanzitutto sulla
analisi delle performances di una serie di indicatori (kpi) prefissati e controllati da auditors
esterni. Il Board riferisce ogni quattro mesi al Ceo di Telia Sonera, svolgendo attività di
monitoraggio del rispetto degli impegni assunti dall’operatore dominante. È composto da un
Presidente, responsabile dell’internal audit di Telia Sonera e da due membri indipendenti di
nomina dell’operatore. Non sono previsti membri nominati dall’Autorità.
Anche la Nuova Zelanda, infine, si è distinta sotto il profilo della regolamentazione della
separazione funzionale in capo all’incumbent tra infrastruttute tlc e servizi, per via di una
sostanziale carenza di competizione tra gli operatori e di consistenti barriere all’ingresso della
rete di accesso. Il governo ha imposto all’operatore dominante Telecom New Zealand (TNZ)
una riorganizzazione aziendale, indicando nella separazione funzionale della rete lo strumento
più idoneo per contribuire al miglioramento delle condizioni competitive del mercato. TNZ
ha, pertanto, proceduto ad adottare una serie di Undertakings ispirati al modello britannico,
che sono stati accettati e ratificati dal governo neozelandese nel marzo del 2008 e che prevedono
la separazione della società in tre divisioni: Rete, Retail e Wholesale. Il processo di progressiva
separazione è tuttora in corso e dovrebbe concludersi nel 2012. Lo scopo primario degli
Undertakings è di garantire il rispetto del principio di non discriminazione degli operatori
alternativi nell’accesso ai servizi wholesale offerti dall’operatore dominante. Anche in questo
caso, tra gli impegni è stata prevista l’istituzione di un organo di vigilanza, l’Independent
Oversight Group (IOG), cui sono affidati compiti assimilabili a quelli dell’Equality of Access
Telecomunicazioni fisse e banda larga
139
Board britannico e dell’Organo di vigilanza italiano: esso conduce una costante attività
di verifica in merito all’effettivo rispetto da parte di TNZ dei dettami degli undertakings,
con riferimento al processo di progressiva separazione dei sistemi ed al raggiungimento di
determinati standard di garanzia in ordine alla corretta osservanza del principio di parità di
trattamento su alcuni prodotti, da perseguire entro determinate scadenze.
È importante notare, infine21, come per la realizzazione della nuova rete in fibra ottica il governo
neozelandese abbia creato un apposito ente pubblico (la Crown Fibre Holdings), cui sono stati
affidati 1,5 mld di $, garantendo nel contempo agli operatori di partecipare agli investimenti
tramite bando di gara richiedente però una separazione strutturale tra le attività commerciali
e la gestione della rete esistente. Di fronte alla possibilità di scegliere tra competere con l’ente
pubblico o procedere alla separazione strutturale (“de-merger”) della divisione wholesale, l’ex
monopolista ha scelto la seconda strada, che dovrà essere attuata entro il terzo trimestre del
2011 e che lo condurrà a investire in una rete in fibra comune a tutti gli operatori e di proprietà
mista pubblico-privato.
21
Per ulteriori approfondimenti relativi al confronto internazionale sulla separazione funzionale della rete
cfr. http://organodivigilanza.telecomitalia.it/ita/confronto_internazionale.shtml
140
Telecomunicazioni fisse e banda larga
Telecomunicazioni
mobili
141
Telecomunicazioni mobili
di Lorenzo Principali
1. Lo scenario del mercato
Dopo 15 anni di costante crescita, il 2009 è stato il primo anno in cui il mercato delle
telecomunicazioni mobili è risultato in flessione, attestandosi a quota 24,01 miliardi di euro
(-1,5%). Per osservare l’attesa rivoluzione del settore portata dagli smartphone e dai servizi
internet in mobilità occorrerà dunque attendere ancora. La crisi generale ha sicuramente influito
su questo ritardo, mostrando altresì la solidità del settore rispetto al più generale comparto tlc.
Il calo registrato dal segmento mobile, infatti, è inferiore rispetto al decremento fatto registrare
dall’intero comparto (-2,3%) e soprattutto rispetto alle tlc fisse (-3,3%). Di conseguenza non si
è interrotta la crescita dell’incidenza del segmento mobile sul totale, di cui è giunto a costituire
una quota del 55,73%.
Tabella 1 - Il mercato tlc mobile in Italia, 2005-2009
2009
2008
2007
2006
2005
∆ % 09-08
Cagr 05-09
Mobile
24.015
24.390
24.070
23.642
22.625
-1,54
1,50%
Totale tlc
43.085
44.120
44.200
44.040
43.115
-2,35
-0,02%
% segmento mobile sul
totale Tlc
55,73%
55,28%
54,45%
53,68%
52,47%
-
-
Fonte: elaborazione Iem su dati Assinform/Net Consulting. Note: dati in miliardi di euro.
Il numero di linee attive, dopo anni di costante crescita, mostra segnali di saturazione (-1,0%
rispetto al 2008) pur mantenendosi superiore ai 91 milioni di unità, mentre il numero di
utenti unici continua il proprio costante incremento, giunto a 46,5 milioni, ben oltre i ¾ della
popolazione effettiva. Cresce anche la diffusione dei terminali di terza generazione, posseduti
da 31,9 milioni di utenti (+ 9,6% ): questo dato lascia presupporre un sensibile sviluppo del
mercato dei servizi broadband mobili nei prossimi anni, potendo contare su una massa critica
importante e sulla crescente maturità tecnologica di buona parte degli utenti di telefonia mobile
italiani.
Tabella 2 - Evoluzione delle linee di telefonia mobile in Italia, 2005-2009
2009
2008
2007
2006
2005
∆% 09-08
∆% 09-05
n. linee attive
91,3
92,2
90,7
81,9
72,2
-1,0%
28,9%
- di cui su terminali 3G
31,9
29,1
23,1
17,1
10,0
9,6%
219%
utenti unici
46,5
46,1
45,9
44,4
42,7
0,9%
8,9%
Note: dati in milioni di unità. Fonte: elaborazione Iem su dati Assinform/Net Consulting e Agcom.
Resiste il mercato dei servizi mobili, che fa registrare una lieve crescita (+0,3%). Tuttavia,
l’effetto di contenimento rispetto al più generale calo del mercato dei servizi tlc nel 2009 è
142 Telecomunicazioni mobili
venuto sensibilmente meno: nel 2008 la crescita di oltre 250 milioni di euro del comparto
mobile aveva compensato il decremento di 300 milioni di euro del segmento dei servizi su
rete fissa, generando la complessiva stabilità del settore servizi (-0,1%); nel 2009, al contrario,
l’incremento di circa 65 milioni di euro del mobile non è bastato a bilanciare la perdita, di quasi
400 milioni, fatta registrare dal comparto fisso, determinando un generale calo del mercato dei
servizi tlc dello 0,9% .
Anche nel comparto dei servizi, dunque, il segmento mobile continua ad aumentare il proprio
valore percentuale, essendo ormai prossimo a toccare quota 55%.
Tabella 3 - Il mercato dei servizi di rete mobile, 2005-2009
Mobile
2009
2008
2007
2006
2005
∆ % 09-08
Cagr 05-09
18.825
18.760
18.510
18.040
17.170
0,35
2,33%
Totale servizi Tlc
34.215
34.530
34.580
34.350
33.635
-0,91
0,43%
% segmento mobile sul totale Tlc
54,51%
54,32%
53,52%
52,51%
51,04%
-
-
Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazione Iem su dati Assinform/Net Consulting.
Osservando i dati Agcom relativi ai servizi di telefonia mobile scorporati per sottocategorie
(tab. 4), è interessante notare come l’unica componente in crescita risulti quella relativa al
traffico dati. Acclarata la tendenza, forse ormai irreversibile, del calo del mercato degli sms
(-6% rispetto al 2009), il traffico dati risulta quindi il segmento cardine su cui gli operatori
stanno concentrando le proprie strategie (cfr. paragrafo 3).
Tabella 4 - Ricavi da servizi di telefonia mobile in Italia, 2005-2009*
2009
2008
2007
2006
2005
∆ % 09-08
Cagr 05-09
Ricavi voce
10,92
11,04
11,11
11,20
10,80
-1,09
0,28%
Ricavi dati
4,21
4,17
3,87
3,20
3,80
0,96
2,59%
Sms
2,22
2,37
2,33
2,50
2,30
-6,33
-0,88%
Mms e altri dati
1,99
1,80
1,54
1,30
0,90
10,56
21,94%
Altri
2,56
3,14
3,36
2,20
2,10
-18,47
5,08%
Totale
17,70
18,35
18,34
16,60
16,70
-3,54
1,46%
Note: * In tale raffronto occorre tenere presenza la discordanza tra i dati Agcom che stimano i ricavi complessivi dal
comparto servizi in 17,70 miliardi di euro, e quelli Assinform/Netconsulting utilizzati in particolare per il confronto
tra le tlc mobili e l’intero comparto, che stimano il mercato dei servizi mobili in 18,85 miliardi di euro. Allo stesso
tempo, mentre per Assinform il mercato dei servizi mobili cresce dello 0,3%, l’Authority per le comunicazioni stima il
comparto mobile in calo del 3,5%. Dati in miliardi di euro. Fonte: elaborazione Iem su dati Agcom.
Per quanto riguarda il traffico voce, dall’analisi dei dati Agcom (tab. 5) emergono tre
considerazioni: in primo luogo, oltre l’87% delle chiamate originarie dalla rete mobile termina
nella stessa rete mobile; in secondo luogo, se da un lato resistono le strategie di fidelizzazione
degli operatori, mirate a mantenere la maggior parte del traffico entro le proprie infrastrutture
(+3,9% rispetto ai minuti di traffico annuale), dall’altro la leggera riduzione (-0,39%) dei ricavi
on-net1 (Tab. 6) lascia presupporre una diminuzione delle tariffe o la diffusione di promozioni
basate sull’offerta di pacchetti di minuti gratuiti.
Tabella 5 - Traffico dei servizi voce mobili per direttrice, 2008-2009
2009
2008
∆ % 08-09
Rete fissa
13,9
14,1
-0,9%
Mobile on-net
66,4
63,9
3,9%
Mobile off-net
25,5
23,2
9,7%
Altre destinazioni
7,9
7,5
6,1%
113,8
108,7
4,7%
Totale
Note: dati in miliardi di minuti. Fonte: elaborazione Iem su dati Agcom.
1
All’interno delle infrastrutture proprie dell’operatore che fornisce i servizi.
Telecomunicazioni mobili
143
Infine, se al netto aumento dei minuti di chiamate off-net (+9,7%) corrisponde un minimo
incremento dei ricavi derivanti da questa direttrice (+0,96%), appare verosimile che le
promozioni includano anche minutaggi gratuiti su reti diverse da quelle dell’operatore che ne
garantisce l’offerta.
Tabella 6 - Ricavi da servizi voce per direttrice, 2005-2009
2009
2008
2007
2006
2005
∆ % 09-08
Cagr 05-09
Rete mobile
8,22
8,19
8,45
8,08
7,7
0,37
1,65%
- On net
5,07
5,09
5,06
4,58
3,9
-0,39
6,78%
- Off net
3,14
3,11
3,4
3,5
3,8
0,96
-4,66%
Rete fissa
1,72
1,9
2,01
2,08
2,3
-9,47
-7,01%
Reti internazionali
0,98
0,94
0,96
0,8
0,8
4,26
5,20%
Totale
10,92
11,03
11,42
10,96
10,8
-1,00
0,28%
Note: dati in miliardi di euro. Fonte: elaborazione Iem su dati Agcom.
Complessivamente, la congiuntura economica negativa ha influito pesantemente sia sul
mercato mobile delle infrastrutture sia soprattutto su quello dei terminali (tab. 7): se i ricavi
derivanti dalla gestione, installazione e manutenzione delle reti sono diminuiti del 7,0%,
scendendo a quota 1.470 milioni di euro, e la stessa fornitura di software e servizi agli operatori
ha presentato valori molto negativi (-8,4%), il decremento più ingente in termini assoluti si è
avuto proprio nel mercato dei terminali, in cui la crescente diffusione degli smartphone non
è riuscita a bilanciare il generale calo in un segmento che ha fatto registrare un giro d’affari
inferiore rispetto al 2008 di oltre 280 milioni di euro. Ciò è in parte dovuto anche alla fornitura
di cellulari da parte degli operatori mobili all’interno di abbonamenti comprendenti traffico
telefonico, traffico dati e terminali di ultima generazione.
Tabella 7 - Il mercato delle tlc mobili: i ricavi da infrastrutture e terminali, 2005-2009
2009
2008
2007
2006
2005
∆ %09-08
Cagr05-09
Reti per accesso, installazione,
gestione e manutenzione
1.470
1.580
1.650
1.915
2.095
-6,96
-8,48%
Software e servizi per operatori
tlc
490
535
515
475
405
-8,41
4,88%
Telefoni 2g e 3g, smartphone,
internet key e data card
3.200
3.480
3.340
3.180
2.920
-8,05
2,32%
Totale
5.160
5.595
5.505
5.570
5.420
-7,77
-1,22%
Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazione Iem su dati Assinform/Net Consulting.
2. Gli operatori infrastrutturati e i MVNO
L’analisi delle quote di mercato per fatturato degli operatori infrastrutturati mostra nel 2009
alcuni segnali importanti: si è ridotta nettamente la distanza tra la divisione mobile di Telecom
Italia, la cui quota è in calo di oltre l’8% rispetto al 2009, e che ora detiene il 38% del mercato
mobile, e Vodafone, che crescendo di 4 punti ha visto aumentare la propria quota dal 36 al
37,7%, giungendo a ridosso dell’operatore leader (Tab. 8).
Continuano inoltre le performance positive di Wind: l’operatore che fa capo alla compagnia
egiziana Orascom, ora afferente alla russa Vimpelcom, potendo contare su una crescita annua
media del 7% nell’ultimo quinquennio ha rafforzato la propria terza posizione, attestandosi a
quota 16,8% dell’intero comparto, e incrementando così il proprio distacco da H3G. Per ciò
che concerne quest’ultima, al contrario, i piccoli segnali di cedimento mostrati nel 2007 e nel
2008 si sono confermati anche nel 2009 (-2,43%): queste performance negative l’hanno portata
sotto quota 7,3% dell’intero mercato mobile, pur mantenendo positivo il trend di crescita
quinquennale (+4% medio annuo).
144
Telecomunicazioni mobili
Tabella 8 - Evoluzione quote % di mercato per fatturato nella telefonia mobile in Italia, 20052009
2009
2008
2007
2006
2005
∆ % 09-08
Cagr 05-09
Tim
38,20
41,89
42,45
43,74
44,94
-8,80
-3,98%
Vodafone
37,71
36,04
33,64
33,56
36,34
4,63
0,93%
Wind
16,81
15,86
15,27
13,82
12,51
5,99
7,67%
H3G
7,28
7,46
8,63
8,88
6,21
-2,43
4,06%
Totale
100
100
100
100
100
0,00
0,00%
3216,7
3360,6
3241,3
3309,3
3535,3
-4,28
-2,33%
Herfindal-Hirschmann
Index
Fonte: elaborazione IEM su dati aziendali.
Il mercato nel complesso ha risentito meno di altri comparti della congiuntura economica
negativa (tab. 9), mostrando un calo del 2,6%. Occorre tuttavia sottolineare che gli effetti
della crisi sono stati più prepotenti su alcuni operatori, mentre altri ne hanno beneficiato per
guadagnare quote di mercato: la peggiore performance annuale è stata fatta registrare da Tim,
che ha perso oltre l’11% rispetto al 2008, scendendo a quota 8,6 miliardi di fatturato annui;
egualmente negativo è stato l’andamento negli ultimi 12 mesi di H3G, in calo di quasi 5 punti
percentuali. Vodafone e Wind, al contrario, hanno beneficiato delle perdita di terreno da parte
dei rivali rispettivamente per avvicinarsi al leader e per rafforzare la propria posizione: la prima
è cresciuta di circa 150 milioni di euro (+1,88%), confermando per il terzo anno consecutivo il
proprio costante trend positivo (+1% medio annuo dal 2005). Ancor meglio ha fatto Wind, che
oltre ha guadagnare oltre 100 milioni di euro rispetto al 2008 (+3,22%) presenta per il quinto
anno consecutivo valori in aumento (+7,83% medio annuo dal 2005).
Tabella 9 - Ricavi delle imprese italiane di telefonia mobile, 2005-2009
2009
2008
2007
2006
2005
∆ % 09-08
Cagr 05-09
Telecom Italia
8603
9687
9922
10210
10056
-11,19
-3,83%
Vodafone
8492*
8335
7862
7834
8132
1,88
1,09%
Wind
3786
3668
3570
3226
2800
3,22
7,83%
H3G
1640
1726
2018
2072
1390
-4,98
4,22%
Totale
22521
23127
23372
23342
22378
-2,62
0,16%
Note: ricavi da servizi realizzati in Italia nel segmento mobile, dati in milioni di euro; (*) bilancio chiuso il 31 marzo
2010. Fonte: elaborazione IEM su dati aziendali.
Per ciò che concerne gli operatori di rete virtuali (MVNO), ovvero i player che offrono
servizi di fonia sfruttando lo spettro e le infrastrutture degli operatori di reti fisiche, il 2009
ha confermato l’andamento positivo rilevato negli anni passati. A circa tre anni dal lancio, gli
operatori “virtuali” sono notevolmente cresciuti nel numero (giunto a quota 16) e nella base
utenti (2,43 milioni) che però presenta un churn rate (o tasso di abbandono) estremamente
alto. Agli operatori specializzati nei mercati “etnici” come Daily Telecom e PLDT Italia, che
offrono tariffe agevolate per le chiamate rivolte a specifici segmenti di utenti immigrati e a
quelli che sfruttano la diffusione della propria rete di punti vendita fornendo promozioni sulle
tariffe telefoniche combinate al proprio core business (Poste Mobile, Carrefour, Coop, Erg
mobile ecc) si sono aggiunti gli operatori tlc di rete fissa, che puntano sull’integrazione con le
proprie offerte nell’ottica del quadruple play (Fastweb e Tiscali)2.
2
Questi operatori propongono offerte integrate di telefonia fissa, broadband, servizi audiovisivi (Iptv) e di
telefonia mobile
Telecomunicazioni mobili
145
Tabella 10 - Ricavi MVNO in Italia per tipologia di servizio, 2008-2009
Servizi voce
2009
2008
Var %
125,4
46,3
170,7
Servizi dati
24,4
6,4
281,4
Totale
149,8
52,7
184,2
Note: i dati si riferiscono a Carrefour, Coop Italia, Daily Telecom, Erg Mobile, Fastweb, Noverca, PLDT Italia, Poste
Mobile e Tiscali. Dati in milioni di euro. Fonte: Agcom.
Nel 2009 il mercato MNVO ha sfiorato quota 150 milioni di euro, facendo registrare una
crescita di oltre il 180%. Sebbene siano i servizi dati a presentare i tassi di crescita maggiori
(+281%), il segmento voce rimane largamente la componente decisiva, attestata a quota 125,4
milioni di euro annui.
Ciononostante, particolarmente rilevante appare il mercato dei Mobile Payments, anche alla
luce della recente liberalizzazione avvenuta con l’entrata in vigore del Decreto legislativo n.11
del 2010, che recepisce la normativa europea sui servizi di pagamento del mercato interno3:
dal 1° marzo 2010 anche gli operatori Tlc possono agire come istituti di pagamento, dando la
possibilità ai propri utenti di effettuare bonifici, trasferimenti finanziari e acquisti in modalità
retail, oltre a pagare bollettini, parcheggi, pedaggi, transiti, biglietti e contenuti audiovisivi.
Il primo operatore a muoversi in questa direzione è stato Poste Italiane, che insieme a Noverca
(gruppo Intesa) detiene oltre il 60% del mercato dei MVNO. Nel 2009 i pagamenti in mobilità
sono stati utilizzati prevalentemente per le ricariche telefoniche, il ticketing e il parking, ma
è probabile che il mercato si evolverà verso servizi avanzati a più alto valore aggiunto per gli
operatori (bonifici, fatture, acquisti e money transfer). In tale contesto, resta da stabilire come
questi si posizioneranno lungo la catena del valore: se fungendo da abilitatori, se limitandosi
a veicolare e semplificare le transazioni o se gestendo interamente e direttamente i servizi di
pagamento per sfruttare l’alta diffusione dei terminali e la progressiva dimestichezza dell’utenza
con il mobile billing.
3. La banda larga mobile: contenuti, traffico e investimenti
Il segmento del traffico dati, complice la crescente diffusione di terminali di nuova generazione
dotati di connessione ad internet, appare quello dotato dei maggiori margini di crescita nel
campo delle telecomunicazioni mobili. Ciò è dovuto soprattutto alla connettività a banda
larga in mobilità offerta dagli operatori telefonici, un segmento ancora in via di sviluppo ma
che potrebbe determinare l’apertura di un nuovo mercato di servizi rivoluzionari rispetto al
tradizionale uso del telefono mobile: infomobilità, geolocalizzazione, servizi di prossimità,
mobile payment sono solo alcuni dei possibili sviluppi cui condurrà la diffusione di “internet
in tasca” presso la popolazione.
Probabilmente per queste ragioni, tale comparto risulta quello maggiormente in evoluzione,
nonché il terreno su cui si stanno giocando alcune tra le partite più importanti per il prossimo
futuro. Da un lato, il nuovo modello di business introdotto dai player manifatturieri con il
lancio di application store proprietari (Apple su tutti) ha in parte disintermediato gli operatori
tradizionali dalla vendita dei contenuti4. Ciò è dovuto alle caratteristiche degli application
store, i quali, strutturati in sinergia con i device, consentono a piccole software house o singoli
sviluppatori di creare applicazioni destinate ad un vasto pubblico (ovvero i possessori del
terminale) con la formula del revenue sharing tra operatore e sviluppatore. Tuttavia, poiché
nella maggior parte dei casi i contenuti sono disponibili in modalità freemium o free, tale
3http://www.filodiritto.com/index.php?azione=visualizza&iddoc=1627
4
Vodafone ha lanciato un proprio application store disponibile per alcuni modelli di due distinti operatori
manifatturieri (Samsung e Nokia), mentre Tim ha stretto un accordo con la stessa Nokia per fornire il proprio sistema di pagamento su Ovi Store, negozio online di contenuti e applicazioni lanciato dall’operatore svedese.
146
Telecomunicazioni mobili
modello sembra generare una parziale ma progressiva sostituzione dei contenuti a pagamento
con contenuti e applicazioni disponibili gratuitamente, piuttosto che un effetto sostituzione
pay vs pay: se nei portali delle Telco il rapporto tra contenuti pay e free era di 95 a 5, negli
application store questo appare radicalmente capovolto (8-92)5. Gli effetti di tale dinamica,
sebbene positivi per i player manifatturieri, che offrono così ai propri clienti una serie di microservizi e applicazioni aggiuntive, generano un complessivo calo dei ricavi derivanti da contenuti
mobili, che risultano in perdita di circa il 20% (-160 milioni di euro) rispetto al 2008 (tab. 11).
Tabella 11 - Confronto ricavi mercato mobile: accesso, contenuti e pubblicità, 2008 - 2009
PoliMi
Confindustria SI
2009
2008
∆% 08-09
2009
2008
∆% 08-09
Mobile internet
392
334
17,37
n.d
n.d.
n.d.
Mobile content pay
596
744
-19,89
763
900
-15,22
- di cui da application store
24
6
300,00
2
0
-
Mobile advertising
32
32
0,00
20,5
22
-6,82
1020
1110
-8,11
783,5
922
-15,02
Totale
Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazione Iem su dati Polimi (Osservatorio Mobile Content 2010) e
Confindustria (Rapporto E-Content 2010)
Infatti, al decremento dei ricavi da contenuti venduti dagli operatori tlc corrisponde un
minimo aumento delle revenue per i gestori di application store, peraltro stimato in modo
molto diverso a seconda delle fonti considerate (+2 milioni secondo Confindustria SI e +18
milioni secondo PoliMi).
D’altra parte, tale nuovo meccanismo di diffusione dei contenuti contribuisce notevolmente
all’incremento del traffico dati in mobilità: questo segmento è passato da 334 a 392 milioni
di euro (+17%) un dato sicuramente incoraggiante che però non è riuscito a compensare la
netta diminuzione dei ricavi da contenuti. La pressione concorrenziale di fornitori di contenuti
“terzi” (rispetto alla gestione del traffico mobile) sembra dunque sospingere gli operatori di
telefonia a rifocalizzarsi sui ricavi da traffico internet, venendo meno le possibilità di ricavo
nelle vesti di content provider. In questo senso, la progressiva diffusione delle tariffe flat, che
ha generato ricavi in aumento di 53 milioni rispetto al 2008 (+68%) a fronte dei 5 milioni di
incremento fatti registrare dalla tariffazione a consumo (+2 % sul 2008)6 costituisce un segnale
importante, così come le offerte che puntano in modo sempre più deciso sulla fornitura di
pacchetti comprendenti smartphone dotati di accesso ad internet e connessione “senza limiti”.
Tuttavia, proprio la tariffazione flat è messa in pericolo dal rischio di sovraccarico delle reti e,
per sopperire a tale problema, tutti gli operatori stanno attuando pratiche di traffic shaping che
limitano le velocità di navigazione degli utenti in certi lassi di tempo o una volta superata una
determinata soglia di traffico.
Se da un lato sembra profilarsi la fornitura di internet mobile secondo un modello di business
che premia gli utenti disposti a pagare di più per un migliore servizio, dall’altro tale fenomeno
rischia di rallentare la diffusione della banda larga mobile presso ampie fasce della popolazione
e conseguentemente il suo utilizzo da parte della massa critica di utenti necessaria a rendere
profittevoli gli investimenti in questa tecnologia. Per garantire uno sviluppo del mobile
broadband che coinvolga il maggior numero possibile di individui appare dunque necessario
che operatori e Istituzioni continuino a lavorare per sopperire al digital divide mobile con
investimenti e liberalizzazioni. In questo senso, la previsione di assegnare le frequenze liberate
dal passaggio al digitale del sistema radiotelevisivo agli operatori di telefonia mobile tramite asta
pubblica introdotta dalla legge di stabilità 2010 costituisce un segnale importante. Tuttavia, la
mancata previsione di indirizzare parte delle risorse ricavate dalla gara negli investimenti volti
a ridurre il digital divide, come richiesto dalla Commissione Europea7, rischia di determinare
5
Rapporto E-Content 2010, Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici
6
Fonte: Osservatorio Mobile Content e Internet 2010
7
Cfr. l’Agenda digitale europea, le audizioni del Commissario Neelie Kroes presso la IX Commissione della
Camera e l’VIII del Senato e la Decisione del 6 maggio 2010, la quale definisce norme tecniche armonizzate che gli
Telecomunicazioni mobili
147
un abbassamento del livello degli investimenti per il 2011-128.
Figura 1 - Investimenti in immobilizzazioni, 2005-2009
4.000
3.500
3.428
3.165
3.194
3.046
3.000
2.415
2.500
2.000
1.500
1.000
500
0
2005
2006
2007
2008
2009
Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazione IEM su dati Agcom.
A tal proposito, nel 2009 si è registrata una netta riduzione degli investimenti su rete mobile
da parte degli operatori infrastrutturati (-22%), dovuta sia alla recessione economica sia
soprattutto alla capillare copertura delle rete raggiunta da parte degli operatori. Il valore assoluto
degli investimenti effettuati nel 2009 si è attestato a quota 2.415 milioni di euro, il più basso
dell’ultimo quinquennio. D’altra parte, la crescita del traffico dati osservata precedentemente
rende estremamente urgenti nuovi investimenti in tale direzione. Anche il nuovo standard
Lte9, che permette performance di almeno 100 Mbps in download e 50 Mbps in upload, con
picchi fino a rispettivamente 326.4 Mbit/s e 86.4 Mbit/s10, e che verosimilmente contribuirà a
sviluppare ulteriormente il mercato del mobile broadband, se da un lato consente una maggiore
efficienza “spettrale” e una maggiore flessibilità, dall’altro necessita dell’aggiornamento delle
reti di trasmissione, non essendo retro-compatibile con gli standard precedenti11. Per queste
ragioni gli operatori stanno investendo in specifici programmi destinati alla costruzione di
infrastrutture per la banda larga mobile: Vodafone ha lanciato un piano per coprire mille
Comuni in condizioni di digital divide a partire da gennaio 2010, e ha previsto di stanziare oltre
1 miliardo di euro in tre anni. Inizialmente verrà adottata la tecnologia HSPA+, per poi passare
Stati membri devono rispettare per l’assegnazione delle frequenze radio nella banda a 800 MHz.
8
Poiché gli operatori sono verosimilmente gli stessi che parteciperanno all’asta e dunque dovranno effettuare un ingente esborso per le frequenze (il Governo lo stima complessivamente intorno ai 2,4 miliardi di euro) è
possibile che per far fronte a tale pagamento siano costretti a tagliare parte degli altri investimenti in infrastrutture.
9
Il nuovo standard LTE (Long Term Evolution) è l’ultimo della famiglia degli standard mobili di trasmissione ed è stato realizzato dal 3rd Generation Partnership Project (3GPP). Sebbene sia noto come standard di quarta
generazione (4G), in realtà non è completamente corrispondente alle specifiche dell’ IMT Advanced 4G, al contrario
dell’LTE Advanced, che consente performance vicine ad 1 Gbps. Mentre l’LTE non è compatibile con le reti precedenti (GSM, UMTS ecc) l’Advanced LTE è totalmente compatibile con le reti LTE. Di conseguenza, sarà necessario
affiancare una nuova infrastruttura a quelle esistenti. La funzione dell’ LTE consiste quindi nell’implementazione
delle performance della banda larga mobile sfruttando l’esperienza e gli investimenti effettuati per le reti 3G: ciò
consentirebbe di anticipare i tempi rispetto alla disponibilità degli standard di quarta generazione 4G, facendo sì
che, quando verranno introdotti, non sarà necessaria la costruzione di una ulteriore rete di trasmissione.
10
Rumney, Moray. “3GPP LTE: Introducing Single-Carrier FDMA”. Agilent Technologies.
11
Cfr. Nota 9.
148
Telecomunicazioni mobili
all’LTE entro due o tre anni, e avranno priorità i Comuni che sono attualmente in condizione
di Digital Divide totale. La capacità prevista dovrebbe essere superiore ai 2 Mbps, una soglia
doppia rispetto alla quota di 1 Mbps ritenuta, anche a livello internazionale, soglia minima di
“larga banda”. Inoltre, sia nel piano industriale di Telecom Italia, che include il potenziamento
della rete mobile di TIM, sia nella roadmap stilata da Vodafone, sono annunciati aggiornamenti
delle capacità delle rispettive reti (nelle aree già coperte) da 14,4 a 21-21,6 Mbps, fino a 42 Mbps
nel 2012. Secondo le stime di Telecom Italia, nel 2013 il traffico sulla propria rete mobile sarà
pari a 150 Petabyte (150 milioni di Gigabyte) quasi il triplo degli attuali 60 Petabyte previsti
in transito sulla rete TIM nel 2010, ben 15 volte il volume del 2007. Un tasso di crescita simile
(anche se molto inferiore in termini assoluti) è stato registrato anche sulla rete di 3 Italia, passata
dal trasporto di 7 Petabyte del 2008 ai 16 del 2009 fino ai 5 del solo primo trimestre 201012.
Dunque, se dal punto di vista della gestione di contenuti e applicazioni gli operatori si
ritrovano in competizione con gli application store proprietari dei player manifatturieri, per
quanto riguarda la fornitura di connettività appare cogente il problema del sovraccarico delle
reti. Relativamente ai primi, il nuovo modello di business introdotto dagli application store
proprietari sembra rappresentare per gli operatori tlc un competitor ma anche una leva di
sviluppo con cui occorrerà trovare sinergie efficaci che rendano il mercato mobile redditizio.
Infatti, per evitare che la diffusione di internet mobile si arresti o si trasformi in un fenomeno
circoscritto ed elitario, appare necessario di ricreare, probabilmente coinvolgendo gli stessi
fornitori di contenuti e servizi (anche eventualmente con meccanismi di revenue sharing tra
operatori di rete e fornitori aggregatori di contenuti), un circolo virtuoso in grado di stimolare
gli operatori a investire maggiormente nelle reti mobili e a promuovere l’utilizzo di tariffe flat,
così da favorire la sottoscrizione di abbonamenti da parte del maggior numero possibile di
utenti. Il raggiungimento della massa critica di utenti per rendere proficui tali investimenti
passa verosimilmente per uno sviluppo del nuovo mercato dei servizi mobili che sia più
condiviso e remunerativo per tutti in player della filiera.
4. Il confronto internazionale
Il confronto con i principali mercati europei, come già rilevato negli anni precedenti, vede
l’Italia in una posizione di leadership per quanto concerne il numero di linee attive. L’Italia
presenta infatti la più alta penetrazione di linee mobili rispetto alla popolazione (158,42%),
seppur in calo rispetto al 2008. Seguono la Germania (133,03%) e il Regno Unito (131%),
mentre Francia e Spagna presentano tassi minori, maggiormente in linea con il numero di
abitanti, rispettivamente pari al 97,92% e al 109,30%.
Tabella 12 - Evoluzione delle linee di telefonia mobile, 2005-2009
2009
2008
2007
2006
2005
∆ %09-08
Cagr05-09
Francia
97,9
93,6
89,8
85,1
79,5
4,63
5,35%
Germania
133,0
129,9
117,6
103,6
95,9
2,38
8,53%
Italia
151,2
158,4
157,6
135,1
123,1
-4,56
5,28%
Spagna
109,3
107,5
107,1
102,2
96,8
1,67
3,08%
Regno Unito
131,7
126,3
121,8
115,9
109,2
4,28
4,80%
Note: dati in milioni. Fonte: elaborazione IEM su dati Arcep,VATM, Assinform, Ofcom e CMT.
Il mercato di telefonia mobile più ampio risulta ancora essere quello tedesco, sebbene il trend
degli ultimi cinque anni evidenzi l’ormai raggiunta saturazione: sceso a quota 23 miliardi di
euro, esso presenta tassi di decremento elevati sia sul lungo periodo (-4% medio annuo dal
2005) sia nel confronto anno su anno (-7% rispetto al 2008).
12
Nel corso del 2009, 3 Italia ha siglato due importanti accordi: quello esclusivo con Ericsson per lo sviluppo
di una rete in banda larga mobile all’avanguardia, e quello con Telecom Italia per la condivisione dei siti di accesso
per la rete radiomobile per ottimizzare gli investimenti e i tempi di sviluppo della rete stessa (fonte: 3 Italia).
Telecomunicazioni mobili
149
Tabella 13 - Evoluzione del mercato di telefonia mobile nei principali paesi europei, 2005-2009
Francia
2009
2008
2007
2006
2005
∆ % 09-08
Cagr 05-09
20,4
20,1
19,0
18,1
17,4
1,49
4,06
Germania
23,6
25,4
26,4
27,8
28,1
-7,09
-4,27
Italia
18,8
18,8
18,5
18,0
17,2
0,35
2,33
Regno Unito
16,7
17,3
16,8
15,6
14,7
-3,24
3,27
Spagna
14,3
14,9
14,8
13,3
12,0
-3,99
4,56
Totale
93,9
96,5
95,5
92,8
89,4
-2,69
0,01
Note: dati in miliardi di euro. Fonte: elaborazione IEM su dati Arcep,VATM, Assinform, Ofcom e CMT.
Discorso inverso per la Francia che, grazie ad un tasso di crescita costante (+4% medio
nell’ultimo quinquennio), è riuscita a resistere bene anche alla crisi, guadagnando circa l’1,5%
nel 2009 e confermandosi il secondo mercato europeo per dimensioni. L’Italia rafforza la
propria posizione facendo segnare una leggera crescita (+0,3%)13 mentre la Spagna subisce una
sensibile battuta d’arresto (-4%), così come il Regno Unito (3,2%)
Scomponendo i ricavi secondo le direttrici, sono due le tendenze che emergono distintamente:
la perentoria crescita del traffico dati e la diminuzione del traffico voce e sms (Tab. 14). Per ciò
che concerne il mercato voce, in Italia e Francia la riduzione appare contenuta, rispettivamente
-1,09% e – 1,92%, mentre in Germania e in Spagna questo segmento perde quasi il 9%. Al
contrario di quello spagnolo, inoltre, il trend tedesco mostra valori sensibilmente negativi anche
sul lungo periodo (sfiorando quasi il 7% medio annuo), lasciando presagire un progressivo
cambiamento nelle abitudini degli utenti, sempre più orientati alla sottoscrizione di offerte di
pacchetti di minuti che riducono i ricavi per gli operatori.
Il comparto del traffico dati è quello che ha fatto segnare le performance migliori: in un mercato
maturo come quello tedesco questa componente supera abbondantemente quota 3 miliardi di
euro, con un tasso di crescita media annua nell’ultimo quinquennio di quasi il 40%. Anche
in Italia il traffico dati fa segnare valori molto positivi (+22% medio annuo dal 2005 e +10%
rispetto al 2008) sfiorando nel 2009 quota 2 miliardi di euro, così come in Spagna (1,5 miliardi
nel 2009). Più difficile fare una stima sul trend francese, anche se l’incremento di oltre 20
punti percentuali della componente dati + sms, considerando che questo secondo segmento
presenta valori negativi in tutti gli altri mercati, potrebbe rivelare un’ottima performance del
mercato dati, in grado di controbilanciare brillantemente l’ipotizzato calo del mercato sms.
Proprio quest’ultimo segmento, come prevedibile, sta diventando un comparto di secondo
piano in tutti i mercati europei, sia per via dei pacchetti che offrono grandi quantità di sms a
costi ridotti, riducendo il ricavo unitario, sia perché l’evoluzione delle forme di comunicazione
mobile lo rende sempre più uno strumento obsoleto: calato di quasi 9 punti in Germania,
di 6 in Italia e di 9 in Spagna, il mercato sms verrà probabilmente rimpiazzato in maniera
graduale dallo scambio dati. Complessivamente, dunque, in tutti i grandi paesi europei gli
operatori stanno fronteggiando il progressivo cambiamento delle abitudini degli utenti e la
trasformazione dei terminali mobili da strumenti di comunicazione one-to-one a veri e propri
media center in grado di fornire connettività, intrattenimento e accesso al web. L’abilità di
guidare o accompagnare questa evoluzione determinerà probabilmente i futuri equilibri del
mercato negli anni a venire.
13
In questa comparazione sono stati utilizzati i dati Assinform, che vedono il mercato italiano crescere dello
0,3%. Più negativo è l’andamento secondo l’Agcom, vedi supra.
150
Telecomunicazioni mobili
Tabella 14 - Ricavi da servizi di telefonia mobile nei maggiori paesi europei, 2005-2009
Paese
Francia
Germania
Italia
Regno Unito
Tipologia di
ricavi
voce
2008
2007
2006
2005
∆%09-08
Cagr 09-05
15,30
15,60
15,10
14,60
14,30
-1,92
1,70
dati e sms
3,80
3,10
2,40
2,10
1,90
22,58
18,92
Vas e directory
1,30
1,40
1,40
1,30
1,20
-7,14
2,02
voce
17,23
18,95
20,36
22,08
22,97
-9,08
-6,94
dati
3,23
3,02
2,35
1,67
0,92
6,98
36,92
mms
0,19
0,20
0,24
0,22
0,17
-7,39
2,85
sms
2,95
3,23
3,46
3,83
4,04
-8,53
-7,56
voce
10,92
11,04
11,11
11,20
10,80
-1,09
0,28
dati e mms
1,99
1,80
1,54
1,30
0,90
10,56
21,94
sms
2,22
2,37
2,33
2,50
2,30
-6,33
-0,88
voce
11,78
12,34
12,57
11,89
11,56
-4,54
0,47
1,9
1,57
1,01
0,78
0,44
21,02
44,15
dati e mms
Spagna
2009
sms
3,03
3,36
3,25
2,91
2,69
-9,82
3,02
voce
10,27
11,28
11,69
10,82
9,83
-8,95
1,10
dati
1,50
1,11
0,78
0,46
0,30
35,02
49,06
sms e mms
1,57
1,73
1,74
1,65
1,55
-9,08
0,30
Note: dati in miliardi di euro. Fonte: elaborazione IEM su dati Arcep,VATM, Agcom, Ofcom e CMT.
Telecomunicazioni mobili
151
Informatica
152
Informatica
di Roberto Triola
1. Introduzione
Negli ultimi 15 anni l’informatica italiana ha attraversato 2 fasi di sviluppo nettamente distinte.
Il primo tempo è stato contraddistinto da un vero e proprio boom del mercato, passato da un
valore di appena 11 mld. ad un valore di oltre 20 mld. con un tasso di crescita medio annuo
del 12% circa.
Tabella 1 – Il mercato dell’Informatica italiana. Gli anni ruggenti, 1994-2001
2001
2000
1999
1998
1997
1996
1995
1994
Hardware e assistenza tecnica
7,2
7,1
6,5
6,1
5,7
5,4
5,3
5,2
Software e servizi di informatica
13,2
11,9
10,3
9,1
8,3
6,5
6,2
5,9
Totale
20,4
19,0
16,8
15,2
14,0
11,9
11,5
11,1
Fonte: Assinform/NetConsulting.
Il secondo tempo, che non si è ancora concluso, è stato attraversato da 2 crisi mondiali che
hanno avuto un impatto fortissimo sulla domanda e, nonostante la maturità e l’innovazione
tecnologica dell’offerta, hanno determinato un crollo del mercato superiore all’8%.
Se per uscire dalla crisi del 2002-2003 (che era una crisi di crescita dell’offerta) c’erano voluti
5 anni, nel corso dei quali si era faticosamente tornati sui livelli di mercato raggiunti ad inizio
decennio, la nuova crisi di fine decennio - che ha travolto invece la domanda - ha avuto, invece,
un impatto maggiore i cui effetti rischiano di trascinarsi stavolta ben oltre il lustro.
Tabella 2 – Il mercato dell’Informatica italiana. Gli anni della crisi, 2002-2009
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
Hw e assistenza tecnica
5,6
6,5
6,6
6,3
6,2
6,0
6,0
6,4
Sw e servizi di informatica
13,1
13,8
13,6
13,5
13,3
13,3
13,4
13,7
Totale
18,7
20,3
20,2
19,8
19,5
19,3
19,4
20,1
Fonte: Assinform/NetConsulting.
Più che un problema di offerta informatica l’Italia sembra soffrire di un bassa capacità di
assorbimento dell’innovazione da parte della domanda, caratterizzata da:
•
•
•
diffusione disomogenea delle infrastrutture, con pochi picchi di qualità ma anche tanta
arretratezza, sia dal punto di vista geografico sia da quello delle singole organizzazioni
(pubbliche amministrazioni e imprese);
scarsa alfabetizzazione informatica;
mancanza di consapevolezza diffusa di come l’IT possa aiutare imprese e Istituzioni ad
Informatica
153
affrontare le sfide del mondo attuale e futuro, e non solo essere un mero strumento di
riduzione dei costi;
• il basso ricorso alla formazione continua;
• l’assenza di meccanismi stabili di collaborazione fra mondo della ricerca e mondo delle
imprese, che rende molto difficile tradurre in sviluppo e ricchezza il patrimonio di creatività
e imprenditorialità del nostro Paese;
• l’ancora poco diffuso utilizzo delle nuove forme di collaborazione offerte dall’informatica
(Web 2.0 e cloud computing) che, dilatando i confini di imprese e Istituzioni, aprono
opportunità di sviluppo impensabili anche solo fino a pochi anni fa.
Dai dati disponibili al 2009 emerge un evidente ritardo nel processo di digitalizzazione del
Paese (tab. 3).
Tabella 3 – Indicatori di digitalizzazione in Italia e nei principali Paesi UE
Indicatore
Italia
Francia
Germania
Spagna
Regno
Unito
Cittadinanza digitale
PC/abitazione
52%
53%
82%
63.6%
72%
Internet/abitazioni
42%
66%
75%
51%
71%
BB/abitazioni
39%
61%
56%
45%
62%
Utenti internet (negli ultimi 3 mesi)
47%
63%
75%
57%
70%
Donne su internet
32%
64%
71%
53%
66%
Adulti 55-74 su internet
13%
36%
38%
15%
44%
7%
28%
63%
40%
49%
Utenti B2C su utenti internet
Impresa digitale
Imprese con internet
66%
57%
95%
95%
93%
Imprese con BB (% su imprese con accesso
a internet)
54%
50%
84%
97%
87%
Imprese con internet e sito web
33%
30%
77%
58%
Imprese che comprano su internet
13%
18%
26%
16%
47%
P.A. digitale (e-government, istruzione)
Spesa IT del settore pubblico (mln €)
2.747
5.085
5.907
3.055
13.928
% sulla Spesa Pubblica corrente
0,9%
1,1%
1,5%
1,3%
3,5%
Imprese che dialogano con la PA on-line
(invio moduli)
42%
67%
45%
45%
51%
Cittadini che dialogano con la PA on-line
(invio moduli)
5%
25%
11%
9%
12%
32%
77%
66%
48%
95%
55%
60%
84%
Scuole con PC in classe (2006)
Docenti che usano strumenti ICT per la
didattica
Fonte: Elaborazioni su Fonti varie (2009).
Si evidenzia innanzitutto che la diffusione delle infrastrutture (banda larga) e di altri beni
informatici primari (PC) nelle famiglie è ancora carente. Una parte rilevante direttamente
collegata a questo aspetto è l’alfabetizzazione informatica, ancora piuttosto modesta: per
esempio solo il 13% degli italiani tra i 55-74 anni usa internet.
In secondo luogo, la digitalizzazione delle aziende non è ancora sufficiente ad assicurare
un’adeguata modernizzazione, considerando il ritardo nell’utilizzo di applicazioni di
automazione delle funzioni aziendali e l’accesso a funzioni avanzate della Rete, quali per
esempio l’acquisto di beni strumentali e di consumi per via elettronica (un parametro che in
altri paesi è superiore all’Italia).
Basti pensare che le piccole imprese italiane, nonostante la loro numerosità (4 milioni)
154
Informatica
rappresentano appena il 18% della spesa IT totale, e nel corso del 2009 sono quelle che hanno
ridotto maggiormente gli investimenti informatici (-10%).
Infine, con riferimento al settore pubblico è fondamentale notare che la nostra quota di spesa
informatica pubblica, in % della spesa corrente, è di gran lunga inferiore a quella dei nostri
partner europei. Ciò comporta l’assenza, soprattutto a livello locale, di servizi interattivi diffusi
sia all’utenza business che consumer. Altro indice rilevante dello stato di salute del digitale
“pubblico” è l’uso dell’informatica nelle scuole: un settore che in Italia ha ancora bisogno di
notevoli miglioramenti.
2. Le imprese IT in Italia
Con circa 100mila imprese e 400mila addetti il settore informatico italiano occupa una
posizione rilevante all’interno del sistema economico italiano. Secondo i dati Eurostat il settore
IT si colloca, infatti, nella Top Ten delle attività economiche in Italia, sia in termini di valore
aggiunto complessivamente prodotto che di addetti occupati, con un’incidenza vicina al 3%.
Particolarmente interessante appare il raffronto con alcuni settori tradizionali dell’economia
– come ad esempio l’industria del legno, la chimica e l’editoria - rispetto ai quali il comparto
IT è caratterizzato da un maggior peso (in alcuni casi il doppio o il triplo) relativamente ad
addetti e a valore aggiunto totali mostrando, peraltro, una maggiore pervasività nel panorama
imprenditoriale italiano.
La rilevanza del settore IT in Italia è dimostrata anche dai dati relativi alla produttività. Se si
considera la remunerazione del capitale umano per unità di prodotto realizzato o di servizio
erogato, il settore IT ha una produttività del 26%, superiore di 13 punti percentuali alla media
nazionale, a dimostrazione di una elevata presenza nel comparto di capitale umano altamente
professionalizzato e di realtà aziendali con strutture organizzative efficienti.
Dall’osservazione del settore IT emerge come comparto prevalente quello del Software e Servizi
riguardante la consulenza informatica, lo sviluppo del software propriamente detto, la gestione
e l’analisi dei dati e, più in generale, tutte le attività connesse all’informatica.
Da un punto di vista strutturale, il 92% delle imprese IT italiane è concentrato sullo sviluppo
di Software e Servizi connessi, il 6,2% si occupa di Assistenza tecnica, mentre solo l’1,8%
ha come attività prevalente la fabbricazione di macchine informatiche. Proprio il comparto
dell’Hardware sta vivendo negli ultimi anni una contrazione lenta ma continua in termini di
unità produttive.
Dal punto di vista della forma giuridica le imprese del settore IT sono prevalentemente costituite
in società di capitali, le quali incidono sulla numerosità totale del settore per il 32% e occupano
una quota di addetti pari al 69% (quota che raggiunge quasi l’84% se si considerano i soli
dipendenti). Ciò significa che il settore dell’IT ha, da un punto di vista strutturale, una solidità
importante: il 57% delle imprese con forma societaria impiega infatti l’88% degli addetti e il
98% dei dipendenti. Va detto tuttavia che, come il resto dell’economia del Paese, anche il settore
IT è contraddistinto dalla schiacciante presenza di micro-imprese. Circa il 94% delle imprese
informatiche italiane ha infatti meno di 10 addetti e occupa appena il 25% dei dipendenti e il
44% degli oltre 390mila addetti complessivi del settore.
Anche per numero di addetti è il comparto Software e Servizi il più importante del settore
IT. In particolare, nel 2008 si osserva che, sulla totalità degli addetti del settore IT, il 92,4% è
impiegato nello sviluppo di Software e Servizi, il 4,0% si occupa di Assistenza tecnica e solo il
3,6% è impiegato nella fabbricazione di macchine per ufficio, nell’assemblaggio di elaboratori
o nella realizzazione di sistemi informatici.
Analogamente a quanto constatato per le imprese, si osserva un leggero ma continuo
rafforzamento del comparto dei Servizi (+0,2%) e una corrispondente progressiva contrazione
del comparto Hardware.
Informatica
155
Dalla ripartizione territoriale delle imprese IT si nota come le unità locali siano concentrate
per la grande maggioranza nell’area del Nord-Ovest (circa 38mila unità) e a seguire nel Centro
(circa 24mila unità) e nel Nord-Est Italia (22mila unità); in misura minore nel Meridione e nelle
Isole (queste ultime due ripartizioni contano insieme poco meno di 21mila unità produttive).
La Lombardia è la regione con il maggior numero di unità locali IT (quasi 27mila). Il Lazio con
12mila unità di produzione è al secondo posto nella gerarchia delle regioni italiane, seguito da
Veneto, Toscana, Piemonte ed Emilia-Romagna.
Le unità locali attive nel settore IT producono un fatturato complessivo superiore ai 44 miliardi
di euro, pari a circa 440mila euro per unità produttiva e a 110mila euro per addetto. Di questo,
l’88% è stato prodotto dal comparto Software e Servizi, il 9% dal comparto Hardware e solo il
3% dall’Assistenza tecnica.
La crisi economica e finanziaria del biennio 2008-2009 si è quindi innestata su una struttura
imprenditoriale diffusa, ma fragile, caratterizzata da poche grandi imprese (Tab. 4) le prime 50
aziende informatiche italiane coprono circa il 50% del fatturato totale e decine di migliaia di
piccole e microimprese si contendono l’altro 50% del mercato.
Dal lato dell’offerta si tratta di un mercato orientato prevalentemente alla fornitura verso
pochi grandi spender dell’industria, del mondo bancario, della sanità pubblica e delle
telecomunicazioni.
Dal lato della domanda osserviamo un mercato ristretto che rende molto difficile la crescita del
settore attraverso gli investimenti in ricerca e innovazione delle imprese IT.
Un mercato caratterizzato da:
•
•
una spesa consumer ancora molto bassa sul totale (6% circa);
un settore pubblico “bloccato” dal debito e dalle società in house e che non riesce quindi
a fare da driver per lo sviluppo del mercato (con una quota ormai stabile da anni intorno
al 15% del totale);
il segmento business largamente dominato da poche grandi imprese che, pur calando gli
investimenti in informatica dell’8% nel 2009, spendono per l’IT quasi il 57% del totale
business.
•
Tabella 4 - Top 50 Aziende dell’IT in Italia: ricavi
156
Rank
Società
2009
2009/2008
2008
2008/2007
2007
1
Hewlett-Packard Italiana (Gruppo)
2.850
-7,0%
3.064
2,4%
2.993
2
IBM Italia
2.050
-6,0%
2.182
1,9%
2.141
3
Esprinet (Gruppo)
1.600
-10,2%
1.781
-1,2%
1.804
4
Accenture
960
-0,7%
967
17,1%
826
5
Cisco Systems Italy
880
-4,3%
920
5,7%
870
6
Microsoft
827
0,2%
825
0,6%
820
7
Engineering (Gruppo)
740
5,4%
702
59,9%
439
8
Acer Italy
710
2,4%
693
9,5%
633
9
Ecs
600
6,0%
566
8,6%
521
10
Asustek Italia
590
5,4%
560
28,7%
435
11
Tech Data
585
-5,2%
617
0,8%
612
12
Computer Gross Italia
550
6,6%
516
10,3%
468
13
Ingram Micro Italia
505
-12,4%
576
-11,5%
651
14
Elsag Datamat
500
-0,4%
502
10,7%
454
15
Almaviva (Gruppo)
390
-3,9%
406
-15,8%
482
16
Oracle Italia
381
4,4%
365
7,2%
341
17
Samsung
378
16,1%
326
21,4%
268
Informatica
18
Sia Ssb (Gruppo)
370
-2,3%
379
-1,6%
385
19
Datamatic
360
3,7%
347
10,2%
315
20
Cdc (Gruppo)
350
-6,6%
375
-20,2%
470
21
Fujitsu Technology Solutions
315
-3,1%
325
4,6%
311
22
Apple Computer
315
5,0%
300
25,0%
240
23
Dell
290
-9,4%
320
6,7%
300
24
Google
290
16,6%
249
26,2%
197
25
Italtel (Gruppo)
288
-16,1%
343
-17,6%
416
26
Sap Italia
285
-6,6%
305
20,6%
253
27
Reply (Gruppo)
280
5,6%
265
20,7%
220
28
Value Team
275
-2,6%
282
4,2%
271
29
Ricoh
250
-8,4%
273
-13,1%
314
30
Cedacri (Gruppo)
250
-1,1%
253
25,0%
202
31
Zucchetti (Gruppo)
231
5,0%
220
7,3%
205
32
Xerox
230
-2,1%
235
-0,8%
237
33
Sun Microsystems Italia
228
-15,6%
270
-16,9%
325
34
Sony Computer Entertainment
220
4,8%
210
-16,6%
252
35
Lexmark
210
-8,7%
230
-2,1%
235
36
Epson Italia
210
-5,6%
223
-12,9%
255
37
Csi Piemonte
180
1,7%
177
3,1%
172
38
Bassilichi
180
-2,7%
185
51,9%
122
39
Brevi
172
-3,9%
179
1,2%
177
40
Toshiba
170
-5,6%
180
-14,3%
210
41
Sony Italia
170
9,7%
155
10,7%
140
42
Cse Consorzio Servizi Bancari
167
6,2%
157
10,0%
143
43
Altran Italia
160
-9,2%
176
12,9%
156
44
E-Motion
160
-4,7%
168
-4,0%
175
45
Siemens It Sol. & Svcs
160
-3,7%
166
-7,9%
180
46
Ncr
160
-3,1%
165
-2,4%
169
47
Infracom (Gruppo)
160
-1,2%
162
44,5%
112
48
Emc
150
-9,1%
165
-7,3%
178
49
Olivetti
150
-6,3%
160
-3,0%
165
50
Avnet Technology Solutions
145
-2,6%
149
7,4%
139
Note: dati in milioni di euro. Fonte: Elaborazioni su stime SIRMI.
3. Il mercato
Il mercato IT ha quindi evidenziato, soprattutto nel corso del 2009, una situazione di forte
criticità con un calo dell’8,1%, molto più profondo di quello medio europeo e secondo per
entità solo al “crollo” a 2 cifre della Spagna.
Segnali incoraggianti vengono tuttavia soprattutto dal segmento del software applicativo, e nel
corso del 2010, da un deciso recupero degli investimenti aziendali in hardware.
Il comparto dell’Hardware ha registrato, nel 2009, la dinamica peggiore dell’intero mercato IT,
generando ricavi per 4.874 milioni e perdendo quindi, rispetto all’anno precedente il 14,8% in
termini di valore.
Informatica
157
Tabella 5 – Il Mercato dell’informatica in Italia, 2007-2009 (Valori in mln € e variazioni in %)
2009
09/08
2008
08/07
2007
Servizi
8.750
-6,5%
9.355
0,4%
9.317
Hardware
4.874
-14,8%
5.723
-0,2%
5.733
Software
4.307
-3,6%
4.470
3,4%
4.325
755
-5,0%
795
-2,5%
815
18.686
-8,1%
20.343
0,8%
20.190
Assistenza Tecnica
Totale
Fonte: Assinform/NetConsulting, 2010.
Tutti i segmenti evidenziano contrazioni di fatturato, in alcuni casi molto accentuate. In
particolare, l’andamento più negativo ha riguardato i prodotti di fascia alta e prezzo elevato.
In termini di unità, l’unico segmento che mostra una crescita è quello dei notebook, grazie alla
tenuta del mercato consumer ed alle vendite del sub-segmento dei netbook (computer portatili
di fascia e dimensione bassa).
Un fattore importante da rilevare, dal punto di vista dell’offerta, è la rinuncia da parte di alcuni
operatori nazionali alla delocalizzazione, al fine di ridurre drasticamente il “time-to-market”,
tentando di soddisfare con maggiore tempestività e prodotti personalizzati una domanda
sempre più frammentata.
In generale il segmento dei Personal Computer registra, per la prima volta, tassi di crescita
negativi in valore, mentre si mantengono in crescita (seppure a tassi ridotti) le unità vendute.
Nonostante la sostanziale tenuta del mercato consumer, i ridotti investimenti del mondo
business, aziende e professionisti, hanno penalizzato fortemente la domanda. Le vendite
dell’intero comparto, che include i Pc Client (desktop e notebook) e i Pc Server , ammontano
a 6.942.000 unità, in crescita dello 0,5% sull’anno precedente, per circa 2.827 milioni di Euro.
Complessivamente, alla fine del 2009 il parco dei Personal Computer installati ammonta a
33.238.000 unità, con una diminuzione consistente del peso dei desktop e un incremento del
notebook, che ormai rappresenta poco meno del 40%.
La domanda di PC Client (desktop e notebook), che da alcuni anni sosteneva il fatturato
hardware, è stata debole per quasi tutto il 2009, con una lieve ripresa sul finire dell’anno, grazie
anche alla disponibilità di modelli con nuovi processori.
Complessivamente sono stati venduti circa 6.772.000 pezzi con un incremento dell’1,2%,
grazie soprattutto al forte contributo dei netbook, le cui vendite sono cresciute di quasi l’80%
in termini di unità, raggiungendo circa 1.550.000 pezzi. Questi prodotti, caratterizzati da
dimensioni ridotte (con uno schermo inferiore a 11”) e prezzo molto contenuto, hanno però in
parte cannibalizzato le vendite di notebook, determinando un abbassamento del prezzo medio
e, di conseguenza, dei ricavi complessivi, che si sono ridotti dell’11,6%.
Utilizzi interessanti di questi piccoli sistemi vengono segnalati nelle sperimentazioni in ambito
scolastico: ad esempio, in scuole elementari e medie, per creare una “connected classroom”, si
utilizzano modelli costruiti parzialmente in gomma per meglio sopportare urti e graffi, dotati
di tastiera antimicrobo per tutelare la salute dei bambini. Le lezioni possono essere seguite
dagli alunni con connessione Wireless; l’insegnante usufruisce di una lavagna interattiva, le
nozioni sono memorizzate su disco fisso e messe a disposizione su blog.
Ulteriori sviluppi in quest’area sono attesi con il lancio dei nuovi tablet touchscreen e dei
dispositivi ebook, che hanno avuto un grande successo negli Stati Uniti, il cui decollo nel
nostro Paese è legato principalmente allo sviluppo di contenuti editoriali e servizi fruibili sui
nuovi dispositivi.
Per quanto riguarda la componente PC Server, si è accentuata nel 2009 la contrazione che si
era già affacciata nella seconda metà dell’anno precedente. La domanda è stata molto debole
durante tutto l’anno con lievi segnali di ripresa solo nel quarto trimestre. Le vendite si sono
attestate a circa 170.000 pezzi, con una flessione del 20,9% sull’anno precedente. Anche in
158
Informatica
termini di fatturato il trend è stato negativo, dal momento che i progetti di rilievo sono stati
scarsi ed hanno penalizzato la vendita di configurazioni di maggior valore.
La componente Mainframe, fra i segmenti hardware, è quella che ha maggiormente sofferto
per la mancanza di investimenti strategici. Tutti i progetti di ampio respiro sono stati congelati:
gli investimenti sono stati indirizzati alla sostituzione di macchine di vecchia generazione o a
piccoli incrementi di potenza elaborativa per far fronte a necessità applicative già esistenti.
Come già nel 2008, tali fenomeni hanno riguardato particolarmente l’ambiente bancario e
finanziario i quali, da soli, valgono oltre l’80% dell’intero mercato Mainframe.
Da segnalare una crescente attenzione alle possibilità di utilizzo del Mainframe in ambito Cloud
Computing, con software direttamente fruibile dalla rete Web in modalità SaaS (Software-asa-Service).
Nel segmento delle Stampanti si sono accentuate le tendenze già evidenziatesi negli ultimi anni,
con la conferma del declino del segmento inkjet, il cui utilizzo è ormai limitato al mondo
consumer, e la diminuzione delle vendite della componente monofunzione del segmento
laser. L’unica componente di mercato a “tenere”, seppure con tassi di crescita inferiori agli anni
passati, è quella dei prodotti multifunzione laser, sia bianco e nero che a colori, che però non
riescono a compensare il calo del mercato multifunzione inkjet. È confermata la tendenza
al consolidamento delle stampanti aziendali verso i sistemi multifunzione e l’estensione dei
cosiddetti Managed Print Services a consumo. Si sta infatti assistendo alla crescita dei cosiddetti
servizi del tipo pay per print (detti anche pay per page), che si basano sul pagamento di un
canone calcolato sul numero di pagine prodotte (stampe, copie, fax). Il canone comprende,
oltre all’uso della stampante, l’assistenza sistemistica, i ricambi, i consumabili e la gestione. Nei
contratti è spesso associata un’offerta di sostituzione del parco macchine con apparecchiature
nuove, promuovendo in tal modo il rinnovamento tecnologico.
I ricavi della componente Storage, dischi e nastri, si attestano a circa 272 Milioni di Euro, in
contrazione del 15% rispetto al 2008.
Analogamente a quanto visto negli altri segmenti, anche nel caso dello storage il mercato
ha prevalentemente richiesto soluzioni di potenziamento e razionalizzazione dell’esistente,
piuttosto che soluzioni relative a nuovi progetti. Nonostante la congiuntura economica
negativa, la domanda del mercato è stata alimentata dalla forte crescita del volume delle
informazioni da gestire, dall’altissima percentuale di informazioni “non strutturate” (e-mail,
messaggi, documenti, immagini, video), dall’elevato e crescente numero di normative che
spesso comportano la necessità di dover conservare i dati aziendali per lungo tempo.
Le strategie di offerta degli operatori del settore sono state indirizzate a soddisfare 3 esigenze
fondamentali:
•
miglioramento del servizio: soluzioni di condivisione, virtualizzazione, automazione;
•
gestione del rischio: protezione, encryption, disaster recovery, business continuity;
•
riduzione dei costi: consolidamento, archiviazione intelligente, green computing, cloud
computing.
Il comparto dell’Assistenza Tecnica, sebbene in contrazione del 5%, sembra aver sofferto meno
della diminuzione generalizzata degli investimenti: il ritardo nel rinnovamento del parco
installato ha infatti indotto le aziende ad acquistare servizi di supporto al fine di continuare a
garantire il buon funzionamento delle infrastrutture.
Sono ormai note da tempo le ragioni che strutturalmente determinano la diminuzione del
fatturato della manutenzione dei prodotti hardware:
•
i nuovi prodotti sono sempre meno costosi ed il servizio di manutenzione ne segue il trend
al ribasso dei prezzi;
•
sempre più diffusi i processi di concentrazione ed ottimizzazione delle infrastrutture:
Informatica
159
molti server o torri storage , di capacità e prezzi inferiori, sono sostituiti in processi
di consolidamento e virtualizzazione da minori unità, di fascia più elevata, che
complessivamente offrono migliori prestazioni, minori consumi energetici diretti ed
indiretti, maggiore efficienza di gestione per cui il servizio di manutenzione costa
complessivamente meno.
Per quanto attiene le tariffe, anche se i prezzi a listino nel 2009 sono rimasti sostanzialmente
invariati o sono lievitati solo leggermente per riflettere l’andamento dell’inflazione, molto spesso
i vendor hanno concordato di offrire al cliente servizi migliori o più estesi a prezzi invariati.
Qualche sofferenza si è manifestata nella parte bassa del mercato, a causa della mancanza di
rinnovi contrattuali e di uno slittamento generalizzato verso i livelli di servizio inferiori.
Dal punto di vista dei modelli di offerta occorre sottolineare che il ricorso a politiche di buy
da parte dei vendor, che comportano l’utilizzo di Terze Parti , si è molto ridotto negli ultimi
tempi. L’estrema competitività del mercato ha prodotto diffusi fenomeni di selezione, fusione
e concentrazione degli operator e le Terze Parti rimaste competitivamente sul mercato sono
poche e di dimensioni abbastanza rilevanti.
E’ chiaro che il ricorso alle Terze Parti consente di avere maggiore flessibilità e copertura del
territorio in caso di intervento; ma la gestione e il training di queste è oneroso e non privo di
rischi in quanto può accadere che la Terza Parte, raggiunta una certa massa critica ed autonomia
di intervento, possa sottrarre opportunità d’affari al vendor con il quale collabora.
Pur essendo un business in contrazione ormai da molti anni, gli operatori che presidiano il
settore sono molto attenti alla cura di questa tipologia di servizio per due ragioni fondamentali:
•
la marginalità lorda del servizio di assistenza tecnica si mantiene su livelli interessanti, in
genere più elevata all’aumentare della complessità e criticità degli ambienti;
•
il grande valore tattico e strategico del servizio, in quanto un efficiente servizio di
manutenzione e assistenza tecnica fidelizza il cliente, garantisce un importante ritorno
in termini di immagine e permette talvolta di influenzare le scelte in relazione a nuovi
investimenti sia in termini di prodotti sia di servizi.
Il 2009 ha confermato i timori e le speranze che erano stati espressi alla fine del 2008
relativamente all’evoluzione futura del comparto Software e Servizi.
Le conseguenze della crisi economica si sono manifestate in tutta la loro portata anche in questo
settore, mostrando le dinamiche in maggior calo nell’ambito del segmento servizi IT (-6,5%
rispetto al 2008) e una contrazione più attenuata nell’area del software (-3,6% rispetto al 2008),
determinando una contrazione complessiva del -5,6% che ha portato il valore complessivo del
mercato a 13.057 milioni di Euro (Tab. 4).
In dettaglio, il rallentamento del mercato Software è riconducibile a tutti e tre i segmenti che
lo compongono:
Tabella 6 - Mercato del Software in Italia, 2007-2009 (valori in mln € e variazioni %)
2009
Software di base
09/08
2008
08/07
2007
590,5
-4,6%
619,0
3,2%
600,0
Software Applicativo
2.631,5
-4,1%
2.744,0
2,5%
2.678,0
Software Middleware
1.085,0
-2,0%
1.107,0
5,7%
1.047,0
Totale Software
4.307,0
-3,6%
4.470,0
3,4%
4.325,0
Fonte: Assinform/ NetConsulting.
È ormai da qualche anno che il mercato degli strumenti software middleware si conferma
importante. Il 2009, in particolare, mostra un’azione diretta da parte delle aziende su due
tematiche, virtualizzazione e sicurezza, che trovano nelle iniziative di consolidamento un
supporto tecnologico fondamentale.
160
Informatica
L’adozione di soluzioni di virtualizzazione appare in crescita relativamente non solo al numero
di imprese che hanno avviato progetti in tal senso ma anche agli elementi dell’infrastruttura
IT che sono oggetto di queste iniziative. Sempre più frequentemente, infatti, le soluzioni di
virtualizzazione interessano oltre ai server, anche gli apparati storage, i desktop, i laptop e le reti
aziendali, concentrati in un unico centro di elaborazioni e dati o localizzati in più Data Center.
I vantaggi della virtualizzazione riguardano:
•
una forte riduzione dei costi, anche indiretti come quelli per il consumo di energia e per il
raffreddamento. In questo senso, le iniziative di virtualizzazione possono essere viste come
attività propedeutiche alla realizzazione di Data Center “green” e all’avvio di strategie per la
sostenibilità della crescita aziendale;
• l’ottimizzazione e la flessibilità delle infrastrutture IT, sistemi e applicazioni, in relazione alla
domanda variabile di capacità computazionale da parte delle varie funzioni dell’azienda.
La crescente affermazione dei nuovi modelli di virtualizzazione consente anche di iniziare a
riflettere su modalità di gestione on demand, ovvero basate sul concetto di Cloud Computing
relativamente a infrastrutture (IaaS e altri approcci), piattaforme di sviluppo (PaaS) e
applicazioni (SaaS). Secondo questo nuovo modello IT, i Data Center aziendali potrebbero
evolvere verso private cloud, realizzate attraverso la concentrazione di una serie di risorse IT
dedicate su piattaforme virtualizzate che operano come singoli centri di elaborazione dati, e
forse verso public cloud, basate sull’outsourcing di potenza di calcolo via Internet.
Altre aree caratterizzate da una domanda crescente di soluzioni middleware a supporto sono
rappresentate dalla sicurezza e dalla governance, per rispondere ai timori di perdita dei dati e
del controllo delle infrastrutture e dei sistemi all’interno degli ambienti virtualizzati:
•
per quanto riguarda le tematiche di sicurezza, sta diventando ormai indispensabile
proteggere gli asset aziendali da accessi non autorizzati, incrementando la domanda di
soluzioni di strong authentication, e da interruzioni delle attività, con una crescita della
sensibilità delle aziende verso gli aspetti di Business Continuity e Disaster Recovery.
Tuttavia, le tradizionali soluzioni di sicurezza statiche risultano sempre più insufficienti, da
un lato, perché non sono in grado di proteggere pool di server virtuali dinamici, dall’altro
perché possono ridurre o annullare i benefici della virtualizzazione. In quest’ambito, quindi,
si sta assistendo alla nascita di una serie di soluzioni di sicurezza virtualizzata basate su
appliance virtuali o su agenti collocati all’interno delle macchine virtuali;
• guardando alla governance, le aziende utenti mostrano un interesse crescente per soluzioni
che supportino la capacità di controllo e la riconfigurazione dei Data Center virtualizzati.
Alcuni esempi di funzionalità fornite da tali strumenti sono rappresentate da servizi di
fault tolerance, dalla possibilità di impostare i parametri di storage, rete e sicurezza dei
server, dall’automazione della gestione delle configurazioni, delle operazioni di back up
e ripristino dei dati e applicazioni, dal self provisioning delle risorse del Data Center etc.
Il mercato delle soluzioni applicative ha registrato un calo complessivo superiore alla media del
comparto, -4,1% rispetto al 2008 contro il -3,6% registrato dal segmento del software. Alla base
di questo trend vanno segnalati due fenomeni:
•
le difficoltà economiche hanno rallentato le decisioni di investimento delle aziende
utenti, prevalentemente di quelle di minori dimensioni, tradizionalmente più vulnerabili,
ma anche delle realtà più grandi che dispongono generalmente di parchi applicativi
aggiornati che, quindi, richiedono in misura inferiore l’avvio di iniziative di revisione e di
ammodernamento;
• la portata delle evoluzioni tecnologiche, principalmente nell’ambito dei nuovi concetti
on demand, SOA e delle tematiche innovative del Web 2.0, così come la valutazione dei
possibili ambiti di utilizzo di software Open Source hanno posto le basi, negli utenti finali,
per la nascita di un atteggiamento attendista che sfocia frequentemente nel rinvio degli
investimenti.
L’analisi dettagliata delle singole tipologie di prodotti software evidenzia come la dinamica in
Informatica
161
calo sia trasversale alle varie soluzioni applicative sebbene alcuni ambiti abbiano sofferto più di
altri della congiuntura negativa. Le soluzioni ERP (sistemi gestionali integrati) si confermano
essere il mercato più maturo, con un calo del -7,1% rispetto al 2008; seguono i prodotti di
CRM (Customer Relationship Management) (-5,7%); e i pacchetti di SCM (logistica) e di BI
(business intelligence) che registrano performance meno negative, oscillanti tra il -4,2% e il
-2,9%. Particolarmente interessante è la sempre maggiore integrazione dei pacchetti SCM con
prodotti di BI, a formare un binomio imprescindibile per la competitività delle aziende di tutti
i settori.
I sistemi di BI, infatti, consentono all’azienda di mettere in atto strategie per ottimizzare le
performance dei processi core aziendali, contribuendo a ridurne i costi ed aumentarne i ricavi:
•
in termini di riduzione dei costi e di razionalizzazione del time-to-market, gli strumenti
di BI permettono il controllo delle prestazioni e il monitoraggio dei KPI (indicatori di
prestazione) con ricadute sull’ottimizzazione della Supply Chain e, per il settore Industria,
sulla pianificazione produttiva;
• l’incremento dei ricavi deriva da tool volti al targeting e all’ottimizzazione delle campagne
di marketing e, per alcuni settori come Telecomunicazioni, Utilities e Media, allo sviluppo
di nuovi prodotti/ servizi.
Per questo motivo, la spesa delle aziende utenti ha riguardato prevalentemente:
•
gli strumenti di Business Performance Management, soprattutto nei comparti Finanza e
Pubblica Amministrazione, quali query e reporting ad hoc, dashboard e scoreboard, per
l’analisi finanziaria, la pianificazione e il controllo, nonché l’analisi delle vendite;
• i tool di business analytics sotto forma di metodi predittivi, forecasting e ottimizzazione
che trovano sempre maggior collocazione nell’ambito dei processi decisionali delle aziende.
Il segmento del software di sistema è stato frenato dall’andamento estremamente negativo delle
vendite di PC e server. Tuttavia, nel corso dell’anno, soprattutto nel secondo semestre, si è
assistito ad una ripresa degli investimenti delle aziende utenti.
Negli ultimi mesi del 2009 un’area che ha registrato dinamiche di spesa particolarmente positive
è rappresentata dalle licenze infrastrutturali a supporto delle strategie di virtualizzazione che
consentono di creare sulle macchine fisiche un numero variabile nel tempo e tendenzialmente
infinito di istanze virtuali, gestendo anche gli accessi agli applicativi che risiedono negli
ambienti virtualizzati.
Per quanto riguarda i servizi IT, la spesa delle aziende utenti ha fatto registrare nel 2009 una
pesante battuta d’arresto imputabile a fenomeni già evidenziati nel passato recente tra cui
spiccano:
•
il persistere del downpricing delle tariffe professionali, che si associa - da una lato - alla
rinegoziazione dei contratti in essere e - dall’altro – alla riduzione del loro numero, guidata
anche dalla prosecuzione delle iniziative di consolidamento degli operatori dell’offerta;
• ed una prevalente focalizzazione delle aziende utenti sulle priorità business di recupero
dell’efficienza economica a scapito non solo degli investimenti in innovazione tecnologica
ma anche, sia pur in misura inferiore, delle iniziative in ambito IT volte ad incrementare
l’efficacia aziendale, commerciale e di offerta.
Di conseguenza, le rilevazioni hanno evidenziato:
•
•
162
maggiori investimenti delle aziende utenti sulle attività continuative di gestione, anche
perché iniziate nel passato e con ricadute significative sulla struttura e sul livello dei
costi aziendali, e sui progetti nell’ambito delle tecnologie embedded, con impatti diretti
sull’innovazione di prodotto/ servizio, fattore critico di successo fondamentale per
stimolare la domanda in un periodo di contrazione dei consumi;
spiccata prudenza – nella maggioranza dei casi e soprattutto nella prima parte dell’anno
- nell’avvio di progetti puntuali, sia di fascia alta (Systems Integration e Consulenza) che
di fascia bassa (sviluppo, elaborazione etc.), dal momento che, per incrementare la loro
Informatica
efficacia, le aziende utenti, nel corso del 2009, hanno avviato molteplici interventi sulla loro
organizzazione interna e di Gruppo (ristrutturazioni, fusioni e acquisizioni, dismissioni
etc.) che solo nel breve e medio periodo potrebbero generare esigenze di investimenti IT
a supporto.
Anche nel 2009, gli investimenti delle aziende utenti in servizi IT hanno dato luogo a tre diversi
cluster di progetti ed attività corrispondenti ad altrettante velocità di variazione della spesa:
•
•
•
worst performer: il cluster include i servizi di elaborazione, di sviluppo e manutenzione,
nonché di formazione il cui mercato ha registrato cali significativamente superiori alla
media del comparto, pari rispettivamente al -9,3%, al -8,7% e al -8,8%;
average performer: si tratta dei servizi di consulenza e Systems Integration, veicolati sempre
più spesso in abbinamento nell’ambito di offerte complessive, il cui andamento si colloca su
valori più o meno allineati alla media complessiva;
best performer: in quest’ambito si collocano i servizi continuativi di Outsourcing e i progetti
relativi a tecnologie embedded che beneficiano della forte attenzione degli utenti finali per
attività di razionalizzazione e recupero dell’efficienza nonché di innovazione dell’offerta di
prodotti e servizi.
Tabella 7 - Mercato dei Servizi IT in Italia, 2007-2009 (valori in mln € e variazioni %)
2009/2008
2008
Outsourcing
2009
2.548
-3,5%
2.640,2
2008/2007
2,4%
2.579,4
2007
Sviluppo e Manutenzione
1.957
-8,7%
2.143,0
-1,0%
2.165,3
System Integration
993
-6,8%
1.065,1
1,0%
1.054,2
Sistemi embedded
986
-5,0%
1.037,4
2,2%
1.015,3
Consulenza
950
-7,0%
1.021,0
1,1%
1.010,3
Servizi di Elaborazione
827
-9,3%
912,1
-3,1%
941,4
Formazione
489
-8,8%
536,2
-2,7%
551,1
8.750
-6,5%
9.355,0
0,4%
9.317
Totale Servizi IT
Fonte: Assinform/ NetConsulting.
4. Il confronto internazionale
A livello europeo il mercato informatico italiano rimane sottodimensionato rispetto ai
principali partner (Tab. 8). In testa alla classifica troviamo la Germania (con una quota sul
totale del mercato IT europeo del 20%), seguita dal Regno Unito (18%) e dalla Francia (16%).
La Spagna che negli ultimi anni stava crescendo a ritmi molto sostenuti sembra essere la più
penalizzata dalla crisi.
Tabella 8 – I principali mercati UE dell’Informatica
2009
2009/2008
2008
2007
2008/2007
Germania
69,0
-4,6%
72,3
69,9
3,4%
20%
Regno Unito
59,7
-6,7%
64,0
62,0
3,2%
18%
Francia
53,1
-3,8%
55,2
53,4
3,4%
16%
Italia
18,7
-7,9%
20,3
20,2
0,5%
6%
Spagna
14,4
-8,9%
15,8
15,1
4,6%
4%
339,3
-5,4%
358,7
346
3,7%
Totale EU27
Quota su UE27
Fonte: Assinform/ NetConsulting.
Ciononostante,in termini di numero di imprese, l’Italia si posiziona al secondo posto assoluto
in Europa dopo il Regno Unito (UK), ma prima di Francia e Germania.
Informatica
163
Facendo invece riferimento invece agli addetti del settore IT europeo, l’Italia scende al terzo
posto dopo UK e Germania.
Dall’analisi del numero medio di addetti e del fatturato medio per impresa emerge che l’Italia
si colloca in entrambi i casi nettamente al di sotto della media europea (sia a 15 che a 27 Stati),
e di poco al di sopra della media dei nuovi Stati membri. Infatti, se in Italia il numero medio
di addetti per impresa del settore IT è pari solo a 4 (mentre la media europea è di 5 addetti),
rispetto al fatturato medio prodotto per addetto la situazione non migliora (110mila euro
contro una media europea di 150mila euro), a conferma di una maggiore frammentazione
imprenditoriale italiana.
A livello europeo l’Italia piazza ben 6 le regioni nella Top 20 delle aree a vocazione informatica
del Continente, superando il Regno Unito (a quota 4) e la Spagna (ferma a 2).
Se allarghiamo l’esame alle prime 30 regioni europee per numero di unità locali dell’IT entra
in classifica anche la Campania, prima tra le Regioni del Mezzogiorno, a conferma di una
vocazione regionale informatica molto spiccata.
Tabella 9 - Prime 30 Regioni europee per numero di unità locali dei Servizi IT
2007
2006
2005
Lombardia
26.652
24.825
24.755
Île de France
26.484
26.724
25.367
Közép-Magyarország
14.661
14.066
13.893
Stockholm
14.185
13.782
12.989
Outer London
12.856
12.502
12.368
Lazio
11.525
11.904
11.306
Inner London
11.344
10.867
10.327
Comunidad de Madrid
11.177
11.020
9.899
Mazowieckie
9.649
7.839
7.548
Berkshire, Bucks and Oxfordshire
9.554
9.392
9.320
Surrey, East and West Sussex
8.929
8.963
8.783
Veneto
8.914
8.772
8.257
Denmark
8.605
nd
nd
Toscana
8.406
6.323
7.197
Cataluña
8.286
8.082
7.084
Piemonte
8.274
8.063
7.715
Emilia-Romagna
8.140
8.252
7.676
Attiki
7.911
nd
4.722
Praha
6.469
7.804
7.532
Oberbayern
6.372
6.540
5.877
Lisboa
6.100
6.394
6.411
Rhône-Alpes
6.026
6.062
5.620
Västsverige
5.760
5.520
5.269
Gloucestershire, Wiltshire and Bristol/
Bath area
5.597
5.810
5.523
Provence-Alpes-Côte d’Azur
5.454
5.579
5.168
Campania
5.442
5.255
5.465
Bedfordshire, Hertfordshire
5.184
5.212
5.110
Bucuresti - Ilfov
5.057
4.607
4.123
Zuid-Holland
5.030
5.060
4.350
Hampshire and Isle of Wight
4.807
4.798
4.790
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat 2010
164
Informatica
Se ci riferiamo alla numerosità degli addetti, invece, la Lombardia scivola dal primo al terzo
posto assoluto in Europa, mentre escono addirittura dalla Top 30 delle Regioni continentali
sia la Toscana che la Campania, confermando da un lato la numerosità dell’imprenditorialità
italiana, ma dall’altro la minor dimensione in termini di occupati rispetto alle altre regioni
d’Europa.
Tabella 10 - Prime 30 Regioni europee per numero di addetti dei Servizi IT
2007
2006
2005
Île de France
226.508
198.142
202.922
Comunidad de Madrid
129.354
116.661
102.734
Lombardia
99.771
98.708
103.739
Inner London
79.650
72.079
74.266
Berkshire, Bucks and Oxfordshire
66.578
63.913
63.581
Lazio
61.554
63.889
59.954
Stockholm
55.857
51.478
49.382
Denmark
53.838
nd
nd
Stuttgart
45.934
42.520
45.730
Darmstadt
44.065
37.774
38.397
Outer London
43.773
41.026
43.588
Közép-Magyarország
43.309
40.144
38.392
Surrey, East and West Sussex
42.790
41.787
42.043
Oberbayern
41.479
43.000
41.401
Cataluña
41.357
36.900
34.837
Karlsruhe
36.971
35.169
33.354
Düsseldorf
35.162
34.767
32.620
Piemonte
33.522
32.225
33.412
Köln
33.117
30.369
27.886
Southern and Eastern
32.790
30.955
nd
Rhône-Alpes
32.495
33.693
30.643
Veneto
32.461
31.430
30.106
Utrecht
31.668
31.001
29.445
Hampshire and Isle of Wight
31.217
30.442
27.325
Emilia-Romagna
30.955
30.071
29.440
Etelä-Suomi
30.369
29.690
27.655
Mazowieckie
30.003
25.396
23.147
Bucuresti - Ilfov
29.933
25.144
20.131
Praha
27.228
24.286
23.132
Zuid-Holland
27.185
31.148
29.086
Fonte: Elaborazioni su dati Eurostat 2010
Informatica
165
Videogiochi
166
Videogiochi
di William Ricci
1. Il mercato italiano
Il riposizionamento strategico che ancora caratterizza le attività dei grandi format owner ha
influenzato i dati di mercato più recenti producendo diverse flessioni nei segmenti classici del
settore videoludico. In Italia, e in Europa più in generale, si è diffusamente cercato di giustificare
il declino dei videogiochi con l’impatto che la recente crisi economica ha avuto sui consumi.
Nel corso del capitolo vedremo che, almeno nel nostro paese, la situazione è più complessa e in
parte meno negativa di quanto affermato negli ultimi mesi dalla stampa nazionale, sia su web1
che su canali tradizionali2.
Nel 2009, secondo i dati forniti da AESVI, in Italia, per la prima volta dal 2005, si è registrato
un trend negativo del 10% circa con poco meno di un miliardo e 130 milioni fatturati.
Disaggregando il dato i due macrosegmenti hardware e software mostrano una diversa
contrazione del livello di spesa, registrando rispettivamente una flessione del 15% e del 6,4%.
Stando alla nota metodologica del rapporto AESVI 20093 notiamo, però, come il calcolo totale
scaturisca al netto di due importanti segmenti la cui portata strategica risulta in costante
crescita: il mercato liquido e i game device. Va inoltre sottolineato che la flessione del 2009 è
in parte figlia della piena fase di maturità (o di iniziale declino) del ciclo di vita dei prodotti
hardware console.
Figura 1 - Mercato Italiano. Valori, milioni di euro.
1400
1.262,7
1200
800
600
741,6
741,9
514,2
474,9
400
200
1.128,9
1.038,2
1000
670,9
557,5
591,9
480,5
627,8
501,1
266,9
227,4
0
2005
2006
Totale Software Games
2007
2008
Totale Hardware
2009
Totale
1
Federico Cella, Anche i videogiochi sono in crisi, Corrieredellasera.it – I Blog, 2010.
2
Videogames in frenata: ricavi giù del 10%, Sole24Ore, 2010. Anteprima disponibile su: www.banchedati.
ilsole24ore.com. Jaime D’Alessandro, Per i videogame segnali di crisi, Repubblica, 2010.
3
AESVI-GFK, 2009 - Rapporto annuale sullo stato dell’industria video ludica in Italia, 2010.
Videogiochi
167
Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI.
Prima di affrontare l’analisi dei mercati liquidi e device, soffermiamoci sul rapporto che
intercorre tra i segmenti hardware e software nelle loro declinazioni home e portable.
Osservando l’andamento dei valori notiamo un andamento direttamente proporzionale nella
fruizione mobile (portable console) sin dal 2005, con una flessione percentuale hardware e
software nel 2009 pressoché simile, rispettivamente del -21% e del -27%.
Figura 2 - Rapporto Hardware e Software. Valori milioni di euro.
Software Home Console
Hardware Home Console
Software Portable Console
Hardware Portable Console
500
450
410,1
431,2
400
319,7
350
328,1
300
292,5
286,8
250
100
321,7
228,4
179,4
200
150
363,3
135,2
146,1
50
205,6
174,4
120,8
92,1
193,7
149,1
111,5
80,6
0
2005
2006
2007
2008
2009
Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI.
Diversa è la situazione del comparto casalingo (home console). I valori, dal 2005 in poi, mostrano
un rapporto tra videogiochi e console che lascia trasparire la natura fortemente trainante del
mercato hardware in grado di anticipare i trend positivi dei titoli di circa un anno. Nel dicembre
2005 il mercato hardware sperimenta l’entrata nel mercato della console Microsoft Xbox 360,
con la Nintendo Wii e Sony PlayStation 3 ad attendere rispettivamente il dicembre 2006 e
marzo 2007. Fatta salva la contrazione dei prezzi che il mercato console mostra dopo un solo
anno dall’inizio delle vendite, vediamo il valore generato produrre forti incrementi percentuali
nel 2007 (+ 98,6% - inizio vendita Nintendo Wii e Sony Playstation 3 e contrazione prezzi Xbox
360) e nel 2008 (+26,6% - contrazione prezzi Wii e PS3). Il declino che invece registra il 2009
(-11,4%) è in parte interpretabile a partire dal ciclo di vita del prodotto hardware in fase di
declino o piena maturità, oltre che dalla contrazione dei consumi causata alla crisi economica.
I titoli home console (mercato software), al contrario, registrano una crescita ritardata di circa
un anno rispetto al segmento hardware, con una fase di stabilità media tra il 2005 e il 2007, un
forte incremento nel 2008 (+28%) ed una leggera crescita nel 2009 (+5%). La sproporzione che
sussiste tra l’andamento dei valori hardware e software è quindi figlia delle forme d’acquisto di
videogiochi per home console che, penalizzati dal forte impegno di spesa tipico del mercato
hardware home console, soffrono di un ritardo temporale di circa un anno. Notiamo infatti
come i titoli dedicati all’intrattenimento casalingo siano l’unico segmento in crescita nel 2009 a
riprova della loro redditività in una fase scevra da voci di spesa più intense e vincolanti.
Anche i volumi delineano una proporzione tra hardware e software nelle loro declinazioni
portable e home simile ai valori. La vendita di home console registra infatti i trend migliori nel
2007 (+31%) e nel 2008 (+30%) mostrando quindi un leggero declino nel 2009 (-2,7%). I titoli
168
Videogiochi
per l’intrattenimento casalingo presentano al contrario un reale aumento di copie vendute solo
nel 2008 (+12%), continuando il loro percorso in positivo anche nel 2009 (+3,4%).
Il segmento portable mostra al contrario un rapporto hardware e software decisamente più
omogeneo: nel 2007 sia le console vendute che i titoli riportano un +66%, nel 2008 ancora
un +14% su lato hardware e un +22% su lato software, fino al 2009 in cui entrambe le voci
sperimentano rispettivamente un declino del -20% e del -21,5%.
Figura 3 - Rapporto Hardware e Software, volumi migliaia di unità.
Software Home Console
Hardware Home Console
Software Portable Console
Hardware Portable Console
12.000
10.161
10.000
8.977
8.973
10.507
9.071
8.000
6.689
6.000
3.287
4.000
5.245
5.466
2.187
2.000
0
835
850
2005
1.276
767
631
2006
1.097
2007
1.467
1.170
1.430
1.390
2008
2009
Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI.
Veniamo ora alla costruzione di un nuovo indice che integri nel mercato totale i segmenti
liquidi e game device. Quest’ultimo in particolare ha mostrato una vivacità sorprendente
negli ultimi 4 anni, facendo registrare trend di crescita notevoli nel 2009 (+73%) con oltre
159 milioni fatturati. In realtà i trend positivi sono una conseguenza del sottosegmento dei
controller che, sfruttando i nuovi modelli di fruizione imposti da Nintendo Wii, ha conosciuto
forti incrementi già nel 2008 (+30%) fino a superare oltre i 100 milioni di euro nel 2009
stabilendo un +109% rispetto all’anno precedente.
Tra i game device si annoverano anche il sotto segmento dei game accessories, ovvero una
serie molto varia di accessori ed oggetti volti a migliorare l’esperienza videoludica come
le schede di memoria per il salvataggio dei dati fino agli astucci per console portatili. Tale
voce mostra un sviluppo pressoché costante che ben s’inserisce in quel nuovo trend che
vede la console come dispositivo in grado di rinnovare la propria funzione ludica attraverso
operazioni di upgradig strategico. In particolare riteniamo quello dei game controller, e dei
game device più in generale, segmenti ancora lontani dall’esaurire il loro slancio in termini
di valori e volumi, a fronte soprattutto delle novità di prodotto di Sony e Microsoft che, con
il loro nuovi controller (Microsoft Kinect4 e Playstation Move5), sono a pieno titolo entrati nel
mercato device concorrendo sostanzialmente alla pari con Nintendo. In particolare vediamo
configurarsi un nuovo assetto in seno alle strategie hardware attraverso una dilatazione del
ciclo di vita delle console possibile grazie all’implementazione di nuove ed innovative forme di
controllo di gioco.
4
5
Giacomo Dotta, Project Natal a battesimo: è nato Kinect, Webnews, 2010.
Giacomo Dotta, Playstation Move, la risposta a Wii e Natal, Webnews, 2010.
Videogiochi
169
Figura 4 - Mercato Italiano Game Device. Valori, milioni di euro.
350
159,3
Totale Game Devices
300
Game Accessories
250
Game Controller
92,0
200
50,0
63,4
150
48,2
41,4
100
15,4
8,2
50
39,7
40,0
32,8
33,2
109,3
23,4
52,3
0
2005
2006
2007
2008
2009
Fonte: elaborazione IEM su dati AESVI.
L’ultima voce che merita un breve approfondimento è quella relativa al mercato liquido. La
crescita in questo caso è molto più contenuta, +2% per oltre 148 milioni generati nel 2009, con
un diverso andamento nei valori tra modelli di accesso mobile e online. La prima, con poco
meno di 79 milioni, sperimenta una flessione di circa il 4% che, seppur lieve (ed inferiore a
quella del 2008) risulta particolarmente preoccupante in quanto inserita in un contesto storico
e geografico propenso alle tecnologie e ai modelli di fruizione mobile. Il secondo registra un
costante aumento dal 2007 ad oggi, fatturando nel 2009 circa 70 milioni di euro con un +11%
e premiando in particolare la vendita di hardware console che, da 32 milioni di euro nel 2008,
arriva nel 2009 a fatturarne oltre 37.
A questo punto possiamo costruire un nuovo indice tassonomico del mercato videoludico che,
oltre ai classici segmenti hardware e software, contempli anche i mercati digitali e device sopra
descritti. Per chiarezza da qui in poi ci riferiremo al totale del mercato dei videogiochi, cosi
come indicato da AESVI, con il termine “mercato classico”.
Figura 5 - Mercato Italiano Totale Mercato Fisico e Liquido. Valori, milioni di euro.
1.600
1.499,7
1.354,7
1.239,6
1.200
1.262,7
1.101,6
1.437,0
1.288,2
1.128,9
1.038,2
800
400
138,0
63,4
0
2007
145,0
92,0
2008
Totale classico
Totale game device
Totale mercato LIQ.
Totale fisico + LIQ.
159,3
148,8
2009
Totale + G.D. (fisico)
Note: “classico = software + hardware”; “classico” + “game devices” (controller) = “fisico”; “liquido” = web + mobile.
Fonte: elaborazione IEM su dati AESVI.
170
Videogiochi
Prima di tutto cerchiamo di avere un idea realistica di quanto sia il valore generato dal mercato
fisico, ovvero la somma dei mercati hardware, software e device, con l’esclusione ovvia del
fatturato liquido. Dal grafico notiamo, oltre che ad un ovvio aumento in valore assoluto, una
diversa declinazione dei trend percentuali. A differenza del mercato classico (-10,6%), nel
2009 il valore generato dai supporti fisici (hardware, software e device) registra una flessione
di poco meno del 5%. Se al dato fisico aggiungiamo anche il valore del mercato liquido, la
flessione rispetto al 2008 mostra un andamento ancor più incoraggiante pari a circa -4 punti
percentuali. Ciò naturalmente comporta una serie di riflessioni che, a partire dalla situazione
reale videogiochi, contraddicono in parte le prime considerazioni volte ad interpretare il calo
del 2009 come un prodotto della crisi economica.
Già analizzando i dati del mercato classico si nota come i valori disaggregati producano un
diverso andamento, con il mercato home console game addirittura in crescita e, illogicamente,
immune dalla crisi economica. Inoltre si è ignorata la stima del ciclo di vita dei prodotti
hardware console (generalmente di 5 anni circa con l’eccezione di Sony Playstation 2) che mostra
nel 2009 una fisiologica contrazione delle vendite. Una piena fase di maturità dei prodotti
hardware risulta quindi penalizzante per il mercato tutto, data la loro importanza economica
e l’effetto trainante che hanno sui prodotti software. A ciò aggiungiamo la direzione strategica
che è stata intrapresa dai grandi format owner Sony, Nintendo e Microsoft volta a prolungare la
vita delle loro console attraverso la produzione di sistemi di controllo innovativi che traggono
ispirazione dalla rivoluzionaria tecnologia del Wiimote introdotta 5 anni fa da Nintendo. In
particolare, Microsoft ha presentato il suo nuovo sistema Kinect (nato dal Project Natal e al
quale è stata dedicata una intera gamma di prodotti software) in grado di eliminare totalmente
qualsiasi supporto di controllo, riuscendo a rilevare i movimenti del videogiocatore e tradurli
in input di gioco. Queste nuove attività di prodotto vanno a configurarsi come una svolta nel
mercato, in grado di compensare il declino del ciclo di vita console attraverso l’incremento
dei sistemi controller e quindi della voce game device. Il declino reale del 4% è quindi il frutto
di un cambiamento strategico in seno all’universo videoludico volto a premiare nuove forme
di fruizione evitando la produzione di una nuova generazione di console (ad eccezione della
Nintendo che ha prodotto la nuova portatile 3DS6), puntando a rigenerare la propensione
all’acquisto dell’hardware console necessario a supportare i nuovi prodotti controller di Sony
e Microsoft.
Tabella 1 - Mercato Industria Videoludica - valori: migliaia di euro; volumi: migliaia di unità
2005
valori
Console Games Home
Console Games Portable
2006
unità
valori
2007
unità
valori
2008
unità
valori
2009
unità
valori
unità
328,1
8.973
292,5
8.977
319,7
9.071
410,1 10.161
431,2 10.507
80,6
2.187
111,5
3.287
174,4
5.466
205,6
149,1
408,7 11.160
404 12.264
PC Games
105,4
70,7
Totale Software Games
514,2 15.590
474,9 15.905
557,5 17.990
670,9 19.650
627,8 17.925
Home Console
135,2
146,1
286,8
363,3
321,7
850
3.642
835
63,4
3.452
1.097
615,8 16.851
5.245
Totale Console Games
4.427
494,1 14.538
6.689
55
2.799
1.430
580,3 15.752
47,6
2.172
1.390
Portable Console
92,1
631
120,8
767
193,7
1.276
228,4
1.467
179,4
1.170
Totale Hardware
227,4
1.481
266,9
1.602
480,5
2.374
591,9
2.898
501,1
2.560
Totale Classico
741,6
741,9
1.038,2
1.262,7
1.128,9
Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI.
Infine segnaliamo la start-up Onlive che finisce quest’anno il suo beta testing offrendo negli
Stati Uniti, in Belgio7 e in Inghilterra8 una nuova esperienza videoludica basata su tecnologia
6
7
8
Floriana Giambarresi, E3, le novità Nintendo, Webnews, 2010
Redazionale, Onlive coming to Belgium, Onlive - the blog, 2010. Fonte: http://blog.onlive.com/
Redazionale, Onlive coming to the UK, Onlive - the blog, 2010. Fonte: http://blog.onlive.com/
Videogiochi
171
cloud in grado, promette il fondatore Steve Perlman, di videogiocare in streaming ai migliori
titoli in commercio tramite PC e senza download. Una tecnologia, quella cloud, che porta con
sé diverse speranze sia per il mercato PC games, in declino da tempo, sia per le nuove forme di
fruizione liquida che, come abbiamo visto, in Italia stentano a crescere.
Tabella 2 - Mercato Industria Videoludica – quote percentuali
valori
unità
valori
unità
valori
unità
valori
unità
valori
unità
80,3%
80,4%
72,4%
73,2%
64,7%
62,4%
66,6%
60,3%
74,3%
66,7%
Console Games Portable 19,7%
19,6%
27,6%
26,8%
35,3%
37,6%
33,4%
39,7%
25,7%
33,3%
Console Games Home
Totale Console Games
PC Games
100% = 100% = 100% = 100% = 100% = 100% = 100% = 100% = 100% = 100% =
79,5% 71,6% 85,1% 77,1% 88,6% 80,8% 91,8% 85,8% 92,4% 87,9%
20,5%
28,4%
14,9%
22,9%
11,4%
19,2%
8,2%
14,2%
7,6%
12,1%
Totale Software Games 100% = 100% 100% = 100% 100% = 100% 100% = 100% 100% = 100%
69,3%
64%
53,7%
53,1%
55,6
Home Console
59,5%
54,7%
54,7%
52,1%
59,7%
46,2%
61,4%
49,4%
64.2%
54,3%
Portable Console
40,5%
42,6%
45,3%
47,9%
40,3%
53,8%
38,6%
50,6%
35,8%
45,7%
Totale Hardware
TOTALE Classico
100% = 100% 100% = 100% 100% = 100% 100% = 100% 100% = 100%
30,7%
36%
46,3%
46,9%
44,4%
100%
100%
100%
100%
100%
Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI.
Tabella 3 - Mercato Industria Videoludica: Game Device – valori in milioni di euro; volumi in
migliaia di unità
2005
2006
2007
2008
2009
valori
unità
valori
unità
valori
unità
valori
unità
valori
unità
Game Controller
33,2
1.591
32,8
1.611
40,0
1.746
52,3
1.953
109,3
3.032
Game Accessories
8,2
436
15,4
809
23,4
1.377
39,7
2.495
50,0
2.678
41,4
2.027
48,2
2.420
63,4
3.123
92,0
4.448
159,3
5.710
Totale Game Device
Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI.
Tabella 4 - Mercato Industria Videoludica: Canali Internet e Mobile – valori in milioni di euro;
volumi in migliaia di unità
2007
2008
2009
valori
unità
valori
unità
valori
unità
Console Hardware
24
91,2
32
125,8
37
non disp.
Software Console Game
20
354,3
28
579,2
31
non disp.
non disp.
Internet
PC Game
Totale
85,9
3
83,6
2
44
-
63
-
70
94
19.000
82
17.000
78,8
16.150
138
-
145
-
148,8
-
Mobile
Software Games
Totale Merceto. Liq.
Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI.
172
Videogiochi
Tabella 5 - Mercato Industria Videoludica: Totale Mercati – valori in milioni di euro
2007
2008
2009
valori
valori
valori
Totale Classico
1038,2
Totale Game Device
1262,7
1128,9
63,4
92,0
159,3
1101,6
1354,7
1288,2
Totale Mercato Liq.
138,0
145,0
148,8
Totale Fisico + Liq.
1239,6
1499,7
1437,0
Totale + G.D. (Fisico)
Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI.
2. Mercato europeo
La contrazione dei consumi prodotta in Italia dalla crisi economica e la conseguente flessione
dei valori generati dal mercato videoludico, sono elementi caratterizzanti l’intero mercato
europeo. La crisi economica però, come abbiamo in precedenza affermato, è solo concausa del
declino del 2009 frutto anche, e soprattutto, di una serie di strategie di riposizionamento e di
un calcolo scevro da voci di crescente importanza economica (mercato liquido e device)9.
Come negli anni passati, l’Europa con i suoi 5 grandi mercati disegna un quadro a 3 blocchi
con il Regno Unito a presiedere la posizione di leader continentale con oltre 3 miliardi e 110
milioni di euro fatturati nel 2009; Francia e Germania, molto vicine, ad occupare il secondo
blocco fatturando rispettivamente oltre 2 miliardi e 440 milioni e poco meno di 2 miliardi
e 364 milioni di euro; infine nell’ultimo blocco troviamo la Spagna e l’Italia, paesi socio
culturalmente molto simili, che generano nel 2009 rispettivamente un miliardo e 200 milioni e
poco meno di un miliardo e 129 milioni di euro.
Figura 6 - Mercato Europeo. Valori in milioni di euro
4.000
3.711
3.500
2.935
2.944
3.000
2.805
2.500
2.482
2.441
2.756
2.471
1.479
1.607
1.500
2.364
2.458
1.854
2.000
3.110
1.454
1.432
1.436
1.000
1.200
967
1.263
863
1.038
742
742
500
1.129
2005
U.K.
2006
Francia
2007
Germania
2008
Spagna
2009
Italia
Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI.
9
Sarebbe interessante esaminare i dati europei in un ragionamento più allargato, come fatto per l’Italia, ma
le informazioni fornite da AESVI risultano in linea con la tassonomia che compone ciò che abbiamo descritto come
“mercato classico” (hardware e software). Ci limiteremo quindi a un analisi europea dei mercati classici nazionali
non potendo disaggregare il dato in più voci e non avendo a disposizione informazioni sulle performance europee
in seno alla distribuzione liquida e mercato device.
Videogiochi
173
Dal confronto europeo si evince un primo dato positivo per la nostra nazione che, dopo una
crescente forbice con la concorrente spagnola fino al 2007, nel 2009 riduce ancora il suo gap
portando i due paesi su soglie in valore assoluto molto simili. Tale processo è stato in parte
aiutato dalla brutta performance della Spagna che, già nel 2008, ha sperimentato l’unica
contrazione europea, anticipando in qualche modo la “crisi” che ha successivamente investito
l’intero continente.
Rimangono invece molto simili gli andamenti registrati da Francia e Germania dal 2005 ad
oggi, con la prima leggermente in vantaggio sulla seconda con una differenza di poco meno di
100 milioni di euro.
Se le performance in valore assoluto confermano un andamento storicamente regolare, i trend
di decrescita riservano quest’anno una serie di sorprese. Oltre ad una diminuzione costante
in tutta Europa, ad eccezione di piccoli mercati come Svezia (+1,5%) e Portogallo (+13,8%),
vediamo come l’Italia, pur ultima in valore assoluto fra i maggiori 5, sia il mercato con la minor
flessione percentuale. Le concorrenti mitteleuropee Francia e Germania, registrano, invece, un
andamento che seppur vantaggioso in termini assoluti vede il mercato francese sperimentare
il più alto tasso di decrescita riportando un -17% rispetto al 2008. Gravi anche le flessioni
di Spagna e Regno Unito, entrambe con meno 16,2 punti percentuali, con la prima in seria
difficoltà anche in termini di ricavi assoluti da almeno due anni a questa parte.
Figura 7 - Mercato Europeo (Classico). Valori, Trend 2008-2009
-10,6%
Italia
-14,2%
Germania
-16,2%
Spagna
-16,2%
U.K.
-17,1%
-18%
Francia
-16%
-14%
-12%
-10%
-8%
-6%
-4%
-2%
0%
Fonte: Elaborazione IEM su dati AESVI.
Risulta opportuno sottolineare ancora la difficoltà di una valutazione oggettiva dei risultati
europei in quanto scevri dalle performance liquide e dalla voce dei game device che, come
abbiamo visto, almeno in Italia sono risultate fondamentali nel ricostruire un andamento
del mercato che, seppur in lieve flessione, risulta assolutamente in linea con le dinamiche
strategiche e di prodotto internazionali.
3. Abitudini di consumo
Le tendenze volte a promuovere forme di gaming socializzante sono ormai diventate elementi
paradigmatici dell’universo videoludico. Ciò è stato possibile solo grazie alle innovazioni
apportate da Nintendo con la sua console Wii e il suo controller WiiMote, rendendo l’esperienza
di gioco accessibile a tutti grazie ad un parco titoli sviluppato ad hoc per il gioco in compagnia.
A questa forma di fruizione sia Sony che Microsoft hanno quest’anno risposto con alcune
novità di prodotto in seno ai propri sistemi di controller: la prima ha deciso di implementare
un nuovo remote molto simile al cugino targato Nintendo (Playstation Move), mentre per il
174
Videogiochi
colosso di Redmond è stato sviluppato un metodo di fruizione volto ad eliminare ogni oggetto
fisico lasciando ai movimento del videogiocatore e alla sua voce il pieno controllo di gioco
(Kinect).
Figura 8 - Intensità di gioco, Italia - ore per settimana
100%
6%
8%
9%
90%
12%
80%
8%
6%
15%
70%
35%
33%
60%
50%
49%
40%
30%
45%
43%
20%
22%
10%
7%
4%
0%
2007
più di 15 ore
11 - 15 ore
2008
6 - 10 ore
2010
meno di un'ora
1 - 5 ore
Fonte: Elaborazione IEM su dati ISFE.
A queste nuove forme di fruizione sociale va aggiunta la crescente propensione per i format
owner ad implementare nelle loro macchine elementi di socializzazione ludica di matrice
digitale. Spesso nei titoli si fa riferimento a condizioni di gioco che sfruttano le pratiche di
social network o multiplayer, elaborando inoltre una serie di servizi che consentono all’utente
di fruire di contenuti online attraverso modalità d’accesso originali ed accattivanti (Playstation
Network, Xbox Live, WiiConnect24). Questo riposizionamento in senso socializzante ha
quindi modificato la composizione dell’utenza in termini di intensità di gioco, attraverso
una prima fase di push strategy (Nintendo), con una dinamica odierna che vede l’offerta e la
domanda protagoniste alla pari in un processo di influenza reciproca.
Figura 9 - Intensità di spesa, Italia - titoli in un anno 2010
3%
2%
1%
6%
39%
50%
nessuno
tra 1 e 3
tra 4 e 6
tra 7 e 10
tra 11 e 15
più di 15
fonte: Elaborazione IEM su dati ISFE.
Videogiochi
175
A riprova di quanto affermato possiamo citare i dati offerti dall’ISFE10 che vedono dal 2007 al
2010 un forte incremento di soft gamer e medium gamer, che dal 4% e 43% sono oggi il 22% e
il 49% disegnando una composizione all’interno della quale il 71% dei videogiocatori dichiara
di giocare meno di 6 ore a settimana. Un modello di gioco lontano quindi dai vecchi paradigmi
videoludici caratterizzati da forte impegno di gioco e heavy gamer. Oggi si gioca sempre più
in salotto, piuttosto che in camera, e l’esperienza videoludica va sempre più massificandosi
incontrando i gusti di utenti fino a pochi anni fa irraggiungibili dal mercato. La famiglia, i
professionisti e le donne sono oggi soggetti imprescindibili che con le loro abitudini di gioco
scardinano gli stereotipi del videogiocatore solitario, offrendo un modello di fruizione che,
nonostante sia poco intenso, aumenta l’awareness del mercato con conseguenze positive sulla
penetrazione delle console che l’AESVI nel 2009 stima essere in 10 milioni e 332 mila famiglie
italiane pari a circa il 42% del totale (21,8% nel 2005).
Concludiamo il capitolo dando un breve sguardo alle abitudini di acquisto. L’intensità nel 2009
è chiaramente caratterizzata da una contrazione dei livelli di spesa che vedono oltre l’88% dei
videogiocatori dichiarare un acquisto inferiore ai tre titoli l’anno. Naturalmente parte di questa
contrazione può essere spiegata dall’impatto sui consumi causato dalla crisi, ma a ben vedere
le abitudini di gioco e di spesa sono oggi molto diverse ed in continua evoluzione. Aumentano
i videogiocatori infatti, ma si compra di meno e viene quindi premiato l’acquisto di titoli
caratterizzati da una notevole longevità e da una forte versatilità di gioco. Il valore aggiunto dei
videogiochi è pertanto rappresentato dal loro modello di fruizione e dalla capacità di supportare
sia modalità di gioco solitarie che di gruppo, lasciando ai videogiocatori la possibilità di gestire
soggettivamente il tipo di esperienza da vivere e le differenti modalità di accesso al contenuto
videoludico.
10
176
ISFE-Game Vision Europe, Video Gamers in Europe – 2010, 2010.
Videogiochi
Parte seconda
approfondimenti
Gli investimenti pubblici
nell’industria culturale e delle
telecomunicazioni
ovvero “quanto del denaro pubblico va ai giornali, al cinema, alla
tv, alla radio, allo spettacolo dal vivo e alle telecomunicazioni”…
di Flavia Barca, Andrea Marzulli, Luca Murrau, Lorenzo Principali e Bruno Zambardino
1. Introduzione e nota metodologica
1.1 Introduzione
Nel solco della tradizione delle analisi IEM sul territorio della cultura e della comunicazione
in Italia, finalizzate a mappare strategie e politiche economiche del settore pubblico e privato,
la scelta di focalizzare l’attenzione sugli investimenti pubblici ci è sembrata particolarmente
rilevante in un momento di completa ridefinizione del concetto di cultura – e del relativo
perimetro – e delle sue fonti di finanziamento. E’ nostra convinzione che la natura di queste
ultime informi, definisca e condizioni la cultura stessa – i processi creativi, produttivi e
distributivi che le danno forma e visibilità presso piccoli e grandi pubblici – e sia quindi punto
di osservazione imprescindibile per comprendere le trasformazioni in atto o, meglio, dare alle
politiche pubbliche quella trasparenza necessaria ad operare in modo virtuoso, efficiente, e
rispondente agli indirizzi comunitari.
L’analisi delle tendenze dei flussi di spesa del settore pubblico, specie per quella parte di essa
destinata agli investimenti, non incontra infatti soltanto un’esigenza di natura informativa
sull’ammontare dei trasferimenti ricevuti dal sistema cultura (e telecomunicazioni, vedi
infra), ma diventa anche un elemento su cui basare la valutazione qualitativa delle politiche
che sono a valle dei trasferimenti, ovvero della loro efficacia (in termini di risultati economici
sul territorio, nonché di redistribuzione sociale della spesa) e quindi della redditività dei
trasferimenti stessi. Un’attendibile ed efficace rilevazione dei dati di spesa rappresenta in effetti
il punto di partenza per consentire misurazioni degli impatti prodotti dalla spesa sul settore e
nel territorio, e comprendere quanta parte di essa può ritenersi per davvero spesa produttiva
(ad esempio qualora essa sia destinata a sostenere innovazioni d’impresa o di sistema) piuttosto
che spesa destinata a sostenere attività dallo scarso o nullo impatto sulla capacità produttiva del
settore e dell’economia.
178
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
Arti visive
Pittura
Scultura
Fotografia
Antiquariato
Performing Arts
Musica e Lirica
Teatro e Danza
Circo
Marionette
MEDIA
Industria creativa
Editoria
Libri
Quotidiani e periodici
Audiovisivi
Cinema
Televisione
Radio
ARTE
Luoghi della cultura
Siti archeologici
Musei
Bibilioteche
Mostre
Espressioni culturali tradizionali
Arti e mestieri
Festival
Eventi
Design, Interni, Grafica,
Moda, Gioielleria,
Giochi, Agroalimentare
Service creativi
Architettura
Pubblicità
Ricerca & Sviluppo
Servizi ricreativi
CREAZIONI
FUNZIONALI
PATRIMONIO
Settori dell’industria creativa (in grassetto i settori oggetto dello studio)
New media, Software, Telecomunicazioni, Videogiochi
Fonte: elaborazione su schema UNCTAD.
Il perimetro di analisi prescelto è, però, sui generis rispetto a quello che tradizionalmente si
disegna quando si ragiona di cultura. Si è, infatti, definito un universo composto da cultura
e telecomunicazioni, inserendo sotto il cappello “cultura” lo spettacolo dal vivo, il cinema, la
televisione, la radio e l’editoria.
Si tratta di una scelta che trae la sua ratio dalla volontà di riflettere su una accezione di cultura
come punto di intersezione di diversi settori che si trovano all’interno di una stessa filiera,
fortemente interconnessi, dalla creazione a monte alla distribuzione a valle. Il tentativo è
quello di afferrare un oggetto molto etereo e di complessa definizione nei suoi processi di
trasformazione, e quindi indagare quegli spazi in cui la cultura diviene fenomeno pervasivo
trainato dall’innovazione tecnologica e dalla moltiplicazione delle piattaforme di distribuzione,
mentre il ri-uso e il prosumerismo modificano profondamente il concetto stesso di cultura e
tutte le sue leggi fondanti (in primis il concetto di “autore”).
Ragionare sui fondamenti economici della cultura in qualità di “filiera della cultura” significa,
quindi, aver fatto un salto concettuale dalle riflessioni sull’industria culturale ad un universo
in cui la cultura non è più messa sotto esame come prodotto intellettuale che si è fatto merce,
ma come prodotto intellettuale, della conoscenza, in grado di generare benessere e sviluppo,
all’interno di un circolo virtuoso di innovazione e di sviluppo tecnologico1.
1
“At the heart of creative economy lie the creative industries… At the crossroads of the arts, culture, business and technology… They comprise the cycle of creation, production and distribution of goods and services that
use intellectual capital as their primary input.” “They range from folk art, festivals, music, books, paintings and
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
179
Tale approccio, peraltro in linea con l’universo tradizionalmente sotto esame nel Rapporto
IEM sull’industria della comunicazione, permette inoltre una riflessione orizzontale sulle
principali piattaforme di veicolazione del sistema cultura in Italia, ponendo anche il settore
dell’audiovisivo davanti alle sue responsabilità2, spesso in Italia neglette proprio da quel
soggetto deputato invece a farsene campione, cioè il servizio pubblico radiotelevisivo.
In un’ottica di filiera abbiamo quindi identificato due macro-raggruppamenti: la cultura
(che comprende creazione e produzione, nei settori esaminati di tv, radio, cinema, editoria,
spettacolo dal vivo) e le telecomunicazioni.
Il problema è che, mentre alcuni comparti come il cinema e lo spettacolo dal vivo sono
storicamente investiti del marchio “cultura” e la loro collocazione sotto il cappello del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali ne protegge – in qualche modo (!) – lo status e ne
promuove – laddove possibile, per esempio negli accordi negoziati presso il Cipe – lo sviluppo
locale, altri hanno una natura più “instabile”. Innanzitutto è oggi abbastanza evidente quanto
una fiction sia un prodotto culturale quanto un lungometraggio cinematografico, eppure la
prima non ha un ministero di competenza e non ha accesso al Fus3. Libri, giornali, programmi
televisivi e radiofonici, videogiochi, cinema etc., inoltre, non sono mai stati pensati dalle
politiche pubbliche in un’ottica di “sistema cultura” e quindi aiutati dallo stato come elementi
complementari di un obiettivo unico di sistema paese. Più comprensibilmente si è pensato di
rado allo sviluppo delle tlc in un’ottica di sviluppo socio-culturale, anche se oggi tutti i sistemi
distributivi sono un acceleratore - o collo di bottiglia - fondamentale allo sviluppo e diffusione
della cultura.
Vanno comunque segnalate le assenze “eccellenti”. Alcune sono meno visibili ma senz’altro
giustificate, come il settore dei videogiochi o quello della musica, per gli scarsi o nulli
contributi che li riguardano. Altre sono più evidenti e assolutamente arbitrarie, come quella
dei beni culturali: l’esclusione in questo caso è dettata dalla volontà di focalizzare l’attenzione,
e le energie a disposizione, a quelle forme d’intervento pubblico a sostegno dell’industria
(culturale, della comunicazione) e al loro impatto, tralasciando in questa fase un ambito come
quello del patrimonio culturale in cui la gestione diretta della mano pubblica è il modello
dominante e lo spazio dell’iniziativa privata minoritario.
I settori che compongono la filiera qui indagata, sono, da più o meno tempo, e con minore e
maggiore attenzione, e con diverse logiche, “aiutati” dallo Stato laddove e nella misura in cui
l’aiuto di Stato, senza infrangere i naturali processi concorrenziali, è in grado di aumentare il
benessere della società stimolando “forzatamente” alcuni nodi del sistema.
L’obiettivo di questo lavoro è dunque quello di misurare questo aiuto, cioè l’ammontare della
spesa dell’amministrazione pubblica in cultura e telecomunicazioni. Si tratta di un primo
passaggio, diciamo la base di partenza, sulla quale poggiare qualsivoglia ragionamento di
merito e di metodo. La mission che ci siamo dati è, infatti, quella di rendere i dati manifesti e
trasparenti. Ed elaborati con un’analisi di tipo comparato e diacronico, che provasse a collocare
“i conti” nella loro progressione temporale e quindi nelle modificazioni intervenute negli
ultimi anni, e mettesse a confronto tra loro i vari segmenti della cultura e della filiera culturale.
Ci auguriamo che questo possa essere un utile punto di partenza per iniziare a ragionare sulle
logiche che stanno alla base delle strategie di spesa, ed aprire così la strada ad una riflessione
performing arts to more technology-intensive subsectors such as the film industry, broadcasting, digital animation
and video-games, and more service-oriented fields such as architectural and advertising services. All these activities are intensive in creative skills and can generate income through trade and intellectual property rights” Nazioni
Unite – Rapporto 2008 sulla “Creative Economy”.
2
Ricordiamo che il concetto di “cultura” inteso da Maastricht è molto ampio. Nell’articolo 128, comma 2,
si fa riferimento al patrimonio culturale, alla creazione artistica e letteraria, incluso il settore dell’audiovisivo.
3
Come evidenzia Annalisa Cicerchia, il problema è che “per come è organizzato istituzionalmente il settore
culturale a livello centrale, vasti comparti, che esulano dalle competenze del Mibac o che in quell’amministrazione
hanno uno spazio molto marginale (per citare i principali: tra i primi, Televisione, Radio, Arte multimediale, Stampa ed Editoria; tra i secondi, Spettacolo dal vivo e Cinema), sono rimasti, di fatto, senza rappresentanza. Cicerchia
A. “Emergenza e programmazione nelle politiche culturali” in Economia della Cultura, 2/2009, il Mulino, pag. 139.
180
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
più ampia sulle politiche pubbliche riguardo alla cultura.
Per misurare l’ammontare della spesa nella filiera culturale si è deciso di avviare una indagine
a doppio livello: uno “macro”, attraverso lo strumento dei Conti Pubblici Territoriali, ed uno
“micro”, che entra nel merito dei singoli settori e delle spese effettivamente effettuate (e della
relativa normativa).
I Conti Pubblici Territoriali (vedi anche infra, nelle metodologia e nelle note al testo)
ricostruiscono i “flussi di spesa e di entrata di tutti i soggetti che operano su ciascun territorio
regionale, siano essi appartenenti alla Pubblica Amministrazione che all’extra PA nazionale e
locale, ovvero a quel complesso di enti e aziende che rientrano nel Settore Pubblico Allargato”4.
L’elaborazione dei CPT avviene ad opera di un Nucleo centrale, posto all’interno dell’Unità di
Valutazione degli Investimenti Pubblici (Uval) del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e di
Coesione (DPS), e di 21 Nuclei Regionali posti presso le singole Regioni e Province autonome.
L’universo indagato dai Cpt è l’insieme dei bilanci consolidati dei diversi enti - dal quale sono
esclusi i flussi intercorrenti tra gli enti medesimi – che viene classificato in 30 settori tra i
quali, di nostro specifico interesse, la cultura e le telecomunicazioni. Il perimetro “cultura” così
come identificato nei CPT è, però, molto ampio5 e ricomprende segmenti che esulano anche
da una accezione allargata di “cultura” così come identificata in questa sede; necessiterebbe
quindi di un lavoro di pulizia mediante una attenta disamina di tutte le singole voci di bilancio
considerate, così come già testato in altri studi (vedi Stratta 2009). Ci si è dunque concentrati,
nel presente studio, soprattutto sull’andamento dei valori nel tempo e sul confronto tra cultura,
tlc ed il resto dell’economia, dati che offrono interessanti spunti di riflessione.
L’ampiezza delle maglie del primo livello di analisi fa sì che i dati CPT non siano raffrontabili
con quelli del secondo livello dove invece è stata portata avanti un’analisi, settore per settore,
delle misure di sostegno pubblico e del loro relativo valore (e la spesa effettivamente erogata),
attraverso tutte le fonti disponibili.
A consuntivo la missione più complessa si è rivelata, però, quella di restituire il disegno della
sempre maggiore complementarietà tra investimenti nazionali e investimenti regionali. Come
sarà ampiamente mostrato più avanti, negli ultimi anni la spesa delle amministrazioni regionali
in cultura e telecomunicazioni è diventata sempre più rilevante ma, laddove a livello nazionale
i dati sono non sempre di facile reperibilità ma, generalmente, accessibili, la spesa delle
regioni si declina in una molteplicità di capitoli di spesa alcuni dei quali sono “mimetizzati”
e per questo irrintracciabili. Per tale ragione si è scelto, in questa sede, di privilegiare il dato
nazionale cercando però, ove possibile, di restituire anche delle informazioni sulla dimensione
locale. Si rimanda, comunque, a successivi spin-off di questo lavoro per un approfondimento
più dettagliato della spesa “decentrata”.
Tra le principali risultanze che emergono dallo studio si vuole qui sottolineare l’assenza di un
disegno organico sottostante come tratto caratteristico dell’intervento pubblico in tutti i settori
4
Volpe M. “Premessa” in AAVV (2007) I Conti Pubblici Territoriali, pag. 7.
5
Per quanto riguarda i CPT la voce cultura e servizi ricreativi comprende: “la tutela e valorizzazione del
patrimonio artistico e culturale; i musei, le biblioteche, le pinacoteche e i centri culturali; i cinema, i teatri e le
attività musicali; le attività ricreative (parchi giochi, spiagge, aree di campeggio e relativi alloggi ammobiliati su
base non commerciale, piscine, casinò e sale da gioco) e sportive; gli interventi per la diffusione della cultura e per
le manifestazioni culturali, laddove non siano organizzate primariamente per finalità turistiche; le sovvenzioni, la
propaganda, la promozione e il finanziamento di enti e strutture a scopi artistici, culturali e ricreativi; le sovvenzioni
per i giardini e i musei zoologici; le iniziative per il tempo libero i sussidi alle accademie; le iniziative a sostegno
delle antichità e delle belle arti; gli interventi per il sostegno alle attività e alle strutture dedicate al culto”; la voce
telecomunicazioni comprende invece: “l’amministrazione delle attività e dei servizi relativi alla costruzione,
ampliamento, miglioramento, funzionamento e manutenzione dei sistemi di comunicazione (postali, telefonici,
telegrafici, senza fili, satellitari, ecc.); la regolamentazione delle operazioni relative al Sistema delle comunicazioni
(concessione di licenze, assegnazione di frequenze, specificazione dei mercati che devono essere serviti e delle tariffe
applicate); le sovvenzioni, prestiti e sussidi alle imprese per il sostegno alla costruzione, al funzionamento, alla
manutenzione o al miglioramento dei sistemi di comunicazione. Comprende anche l’attività nel settore informatico,
laddove non sia funzionale a uno specifico settore. Include le spese per la fornitura di servizi radiotelevisivi e per la
regolamentazione del settore” (in AAVV, 2007, cit, pag 82 e 85). Vedi anche infra, nella metodologia e oltre.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
181
considerati. Se in alcuni di questi, infatti, interventi di politica economica hanno cercato di
mettere ordine nel piano dei finanziamenti complessivi, ma nel tempo se ne è perso la logica
innovativa e la ratio di partenza - ed è questo il caso del cinema - in altri la spinta di interessi
lobbistici ed una politica di piccoli compromessi ha prevalso su una lucida visione di intervento
pubblico - ed è il caso dell’editoria. A questo riguardo, così come è stato puntualizzato
dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella sua indagine sulle imprese editoriali:
“La prima considerazione che sorge dalla rassegna delle diverse tipologie di sostegno pubblico
al settore dell’editoria è l’eterogeneità dei criteri e delle modalità di erogazione dei contributi,
rispetto ai quali non è agevole individuare un disegno organico sottostante, orientato alla tutela
del pluralismo. L’attuale assetto appare essere la risultante di una progressiva stratificazione
di misure, aventi obiettivi non sempre convergenti e basate su parametri di attribuzione e
quantificazione non univoci. Inoltre, alcune misure sono state attuate in maniera discontinua,
rendendo disagevole una pianificazione di lungo periodo da parte delle attività delle imprese
editoriali”6.
La mancanza di una sistemica riflessione sul “sistema cultura” ha favorito il proliferare di leggine,
decreti, provvedimenti-tampone che rendono estremamente farraginosa la rintracciabilità del
flussi di denaro stanziati, accantonati, reintegrati, impegnati e infine erogati e utilizzati.
Allo stesso tempo, non risulta attivo un efficace sistema di monitoraggio e valutazione degli
interventi, non solo relativamente all’efficacia economica delle misure, ma anche e soprattutto
alle ricadute sul cittadino in termini di accesso alle informazioni, qualità dei servizi informativi
fruiti e, in ultima analisi, benessere collettivo.
Appare, quindi, necessario un ripensamento dell’intero quadro degli investimenti pubblici alla
cultura, nella direzione di un approccio sistemico e che parta da alcuni obiettivi trasparenti, in
linea con le politiche comunitarie. Ne proponiamo alcuni:
•
Stimolare la creatività e l’innovazione;
•
Generare occupazione specializzata e competitiva;
•
Valorizzare risorse culturali e naturali dei territori;
•
Inclusione sociale;
•
Conservazione dell’identità nazionale;
•
Export e rafforzamento del “Brand Italia” a livello internazionale.
Per concludere vogliamo ringraziare tutti coloro che hanno permesso l’avvio di questo
cammino, con il loro supporto ed i loro preziosi consigli, ed in particolare Mariella Volpe,
Alessandra Tancredi, Gaudenzio Garavini, Paolo Signorini, Carla Bodo, Mario Morcellini,
Maurizio Dècina, André Lange, Andrea Bairati, Fabrizio Barca.
1.2 Nota metodologica
L’oggetto del presente studio è rappresentato dall’analisi della spesa pubblica in cultura e
telecomunicazioni, secondo una accezione di “cultura” estesa a ricomprendere i seguenti
settori: televisione, radio, cinema, editoria, spettacolo dal vivo.
L’indagine si è mossa su due livelli.
Un primo livello a maglie larghe costruito mediante l’utilizzo della banca dati dei Conti
Pubblici Territoriali (CPT)7. I CPT sono un progetto avviato nel 1994 dall’Unità di Valutazione
degli Investimenti Pubblici del Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica (ora
6
Cfr. Agcm, IC35, Editoria quotidiana, periodica e multimediale, 2007.
7
Parte della presente nota metodologica ripercorre la Guida ai Conti Pubblici Territoriali (CPT). Aspetti
metodologici e operativi per la costruzione di conti consolidati di finanza pubblica a livello regionale, Unità di
Valutazione degli Investimenti Pubblici, Ministero dello Sviluppo Economico, reperibile al link http://www.dps.
tesoro.it/cpt/cpt_notemetodologiche.asp.
182
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
Ministero dello Sviluppo Economico8), con lo scopo di disporre di uno strumento in grado di
garantire una misurazione dei flussi finanziari con articolazione territoriale.
I CPT rilevano informazioni con riferimento al Settore Pubblico Allargato ed includono
dunque, oltre alla Pubblica Amministrazione (PA), anche l’Extra PA (definita sia a livello
centrale che locale/sub regionale) in cui sono incluse le entità sotto il controllo pubblico
(Imprese Pubbliche), impegnate nella produzione di servizi destinabili alla vendita, a cui la
Pubblica Amministrazione ha affidato il compito di fornire agli utenti alcuni servizi di natura
pubblica, come le telecomunicazioni, la cultura ecc. La definizione adottata per la Pubblica
Amministrazione coincide fondamentalmente con quella della Contabilità Nazionale Italiana.
E’, cioè, costituita da enti che, in prevalenza, producono servizi non destinabili alla vendita, che
si finanziano principalmente attraverso pagamenti obbligatori (tasse, imposte, contributi) da
parte di soggetti ed enti appartenenti al settore privato e/o da enti che svolgono attività di tipo
retributivo.
La banca dati dei CPT ricostruisce, per ciascun soggetto appartenente al Settore Pubblico
Allargato, i flussi di spesa e di entrata a livello regionale sulla base dei bilanci consuntivi dell’ente
stesso, senza effettuare, in linea di principio, riclassificazioni, e pervenendo successivamente
alla costruzione di conti consolidati per ciascuna regione italiana.
Il vantaggio di utilizzare la fonte CPT è che il dato sui flussi di spesa viene regionalizzato,
offrendoci pertanto un dettaglio territoriale unico per condurre analisi interpretative delle
dinamiche della spesa pubblica a livello sia centrale che locale.
I dati di spesa così rilevati, sono inoltre soggetti ad un processo di consolidamento, il quale si
basa sull’elisione di tutti i flussi di trasferimento, in conto corrente e in conto capitale, ricevuti
e versati agli enti appartenenti ai vari livelli di governo dell’universo CPT, per cui nei fatti
ogni ente viene considerato erogatore di spesa finale. Il vantaggio di tale processo è che esso
consente di ottenere il valore complessivo delle spese direttamente erogate sul territorio, senza
il rischio di duplicazioni.
La natura dei CPT è di tipo finanziario: i flussi rilevati sono infatti articolati secondo una
ripartizione per voce economica che riprende quella adottata nella compilazione dei bilanci
degli enti pubblici che adottano il criterio della contabilità finanziaria, ricostruendo un quadro
esaustivo di tutte quelle operazioni, messe in atto da ciascun ente, che generano movimenti
monetari.
I dati CPT sono articolati in 30 settori che rappresentano il livello di dettaglio minimo e che
possono essere riaggregati allo scopo di ottenere classificazioni settoriali adeguate a specifiche
analisi.
Per quanto riguarda il contenuto dei settori considerati, si ha che il settore cultura (e servizi
ricreativi) dovrebbe comprende in via teorica le seguenti componenti:
•
la tutela e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale;
•
i musei, le biblioteche, le pinacoteche e i centri culturali;
•
i cinema, i teatri e le attività musicali;
•
le attività ricreative (parchi giochi, spiagge, aree di campeggio e relativi alloggi ammobiliati
su base non commerciale, piscine, casinò e sale da gioco) e sportive;
•
gli interventi per la diffusione della cultura e per le manifestazioni culturali, laddove non
siano organizzate primariamente per finalità turistiche;
•
le sovvenzioni, la propaganda, la promozione e il finanziamento di enti e strutture a scopi
artistici, culturali e ricreativi;
•
le sovvenzioni per i giardini e per i musei zoologici;
8
Alla data di avvio del progetto CPT, il DPS era parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
183
•
le iniziative per il tempo libero;
•
i sussidi alle accademie;
•
le iniziative a sostegno delle antichità e delle belle arti;
•
gli interventi per il sostegno alle attività e alle strutture dedicate al culto.
Nel corso del tempo il dato CPT è stato oggetto di miglioramenti qualitativi, che consentono
all’analista di disporre di una strumentazione analitica ed interpretativa molto robusta. I limiti
di cui risente il dato sono connessi per lo più a problemi strutturali di classificazione dei bilanci
pubblici degli enti, che si traducono nella presenza di voci “in eccesso” e voci “in difetto”9.
Nella tavola che segue risulta invece la composizione percentuale degli enti operanti nel settore
cultura per livello di spesa:
Tabella 1 - Settore cultura e servizi ricreativi: Composizione % degli enti per livello di spesa*
Stato
56,33
Comuni
27,28
Amminitrazione Regionale
5,59
Società e fondazioni partecipate
3,82
CONI
3,50
Province e città matropolitane
2,14
Aziende e istituzioni
0,65
Enti dipendenti
0,53
Comunità montane e unioni varie
0,09
Concorsi e forme associative
0,07
Camere di commercio
Totale complessivo
0
100,00
Note: * La ripartizione è riferita all’anno 2007. Fonte: elaborazioni IEM su dati CPT
Con riferimento invece al settore delle telecomunicazioni il suo contenuto dovrebbe
ricomprendere:
•
l’amministrazione delle attività e dei servizi relativi alla costruzione, ampliamento,
miglioramento, funzionamento e manutenzione dei sistemi di comunicazione (postali,
telefonici, telegrafici, senza fili, satellitari, ecc.);
•
la regolamentazione delle operazioni relative al sistema delle comunicazioni (concessione
di licenze, assegnazione di frequenze, specificazione dei mercati che devono essere serviti
e delle tariffe applicate);
•
sovvenzioni, prestiti e sussidi alle imprese per il sostegno alla costruzione, al funzionamento,
alla manutenzione o al miglioramento dei sistemi di comunicazione;
•
l’attività nel settore informatico, laddove non sia funzionale a uno specifico settore;
•
le spese per la fornitura di servizi radiotelevisivi e per la regolamentazione del settore.
9
Le voci in “eccesso” sono quelle voci di spesa che, secondo la classificazione CPT, andrebbero computate ad altri settori specifici: Spese per la formazione del personale riconducibili secondo la classificazione CPT a
Formazione; Spese per servizi radiotelevisivi e di editoria riconducibili secondo la classificazione CPT al settore Telecomunicazioni; Spese specificamente destinate alla ricerca riconducibili secondo la classificazione CPT al settore
Ricerca e Sviluppo; Spese per il rimborso degli oneri sostenuti dalle imprese per l’attuazione di tirocini formativi e di
orientamento a favore di giovani del Mezzogiorno riconducibili secondo la classificazione CPT al settore Formazione; Spese per manifestazioni e iniziative di promozione turistica riconducibili secondo la classificazione CPT al
settore Turismo. Le voci in “difetto” sono classificate in altri settori ma che andrebbero più correttamente classificate
nel settore della cultura: Contributi ad enti per il culto classificate nelle fonti nel settore Amministrazione Generale;
Spese per le aree archeologiche e per i musei classificate nelle fonti nel settore Ambiente; Contributi ad enti ed associazioni di propaganda sportiva per la realizzazione di iniziative e manifestazioni classificate nelle fonti nel settore
Istruzione; Sovvenzioni per impianti sportivi e piste da sci classificate nelle fonti nel settore Istruzione.
184
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
Anche in questo caso valgono le stesse considerazioni fatte sulla qualità del dato CPT e sulla
presenza di voci “in eccesso” e voci “in difetto”10.
La composizione percentuale degli enti operanti nel settore telecomunicazioni per livello di
spesa si presenta nel 2008 con la seguente articolazione:
Tabella 2 - Settore telecomunicazioni: Composizione % degli enti per livello di spesa*
Poste
55,15
IRI
32,26
Cassa Depositi e Prestiti
7,04
Società e fondazioni partecipate
4,44
Stato
0,74
Enti dipendenti
0,24
Amministrazione Regionale
0,13
Consorzi e forme associative
0
Aziende e istituzioni
0
ENEL
0
Totale complessivo
100,00
Note: * La ripartizione è riferita all’anno 2007. Fonte: elaborazioni IEM su dati CPT.
Nel presente studio l’aggregato di spesa rilevato, interessa sia la spesa in conto corrente che
quella in conto capitale. Con riferimento ai due settori considerati, le voci di spesa di conto
corrente, includono: spese di personale; acquisto di beni e servizi; trasferimenti correnti
a famiglie e istituzioni sociali, imprese private e imprese pubbliche; interessi passivi; poste
correttive e compensative delle entrate; somme non attribuibili in conto corrente. Le voci di
spesa in conto capitale includono invece: beni e opere immobiliari; beni mobili, macchine e
attrezzature; trasferimenti in conto capitale a famiglie e istituzioni sociali, imprese private,
e imprese pubbliche; partecipazioni azionarie e conferimenti; concessioni di crediti e
conferimenti; somme non attribuibili in conto capitale.
Inoltre, in funzione di specifici usi dei dati CPT possono essere effettuate riclassificazioni ad
hoc al fine di consentire la piena rispondenza a regole comunitarie o la confrontabilità con altri
aggregati della finanza pubblica11.
Un secondo livello di analisi è stato, inoltre, attivato, indagando, settore per settore, le singole
voci di investimento dell’amministrazione statale in cultura e telecomunicazioni e la normativa
di riferimento.
Il paragrafo 4.1 (Radio e Tv) ricostruisce l’entità del sostegno pubblico a favore delle
imprese radiotelevisive includendo nel proprio campo di osservazione differenti tipologie di
finanziamento individuate, a seconda dei casi, in funzione del soggetto erogatore (Ministero,
Regione) e/o del beneficiario dei contributi (emittenti):
10
Fanno parte delle voci in eccesso: Spese per la formazione del personale riconducibili secondo la
classificazione CPT a Formazione; Spese specificamente destinate alla ricerca riconducibili secondo la classificazione
CPT al settore Ricerca e Sviluppo; Fondi rotativi per il finanziamento delle imprese riconducibili secondo la
classificazione CPT al settore Altre in Campo Economico. Le voci in difetto comprendono: Spese per servizi
radiotelevisivi e di editoria classificate nelle fonti nel settore Cultura; Spese relative al finanziamento del Progetto
Intersettoriale Rete Unitaria della Pubblica Amministrazione nonché spese per il funzionamento dell’Autorità per
le garanzie nelle comunicazioni classificate nelle fonti nel settore Giustizia; Spese per la realizzazione di sistemi
informatici e telematici classificate nelle fonti nel settore Amministrazione Generale.
11
Le principali riclassificazioni che vengono normalmente utilizzate sono la:
-
“spesa in conto capitale al netto delle partite finanziarie”, coerente con la Contabilità Nazionale, ottenuta
sottraendo dalla spesa in conto capitale complessiva le categorie relative a strumenti finanziari, vale a dire concessione di crediti e anticipazioni e partecipazioni azionarie e conferimenti.
-
“ spesa connessa allo sviluppo”, che incorpora oltre alla spesa in conto capitale coerente con la Contabilità
Nazionale, anche la spesa corrente per la formazione professionale, considerata un investimento in capitale umano.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
185
•
per la quantificazione del sostegno alla tv pubblica nazionale sono state prese in
considerazione le entrate derivanti da riscossione del canone (fonte: Rai) e per le altre
forme di ricavi le principali Convenzioni stipulate da Rai con la PA;
•
per la quantificazione delle misure di sostegno alle tv e alla radio locali sono state inclusi
nel perimetro di analisi i contributi erogati dal Ministero per lo Sviluppo Economico –
Dipartimento per le Comunicazioni; i contributi elargiti dal Dipartimento Informazione
Editoria della Presidenza del Consiglio, i rimborsi per la pubblicità elettorale che tramite i
Corecom sono stanziati dal Ministero delle Comunicazioni;
•
per la quantificazione dei contributi per il digitale terrestre sono state identificate le risorse
che a livello nazionale e regionale sono state sinora destinate alle imprese e ai cittadini per
far fronte al passaggio dalla tv analogica al digitale terrestre.
Il paragrafo 4.2 (Editoria) delinea il quadro delle risorse pubbliche, dirette e indirette, destinate
al sostegno delle imprese editoriali. Esso raffronta i dati pubblicati sul sito del Dipartimento
per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri con i bilanci di
previsione, per competenza e per cassa, e i conti economici degli ultimi anni della stessa
Presidenza del Consiglio (dove sono indicate tutte le voci di intervento a favore delle imprese,
dei giornalisti e le convenzioni con il servizio pubblico), integrandole con le fonti dei bilanci
di Poste Italiane dove viene indicato l’ammontare delle agevolazioni sulle tariffe postali. Sono
escluse dal perimetro le forme di sostegno a livello regionale e locale.
Il paragrafo 4.3 (Cinema e spettacolo dal vivo) traccia un quadro delle risorse pubbliche
destinate ai comparti del cinema (attività di produzione, distribuzione, esercizio, promozione)
e dello spettacolo dal vivo (Fondazioni lirico-sinfoniche, attività musicali, attività teatrali
di prosa, attività di danza e attività circensi e dello spettacolo viaggiante). La fonte primaria
per quantificare l’entità dei finanziamenti è il FUS – Fondo Unico dello Spettacolo gestito
dal Ministero per i Beni e le Attività culturali. All’interno del perimetro di analisi sono state
incluse anche le risorse “extra-FUS” erogate da Arcus e derivanti dai fondi del Lotto. Per quanto
attiene il settore cinematografico e audiovisivo sono stati contemplati anche gli investimenti
nella produzione audiovisiva (cinema e fiction) effettuati dal broadcaster pubblico sulla base
degli obblighi normativi vigenti (risorse provenienti dal canone), gli stanziamenti recenti legati
al tax credit e tax shelter, i fondi regionali a sostegno dell’audiovisivo in gran parte gestiti dalle
Film Commission.
2. Gli aiuti di Stato a cultura e telecomunicazioni: orientamenti e iniziative dell’Unione Europea
2.1 I nuovi Orientamenti sugli aiuti di Stato
Sin dall’atto costitutivo della Comunità europea con il Trattato di Roma del 1957, la presenza di
meccanismi di controllo dei sussidi alle imprese è considerata una componente essenziale delle
regole di base per la formazione di un Mercato comune europeo. Si legge, infatti, al paragrafo
1 dell’art. 87 del Trattato, «salvo deroghe contemplate dal presente trattato, sono incompatibili
con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti
concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune
imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza». Coerentemente
186
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
con le disposizioni contenute nel Trattato, la Commissione europea interviene in maniera
diretta sulle politiche regionali nazionali attraverso il controllo degli aiuti di Stato.
Gli Orientamenti in materia di aiuti di Stato ammettono, in deroga al divieto generale,
di intervenire, in determinate aree geografiche e secondo diversi livelli di intensità d’aiuto,
con incentivi alle imprese, nella misura in cui tali incentivi non alterino la concorrenza12.
La concessione di aiuti alle imprese, senza opportune regole di controllo e limitazioni ad un
uso indiscriminato degli stessi aiuti, possono avere come effetto anzitutto quello di alterare il
corretto funzionamento del mercato, ma possono ingenerare altri effetti distorsivi collaterali,
come per esempio ritardare la riorganizzazione di un settore in chiave competitiva, come
normalmente avviene in maniera automatica in un mercato funzionante a seguito di spinte e
segnali provenienti dagli stessi meccanismi della concorrenza13.
La concessione di aiuti di Stato da parte dei paesi membri dell’Unione Europea è stata regolata
dai nuovi Orientamenti sugli aiuti di Stato del 2006, che definiscono i criteri per la valutazione
dei regimi di incentivazione14. I nuovi Orientamenti stabiliscono che, “ai sensi dell’articolo 87,
paragrafo 3, lettere a) e c), del trattato, la Commissione può considerare compatibili con il
mercato comune gli aiuti di Stato concessi per favorire lo sviluppo economico di determinate
zone svantaggiate all’interno dell’Unione europea. Gli aiuti di questo tipo sono definiti aiuti
di Stato a finalità regionale. Si tratta di aiuti agli investimenti a favore delle grandi imprese o,
in determinate circostanze particolari, di aiuti al funzionamento, in entrambi i casi destinati
a regioni specifiche al fine di riequilibrare disparità regionali. Sono considerati aiuti a finalità
regionale anche investimenti di maggiore entità concessi a piccole e medie imprese situate
nelle regioni svantaggiate […]”.
In generale, le aree ammesse sulla base dell’art. 87.3a hanno diritto a massimali di aiuti più alti
rispetto a quelle ammesse in virtù dell’art. 87.3c15.
12
La Commissione è già intervenuta in passato con azioni a tutela della concorrenza, quando ad esempio
l’Italia, a seguito di una contestazione comunitaria, ed in accordo con la stessa Commissione, dovette procedere
ad eliminare il provvedimento di abolizione totale degli sgravi sugli oneri sociali per le imprese operanti nel
Mezzogiorno (decreto del Ministro del Lavoro Mastella del 5/08/1994), con l’impegno a renderlo inefficace entro
il 1997. La Commissione ritenne, in quel caso, che alte e prolungate aliquote di sgravio costituissero un “aiuto al
funzionamento” delle imprese e come tali in grado di distorcere strutturalmente la competizione (Bodo G., Viesti G.
(1998), La grande svolta. Il Mezzogiorno nell’Italia degli anni novanta, Donzelli editore, Roma). Un altro esempio
è dato dal divieto di introdurre misure di differenziazione della fiscalità su base territoriale. Più nello specifico,
all’interno dell’UE è consentito che fra gli Stati membri vi siano regimi fiscali diversificati, ma è vietato limitare la
riduzione dell’imposizione fiscale ad una parte del territorio. Pur tuttavia, nonostante questo limite, una importante
innovazione a questo principio è stata apportata con la previsione di istituire Zone Franche Urbane (ZFU) nel
Mezzogiorno d’Italia, concordate con la Commissione, e che prevedono una fiscalità di vantaggio molto spinta
per le imprese che vi operano o che intendono iniziarvi la loro attività. Al momento sono state individuate 22
ZFU (nella seduta del CIPE dell’8 maggio 2009). La legge finanziaria 2008 aveva confermato lo stanziamento di un
Fondo di 50 milioni di euro per la fase di attuazione. Allo stato attuale, le ZFU attendono un decreto del Ministero
dell’Economia e delle Finanze in cui vengano definite in maniera dettagliata le agevolazioni fiscali e previdenziali e
lo sblocco definitivo dei fondi statali al CIPE.
13
G., Prota F. (2007), Le nuove politiche regionali dell’Unione Europea, Il Mulino, Bologna.
14
ORIENTAMENTI IN MATERIA DI AIUTI DI STATO A FINALITA’ REGIONALE 2007-2013 (2006/C
54/08), Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 4/03/2006. I nuovi Orientamenti non rappresentano una radicale
innovazione, ma piuttosto la codificazione di prassi da tempo utilizzate dalla stessa Commissione, a fianco o in
parziale sostituzione delle disposizioni contenute negli Orientamenti del 1988 e del 1998.
15
L’art. 87.3a statuisce che possono considerarsi compatibili con il Mercato comune «gli aiuti destinati a
favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave
forma di sottoccupazione»; mentre l’art. 87.3c stabilisce che sono compatibili «gli aiuti destinati ad agevolare lo
sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in
misura contraria al comune interesse». La deroga di cui alla lettera a) riguarda solo le regioni nelle quali la situazione
economica è estremamente sfavorevole rispetto all’UE nel suo complesso, vale a dire regioni svantaggiate rispetto
alla media europea. Secondo quanto stabilito dalla Commissione queste sono regioni, definite a livello territoriale
NUTS II, in cui il Pil pro capite, misurato sulla base della parità di potere d’acquisto (PPA), non supera la soglia del
75% della media comunitaria. La deroga di cui alla lettera c) ha, invece, una portata potenzialmente più ampia, in
quanto non limitata dalle condizioni economiche contemplate dalla lettera a). Sulla base di questa disposizione la
Commissione può autorizzare aiuti tesi a favorire lo sviluppo economico di aree di uno Stato membro, che sono
svantaggiate rispetto alla media nazionale.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
187
Vi sono poi alcune categorie di aiuti che sono dispensate dall’obbligo di notifica preventiva alla
Commissione europea. Si tratta dei cosiddetti aiuti concessi in regime di de minimis, la cui
soglia è stata innalzata da 200.000 euro a 500.000 euro, in seguito ad approvazione da parte
della Commissione UE della decisione n. 248/2009 con la quale l’importo degli aiuti concedibili
è stato esteso al limite massimo di 500.000 euro per impresa nel triennio dal 1° gennaio 2008
al 31 dicembre 2010.
2.2. La deroga prevista per gli aiuti alla cultura e le iniziative di supporto
2.2.1. La deroga per la cultura
Il Trattato di Maastricht ha introdotto all’art. 87, par. 3, lettera d) la possibilità specifica di
un’eccezione al principio generale di incompatibilità previsto dal par. 1 in relazione agli aiuti
concessi dagli Stati membri per promuovere la cultura. In particolare, possono considerarsi
compatibili con il mercato comune «gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione
del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nella
Comunità in misura contraria all’interesse comune».
Il controllo da parte della Commissione nell’autorizzare aiuti destinati alle imprese operanti nel
settore culturale corrisponde evidentemente ad una erosione delle competenze nazionali sulle
possibilità d’intervento a sostegno del settore, ma riconosce al tempo stesso la significatività
delle imprese culturali quali attori non marginali nella formazione del mercato unico europeo.
La disciplina degli aiuti destinati alla cultura è stata applicata ad un ambito coincidente con
una definizione ampia di attività culturale. Ed infatti, in virtù del già richiamato articolo 87,
paragrafo 3, lettera d) del Trattato, in materia di aiuti concessi dagli Stati, la Commissione ha in
passato approvato un’ampia gamma di misure nazionali di cui hanno usufruito beneficiari tra
loro disparati, quali i musei, i beni culturali, le produzioni teatrali e musicali, le pubblicazioni
culturali e il settore audiovisivo e cinematografico16. Parte della dottrina ritiene che, mancando
nel Trattato una definizione di cultura17, spetterebbe agli Stati membri - in base al principio di
sussidiarietà – individuarla.
Vi sono due casi in cui è esclusa l’applicabilità della “deroga culturale”, ovvero una misura di
sostegno alle attività culturali “non” può essere qualificata in termini di aiuto:
1. l’attività culturale che ha ricevuto il sostegno non è qualificabile come un’attività economica;
2. essa non incide sugli scambi tra Stati membri.
Quest’ultima previsione trova spesso riscontro nel settore culturale in quanto molte attività
culturali, con eccezione di quelle che godono di prestigio internazionale, hanno dimensione
esclusivamente locale. Si pensi per esempio alle sovvenzioni concesse per il restauro di
monumenti che fanno parte del patrimonio locale o regionale, la cui capacità attrattiva è spesso
limitata a flussi turistici di prossimità.
E’ molto ampia invece la casistica che ha visto la Commissione europea approvare aiuti di Stato
in applicazione della deroga culturale. Significativo è il caso francese del CELF, in cui l’aiuto è
stato fornito a favore di una società cooperativa (CELF) i cui membri - alcuni editori francesi
16
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale
europeo e al Comitato delle regioni - Comunicazione su un’agenda europea per la cultura in un mondo in via di
globalizzazione {SEC(2007) 570} COM/2007/0242 def.
17
La stessa Commissione riconosce la difficoltà di definire i margini da applicare ad una definizione di
cultura. Nella Comunicazione su un’agenda europea per la cultura in un mondo in via di globalizzazione (vedi nota
precedente)., al par. 2, ammette che “di norma si riconosce la difficoltà di definire il termine cultura. Può indicare le
arti, che comprendono una molteplicità di opere d’arte, beni e servizi culturali, e ha anche un significato antropologico. La cultura è alla base di un mondo simbolico di significati, convinzioni, valori, tradizioni, che si esprimono
attraverso la lingua, l’arte, la religione e i miti; come tale svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo umano e nella
costruzione complessa delle identità e delle abitudini dei singoli e delle collettività”.
188
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
- gestivano gli ordinativi di libri francesi provenienti da librerie con sede all’estero. In tale caso
l’aiuto consisteva in un contributo finanziario sui costi di distribuzione, fornito per consentire
agli editori di poter soddisfare piccoli ordinativi di opere francesi provenienti dall’estero,
che altrimenti non sarebbero stati remunerativi. La Commissione ha considerato l’obiettivo
perseguito dal governo francese nel fornire l’aiuto al CELF di natura culturale, perché diretto
a favorire la diffusione all’estero di opere di lingua francese. Sulla base di tali premesse, ha
concluso che le autorità francesi hanno attuato una politica culturale che risponde agli obiettivi
fissati dal Trattato (essendo la diversità culturale tra i principi fondanti del modello europeo)
e tali aiuti non sono tali da incidere sulla concorrenza, potendo quindi pienamente rientrare
nella deroga culturale (Togo F., 2009).
Un altro caso interessante è quello dell’Aviodrome di Lelystad in Olanda. Con lettera del
maggio 2003, le autorità olandesi informarono la Commissione di una misura a sostegno del
progetto Aviodrome relativo al patrimonio aeronautico. Le misure di aiuto erano destinate allo
sviluppo di un parco a tema aeronautico, denominato appunto Aviodrome e sito a Lelystad. Lo
scopo del progetto era la conservazione del patrimonio aeronautico in un museo.
Per garantire al museo i presupposti per una sua sostenibilità finanziaria nel tempo, sono state
sviluppate varie attività commerciali a sostegno delle attività previste del museo (un esempio di
attività commerciale è un centro conferenze internazionale, situato al centro del parco a tema).
Le attività del museo e quelle commerciali sono state separate nel piano finanziario
dell’investimento. L’aiuto era destinato unicamente alle attività del museo. Sebbene queste
ultime sembrassero essere separate dalle attività commerciali, la Commissione non poteva non
considerare l’effetto di ricaduta che gli aiuti alle attività del museo avrebbero avuto rispetto
alle attività commerciali, laddove queste ultime possono interessare settori nei quali esistono
scambi intracomunitari e concorrenza. La Commissione ha pertanto riconosciuto la misura
in qualità di aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 1, del trattato della CE. Tenuto
però conto della scarsa redditività economica delle semplici attività museali, la Commissione
ha valutato che nessun investitore privato potrebbe accettare di finanziare l’intero progetto in
mancanza di sovvenzioni pubbliche. Il sostegno veniva dunque considerato necessario alla
realizzazione del progetto. L’aiuto non superava inoltre l’importo necessario al raggiungimento
dell’obiettivo culturale. La Commissione ha di conseguenza ritenuto - mediante decisione del
15 ottobre 2003 - che la misura di aiuto poteva essere autorizzata a norma dell’articolo 87,
paragrafo 3, lettera d), del trattato CE (esenzione degli aiuti di Stato al patrimonio culturale)18.
Anche in Italia è possibile riscontrare casi in cui la Commissione europea è intervenuta con
l’applicazione della deroga culturale. Ciò è ad esempio avvenuto a seguito dell’introduzione
da parte della regione Sicilia della legge n. 32 del 2000, con la quale venivano previste misure
di sostegno del settore dell’editoria. In tale circostanza l’applicazione della deroga culturale
da parte della Commissione europea era ispirata al principio per cui «la finalità principale
dell’intervento era la salvaguardia di agenzie di produzione culturale nell’isola».
E’ interessante notare come alcune misure di aiuto che secondo la Commissione erano
sprovviste di una chiara “natura culturale” fossero poi state valutate e comunque ammesse in
base però all’art. 87, par. 3, lettera c).
Questo si è verificato per esempio in un caso, molto controverso ma significativo per i principi
in esso espressi, in cui la Commissione ha dichiarato compatibili ai sensi dell’art. 87, par. 3,
lettera c) del Trattato - e non già sulla base della deroga culturale - gli aiuti concessi dall’Italia,
sotto forma di sovvenzione in conto interessi, a favore di imprese operanti nel settore editoriale,
nonché sotto forma di credito d’imposta, a favore di imprese che producono prodotti editoriali19.
In questo caso, la Commissione non ha riscontrato nel sistema d’aiuto in esame disposizioni
concernenti lo stanziamento di fondi per la promozione esplicita della cultura, i quali anzi
18
XXXIII Relazione sulla politica di concorrenza 2003, Commissione Europea.
19
Decisione 2006/320/EC, relativa alle misure notificate dall’Italia in favore dell’editoria, del 30 giugno 2004
in GU L 118, del 3 maggio 2006, p. 8.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
189
sarebbero stati utilizzati interamente a sostegno più genericamente di investimenti realizzati da
imprese che producono prodotti editoriali in lingua italiana. La Commissione inoltre precisava
che, benché le misure di cui trattasi possano in ultima analisi favorire l’apprendimento e la
diffusione della lingua e della cultura italiana, il fatto di considerarle come misure basate sulla
cultura, in assenza di qualsiasi indicazione specifica di ordine pedagogico o di apprendimento
linguistico, avrebbe equivalso ad ampliare eccessivamente la nozione di cultura. Inoltre, in
risposta all’argomentazione delle autorità italiane che abbinavano la promozione della cultura a
quella del pluralismo dell’informazione, la Commissione precisava come le esigenze educative
e democratiche di uno Stato membro sono da considerarsi distinte dalla promozione della
cultura (Togo F., 2009).
Nel dicembre 2007 la deroga culturale, nell’ottica di una continua evoluzione del concetto di
cultura adottato dalla Commissione, è stata per la prima volta applicata ai videogiochi. La
Commissione, infatti, ha approvato gli aiuti concessi in Francia sotto credito di imposta ad
imprese produttrici di videogiochi20, riconoscendo il valore educativo di alcuni videogiochi, e
richiamandosi inoltre alla Convenzione Unesco sulla diversità culturale, nella quale si riconosce
il carattere culturale dell’industria dei videogiochi nonché il suo ruolo in materia di diversità
culturale.
La produzione cinematografica rappresenta invece il settore dell’industria culturale in cui la
deroga agli aiuti ha trovato maggiore applicazione.
La Commissione europea ha adottato nel 2001 la cosiddetta «Comunicazione sul cinema21» in cui
vengono illustrati gli indirizzi programmatici ed esposti i principi da seguire nell’applicazione
delle norme sugli aiuti di Stato al settore cinematografico, per migliorare la produzione e la
distribuzione delle opere cinematografiche in Europa, sottolineando anche le difficoltà che
incontrano i produttori nell’ottenere un sostegno finanziario iniziale che permetta di portare
avanti i progetti di produzione.
Le misure di sostegno attuate dagli Stati membri alla produzione audiovisiva di film e
programmi televisivi sono incentrate prevalentemente sulle fasi di creazione e di produzione
di opere cinematografiche ed assumono generalmente la forma di sovvenzioni o di anticipi
rimborsabili. Annualmente si stima si spendano nell’Unione europea circa 1,6 miliardi di euro
come sostegno nazionale alla cinematografia22.
Nel valutare i sistemi di sostegno alla produzione cinematografica e televisiva, la Commissione
verifica in generale due condizioni:
•
Il rispetto del criterio di legalità generale, vale a dire che gli aiuti in questione non siano
in contrasto con altre disposizioni del Trattato CE relative a settori diversi dagli aiuti di Stato,
ivi comprese le disposizioni in materia fiscale.
La Commissione deve verificare, tra l’altro, che siano rispettati i principi che vietano la
discriminazione in base alla nazionalità e sanciscono la libertà di stabilimento23, la libera
circolazione delle merci e la libertà di prestare servizi. La Comunicazione chiarisce che in
osservanza di detti principi i sistemi di aiuti non devono, ad esempio, rivolgersi esclusivamente
ai cittadini dello Stato in questione; si stabilisce, inoltre, che i beneficiari debbano essere imprese
nazionali costituite a norma del diritto commerciale nazionale e che i dipendenti di imprese
straniere che forniscono servizi cinematografici rispettino le norme del lavoro nazionali.
Quando le disposizioni che violano detti principi non sono scindibili dal funzionamento del
sistema di aiuti, la Commissione fa rispettare i principi in questione applicando le norme sulla
20
Decisione dell’11 dicembre 2007 C47/2006 (ex. N648/2005) Crédit d’impôt pour la création de jeux vidéo
in GU L/118/2008 del 6 maggio 2008, p. 16.
21
Vedi sopra.
22
Cfr. comunicato stampa IP/09/138 della Commissione del 28 gennaio 2009.
23
Gli Articoli 43-48 del Trattato della Comunità Europea vietano le restrizioni alla libertà di stabilimento
dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro. Per “libertà di stabilimento” si intende
la possibilità di costituire e gestire un’impresa o intraprendere una qualsiasi attività economica in un paese della
Comunita Europea, tramite l’apertura di agenzie, filiali e succursali.
190
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
concorrenza.
Il rispetto di criteri specifici di compatibilità. In particolare, tali criteri specifici sono così
definiti:
•
“Gli aiuti devono riguardare un prodotto culturale”: ogni Stato membro deve garantire
che il contenuto della produzione sovvenzionata sia di natura culturale in base a criteri
nazionali puntualmente verificabili. Facendo riferimento al principio di sussidiarietà
spetta a ciascun Stato definire tale criterio. Alla Commissione di conseguenza è attribuito
il compito di controllare che le autorità nazionali abbiano delineato un sistema di selezione
verificabile, capace di assicurare che potranno beneficiare dell’aiuto solamente prodotti
culturali, come definiti dalle autorità nazionali. Questo criterio è diretto, dunque, ad
escludere dal beneficio le produzioni a carattere prettamente commerciale;
•
“Il produttore deve essere libero di spendere almeno il 20% del bilancio del film in altri Stati
membri senza subire riduzioni della sovvenzione prevista dal sistema quale conseguenza
dell’obbligo eventualmente imposto di “territorializzazione” della spesa”;
•
“L’intensità degli aiuti deve essere in linea di massima limitata al 50% del bilancio di
produzione”24: la Commissione giustifica questa limitazione per stimolare le normali
iniziative commerciali proprie di un’economia di mercato (spinta al ruolo del settore
privato) ed evitare una corsa agli aiuti tra gli Stati membri. Rappresentano un’eccezione a
questo limite i cosiddetti «film difficili e con risorse finanziarie modeste», la cui definizione
è, ancora una volta, coerentemente al principio di sussidiarietà, affidata a ciascuno Stato
membro secondo propri parametri nazionali25.
•
Infine, non sono consentiti ulteriori aiuti a “specifiche attività cinematografiche” (ad
esempio la post-produzione), per garantire la neutralità dell’effetto incentivante degli aiuti
e per evitare che lo Stato che eroga la sovvenzione attiri o protegga le attività in questione.
Occorre poi ravvisare come le imprese che producono film e programmi televisivi possono
usufruire di altri tipi di sovvenzioni non connesse ad attività culturali, ma dirette ad assistere
particolari attività economiche o ambiti regionali e concesse nell’ambito dei sistemi di aiuto
nazionali orizzontali26, approvati dalla Commissione in virtù delle deroghe di cui all’art. 87,
par. 3 lettere a) e c) del Trattato CE (ad esempio aiuti regionali, aiuti alle PMI, a ricerca e
sviluppo, alla formazione e all’occupazione)27.
2.2.2 Le iniziative di supporto
La cultura ha occupato un posto fondamentale nel processo di integrazione europea, sin dagli
inizi, per l’importanza delle sue numerose implicazioni sociali, economiche e politiche. L’azione
comunitaria in materia culturale (vedi supra), in particolare, trova fondamento nell’articolo
151 del trattato che istituisce la Comunità europea, il quale richiama alla possibilità per la
Comunità europea di porre in essere azioni volte ad incoraggiare, promuovere e, se necessario,
integrare le attività poste in essere dagli Stati Membri, contribuendo al pieno sviluppo delle
loro culture nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali, evidenziandone nel contempo
24
La Commissione precisa che i fondi forniti direttamente da programmi comunitari non costituiscono
risorse statali, pertanto la loro presenza non incide sul calcolo del tetto massimo del 50%. I programmi in questione,
inoltre, promuovono la diffusione di film nazionali all’estero, di conseguenza i loro effetti non si aggiungono a quelli
prodotti dai sistemi nazionali, che si concentrano invece sulla produzione e sulla distribuzione.
25
Si intendono per «film con risorse finanziarie modeste» quei film il cui costo complessivo di produzione
non è superiore a 1,5 milioni di euro, mentre «film difficili» sono quei film che si ritiene abbiano una scarsa ricettività da parte del mercato e quindi hanno scarse possibilità di commercializzazione in virtù del loro carattere sperimentale (ad esempio documentari, opere prime e seconde, cortometraggi, opere prodotte dalle scuole di cinema
riconosciute dallo Stato Italiano).
26
La Commissione ha adottato una serie di regole che riguardano i cosiddetti aiuti orizzontali. Queste
regole, a differenza di quelle relative agli aiuti a finalità regionale, riguardano aiuti che possono essere concessi su
tutto il territorio comunitario e, a differenza di quelle relative agli aiuti settoriali, riguardano più settori.
27
Togo F. (2009), Aiuti di Stato nel settore culturale, Aedon, n. 2/2009, Il Mulino.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
191
il retaggio comune.
Inoltre, l’azione della Comunità è intesa ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri e, se
necessario, ad appoggiare e ad integrare l’azione di questi ultimi nei seguenti settori:
•
miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli
europei;
•
conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea;
•
scambi culturali non commerciali;
•
creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo.
Al fine di porre in essere gli obiettivi previsti dall’articolo 15128 del Trattato, la Comunità europea
oltre a destinare parte del Fondo Sociale Europeo (FSE) e del Fondo per lo Sviluppo Regionale
(FESR) della politica regionale al conseguimento di obiettivi attinenti alle attività culturali, ha
istituito programmi ad hoc volti a promuovere misure per preservare il patrimonio culturale,
strumenti di sostegno finanziario per artisti, assistenza per le traduzioni letterarie e supporto
per eventi culturali.
Una prima generazione di programmi volti a sostenere la cultura fu introdotta nel 1996 con
il Programma Caleidoscopio, operativo fino al 1999 e diretto al sostegno di progetti culturali
ed artistici realizzati in cooperazione tra più Stati membri. Ad esso sono seguiti il programma
Arianna, adottato nel periodo 1997-1999 e destinato a sostenere il settore dei libri e della lettura
ed il programma Raffaello (1997-1999), il cui obiettivo era incoraggiare la cooperazione per la
protezione, conservazione e l’accrescimento dell’eredità culturale europea.
Nel maggio del 1998 la Commissione europea propone di creare il primo programma quadro
a supporto della cultura (denominato Cultura 2000). Il programma “Cultura 2000”29, che
raggruppa i precedenti programmi “Raffaello”, “Arianna” e “Caleidoscopio”, mira a realizzare
uno spazio culturale comune promuovendo il dialogo culturale e la conoscenza della storia, la
creazione, la diffusione della cultura e la mobilità degli artisti e delle loro opere, il patrimonio
culturale europeo, le nuove forme di espressione culturali, nonché il ruolo socioeconomico
della cultura.
Il programma “Cultura 2000” è uno strumento di programmazione e di finanziamento per le
azioni comunitarie nel settore della cultura, istituito per il periodo compreso fra il 1° gennaio
2000 al 31 dicembre 2006, che sostiene il ruolo della cultura sia come fattore economico che
come fattore d’integrazione sociale e di cittadinanza. Esso, inoltre, favorisce un collegamento
con le azioni avviate nel quadro di altre politiche comunitarie aventi un’incidenza sul settore
della cultura.
“Cultura 2000” è stato successivamente sostituito da un nuovo programma, denominato
“Cultura 2007”. Esso è stato istituito con la decisione n. 1855/2006/CE del Parlamento europeo
e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, e rappresenta uno strumento di finanziamento e di
programmazione per la cooperazione culturale, per il periodo dal 1° gennaio 2007 al 31
dicembre 2013. Il programma “Cultura 2007” si propone di sostenere le azioni di cooperazione
culturale degli organismi europei attivi nel settore e di raccogliere e diffondere l’informazione
in questo campo.
L’obiettivo generale del programma è, come nei precedenti programmi relativi al comparto, la
valorizzazione di uno spazio culturale comune agli europei al fine di favorire l’emergere di una
cittadinanza europea. Più specificamente il programma Cultura 2007 si articola intorno a tre
obiettivi:
•
favorire la mobilità transnazionale dei professionisti del settore culturale;
28
Versione consolidata che istituisce la Comunità Europea, Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee,
24.12.2002.
29
Decisione 508/2000/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 febbraio 2000, che istituisce il
programma “Cultura 2000”.
192
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
•
favorire la circolazione delle opere d’arte e dei prodotti culturali e artistici al di là delle
frontiere nazionali;
•
promuovere il dialogo interculturale.
L’importanza riconosciuta al settore culturale da parte dell’UE è rintracciabile anche in
altre iniziative della Commissione europea, la quale ha pubblicato nel maggio 2007 la
“Comunicazione su un’agenda europea per la cultura in un mondo in via di Globalizzazione”30,
per rispondere alle sfide imposte dai cambiamenti ingenerati dalla globalizzazione. Si tratta di
una nuova strategia europea della cultura che si basa sull’intensificazione della cooperazione
culturale nell’Unione europea (UE). In particolare, gli obiettivi della nuova agenda della cultura
si articolano intorno a tre principi:
•
stimolare la diversità culturale e il dialogo interculturale (mobilità degli artisti e dei
lavoratori del settore culturale nonché la circolazione di qualsiasi forma di espressione
artistica e rafforzamento delle competenze interculturali e del dialogo interculturale);
•
dinamizzare la creatività nel quadro della strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione
(le industrie culturali contribuiscono al dinamismo dell’economica europea nonché alla
competitività dell’UE);
•
la cultura quale elemento essenziale delle relazioni internazionali (conformemente
alla Convenzione dell’UNESCO sulla protezione e la promozione della diversità delle
espressioni culturali, ratificata da tutti gli Stati membri e dall’UE, la nuova agenda della
cultura propone di rafforzare la dimensione culturale in quanto elemento indispensabile
delle relazioni esterne dell’UE).
Altra iniziativa europea in ambito culturale è costituita dal programma MEDIA 200731, che è
il nuovo programma di sostegno al settore audiovisivo europeo. Nell’ambito del programma
MEDIA 2007, la Commissione intende portare avanti l’azione comunitaria svolta tramite i
programmi MEDIA I, MEDIA II, MEDIA Plus e MEDIA Formazione che hanno favorito lo
sviluppo dell’industria audiovisiva europea a partire dal 1991.
Il settore audiovisivo è uno strumento essenziale per la trasmissione e lo sviluppo dei valori
culturali europei. Tale settore svolge infatti un ruolo fondamentale nella realizzazione di una
identità culturale europea e nell’espressione della cittadinanza europea. Inoltre, la circolazione
delle opere audiovisive europee (film e programmi televisivi) contribuisce a rafforzare il
dialogo interculturale ed a migliorare la comprensione e la conoscenza reciproche delle culture
europee. Il sostegno comunitario mira pertanto a consentire al settore dell’audiovisivo di
svolgere pienamente tale ruolo di consolidamento della cittadinanza e della cultura europee.
Il nuovo programma, che riguarda il periodo 2007-2013, è concepito come un programma
unico che riunisce i due aspetti già oggetto di intervento da parte delle passate iniziative
(sviluppo, distribuzione, promozione e formazione).
Oltre all’aspetto culturale, il settore audiovisivo europeo presenta un forte potenziale sociale ed
economico. Così, ad esempio, il sostegno comunitario al settore audiovisivo si colloca anche
nel contesto della strategia di Lisbona che mira a fare dell’Europa l’economia più competitiva e
più dinamica del mondo.
Il programma MEDIA 2007 persegue i seguenti obiettivi generali:
•
conservare e valorizzare la diversità culturale e linguistica europea e il patrimonio
audiovisivo cinematografico europeo;
30
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale
europeo e al Comitato delle regioni, del 10 maggio 2007, relativa ad un’agenda europea per la cultura in un mondo
in via di globalizzazione [COM(2007) 242].
31
Decisione n. 1718/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 novembre 2006, relativa
all’attuazione di un programma di sostegno al settore audiovisivo europeo (MEDIA 2007). L’Unione europea sostiene
il settore cinematografico europeo mediante il programma MEDIA 2007 che destina, per il periodo 2007-2013, 755
milioni di euro per la formazione, nonché per lo sviluppo e la distribuzione dei film europei oltre frontiera.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
193
•
garantire l’accesso al pubblico dello stesso e favorire il dialogo tra le culture;
•
accrescere la circolazione e la visibilità delle opere audiovisive europee all’interno e
all’esterno dell’Unione europea;
•
rafforzare la concorrenzialità del settore audiovisivo europeo nel quadro di un mercato
europeo aperto e concorrenziale propizio all’occupazione.
Per realizzare questi obiettivi MEDIA 2007 interviene:
•
a monte della produzione audiovisiva, per favorire l’acquisizione e il perfezionamento delle
competenze e lo sviluppo delle opere audiovisive europee (fasi di preproduzione);
•
a valle della produzione audiovisiva, per sostenere la distribuzione e la promozione delle
opere audiovisive europee (fasi di postproduzione);
•
nel sostegno a favore di progetti pilota destinati a garantire l’adeguamento del programma
agli sviluppi del mercato.
Nei suoi settori di competenza, il programma si basa sulle seguenti quattro priorità:
•
il sostegno al processo creativo nel settore audiovisivo europeo, nonché alla conoscenza e
alla diffusione del patrimonio cinematografico ed audiovisivo europeo;
•
il rafforzamento della struttura del settore audiovisivo europeo, in particolare le piccole e
medie imprese (PMI);
•
la riduzione, nel mercato audiovisivo europeo, degli squilibri tra paesi a forte capacità di
produzione di audiovisivi e paesi o regioni con scarsa capacità di produzione di audiovisivi
e/o ad area geografica e linguistica limitata (tale priorità risponde alla necessità di tutelare
e potenziare la diversità culturale ed il dialogo interculturale in Europa);
•
il sostegno degli sviluppi del mercato in materia di digitalizzazione.
A fine Aprile 2010 è stato pubblicato dalla Commissione Europea un importante documento
dedicato alla creatività ed alla cultura ed ai processi innovativi in tale ambito, vale a dire il
Libro Verde “Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare”32, il quale si propone
di suscitare un dibattito sulle condizioni che possono stimolare lo sviluppo delle industrie
culturali e creative dell’Unione europea.
Nel documento si mette in evidenza che il settore delle industrie culturali e creative si compone
di imprese altamente innovative con un grande potenziale economico e costituisce uno dei
settori più dinamici d’Europa. Le industrie culturali e creative in particolare contribuiscono
spesso a rivitalizzare le economie locali in declino, favorendo la nascita di nuove attività
economiche, creando posti di lavoro nuovi e sostenibili e aumentando l’attrattiva delle regioni
e delle città europee
Di fatto, le strategie di sviluppo regionale e locale attuate nei vari paesi europei hanno integrato
con successo le industrie culturali e creative in numerosi settori: promozione del patrimonio
culturale a fini commerciali; sviluppo delle infrastrutture e dei servizi culturali per favorire
un turismo sostenibile; raggruppamento di imprese locali e collaborazioni tra le industrie
culturali e creative e l’industria, la ricerca, l’istruzione e altri settori; creazione di laboratori di
innovazione; definizione di strategie transfrontaliere integrate per gestire le risorse naturali e
culturali e ridare slancio alle economie locali; sviluppo urbano sostenibile.
Inoltre, i contenuti culturali hanno un ruolo cruciale nello sviluppo della società
dell’informazione, alimentando investimenti nelle infrastrutture e nei servizi a banda larga,
nelle tecnologie digitali, nell’elettronica di consumo e nelle telecomunicazioni.
Con il concorso del settore dell’istruzione, le industrie culturali e creative possono inoltre
svolgere un ruolo decisivo nel dotare i cittadini europei delle necessarie competenze creative,
32
LIBRO VERDE. Le industrie culturali e creative, un potenziale da sfruttare, Bruxelles, 27.04.2010, COM
(2010) 183 definitivo.
194
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
imprenditoriali e interculturali. In questo senso, le industrie culturali e creative possono
alimentare i centri d’eccellenza europei e aiutare l’Europa a diventare una società fondata sulla
conoscenza.
Tutte queste dimensioni hanno in comune l’obiettivo per l’Unione europea di sfruttare il
potenziale della cultura come catalizzatore della creatività e dell’innovazione nel quadro della
strategia di Lisbona per la crescita e l’occupazione.
2.3. L’azione europea per le telecomunicazioni
2.3.1. Il quadro generale
Nell’economia moderna le telecomunicazioni sono un importante fattore per lo sviluppo
e la competitività dei sistemi economico-sociali. Soprattutto, a seguito della crescente
globalizzazione dell’economia e della smaterializzazione della produzione e dei processi,
le infrastrutture di comunicazione e la disponibilità di tecnologie basate sull’alta velocità
di trasferimento dei dati costituiscono un asset strategico essenziale per l’inserimento del
sistema produttivo nazionale nelle dinamiche competitive dell’economia globale, ma anche per
migliorare l’efficienza e l’accessibilità dei servizi alle popolazioni locali.
La strategicità delle tecnologie di comunicazione per la competitività dei sistemi economicosociali è dimostrata dal fatto che la loro diffusione nei territori e nei vari settori dell’economia,
nel favorire lo sviluppo economico e la crescita, ha, nel contempo, determinato la nascita
di un digital divide tra aree territoriali che dispongono di nuove tecnologie e capacità di
comunicazione ed altre che invece presentano un deficit in questo senso.
Il fenomeno del digital divide - osservabile non solo con riferimento alle differenze tra paesi
ma, anche, rispetto alle disparità esistenti tra aree all’interno di uno stesso paese -, ha spinto
molti governi nazionali e regionali a dar vita a politiche dal lato della domanda e dell’offerta,
volte soprattutto a sviluppare l’utilizzo di internet e la diffusione della banda larga. La diffusione
della banda larga consente la produzione di esternalità di rete - l’aumento dei sottoscrittori/
utilizzatori aumenta l’utilità della adesione alla rete per tutti i consumatori - creando
convenienza ad accrescere ulteriormente il tasso di penetrazione del servizio, anche in quelle
aree geografiche che sono più distanti dai luoghi in cui si concentrano maggiormente i flussi di
scambio e di informazione e comunicazione.
L’importanza delle telecomunicazioni in ambito europeo, è riconosciuta già nel trattato
istitutivo della Comunità europea, quando all’art. 154 viene enunciato che per la realizzazione
di uno spazio di libero scambio europeo, e per la coesione economica e sociale “la Comunità
concorre alla costituzione e allo sviluppo di reti transeuropee nei settori delle infrastrutture dei
trasporti, delle telecomunicazioni e dell’energia”.
Sin dalla fine degli anni ‘80, il tema della liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni
è stato discusso e concepito nella prospettiva del completamento del mercato interno, e si è
affermato come una priorità per la Comunità europea.
La liberalizzazione del settore ha avuto inizio nel 1988 con l’apertura alla concorrenza dei
mercati di terminali di telecomunicazioni e, poi, è proceduto nel 1990, con la liberalizzazione
dei servizi di telecomunicazione – ad eccezione della telefonia vocale.
L’UE ha proceduto nel 1998 alla completa liberalizzazione dei mercati europei delle
telecomunicazioni, con lo scopo di affermare la concorrenza in un settore in cui predominante
era la posizione di monopoli nazionali su determinati servizi (come ad esempio nell’accesso
ad internet ad alta velocità), ed assicurare che cittadini ed imprese potessero trarre massimo
beneficio dallo sviluppo e diffusione della società dell’informazione.
Parallelamente alla liberalizzazione del settore, un’altra priorità dell’UE è attualmente
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
195
rappresentata dalla riduzione del “divario digitale” tra regioni più ricche e regioni più povere
(specie le zone rurali), con minori possibilità di accesso alla banda larga. Per colmare il divario
territoriale in questo settore, gli Stati membri, le regioni e le autorità locali sono incoraggiati
a migliorare l’accesso alle tecnologie di queste zone, realizzando investimenti nella fornitura
di adeguate attrezzature tecnologiche, e ad individuare modalità per incentivare la domanda.
Le amministrazioni locali, in particolare, possono fornire alcuni servizi fondamentali alla
collettività, come i servizi della pubblica amministrazione, i servizi sanitari e i servizi didattici
on-line33. Dal canto suo l’UE invece può svolgere un ruolo importante attraverso le azioni
strutturali riconducibili agli strumenti della politica regionale e della politica di sviluppo rurale.
Anche se le autorità nazionali di ogni singolo stato membro applicano separatamente le norme
di emanazione europea in materia di telecomunicazioni, esse coordinano le loro strategie a
livello comunitario34.
Da un punto di vista programmatico, nell’ambito della strategia europea per le telecomunicazioni,
i2010 ha rappresentato il nuovo quadro strategico con cui nel 2005 la Commissione europea
ha definito gli orientamenti strategici di massima per la società dell’informazione e i media35.
In particolare, il programma i2010 si proponeva di realizzare uno spazio unico europeo
dell’informazione, per stimolare un mercato interno aperto e competitivo per la società
dell’informazione e i media.
La strategia per le telecomunicazioni definita da i2010 costituiva più in generale una politica
integrata, la quale ha mirato ad uno sviluppo della conoscenza e dell’innovazione per sostenere
la crescita e l’occupazione europea. Tale politica, a sua volta, è poi rientrata nell’ambito della
più complessiva revisione della strategia di Lisbona (Lisbona 2020), laddove quest’ultima già
nella sua formulazione originaria di Lisbona 2010 assegnava allo sviluppo tecnologico e delle
comunicazioni una importanza strategica per la competitività europea36.
Lo scopo dell’iniziativa i2010 è il coordinamento delle azioni degli Stati membri dell’UE per
facilitare la convergenza digitale ed affrontare in modo integrato la società dell’informazione e
le politiche in materia di audiovisivi.
La Commissione europea, in particolare, ha proposto tre obiettivi prioritari che le politiche
europee della società dell’informazione e dei media avrebbero dovuto conseguire entro il 2010:
•
la realizzazione di uno spazio unico europeo dell’informazione;
•
il rafforzamento dell’innovazione e degli investimenti nella ricerca sulle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione (ICT);
•
la realizzazione di una società dell’informazione e dei media basata sull’inclusione.
Come viene evidenziato nella “Comunicazione della Commissione Europea sulla Strategia
di Lisbona 2020”, la domanda globale di tecnologie dell’informazione e della comunicazione
rappresenta un mercato da 8 mila miliardi di euro, di cui però solo un quarto proviene da
imprese europee. L’Europa inoltre accusa un ritardo per quanto riguarda la penetrazione
dell’internet ad alta velocità, che si ripercuote negativamente sulla sua capacità di innovare,
anche nelle zone rurali, sulla diffusione delle conoscenze online e sulla distribuzione online di
beni e servizi.
In questo scenario, un’azione comunitaria volta a sostenere gli investimenti in tecnologie di
comunicazione da parte delle imprese europee, accompagnata da adeguati interventi diretti
33
Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo: «Migliorare l’accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nelle zone rurali» [COM(2009) 103].
34
Il coordinamento delle strategie a livello comunitario avviene nell’ambito del cosiddetto gruppo dei regolatori europei (ERG – European Regulators’ Group).
35
Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale
europeo e al Comitato delle regioni, del 1° giugno 2005, intitolata “i2010 – Una società europea dell’informazione
per la crescita e l’occupazione” [COM(2005) 229].
36
COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE EUROPA 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, CE, 2010.
196
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
ad eliminare il gap infrastrutturale che penalizza le aree più arretrate dell’area europea, non
solo è necessario ma può permettere di conseguire l’obiettivo globale di rafforzare la coesione
sociale, economica e territoriale in Europa attraverso la realizzazione di una società europea
dell’informazione basata sull’inclusione ed il miglioramento dei servizi pubblici e della qualità
della vita.
Ad accompagnare la realizzazione dell’iniziativa i2010, nell’aprile del 2006 è stato preparato
il piano d’azione “eGovernment”, il quale è volto a migliorare l’efficienza dei servizi pubblici,
ammodernarli e adattarli alle esigenze dei cittadini37. Il piano d’azione sottolinea l’importanza
di accelerare l’introduzione dell’amministrazione in linea (o e-government) in Europa per
rispondere a una serie di esigenze, quali:
•
ammodernare e rendere più efficienti i servizi pubblici;
•
offrire ai cittadini servizi di maggior qualità e più sicuri;
•
rispondere alla domanda delle imprese che auspicano meno burocrazia e più efficacia;
•
garantire la continuità transfrontaliera dei servizi pubblici, indispensabili per sostenere la
mobilità in Europa.
Vanno inoltre segnalate delle misure europee in materia di società dell’informazione che sono
però dirette a settori specifici, come ad esempio la sanità.
Nel 2004 la Commissione europea ha dato vita ad un Piano d’azione per la «sanità elettronica»38,
con l’obiettivo principale di permettere all’Unione europea (UE) di sfruttare il potenziale dei
sistemi e dei servizi della sanità in rete nell’ambito di uno spazio europeo della sanità elettronica.
Il Piano prospetta la possibilità d’impiego delle tecnologie informatiche e telematiche (ICT) al
fine di migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria in tutta l’Europa, mantenendo i costi stabili
o riducendoli, abbreviando i tempi di attesa e diminuendo gli errori.
In termini più operativi, il Piano indica misure concrete per la sua realizzazione, prevedendo,
per esempio: l’applicazione delle tecnologie informatiche e telematiche alle ricette mediche, le
cartelle mediche, l’identificazione dei pazienti e le tessere sanitarie, attraverso una più rapida
installazione di reti Internet a banda larga destinate ai sistemi sanitari.
Altri ambiti di intervento comunitario in materia di telecomunicazioni, sostenuti dalla
realizzazione di programmi comunitari dedicati, sono le grandi reti di comunicazione trans
europee, laddove, nel quadro della politica delle reti trans europee dell’Unione europea (UE),
il programma “eTEN”39 sostiene la creazione e la diffusione trans europea di servizi e di
applicazioni elettronici.
Il programma è stato creato inizialmente con lo scopo di sostenere l’interconnessione delle reti
nel settore delle infrastrutture di telecomunicazioni, mentre successivamente è stato esteso alla
creazione, lo sviluppo e l’accessibilità di servizi e di applicazioni interoperabili, concentrandosi
soprattutto sulla promozione dei servizi pubblici e l’impiego innovativo di servizi online.
2.3.2. Gli aiuti di Stato a sostegno del broadband
In una economia di mercato, gli investimenti per il dispiegamento sul territorio di reti
broadband (o banda larga) ad alta e ad altissima velocità viene assicurato primariamente dagli
operatori privati, tuttavia gli aiuti di Stato subentrano quale strumento decisivo per garantire in
molti casi l’estensione e la copertura del broadband in quelle aree in cui gli operatori di mercato
non hanno convenienza economica ad investire.
37
Comunicazione della Commissione, del 25 aprile 2006, Il piano d’azione eGovernment per l’iniziativa
i2010: accelerare l’eGovernment in Europa a vantaggio di tutti [COM(2006) 173].
38
Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, del 30 aprile 2004, «Sanità elettronica - migliorare l’assistenza sanitaria dei
cittadini europei: piano d’azione per uno spazio europeo della sanità elettronica» [COM(2004) 356].
39
Per esteso “TEN-Telecom” che sta per Trans-european Telecommunications Networks.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
197
Al fine di rispondere al fabbisogno crescente di disciplinare una casistica oramai largamente
diffusa nel settore, nel Settembre del 2009 la Commissione europea ha adottato delle Linee
Guida40 per la disciplina degli aiuti di Stato al broadband. Tali linee guida rispondono
all’obiettivo generale di regolare il sostegno pubblico agli investimenti in questo settore
strategico per lo sviluppo economico e la coesione sociale degli Stati, senza creare distorsioni
della competizione, vale a dire assicurando allo stesso tempo la preservazione delle dinamiche
competitive e di mercato in un settore che è ormai completamente liberalizzato.
La connettività a banda larga riveste un ruolo centrale ai fini dello sviluppo, dell’adozione e
dell’impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione nell’economia e nella
società. L’importanza strategica della banda larga consiste pertanto nella sua capacità di
accelerare il contributo di queste tecnologie alla crescita e all’innovazione in tutti i comparti
economici nonché alla coesione sociale e territoriale. La Commissione europea sostiene
attivamente l’accesso generalizzato ai servizi a banda larga per tutti i cittadini europei, quale
strumento di coesione sociale, come stabilito e riaffermato nelle varie versioni della strategia
di Lisbona41.
La disponibilità delle linee guida sugli aiuti di Stato alla banda larga offre agli Stati membri
dell’Unione europea ed alle rispettive autorità pubbliche un set di regole in grado di orientare
piani di sostegno pubblico al settore, che siano in linea con le regole sugli aiuti di stato comunitari,
ma che al tempo stesso facilitino l’espansione delle reti broadband ad alta ed altissima velocità,
riducendo il cosiddetto digital divide, accrescendo la competitività europea e contribuendo alla
creazione di una società knowledge-based in Europa.
Tali linee guida sono state elaborate dalla Commissione europea sulla base di un esperienza
maturata negli ultimi anni e fondata sull’adozione di oltre 40 decisioni individuali su casi
di sostegno pubblico assoggettabile o meno allo status di aiuto di Stato. In particolare esse
esplicitano le regole in base alle quali risorse pubbliche possono essere finalizzate al dispiego
sul territorio di reti broadband di base così come di reti di nuova generazione (NGA42) laddove i
privati non investono. Gli aiuti di Stato a sostegno della banda larga possono infatti rimediare a
un fallimento del mercato in quanto consentono di ovviare a situazioni in cui singoli investitori
privati non ritengono opportuno investire sebbene l’investimento risulti efficiente in una più
ampia prospettiva economica, ad esempio per gli effetti cumulati sullo sviluppo dell’area.
D’altro canto, gli aiuti di Stato a sostegno della banda larga possono anche prestarsi al
conseguimento di obiettivi di equità, laddove quest’ultima viene considerata un mezzo di
comunicazione e di partecipazione fondamentale per la vita sociale, nonché uno strumento
per garantire la libertà di espressione di tutti gli attori sociali, rafforzando in questo modo la
coesione sociale e territoriale.
Già nel «Piano d’azione nel settore degli aiuti di Stato - Aiuti di Stato meno numerosi e più
mirati: itinerario di riforma degli aiuti di Stato 2005-200943», la Commissione aveva osservato
che, a determinate condizioni, gli aiuti di Stato possono costituire strumenti efficaci per
realizzare obiettivi di interesse comune, sottolineando che per quanto riguarda, in particolare,
il comparto della banda larga, un intervento pubblico ben mirato può contribuire a ridurre il
«divario digitale» tra le aree e le regioni di un paese che hanno accesso a servizi a banda larga
abbordabili e competitivi e le aree in cui questa offerta è assente.
Gli investimenti europei per lo sviluppo delle reti di broadband costituiscono, inoltre, una
40
Comunicazione della Commissione. Orientamenti comunitari relativi all’applicazione delle norme in materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga (2009/C 235/04) 30/09/2009.
41
Si vedano, a titolo di esempio, «i2010 — Una società europea dell’informazione per la crescita e
l’occupazione», COM (2005) 229 def., 1 giugno 2005; «e-Europe 2005: una società dell’informazione per tutti»,
COM (2002) 263 def.; «Colmare il divario nella banda larga», COM (2006) 129.
42
NGA sta per Next Generation Access. Si tratta di reti in fibra ottica o reti cablate avanzate in grado di
sostituire totalmente o in larga misura le attuali reti a banda larga in rame o via cavo.
43
COM (2005) 107 def.
198
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
parte importante del piano europeo di ripresa economica44 approvato l’11 marzo 2009, a cui
la Commissione europea ha destinato oltre un miliardo di euro attraverso il Fondo Europeo
Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEASR), al fine di sviluppare la diffusione della rete internet
ad alta velocità nelle aree rurali.
Laddove le aree interessate da un progetto di banda larga sovvenzionato da misure statali, si
qualifichino come «aree assistite» ai sensi dell’articolo 87, paragrafo 3, lettere a) e c), del trattato
CE e quindi degli orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale45, l’intervento
pubblico destinato alla banda larga ricade nella disciplina degli aiuti di Stato.
2.3.3. Le aree di aiuto al broadband
Al fine di classificare gli interventi pubblici a sostegno delle reti di broadband come aiuti di
Stato, la Commissione europea ha effettuato una distinzione di tipo geografico, tra:
•
aree in cui le infrastrutture a banda larga sono inesistenti e non si prevede verranno
sviluppate nel medio termine (aree bianche);
•
aree caratterizzate dalla presenza di un unico operatore di rete a banda larga (aree grigie);
•
aree in cui operano almeno due fornitori di servizi di rete a banda larga (aree nere).
Questa distinzione viene applicata anche alla disponibilità di reti di nuova generazione NGA46,
il cui dispiegamento sulle realtà territoriale è ancora ad uno stadio iniziale.
Aree bianche
Considerato che gli aiuti di Stato alla banda larga nelle aree bianche rurali o scarsamente
servite costituiscono uno strumento in grado di promuovere la coesione economica e sociale
territoriale e di correggere i fallimenti del mercato, la Commissione europea ne ha decretato la
loro stretta compatibilità con le politiche comunitarie per la coesione.
In quasi tutte le decisioni adottate in questo settore, la Commissione ha sottolineato che, per
motivi di redditività, le reti a banda larga tendono ad assicurare una copertura parziale della
popolazione, rendendo necessario l’intervento pubblico onde raggiungere una copertura
completa47. La Commissione europea riconosce pertanto che, nel fornire sostegno finanziario
alla fornitura di servizi a banda larga in aree in cui la banda non è presente né è prevista
l’introduzione di una simile infrastruttura da parte di investitori privati in un periodo prossimo
di almeno tre anni, gli Stati membri perseguono autentici obiettivi di coesione e di sviluppo
economico e l’intervento è quindi probabilmente conforme all’interesse comune48.
Aree nere
In questa situazione, si ritiene che, quando in una determinata zona geografica operano almeno
44
COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO EUROPEO. Un piano europeo di ripresa
economica, COM (2008) 800 def., Bruxelles, 26/11/2008.
45
Per una descrizione delle aree ammissibili agli aiuti di Stato a finalità regionale sulla base degli articoli
87.3 a ed 87.3 c e dei relativi criteri e massimali d’intensità d’aiuto vedi gli Orientamenti in materia di aiuti di Stato
a finalità regionale 2007-2013, GU C 54 del 4.3.2006, pagg. 13-45. Una definizione delle aree 87.3a ed 87.3c e dei
criteri di ammissibilità è anche fornita nel presente capitolo nel paragrafo dedicato agli aiuti di Stato alla cultura.
46
Va però considerato che, poiché le reti NGA implicano una struttura di rete diversa, tale da offrire servizi
a banda larga di qualità notevolmente più elevata rispetto a quelli attuali, la definizione delle aree andrebbe rivista
per tener conto delle specificità delle reti NGA. Inoltre, se nel caso dell’introduzione dell’infrastruttura a banda
larga di base, gli esempi di aiuti di Stato riguardano prevalentemente aree/comunità rurali (caratterizzate da scarsa
densità abitativa, costo elevato degli investimenti) o aree economicamente arretrate (con scarsa capacità di pagare
per i servizi), nel caso delle reti NGA lo sforzo finanziario richiesto per la costruzione di queste reti potrebbe essere
tale da scoraggiarne l’istallazione non solo nelle zone scarsamente popolate ma anche in alcune aree urbane. In altri
termini, lo sviluppo rapido e su ampia scala delle reti NGA risulterebbe ostacolato prevalentemente dal fattore costo
più che dalla scarsa densità abitativa.
47
Cfr. Comunicazione della Commissione. Orientamenti comunitari relativi all’applicazione delle norme in
materia di aiuti di Stato in relazione allo sviluppo rapido di reti a banda larga (2009/C 235/04) 30/09/2009.
48
Si veda, ad esempio, la decisione della Commissione N. 118/06 sulla Lettonia.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
199
due fornitori di servizi di rete a banda larga e la fornitura avviene in condizioni di concorrenza
(concorrenza basata sulle infrastrutture), non vi è fallimento del mercato. È, di conseguenza,
molto improbabile che l’intervento pubblico apporti ulteriori benefici, mentre aiuti pubblici
intesi a finanziare la costruzione di un’ulteriore rete a banda larga saranno tali da falsare, in
linea di principio, la concorrenza in misura inammissibile, avendo per effetto l’esclusione degli
investitori privati. Pertanto, in assenza di un fallimento del mercato chiaramente dimostrato, la
Commissione giudica negativamente le misure intese a finanziare l’introduzione di una nuova
infrastruttura a banda larga in una «area nera»49.
Aree grigie
La presenza di un operatore di rete in una determinata area non esclude che vi possa essere
un fallimento del mercato o una scarsa infrastrutturazione di rete del territorio. In effetti, la
presenza di posizioni monopolistiche può incidere sulla qualità o sul prezzo dei servizi offerti ai
cittadini in misura ancorché svantaggiosa. Allo stesso tempo però, nelle zone in cui è presente
un unico operatore di rete a banda larga, il sostegno pubblico alla costruzione di una rete
alternativa può, per definizione, interferire sulle dinamiche di mercato.
E’ per questa ragione che gli aiuti di Stato a sostegno dello sviluppo di reti a banda larga nelle aree
grigie richiedono un’analisi più particolareggiata e un’attenta valutazione della compatibilità.
Consideriamo il verificarsi di alcune tipologie di ammissibilità dell’aiuto. Supponiamo che
nella zona interessata dall’intervento pubblico sia già presente un operatore di rete; è tuttavia
possibile che alcune categorie di utenti non siano adeguatamente servite (per esempio non
risultano disponibili alcuni servizi a banda larga richiesti dall’utenza oppure, in mancanza di
tariffe di accesso all’ingrosso regolamentate, i prezzi al dettaglio praticati sono inaccessibili
rispetto a quelli degli stessi servizi offerti in altre zone o regioni del paese più competitive).
Se, inoltre, è piuttosto improbabile che infrastrutture alternative vengano realizzate da terzi, il
finanziamento pubblico potrebbe rivelarsi una misura adeguata per perseguire un tale scopo.
In questo caso, sopperendo all’assenza di concorrenza infrastrutturale, gli aiuti ridurrebbero i
problemi connessi al monopolio di fatto dell’operatore storico50.
Quando concede aiuti in queste circostanze, tuttavia lo Stato membro deve garantire il rispetto
di una serie di condizioni. In particolare, la Commissione può, a determinate condizioni,
dichiarare compatibili misure di aiuto che interessano aree in cui le infrastrutture a banda
49
Si veda la decisione della Commissione, del 19 luglio 2006, concernente l’aiuto di Stato C 35/05 (ex N
59/05) relativo all’installazione di una rete a banda larga a Appingedam nei Paesi Bassi (GU L 86 del 27.3.2007,
pag. 1). Il caso riguardava lo sviluppo di una rete passiva (condotte e fibre) di proprietà comunale il cui strato attivo
(gestione e funzionamento della rete) sarebbe stato appaltato ad un operatore del settore privato che avrebbe fornito
servizi all’ingrosso ad altri prestatori di servizi a banda larga. La Commissione ha constatato, nella decisione, che il
mercato della banda larga nei Paesi Bassi è un mercato in rapida evoluzione e che i fornitori di servizi di comunicazioni elettroniche, gli operatori cavo e i prestatori di servizi Internet stavano per introdurre sul mercato nazionale
servizi a banda larga ad elevata capacità non sovvenzionati. La situazione di Appingedam non risultava diversa da
quella del resto del paese. Tanto l’operatore di linea fissa che l’operatore cavo presenti sul mercato offrivano già ad
Appingedam un pacchetto di servizi «triple play» (telefonia, banda larga e TV digitale/analogica) e entrambi gli
operatori vantavano le capacità tecniche per estendere la capienza di banda nell’ambito delle reti esistenti.
50
Nella decisione N. 131/05 — Regno Unito, Fibre Speed Broadband Project Wales, la Commissione
ha valutato se il sostegno finanziario concesso dalle autorità gallesi alla costruzione di una rete in fibre ottiche
aperta e neutrale sotto il profilo dell’operatore che collegava 14 parchi industriali potesse ritenersi compatibile,
considerato che le zone interessate erano già servite dall’operatore di rete esistente il quale offriva linee dedicate
a prezzi regolamentati. La Commissione ha ritenuto che il prezzo del servizio offerto dall’operatore esistente fosse
molto elevato, quasi inaccessibile per le PMI. Data la distanza dalle centrali telefoniche dell’operatore esistente,
i parchi industriali interessati non potevano neanche accedere a servizi simmetrici ADSL superiori ai 2 Mbps.
Inoltre l’operatore esistente non consentiva l’accesso di terzi alle condotte e alla fibra inattiva. Pertanto la presenza
di un operatore nelle zone interessate non garantiva la fornitura di connessioni Internet ad alta velocità a prezzi
abbordabili per le PMI. Né sussisteva tantomeno la possibilità che un’infrastruttura alternativa tale da fornire servizi
ad alta velocità ai parchi industriali interessati sarebbe stata realizzata da terzi. Si vedano, quali esempi riconducibili
a tale casistica, anche le decisioni della Commissione : N 890/06 - Francia, Aide du Sicoval pour un réseau de très
haut débit; N 284/05 - Irlanda, Regional Broadband Programme: Metropolitan Area Networks («MANs»), phases II
and III.
200
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
larga sono gestite di fatto in regime di monopolio ammesso che: i) non siano offerti servizi
abbordabili o adeguati a soddisfare il fabbisogno dei cittadini e dell’utenza commerciale; ii)
gli stessi obiettivi non possano essere raggiunti con misure meno distorsive (compresa una
regolamentazione ex ante). Al fine di verificare ciò, la Commissione procede nello specifico a
valutare i seguenti elementi:
1. inadeguatezza delle condizioni generali di mercato, analizzando, tra l’altro, il livello dei
prezzi correnti della banda larga, il tipo di servizio offerto all’utenza finale (residenziale e
commerciale) e relative condizioni;
2. in assenza di una regolamentazione ex ante imposta da un’autorità nazionale di
regolamentazione, impossibilità di un accesso effettivo alla rete da parte di terzi o presenza
di condizioni di accesso tali da non favorire una concorrenza efficace;
3. esistenza di ostacoli generali tali da impedire l’eventuale ingresso di nuovi operatori del
mercato delle comunicazioni elettroniche;
4. nessun provvedimento adottato o misura correttiva emanante dalla competente autorità
nazionale di regolamentazione o dall’autorità garante della concorrenza competente nei
confronti dell’operatore di rete esistente è stato in grado di ovviare ai suddetti problemi.
Pur avendo facilitato in molti casi lo sviluppo della banda larga nelle aree urbane e più
densamente popolate, la regolamentazione ex ante può, infine, rivelarsi uno strumento
inadeguato a garantire la fornitura di servizi a banda larga, specie nelle zone scarsamente
servite in cui la redditività intrinseca dell’investimento è bassa51.
Analogamente, provvedimenti volti a incentivare la domanda di banda larga (ad es. la
concessione di buoni d’acquisto di connessioni veloci per gli utenti finali), benché possano
contribuire positivamente ad una maggiore diffusione della banda larga, non sempre risultano
efficaci rispetto all’obiettivo riflesso di migliorare anche l’offerta52.
In circostanze di questo tipo, al fine di ovviare alla insufficiente disponibilità o completa
assenza di banda larga, non vi sono alternative rispetto ad un intervento pubblico assoluto, con
la completa realizzazione delle opere di banda larga a totale carico dello Stato.
3. La spesa pubblica in Italia in telecomunicazioni e cultura nel sistema
dei Conti Pubblici Territoriali (CPT)
3.1. Introduzione
Le tendenze della spesa pubblica in Italia, costituiscono un fattore di grande attenzione, specie
da quando il nostro paese è impegnato a dover rispettare gli obblighi comunitari in materia
di stabilità dei conti pubblici. Da una parte i vincoli di bilancio manifestano continuamente
l’esigenza di rendere la spesa pubblica più efficiente e produttiva, dall’altra però vi sono settori
dell’economia (tra i quali rientrano la cultura e le telecomunicazioni) che necessitano un ampio
sostegno agli investimenti pubblici perché soggetti a fallimenti dei mercati.
Per studiare la spesa pubblica in cultura53 e telecomunicazioni abbiamo deciso di fare riferimento
51
Si vedano, ad esempio, le seguenti decisioni della Commissione: N 473/07 – Italia, Messa a disposizione di
connessioni a banda larga in Alto Adige; N 570/07 - Germania, Eckpunkte zur Breitbandversorgung des ländlichen
Raums in Baden- Württemberg; N 131/05 - Regno Unito, Fibre Speed Broadband Project Wales; N 284/05 - Irlanda,
Regional Broadband Programme: Metropolitan Area Networks («MANs»), phases II and III; N 118/06 - Regno
Unito, South Yorkshire Digital Region Broadband Project.
52
Si vedano, ad esempio, le decisioni della Commissione: N 222/06 - Italia, Piano d’azione per il superamento del digital divide in Sardegna; N 398/05 - Ungheria, Sgravio fiscale a favore dello sviluppo della banda larga;
N 264/06 - Italia, Banda larga nelle aree rurali della Toscana.
53
Nel sistema dei CPT l’aggregato di spesa è riferito al settore Cultura e servizi ricreativi, laddove i servizi
ricreativi includono soprattutto impianti sportivi, voce che si è ritenuto di mantenere inclusa nell’aggregato
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
201
ai dati raccolti a livello centrale dai Conti Pubblici Territoriali (CPT)54, alla cui costruzione e
utilizzo è stato dedicato un approfondimento nella nota metodologica a questo capitolo.
Nella presente analisi si è proceduto a rilevare la serie storica dei flussi di spesa del Settore
Pubblico Allargato, per gli anni che vanno dal 2000 al 2008 (ultimo anno a cui giunge la serie
storica CPT), suddividendo la spesa pubblica tra spesa di parte corrente (si tratta di spese di
funzionamento: tra le voci principali ci sono ad esempio il pagamento di stipendi, gli affitti,
ecc.) e spesa in conto capitale (che rappresenta la spesa per investimenti).
3.2. Il quadro complessivo
I dati riguardanti i trenta settori dell’economia che vengono rilevati nel sistema dei CPT
ci consentono di avere una visione ampia ed estremamente eterogenea delle tendenze
della spesa pubblica nel nostro paese. L’analisi di questo universo ci permette, inoltre, di
analizzare l’importanza specifica e l’evoluzione del peso della spesa pubblica nei settori delle
telecomunicazioni e della cultura rispetto al resto dell’economia del paese.
Nell’ultimo anno di rilevazione dei CPT, il 2008 per l’appunto, la spesa pubblica del Settore
Pubblico Allargato verso la cultura è stata, in termini assoluti, pari a 10.668 milioni di euro,
mentre per il settore delle telecomunicazioni essa è ammontata a 9.929 milioni di euro (Graf.
1). La spesa in cultura rappresenta inoltre, nello stesso anno, l’1,03 per cento della spesa
complessivamente sostenuta dal Settore Pubblico Allargato per tutti i settori dell’universo
rilevato, mentre per le telecomunicazioni essa rappresenta lo 0,96 per cento (Graf. 2).
Non sarebbe indubbiamente una sorpresa far notare che tra i settori dell’economia che
assorbono la maggior parte della spesa pubblica in Italia vi siano la Previdenza (27,57 per
cento), la Sanità (10,29 per cento) e l’Amministrazione Generale (9,96 per cento), i quali
notoriamente alimentano il deficit pubblico del paese e maggiormente necessitano di ampi e
profondi processi di riqualificazione della spesa, orientata ad una maggiore efficienza e qualità.
Peraltro, sia nel settore cultura che in quello delle telecomunicazioni, il peso della spesa
pubblica su quella complessiva è andato riducendosi negli ultimi anni. Nel settore cultura la
spesa si è addirittura dimezzata nell’arco di tempo sotto analisi: rappresentava il 2,10 per cento
della spesa totale nel 2000 e, dopo essere scesa all’1,59 per cento nel 2002, risaliva al 2,20 per
cento nel 2004, per poi calare progressivamente fino al livello del 2008 (1,03 per cento). Nelle
telecomunicazioni, invece, dopo che la spesa sostenuta è cresciuta significativamente nel 2001
(1,88 per cento della spesa complessiva), è diminuita costantemente negli anni successivi fino al
suo livello più basso nel 2008, rappresentando lo 0,96 per cento della spesa complessiva immessa
nel circuito economico; tuttavia, su questi andamenti, vanno fatte ulteriori considerazioni che
consentono di interpretare e qualificare meglio le variazioni della spesa intervenute nei vari anni.
Per esempio, il raddoppio della spesa in telecomunicazioni intervenuto tra il 2000 e il 2001 (da
7.836,59 a 14.434,11 milioni di euro) è stato frutto del combinato di due fattori straordinari: da
una parte, l’operazione di mercato di acquisto di Wind da parte di Enel, dall’altro l’incremento
di spese da parte di Poste Italiane in personale, acquisto di beni e servizi e acquisto di beni
immobili. Analogamente, la riduzione della spesa tra il 2004 e il 2005, è originata dalla cessione
di Wind.
considerato il suo peso ridotto. Vedi anche parte metodologica.
54
Informazioni più dettagliate sulle attività del progetto CPT possono essere reperite sul sito istituzionale
http://www.dps.tesoro.it/cpt/cpt.asp.
202
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
Figura 1 - Spesa totale Settore Pubblico Allargato (2000-2008) (valori assoluti, milioni di euro)
285,49
Previdenza e Integrazioni Salariali
205,15
154,75
Energia
52,32
106,53
Sanita'
67,26
2008
103,07
Amministrazione Generale
60,36
2000
57,49
42,59
Istruzione
52,55
25,60
Industria e Artigianato
Altri trasporti
43,79
27,18
Oneri non ripartibili
38,89
42,17
Interventi in campo sociale
34,90
24,89
Altre in campo economico
29,33
29,91
Difesa
18,26
10,90
Viabilita'
15,08
10,14
Sicurezza pubblica
13,24
12,75
Smaltimento dei Rifiuti
11,16
8,74
Cultura e servizi ricreativi
10,67
14,26
Telecomunicazioni
9,93
7,84
Edilizia abitativa e urbanistica
7,82
6,49
Acqua
7,20
2,89
Ambiente
6,82
4,64
Giustizia
6,57
4,86
Agricoltura
4,74
5,21
Fognature e depurazione Acque
3,57
3,40
Ricerca e Sviluppo
3,42
2,53
Commercio
2,66
1,48
Formazione
2,65
2,22
Turismo
1,67
1,47
Altri interventi igenico sanitari
1,34
0,97
Altre opere pubbliche
0,90
0,80
0,75
0,61
80
0,08
Lavoro
Pesca marittima e Acquicoltura
0
50
100
150
200
250
300
350
Migliaia
Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
203
Figura 2 – Quote di spesa per settori su totale spesa SPA (2000-2008) (%)
Previdenza e
Integrazioni Salariali
27,58
Energia
14,95
7,70
10,29
9,89
Sanita'
Amministrazione
Generale
2008
9,96
8,88
2000
5,55
6,27
Istruzione
5,08
3,77
Industria e Artigianato
4,23
4,00
3,76
Altri trasporti
Oneri non ripartibili
6,20
Interventi in campo
sociale
Altre in campo
economico
3,37
3,66
2,83
4,40
1,76
1,60
Difesa
1,46
1,49
Viabilita'
1,28
1,88
Sicurezza pubblica
1,08
1,29
Smaltimento dei Rifiuti
Cultura e s ervizi
ricreativi
1,03
2,10
Telecomunicazioni
0,96
1,15
Edilizia abitativa e
urbanistica
0,76
0,96
Acqua
0,70
0,43
Ambiente
0,66
0,68
Giustizia
0,63
0,72
Agricoltura
0,46
0,77
Fognature e
depurazione Acque
0,35
0,50
Ricerca e Sviluppo
0,33
0,37
Commercio
0,26
0,22
Formazione
0,26
0,33
Turismo
0,16
0,22
Altri interventi igenico
sanitari
0,13
0,14
Altre opere pubbliche
0,09
0,12
Lavoro
0,07
0,09
Pesca marittima e
Acquicoltura
0,01
0,01
0
5
10
15
20
25
Fonte: elaborazione su dati CPT.
204
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
30
3.3. La spesa pubblica nelle telecomunicazioni
3.3.1. Spesa complessiva sul territorio italiano
Nonostante l’importanza riconosciuta agli investimenti in telecomunicazione per la
competitività e la crescita di un Paese55, i dati sulla spesa pubblica per il settore in Italia
indicano che, a partire dal 2001, vi è una riduzione progressiva dei flussi di spesa pubblica
alle telecomunicazioni, mentre con riferimento alla parte in conto capitale, questa subisce una
drastica riduzione a partire dal 2005. In particolare, dopo il balzo della spesa tra il 2000 ed il
2001 (da 7.836 a 14.434 milioni di euro), essa inizia a decrescere fino al livello più basso del
2007 (9.876 milioni di euro), per poi risalire leggermente nel 2008 (9.929 milioni di euro)
(Graf. 3; Graf. 5). Si noti anche come, per un periodo ininterrotto, dal 2004 al 2007 il tasso di
crescita della spesa pubblica in telecomunicazioni sia sempre negativo, mentre ritorna ad essere
lievemente positivo nell’ultimo anno di rilevazione (Graf. 4).
Un andamento simile alla spesa pubblica totale presentano le componenti della spesa di parte
corrente e di conto capitale (investimenti)56. La spesa per investimenti registra una notevole
impennata nel 2001 passando da 582 milioni di euro a 2.303 milioni di euro, inoltre sempre
a partire dal 2001 e fino al 2005, mediamente la spesa per investimenti tende ad aumentare il
suo peso relativo mentre si riduce quello della parte di spesa in conto corrente. Sebbene, poi, a
partire dal 2005 si rileva una inversione di tendenza, con la parte di spesa corrente che aumenta
a detrimento della spesa per investimenti, nel 2008 la spesa in conto capitale torna nuovamente
ad aumentare a vantaggio della parte corrente, segnalando una ripresa degli investimenti nel
settore (Graf. 6).
Figura 3 - Spesa totale SPA – Tlc (anni 2000- Figura 4 – Variazioni spesa totale SPA – Tlc
2008)
(anni 2000-2008)
16.000
1,0
14.000
0,8
12.000
0,6
10.000
0,4
8.000
0,2
6.000
4.000
0,0
2.000
-0,2
0
-0,4
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Fonte: elaborazione su dati CPT.
55
Vedi sopra. L’impatto della diffusione ed upgrading tecnologico delle telecomunicazioni sullo sviluppo
e la crescita sono anche dimostrate da alcuni studi internazionali, come quello condotto dall’U.S. Department of
Commerce (Measuring Broadband’s Economic Impact, Febbraio 2006), nel quale sono state messe a confronto comunità locali con alta e con scarsa presenza di tecnologie broadband. Lo studio, condotto per il periodo 1998-2002,
ha mostrato che le comunità con maggiore accesso e diffusione di tecnologie broadband hanno avuto una più alta
crescita degli occupati ed una maggiore diffusione di imprese, specie di quelle operanti nei settori a più alta intensità
tecnologica. Dallo studio non emerge un impatto statisticamente significativo sul livello medio dei salari, mentre è
aumentato il valore delle proprietà residenziali (rilevato usando come proxy il livello medio degli affitti pagati per le
proprietà residenziali nelle aree con più alta diffusione di tecnologie broadband).
56
Per le Tlc le spese di parte corrente si identificano con spese di funzionamento (stipendi, affitti, ecc.),
mentre le spese di conto capitale attengono alla realizzazione delle opere (acquisto materiali, costruzione delle infrastrutture ecc.).
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
205
Figura 5 – Spesa totale (in conto capitale e corrente) del Settore Pubblico Allargato in
Telecomunicazioni (2000-2008) (milioni di euro)
16.000
conto capitale
conto corrente
12.000
8.000
4.000
0
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.
Figura 6 – Variazione spesa in conto capitale e corrente del Settore Pubblico Allargato in
Telecomunicazioni (2000-2008) (%)
350
conto corrente
conto capitale
300
250
200
150
100
50
0
-50
-100
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Fonte: elaborazione Iem su dati CPT
206
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
2008
3.3.2. La spesa per regione
L’analisi della spesa pubblica in telecomunicazioni per regione mostra andamenti simili rispetto
alle tendenze del dato medio nazionale.
In tutte le regioni italiane, dal 2000 al 2001 si registra un significativo incremento della spesa
pubblica in telecomunicazioni, seguito, a partire dal 2002, da una diminuzione generalizzata
della spesa, con valori che si dimezzano in quasi tutte le regioni tra il 2002 ed il 2008 (Graf. 7).
L’unica eccezione è rappresentata dal Lazio, dove la spesa effettuata nelle telecomunicazioni
passa dai 2.287 milioni di euro del 2001 ai 2.946 milioni di euro del 2002 e, dopo una forte
flessione, si stabilizza negli ultimi anni.
Figura 7 – Spesa in Telecomunicazioni suddivisa per regione (2000-2008) (milioni di euro)
2.741
Lazio
2.097
1.430
Lombardia
1.032
2008
849
Piemonte
2000
700
698
Campania
594
527
Emilia
Romagna
375
511
Sicilia
382
508
Veneto
408
461
Toscana
342
371
Puglia
305
275
Calabria
244
237
Liguria
214
202
Abruzzo
165
192
Friuli Venezia
Giulia
155
188
Marche
158
182
Sardegna
219
141
Prov. Aut. di
Trento
126
124
Umbria
105
90
Prov. Aut. di
Bolzano
45
90
Molise
65
79
Basilicata
78
34
Valle d'Aosta
26
0
500
1.000
1.500
2.000
2.500
3.000
Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
207
Figura 8 – Spesa pro-capite in Telecomunicazioni suddivisa per regione(2000-2008) (euro)
487,2
Lazio
409,9
279,8
Molise
203,6
Prov. Aut.
di Trento
Valle
d'Aosta
270,6
265,6
2008
267,8
2000
217,1
191,5
165,8
Piemonte
180,6
Prov. Aut.
di Bolzano
98,6
Friuli
Venezia…
156,4
131,3
Abruzzo
151,6
130,9
Liguria
147,0
135,6
Lombardia
146,8
114,6
Umbria
138,2
127,6
Calabria
136,7
120,9
Basilicata
134,5
129,5
Toscana
124,3
97,7
Emilia
Romagna
121,4
94,6
Marche
120,1
108,2
Campania
120,0
104,1
Sardegna
108,8
134,1
Veneto
104,0
90,5
Sicilia
101,4
76,8
90,9
75,8
Puglia
0
100
200
300
400
500
Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.
208
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
600
Nel 2008, le regioni con una più alta spesa in valore assoluto sono il Lazio e la Lombardia,
rispettivamente con 2.741 e 1.430 milioni di euro, seguite dal Piemonte, con 848 milioni di
euro, la Campania, con 697 milioni di euro, e la Sicilia, con 511 milioni di euro.
Va, inoltre, segnalato come, in alcune regioni del Mezzogiorno, nel 2008, la spesa in valore
assoluto torni a crescere in misura consistente rispetto al trend dominante negli anni precedenti:
è il caso della Calabria, della Campania e della Puglia. La causa va probabilmente ricercata nei
fondi residui delle politiche strutturali del periodo 2000-2006, di cui beneficiano le regioni
suddette, per i quali è prevista una possibilità di spesa fino ai due anni successivi alla chiusura
del periodo di programmazione. Il 2008 rappresenta l’ultimo anno in cui i fondi comunitari
possono essere spesi, pena la perdita dei fondi non utilizzati, e questo è sicuramente un forte
incentivo.
Considerando invece la spesa pubblica pro-capite in telecomunicazioni per regione, il Lazio
continua ad essere la regione capofila, con 487 euro per abitante, seguita dal Molise con 280
euro per abitante, dalla provincia autonoma di Trento con 271 euro per abitante e dalla Valle
d’Aosta, con 268 euro per abitante.
Molto basso è invece il dato della Puglia (appena 91 euro per abitante), specie se confrontato
con le altre regioni del Mezzogiorno, in cui la spesa pro-capite destinata alle telecomunicazioni
oscilla tra i 101 euro per abitante della Sicilia e i 152 euro dell’Abruzzo (Graf. 8).
3.4 La spesa pubblica in cultura
3.4.1 Spesa complessiva sul territorio italiano
L’industria culturale del nostro Paese costituisce uno dei settori in cui la filiera dei prodotti e
dei servizi generati è molto lunga e differenziata. Per tale ragione, l’allocazione delle risorse
pubbliche nel settore è aspetto quanto mai complicato, per di più in un contesto in cui
prevalgono esigenze di contenimento e qualificazione della spesa pubblica.
La spesa pubblica in cultura sostenuta dal Settore Pubblico Allargato ha avuto fasi altalenanti;
prima una fase di decrescita, dal 2000 al 2002, seguita da una ripresa nel 2003 e soprattutto
nel 2004 quando si registra il picco della serie temporale analizzata (19.262 milioni di euro),
per poi nuovamente ritornare a decrescere fino ai livelli del 2008 (10.669 milioni di euro).
Specialmente, colpisce il dato di spesa dell’ultimo anno, infatti se tra il 2006 e il 2007 vi era
stata una ripresa della dinamica della spesa, nel 2008 sembrerebbe esserci una caduta a picco,
corrispondente al livello più basso degli ultimi 9 anni (Grafico 9, 10 e 11).
Tuttavia, la forte altalenanza del dato di spesa è dovuta alla presenza dei trasferimenti che lo
Stato ogni anno effettua a favore dei monopoli per il pagamento delle vincite derivanti dal
gioco del lotto, e che è di per sé molto variabile. Se il dato così considerato venisse corretto
rispetto ai trasferimenti ai monopoli, la serie storica apparirebbe molto più lineare, come è
illustrato in Grafico 13. Non solo, infatti nel 2009 si avrebbe in realtà un aumento della spesa a
favore della cultura, tanto in conto capitale quanto in conto corrente. Più in dettaglio, la spesa
totale in cultura salirebbe da 9.865,95 a 10.668,64 milioni di euro, cambiando radicalmente lo
scenario dapprima descritto, rivelando un aumento del sostegno al settore.
Mediamente, tra il 2000 e il 2007, un valore intorno all’80% della spesa pubblica del Settore
Pubblico Allargato nel settore cultura è spesa in conto corrente, rappresentando un limite
alla capacità di sostegno alla domanda di investimenti nel settore, per esempio attraverso la
realizzazione di opere di valorizzazione del patrimonio storico-artistico a fini turistici (Grafico
12). Tuttavia, nel 2008, a fronte di una diminuzione generale della spesa in cultura, aumenta
sensibilmente la spesa per investimenti57, accrescendo il suo peso rispetto al 2007 di ben 10
punti percentuali.
57
Le partite finanziarie costituiscono in media appena il 3% del totale del conto capitale, e lo 0,6% del conto
complessivo, per cui la loro inclusione non distorce il dato di spesa.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
209
Figura 10 – Variazioni spesa totale SPA –
Cultura e servizi ricreativi (anni 2000-2008)
Figura 9 - Spesa totale SPA – Cultura e
servizi ricreativi (anni 2000-2008)
25.000
0,5
0,4
20.000
0,3
15.000
0,2
0,1
10.000
0,0
5.000
-0,1
-0,2
0
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
-0,3
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.
Figura 11 – Spesa totale (in conto capitale e corrente) del Settore Pubblico Allargato in Cultura
(anni 2000-2008) (milioni di euro)
20.000
conto capitale
conto corrente
16.000
12.000
8.000
4.000
0
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.
BOX DI APPROFONDIMENTO - LA SPESA PUBBLICA PER LIVELLI DI GOVERNO
I dati sulla spesa pubblica in cultura disaggregati per livello di governo mostrano come, nel corso
degli anni, lo Stato abbia modificato il suo ruolo centrale di ente erogatore di spesa, mentre
è aumentato il peso ed il protagonismo della spesa a sostegno del settore da parte degli enti
locali (specie attraverso il ruolo dei Comuni). Nel 2000 la spesa pubblica erogata dallo Stato
(prevalentemente il Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Mibac), rappresentava il 47%
della spesa totale del Settore Pubblico Allargato, mentre nel 2007 tale peso si riduce al 35,7%,
pari al peso finanziario dei Comuni. In linea con la tendenza alla riduzione del peso dello Stato
a favore degli organi decentrati di governo del territorio, nel 2007 sono aumentati il peso delle
Regioni (12,3%) e delle Province e Città metropolitane (5,2%). Vi è poi un’altra categoria che
viene classificata nello studio come “Altro”, che racchiude le imprese pubbliche locali, e pari
all’11,2%58.
58
I dati sulla spesa pubblica per livelli di governo sono tratti da B. Stratta (2009), Spesa pubblica per la
cultura nelle regioni italiane: dinamiche recenti e modelli, Economia della Cultura, n. 2,. L’analisi condotta nel
210
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
Figura 12 – Spesa SPA totale, in conto capitale e corrente al netto dei trasferimenti da Stato ai
Monopoli - (anni 2000-2008) (milioni di euro)
12000
conto capitale
conto corrente
10000
8000
6000
4000
2000
0
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.
Figura 13 – Variazione spesa in conto capitale e corrente del Settore Pubblico Allargato in
Cultura (anni 2000-2008) (%)
60
conto corrente
conto capitale
50
40
30
20
10
0
-10
-20
-30
-40
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.
presente studio si basa anch’esso su dati di spesa pubblica dei Conti Pubblici Territoriali; a differenza dell’analisi da
noi condotta, è stato selezionare un sottoinsieme delle voci di bilancio di ciascun ente per escludere la componente
relativa ai servizi ricreativi (comprendente ad esempio gli impianti sportivi). Per maggiori dettagli sulla metodologia
seguita si rimanda alla nota metodologica.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
211
Figura 14 - Distribuzione % della spesa erogata dal SPA per livello di governo (2000-2007)
Altro
Province e città metropolitane
Comuni
Regione
Stato
100,0
90,0
80,0
70,0
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Fonte: elaborazione Iem su Stratta (2009)
Scorporando i dati tra regioni del Centro-Nord e quelle del Mezzogiorno, emerge un diverso
modello di spesa pubblica nel settore. Nelle regioni del Centro-Nord l’attore principale della
spesa pubblica in cultura è rappresentato dai Comuni, che nel 2007 hanno la quota principale
(38,1%), superando il peso finanziario dello Stato (36,5%). Peraltro, questa del maggior peso
acquisito dai Comuni è una tendenza avviatasi nel Centro-Nord già a partire dal 2001,
primo anno in cui la loro spesa supera quella dello Stato (con il 40,8% della spesa pubblica
complessiva, contro il 34,1% dello Stato).
Figura 15 - Distribuzione % della spesa erogata dal SPA per livello di governo (2000-2007) –
Centro-Nord
Altro
Province e città metropolitane
Comuni
Regione
Stato
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
Fonte: elaborazioni Iem su Stratta (2009).
212
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
2007
Nel Mezzogiorno, nel 2007, prevale invece ancora un modello di tipo centralista nella spesa
pubblica. Il ruolo dei Comuni, seppur in crescita, resta più modesto, con un’incidenza di
spesa pari al 29,2% della spesa complessiva. Pur riducendosi il ruolo dello Stato dal 2000
al 2007, l’amministrazione centrale rimane il principale erogatore di spesa pubblica, con il
33,4%. A risultare invece fortemente in crescita nel periodo considerato è il livello regionale,
passando dal 14,9% nel 2000 al 24,9% nel 2007.
In generale il ruolo ed il peso delle amministrazioni regionali, non solo in qualità di enti
erogatori di spesa ma anche come promotori diretti di politiche pubbliche nei vari settori
dell’economia regionale, è cresciuto negli ultimi anni. Ciò grazie ai processi di decentramento
amministrativo e delle funzioni direttamente legate all’attuazione di politiche sul territorio,
con cui le Regioni si sono “smarcate” dallo svolgere un ruolo puramente burocraticoamministrativo per diventare soggetti di primo piano nella promozione ed attuazione di
politiche per lo sviluppo59.
Figura 16 - Distribuzione % della spesa erogata dal SPA per livello di governo (2000-2007) –
Mezzogiorno
Altro
Province e città metropolitane
Comuni
Regione
Stato
2006
2007
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
2000
2001
2002
2003
2004
2005
Fonte: elaborazioni Iem su Stratta (2009)
Il maggior peso dell’intervento dello Stato nel Mezzogiorno rispetto agli altri livelli di governo
non deve, tuttavia, ingannare rispetto al peso effettivo assunto dalla spesa statale per la cultura,
se comparato rispetto alle altre parti del paese. Risulta, infatti, che la spesa pro-capite erogata
dallo Stato nel settore cultura nel Mezzogiorno nel 2007 è pari ad appena il 63% della media
del Centro-Nord. Inoltre, se si focalizza l’analisi sulla sola componente di spesa pubblica in
conto capitale erogata nel settore cultura, si può rilevare che il differenziale di spesa pubblica
fra Centro-Nord e Mezzogiorno non risulta affatto compensato dagli investimenti finanziati
nell’ambito delle politiche regionali con le risorse cosiddette “aggiuntive” provenienti dai
Fondi Strutturali e dal Fondo nazionale per le Aree Sottoutilizzate (Stratta 2009).
Le politiche regionali individuano nella valorizzazione delle risorse culturali uno degli
assi strategici della politica di intervento per lo sviluppo delle aree depresse (regioni del
Mezzogiorno). Alla cultura il Quadro Strategico Nazionale 2007-2013 per la politica
regionale unitaria di sviluppo ha infatti dedicato una delle dieci priorità strategiche della
59
La crescita del ruolo delle regioni a sostegno di azioni dirette allo sviluppo del territorio, è confermato
anche dall’incidenza della spesa per investimenti da parte delle stesse regioni nel Mezzogiorno, che nel 2007 rappresenta il 48,0% della spesa erogata nella cultura, di gran lunga superiore all’incidenza della spesa in conto capitale
dello Stato, pari al 35,2% (Stratta 2009).
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
213
politica di sviluppo in Italia, denominata “Valorizzazione delle risorse naturali e culturali
per l’attrattività e lo sviluppo” (priorità 5)60. La priorità, recepita poi nei rispettivi documenti
di programmazione regionale (POR) in diverse linee di intervento, nel declinare la strategia
specifica per il settore, oltre a voler garantire le azioni tradizionali di tutela e salvaguardia
del patrimonio culturale, sottolinea l’opportunità di poter trasformare la dotazione locale
di risorse naturali, paesaggistiche e culturali in aumento di opportunità e benessere per la
collettività, attraverso azioni mirate alla loro valorizzazione.
3.4.2 Spesa suddivisa per regione
Il differente livello di spesa pubblica effettuata dalle regioni italiane nel settore della cultura è
determinato in misura rilevante anche dal comportamento dello Stato centrale, la cui azione di
trasferimento di fondi a livello regionale risulta essere fortemente diseguale.
La maggior parte della spesa pubblica erogata dallo Stato al settore della cultura si concentra,
infatti, nel Lazio e in poche altre regioni, prime fra le quali la Lombardia e la Campania. Questa
redistribuzione fortemente diseguale delle risorse statali alla cultura è determinata da diversi
elementi. Anzitutto la componente di spesa erogata dallo Stato è costituita prevalentemente
dall’impegno del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, il cui bilancio si compone per
circa l’80% di voci riconducibili a funzioni di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale.
Per cui, escludendo le regioni e le province autonome, che presentano elementi distintivi dovuti
anche alla diversa titolarità del patrimonio culturale, le sei regioni nelle quali si rileva la maggior
parte dei visitatori registrati nei siti statali (Lazio, Campania, Toscana, Lombardia, Piemonte e
Veneto) sono anche le regioni nelle quali si concentra la maggior parte della spesa statale nel
settore cultura61 (Stratta 2009). Ne risulta che la spesa statale è fortemente condizionata dalla
distribuzione territoriale del patrimonio culturale statale e dai relativi modelli di gestione.
I dati 2008 confermano l’analisi. Al netto delle regioni e province a statuto speciale, la regione
che ha una maggiore spesa in valore assoluto in cultura è la regione Lazio, con 1.610 milioni di
euro (benché questo valore sia notevolmente inferiore rispetto al 2007, quando la spesa era pari
a 2.152 milioni di euro), seguita dalla Lombardia, con 1.257 milioni di euro, il Piemonte, con
855 milioni di euro, il Veneto, con 744 milioni di euro, la Campania, con 738 milioni di euro,
l’Emilia-Romagna con 678 milioni di euro, la Toscana, con 599 milioni di euro, la Puglia, con
512 milioni di euro.
Le restanti regioni del Mezzogiorno si collocano invece su valori assoluti molto più bassi, con
la Calabria a 264 milioni di euro, l’Abruzzo a 225 milioni di euro, la Basilicata a 98 milioni di
euro, il Molise a 54 milioni di euro.
60
Quadro Strategico Nazionale per la politica regionale di sviluppo 2007-2013, Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica, Ministero dello Sviluppo Economico (http://www.dps.tesoro.it/qsn/qsn.asp).
61
All’interno di tale quadro generale, risaltano tuttavia il Lazio e la Lombardia, nelle quali la concentrazione di spesa statale risulta elevata e più che proporzionale alla concentrazione di visitatori. Nel caso del Lazio ciò
è interpretabile, oltre che con l’elevata concentrazione di musei e siti culturali e archeologici, anche in funzione
della distribuzione del personale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (nel Lazio si concentra il 26% dei
dipendenti del Ministero, esclusi i dirigenti; le altre due regioni dove si concentra il personale del Ministero per i
Beni e le Attività Culturali, esclusi i dirigenti, sono la Campania (18%) e la Toscana (10%); sono, inoltre, localizzati
a Roma due delle tre Scuole di Alta formazione e ricerca del MiBAC – l’Istituto superiore per la conservazione e il
restauro e l’Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario) e della maggiore
diffusione di servizi culturali sul territorio (ad esempio, nel Lazio sono localizzate 15 delle 46 biblioteche statali attive sul territorio nazionale).
214
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
Figura 17 – Spesa in Cultura suddivisa per regione (2000-2008) (milioni di euro)
1.611
Lazio
2.034
1.258
1.424
Lombardia
960
978
Sicilia
Piemonte
856
747
Veneto
744
859
2008
2000
738
Campania
1.403
678
Emilia Romagna
1.065
599
Toscana
1.271
512
Puglia
1.365
406
291
Friuli Venezia Giulia
323
461
Sardegna
301
303
Liguria
284
334
Prov. Aut. di Bolzano
264
308
Calabria
245
Marche
471
225
230
Abruzzo
Prov. Aut. di Trento
218
269
Umbria
164
249
134
41
Valle d'Aosta
98
104
Basilicata
54
54
Molise
0
500
1.000
1.500
2.000
2.500
Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.
Se passiamo a considerare la spesa regionale pro-capite, rimane confermato il primato della
regione Lazio, mentre si modifica parzialmente il ruolo delle regioni del Mezzogiorno. Così si
ha che la regione Abruzzo ha una spesa in cultura pari a 168 euro per abitante, il Molise pari a
167 euro per abitante, la Basilicata pari a 165 euro per abitante, su livelli addirittura superiori
di regioni quali Marche, Toscana, Lombardia ed Emilia-Romagna. Mentre Calabria, Campania
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
215
e Puglia, sono le regioni con le quote più basse di spesa per abitante, pari rispettivamente a 131,
127 e 125 euro per abitante (Grafico 18).
Figura 18 – Spesa pro-capite in Cultura per regioni (2000-2008) (euro)
1.052,5
Valle d'Aosta
342,4
569,5
Prov. Aut. di
Bolzano
724,1
419,8
Prov. Aut. di
Trento
2008
567,4
2000
329,8
Friuli Venezia
Giulia
246,5
286,3
Lazio
397,6
193,4
Sardegna
282,0
Piemonte
193,0
177,1
Sicilia
190,6
196,5
Liguria
186,2
192,1
182,9
Umbria
302,3
168,3
182,1
Abruzzo
Molise
167,5
168,8
Basilicata
165,4
174,0
161,5
Toscana
363,8
156,2
Emilia Romagna
268,5
155,9
Marche
321,9
152,4
190,5
Veneto
Calabria
131,2
152,6
Lombardia
129,1
158,2
126,9
Campania
245,8
125,5
Puglia
339,2
0
200
400
600
800
1.000
Fonte: elaborazione Iem su dati CPT.
216
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
1.200
4. L’intervento pubblico in Italia nei settori dell’industria della comunicazione
4.1 Radio e Tv
4.1.1 Introduzione
Nel presente paragrafo si tenta di ricostruire l’entità e le modalità di intervento del sostegno
pubblico nazionale e regionale a favore delle imprese radiotelevisive. Le tipologie di
finanziamento sono state declinate in sei ambiti differenti, in funzione del soggetto erogatore
(Ministero, Regione) e/o del beneficiario dei contributi (emittenti).
Sostegno pubblico al settore radiotelevisivo: aree di indagine
Contributi Dipartimento Informazione
Sostegno alla tv pubblica nazionale
editoria della Presidenza del Consiglio
Convenzioni Rai con la PA
Rimborsi per la pubblicità elettorale
Contributi Ministero Sviluppo economico –
Contributi per il digitale terrestre
Dipartimento per le Comunicazioni
Sulla base delle analisi di dettaglio condotte nelle pagine che seguono, si propone una
visualizzazione della quantificazione delle risorse pubbliche destinate alle singole aree poste
sotto osservazione riferite all’ultimo anno disponibile.
Sostegno pubblico alla RAI
1.800
Sostegno pubblico a tv e radio locali
120
1.600
100
1.400
1.200
80
1.000
60
800
600
40
400
20
200
0
0
Convezioni Canone Rai
Rai per
(2009)
servizi in
Italia e
all'estero
(2008)
Contributi fondo perduto
Radio locali per attività di
informazione (2009)
Contributi nazionali per il
passaggio al Digitale
Terrestre (2010)
Fonte: IEM su fonti varie. Dati in milioni di euro.
4.1.2 Sostegno alla tv pubblica nazionale
Le emittenti europee di servizio pubblico ricevono ogni anno oltre 22 miliardi di euro in
forma di canoni o direttamente come sovvenzioni statali, il che le pone al terzo posto, dopo
l’agricoltura e le imprese di trasporto, tra i beneficiari di aiuti di Stato62.
62
Fonte: Commissione europea, Comunicato del 2 luglio 2009: “Aiuti di Stato: la Commissione aggiorna le
norme sul finanziamento statale delle emittenti di servizio pubblico”.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
217
Nel quadro della normativa europea, il Protocollo di Amsterdam del 199763 riconosce la
competenza degli Stati membri a provvedere al finanziamento e alla definizione del servizio
pubblico, a condizione che:
•
tale finanziamento (in deroga alla disciplina generale sugli aiuti di Stato) sia accordato agli
organismi di radiodiffusione ai fini dell’adempimento della missione di servizio pubblico
conferita, definita ed organizzata da ciascuno Stato membro;
•
tale finanziamento non alteri le condizioni degli scambi e della concorrenza nell’Unione
in misura contraria all’interesse comune, tenendo conto nel contempo dell’adempimento
della missione di servizio pubblico.
Il citato Protocollo precisa che il sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri è
direttamente collegato alle esigenze democratiche, sociali e culturali di ogni società, nonché
all’esigenza di preservare il pluralismo dei mezzi di informazione.
Nel 2001 la Commissione europea ha adottato una Comunicazione al fine di precisare criteri e
regole di applicazione delle norme comunitarie sugli aiuti di Stato e sulla tutela della concorrenza
ai servizi di interesse economico generale e in particolare a quelli di radiodiffusione64. I numerosi
cambiamenti del mercato e del quadro giuridico hanno richiesto nel 2009 un aggiornamento
della Comunicazione del 200165 che ha accentuato la responsabilizzazione e il controllo effettivo
a livello nazionale, introducendo norme per una valutazione più trasparente dell’incidenza
complessiva dei nuovi servizi mediatici che beneficiano del finanziamento statale66.
Nel nostro Paese, il servizio pubblico radiotelevisivo trova fondamento costituzionale nei
principi della libertà di parola e nel diritto di informare e di essere informati (art. 21 della
Costituzione).
Nel 2002 la Corte Costituzionale ha ribadito che la fine del monopolio statale a seguito
dell’ingresso dei privati nel settore non comporta il venire meno della giustificazione
costituzionale del servizio pubblico radiotelevisivo che risiede nella sua funzione specifica,
volta a tutelare il pluralismo e a diffondere la cultura intesa come veicolo di promozione dello
sviluppo sociale e civile del Paese67.
Le risorse derivanti dal canone (vedi infra) consentono inoltre alla Rai (titolare della concessione
fino al 6 maggio 2016) di adempiere agli obblighi di servizio pubblico previsti nell’apposito
Contratto triennale siglato con il Ministero delle Comunicazioni sostenendo i relativi oneri e
più in generale adeguando la tipologia e qualità della propria programmazione alle specifiche
e distintive finalità del servizio pubblico. In tal modo l’offerta finanziata dal canone dovrebbe
consentire un minor condizionamento dalle rilevazioni di ascolto, (diffuse da Auditel e
63
Protocollo n. 23 sul sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri allegato al Trattato di Amsterdam del 1997, ora allegato quale Protocollo n.27 al testo del Trattato di Costituzione per l’Europa. Più in generale
l’art. 16 del Trattato CE riconosce l’importanza dei servizi di interesse economico generale, demandando all’Unione
e ai singoli Stati membri, secondo le rispettive competenze, il compito di assicurare che tali servizi funzionino in
base a principi e condizioni economiche e finanziarie che consentano loro di assolvere i propri compiti.
Dopo di allora, la Commissione ha adottato più di 20 decisioni, che hanno apportato altri chiarimenti
64
sull’applicazione delle norme. L’esame dei singoli casi ha integrato, sotto molteplici aspetti, i principi enunciati nella
comunicazione del 2001. Le decisioni più recenti sugli aiuti di Stato a favore dei servizi pubblici di diffusione dei
mezzi audiovisivi in Germania, in Irlanda e in Belgio riflettono l’impostazione della Commissione, in particolare
per quanto riguarda il mandato di servizio pubblico nel nuovo ambiente mediatico, per esempio quando le emittenti
gestiscono siti web e trasmettono via telefoni cellulari.
65
Comunicazione della commissione relativa all’applicazione delle norme sugli aiuti di stato al servizio pubblico di radiodiffusione adottata il 2 luglio 2009, dopo un’ampia consultazione pubblica. Il Trattato si occupa di aiuti
di stato e concorrenza agli articoli 86, 87 e 88.
66
Le principali modifiche della nuova comunicazione riguardano:
• il controllo a priori dei nuovi servizi di rilevante portata lanciati dalle emittenti di servizio pubblico
• una verifica attenta sull’eventuale inclusione dei servizi a pagamento nel mandato di pubblico servizio;
• un controllo più efficace degli eccessi di compensazione e supervisione del mandato di servizio pubblico a
livello nazionale;
• maggiore flessibilità finanziaria per le emittenti di servizio pubblico.
67
Sentenza n. 284 del 2002.
218
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
connesse alla raccolta pubblicitaria) evitando l’omologazione nelle scelte di programmazione a
quelle proprie dei soggetti privati.
Il Testo Unico della Radiotelevisione del 200568 ha ridefinito i compiti del servizio pubblico
generale radiotelevisivo e della concessionaria. In particolare la Rai ha l’obbligo di garantire:
•
la copertura integrale del territorio nazionale;
•
un numero adeguato di ore di trasmissioni televisive e radiofoniche dedicate all’educazione,
all’informazione, alla formazione, alla promozione culturale e alla realizzazione di attività
di formazione a distanza;
•
l’accesso alla programmazione, in favore dei partiti e dei gruppi politici, delle organizzazioni
associative delle autonomie locali, dei sindacati nazionali, delle confessioni religiose, dei
gruppi etnici e linguistici e degli altri gruppi di rilevante interesse sociale che ne facciano
richiesta, la trasmissione gratuita dei messaggi di utilità sociale;
•
la costituzione di una società per la produzione, la distribuzione e la trasmissione di
programmi radiotelevisivi all’estero, finalizzati alla valorizzazione della lingua, della cultura
e delle imprese italiane;
•
la diffusione di trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca, ladina, francese,
e slovena per le Regioni di confine e la valorizzazione e il potenziamento dei centri di
produzione decentrati, per la promozione delle culture e degli strumenti linguistici locali;
•
la trasmissione, in appositi orari, di contenuti destinati specificatamente ai minori;
•
la conservazione degli archivi storici radiofonici e televisivi;
•
la destinazione di una quota non inferiore al 15% dei ricavi complessivi annui alla
produzione di opere europee69;
•
la tutela delle persone portatrici di handicap sensoriali;
•
la valorizzazione e il potenziamento dei centri di produzione decentrati;
•
la realizzazione di servizi interattivi digitali di pubblica utilità.
Per consentire la determinazione del costo di fornitura del servizio pubblico generale
radiotelevisivo, coperto dal canone di abbonamento70 e di assicurare la trasparenza e la
responsabilità nell’utilizzo del finanziamento pubblico, il Testo Unico prevede che la società
concessionaria predisponga il bilancio di esercizio indicando in una contabilità separata i ricavi
derivanti dal gettito del canone e gli oneri sostenuti nell’anno solare precedente per la fornitura del
suddetto servizio71. Entro il mese di novembre di ciascun anno, il Ministro delle comunicazioni,
con proprio decreto, stabilisce l’ammontare del canone di abbonamento in vigore dal 1º gennaio
dell’anno successivo, in misura tale da consentire alla società concessionaria della fornitura del
servizio di coprire i costi che prevedibilmente verranno sostenuti in tale anno per adempiere
gli specifici obblighi di servizio pubblico generale radiotelevisivo affidati a tale società, come
desumibili dall’ultimo bilancio trasmesso, prendendo anche in considerazione il tasso di
inflazione programmato e le esigenze di sviluppo tecnologico delle imprese. La ripartizione del
gettito del canone dovrà essere operata con riferimento anche all’articolazione territoriale delle
reti nazionali per assicurarne l’autonomia economica. La società concessionaria della fornitura
68
Decreto legislativo 31 luglio 2005, n.177. Art. 45 Definizione dei compiti del servizio pubblico generale
radiotelevisivo.
69
Ci si riferisce in particolare agli obblighi di investimento in programmi di fiction e in produzioni
cinematografiche per il tramite della controllata Rai Cinema (vedi infra, paragrafo 4.1)
70
Di cui al regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, e successive modificazioni.
71
La Rai redige la contabilità separata sulla base di uno schema approvato dall’Autorità per le Garanzie delle
Comunicazioni, imputando o attribuendo i costi sulla base di principi di contabilità applicati in modo coerente e
obiettivamente giustificati e definendo con chiarezza i principi di contabilità analitica secondo cui vengono tenuti
conti separati. Art. 47 del Testo Unico.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
219
del servizio pubblico ha il divieto di utilizzare, direttamente o indirettamente, i ricavi derivanti
dal canone per finanziare attività non inerenti al servizio pubblico generale radiotelevisivo.
Nella sentenza del 2002 la Corte ha ribadito la natura di prestazione tributaria del canone
(imposta di scopo), specificando che l’interesse generale che sorregge l’erogazione del servizio
pubblico impone una forma di finanziamento fondata sul ricorso allo strumento fiscale.
Per completare il quadro complessivo della disciplina di sostegno pubblico al settore
radiotelevisivo va infine ricordata la riforma del Titolo V della Costituzione (Legge n. 3 del
2001) e, più in particolare, l’inserimento nell’elenco delle materie di competenza legislativa
concorrente (art,117, c.3) dell’ “ordinamento della comunicazione”; una dizione che, al di là delle
difficoltà di una sua puntuale definizione, certamente attiene al settore della radiotelevisione.
I ricavi da canone
L’andamento dei ricavi derivanti dal pagamento del canone (riversato alla concessionaria
dall’Agenzia delle entrate) riflette quello dell’ammontare della tassa, adeguato annualmente al
tasso di inflazione programmato (negli ultimi anni pari a circa 1,4%). Nel 2009 il canone è
passato da 196 a 197,5 euro, elevando la relativa raccolta ad 1,63 miliardi. di euro (vedi infra).
L’ultimo adeguamento relativo all’anno 2010 ha fissato l’importo del canone a 107,5 euro. Dal
2002 il tasso di crescita è stato pari al 19%.
Figura 1 – Andamento ricavi da canone Rai (milioni di euro) 2002-2010
1.700
115
Ricavi da canone
Canone annuale
1.650
110
1.600
1.550
105
1.500
1.450
100
1.400
95
1.350
1.300
90
1.250
1.200
85
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
Fonte: elaborazione IEM su dati Rai. Per i ricavi 2010 stime.
Il Testo unico della radiotelevisione prevede espressamente, a garanzia della Concessionaria,
un meccanismo che salvaguardi l’equilibrio economico aziendale, riconoscendo che le risorse
pubbliche spettanti alla Rai debbano coprire i costi che la stessa sostiene per lo svolgimento
delle attività di servizio pubblico delegate.
Questa disposizione di legge, richiamata anche nel Contratto di Servizio - la “carta operativa”
che, sulla base della normativa comunitaria e nazionale, stabilisce puntualmente i singoli
compiti che la Concessionaria deve svolgere - è stata, fino ad oggi, sostanzialmente disattesa.
220
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
Infatti, qualora fosse stato rispettato il principio di proporzionalità fra costi e risorse, la Rai,
nel periodo 2005 - 2008, avrebbe potuto disporre di maggiori introiti pari ad oltre 1 miliardo
di Euro.
Lo squilibrio tra le risorse pubbliche e i costi sostenuti dalla Concessionaria per l’assolvimento
dei compiti di Servizio Pubblico, ha prodotto un deficit che per il 2008, come risulta dagli ultimi
conti separati disponibili, ammonta a quasi 550 milioni di Euro; tale squilibrio si riduce a 335
milioni di Euro dopo l’attribuzione della quota specifica della pubblicità raccolta sul palinsesto.
Il raffronto con alcuni Paesi europei indica come nel nostro Paese l’importo del canone sia il
più contenuto (va ricordato in compenso che la Rai è il broadcaster pubblico che raccoglie la
quota di risorse pubblicitarie più cospicua rispetto alle omologhe emittenti).
Figura 2 – Importo del canone in Europa (2009)
Italia
Francia
Regno Unito
Irlanda
Svezia
Germania
Finlandia
Norvegia
Austraia
Svizzera
0
50
100
150
200
250
300
350
Fonte: elaborazione IEM.
Le entrate derivanti dalla riscossione del canone presentano importi molto ridotti in rapporto
ai 16,5 milioni di potenziali utenti. Secondo un recente studio, il tasso di evasione del canone in
Italia si attesta al 26/26,5 % (il tasso medio a livello europeo è pari a circa l’8%) del totale delle
famiglie con televisore, pari a circa 5,5 milioni, comportando ogni anno introiti mancati per 500
milioni di euro72. In realtà la cifra relativa all’evasione totale è ancora più ampia considerando
anche l’elevatissima evasione degli enti pubblici nazionali e locali, dei partiti, delle banche e
delle aziende.
Le risorse provenienti dal canone rappresentano comunque la principale fonte di entrata per la
72
Dati rilevati dalla Facoltà di Statistica dell’Università di Firenze. Cfr. Sole 24 Ore 25 marzo 2010. Si consideri che le persone con più di 75 anni e un reddito non superiore ai 516 euro al mese dovrebbero essere esentati.
Per recuperare una parte consistente dell’evasione da anni è allo studio l’ipotesi di abbinare il pagamento del canone
alla bolletta elettrica. In proposito è stato attivato presso il Ministero dello Sviluppo Economico un tavolo tecnico.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
221
concessionaria di sevizio pubblico, coprendo una quota dei ricavi sempre superiore al 50%. Nel
2009 il peso del canone rispetto al totale ha raggiunto la quota record del 64,1% per effetto della
forte contrazione della raccolta pubblicitaria che ha perso il 17% rispetto al 200873.
Figura 3 – Andamento entrate da canone e da pubblicità (2002-2009)
1.800
Canone
Pubblicità
1.600
1.400
1.200
1.000
800
600
400
200
0
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
Fonte: elaborazione IEM su dati Rai.
4.1.3 Le convenzioni Rai con la PA
Tra le altre forme di ricavo dell’azienda pubblica, accanto a canone e pubblicità, figurano
anche gli introiti ricevuti dalla capogruppo a fronte di Convezioni stipulate con la PA per lo
svolgimento di servizi radiotelevisivi in Italia (nelle Regioni con minoranze linguistiche) e
all’estero74.
Nel 2008 le risorse destinate a tali servizi sono state circa 70 milioni, in crescita rispetto al 2007
anno in cui gli introiti sono scesi a poco meno di 65 milioni (peggior dato dal 2002) a causa
del mancato rinnovo della Convenzione per la diffusione radiofonica in onde corte per l’estero.
All’interno della Rai il compito di sviluppare e gestire le convenzioni con le Istituzioni (Ministeri,
Regioni ecc…) è affidato all’area commerciale per la parte contrattuale e a quella istituzionale
per la definizione dei contenuti delle singole attività da svolgere a fronte di un corrispettivo
73
Le risorse pubblicitarie sono passate da 1,096 miliardi di euro a 909 milioni di euro. Nel grafico sono
indicate le due voci di ricavo principali (canone e pubblicità) senza tener conto dei cosiddetti “altri ricavi” che, nel
biennio 2008-2009, hanno registrato un forte incremento (+74,3%, grazie alla cessione di diritti pay per i Mondiali
di calcio) salendo da 238,6 milioni a 415,9, contribuendo in parte ad attenuare il calo della raccolta pubblicitaria.
74
Tra gli altri ricavi, oltre alla convenzioni con la PA, il fatturato consolidato del gruppo Rai prevede anche
introiti derivanti da attività commerciali (Rai Trade), cinematografiche e di home video (Rai Cinema e 01 Distribution), pubblicità radiofonica, ricavi Raisat, cessione diritti di utilizzo materiale teche, rimborsi costi di produzione
programmi ed altro ancora. In quest’ultima generica voce (che nel 2008 ha generato 56 milioni di euro su un totale
di 404) sono incluse ulteriori prestazioni di servizi di diversa natura forniti dalla Capogruppo ad enti pubblici che
non è stato possibile quantificare e desumere dai dati di bilancio.
222
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
economico su base annuale o pluriennale.
Rai International (per la programmazione dell’offerta all’estero e per le minoranze linguistiche),
Rai Way (per il supporto tecnico) e Rai Educational sono le consociate o strutture interne
al gruppo pubblico responsabili di applicare le Convenzioni stipulate con vari organi della
Pubblica Amministrazione.
Figura 4 –Entrate da Convenzioni (2002-2008)
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Fonte: elaborazione IEM su dati Rai, Mae e Presidenza del Consiglio. Dati in milioni di euro.
Tra le Convenzioni di maggiore rilievo figurano quelle a tutela delle minoranze linguistiche che
il broadcaster pubblico sigla con il Dipartimento Informazione Editoria della Presidenza del
Consiglio. Tali accordi prevedono modalità e condizioni che di norma sono rinegoziate ogni
tre anni75.
Le principali disposizioni normative che hanno dato (tardivamente) attuazione a quanto la
Costituzione prevedeva nel 1948 a tutela delle minoranze linguistiche76, sono contenute nella
legge n. 482 del 15 dicembre 1999 ed il successivo regolamento di attuazione contenuto nel
DPR n. 345 del 2 maggio 2001. L’articolo 12 della legge prescrive che nella convenzione tra il
Ministero delle comunicazioni e la società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo
e nel conseguente contratto di servizio siano assicurate condizioni per la tutela delle minoranze
linguistiche nelle zone di appartenenza.
Le Regioni interessate possono inoltre stipulare apposite convenzioni con la società
concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo per trasmissioni giornalistiche o
programmi nelle lingue ammesse a tutela, nell’ambito delle programmazioni radiofoniche
e televisive regionali della medesima società concessionaria; per le stesse finalità le Regioni
possono stipulare appositi accordi con emittenti locali.
75
Per l’anno 2008 e gli anni successivi, i relativi impegni di spesa sono assunti con decreti dirigenziali.
76
L’articolo 6 della Costituzione dichiara che “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
223
La tutela delle minoranze linguistiche nell’ambito del sistema delle comunicazioni di massa
è di competenza dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni77, fatte salve le funzioni di
indirizzo della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi. Viene dunque riconosciuto pienamente il diritto delle minoranze linguistiche
ad avere trasmissioni radiofoniche e televisive nella propria lingua78.
Il Testo Unico del 2005, come già richiamato, ha richiesto alla Rai la “costituzione di una società
per la produzione, la distribuzione e la trasmissione di programmi radiotelevisivi all’estero,
finalizzati alla valorizzazione della lingua, della cultura e delle imprese italiane”, con il compito
di effettuare trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca e ladina per la Provincia
autonoma di Bolzano, in lingua ladina per la Provincia autonoma di Trento, in lingua francese
per la Regione autonoma Valle d’Aosta e in lingua slovena per la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia.
Il 3 dicembre 2007 sono stati emanati tre Decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri
con i quali sono state approvate altrettante Convenzioni (attualmente in vigore) con la Rai per
l’offerta televisiva e radiofonica79:
•
in lingua francese per la Regione autonoma della Valle d’Aosta80;
•
in lingua tedesca e ladina nella Provincia Autonoma di Bolzano81;
•
in lingua slovena nella Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia82.
Eventuali variazioni nel numero di ore di trasmissioni televisive, nonché nella distribuzione
settimanale dei programmi, devono essere preventivamente concordate tra le parti. Le
trasmissioni devono avere contenuto informativo, artistico e culturale aderente alle particolari
esigenze delle zone interessate.
In base a quanto previsto dal Contratto di Servizio, la concessionaria è chiamata a garantire un
77
Di cui alla legge 31 luglio 1997, n. 249.
78
La normativa prevede, nel dettaglio, che la società concessionaria, oltre che alla gestione dei servizi in
concessione, sia tenuta alle seguenti prestazioni:
• sistemare, secondo piani tecnici approvati dal Ministero competente, le reti trasmittenti televisive nelle zone di
confine bilingui, per renderle idonee a ritrasmettere programmi di organismi esteri confinanti;
•
attuare la ristrutturazione ed assumere la gestione degli impianti di terzi eventualmente ad essa affidati,
esistenti in dette zone alla data di entrata in vigore della presente legge;
• predisporre annualmente, sulla base delle direttive della Presidenza del Consiglio dei Ministri, sentita la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, programmi televisivi
e radiofonici destinati a stazioni radiofoniche e televisive di altri paesi per la diffusione e la conoscenza della
lingua e della cultura italiana nel mondo e effettuare, sentita la stessa Commissione parlamentare, trasmissioni
radiofoniche speciali;
• effettuare trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca e ladina per la Provincia di Bolzano, in lingua
francese per la Regione autonoma Valle d’Aosta ed in lingua slovena per la Regione autonoma Friuli Venezia
Giulia.
79
Decreto 3 dicembre 2007 contenente l’Approvazione delle 3 convenzioni, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana - Parte Generale n. 123 del 27 maggio 2008.
80
Nel 2007 sono stati stanziati 2 milioni di euro a fronte dei quali la Rai si è impegnata a continuare la produzione e la diffusione delle trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua francese per la Regione autonoma Valle
d’Aosta nella misura di: n. 110 ore di trasmissioni radiofoniche in lingua francese; n. 78 ore di trasmissioni televisive
in lingua francese.
81
Nel 2007 sono stati stanziati 15,56 milioni di euro, a fronte dei quali la Rai si è impegnata a continuare la
produzione e la diffusione delle trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca e ladina per la Provincia autonoma di Bolzano nella misura di: n. 4716 ore di trasmissioni radiofoniche in lingua tedesca; n. 550 ore di trasmissioni televisive in lingua tedesca; n. 352 ore di trasmissioni radiofoniche in lingua ladina; n. 39 ore di trasmissioni
televisive in lingua ladina. Le trasmissioni in lingua ladina continuano ad essere diffuse anche nella Val di Fassa.
82
Nel 2007 sono stati stanziati 6,62 milioni di euro, a fronte dei quali la Rai ha proseguito la produzione
e la diffusione delle trasmissioni televisive in lingua slovena per le popolazioni di lingua slovena e delle Province
di Trieste e di Gorizia della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia nella misura di: n. 208 ore di trasmissioni
televisive in lingua slovena, ripartite di regola in 4 ore settimanali. La Rai si impegna a continuare la produzione e la
diffusione di trasmissioni radiofoniche in lingua italiana e slovena ai sensi della legge n. 308 del 1956 nella seguente
misura: n. 4.517 ore di trasmissioni radiofoniche in lingua slovena; n. 1.667 ore di trasmissioni radiofoniche in
lingua italiana.
224
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
adeguato livello di informazione alle comunità che vivono all’estero, fornendo una appropriata
programmazione, avvalendosi della società NewCo Rai International mediante apposite
Convenzioni con la Presidenza del Consiglio dei Ministri83.
Nel 2007 ha cominciato ad operare la nuova Convenzione per l’offerta televisiva, radiofonica e
multimediale per l’estero84.
La convenzione “Rai International” ha per oggetto l’offerta di programmazione televisiva,
radiofonica e digitale o multimediale, nonché i servizi tecnologici, di cui Rai abbia la disponibilità
per la produzione e per la trasmissione del segnale relativamente alla programmazione della
Rai per l’estero, diffusa anche per tutto l’arco delle 24 ore, in linea con gli obiettivi dei servizio
pubblico radiotelevisivo e le istanze della Presidenza del Consiglio dei Ministri in termini di
arricchimento dei contenuti e nelle modalità di fruizione dell’offerta dedicata all’esportazione
del sistema Paese all’estero.
La nuova Convenzione prevede un incremento dell’impegno editoriale da parte della Rai, con
la predisposizione di un’offerta ispirata al criterio di “qualita’’ nella programmazione e nella
diffusione del segnale radiotelevisivo con l’utilizzo di nuove tecnologie di trasmissione. La Rai,
inoltre, si impegna a:
•
assicurare un ampliamento ed una valorizzazione della programmazione culturale e di
informazione per l’estero (sviluppo di un canale “all news” accanto al canale generalista);
•
ricercare una maggiore corrispondenza dell’offerta internazionale modulandola in funzione
dei diversi target di riferimento;
•
estendere anche all’Europa (e, quindi, all’Italia) la ricezione satellitare di Rai International;
•
sviluppare un interesse specifico per l’area del Mediterraneo e dei Balcani;
•
adottare strumenti quali, ad esempio, il bilinguismo o il ricorso a sottotitolatura e
doppiaggio per conquistare anche l’utenza italofila.
Un’altra novità riguarda il sistema di verifica della qualità, con l’istituzione di una Commissione
permanente presieduta dal Capo del Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria e composta
da tre rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei Ministri e quattro della Rai, nonché da
un rappresentante del Ministero Affari Esteri85.
L’art.7 della Convenzione stabilisce in 35 milioni di euro (30 milioni per il 2007) il corrispettivo
83
L’articolo 9 del Contratto di Servizio 2007-2009 (Programmazione televisiva all’estero) prevede che la Rai
si impegni a promuovere e diffondere la conoscenza della lingua, della cultura e dell’economia italiane nel mondo,
con l’obiettivo di assicurare un adeguato livello di informazione delle comunità italiane all’estero sull’evoluzione della
società italiana nonché per consentire ai cittadini italiani residenti all’estero un adeguato accesso all’informazione
e alla comunicazione politica, in particolare nei periodi interessati da campagne elettorali e referendarie. La Rai si
impegna altresì a realizzare nuove forme di programmazione per l’estero che consentano di portare la cultura italiana, anche di carattere regionale, ad un più vasto pubblico internazionale. Al fine di conseguire tali obiettivi, la Rai
definisce una adeguata programmazione nell’ambito sia delle convenzioni stipulate con la Presidenza del Consiglio
dei Ministri ai sensi della legge 14 aprile 1975, n. 103, art. 19 e 20 (Nuove norme in materia di diffusione radiofonica
e televisiva integrata dalla Legge 3 maggio 2004, n. 112, art. 25, comma 13) e di altre specifiche convenzioni aggiuntive.
84
Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 3 agosto 2007 riguardante “Approvazione della convenzione tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per l’informazione e l’editoria e la RAI – Radiotelevisione Italiana S.P.A., per l’offerta televisiva, radiofonica e multimediale per l’estero (detta Rai International). Fino
al 31 dicembre 2006 la materia era oggetto di due separate Convenzioni (Convenzione riguardante le trasmissioni
speciali per l’estero, detta Rai onde corte, e la Convenzione riguardante le trasmissioni per la diffusione della lingua
e della cultura italiana all’estero del 30 luglio 97, detta Rai International).
85
Al Ministero Affari Esteri spetta il compito di monitorare la programmazione (ricezione e diffusione
delle emissioni radiofoniche e televisive del canale Rai International) attraverso la rete diplomatico-consolare e di
redigere una nota informativa annuale per accertare la puntuale esecuzione della Convenzione, evidenziando le
eventuali novità con particolare riferimento alla qualità dei programmi e del palinsesto in generale, all’eventuale
miglioramento degli orari di messa in onda delle trasmissioni, all’eventuale aumento di programmi sottotitolati, alla
situazione dei notiziari, dei programmi di informazione e di local news, ecc.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
225
che la Presidenza del Consiglio dovrà corrispondere alla Rai per le prestazioni oggetto della
Convenzione.
La Convenzione ha pari durata della Concessione del Servizio pubblico generale radiotelevisivo
affidato alla Rai dalla normativa vigente (fino al 6 maggio 2016), fermo restando che la parti si
sono impegnate a rivedere condizioni e modalità delle prestazioni della Convenzione ogni tre
anni.
Nel quadro del nuovo rapporto convenzionale il 17 dicembre 2008 è stato sottoscritto
un protocollo di intesa della durata triennale tra Ministero Affari Esteri, Rai e NewCo Rai
International per “avviare una partnership strategica mirante a definire modalità ed aree di
collaborazione per una innovativa ed efficace presenza televisiva/informativa/formativa sia sul
territorio nazionale che all’estero, con particolare attenzione all’utilizzo delle nuove tecnologie
e media digitali”.
In particolare la collaborazione tra Rai e Ministero riguarderà la configurazione della
piattaforma della Web Tv (progetto elaborato da Rai International per la realizzazione della
web tv “Casa italiana” per un costo stimato di circa 2 milioni di euro), nonché la distribuzione
sulle ulteriori piattaforme digitali ed analogiche nella disponibilità di Rai per:
•
la definizione di piani di comunicazione relativi alle iniziative istituzionali italiane, alla
politica estera e alle relazioni internazionali, con particolare attenzione alle aree geografiche
e tematiche prioritarie;
•
iniziative per le comunità italiane all’estero di informazione e formazione (miranti anche,
nei processi di internazionalizzazione delle Regioni italiane, a rafforzare i legami tra
queste ultime e gli italiani residenti all’estero), nonché di intrattenimento e culturali, anche
contribuendo a far meglio conoscere e rendere accessibili ai cittadini e utenti i servizi
offerti dal Ministero degli Affari Esteri e dalla sua rete diplomatico-consolare;
•
la promozione della cultura e della lingua italiana all’estero, con specifica attenzione ai
contenuti di eccellenza, tramite l’utilizzo di prodotti televisivi e cinematografici esistenti e
la produzione di trasmissioni ad hoc, sia mirate alla valorizzazione del nostro multiforme
patrimonio artistico-culturale, che caratterizzate da contenuti promozionali didattici sulla
lingua italiana, utilizzando anche tecnologie informatiche, il web e la digitalizzazione;
•
il sostegno alla “diplomazia economica”, intesa come strumento di sostegno al sistema paese
attuato attraverso iniziative finalizzate alla promozione economico-commerciale dell’Italia
all’estero e all’attrazione degli investimenti stranieri in Italia;
•
la valorizzazione delle iniziative di cooperazione allo sviluppo, componente essenziale
dell’azione di politica estera italiana, attraverso attività informative e divulgative finalizzate
a promuovere i risvolti umanitari, sociali ed economici di tali interventi;
•
informazioni sull’attività di tutela dei connazionali all’estero in situazioni di grave
emergenza, con indicazione degli interventi di prevenzione e risposta posti in essere dalla
Farnesina e con eventuali indicazioni pratiche in caso di necessità;
•
iniziative di formazione in materia di comunicazione a favore del personale del Ministero.
Allo scopo di dare attuazione alla collaborazione, il Ministero degli Affari Esteri e la Rai
definiranno di anno in anno un programma di attività e concorderanno specifici piani di
comunicazione, in Italia e all’estero, con l’indicazione degli oneri economici concernenti le
singole iniziative a carico dei diversi CDR (Centri di Responsabilità) del Ministero degli Esteri.
Le iniziative concordate saranno oggetto di specifiche convenzioni applicative, che definiranno
le condizioni normative, economiche e temporali relative ai reciproci impegni.
Tra il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria e il broadcaster pubblico sono state
sottoscritte ulteriori convenzioni in relazione ad altri compiti di servizio pubblico riferiti a
specifiche aree di intervento.
Alla fine del 2009, il cosiddetto Decreto Milleproroghe ha autorizzato il proseguimento di due
226
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
Convenzioni86:
1. Convenzione con la Rai e la NewCo Rai International, per contribuire alle iniziative volte al
mantenimento della pace ed alla realizzazione di azioni di comunicazione nell’ambito delle
NATO’S Strategic Communications in Afghanistan. Il Decreto ha stanziato per il 2010
risorse finanziarie del bilancio della Presidenza del Consiglio dei Ministri entro il limite
massimo di euro 660.000.
2. Convenzione con la Rai per servizi a favore di Rtv, emittente pubblica della Repubblica
di San Marino, nata nel 1991 con un capitale sociale sottoscritto al 50% da Eras (Ente per
la Radiodiffusione Sammarinese) e la Rai. L’accordo è stato siglato per la prima volta nel
1990, a seguito della ratifica tra Ministero Affari Esteri italiano e Repubblica di San Marino.
Il citato Decreto ha stabilito che fino alla ratifica del nuovo accordo di collaborazione in
campo radiotelevisivo tra la Repubblica italiana e la Repubblica di San Marino, firmato
in data 5 marzo 2008 (che prevede una nuova Convenzione della durata di 5 anni tra il
Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria e la Rai e che fissa in 18,5 milioni il contributo
annuo da versare a Rtv) e comunque non oltre il 31 dicembre 2010, il Dipartimento per
l’informazione e l’editoria è autorizzato ad assicurare, nell’ambito delle risorse finanziarie
del bilancio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la prosecuzione della fornitura dei
servizi previsti nell’apposita Convenzione. Per il 2010 San Marino Rtv potrà beneficiare di
un contributo di 3, 1 milioni di euro.
Il nuovo accordo quinquennale dovrebbe iniziare ad operare dal 2011 e prevede che lo Stato
italiano, oltre a contribuire alla “continuità della gestione” attraverso la quota della Rai, dovrà
mettere a disposizione di Rtv tutte le tecnologie Rai per la diffusione del segnale dell’emittente
sammarinese in digitale terrestre e sul satellite. Attraverso le sue divisioni e consociate la Rai
dovrà inoltre:
•
collaborare dove possibile, e a titolo gratuito, allo sviluppo e alla produzione dei programmi
televisivi sulla San Marino Rtv;
•
lasciare all’emittente Rtv l’usufrutto dei propri prodotti e dei diritti di diffusione, compresi
quelli sportivi, per l’acquisto di film, telefilm e fiction (Rai Trade, Rai Cinema, Rai Teche,
Rai Corporation, Rai Sport e Rai International);
•
individuare le strategie di marketing per sviluppare e potenziare la presenza sul mercato
televisivo e multimediale dell’emittente sammarinese;
•
individuare collaborazioni per la raccolta pubblicitaria (Sipra, Società ialiana pubblicità
per azioni) e lo sviluppo di progetti web (Rai Net) e Televideo.
Nell’allegato all’accordo si chiede alla Rai di impegnarsi per agevolare la collaborazione con le
sedi regionali, l’aggiornamento del personale e l’acquisizione di apparecchiature e materiali per
la San Marino Rtv.
Per completare il quadro, occorre menzionare alcuni progetti realizzati in collaborazione
e/o in convenzione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca e che vede
impegnata la struttura interna Rai Educational nella progettazione e produzione di alcuni
progetti educativi avviati in concomitanza con l’avvio dell’anno scolastico, rivolti a studenti
ed insegnanti, programmati sul canale tematico Rai Scuola presente sul digitale terrestre.
Attualmente le convenzioni riguardano i seguenti progetti per i quali non è stato possibile
ricavare eventuali corrispettivi da parte del Ministero87:
86
Decreto Legge 30 dicembre 2009 n.194, “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative”. Art. 2
Proroga di termini in materia di comunicazione, di riordino di enti e di pubblicità legale.
87
Data la natura educativa dei progetti e gli obblighi di servizio pubblico della concessionaria in questo ambito, i servizi forniti da Rai Educational attraverso Rai Scuola sono prevalentemente a titolo gratuito. In base ad una
Convenzione siglata il 7 agosto 2003, ad esempio, la Rai si impegnava ad assicurare, in modo gratuito, la fornitura e
l’installazione di impianti satellitari presso gli edifici scolastici distribuiti sul territorio nazionale, secondo un piano
triennale elaborato dal Ministero.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
227
•
il “Divertilingue” progetto per un apprendimento innovativo e divertente dell’inglese e
dell’italiano a scuola attraverso Tv e Web;
•
“Explora Science Now”, produzione finalizzata a offrire agli studenti, agli insegnanti e in
generale ai cittadini, occasioni per migliorare la cultura scientifica-tecnologica;
•
“Fuoriclasse”, è un ponte tra istruzione, orientamento, formazione e lavoro. Il progetto è
realizzato con la partecipazione del Ministero del Lavoro, ISFOL, Regioni e Province;
•
“In Italia”, è un progetto pilota per la diffusione della lingua italiana di base, rivolto a
stranieri adulti e giovani-adulti di nuova residenza nel nostro Paese;
•
“Medita”, Mediateca on line di prodotti audiovisivi organizzati in unità didattiche fruibili
dai docenti on demand tramite internet;
In conclusione nel 2008 le Convenzioni e gli accordi con la Pubblica Amministrazione
monitorati e qui di seguito riepilogati prevedono entrate complessive che si aggirano attorno ai
65 milioni di euro, di cui circa 24 a favore delle Regioni con minoranze linguistiche.
Figura 5 – Principali entrate da Convenzioni (2008)
Rai International
(estero)
Province di Trento e
Bolzano
Friuli Venezia Giulia
Rtv San Marino
Rai International/Web
tv
Valle d'Aosta
Nato (Rai
International)
0
5
10
15
20
25
30
35
40
Fonte: elaborazione IEM su dati Rai, Mae e Presidenza del Consiglio. Dati in milioni di euro
4.1.4 Contributi del Ministero Sviluppo economico – Dipartimento per le Comunicazioni
L’attuale Ministero per lo Sviluppo Economico – Dipartimento per le Comunicazioni assegna
al settore dell’emittenza televisiva locale88 contributi a fondo perduto in base a quanto previsto
dalla L. 448/9889. Le risorse sono erogate alle emittenti che svolgono attività di informazione
sulla base di graduatorie annuali predisposte su base regionale dai Corecom (Comitati Regionali
88
Al 31 dicembre 2008 erano attive 376 società di capitali che amministravano 421 tv locali. Negli ultimi
anni fusioni e fallimenti aziendali hanno ridimensionato il settore televisivo locale. Nel 2005 si contavano 469 emittenti commerciali. A queste va aggiunto il numero di emittenti comunitarie che, secondo la stima più recente (del
2005), era di 115 (ed anche in questo caso si sono registrate diverse chiusure nel corso degli anni). Fonte: FRT – Federazione Radio Televisioni.
89
Legge 23 dicembre 1998, n.448, concernente “Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo” e successive modifiche. In particolare l’articolo 45, comma 3 della legge (e successive modifiche ed integrazioni)
prevede che il Ministero fissi uno stanziamento annuale.
228
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
per le Comunicazioni) su parametri oggettivi disciplinati da un apposito regolamento90.
I due elementi di valutazione riguardano da un lato la media dei fatturati degli ultimi 3 anni
e, dall’altro, l’entità del personale dipendente (giornalisti e non) impegnato nello svolgimento
dell’attività televisiva.
L’ammontare annuo dello stanziamento inserito nelle Leggi Finanziarie è ripartito dal Ministero
secondo bacini di utenza costituiti dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e Bolzano
in proporzione al fatturato realizzato nel triennio precedente dalle emittenti operanti nella
medesima Regione o Provincia autonoma che abbiano chiesto di beneficiare delle misure di
sostegno91.
La somma assegnata a ciascuna Regione e Provincia autonoma è attribuita alle emittenti idonee
per accedere al contributo, per 1/5 in parti uguali e per 4/5 in base alla graduatoria predisposta92.
Per le emittenti aventi sede legale ed operativa nelle Regioni Campania, Puglia, Basilicata,
Calabria, Sicilia e Sardegna si applica una maggiorazione fissa di punti secondo l’importo del
fatturato.
Ciascuna emittente può presentare la domanda:
1. per la Regione o la Provincia autonoma nella quale è ubicata la sede operativa principale di
messa in onda del segnale televisivo;
2. per le ulteriori Regioni o Province autonome nelle quali la medesima emittente raggiunga
una popolazione non inferiore al settanta per cento di quella residente nel territorio della
Regione o Provincia autonoma irradiata93.
In entrambi i casi, l’emittente, qualora non sia a carattere comunitario, deve necessariamente
avere, pena il non inserimento nella graduatoria, una quota di fatturato nella Regione di
riferimento e per il solo punto 2) almeno un dipendente.
L’Antitrust ha di recente (settembre 2010) espresso alcune perplessità circa l’applicazione del
DM 292/2004 contenente il regolamento che disciplina i benefici alle tv locali ex legge 488.
Secondo l’Autorità i criteri premierebbero in modo significativo le imprese che già realizzano
fatturati elevati e che dispongono di un numero consistente di dipendenti. Tra i correttivi per
rendere più equa e concorrenziale la disciplina, l’Antitrust suggerisce di stilare la graduatoria
anche in base alla valutazione del tempo riservato ai programmi informativi e all’innovazione
degli impianti di radiodiffusione. Dovrebbe inoltre essere inserita tra i criteri di esclusione
dalla graduatoria la dichiarazione di essere in regola con i contributi previdenziali, ora richiesta
solo per l’accesso ai contributi. Oggetto di critiche anche l’attribuzione dei 4/5 del totale alle
sole tv che rientrano nel 37% della graduatoria, meccanismo che danneggia le posizioni appena
inferiori e che accedono solo al 20% del contributo totale L’Autorità, in particolare, propone
che i 4/5 siano ripartiti in modo proporzionale a tutte le tv in graduatoria e il restante 20%
riservato agli ultimi posti94.
Nel corso degli anni, gli stanziamenti sono progressivamente aumentati nelle diverse Leggi
finanziarie, assumendo un peso sempre più rilevante per la sostenibilità finanziaria delle imprese,
contribuendo ad un significativo aumento dell’occupazione, soprattutto con riferimento alle
professionalità giornalistiche.
Il trend positivo si è tuttavia arrestato nel 2009, anno in cui si è registrata una forte riduzione
90
D.M. 5 novembre 2004 n. 292.
91
Il regolamento prevede inoltre che nella ripartizione occorre dare particolare rilievo alle Regioni e Province autonome ricomprese nelle aree economicamente depresse e con elevati indici di disoccupazione.
92
soggetti che presentano la domanda per ottenere il contributo, qualora gestiscono più di una attività anche
non televisiva, devono dichiarare di aver instaurato il regime di separazione contabile.
93
soggetti che presentano la domanda per ottenere il contributo, qualora gestiscono più di una attività anche
non televisiva, devono dichiarare di aver instaurato il regime di separazione contabile.
94
L’Autorità, in particolare, propone che i 4/5 siano ripartiti in modo proporzionale a tutte le tv in graduatoria e il restante 20% riservato agli ultimi posti.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
229
dei contributi pubblici (-41%) scesi da poco meno di 162 milioni dell’anno precedente (picco
massimo raggiunto grazie ad una integrazione intervenuta nell’agosto 2010) a poco più di 95
milioni, ammontare inferiore a quanto indicato nella Legge Finanziaria 201095.
La dotazione per l’anno 2010, grazie al rifinanziamento di 50 milioni previsto dalla stessa Legge
finanziaria, dovrebbe attestarsi sui 130 milioni, sommandosi agli 80 milioni di euro previsti
dalla Legge Finanziaria 200796.
Figura 6 – Contributi alle tv locali ex L. 448/98 (1999-2010)
180.000
160.000
140.000
120.000
100.000
80.000
60.000
40.000
20.000
0
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
Fonte: elaborazione IEM su dati FRT. Dati in milioni di euro.
Il peso dei contributi pubblici è progressivamente aumentato fino a raggiungere una quota pari
al 26 % del totale dei ricavi complessivi con un forte incremento dell’incidenza negli ultimi 3
anni considerati (2006-2008). Nel 2008 i ricavi totali, pari a 621 milioni di euro, hanno coperto
il 7,3% dell’intero mercato televisivo.
La restante quota di risorse è rappresentata per la quasi totalità dalla raccolta pubblicitaria che,
secondo stime di FRT nel 2008 assorbivano il 9,8% del totale della pubblicità del settore.
Analizzando la distribuzione dei contributi a livello regionale, la Lombardia è la Regione che ha
ricevuto nel 2009 il volume di risorse pubbliche più elevato (12,3 milioni) precedendo Puglia
(12,1) e Veneto (11,9).
Le norme per la concessione dei benefici alle emittenti radiofoniche locali sono disciplinate da
un regolamento emanato con Decreto Ministeriale del 2002, come previsto dalla Legge 448 del
200197.
L’ammontare annuo dello stanziamento è attribuito per tre dodicesimi alle emittenti radiofoniche
commerciali e per tre dodicesimi alle emittenti radiofoniche comunitarie.
95
Legge 23/12/2009 n. 191 che aveva previsto un ripristino della dotazione originale pari a circa 150 milioni
di euro annui (di cui l’85% al settore tv e per il restante 15% al settore radio).
96
Legge 27/12/2006 n. 296.
97
Decreto n. 225 dell’1/10/2002. Il regolamento recepisce le disposizioni contenute nell’articolo 52 comma
18, della Legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Legge Finanziaria 2002).
230
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
Figura 7 – Incidenza % contributi alle tv locali sui ricavi totali (1999-2008)
700.000
30,0
Contributi
Ricavi
Incidenza %
600.000
25,0
500.000
20,0
400.000
15,0
300.000
10,0
200.000
5,0
100.000
0
0,0
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Fonte: elaborazione IEM su dati FRT. Dati in migliaia di euro.
Alle emittenti la cui sede operativa principale si trova nelle Regioni Campania, Basilicata, Sicilia,
Puglia, Calabria e Sardegna è riconosciuta, rispettivamente sulla base della quota attribuita
alle emittenti radiofoniche commerciali e della quota attribuita alle emittenti radiofoniche
comunitarie, una maggiorazione del contributo pari al 15 %. I restanti sei dodicesimi dello
stanziamento annuo sono attribuiti sulla base di una graduatoria predisposta tenendo conto di
specifiche condizioni previste dal regolamento, in proporzione al punteggio ottenuto da ogni
emittente. Gli elementi da valutare ai fini della graduatoria sono la media dei fatturati realizzati
dall’emittente nel biennio precedente e il personale impiegato nello svolgimento dell’attività
radiodiffusiva alla data di presentazione della domanda per l’ottenimento del contributo.
Anche le emittenti radiofoniche si devono impegnare ad instaurare un regime di separazione
contabile e devono produrre uno schema di bilancio in cui risultino separate contabilmente le
entrate e le uscite afferenti all’attività radiodiffusiva. I contributi sono assegnati dal Dipartimento
delle Comunicazioni del Ministero per lo Sviluppo Economico a livello nazionale nei limiti
dello stanziamento annuo, assegnato alle emittenti in graduatoria in misura proporzionale al
punteggio ottenuto, entro sei mesi successivi alla presentazione della domanda.
L’andamento degli stanziamenti nel corso degli anni mostra una crescita molto sostenuta
passando dai 6,2 milioni del 2002 ai 21,8 del 2009, registrando in particolare una forte
impennata nel 2007, anno in cui le risorse sono raddoppiate rispetto all’anno precedente.
La manovra finanziaria urgente messa a punto dal governo alla fine di maggio 201098, volta
a ridurre il rapporto deficit/Pil come richiesto dalle istituzioni comunitarie, produrrà effetti
negativi anche sugli stanziamenti destinati ai contributi alle emittenti locali (tv e radio) di cui
alla legge 448/98.
98
Decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 “misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica”. Le norme prevedono, a decorrere dall’anno 2011, una riduzione lineare del 10 % delle dotazioni
finanziarie nell’ambito delle spese modulabili di tutti i Ministeri.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
231
Figura 8 – Contributi alle tv locali ex L. 448/98 per Regione (2008-2009)
Lombardia
Puglia
Veneto
Sicilia
Campania
Piemonte
2009
Lazio
2008
Emilia Romagna
Toscana
Sardegna
Calabria
Liguria
Friuli Venezia Giulia
Abruzzo
Umbria
Marche
Molise
Trento
Bolzano
Basilicata
Valle d'Aosta
0
5.000
10.000
15.000
20.000
Fonte: elaborazione IEM su dati FRT
Figura 9 – Contributi alle radio locali ex L. 448/2001 (2002-2009)
25.000
20.000
15.000
10.000
5.000
0
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Fonte: elaborazione IEM su dati MSE - Dipartimento Comunicazioni. Dati in migliaia di euro.
232
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
2009
4.1.5 Contributi Presidenza Consiglio dei Ministri – Dipartimento Editoria ed Informazione
Accanto ai contributi previsti dalla Legge 448 del 1998, le emittenti locali ricevono un
ulteriore sostegno pubblico a livello nazionale grazie alle provvidenze disposte annualmente
dal Dipartimento Editoria ed Informazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri e
disciplinate da complesse normative modificate ed aggiornate nel corso degli anni.
Tabella 1 - Contributi e riduzioni tariffarie per le emittenti radiofoniche e televisive
Beneficiari
Riferimento normativo
Contributi alle emittenti radiofoniche
Legge 25 febbraio 1987, n. 67, art. 11
Legge 7 agosto 1990, n. 250, artt. 4,7, 8
Contributi alle emittenti televisive locali
Legge 6 agosto 1990, n. 223, art. 23, comma 3
Legge 27 ottobre 1993 n.422, articolo 7
Contributi per canali tematici autorizzati alla diffusione
Legge 3 maggio 2004, n. 112, art. 7, comma 13
via satellite (televisioni organo di partito politico)
Fonte: Dipartimento Informazione Editoria – Presidenza del Consiglio dei Ministri.
In particolare il combinato disposto della Leggi 223/1990 (Legge Mammì, successivamente
modificata dalla Legge 422/2003) e della Legge 250/1990, prevede che siano assegnati benefici
a quelle emittenti che trasmettono quotidianamente, nelle ore comprese tra le 07.00 e le 23.00
per almeno un’ora, programmi informativi autoprodotti su avvenimenti politici, religiosi,
economici, sociali, sindacali o culturali99. Le provvidenze hanno contribuito negli anni alla
creazione di redazioni all’interno delle emittenti locali rafforzando le competenze professionali
delle risorse impiegate e contribuendo alla capacità di fornire informazione sul territorio.
I contributi previsti per le imprese di radiodiffusione sonora e televisiva aventi diritto si
sostanziano in:
•
rimborsi pari al 60% (80% fino al 2005) dei costi dei canoni di abbonamento stipulati con
agenzie di stampa o informazione;
•
riduzioni tariffarie applicate ai consumi di energia elettrica pari al 40% (50% fino al 2005)
dei costi delle utenze elettriche e dei costi dei collegamenti satellitari (canoni di noleggio
e abbonamento dei sistemi via satellite); in questo caso le riduzioni vengono erogate
attraverso i Gestori dei servizi competenti seguendo un preciso iter)100;
•
riduzioni tariffarie del 50% dei costi delle utenze telefoniche;
•
contributi alle imprese radiofoniche e televisive che risultano essere organi di partiti politici
rappresentati in Parlamento; i contributi sono pari al 70% della media dei costi risultanti
dai bilanci degli ultimi due esercizi101.
L’andamento complessivo dei contributi nel periodo preso in esame (2003-2007) mostra forti
oscillazioni. In 5 anni le risorse sono aumentate da 13 a 21,5 milioni con una crescita pari al
65%.
99
Le misure di sostegno alla radiodiffusione sono disciplinate dagli articoli 4, 7, 8 della Legge 7 agosto 1990
n.450 e dall’articolo 7 della Legge 27 ottobre 1993 n.422 (Norme in materia di provvidenze alle imprese radiofoniche
e televisive). In particolare l’art. 7 è intervenuto a modifcare il comma 3 dell’art. 23 della Legge 6 agosto 1990 n.
223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato). Il testo in vigore recita: “Ai concessionari per la
radiodiffusione televisiva in ambito locale, ovvero ai soggetti autorizzati per la radiodiffusione televisiva locale (…)
che abbiano registrato la testata televisiva presso il competente tribunale e che trasmettano quotidianamente, nelle
ore comprese tra le 07,00 e le 23,00 per almeno un’ora, programmi informativi autoprodotti su avvenimenti politici,
religiosi, economici, sociali, sindacali o culturali, si applicano i benefici di cui al comma 1 dell’articolo 11 della L.
25 febbraio 1987, n. 67 , così come modificato dall’articolo 7 della L. 7 agosto 1990, n. 250, nonché quelli di cui agli
articoli 28, 29 e 30 della L. 5 agosto 1981, n. 416 e successive modificazioni ed integrazioni.
100
A seguito del riconoscimento del diritto alle riduzioni tariffarie, il provvedimento viene inviato ai Gestori,
i quali, effettuati i conteggi sulle voci ammesse al contributo, provvedono a rimborsare alle imprese il 40% (fino al
2005 era il 50%) dei consumi di energia elettrica e dei costi dei servizi satellitari inoltrando poi alla Presidenza del
Consiglio – Dipartimento per l’informazione e l’editoria, le domande per ottenere il rimborso delle somme anticipate alle imprese.
101
La normativa di accesso alle provvidenze per i canali per questa fattispecie nasce con la Legge 3 maggio
2004 n.112.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
233
Nel 2005 l’ammontare complessivo dei contributi ha toccato il suo apice raggiungendo circa
27,5 milioni di euro.
Figura 10 - Contributi alle emittenti locali ex L. 223/1990 e 250/1990 (2003-2007)
30.000.000
tv
radio
riduzioni tariffarie (radio-tv)
25.000.000
20.000.000
15.000.000
10.000.000
5.000.000
0
2003
2004
2005
2006
2007
Fonte: Elaborazioni IEM su dati Dipartimento Informazione Editoria – Presidenza del Consiglio dei Ministri.
In proporzione, le imprese radiofoniche hanno ottenuto contributi più cospicui (circa il 65% in
media) rispetto alle emittenti televisive anche grazie al maggior apporto nel tempo derivante
dalle provvidenze ai cosiddetti organi politici (Radio Radicale, Informazione Libera) e al fatto
che solo a partire dal 2005 i canali tematici satellitari hanno cominciato ad ottenere benefici.
Analizzando i contributi erogati nel 2008 (relativi all’anno 2007) emerge un grado di
concentrazione nella distribuzione delle risorse molto elevato: su un totale di circa 21,4 mln
di euro, il 75% (16,1 milioni) è andato a 7 emittenti espressioni di partiti politici (di cui 5
radiofoniche e 2 televisive) con un contributo medio di 2,3 ad impresa; il restante 25% è andato
a circa 300 emittenti radiotelevisive con un contributo medio di 19mila euro.
Osservando l’andamento articolato per tipologia di contributi, se fino al 2005 si registra una
crescita sostenuta sia per quanto attiene ai rimborsi per i canoni di agenzie di stampa ed
informazione sia per gli organi politici, negli ultimi due anni presi in esame si è assistito ad
un ulteriore incremento della seconda fattispecie (più di 16 milioni di euro nel 2007) a scapito
della prima che ha subito un brusco calo (5,3 milioni di euro nel 2007). Un discorso a parte va
fatto per le riduzioni tariffarie sulle utenze telefoniche e dell’energia elettrica, non essendo stato
possibile rinvenire i relativi dati nel periodo in esame, fatta eccezione per il 2004, anno in cui
l’ammontare è stato pari a 6,8 milioni di euro.
234
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
Figura 11 – Contributi alle emittenti locali ex L. 223/1990 e 250/1990 per tipologia (03-07)
18
Agenzie di stampa o informazione
16
14
Organi politici/canali tematici satellitari
Riduzioni tariffarie
12
10
8
6
4
2
0
Milioni
2003
2004
2005
2006
2007
Fonte: Elaborazioni IEM su dati Dipartimento Informazione Editoria – Presidenza del Consiglio dei Ministri
L’attuale Governo in carica ha deciso di intervenire nella materia con una azione di forte
razionalizzazione del sistema di concessione dei contributi e un contenimento dei costi a carico
dello Stato. La manovra triennale del 2008 da una parte ha avviato una riduzione dei vari fondi
di sostegno, dall’altra ha demandato ad un regolamento il compito di semplificare le procedure
ed assicurare che i rimborsi e i benefici premino chi veramente li meritava, garantendo così
che l’intervento statale fosse effettivamente in linea con il principio, sotteso al sistema dei
contributi, di favorire il pluralismo dell’informazione102.
La bozza definitiva del regolamento è attualmente all’esame del Parlamento e punta a ridurre i
contributi diretti complessivi all’editoria dagli attuali 120 milioni a 87. Nel dettaglio l’ammontare
dei contributi a favore di radio e tv previsti dalla Legge 250 del 1990 dovrebbe scendere dagli
attuali 25 a 12 milioni di euro. La piena applicazione della nuova disciplina è prevista a partire
dal 2012103.
L’unica voce che tra 2011 e 2012 dovrebbe subire un lieve incremento è quella relativa alle
“spese per i servizi di stampa e di informazione ivi comprese le spese derivanti dall’attuazione
di accordi e programmi di cooperazione nel campo dell’informazione”.
Nella Legge Finanziaria 2010, il Parlamento, nell’ambito della legge di conversione del decreto
legge cosiddetto “Milleproroghe”104, aveva deciso, in un primo momento, di sopprimere il
sistema di provvidenze a favore dell’editoria (non solo radiotelevisiva), abolendo il diritto
soggettivo e riconducendo la misura del contributo stesso ai fondi previsti dal bilancio statale,
con riparto proporzionale tra gli aventi diritto in caso di insufficienza delle risorse105.
A seguito delle proteste da parte delle Associazioni di categoria, alla fine del febbraio 2010 un
102
Per approfondimenti sul complesso sistema di contributi all’editoria si rimanda al sito del Dipartimento
Informazione ed editoria e allo speciale dedicato al tema dal portale del diritto della comunicazione www.medialaw.ir
103
Si ricorda che per il 2008 e il 2009 il sistema di sostegno è stato garantito grazie alla cosiddetta addizionale
sulla Robin Tax che ha consentito una significativa integrazione dei fondi.
104
Decreto 194/2009.
105
L’abolizione del diritto soggettivo era una delle novità del Regolamento previsto dalla Legge 2008.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
235
emendamento ha ripristinato per l’anno in corso i contributi diretti (al massimo al 100%)106
dovuti al diritto soggettivo per testate ed emittenti di partito, no profit e cooperative in attesa di
una riforma organica del settore, attesa da anni.
Dal ripristino dei contributi vengono tuttavia esclusi i rimborsi alle radio locali dell’80 % delle
spese per gli abbonamenti ad agenzie di informazione e quelli sulle tariffe elettriche. Restano
salvi invece i rimborsi telefonici erogati dal Ministero dello sviluppo economico.
All’interno del citato decreto Milleproroghe è stato autorizzato uno stanziamento di 9,9
milioni di euro per gli anni 2010 e 2011 per garantire continuità al servizio di trasmissione
delle sedute parlamentari svolto dal centro di produzione che fa capo a Radio radicale, come
previsto dall’apposita Convenzione tra il Ministero dello sviluppo economico e il Centro di
produzione siglata per la prima volta nel 1994107, rinnovata su base triennale e che prevedeva
una erogazione di 5 milioni di euro l’anno (10 miliardi di lire)108.
4.1.6 Rimborsi per messaggi autogestiti a titolo gratuito in campagna elettorale
Il Ministero delle Comunicazioni di concerto con il Ministero dell’Economia emana, entro
il 31 gennaio di ogni anno, un decreto di determinazione e ripartizione tra le Regioni e le
Province autonome dei contributi da erogare alle emittenti locali, in attuazione della Legge 22
febbraio 2000 n. 28 così come modificata dalla Legge 313/2003109.
La legge prevede un rimborso alle emittenti radiofoniche e televisive locali che accettano di
trasmettere messaggi autogestiti a titolo gratuito in campagna elettorale o referendaria ed
effettua la ripartizione della somma stanziata tra le Regioni e le Province autonome di Trento e
Bolzano in proporzione al numero dei cittadini iscritti nelle liste elettorali di ciascuna Regione
e Provincia autonoma. Alle emittenti radiofoniche è riservato almeno un terzo della somma
complessiva annualmente stanziata.
Più in generale, al fine di garantire la parità di trattamento e l’imparzialità rispetto a tutti i soggetti
politici, le norme disciplinano l’accesso ai mezzi di informazione per la comunicazione politica
nonché l’accesso ai mezzi di informazione durante le campagne per l’elezione al Parlamento
europeo, per le elezioni politiche, regionali e amministrative e per ogni referendum.
Nel periodo intercorrente tra la data di presentazione delle candidature e quella di chiusura della
campagna elettorale, le emittenti radiofoniche e televisive locali possono trasmettere messaggi
106
Gli importi non possono comunque essere superiori a quelli spettanti per il 2008.
107
La Convenzione prevedeva l’impegno da parte della concessionaria a trasmettere per ogni impianto,
nell’orario tra le ore 8.00 e le ore 21.00, almeno il sessanta per cento del numero annuo complessivo di ore dedicate
dalle camere alle sedute d’aula. Tali trasmissioni non possono essere interrotte, precedute e seguite, per un tempo di
trenta minuti dal loro inizio e dalla loro fine, da annunci pubblicitari o politici. La Convenzione è rinnovabile fino
alla completa realizzazione da parte della concessionaria pubblica della rete radiofonica riservata esclusivamente
alla trasmissione dei lavori parlamentari di cui all’articolo 24, comma 1 della legge 6 agosto 1990, n. 223.
108
Legge 11 luglio 1998, n. 224. Trasmissione radiofonica dei lavori parlamentari e agevolazioni per
l’editoria (art. 1 comma 1): “allo scopo di garantire la continuità del servizio di trasmissione radiofonica delle
sedute parlamentari, e confermando lo strumento della convenzione da stipulare a seguito di gara pubblica, i cui
criteri saranno definiti nel quadro dell’approvazione della riforma generale del sistema delle comunicazioni, in via
transitoria la convenzione tra il Ministero delle comunicazioni e il Centro di produzione S.p.a., stipulata ai sensi
dell’articolo 9, comma 1, del decreto-legge 28 ottobre 1994, n. 602, ed approvata con decreto del Ministro delle poste
e delle telecomunicazioni del 21 novembre 1994, è rinnovata con decorrenza 21 novembre 1997 per un ulteriore
triennio, intendendosi rivalutato in Lire 11.500.000.000 l’importo di cui al comma 4 dello stesso articolo 9. I contratti
collettivi nazionali di lavoro, ivi compreso, per i redattori, il contratto unico nazionale di lavoro dei giornalisti, si
applicano ai dipendenti del Centro di produzione S.p.a. fino alla scadenza della convenzione.
109
“Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie
e per la comunicazione politica; Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 43 del 22 febbraio 2000”. La legge
introduce una serie di regole, provvedimenti e relative sanzioni in materia di comunicazione politica radiotelevisiva
(locale e nazionale), di messaggi politici elettorali su quotidiani e periodici, di sondaggi e comunicazione istituzionale.
L’articolo 4 disciplina la Comunicazione politica radiotelevisiva e messaggi radiotelevisivi autogestiti in campagna
elettorale. Il comma 5 prevede le modalità di rimborso. La legge ha subito modifiche ed integrazioni con la Legge 6
novembre 2003 n.313.
236
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
autogestiti a titolo gratuito per la presentazione non in contraddittorio di liste e programmi,
secondo modalità stabilite dalla Commissione di Vigilanza e dall’Autorità
Il rimborso è erogato entro i novanta giorni successivi alla conclusione delle operazioni elettorali,
per gli spazi effettivamente utilizzati e congiuntamente attestati dalla emittente e dal soggetto
politico, nei limiti delle risorse disponibili, dalla Regione che si avvale, per l’attività istruttoria
e la gestione degli spazi offerti dalle emittenti, del comitato regionale per le comunicazioni
(Corecom).
L’Autorità Garante per le Comunicazioni (Agcom) con propria delibera, generalmente approvata
45 giorni prima delle operazioni di voto, per ogni tornata elettorale, emette disposizioni in
materia di comunicazione politica e parità di accesso ai mezzi di informazione. Entro il quinto
giorno successivo alla data di entrata in vigore del provvedimento dell’autorità, le emittenti
radiofoniche e televisive locali che trasmettono i messaggi autogestiti:
1. rendono pubblico il loro intendimento mediante un comunicato da trasmettere almeno
una volta nella fascia di maggiore ascolto. Nell’avviso bisogna indicare il numero massimo
di contenitori, standard tecnici e termine di consegna per la trasmissione del materiale
autoprodotto;
2. inviano, anche a mezzo fax, al competente Corecom, l’avviso di cui sopra.
Dal sesto giorno successivo e fino al giorno di presentazione delle candidature i soggetti politici
interessati a trasmettere i messaggi comunicano alle emittenti e ai Corecom le proprie richieste,
la durata dei messaggi, il responsabile elettorale ed il proprio indirizzo. I messaggi devono
avere una durata sufficiente alla motivata esposizione di un programma o di una opinione
politica, comunque compresa tra 1 e 3 minuti per le emittenti televisive e tra 30 e 90 secondi
per le emittenti radiofoniche.
La collocazione dei messaggi all’interno dei singoli contenitori previsti per il primo giorno
avviene con sorteggio unico nella sede del Corecom. Nei giorni successivi la stessa collocazione
viene rideterminata secondo un criterio di rotazione a scalare di un posto all’interno di ciascun
contenitore, in modo da rispettare la parità di presenze all’interno delle singole fasce.
I Corecom intervengono inoltre nelle istruttorie promosse in caso di violazione della normativa
sulla par condicio, sulla base di compiti meglio definiti dalle disposizioni emanate dall’Agcom
nelle comunicazioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica
e di parità di accesso ai mezzi di informazione che vengono emanate in occasione di ogni
consultazione elettorale110.
Il Corecom esamina le richieste e, tenendo conto della somma a disposizione, predispone una
tabella nella quale è indicata la ripartizione dei messaggi politici autogestiti tra le emittenti111.
L’Agcom, ove non diversamente regolamentato, approva la proposta del Corecom competente
ai fini della fissazione del numero complessivo dei messaggi gratuiti da ripartire tra i soggetti
politici richiedenti, in relazione alle risorse disponibili previste dal decreto del Ministero delle
Comunicazioni di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e concernente la
110
In esse si ribadisce il ruolo di:
• vigilanza sulla corretta ed uniforme applicazione della legislazione vigente, del codice di autoregolamentazione
da parte delle emittenti locali nonché delle disposizioni dettate, per la concessionaria del servizio pubblico
generale radiotelevisivo dalla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi relativamente alle trasmissioni a carattere regionale (TGR);
• accertamento delle eventuali violazioni, trasmettendo i relativi atti e gli eventuali supporti e formulando le
conseguenti proposte all’Autorità per i provvedimenti di sua competenza.
111
La tabella è trasmessa, con nota, a ciascuna emittente e al Servizio trasparenza e comunicazione della
Presidenza che richiede all’Assessorato regionale della Programmazione l’iscrizione in bilancio delle somme statali
stanziate. La nota è inviata per conoscenza anche al Ministero delle comunicazioni. Terminata la campagna elettorale, le emittenti radiotelevisive presentano al Corecom l’autocertificazione sull’effettiva trasmissione dei messaggi
negli spazi radiofonici e televisivi. Il Corecom effettuati i controlli previsti, trasmette l’autocertificazione al Servizio
trasparenza e comunicazione che dispone l’erogazione dei rimborsi con determinazione del direttore.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
237
ripartizione tra le Regioni della somma stanziata per l’anno.
L’andamento delle assegnazioni mostra un netto peggioramento nel periodo 2000-2007 preso
in esame. Se nel primo triennio i rimborsi complessivi ammontavano in misura stabile a più di
10 milioni di euro, a partire dal 2003 si registra un calo sensibile, fino ad arrivare negli ultimi
anni a circa 3,3 milioni di euro, ovvero un terzo delle risorse rispetto al 2000.
Figura 12 – Contributi alle emittenti locali ex L. 28/2000 (2000-2007)
12
10
Quota Tv
Quota Radio
8
6
4
Milioni
2
0
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Fonte: elaborazione IEM su dati MSE - Dipartimento Comunicazioni
La ripartizione delle risorse proposta dai Corecom a livello regionale e successivamente
approvata dal Ministero, rispecchia la tendenza osservata a livello nazionale con flessioni
proporzionali alla riduzione degli stanziamenti.
Tabella n. 2 – Contributi alle emittenti locali per Regioni ex L. 28/2000 (2000-2007)
REGIONI
Lombardia
238
2007
2006
2005
2004
2003
508.559
510.299
508.410
510.122
819.142
1.589.983
2002
2001
1.594.095
2000
1.585.240
Campania
325.306
326.582
324.460
323.433
517.247
1.000.781
997.721
996.725
Sicilia
324.000
302.964
301.718
301.129
482.682
932.956
930.308
943.983
Lazio
309.235
308.312
307.000
307.025
485.662
942.278
936.617
937.342
Veneto
260.341
261.446
260.275
260.046
415.602
805.406
805.848
802.748
Piemonte
242.075
243.660
243.745
244.725
394.033
765.795
770.102
766.379
Emilia
Romagna
228.431
229.577
229.180
230.066
369.801
717.203
719.674
714.156
Puglia
205.358
235.794
234.520
234.294
375.150
725.503
723.808
720.705
Toscana
200.517
201.753
201.515
202.489
325.777
632.757
635.441
633.297
Calabria
121.000
110.600
122.774
121.302
192.435
371.514
370.310
380.272
Sardegna
99.271
97.399
96.759
96.702
154.998
299.938
299.609
297.415
Liguria
93.007
93.814
93.900
94.434
152.331
297.835
300.336
299.782
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
Marche
85.721
86.092
85.560
85.397
136.405
264.085
264.256
263.443
Abruzzo
82.517
80.500
79.000
79.377
126.434
244.294
242.139
247.043
Friuli Ven
Giulia
72.441
73.130
72.965
72.981
116.869
226.864
227.501
228.385
Umbria
47.448
47.806
47.724
47.917
76.882
149.197
149.380
148.826
Basilicata
42.175
36.914
36.840
36.391
57.882
111.886
111.297
111.408
Bolzano prov.
aut.
26.555
26.550
26.406
0
41.061
79.335
79.279
83.354
Trento prov.
aut.
26.555
26.598
26.511
52.677
43.206
83.479
83.553
79.157
Molise
21.739
22.175
22.000
21.755
34.488
66.610
66.356
67.938
6.885
6.905
6.876
6.881
11.050
21.439
21.506
21.537
Valle D’Aosta
Totale
3.331.144 3.330.876 3.330.143 3.331.142 5.331.141 10.331.140 10.331.139 10.331.138
Fonte: elaborazione IEM su dati MSE - Dipartimento Comunicazioni.
Analizzando la ripartizione dei rimborsi relativa al 2007, la Lombardia è la Regione che ha
beneficiato dei rimborsi più cospicui (poco più di 500mila euro) assorbendo il 15% delle
risorse complessive. Seguono 3 Regioni (Campania, Sicilia e il Lazio) che hanno ricevuto oltre
300mila. Un secondo gruppo composto da Piemonte, Emilia Romagna, Puglia e Toscana ha
ottenuto ciascuna oltre i 200mila euro. Le emittenti di tutte le altre Regioni (eccetto la Calabria)
sono posizionate al di sotto dei 100mila euro.
Migliaia
Figura 13 – Contributi alle emittenti locali per Regioni ex L. 28/2000 (2007)
600
500
400
300
200
100
Valle D'Aosta
Molise
Trento prov.aut.
Bolzano prov.aut.
Basilicata
Umbria
Friuli Ven Giulia
Abruzzo
Marche
Liguria
Sardegna
Calabria
Toscana
Puglia
Emilia Romagna
Piemonte
Veneto
Lazio
Sicilia
Campania
Lombardia
0
Fonte: elaborazione IEM su dati MSE - Dipartimento Comunicazioni.
4.1.7 Contributi per il digitale terrestre
La transizione al digitale terrestre non costituisce soltanto un processo tecnologico ma ha
rilevanti implicazioni economiche e sociali, richiedendo l’assunzione contemporanea di
responsabilità da parte di tutti gli attori coinvolti.
Lo Stato e alcune Regioni (con modalità e strumentazioni differenti) hanno approntato una
serie di misure di sostegno alle imprese impegnate in piani di investimento per ammodernare
i propri impianti ed arricchire la propria offerta e ai cittadini per venire incontro alle criticità
tecniche ed economiche legate al passaggio tecnologico.
Possiamo distinguere 2 fronti sui quali Stato e Regioni hanno attivato varie misure di sostegno
nel corso degli anni:
•
il primo di natura istituzionale e che riguarda gli interventi di governance sotto il profilo
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
239
tecnologico (pianificazione) ed informativo (comunicazione);
•
il secondo attiene alle forme di sostegno organizzativo ed economico della Pa nazionale e
locale a favore degli operatori e dell’utenza.
Figura 14 - Intervento pubblico a sostegno della transizione al digitale terrestre
Governance
Pianificazione
Comunicazione
Sostegno
Lato aziende
Lato utenti
Contributi
nazionali
Assistenza
Fondi regionali
Incentivi
Fonte: IEM per IRER
I primi interventi a sostegno del passaggio al digitale terrestre risalgono alla Legge Finanziaria
2004, quando il calendario di spegnimento definitivo prevedeva come termine ultimo il 2008
(successivamente spostato). La legge stabiliva uno stanziamento di 110 milioni di euro da
destinare prevalentemente a bonus (da 110 euro a consumatore) per l’acquisto dei decoder
nelle prime Regioni digitali (Sardegna e Valle D’Aosta), cui si sarebbero aggiunti circa 16
milioni di investimenti da parte della Rai per la copertura del segnale nelle prime due Regioni
interessate. La legge finanziaria del 2005 stanziò una cifra analoga ma per singoli contributi
di 70 euro. Queste prime due leggi finanziarie avevano previsto un contributo per l’acquisto
di decoder interattivi in grado di ricevere il segnale digitale terrestre in chiaro e senza costi
per l’utente e per il fornitore di contenuti. Detta misura è stata ritenuta necessaria al fine di
supportare il passaggio alla tecnologia trasmissiva digitale, previsto quale obbligo a livello
comunitario, fornendo un contributo diretto ai cittadini per l’acquisto di un apparecchio atto
a ricevere gratuitamente il segnale televisivo terrestre in digitale. La limitazione trovava la
sua giustificazione nel fatto che la televisione via satellite avrebbe richiesto al consumatore
costi aggiuntivi per l’acquisto dell’antenna parabolica e per l’abbonamento al servizio. Le due
previsioni per il 2004-2005, su denuncia di alcuni operatori televisivi (Sky e Europa 7) sono
state oggetto di una procedura di infrazione comunitaria che ha considerato aiuto di Stato il
suddetto contributo per violazione del principio della neutralità tecnologica e distorsione della
concorrenza a vantaggio delle emittenti digitali terrestri (gli incentivi, infatti, escludevano i
decoder per la piattaforma satellitare).
Fin dal settembre 2005 lo Stato italiano aveva comunque comunicato alla Commissione di
sospendere l’erogazione del contributo sulla base dei suddetti requisiti e, con la legge finanziaria
2006, sono stati previsti ulteriori requisiti di neutralità tecnologica.
Su questa base e con la possibilità di ricevere il contributo per l’acquisto di decoder digitali
terrestri via cavo e satellitari free, con la decisione n. 270 del 2006, la Commissione ha approvato
240
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
la misura112.
A seguito della decisione di posticipare le date del passaggio ed allinearsi alla scadenza fissata
a livello comunitario (31 dicembre 2012) gli stanziamenti sono stati sospesi fino alla fine del
2006.
La Legge Finanziaria 2007113, per favorire la transizione al digitale terrestre e diffondere la
nuova tecnologia sul territorio nazionale, ha istituito presso il Ministero delle comunicazioni
un “Fondo per il passaggio al digitale” dotandolo di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni
2007, 2008 e 2009 per la realizzazione dei seguenti interventi:
1. incentivare la produzione di contenuti di particolare valore in tecnica digitale;
2. incentivare il passaggio al digitale terrestre da parte del titolare dell’obbligo di copertura del
servizio universale;
3. favorire la progettazione, realizzazione e messa in onda di servizi interattivi di pubblica
utilità diffusi su piattaforma televisiva digitale;
4. favorire la transizione al digitale da parte di famiglie economicamente o socialmente
disagiate;
5. incentivare la sensibilizzazione della popolazione alla tecnologia del digitale.
Mediante un successivo decreto, il Ministro delle comunicazioni114, ha deciso di destinare
buona parte delle risorse del citato Fondo per il passaggio al digitale relative al 2007 (circa 33
milioni di euro) alla Rai, per l’attuazione del progetto di ampliamento dei servizi per il digitale
che prevede interventi su 104 impianti e di adeguamento infrastrutturale di circa 45 siti e in
coerenza con gli obblighi derivanti dal Contratto di servizio115.
Per l’anno 2008, il Ministro delle Comunicazioni mediante decreto116 e in applicazione della
Legge Finanziaria 2008, ha stanziato 54,8 milioni di euro (cifra superiore ai 40 previsti) per
sostenere il processo di transizione al digitale nelle Regioni italiane interessate. Il decreto in
particolare prevede:
•
35.000.000 per l’adeguamento dell’impiantistica Rai;
•
10.300.000 per le iniziative nelle aree all digital (in primis la Sardegna);
•
6.500.000 per le attività di pianificazione, progettazione da parte della Fondazione Bordoni
e per la comunicazione;
•
3.000.000 per le attività di servizio (call center, promozione verso i commercianti, lettere ai
cittadini, supporto informativo) svolte da Poste italiane.
Per l’anno 2009 il Ministero per lo Sviluppo Economico ha messo a disposizione delle aree
all digital coinvolte nella prima fase di switch-off (Valle d’Aosta, Piemonte occidentale, Lazio,
112
In base alla decisione della Commissione sull’aiuto di Stato relativo al contributo per l’acquisto di decoder
digitali concesso dalla legge finanziaria 2004-2005 e a seguito della richiesta inoltrata il 17 novembre 2009 dalla
Direzione Generale Concorrenza, in data 4 febbraio 2009, la società RTI ha adempiuto a tale richiesta versando allo
Stato italiano un importo di più di 6 milioni di euro.
113
Legge 23 dicembre 2006, n. 296 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello
Stato” Art. 1 comma 927 (Individuazione di interventi per favorire la transizione alla televisione digitale).
114
DM 2 agosto 2007: “Sostegno delle iniziative della concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo Rai – Radiotelevisione italiana S.p.A. per favorire la transizione al digitale”. In precedenza, nell’agosto 2006,
era stato costituto il Comitato nazionale “Italia Digitale” con il compito di definire le attività necessarie alla realizzazione dello switch off nazionale.
115
Articolo 23 comma 2: “(…) la Rai assicura un grado di copertura effettiva dei multiplex (…), non inferiore al 75 % della popolazione in ambito nazionale entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente Contratto e
non inferiore all’85 % della popolazione in ambito nazionale entro dodici mesi dall’entrata in vigore del Contratto”;
articolo 27: “al fine di assicurare l’adempimento degli obblighi di servizio universale, nel periodo di vigenza del presente Contratto, il Ministero si impegna a supportare, con adeguate misure e nell’ambito delle risorse disponibili, gli
investimenti della Rai finalizzati alla transizione al digitale”.
116
DM 24 gennaio 2008.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
241
Campania, Provincia di Trento e Provincia di Bolzano) risorse pari a 30,9 milioni destinate ad
assicurare lo sviluppo del digitale terrestre e così ripartite117:
•
7,5 per l’erogazione di contributi alle famiglie per l’acquisto o noleggio del decoder;
•
4,0 al sostegno delle iniziative effettuate da Poste Italiane Spa (call center e centro servizi);
•
5,5 al sostegno delle iniziative effettuate dalla Fondazione Ugo Bordoni per le attività di
supporto tecnico, scientifico e operativo;
•
3,5 destinati alla Rai per interventi di adeguamento degli impianti allo scopo di estendere
le aree di copertura digitale;
•
10,4 destinati alle emittenti locali a sostegno delle iniziative di sensibilizzazione della
popolazione alla tecnologia digitale.
Per quanto attiene alla prima voce di intervento, il sostegno ai telespettatori a livello nazionale
si è concretizzato nella possibilità di beneficiare di un contributo statale (50 euro) per l’acquisto
di un decoder digitale interattivo. Il beneficio è limitato ai cittadini in regola con l’abbonamento
Rai, con reddito pari o inferiore a 10.000 euro e di età pari o superiore a 65 anni118. Va evidenziato
che lo strumento del bonus, così come è stato concepito, non si è rivelato particolarmente
efficace come dimostrano i dati sullo scarso utilizzo da parte dei potenziali beneficiari.
Complessivamente per l’anno 2009, il numero dei decoder venduti con il contributo statale
è stato pari al 20% circa della platea potenziale119. Appare in effetti contraddittorio spingere le
fasce economicamente più deboli ad acquistare un decoder interattivo comunque più costoso
rispetto ai tradizionali zapper.
Nel corso della prima riunione (tenutasi il 16 dicembre 2009) delle task force Piemonte,
Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Liguria, il Governo ha annunciato
di aver stanziato, per la comunicazione del passaggio al digitale ai cittadini nel 2010, un fondo
di 53,5 milioni di euro, ripartiti come segue:
•
12 milioni verranno destinati alle campagne di comunicazione (spot televisivi) delle
emittenti televisive locali nelle aree interessate dallo switch off nel 2010120;
•
8 milioni andranno alla Fondazione Bordoni per le attività di sostegno allo switch off
(sostegno alla campagna di comunicazione per informare i cittadini/utenti);
•
7 milioni verranno destinati alle Poste per la gestione del call center;
•
7 milioni andranno alla comunicazione a mezzo stampa.
I rimanenti 19,3 milioni sono destinati ai contributi per l’acquisto dei decoder (50 euro a chi ha
più di 65 anni e meno di 10 mila euro di reddito ed è in regola con il canone).
I contributi regionali a sostegno dello switch-off
Solo alcune Regioni si sono attivate mettendo a disposizione servizi di assistenza tecnica ai
cittadini e risorse economiche a sostegno delle emittenti locali impegnate nella difficile fase
di transizione ad effettuare investimenti sia sul piano dell’ammodernamento degli impianti
117
Per incrementare il fondo per il passaggio al digitale terrestre costituito presso il Ministero dello sviluppo
economico, la Commissione Finanze e Attività Produttive ha approvato un emendamento al “decreto incentivi”
che prevede l’utilizzo del 20% delle maggiori entrate del 2009 conseguenti alle future assegnazioni di diritti d’uso
di frequenze radio o risorse di numerazione. Si stima che l’operazione porterebbe alle casse dello Stato da 200 a
250 milioni di euro di nuove entrate da cui deriverebbero circa 40/50 milioni di euro (pari al 20%) da destinare
all’incremento del suddetto fondo (Fonte: Frt).
118
Al 15 ottobre 2009, in Italia erano stati erogati 210 milioni di euro a favore di 926mila famiglie che hanno
acquistato 2,2 milioni di decoder interattivi utilizzando il bonus destinato alla fasce deboli.
119
Ad esempio in Campania, nel 2009, sono stati venduti 30mila decoder (presso 308 rivenditori accreditati)
su 142mila potenziali aventi diritto attestati dall’Agenzia delle Entrate.
120
La distribuzione delle risorse, effettuata sulla base delle graduatorie Corecom e della copertura di ciascuna
emittente, è la seguente: 3,7 milioni alle emittenti della Lombardia, 1,2 a quelle del Piemonte, 2,2 a quelle dell’Emilia
Romagna, 830 mila euro a quelle del Friuli V.G. e, infine, 1,9 alle emittenti della Liguria, per un totale di circa 10
milioni (il Decreto non ha chiarito come e a chi saranno assegnate le restanti risorse).
242
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
(sostituzione e/o adeguamento) sia su quello dell’arricchimento e diversificazione dell’offerta.
I pacchetti di misure approntati presentano caratteristiche ed entità diverse.
Tabella 3 - Sostegni regionali per il passaggio al dtt
Regione
Campania
Tipologia di sostegno
Durata
Importo
Contributi per l’innovazione tecnologica degli
impianti (Por Fesr)
2009-2010
10.000.000
Campagna di comunicazione ai cittadini
Piemonte
2009
800.000
Protocollo di intesa con il Ministero delle
Comunicazioni e Adgtv (famiglie e servizi di
pubblica utilità)
2007-2008
5.000.000
Sostegno emittenza locale per la transizione (legge
regionale).
2009 -2011
2.500.000
Bando per il sostegno agli investimenti
2010
8.600.000 (1/3 fondo
perduto)
Campagna di comunicazione ai cittadini
2009
1.000.000
2009-2010
40.000.000*
2009
3.850.000
Lazio
Bando POR filiera audiovisiva
Valle D’Aosta
Adeguamento postazioni, call center, assistenza
tecnica a domicilio, campagna informativa
Fonte: IEM su dati delle Regioni e fonti varie. * Solo una parte destinati all’emittenza locale.
La Regione Autonoma Valle d’Aosta, oltre a beneficiare (come tutte le altre Regioni all digital)
dei finanziamenti prelevati dal Fondo nazionale per il digitale, ha stanziato 3 milioni e 580mila
euro per il digitale terrestre così ripartiti:
•
2,3 milioni per l’adeguamento delle postazioni;
•
1,25 milioni per il call center e l’assistenza tecnica a domicilio gratuita (circa 20mila
interventi tecnici previsti pari al 50% della popolazione);
•
30mila euro per la campagna informativa condotta sui giornali a ridosso dello switch off (ad
integrazione dei fondi stanziati a livello nazionale dal Ministero per le Comunicazioni)121
Nel Lazio la Regione ha optato per un bando (lanciato nel luglio 2009) per il sostegno alla
filiera audiovisiva (non solo emittenti locali impegnate nella transizione al digitale) facendo
ricorso al Programma Operativo Fesr 2007-2013 gestito dall’agenzia Sviluppo Lazio. Le risorse
complessive ammontano a 39,8 milioni (in un primo momento il budget a disposizione era
di 16,8 milioni, successivamente incrementato di ulteriori 23 milioni) e sono destinate a
programmi di investimento di importo pari o superiore a 50.000 euro nel caso di imprese singole
e pari o superiore a 100.000 euro nel caso di aggregazioni tra imprese. Ampi e diversificati
i settori di attività ammissibili ai contributi: produzione, post-produzione e distribuzione
cinematografica, di video e di programmi televisivi; proiezione cinematografica; edizione di
registrazioni sonore, studi di registrazione sonora; trasmissioni radiofoniche; programmazione
e trasmissioni televisive nonché telecomunicazioni fisse, mobili e satellitari. Due le tipologie di
intervento:
•
industrializzazione del patrimonio filmico e documentale
•
azioni e programmi di investimento strategici per il rafforzamento competitivo del Sistema
Produttivo Locale dell’Audiovisivo122.
121
Altre fonti (tra cui Key4biz), riportando dichiarazioni del Presidente della Regione, indicano in 11,5
milioni di euro l’investimento complessivo sostenuto dalla Regione per il passaggio al digitale terrestre, di cui
600mila per organizzare eventi di informazione, di comunicazione e di assistenza diretta ai cittadini. Le attività di
adeguamento, smantellamento e sostituzione delle postazioni sono state condotte dall’Amministrazione regionale
nell’ambito della più ampia azione di delocalizzazione e risanamento delle infrastrutture esistenti prevista dalla
Legge regionale 4 novembre 2005.
122
Le Associazioni di categoria hanno espresso dubbi circa la concreta possibilità di partecipazione ed accesso alle risorse del bando da parte delle tv locali interessate al passaggio dall’analogico al digitale.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
243
Di notevole entità le risorse messe a disposizione dalla Regione Campania che, grazie al
sostanzioso apporto dei Fondi strutturali comunitari, ha destinato 10 milioni di euro (importo
complessivo massimo) da erogarsi sotto forma di contributi per “agevolare il necessario
adeguamento tecnologico degli impianti delle tv locali123.
Nel dettaglio il contributo massimo concedibile a ciascuna emittente televisiva locale è pari a
200mila euro, in regime di aiuti “de minimis” ai sensi del regolamento (CE) 1998/2006124.
Con un successivo decreto è stato approvato il bando rivolto alle piccole e medie imprese titolari
di emittenti televisive locali del Programma Operativo FESR Campania 2007-2013 per favorire
il passaggio delle trasmissioni televisive dal sistema analogico al sistema digitale terrestre125.
I contributi sono stati concessi per le seguenti attività:
•
progettazione e direzione lavori, consulenze, studi di fattibilità tecnica, economicofinanziaria, di marketing e altre spese generali nel limite massimo del 15% del totale delle
spese complessivamente ammissibili del programma di investimento;
•
acquisto di macchinari, strumenti ed attrezzature, nuovi di fabbrica, indispensabili alla
realizzazione del progetto;
•
acquisizione di brevetti, di software, di programmi e servizi informativi e telematici, di
know-how e di diritti di licenza;
•
realizzazione e/o adeguamento degli impianti indispensabili alla realizzazione del progetto;
•
supporti informativi e servizi di e-business.
Ulteriori 800 mila euro di provenienza del Ministero Sviluppo economico (vedi supra) sono stati
stanziati dalla stessa Regione per la campagna di comunicazione ai cittadini da realizzarsi nel
periodo di switch-over attraverso spot da trasmettere sulle tv locali. A tali risorse la Regione ha
infine aggiunto 600 mila euro per formare nuove professionalità in grado di operare all’interno
delle nuove piattaforme digitali.
In Piemonte il primo intervento significativo di sostegno è stato avviato a seguito della firma di
un protocollo di intesa congiunto con il Ministero delle Comunicazioni e l’Associazione Dgtv il
1 dicembre 2007126. L’accordo, fra le varie misure, prevedeva il co-finanziamento Stato-Regione
a partire dal 2008 per la realizzazione dei seguenti interventi:
1. realizzazione delle più opportune iniziative per favorire la transizione al digitale da parte di
famiglie economicamente o socialmente disagiate, utilizzando i fondi previsti dalla Legge
Finanziaria 2007 (vedi supra) nella misura di 11 milioni di euro in due anni a partire dal
2008, di cui 10 milioni in capo a Stato e 1 milione in capo a Regione Piemonte. A tal fine il
Ministero delle Comunicazioni e Regione Piemonte, di comune intesa, determineranno i
criteri per individuare le categorie di destinatari delle suddette iniziative;
2. il Ministero delle Comunicazioni, tenendo conto delle esigenze della Regione Piemonte,
si impegna a favorire e sviluppare le migliori iniziative per la diffusione della tecnologia
digitale, ponendo una specifica attenzione sull’infrastrutturazione delle aree marginali del
123
Deliberazione del Consiglio Regionale n. 1240 del 15 luglio 2009.
124
Ogni progetto di legge che conceda finanziamenti e agevolazioni deve essere notificato e autorizzato dalla
Commissione Europea come stabilito dalle norme europee relative agli aiuti di stato. Fanno eccezione alcuni tipi
di aiuti che sono autorizzati mediante degli appositi regolamenti di esenzione dell’Unione Europea definiti aiuti
de minimis. Si tratta di finanziamenti e agevolazioni di piccola entità, il cui importo è considerato irrilevante per
generare turbative del mercato e della concorrenza. Gli Stati possono quindi erogare aiuti alle imprese di qualsiasi
dimensione, in regime de minimis, senza obbligo di notifica, nel rispetto delle condizioni di cui, attualmente, al
regolamento CE della Commissione n. 1998/2006. Solo per gli anni 2009 e 2010 la Commissione europea ha innalzato da 200mila a 500mila la soglia massima degli importi concedibili.
Decreto dirigenziale n. 244 del 29 luglio 2009. Il bando è stato lanciato in attuazione dell’obiettivo opera125
tivo 5-2 – Attività sub B) del Por Fesr.
126
Protocollo di intesa per la definitiva transizione alla televisione digitale terrestre (switch off) nel territorio
della Regione Piemonte.
244
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
territorio piemontese, in relazione all’attuazione del progetto di transizione tecnologica
predisposto dalla RAI, ai sensi del decreto del Ministro delle Comunicazioni 2 agosto 2007;
3. sviluppo della progettazione, realizzazione e messa in onda di servizi di pubblica utilità
diffusi su piattaforma televisiva digitale, con il coinvolgimento dei broadcaster per la messa
in onda e degli enti strumentali della Regione per lo sviluppo di applicazioni rispondenti
alle esigenze della Regione nonché di attività di ricerca e innovazione a supporto della
transizione al digitale nella misura di 5 milioni di euro in due anni a partire dal 2008, di cui
4 milioni in capo a Regione Piemonte e 1 milione in capo al Ministero. Dopo ripetuti appelli
lanciati dalle Associazioni di categoria, è stata approvata la Legge regionale 26 ottobre 2009
n. 25 (Interventi a sostegno dell’informazione e della comunicazione istituzionale via radio,
televisione, cinema e informatica). La legge mira, da un lato, a conferire una normativa
organica disciplinando il “sistema integrato delle comunicazioni”, favorendo la nascita
e lo sviluppo delle nuove forme di comunicazione e di informazione; dall’altro, punta a
sostenere il sistema dell’emittenza radiotelevisiva locale nell’attuale fase di transizione al
digitale terrestre.
Per quanto attiene specificatamente agli interventi a sostegno delle emittenti radiotelevisive
(Capo III) sono fissati i seguenti obiettivi:
1. agevolare in via prioritaria il passaggio dall’analogico al digitale, la convergenza tecnologica,
la fruibilità in logica multicanale dei prodotti editoriali;
2. favorire i progetti volti all’aumento di occupazione giovanile e femminile, le iniziative volte
a dare una dimensione europea alle notizie e ai servizi giornalistici locali, la progettazione
e realizzazione di notiziari e servizi per non vedenti e non udenti;
3. sostenere le tendenze all’affermarsi di sistemi di trasmissione radiotelevisiva via internet
(IpTv e web radio), per la loro ricaduta sul sistema della comunicazione di prossimità,
specie nel campo dell’uso dei servizi sociali, della sanità e della comunicazione d’emergenza;
4. incoraggiare, nell’ambito della tutela della proprietà intellettuale, la diffusione di modalità
ispirate ai principi di condivisione di contenuti culturali e della conoscenza;
5. favorire le forme di aggregazione editoriale attraverso accordi, consorzi e altre forme
associative e di intesa, per mettere le imprese in grado di gestire in comune impianti di
messa in onda, strutture amministrative di logistica aziendale, trasmissione di dati per
conto proprio e per conto terzi, strutture redazionali e modalità di produzione e diffusione
di contenuti;
6. sostenere la costruzione di reti di emittenti su base regionale, che siano attivabili
periodicamente in occasione di eventi di impatto particolare e che richiedono una diffusione
capillare di segnali e messaggi sul territorio, sia a fini di promozione di manifestazioni di
grande rilievo, sia di prevenzione e difesa sociale;
7. sostenere la diffusione di nuovi sistemi di ricezione digitale e tipi avanzati di decoder,
incentivandone l’uso da parte del pubblico;
8. promuovere i prodotti editoriali di qualità sui periodici locali d’informazione, sulle
emittenti radio-televisive piemontesi e sulle testate on line;
9. sostenere gli abbonamenti alle agenzie di stampa che abbiano copertura nazionale,
regionale, o almeno interProvinciale, per garantire un flusso continuo di notizie alle
redazioni giornalistiche delle emittenti radiotelevisive locali e alle testate on line;
10. promuovere la progettazione e realizzazione di nuovi formati di notiziario e programmi di
comunicazione di prossimità di interesse regionale, favorendone la fruizione in modalità
multicanale;
11. agevolare la costruzione di piattaforme e sistemi editoriali che consentano l’archiviazione,
indicizzazione e condivisione dei contenuti informativi multimediali, ai fini della loro
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
245
valorizzazione culturale e di mercato;
12. favorire la produzione e la diffusione di notiziari radiotelevisivi su base locale;
13. favorire e sostenere la produzione di programmi specificamente dedicati ai minori e al
pubblico giovanile, ivi compresi prodotti di informazione locale.
Per l’attivazione di tali interventi la Regione si avvale di una serie di strumenti quali:
1. convenzioni e contratti con le società di telecomunicazione e con la società concessionaria
del servizio pubblico generale di radiodiffusione;
2. agevolazioni, offerte di servizio ed erogazione di contributi in conto capitale e in conto
interessi;
3. concessione di garanzie sussidiarie, a fronte di operazioni di finanziamento e locazione
finanziaria;
4. messa a disposizione di piattaforme idonee;
5. finanziamento di corsi di formazione e aggiornamento;
6. iniziative premiali rivolte ai giovani, borse di studio e stages finalizzati al miglioramento
degli standard di qualità e alla progettazione e realizzazione di nuovi formati d’informazione
e comunicazione;
7. studi e ricerche volti ad offrire piattaforme editoriali e applicativi di interconnessione e
fornire dati utili sui flussi di comunicazione e sulle tendenze del mercato.
Le risorse stanziate dalla Regione del comparto ammontano per il triennio 2009-2011 a circa
2,5 milioni di euro di cui:
1. 500 mila di spesa corrente per il 2009, gran parte dei quali destinati a risolvere il problema
della mancata ricezione del segnale Rai in alcune zone montane (65 comuni per un totale
di 25 mila famiglie ancora “oscurate”), adeguando i ripetitori che non rientrano fra quelli
oggetto di interventi della Rai o che ricevono finanziamenti ministeriali. Lo stanziamento
della Regione riguarda in particolare una cinquantina di ripetitori;
2. 1 milione all’anno di spese per investimento in conto capitale per i due anni successivi per
facilitare il passaggio al digitale nel Piemonte orientale, previsto per l’autunno 2010127.
Il 30 novembre 2009 le emittenti televisive locali piemontesi hanno, inoltre, sottoscritto un
memorandum di intesa con la Regione per definire le modalità con cui la stessa sosterrà il
passaggio al digitale. Il memorandum poggia su tre interventi:
1. campagna pubblicitaria di comunicazione rivolta ai cittadini, da pianificare sul complesso
delle tv piemontesi, da spendere entro marzo 2010, per un totale di 1 milione di euro da
suddividere fra le emittenti in base ad un criterio (già utilizzato dal Ministero) che prevede
un 50% diviso in base a tre dimensioni d’impresa ed il restante in base al punteggio delle
graduatorie Corecom;
2. stipula di una convenzione tra la Regione, il sistema bancario locale, l’ABI e i consorzi
di garanzia, in base al quale le emittenti potranno accedere ad aperture di credito “per
liquidità” o affidamenti a breve con la garanzia della Regione fino all’80% delle somme
concesse; le imprese devono essere affidabili ma l’operazione dovrà aggiungersi alle linee di
credito già concesse;
3. istituzione di un bando per il passaggio al digitale che avrà una misura specifica per le tv
locali, in base al quale saranno concessi contributi per le diverse azioni di investimento
(materiale ed immateriale) che le emittenti devono intraprendere o hanno già intrapreso
sia per l’hardware ma soprattutto per quegli elementi immateriali più difficile da
finanziare, come consulenze per innovazione tecnologica, know-how, progetti sviluppo,
127
L’articolo 18 della Legge prevede che i fondi per l’anno 2009 della spesa corrente e 2010 delle spese di
investimento siano prioritariamente destinati a facilitare la transizione al digitale terrestre da parte delle emittenti
regionali e a garantire, anche da parte delle comunità montane, il servizio nelle aree marginali.
246
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
riqualificazione del personale, organizzazione aziendale. Il budget previsto è pari a 4
milioni di euro e gli importi a cui potrà accedere ogni emittente variano da € 150.000
a € 500.000, a seconda della dimensione aziendale (individuati in base alle graduatorie
Corecom in 3 categorie di emittenti). Una quota pari a 1/3 sarà a fondo perduto mentre la
restante quota di 2/3 dovrà essere restituita in cinque anni, a tasso zero128.
Il memorandum è stato successivamente approvato dalla Giunta Regionale del Piemonte il 19
gennaio 2010 e grazie anche all’utilizzo di fondi comunitari (Fesr) prevede uno stanziamento
complessivo di 8,6 milioni di euro.
4.2 Editoria
Il sostegno pubblico all’industria dei quotidiani e dei periodici in Italia ha inizio nel 1935, con
l’istituzione dell’Ente Nazionale Cellulosa e Carta, che erogava sovvenzioni all’industria dei
quotidiani per l’acquisto, e quindi la tutela, della carta italiana, attraverso delle compensazioni
sul prezzo di acquisto. Agevolazioni tariffarie (per servizi telefonici e postali) furono poi
introdotte con la legge 482 del 1949. L’integrazione del prezzo della carta venne confermata dalla
legge 168 del 1956, mentre a partire dalla legge 1063 del 1971 vennero istituiti dei contributi
straordinari assegnati in modo inversamente proporzionale alla quantità di carta utilizzata,
nonché forme di credito agevolato. Un ulteriore potenziamento di queste forme, insieme ad
obblighi di trasparenza per le imprese assegnatarie di contributi e ad un allargamento delle
tipologie di beneficiari (agenzie di stampa, editoria periodica) dei contributi si ebbe con la
legge 172 del 1975129, che prevedeva l’istituzione di un Registro nazionale della stampa e di una
Commissione preposta a vagliare i requisiti per accedere ai contributi.
La legge 416 del 1981 ha sostituito le sovvenzioni generalizzate con provvidenze più mirate
all’industria, sia attraverso misure dirette (a fondo perduto) che indirette (agevolazioni
tariffarie), con il tentativo di spingere le imprese ad affrancarsi da un sostegno assistenziale,
stimolandole agli investimenti e alla crescita. Le misure erano in origine previste per una durata
di cinque anni, con l’obiettivo di abbattere inizialmente le barriere all’ingresso del mercato per
lasciare poi che fossero le iniziative più meritevoli a mantenersi autonomamente. Interventi
successivi (a partire dalla legge 939 del 1982 e dai pronunciamenti della Corte di Cassazione
che riconoscevano ai percettori dei contributi un “diritto soggettivo perfetto”, sostanzialmente
“automatizzando” i contributi130) hanno poi reso il sistema di aiuto pubblico “permanente” e
praticamente sganciato dalla prospettiva di stimolare gli investimenti delle imprese e il loro
affrancamento da un sostegno “esterno” quale l’intervento pubblico.
La legge n. 62 del 2001, successivamente, ha posto a oggetto delle disposizioni il “prodotto
editoriale” al posto della “impresa editoriale”, sottolineando la natura particolare, peraltro
già espressa dall’art. 21 della Costituzione e da diverse sentenze della Corte Costituzionale,
del “bene informazione” quale servizio di pubblico interesse131. Più specificatamente, la
Corte Costituzionale ha sottolineato la necessità di garantire “il massimo del pluralismo
esterno, onde soddisfare, attraverso una pluralità di voci concorrenti, il diritto del cittadino
all’informazione”132.
La legge 62 ha inoltre istituito un fondo per le agevolazioni di credito, nel tentativo di favorire gli
investimenti ed incrementare il peso dei contributi indiretti rispetto a quelli diretti. Nel definire
il “prodotto editoriale” ha inoltre preso in considerazione la diffusione dell’informazione via reti
di comunicazione elettronica, nel tentativo di adeguare la normativa all’evoluzione tecnologica
e alla fruizione di informazione attraverso le reti Internet (modalità, però, nella quale tende
a sfumare la distinzione fra informazione professionale, con status d’impresa e obblighi di
128
La quota a fondo perduto è stata successivamente incrementata. La pubblicazione del bando è prevista per
giugno 2010.
129
Cfr. Maria Romana Allegri, La disciplina della stampa, disponibile online all’indirizzo.
130
Cfr. Beppe Lopez, La casta dei giornali, Stampa Alternativa – Rai Eri, Viterbo-Roma 2007.
131
Sentenza della Corte Costituzionale 24 maggio 1977, n. 94.
132
Corte Costituzionale, sentenze n. 826 del 1988 e n. 420 del 1994, citate nell’IC35 dell’Agcm (vedi infra).
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
247
registrazione, e informazione user-generated).
Doveroso, inoltre, menzionare come la riforma del Titolo V del 2001 abbia posto la
comunicazione fra le materie di legislazione concorrente fra Stato e Regioni. Questo può
prefigurare un quadro nel quale la policy regionale vada a sopperire alla contrazione dei fondi
messi a disposizione dall’amministrazione centrale, con la possibilità di costruire un sistema
maggiormente incentivante.
In linea generale, le forme di intervento si distinguono in:
•
contributi diretti a favore delle imprese editrici di quotidiani e periodici;
•
contributi indiretti, ossia agevolazioni di credito e fiscali e riduzione delle tariffe per
determinati servizi (di telecomunicazione e di spedizione postale – tipologia che riguarda
anche l’editoria libraria).
La maggior parte dei contributi diretti trova fondamento nella legge 250 del 1990, che ha
delineato, e ristretto, l’area dei soggetti beneficiari di detti contributi. Si tratta generalmente di
erogazioni a copertura fino a un massimo del 60% dei costi di bilancio, a favore di quotidiani
organi di partiti e movimenti politici, quotidiani e periodici editi da cooperative di giornalisti
o da società che fanno capo ad enti no-profit come cooperative, fondazioni ed enti morali,
quotidiani in altra lingua editi in regioni di confine, oppure editi e diffusi all’estero. I contributi
sono quantificabili in una parte fissa commisurata ai costi (generalmente il 30%) e in una parte
variabile in base alla tiratura133 di copie della testata. Fra i requisiti per l’accesso ai contributi,
va menzionata una quota dei ricavi pubblicitari che non sia superiore al 30% (in qualche caso
il 40%) dei ricavi totali.
Tra i contributi indiretti, l’ammontare più rilevante è consistito - negli ultimi anni e fino al 2010,
quando i fondi sono stati consistentemente tagliati - in tariffe agevolate per la spedizione in
abbonamento dei prodotti editoriali (legge 46 del 2004). Poste Italiane applica agli editori una
tariffa agevolata rispetto al prezzo normale e lo Stato versa a Poste Italiane la compensazione
rispetto alla tariffa normale.
Altre agevolazioni riguardano le tariffe per i servizi di telecomunicazione (fino al 50%), la
riduzione dell’Iva al 4% e il credito d’imposta per l’acquisto della carta e agevolazioni di credito
in conto interessi per investimenti tecnologici, fra cui progetti di ristrutturazione produttiva,
adeguamento tecnologico, distribuzione e formazione.
I contributi all’editoria sono gestiti dal Dipartimento Informazione ed Editoria della Presidenza
del Consiglio dei Ministri, nel bilancio della quale sono inserite le diverse voci di intervento.
La Presidenza gestisce inoltre alcuni interventi a favore della Rai (connessi alle attività estere
del servizio pubblico), delle emittenti radiofoniche e televisive locali, nonché attività di
comunicazione istituzionale, diffusione di notizie italiane all’estero, fondi per la mobilità dei
giornalisti.
Il 2010 ha visto un intensificarsi delle proposte e delle correzioni normative in materia di
sostegno all’editoria – esigenza manifestatasi già nella legislatura precedente – intrecciandosi
con i tagli alla spesa pubblica determinati dalla manovra economica. Solo alla fine di questo
processo di riordino sarà possibile analizzare il risultato finale e l’impatto pratico sulle imprese
e sul mercato. Basti citare l’interruzione (e la successiva reintegrazione parziale una tantum) dei
fondi per le tariffe postali agevolate, il riordino dei requisiti per l’accesso ai contributi diretti (fra
cui il calcolo sulle copie distribuite al posto delle copie stampate), ma soprattutto il passaggio,
avvenuto con il decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008 (art. 44), dal diritto soggettivo al limite
massimo delle risorse stanziate in bilancio nell’erogazione dei contributi, a prescindere dal
fabbisogno degli editori e ripartendo pro-quota le risorse disponibili. Il diritto soggettivo è
stato poi più volte reintegrato ed abolito, ed alfine garantito fino all’esercizio 2009. L’art. 44
133
Alla data di chiusura di questo studio, deve ancora essere approvato dal Consiglio dei Ministri il decreto
di riordino dei criteri di attribuzione dei contributi, che saranno vincolati alla percentuale del venduto sul totale
delle copie distribuite (e non più sul totale della tiratura).
248
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
prevedeva poi un regolamento di delegificazione che riordinasse l’intera materia che, all’agosto
2010, non era stato ancora approvato.
L’assenza di un disegno organico sottostante appare come il tratto caratteristico dell’intervento
pubblico a sostegno dell’editoria, così come è stato puntualizzato dall’Autorità Garante della
Concorrenza e del Mercato nella sua indagine sulle imprese editoriali: “La prima considerazione
che sorge dalla rassegna delle diverse tipologie di sostegno pubblico al settore dell’editoria è
l’eterogeneità dei criteri e delle modalità di erogazione dei contributi, rispetto ai quali non
è agevole individuare un disegno organico sottostante, orientato alla tutela del pluralismo.
L’attuale assetto appare essere la risultante di una progressiva stratificazione di misure, aventi
obiettivi non sempre convergenti e basate su parametri di attribuzione e quantificazione non
univoci. Inoltre, alcune misure sono state attuate in maniera discontinua, rendendo disagevole
una pianificazione di lungo periodo da parte delle attività delle imprese editoriali”134.
Allo stesso tempo, non risulta attivo un efficace sistema di monitoraggio e valutazione degli
interventi, non solo relativamente all’efficacia economica delle misure, ma anche e soprattutto
alle ricadute sul cittadino in termini di accesso alle informazioni, qualità dei servizi informativi
fruiti e, in ultima analisi, benessere collettivo accresciuto.
Non è, quindi, agevole determinare con precisione l’ammontare dell’intervento pubblico
nel settore editoriale. Da qualche anno, il Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della
Presidenza del Consiglio pubblica nel dettaglio i valori erogati per ciascuna testata, relativamente
ai contributi diretti. Per il 2008, i dati a disposizione identificano, per le principali tipologie
di intervento diretto, 161 milioni di euro di contributi versati, 18 in meno rispetto all’anno
precedente. I quotidiani editi da cooperative di giornalisti raccolgono 46 milioni, poco più di
quanto raccolgono i quotidiani editi da società controllate da enti no profit (come cooperative,
fondazioni, enti morali) con 42 milioni. Agli organi politici, nel complesso vanno circa 38
milioni (erano più di 56 milioni nel 2004).
Tabella 1 - Contributi diretti per tipologia di soggetti beneficiari, 2004-2008
Soggetti beneficiari
Legge/annoarticolo.comma
2008
2007
2006
2005
2004
Organi di partiti e movimenti
politici
250/90-3.10
26,19
29,91
28,79
27,52
26,69
Organi politici (coop entro 30-112001)
388-153
11,75
16,96
nd
25,23
29,81
Quotidiani editi da coop di
giornalisti
250/90-3.2
46,14
50,64
44,45
39,33
31,81
Quotidiani editi da società
controllate da cooperative,
fondazioni, enti morali
250/90-3.2bis
42,32
48,58
43,89
48,11
38,09
Quotidiani in altra lingua –
Regioni di confine
250/90-3.2ter
5,37
5,36
3,93
5,41
5,33
Quotidiani editi e diffusi all’estero
250/90-3.2ter
8,33
8,74
9,30
8,38
8,16
Periodici editi da cooperative di
giornalisti
250/90 3.2quater
11,69
10,84
11,22
nd
9,61
Periodici editi da società
controllate da cooperative,
fondazioni, enti morali
250/90-3.3
9,23
8,30
5,90
6,85
3,67
Giornali italiani pubblicati e
diffusi all’estero
416/81-26
nd
nd
nd
nd
1,45
Pubblicazioni edite in Italia e
diffuse all’estero
416/81-26
nd
nd
nd
nd
0,62
Quotidiani italiani teletrasmessi
extra-UE
62/01-3
nd
nd
nd
nd
2,07
nd
nd
nd
nd
0,47
Editoria periodica per non vedenti dl 542/96-8
134
Cfr. Agcm, IC35, Editoria quotidiana, periodica e multimediale, 2007.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
249
Associazioni consumatori utenti
dpcm 218/99
Totale (a perimetro non costante)
nd
nd
nd
nd
0,50
161,02
179,33
147,48
160,83
158,28
Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazioni IEM su dati DIE-PdCM.
Per avere un quadro più ampio, i bilanci di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri
offrono l’elenco degli interventi per capitoli di spesa, in maniera meno dettagliata riguardo ai
contributi diretti (aggregati nel capitolo 466 “contributi alle imprese editrici di quotidiani e
periodici”). Le uscite di cassa per questa voce, fra il 2003 e il 2007, sono cresciute da 186 a 214
milioni di euro (con una punta di 247 milioni nel 2006). Per il 2008 le previsioni di competenza
dell’esercizio erano di 140 milioni, scesi a 50 per il 2009 e risaliti a 170 milioni per il 2010.
La voce di spesa maggiore, però, è quella delle tariffe postali agevolate: nel 2003 era di
complessivi 346 milioni (273 milioni sul capitolo 471 e 73 milioni sul capitolo 472) di uscite
di cassa. Nel 2007 era di 243,7 milioni. Nel 2010 lo stanziamento iniziale di competenza era di
poco più di 50 milioni, successivamente integrati con altri 30 milioni per determinati editori
senza fine di lucro.
Si tratta, in ogni caso, di cifre diverse da quelle offerte da Poste Italiane, sotto la voce “ricavi
da compensazione tariffe editoria”, che per il 2009 ha contabilizzato 220 milioni di euro (e 247
milioni per il 2008, comunque in calo rispetto agli anni precedenti).
Tabella 2 - Tariffe postali agevolate, comparazione fonti, 2004-2009
Fonti
2009
PdCM - uscite di competenza (previsioni
assestate)
PdCM - uscite di cassa (previsioni assestate)
Poste Italiane – ricavi da compensazioni
editoriali
2008
2007
2006
2005
2004
45,4
149,4
161,2
67,7
234,4
308,3
nd
nd
243,7
182,5
234,4
308,3
220,0
247,0
265,0
241,0
281,7
266,8
Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazioni IEM su dati DIE-PdCM e Poste Italiane.
Tabella 3 - Voci di spesa nei bilanci di previsione della Presidenza del Consiglio – DIE, 20042010
Bilancio di previsione dell’anno
2010
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
Previsioni
iniziali
iniziali
iniziali
assestate
assestate
assestate
assestate
assestate
Contabilità dei dati riportati
comp/
cassa
competenza
competenza
cassa
cassa
cassa
cassa
cassa
Anno di riferimento dei dati
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
Cap
Voce di spesa
Spese correnti - Interventi
250
466
Contributi alle imprese
editrici di quotidiani e
periodici
467
Contributi mutui a imprese
edit. estinzione debiti 3112-90
468
170,00
50,00
140,00
213,99
246,96
173,56
158,86
186,15
-
-
-
-
-
6,30
15,88
22,61
Riduzioni tariffarie energia
elettrica e servizi tlc e satellite
4,00
4,06
4,31
13,43
10,98
18,99
20,86
17,28
469
Editoria periodica per non
vedenti
1,00
1,00
1,00
0,49
0,98
0,47
0,47
0,47
471
Rimborso Poste tariffe
agevolate (imprese ROC +
edit. libri)
9,00
1,00
105,00
243,69
182,49
234,35
308,31
273,17
472
Contributi spese postali
assoc. e org. senza fine lucro
50,80
44,45
44,45
0,00
-
-
0,00
73,02
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
473
Contributo all’associazione
stampa estera
0,01
0,01
0,01
0,01
0,01
0,01
0,01
0,01
559
Fondo mobilità e
riqualificazione giornalisti
0,00
0,00
0,00
3,52
6,17
10,95
0,98
6,65
479
Diffusione notizie Agenzie
italiane informazione servizi
esteri
7,85
7,85
7,50
10,03
8,66
9,51
9,51
12,49
560
Servizi stampa, accordi
di cooperazione campo
informazione
40,00
41,00
34,50
51,00
55,51
41,69
40,28
49,80
561
Prog. sperim. multimedialità
per comunic. ist. e mercato
edit.
0,00
0,41
0,50
0,00
-
-
-
-
563
Comunicazione pubblica
utilità sociale o interesse
collettivo
15,00
10,00
10,00
28,33
11,86
12,20
10,55
11,39
556
Progetti di comunicazione
finanziati UE
0,00
0,00
0,00
0,09
0,10
-
-
-
566
Premi e sovvenzioni per
scrittori, editori, librai
0,21
0,21
0,21
0,00
0,21
0,21
0,42
0,41
Spese in conto capitale - Investimenti
935
Contributi mutui a imprese
edit. estinzione debiti 3112-90
0,00
6,30
6,30
22,06
6,30
0,00
0,00
0,00
936
Contributi conto interessi
finanziamenti sviluppo
settore
0,00
0,00
0,00
34,46
15,00
13,08
22,42
43,41
938
Fondo agevolazioni credito
imprese editoriali
0,00
17,10
5,00
70,02
58,36
12,00
79,94
64,94
Totale interventi e investimenti
297,87
settore editoriale
183,39
358,78
691,12
603,59
533,32
668,49
761,80
Note: dati in milioni di euro. Fonte: elaborazioni IEM su bilanci di previsione PdCM.
4.3 Cinema e spettacolo dal vivo
4.3.1. Introduzione
Tracciare l’evoluzione nel medio e lungo periodo del sostegno pubblico nazionale alle attività
di spettacolo (dal vivo e riprodotto) ed individuarne le principali tendenze in termini di
allocazione delle risorse tra i vari comparti per restituirne un quadro organico, è operazione
piuttosto complessa135.
Sulla base delle analisi di dettaglio condotte nelle pagine che seguono, si propone una
visualizzazione della quantificazione delle risorse pubbliche destinate ai settori posti sotto
osservazione riferite all’ultimo anno disponibile. Per una lettura più agevole le risorse sono
state accorpate in due macroaree distinte:
•
quelle provenienti dal Fondo Unico dello Spettacolo e da ulteriori fondi (Arcus e il Lotto)
destinate alla lirica, al cinema, alla prosa ed altre attività di spettacolo dal vivo (riquadro
di sinistra);
•
investimenti pubblici in cinema e fiction effettuati dalla Rai sulla base degli obblighi di
135
Per le modalità di raccolta dei dati si rimanda alla nota metodologica. Esulano dal presente lavoro di
ricognizione gli ambiti che afferiscono ai “beni culturali” (archivi, beni librari, istituti culturali, beni archeologici,
beni architettonici, storico-artistici ed etnoantropologici, tutela del paesaggio, architettura e arte contemporanea)
avendo incluso nel perimetro di analisi esclusivamente le “attività culturali” (spettacolo dal vivo e cinema). Sono
altresì escluse le spese relative all’organizzazione, al funzionamento interno nonché al personale.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
251
servizio pubblico (riquadro di destra) e, come tali, prelevati dagli introiti del canone,
unitamente ai fondi regionali per l’audiovisivo.
Sostegno Rai e Regioni all’audiovisivo(cinema e
fiction)
FUS ed “extra FUS”
Fondi regionali
all'audiovisivo
(2009)
Cinema (2008)
Attività Musicali (2008)
Investimenti Rai
cinema (2009)
Circo e Spettacolo viaggiante (2008)
Investimenti R ai in
fiction (2010)
Fondi extra Fus Lotto (2008)
0
50
100
150
200
0
50 100 150 200 250 300
Fonte: IEM su fonti varie. Dati in milioni di euro.
Un primo fattore critico riguarda il grado di affidabilità della fonte primaria di accesso ed
analisi dei dati, ovvero la Relazione annuale al Parlamento sull’utilizzo del Fondo Unico dello
Spettacolo (FUS) che raccoglie ed elabora i dati forniti direttamente dalle Direzioni generali
competenti136. La relazione è curata dall’Osservatorio dello Spettacolo ed analizza le seguenti
attività137:
Spettacolo dal vivo e riprodotto: articolazione in settori
Fondazioni Lirico Sinfoniche
Attività cinematografiche
Attività musicali
Attività di danza
Attività teatrali di prosa
Circhi e spettacolo viaggiante
Destinata in via prioritaria a parlamentari ed addetti ai lavori, la Relazione ha il pregio di
fornire una rendicontazione dell’insieme dei finanziamenti assegnati allo spettacolo, corredata
da un corposo apparato normativo e regolamentare. Sotto questo profilo si presenta come
uno strumento utile ed efficace per uno studio analitico sulla ripartizione delle risorse ai
vari settori dello spettacolo articolati in base alla filiera (produzione, distribuzione, esercizio,
promozione) ma continua a risultare inadeguata là dove si intende entrare nel merito delle
scelte di investimento e verificare - attraverso una lettura dinamica dei dati - la coerenza tra
finalità di politica culturale, criteri quali-quantitativi di valutazione e progetti ammessi al
finanziamento138.
Nel 1985 la legge istitutiva del FUS costituì una rilevante novità per il settore, sia per l’intento
136
Il Fondo Unico dello Spettacolo è stato istituito con la legge 30 aprile 1985, n. 163, “Nuova disciplina
degli interventi a favore dello spettacolo”. La legge prevede che l’Osservatorio presenti una Relazione annuale sul
suo utilizzo al Parlamento. La Relazione è consultabile attraverso il sito internet del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali. I dati provengono dagli uffici della Direzione Generale dello Spettacolo dal Vivo e dalla Direzione Generale per il Cinema. Quest’ultima, oltre a fornire un supporto all’Osservatorio, dal 2005 pubblica un proprio report
limitatamente alle attività di sostegno alla produzione cinematografica.
137
L’Osservatorio dello Spettacolo opera presso la Direzione Generale dello Spettacolo dal vivo. In base ad
una convenzione triennale (2008-2010) la redazione della Relazione al FUS è stata affidata all’Ente Teatrale Italiano
(ETI). Si segnala che l’Ente teatrale è stato soppresso con decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010. Compiti e relative
attribuzioni sono state trasferite alla Direzione Generale dello Spettacolo dal vivo.
138
Cfr. Luca Zan (a cura di), Le risorse per lo spettacolo, Il Mulino, Bologna 2009.
252
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
razionalizzante dei molteplici interventi statali sino ad allora operati, sia per la volontà di varare
una nuova dinamica dell’azione pubblica caratterizzata da una più efficace programmazione
a medio/lungo termine delle risorse in favore dello spettacolo139. In realtà tale approccio
innovativo che, nelle intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto portare ad una strategia di
distribuzione delle risorse fondata su una analisi dinamica delle condizioni di mercato e sulle
esigenze mutevoli dei vari comparti (attraverso un corretto dosaggio delle quote di ripartizione
ai vari settori) ha lasciato ben presto il posto ad una cristallizzazione delle cosiddette “aliquote
di riparto”, fatta eccezione per alcuni aggiustamenti in corso d’opera, lasciando inalterato
l’assetto originario e inibendo la funzione programmatoria140.
Le Relazioni sull’impiego del FUS, peraltro, non presentano lo stesso livello di dettaglio e di
precisione, essendosi, nel corso degli anni affinate le tecniche di rilevazione e di analisi. Nelle
ultime edizioni si riscontra, in effetti, un apprezzabile sforzo nell’introduzione di nuovi preziosi
indici quali, ad esempio, la distribuzione dei contributi a livello regionale e provinciale, utile
a verificare il grado di squilibrio dei finanziamenti su base territoriale e di riflesso il livello
di concentrazione geografica dei contributi per macroarea, piuttosto che la disaggregazione
del finanziamento per fasce di contributo. Le relazioni degli anni precedenti (almeno fino
al 2001) appaiono molto più sintetiche e strutturate per aree aggregate e si limitano ad una
mera elencazione di natura amministrativa dei capitoli di spesa, dei decreti e dei verbali
della commissioni, rendendo difficoltosa una valutazione comparativa con gli impegni di
investimento relativi agli anni successivi.
La relazione, negli ultimi anni, si è arricchita di alcuni interessanti approfondimenti sulla
domanda di spettacolo (spesa del pubblico in rapporto al numero di abitanti), sul mercato
del lavoro e sulle caratteristiche dei beneficiari (forma giuridica, provenienza geografica,
classificazione in base alle fasce di contributo nei diversi settori di attività, introduzione del
criterio di intervento procapite) consentendo una valutazione decisamente più articolata delle
politiche di sostegno141.
Resta tuttavia un limite nell’approccio metodologico: ci si limita a svolgere una funzione di
certificazione dei contributi erogati senza fornire informazioni qualitative:
•
sul processo decisionale che conduce alla selezione dei progetti (al di là dei criteri generali
di valutazione previsti dai vari regolamenti);
•
sul grado di flessibilità del sistema di distribuzione delle risorse;
•
sul tasso di ricambio dei beneficiari attraverso una valutazione del numero delle prime
istanze;
•
sulla dimensione progettuale (in termini di contributo richiesto) quale fattore determinante
139
Legge n. 163 del 1985: “Nuova disciplina degli interventi a favore dello spettacolo”.
140
Cfr. Angelo Zaccone Teodosi, Fus statico e vischioso tagliato per abitudine, “Il giornale dello spettacolo”,
n. 18 del 7 giugno 2002. Può essere utile richiamare un passaggio della prima relazione al FUS per cogliere lo spirito
rinnovatore e l’attualità a distanza di 24 anni delle questioni poste sul tappeto: “le varie leggi di rifinanziamento
transitorio dei molteplici fondi sui quali ha finito per disperdersi la legislazione in materia di spettacolo non hanno
ovviamente consentito una coerente programmazione delle attività né una seria verifica delle risorse pubbliche da
impiegare in aggiunta agli auto-finanziamenti ed in rapporto ai costi di gestione”. Desta stupore la lucida analisi
delle criticità che tuttora sono al centro del dibattito e la convinzione di poterle superare grazie al nuovo strumento
finanziario: “il contributo statale ha finito per risolversi spesso in un inefficace trasferimento di ricchezza a carattere
assistenziale. Con il Fondo Unico dello Spettacolo è ora consentita la programmazione degli investimenti pubblici
e privati in un quadro di reale compatibilità con le esigenze generali della spesa pubblica e con la produttività che a
questa spesa va costantemente riferita sia in termini industriali che culturali”.
141
L’ultima relazione disponibile relativa al 2008 si articola in 8 capitoli, suddivisi in due parti e completati
da un’appendice: la prima sezione riepiloga e analizza il settore spettacolo in una prospettiva d’insieme ma anche
disarticolata a livello regionale e provinciale, inclusa una ricognizione sulla spesa del pubblico seguita da un focus di
approfondimento su specifiche tematiche; la seconda parte è dedicata all’analisi settoriale dei diversi comparti dello
spettacolo: fondazioni lirico sinfoniche, attività musicali, attività di danza, attività teatrali di prosa, attività circensi
e dello spettacolo viaggiante, attività cinematografiche, enti primari che operano nei diversi settori dello spettacolo
con un focus annuale su ognuno di essi.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
253
rispetto alle possibilità di ammissione alla sovvenzione142.
Da una recente ricerca empirica emergono alcuni fenomeni relativi alle scelte di finanziamento
che indurrebbero ad una rivisitazione delle procedure sinora adottate. Circoscrivendo l’analisi
ai settori dello spettacolo dal vivo (musica e teatro, lirica), lo studio evidenzia un “sistema
incentrato su una retorica del finanziamento a progetto e sul processo di selezione, laddove una
parte consistente delle risorse risulta assegnata e informalmente garantita nel tempo allo stesso
ristretto numero di organizzazioni”143.
Più in generale, a differenza di quanto accade in altri Paesi, il Ministero non ha ancora
avvertito l’esigenza di affiancare alla Relazione attuale strumenti di analisi e valutazione
economica dell’efficacia dell’investimento pubblico, con riferimento alle ricadute in termini
diretti e indiretti attraverso un efficace sistema di monitoraggio ancorato ad indicatori di
performance144. Un segnale di novità giunge dalla convenzione Mibac-Eti del 2009 che ha
previsto, oltre all’assegnazione dei compiti dell’Osservatorio all’Eti, anche la realizzazione di
uno studio sui meccanismi di sostegno allo spettacolo nei Paesi europei e l’individuazione
di una serie di indicatori atti a valutare l’impatto del sostegno pubblico sullo spettacolo
dal vivo145. In particolare risulta ancora assente un monitoraggio attento che consenta una
valutazione globale delle iniziative svolte e dunque una valutazione puntuale dei risultati
conseguiti dai finanziamenti concessi. Solo attraverso una strumentazione efficace di controllo
e di verifica costante può discendere una più corretta pianificazione delle future attività e una
quantificazione di eventuali ulteriori stanziamenti. Non è un caso che le decisioni che portano
ogni anno alla ripartizione delle risorse nei singoli settori (i cosiddetti decreti di riparto e subriparto del FUS) non siano supportate da motivazioni che ne giustifichino la congruità146. In
sostanza non è sufficiente dimostrare – là dove capita – l’impiego più o meno totale delle risorse
stanziate sui determinati capitoli di spesa o la capacità di gestire con rapidità le istruttorie dei
progetti presentati rispettando i parametri prefissati dalle norme, ma occorre accertare con una
strumentazione ad hoc i risultati globalmente raggiunti dalle molteplici iniziative ordinarie e
speciali finanziate, esprimendo una valutazione compiuta in termini di efficacia ed economicità
dell’azione svolta, indicatori che presuppongono una programmazione negoziata con le Regioni
142
Nell’ultima relazione disponibile (anno 2008) si registra una significativa novità ovvero l’indicazione non
solo del numero di progetti ammessi al finanziamento ma anche delle istanze non accolte o non perfezionate consentendo di verificare il tasso di approvazione dei progetti per ogni comparto finanziato e di avviare delle riflessioni
sulle motivazioni che hanno portato all’esclusione e sulle scelte di finanziamento.
143
Luca Zan, (a cura di), Le risorse per lo spettacolo, cit. Dallo studio viene alla luce che nelle attività musicali,
teatrali e nelle Fondazioni lirico-sinfoniche solo il 13% circa del Fus destinato a tali settori risponde ad una logica
di allocazione delle risorse effettuata sulla base di un processo di selezione (finanziamento “non stabile”). La parte
restante, risulta “bloccata” in quanto assorbita da organizzazioni beneficiarie di un finanziamento “dato” (costante,
elevato e non subordinato al processi di domanda) e dalle organizzazioni che usufruiscono di un finanziamento
“stabile” (mediamente elevato, costante nel tempo, seppure formalmente subordinato al processo di domanda e
selezione).
144
Un filone di ricerca che va in questa direzione, seppure con un approccio più trasversale, è quello esplorato
nel Libro Bianco sulla Creatività redatto nel 2007 da una apposita commissione di studio istituita dal Ministero per
i Beni e le Attività Culturali e in cui si effettua una ricognizione del valore aggiunto di vari settori economici tra
cui l’audiovisivo e lo spettacolo, nel tentativo di dimostrarne l’incidenza sul Pil. Interessanti studi di impatto sul
territorio sono stati condotti dall’Università di Torino e di Trento nel quadro di iniziative volte a misurare attraverso
il cosiddetto moltiplicatore del reddito l’efficacia di alcune iniziative (Olimpiadi di Torino piuttosto che il Festival
dell’Economia di Trento). Cfr. “Progetto Capitale Culturale – Cultura Motore di sviluppo per Torino”, Edizione
2007-2009 (a cura della Città di Torino in collaborazione con la Facoltà di Economia dell’Università di Torino).
145
Nella relazione 2008 si legge: “Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ritiene strategica la futura
attività dell’Osservatorio dello spettacolo e l’avvio di una nuova sinergia con l’ETI, specie nell’attuale contesto
culturale, sociale ed economico di oggettiva difficoltà per il mondo dello spettacolo, che richiede qualificati ed
efficaci strumenti di valutazione, indagine, analisi e previsione capaci di supportare e validare adeguatamente le
scelte politiche e gestionali”.
146
Nel comparto cinematografico, occorre segnalare alcune critiche mosse di recente dalla Corte dei Conti
quali l’impossibilità di ricostruire in modo compiuto l’andamento dei contributi ad alcuni settori (come l’esercizio);
l’assenza di un sistema di controlli per i contributi alle imprese di distribuzione ed esportazione; il mancato versamento effettivo di risorse significative alle imprese di produzione beneficiarie di finanziamento; lo scarso ritorno
in termini di restituzione dei prestiti erogati. Cfr. Gestione delle risorse del Fondo Unico per lo Spettacolo destinate
al settore cinematografico, Corte dei Conti, anno 2009.
254
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
(vedi infra) e una strategia di intervento coerente in termini di criteri di valutazione utilizzati
dalle Commissioni chiamate ad approvare o respingere i progetti.
Un altro fattore che comporta effetti distorsivi nell’analisi del finanziamento pubblico allo
spettacolo, compromettendo in parte una valutazione puntuale dell’entità delle risorse
assegnate anno per anno dall’Amministrazione, attiene alla effettiva imputazione delle risorse
agli anni contabili di riferimento e alla scelta di considerare gli importi per cassa o competenza.
Nell’analisi che qui di seguito si propone, si è optato (per quanto possibile) per il dato
effettivamente deliberato ed erogato dalle Commissioni competenti147. Gli importi indicati non
corrispondono, pertanto, agli stanziamenti previsti dai decreti di riparto originari, incorporando
spesso residui relativi ad anni precedenti, reintegri o fondi straordinari resi disponibili nel
corso dell’anno, trasferimenti di risorse da una voce ad un’altra, esaurimento di fondi (come
nel cinema). Tali scostamenti e sfasamenti temporali impediscono una verifica omogenea e si
manifestano anche a causa dei frequenti ritardi nell’attribuzione delle risorse ai vari comparti:
il fenomeno è evidente ad esempio nell’attribuzione dei premi di qualità o dei prestiti per la
ristrutturazione delle sale nel settore cinematografico; la lunghezza delle procedure di esame
da parte delle Commissioni e l’indisponibilità delle risorse ha determinato ritardi pluriennali
nell’acquisizione del beneficio rispetto agli anni di proiezione delle opere. Il disallineamento
temporale impedisce di fatto un confronto omogeneo sull’entità dei finanziamenti erogati di
anno in anno.
Nel corso degli ultimi anni si nota inoltre l’emergere progressivo di fondi “extra-FUS” monitorati
in modo non organico e con intrinseche difficoltà di individuazione ed analisi all’interno della
stessa Relazione annuale. A partire dal 2003-2004, il FUS, pertanto, non rappresenta più l’unica
fonte di sostegno statale al settore in quanto negli anni sono state stanziate ed assegnate cospicue
risorse aggiuntive, di carattere straordinario, ad integrazione degli stanziamenti ordinari. Ci si
riferisce in particolare ai proventi dell’estrazione infrasettimanale del gioco del lotto, all’8 per
mille (che tuttavia vanno allo Stato solo in minima parte), al 5 per mille, ai fondi gestiti dalla
società Arcus e, sporadicamente e fin quando si è avuta capienza, alle spettanze della gestione
dei fondi per il credito cinematografico e teatrale della Banca Nazionale del Lavoro. A questi,
infine, si devono aggiungere altre risorse straordinarie provenienti di volta in volta da Leggi
Finanziarie, decreti d’urgenza, “leggine” ad hoc o provvedimenti speciali come nel caso del
Fondo di 60 milioni di euro stanziati a favore dello spettacolo dal vivo dal Ministero per i Beni e
le Attività Culturali per il triennio 2007-2009 nel quadro del cosiddetto Patto per lo Spettacolo
(vedi infra). Tali risorse aggiuntive, oltre ad aver assunto un peso crescente nel corso degli
anni, sono distribuite con criteri differenti rispetto alle norme che regolano gli stanziamenti
del FUS. L’ampio margine di manovra consente, peraltro, all’Amministrazione di ricorrervi
sempre più di frequente per risolvere questioni di emergenza (come nel caso di Fondazioni
Lirico-Sinfoniche che presentano bilanci in rosso) piuttosto che per sostenere enti di rilevanza
nazionale in gravi difficoltà come Cinecittà Holding (nel 2009 fusasi con l’Istituto Luce), la
Biennale di Venezia, l’Ente Teatrale Italiano148. Di particolare rilievo il caso del reintegro del
FUS operato nel luglio 2009 (dopo vivaci proteste da parte degli operatori del settore) tramite
un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri d’intesa con il Ministero delle Finanze che
ha assegnato 60 milioni a favore del cinema e dello spettacolo dal vivo, portando da 397 a 457
milioni di euro le risorse complessive per l’anno in questione149.
147
La scelta trova così una maggiore aderenza e coerenza con l’impostazione metodologica alla base dei
conti consolidati di finanza pubblica analizzati nella prima parte dell’approfondimento e che si basano sui conti
pubblici territoriali risultanti dai bilanci di spesa.
148
Nel 2008, ad esempio, grazie ai fondi Lotto, le Fondazioni Lirico-sinfoniche hanno beneficiato di 20
milioni di euro aggiuntivi rispetto ai 215 stanziati a livello ordinario; Cinecittà Holding ne ha assorbiti 8, mentre
altri 3 milioni sono stati dirottati verso la Biennale di Venezia. Dai Fondi del Lotto nel 2007 l’Ente Teatrale Italiano
ha ricevuto il 90% delle risorse (10,5 milioni di euro) necessarie allo svolgimento delle proprie attività.
Durante la riunione del Comitato Problemi dello spettacolo (organismo consultivo del Mibac) che il 24
149
febbraio 2010 ha approvato la ripartizione del FUS per l’anno corrente (414,5 milioni di euro), il Ministero si è impegnato a chiedere anche per il 2010 alla Presidenza del Consiglio un reintegro del FUS che dovrebbe ammontare a
circa 50 milioni.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
255
L’anomalia di un simile intervento risiede nel fatto che tali risorse straordinarie, essendo
prelevate da un fondo per le emergenze della Presidenza del Consiglio, sono state assegnate
sulla base di decisioni “politiche” di natura meramente congiunturale, contribuendo a rendere
disomogenea e sempre meno uniforme l’articolazione e i meccanismi di funzionamento del
sostegno pubblico al settore in esame150.
Critiche non velate a questa pratica ormai consolidata di differenziare le forme di sostegno
finanziario allo spettacolo giungono dagli stessi estensori della Relazione al FUS, sostenendo
che è sempre più difficile “ricostruire in maniera omogenea il quadro complessivo del
finanziamento e dell’unitarietà dell’azione statale verso il settore, obiettivi dichiarati della
legge istitutiva del Fondo Unico per lo Spettacolo ma lontani dall’essere realizzati”151. Tale
criticità renderebbe necessaria una nuova metodologia di analisi che ricomponga con un
approccio unitario e strutturato la pluralità delle fonti di finanziamento nazionale in modo da
restituire un quadro esaustivo dell’evoluzione del peso dei differenti livelli di sostegno pubblico
allo spettacolo sia con riferimento agli apporti extra-FUS di provenienza nazionale sia con
riferimento ai finanziamenti subnazionali provenienti da Regioni ed enti locali. Altro fattore
critico, infatti, è l’assenza di un sistema di monitoraggio organico capace di mettere a confronto
l’andamento della spesa pubblica a livello nazionale con le altre fonti di entrata provenienti
dal livello sub-nazionale152. Si tratta del nodo più nevralgico alla luce della rilevanza crescente
assunta da Regioni, Province e Comuni in termini di contribuzione ad un settore le cui attività
hanno tradizionalmente un forte radicamento sul territorio ma soprattutto per effetto del
nuovo assetto costituzionale che, a seguito della modifica al Titolo V, attribuisce alle Regioni
competenza concorrente in materia di spettacolo153. La conoscenza sistematica di questi dati
di raffronto consentirebbe di avere non solo un esatto quadro del peso di ciascun livello
istituzionale ma anche di assumere decisioni nell’ottica di una maggiore razionalizzazione delle
scelte di investimento. Timidi passi in avanti si registrano in ambito cinematografico, dove a
partire dal 2008, la Direzione Generale per il Cinema ha avviato (nel quadro del Programma
Triennale della Consulta Territoriale), un’attività istruttoria congiunta con le Regioni al fine di
“razionalizzare gli interventi di sostegno e di sviluppare al meglio le iniziative più meritevoli,
di individuare gli obiettivi e le azioni prioritarie a livello regionale e di predisporre banche dati
condivise”154.
Gli sforzi di coordinamento e di condivisione dei vari approcci metodologici fatti anche a
livello regionale dai vari Osservatori ad oggi non hanno raggiunto risultati di rilievo155.
Le difficoltà nel monitorare la stratificazione del finanziamento pubblico tra i vari livelli
amministrativi non sono riconducibili solo alla mancanza di dati sistematici (non raccolti
o laddove raccolti non utilizzati in modo ottimale nel processo di determinazione della
150
In questo caso al cinema sono stati destinati 24 milioni di cui 6 al credito per l’esercizio - somma che è
stata interamente destinata alla liquidazione dei contributi in conto capitale per le opere di ristrutturazione ed ammodernamento delle sale, le cui pratiche erano ferme al 2008.
Relazione FUS, anno 2008, pag. 16.
151
152
L’unica eccezione è rappresentata dal sistema di rilevazione Conti Pubblici Territoriali messo a punto dal
Ministero delle Finanze che, come abbiamo visto, inserisce il cinema e lo spettacolo dal vivo all’interno di un più
ampio macro-aggregato.
153
Per approfondimenti Andrea Morrone, Lo spettacolo dopo la riforma del Titolo V: idee per una legge
generale, in «Le Regioni», 1/2009, nonché Carla Barbati, Lo spettacolo: il difficile percorso delle riforme (dalla Costituzione del 1948 al “nuovo” Titolo V e “ritorno”), in «Aedon», 1/2003.
154
Il coinvolgimento delle Regioni, avviato anche in ossequio alla sentenza della Corte Costituzionale n. 285
del 2005, al momento non ha ancora prodotto risultati significativi. Mentre, infatti, l’Amministrazione centrale ha
fornito agli enti territoriali i dati relativi alle domande di contributo ad essa presentate, non tutte le Regioni hanno
dato seguito allo “scambio virtuoso” di informazioni. Cfr Corte dei Conti, Gestione delle risorse del Fondo Unico
per lo Spettacolo destinate al settore cinematografico, 2009.
155
Da segnalare che nell’ambito della citata convezione Mibac-Eti che ha assegnato a quest’ultimo il compito
di redigere la Relazione al FUS, è previsto l’obiettivo di stabilire sinergie più organiche tra Osservatorio nazionale e
osservatori regionali. Ricordiamo a tal proposito che nel triennio 2007-2009 è stato realizzato un progetto promosso
dal Ministero (ORMA) volto a rafforzare il coordinamento tra osservatori regionali in modo da razionalizzare gli
interventi e realizzare economie di scala.
256
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
sovvenzione)156. Tale mancanza è infatti lo specchio di una situazione di policentrismo ed
assenza di logiche di cofinanziamento tra i vari canali di sostegno pubblico. Per superare questa
criticità occorrerebbe abbandonare progressivamente il tradizionale approccio verticale (alto/
basso) che rende complesso un raffronto omogeneo tra attività (anche le medesime) sostenute
a livello nazionale e regionale o locale e passare ad una visione orizzontale individuando
un progetto di comune interesse e finanziandolo in modo complementare. Allo Stato si
assegnerebbe un ruolo di acceleratore di investimenti là dove la quota di intervento nazionale
viene effettivamente erogata in presenza di un analogo contributo dai livelli locali. Questi
ultimi sarebbero cosi incentivati a rendere disponibili proprie risorse su progetti che sono
concepiti e prendono forma analizzando le effettive esigenze del territorio e vengono poi
condivisi e validati all’interno di organismi bilaterali che fungono da camere di compensazione
(come la Conferenza Stato-Regioni) in modo da preservare una politica di intervento
nazionale ottimizzando le risorse e aumentando l’efficacia delle azioni e le loro ricadute. In
questa direzione si è mosso, ad esempio, il citato Patto per lo Spettacolo, inedito strumento
fondato sul modello della programmazione negoziata, già in uso per gli Accordi di Programma
Quadro157 e che pone al centro la collaborazione paritaria tra livello di governo centrale e realtà
territoriali158. Questa iniziativa messa in campo “al fine di sostenere interventi in materia di
attività culturali svolte nel territorio italiano per l’attuazione di accordi di cofinanziamento tra
lo Stato e le autonomie” per la prima volta mette in pratica il principio sancito dalla riforma
del titolo V della Costituzione avviando, in una logica di armonizzazione dell’ordinamento
giuridico in tema di valorizzazione e supporto alle attività culturali e di spettacolo e di reale
sussidiarietà, una collaborazione tra i diversi livelli di governo e di complementarietà rispetto
alle risorse ordinarie del FUS.
Il Patto prevedeva la firma di appositi accordi programmatici presentati dalle istituzioni locali
tramite apposito avviso pubblico tenendo conto di una serie articolata di finalità fissate dal
Patto stesso159.
In ciascun accordo sono definiti obiettivi da perseguire, azioni prioritarie da realizzarsi,
tempi di realizzazione, necessità finanziarie e modalità di compartecipazione alla spesa160.
Nel 2010 il Patto non è stato rinnovato nonostante rappresentasse un tentativo innovativo di
superamento di logiche tradizionali di investimento pubblico innescando meccanismi virtuosi
di incentivazione e di partecipazione dal basso161.
156
Gli unici due segmenti della filiera per i quali è possibile valutare l’apporto finanziario dai vari livelli
istituzionali sono i teatri stabili pubblici e le fondazioni lirico-sinfoniche. Le singole fonti di entrata per la prima
volta sono stati resi pubblici nella Relazione al FUS per l’anno 2008.
157
Per una approfondita analisi degli Accordi di Programma Quadro si rimanda a L’evoluzione del sostegno
pubblico all’audiovisivo, a cura di Alberto Versace, Lorenzo Canova, Tommaso M. Fabbri, Francesca Medolago
Albani, in L’industria della comunicazione in Italia, XI Rapporto IEM, Guerini & Associati, Milano 2008.
158
Il Fondo è stato attivato dalla Legge Finanziaria 2007 (articolo 1, commi 1136 e 1137, della legge 27
dicembre 2006, n. 296) e sottoscritto il 25 gennaio 2007 da Stato e Regioni con una dotazione di 20 milioni per
ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009. Al termine del triennio di operatività il Fondo è decaduto.
La qualificazione del sistema dello spettacolo e la valorizzazione delle identità e delle vocazioni territo159
riali, attraverso il sostegno economico ed organizzativo di progetti caratterizzati da uno stretto contatto con il territorio; la diversificazione dell’offerta culturale e la valorizzazione della programmazione legata alla contemporaneità,
con particolare riguardo ai giovani e ai nuovi autori prestando attenzione alla sperimentazione dei nuovi linguaggi e
alla promozione di nuovi talenti; la valorizzazione dei progetti in rete, in ambiti territoriali sovracomunali, sovraprovinciali, interregionali; la promozione di azioni volte all’ampliamento del pubblico e alla diffusione dello spettacolo
presso le generazioni più giovani e le fasce di pubblico con minori opportunità di fruizione, anche con riferimento
agli interventi pubblici nel Mezzogiorno d’Italia; l’adozione di strumenti che consentano una razionalizzazione sul
piano degli interventi delle risorse statali e territoriali disponibili, al fine di evitarne la frammentazione garantendo
una maggiore efficacia della spesa, anche attraverso forme di monitoraggio dell’offerta culturale del territorio e lo
scambio reciproco di conoscenze ed informazioni.
160
Ogni progetto è stato finanziato fino all’importo massimo di 1 milione di euro, prevedendo come condizione l’impegno degli enti proponenti a reperire la stessa cifra dello stanziamento richiesto come finanziamento.
Il cofinanziamento non poteva essere reperito a valere su contributi o finanziamenti erogati dal Ministero per le
attività di spettacolo ad eventuali enti od istituzioni a qualunque titolo partecipanti al progetto.
161
Tra le ragioni che ne hanno determinato l’interruzione: la ridotta visibilità dei risultati delle iniziative
poste in essere, le scarse risorse a disposizione e forse la convinzione che fossero sufficienti tre anni per mettere in
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
257
Va infine evidenziato come l’intervento pubblico non si esaurisca esclusivamente alla
“contribuzione diretta” da parte dei vari organismi pubblici ma interviene anche in modo
indiretto per mezzo di crediti di imposta ed agevolazioni fiscali, di donazioni da parte di
persone giuridiche e, seppure in percentuale ridotta, di persone fisiche grazie ad incentivi. Basti
pensare alla recente normativa introdotta per il settore cinematografico che introduce il “tax
credit” e il “tax shelter”: le imprese interne ed esterne alla filiera potranno beneficiare di risorse
quantificate in circa 100 milioni di euro all’anno. Si tratta di interventi che generano un impatto
negativo sulle casse dello Stato in termini di minori entrate erariali ma che dovrebbero fungere
da volano per un rafforzamento del mercato ed un maggior afflusso di investimenti privati tali
da più che compensare il minor gettito previsto nei primi anni di applicazione162.
4.3.2 Evoluzione degli stanziamenti FUS e macrotendenze
Il Fondo Unico dello Spettacolo (FUS) è stato istituito per legge nel 1985 con il duplice scopo di
riordinare gli interventi finanziari a favore dell’intero settore dello spettacolo e di conferire una
disciplina unitaria a tali interventi. La previsione stabile di un fondo per il sostegno finanziario
dello spettacolo ha consentito, a partire da quell’anno, di programmare le attività del settore
con un orizzonte temporale più esteso, fornendo al tempo stesso agli operatori beneficiari
delle assegnazioni maggiori elementi di continuità nella progettazione e nella gestione delle
iniziative nei differenti settori sostenuti dallo Stato163.
Ogni anno, in occasione del varo della Legge Finanziaria il Parlamento quantifica le risorse
che costituiscono l’ammontare del FUS per il successivo triennio. L’ultima Legge Finanziaria
approvata ha stanziato 418,4 milioni per il 2010 e poco più di 304 milioni per gli anni 2011 e
2012164.
Pur sottostando inevitabilmente agli andamenti della finanza pubblica e subendo una
progressiva diminuzione del potere d’acquisto per effetto della dinamica inflazionistica, il FUS
– almeno per un certo periodo – ha garantito il finanziamento del settore con un buon grado
di certezza per gli operatori del settore165. Andamento e composizione vanno letti – come già
rilevato nel paragrafo precedente – alla luce di fonti aggiuntive di finanziamento dello spettacolo
che, soprattutto negli ultimi anni, hanno consentito una sia pur contenuta integrazione delle
risorse finanziarie, seppure con una logica ex post di natura emergenziale, sanando spesso le
passività di alcune strutture pubbliche.
La destinazione del FUS ai diversi settori è effettuata secondo una ripartizione percentuale
su base annuale, originariamente stabilita dalla stessa legge di istituzione del Fondo. Tale
proporzione riflette la percezione che l’amministrazione centrale ha del fabbisogno finanziario
dei diversi settori, cui concorrono fattori svariati, dalla rilevanza percentuale dei costi fissi di
produzione alle opportunità finanziarie date dai possibili sbocchi di mercato.
La Legge n. 163/1985 prevedeva un ammontare di 700 miliardi di lire da ripartire secondo le
modo un circolo virtuoso tale da far proseguire negli anni a seguire solo sulle “gambe regionali” i progetti avviati in
regime di cofinanziamento.
162
Le norme di agevolazione fiscale al cinema potrebbero essere estese anche al settore dello spettacolo dal
vivo secondo quanto previsto dalla Legge quadro per lo spettacolo dal vivo attualmente in fase di approvazione in
Parlamento. Per approfondimenti si rimanda a Angelo Zaccone Teodosi, Bruno Zambardino, Alberto Pasquale (a
cura di), Il mercante e l’artista – Per un nuovo sostegno pubblico al cinema: la via italiana al tax shelter, Spirali, Roma
2008.
163
Per approfondimenti cfr. Bruno Zambardino, Lo Spettacolo dal vivo: il quadro normativo, Materiali
Formez, febbraio 2006. Vedi anche C. Tubertini, La disciplina dello spettacolo dal vivo tra continuità e nuovo statuto
delle autonomie, in «Aedon», 3/2004, Il Mulino.
164
Legge n. 191 del 23 dicembre 2009. La programmazione triennale della spesa è indicata nella Tabella C allegata alla Legge Finanziaria. Si precisa che lo stanziamento si riferisce a risorse ordinarie cui, come vedremo, vanno
ad aggiungersi fondi integrativi. Va tuttavia rilevato che gli importi programmati per gli anni a seguire sono spesso
modificati dalla Legge Finanziaria dell’anno successivo in funzione delle esigenze dell’amministrazione.
Per un quadro esaustivo si rinvia alle considerazioni generali delle ultime relazioni annuali al Parlamento
165
reperibili sul sito del Ministero Beni e Attività Culturali.
258
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
aliquote rappresentate dalla figura n. 1166. Tale ripartizione percentuale originaria è mutata a
seguito dell’introduzione della legge n. 555/1988, che abolendo le quote previste dalla legge
del 1985, assegnava al Ministro per il Turismo e dello Spettacolo (attuale Ministero per
i Beni e le Attività Culturali) il compito di stabilire le percentuali di ripartizione del Fondo
con cadenza annuale167. In seguito all’introduzione di questa norma, nel 1990 furono operate
alcune modifiche rispetto alla ripartizione originaria. In particolare, alla musica ed alla danza
fu destinato il 61,8% (con riserva di ben il 47,8% ai tredici ex Enti Lirici) e la quota del cinema
ridotta dal 25% al 19%.
Figura 1 - Ripartizione FUS, anno 1985
Figura 2 - Ripartizione FUS, anno 2010
Cinema
18%
Cinema
25,0%
Prosa
16%
Prosa
15,0%
Musica
14%
Fondazioni
Lirico
Sinfoniche
48%
Comitati e
commissioni
0%
Danza
2%
Osservatori
o dello
Spettacolo
0%
Circhi e
spett. Viagg
2%
Fondazioni
Lirico
Sinfoniche
42,0%
Musica e
Danza
13,0%
Comitati e
commissio
ni
3,5%
Osservatori
o dello
Spettacolo
0,0%
Circhi e
spett. Viagg
1,5%
Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo.
Nel 2002 l’Amministrazione ha provveduto a ristabilire una nuova situazione di equilibrio dopo
alcuni interventi straordinari (che avevano ridotto l’aliquota del cinema a favore della prosa)
adottati per far fronte alle gravi difficoltà in cui versava il comparto teatrale. Come si osserva
dalla figura n. 3, in quell’anno il settore della Prosa subisce una decurtazione di circa sette punti
percentuali a beneficio delle attività cinematografiche. In seguito le proporzioni mutano in
misura sostanzialmente irrilevante, perpetuando al tempo stesso il beneficio della stabilità ed
il costo della mancanza di flessibilità e di adattabilità agli andamenti contingenti del mercato,
anzi contribuendo in qualche misura ad irrigidirne le dinamiche.
L’andamento dei finanziamenti complessivi (inclusi eventuali fondi integrativi) nell’intero arco
temporale di funzionamento del FUS (dal 1985 al 2010) indica una prima fase di crescita, pur
in presenza di oscillazioni piuttosto ampie sin dalla prima metà degli anni ’90 a causa della
difficile congiuntura economica e delle difficoltà di bilancio pubblico del Paese. Al progressivo
recupero del Fus avvenuto nella seconda metà degli anni ‘90, con un picco massimo delle
risorse registrato nel 2001, unico anno in cui si supera la soglia dei 500 milioni di euro (in
termini nominali), fanno seguito, a partire dal 2003, forti decurtazioni, con un percorso a
ritroso che lo ricolloca ai valori registrati alla fine degli anni ’80. Questa seconda macrofase
discendente segna nel 2006 il valore più basso, inferiore ai 430 milioni di euro. Nei due anni
successivi si assiste ad una breve fase di crescita (nel 2008 le risorse superano i 470 milioni di
euro) interrotta bruscamente nell’ultimo biennio con il picco minimo di 418 milioni registrato
nel 2010. L’evoluzione in termini percentuali consente di leggere con maggiore dettaglio le
varie oscillazioni intervenute nel corso dei 25 anni presi in esame.168
166
Da evidenziare che le risorse assegnate nel 1985 (anno di istituzione del FUS) registrano un incremento
di quasi il 75% delle risorse rispetto al 1984, quando l’intervento pubblico era alimentato in maniera inadeguata attraverso diversi provvedimenti normativi, spesso ad hoc o una tantum per far fronte ad esigenze specifiche.
167
Emanando un proprio decreto, previo parere del Consiglio Nazionale dello Spettacolo (attuale Comitato
per i Problemi dello Spettacolo).
168
Note metodologiche: nel 1985 la Danza era accorpata alla Musica e il Fondo Integrativo provvedeva a
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
259
Figura 3 - FUS: evoluzione quote di riparto, 1985-2010
2010
2008
2006
2004
2002
2000
1990
1988
1985
0%
10%
20%
Fondazioni L.S.
30%
Cinema
40%
50%
Prosa
60%
70%
Musica
80%
90%
Danza
100%
Altro
Nota: la danza ha acquisito un proprio capitolo di spesa a partire dal 1997. In precedenza era accorpata alle attività
musicali. Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac.
Figura 4 - Evoluzione assegnazioni FUS, 1985-2010 (valori assoluti e percentuali)
35%
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1990
1988
1985
25%
20%
15%
10%
5%
0%
-5%
-10%
-15%
2010
2008
2006
2004
600
2002
400
2000
200
1990
Milioni 0
30%
Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac.
redistribuire le restanti risorse agli altri comparti. Nel 1998 la voce relativa al fondo integrativo include anche le
spese per l’Osservatorio e i Comitati. Nel 2002 sono stati impegnati fondi BNL per 2,5 milioni per contributi in
conto interessi per musica e prosa ai sensi dell’art. 13 della 163/85. Il totale relativo al 2009 include un reintegro
(deciso nel settembre 2009) pari a 60 milioni di euro (per il 2010 il Mibac aveva ipotizzato un reintegro di 50 milioni
ma, al momento in cui scriviamo non è stato formalizzato) successivamente ridistribuito ai vari settori. Il dato
relativo alle FLS nel 2009 comprende ulteriori 20 milioni di integrazione oltre il riparto originario.
260
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
L’evoluzione dei finanziamenti ai singoli settori indica scostamenti più significativi per il
comparto delle Fondazioni Lirico Sinfoniche169: ad una prima fase di crescita fino al 2001, anno
in cui si supera la soglia dei 250 milioni di euro, segue una seconda fase calante che tocca nel
2006 il suo picco minimo per poi risalire negli anni successivi ed assestarsi nel 2010 ad un
ammontare di poco inferiore ai 200 milioni.
Figura 5 - Evoluzione assegnazioni FUS per comparto, 1985-2010
300
Fondazioni L.S.
Prosa
Danza
Cinema
Musica
250
200
150
100
Milioni
50
0
2010
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
2001
2000
1999
1990
1988
1985
Nota: per il 2009 non sono state considerate le risorse derivanti dal successivo reintegro. Fonte: elaborazione su dati
Osservatorio dello Spettacolo, Mibac.
Caratterizzato da maggiore stabilità il trend dei comparti cinema, musica e teatro posizionati
in una fascia tra i 60 e i 90 milioni di euro, fatta eccezione per il 2002 in cui cinema e teatro
registrano uno scostamento opposto e speculare per le ragioni sopra esposte.
L’elemento più preoccupante è rappresentato dal divario crescente tra valore corrente e valore
costante delle risorse annualmente assegnate. Nonostante la legge istitutiva del FUS prevedesse
una indicizzazione triennale è agevole constatare come la forbice tra valore nominale delle
risorse stanziate e quello effettivo che tiene conto del mutato potere d’acquisto si sia ampliata
progressivamente.
Il grafico seguente mostra in modo evidente il duplice andamento della spesa pubblica a seconda
che la si analizzi staticamente in termini monetari o incorporando le dinamiche inflazionistiche
che hanno caratterizzato i 25 anni di stanziamenti dall’anno della sua istituzione.
169
Ricordiamo che nel 1996 e nel 1998 i teatri d’opera sono stati oggetto di un duplice intervento legislativo
che li ha trasformati da enti pubblici a fondazioni di diritto privato.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
261
Figura 6 - Evoluzione assegnazioni FUS, 1985-2009
600
Euro 1985 costanti
Euro correnti
500
400
300
200
100
0
1985 1988 1990 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009
Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac. Dati in milioni.
Se in valori correnti si è in presenza di un aumento complessivo delle risorse nominali pari,
dal 1985 al 2010, al 11% circa, in termini reali il dato è vanificato dal mutato potere d’acquisto
della moneta. Nel quarto di secolo intercorso infatti, la forbice si estende progressivamente
fino a raggiungere il suo apice nel 2009: ciò comporta una forte contrazione delle risorse reali
effettivamente a disposizione del mondo dello spettacolo, nel 2009 pari a circa 174 milioni
di euro a fronte dei 397 milioni nominali. Il rapporto tra euro correnti ed euro costanti 1985
presenta nel periodo analizzato una forbice media superiore al 50%. L’andamento del FUS
appare critico anche ponendolo a confronto con quello del PIL (Prodotto Interno Lordo):
mentre quest’ultimo ha quasi quadruplicato (+3% in media all’anno) il suo valore, l’incidenza
della spesa pubblica nazionale per lo spettacolo ha subito al contrario una forte flessione
passando dallo 0,083% del 1985 allo 0,026% nel 2009 con una diminuzione effettiva che sfiora
il 70%)170.
La perdita di potere d’acquisto da un lato e la crescita meno sostenuta rispetto al PIL dall’altro
suscitano tra gli addetti ai lavori forti preoccupazioni soprattutto alla luce dell’attuale fase di
stagnazione e recessione, causate dalla crisi finanziaria mondiale.
4.3.3 I settori più rilevanti: cinema, fondazioni lirico-sinfoniche, attività musicali, prosa
Passando all’esame dell’andamento dei singoli comparti, va ribadito quanto anticipato
nell’introduzione, circa le difficoltà di operare raffronti omogenei nel periodo considerato.
Emerge in particolare una forbice a volte molto ampia tra stanziamenti ed assegnazioni effettive
(oggetto della analisi per comparti che segue) per effetto di scostamenti contabili (cassa vs.
competenza), integrazioni straordinarie, reintegri in corso d’opera, nonché per la presenza di
residui, fattori che impediscono una corretta imputazione delle risorse rispetto ai singoli anni
di esercizio.
Lirica e musica
Nel periodo 1998-2008, le Fondazioni lirico-sinfoniche unitamente alle “altre attività musicali”
registrano nel loro complesso un andamento costante dei finanziamenti. Dopo un primo
170
262
Cfr Relazione FUS al Parlamento, anno 2008.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
quadriennio in crescita che tocca il suo apice nel 2001, per le Fondazioni si osserva un periodo
di stabilità con assegnazioni che restano sempre al di sopra della soglia dei 250 milioni fino al
2005. Dopo un forte arretramento nel 2006, l’ultimo biennio è caratterizzato da una nuova fase
di crescita. Più stabile l’evoluzione delle altre attività musicali che si attestano in media attorno
ai 60 milioni di euro con scarse oscillazioni nell’arco temporale considerato, salvo per il 20032004, biennio in cui i contributi hanno superato i 70 milioni.
Figura 7 - Assegnazioni 1998-2008 alle Fondazioni Lirico Sinfoniche e alle Attività Musicali
Fondazioni Lirico Sinfoniche
Attività Musicali
300
250
200
150
100
50
0
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac. Dati in milioni di euro.
Figura 8 - Evoluzione assegnazioni 1998-2008 alle Fondazioni Lirico Sinfoniche
Teatri di tradizione
Attività Concertistiche e corali
Istituzioni Concertistico-Orchestrali
Lirica Ordinaria e sperimentale
Corsi
Concorsi
Festival
18
16
14
12
10
8
6
4
Milioni
2
0
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac. Dati in milioni di euro.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
263
Figura 9 - Evoluzione assegnazioni 1998-2008 alle Attività Musicali
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Regio di Torino
La Fenice di Venezia
Lirico di Cagliari
Verdi di Trieste
Comunale di Bologna
Acc. Naz di Santa Cecilia di Roma
2008
Petruzzelli e Teatri di Bari
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
Scala di Milano
Opera di Roma
San Carlo di Napoli
Maggio Musicale Fiorentino
Massimo di Palermo
Carlo Felice di Genova
2008
Arena di Verona
Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac. Dati in milioni di euro.
Entrando nel dettaglio dei 14 Teatri d’opera, si osserva un quadro molto variegato in cui la
maggior parte delle Fondazioni è addensata nella fascia di contributo tra i 10 e i 20 milioni,
con variazioni in crescita negli ultimi anni che riguardano in particolare il Lirico di Cagliari,
264
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
il San Carlo di Napoli e il Maggio Fiorentino, dopo una flessione generalizzata nel periodo
2004-2006.
La Scala di Milano e l’Opera di Roma sono gli unici teatri ad assorbire volumi di risorse
superiori ai 30 milioni di euro, in crescita nel biennio 2007-2008. L’unica Fondazione che riceve
contributi inferiori ai 5 milioni di euro è anche l’ultima istituita che ha avviato le proprie attività
dal 2004 (Petruzzelli di Bari).
Nel macro comparto delle altre attività musicali, le realtà maggiormente sostenute, ovvero i
teatri di tradizione, le istituzioni concertistico-orchestrali e gli altri soggetti che svolgono attività
concertistica e corale, si collocano nella fascia alta assorbendo il 70% delle risorse complessive.
Fatta eccezione per i festival che si posizionano in una fascia intermedia (attorno gli 8 milioni
di euro), gli altri settori, dai corsi agli enti di promozione, dalla lirica ordinaria alle attività
all’estero, figurano in una fascia bassa che solo in pochi casi supera i 2 milioni, registrando
oscillazioni più o meno significative come nel caso dei progetti speciali e delle iniziative
dell’amministrazione.
Teatro di prosa
Sul versante delle attività teatrali nel loro complesso possiamo osservare tre cicli nel decennio
considerato: ad una prima fase di crescita progressiva culminata nel 2003 sfiorando i 100
milioni di contributo, è seguita un fase calante terminata nel 2006, anno a partire del quale si
assiste ad una ripresa seppur contenuta, portando i contributi a poco meno di 85 milioni di
euro nel 2008.
Figura 10 - Evoluzione assegnazioni 1998-2008 al Teatro di prosa
120
100
80
60
40
20
0
1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac. Dati in milioni di euro
L’andamento dei finanziamenti articolato per singoli settori evidenzia come l’area della stabilità
(teatri stabili pubblici, privati e di innovazione) assorba la metà dei finanziamenti complessivi
(nel 2008 41 milioni di euro) con un andamento altalenante nel corso del periodo preso in
esame.
In una fascia intermedia si collocano le compagnie di produzione che hanno subito una
flessione a partire dal 2003, attestandosi nel 2008 attorno ai 20 milioni di euro.
A parte l’Ente Teatrale Italiano (soppresso nel luglio 2010, vedi supra) che assorbe risorse
superiori ai 10 milioni di euro e la circuitazione che ne riceve circa 5, le altre attività, quali
la promozione, l’esercizio, l’estero e gli altri enti di rilevanza nazionale sono concentrate nella
fascia più bassa assorbendo contributi quasi sempre inferiori al milione di euro.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
265
Figura 11 - Evoluzione assegnazioni 1998-2008 al Teatro di prosa
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
1998
1999
2000
2001
Teatri stabili
Circuitazione
Teatro di figura
2002
2003
2004
2005
Imprese di produzione
Esercizio
2006
2007
2008
Ente Teatrale Italiano
Promozione
3
2
2
1
1
0
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
Istituto Naz. Dramma Antico
Festival
Biennale di Venezia prosa)
Progetti speciali
Accademia Naz. Sivlio D'Amico
Estero
2007
Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac. Dati in milioni di euro.
266
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
2008
Cinema
Il settore cinematografico presenta caratteristiche del tutto atipiche rispetto agli altri comparti
sostenuti dal FUS. L’amministrazione competente (Direzione Generale per il Cinema) impiega
le risorse pubbliche per erogare contributi molto diversi tra loro non solo per le finalità
perseguite, riconducibili ai diversi settori operativi dell’attività cinematografica (promozione,
produzione, distribuzione, esercizio delle sale…), ma anche sotto il profilo delle procedure e
della copertura, considerato che una consistente quota di tali risorse (stanziata sul cap. 8571 del
bilancio del suddetto Ministero) affluisce al Fondo per la produzione, la cui gestione finanziaria
è attualmente intestata ad Artigiancassa S.p.A. (gruppo Bnl-Bnp Parisbas).
Da segnalare in particolare che nel cinema, a differenza degli altri settori, una buona parte dei
contributi, quelli destinati alla produzione, sono erogati sotto forma di mutui rimborsabili171.
La spesa pubblica nazionale a favore delle attività cinematografica, anche per i suddetti motivi,
mostra un andamento molto altalenante con oscillazioni significative lungo l’arco temporale
considerato.
Figura 12 - Evoluzione assegnazioni 1998-2008 al Cinema
300
250
200
150
100
50
0
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac e Corte dei Conti. Dati in milioni di euro.
Il picco più elevato è stato toccato nel 2003, in cui ci si è spinti oltre i 250 milioni di finanziamenti
effettivamente erogati. A partire dal 2004-2005, anno in cui la cosiddetta riforma Urbani172 è
andata progressivamente a regime, le risorse hanno subito una flessione fino al 2007, per poi
stabilizzarsi nel 2008 attorno ai 125 milioni di euro173.
171
Nel 2008 è stata avviata la cd. “cartolarizzazione” dei debiti delle imprese cinematografiche in relazione
ai finanziamenti statali dei progetti filmici di interesse culturale avvenuti fino al 31 dicembre 2006. L’articolo 20 del
D.M. 12.4.2007 “Sostegno alla produzione” ha stabilito, difatti, una procedura per risolvere celermente l’annosa
questione dei mutui non restituiti, prevedendo un meccanismo che portasse, alternativamente, all’acquisizione del
100% del film da parte dell’impresa mediante il versamento di una somma forfettaria (fissata secondo apposite
tabelle di calcolo), o alla “cessione” del film interamente allo Stato (nel caso di non adesione del produttore interessato alla cartolarizzazione) per l’eventuale successivo sfruttamento. Nel 2008 sono stati attivati dal Ministero per i
beni e le attività culturali i complessi procedimenti che hanno coinvolto, avvalendosi di Cinecittà Holding S.p.A. e
del gestore dei fondi del cinema Artigiancassa S.p.A., centinaia di imprese produttrici a suo tempo destinatarie di
finanziamenti statali.
172
Ci si riferisce al Decreto Legislativo n. 28 del 22 gennaio 2004 che ha introdotto, tra l’altro, meccanismi
più rigidi nelle procedure di finanziamento alla produzione limitando l’apporto pubblico al 50% del budget complessivo (80% per le opere prime e seconde).
173
Ricordiamo che, in analogia con gli altri settori dello spettacolo, anche per il cinema gli importi elaborati
non corrispondono agli stanziamenti ma (per quasi tutte le attività), alle erogazioni effettivamente deliberate. Gli
scostamenti e sfasamenti temporali dipendono dalla reale disponibilità di cassa nell’anno di riferimento, dalla
presenza o meno di residui utilizzabili e dalla farraginosità dei meccanismi dei numerosi fondi (Fondo di intervento,
Fondo di garanzia, Fondi speciali gestiti dalla Sezione credito della BNL). Come già segnalato nel paragrafo
introduttivo, i ritardi nell’attribuzione delle risorse ai vari comparti rendono estremamente difficoltosa una
valutazione sull’efficacia quali-quantitaviva dell’Amministrazione riferita a ciascun anno. Tale fenomeno è evidente
ad esempio nell’attribuzione dei premi di qualità: la lunghezza delle procedure di esame da parte delle Commissioni
e l’indisponibilità delle risorse ha determinato ritardi pluriennali nell’acquisizione del beneficio rispetto agli anni
di proiezione delle opere. A ciò si aggiunga un ulteriore elemento distorsivo legato alla presenza o meno di fondi
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
267
Oltre a riflettere le forti oscillazioni sopra richiamate, l’analisi a livello disaggregato per
segmenti di filiera conferma come il finanziamento alla produzione (a sua volta strutturato
in lungometraggi di interesse culturale e di produzione nazionale, opere prime e seconde,
cortometraggi, sviluppo sceneggiature, contributi sugli incassi e premi di qualità) sia il settore
che assorbe la maggior parte dei fondi pubblici (con una incidenza del 59% nel 2008). Nel
corso del periodo esaminato il sostegno alla produzione è stato caratterizzato da una netta
flessione a partire dal 2003 attestandosi nel 2008 a poco meno di 74 milioni di euro. Analoga
sorte è toccata ai contributi a favore della distribuzione in Italia e all’estero (ridotti nel 2008 a
poco più di 1 milione di euro), mentre è andato progressivamente esaurendosi il sostegno alle
industrie tecniche tramite mutui decennali con tassi agevolati (laboratori di post-produzione,
teatri di posa). Forti sbalzi hanno interessato anche i contributi in conto interessi e conto
capitale per l’ammodernamento e la ristrutturazione delle sale cinematografiche per effetto
di forti ritardi nell’erogazione dei finanziamenti deliberati174. Anche tale forma di sostegno si
è andata esaurendo negli ultimi anni175. Più stabile l’andamento dei contributi a favore della
promozione (premi alle sale d’essai, editoria conservazione e restauro, promozione all’estero,
associazioni e progetti speciali) e agli enti di rilevanza nazionale, ovvero Cinecittà Luce,
Biennale Cinema e Centro Sperimentale di Cinematografia. Tali soggetti risultano peraltro tra
i maggiori beneficiari di fondi extra-Fus (Lotto), assorbendo un volume di risorse significativo
che si aggira sui 32,5 milioni in media all’anno nel periodo considerato (sul totale delle risorse
assegnate nel 2008, la quota a favore di tali enti è stata pari al 22%).
Il mercato cinematografico italiano dovrebbe beneficiare di una forte iniezione di risorse
finanziarie - quantificata nell’ordine di 80/100 milioni di euro - per effetto dell’entrata in vigore
dei decreti sul tax credit e il tax shelter che introducono anche nel nostro Paese agevolazioni
fiscali a sostegno della filiera176. Nello specifico, ai fini delle imposte sui redditi, un primo
decreto riconosce un credito d’imposta (tax credit “interno” ) che, per le imprese di produzione
cinematografica, è fissato in misura pari al 15% del costo complessivo di produzione di opere
cinematografiche, riconosciute di nazionalità italiana. Tale credito d’imposta spetta fino
all’ammontare massimo annuo di 3,5 milioni per ciascun periodo d’imposta177;
Per le imprese di produzione esecutiva e le industrie tecniche che svolgano attività commissionate
da committenti esteri il credito sale al 25% del costo di produzione fino all’ammontare massimo
di 5 milioni di euro per opera filmica178.
Un secondo decreto contempla ulteriori incentivazioni che prendono la forma della detassazione
(tax shelter “interno”) degli utili delle imprese di produzione (si può abbattere l’imponibile
straordinari resi disponibili durante l’anno. Sempre sotto il profilo metodologico si sottolinea che per alcuni anni
non è stato possibile disaggregare gli importi per singole voci. Ciò impedisce una affidabile analisi comparativa nel
corso degli anni.
174
E’ opportuno specificare che per quanto riguarda l’esercizio, fino al 2004 sono disponibili solo i dati
relativi all’ammontare complessivo sul quale calcolare i contributi sugli interessi e in conto capitale. Per ottenere un
raffronto omogeneo con gli anni successivi, pertanto, si è proceduto ad una stima applicando una proiezione relativa
al biennio 2005-2006.
Grazie all’introduzione della normativa sul tax credit (Legge Finanziaria 2008), le sale hanno la possibilità
175
di beneficiare di un credito di imposta in regime di “de minims” (fino alla soglia di 500mila euro con un massimale
di 50mila euro a schermo) pari al 30% delle spese inerenti la digitaliazzazione degli impianti di proiezione. Il regime
di aiuti fiscali scade il 31/12 2010.
176
Il complesso iter procedurale dei provvedimenti ha avuto origine nella Finanziaria 2008 varata il 24
dicembre 2007. Dopo il via libera da parte di Bruxelles nel dicembre 2008 di un primo pacchetto di norme e le firme
dei Ministri competenti (Economia e Beni Culturali) il 7 maggio 2009, i primi decreti interministeriali sono stati
pubblicati in Gazzetta Ufficiale il 15 luglio 2009. Nel settembre 2009 sono state emanate le disposizioni applicative
e la relativa modulistica. Un secondo pacchetto di norme è stato approvato dalla Commissione europea nel luglio
2009.
177
Il beneficio è sempre condizionato al sostenimento sul territorio italiano di spese di produzione per un
ammontare complessivo non inferiore, per ciascuna produzione, all’80% del credito d’imposta stesso.
178
Il tax credit alle industrie tecniche assicura una valorizzazione del nostro territorio (anche in termini di
indotto turistico ed occupazionale) rendendo più conveniente per le grandi produzioni estere avvalersi dei servizi di
produzione nazionali, di manodopera italiana nonché delle location cinematografiche, che ad oggi risultano ancora
sottoutilizzate, nonostante la presenza e la diffusione delle Film Commission promosse dagli enti locali.
268
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
anche fino al 100%), con riferimento a film riconosciuti di nazionalità italiana. Il limite di
spesa complessivo per questa specifica forma di agevolazione è pari a 30 milioni di euro per il
triennio179.
Figura 13 - Evoluzione assegnazioni 1998-2008 al Cinema
180
Produzione
Enti di rilevanza nazionale
160
Promozione
Distribuzione in Italia e all'estero
140
Industrie tecniche
Esercizio
120
100
80
60
40
20
0
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac e Corte dei Conti. Dati in milioni di euro.
Si tratta di due misure non cumulabili, applicabili con effetto retroattivo a partire dal 30 giugno
2008. Entrambi gli strumenti devono riferirsi a progetti cinematografici che abbiano valenza
culturale, essendo soggetti a specifici “test di culturalità” che consentano allo Stato italiano di
derogare (a determinate condizioni ed entro certi limiti) alle norme europee che vietano gli
aiuti di Stato in quanto distorsivi della concorrenza180.
I primi provvedimenti approvati riguardano agevolazioni di cui possono beneficiare solo
le società di produzione, quelle di produzione esecutiva e le industrie tecniche (tax credit e
tax shelter “interni”) e dal settembre 2009, con la pubblicazione della modulistica, sono già
operativi.
Il 22 luglio 2009 la Commissione europea, a seguito di ulteriori verifiche di compatibilità, ha
approvato anche un secondo pacchetto di agevolazioni fiscali a favore di altre categorie della
filiera come i distributori e (in parte) gli esercenti ma soprattutto degli imprenditori esterni al
comparto, vera chiave di volta dell’intero impianto legislativo per l’afflusso di capitali esogeni.
Le agevolazioni fiscali ai soggetti non operanti nel settore sono riconosciute in relazione ad
investimenti nella produzione dei film riconosciuti di “interesse culturale” o con i requisiti per
ottenere la nazionalità italiana. Gli investitori “esterni” potranno beneficiare di un credito di
imposta pari al 40% degli apporti in denaro versati fino ad un importo massimo di € 1.000.000
179
In particolare 5 milioni di euro per il 2008, 10 milioni per il 2009 e 15 milioni per il 2010.
180
I test di culturalità consistono in griglie contenenti specifici criteri di eleggibilità, cui è associato un sistema di punteggio minimo e massimo ottenibile per ciascun film, attribuito attraverso procedure prettamente di tipo
automatico. Proposti dalle Autorità nazionali, i “test” sono sottoposti al vaglio della Commissione europea, proprio
allo scopo di verificare il concreto ed effettivo legame tra l’aiuto concesso e il prodotto culturale che ne beneficia.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
269
per ciascun periodo d’imposta.
Per le imprese di distribuzione cinematografica sono previste due differenti percentuali e
relativo ammontare massimo a seconda della tipologia di opera: 10 % fino ad un massimo di
2 milioni di euro per le spese sostenute per il sostegno alla distribuzione nazionale di opere di
nazionalità italiana; 15 % fino ad 1,5 milioni di euro nel caso in cui il film sostenuto fosse anche
di interesse culturale181.
Sia distributori che esercenti possono stipulare (in analogia ai soggetti esterni) contratti di
associazione in partecipazione e sostenere la produzione di opere cinematografiche di
nazionalità italiana riconosciute di interesse culturale. In questo caso il credito di imposta è
fissato al 20% dell’apporto in denaro fornito e può arrivare fino ad un ammontare massimo
annuo di 1 milione di euro per ciascun periodo d’imposta.
Le imprese non operanti nel settore possono infine beneficiare di una detassazione degli utili
(tax shelter “esterno”) fino ad un limite massimo del 30%.
In due anni di applicazione (giugno 2008 – giugno 2010) gli operatori del settore sono ricorsi a
crediti di imposta per 114 film chiedendo benefici per circa 48 milioni di euro, di cui 10 milioni
circa da parte di produttori esteri. Solo nel 2009 sono giunte in Italia, attratte dalla leva fiscale,
sette importanti produzioni straniere. Nel complesso è stato calcolato che, annualmente, a
fronte di minori entrate per 77 milioni di euro, l’effetto indotto genererebbe maggiori entrate
per lo Stato per 173 milioni. Al settembre 2010, il Ministero aveva già deliberato 21 milioni di
euro per 70 istanze il cui iter si era concluso positivamente.
I provvedimenti approvati segnano una svolta importante nella logica di erogazione dei
finanziamenti pubblici, spostando l’attenzione dai contributi diretti a meccanismi automatici
e indiretti che riducono il potere discrezionale delle commissioni e premiano le capacità
imprenditoriali dei produttori, nella consapevolezza che non è più sufficiente puntare sul
ripristino (pur importante) dei livelli minimi di finanziamento pubblico derivanti dal Fus ma
che è necessario aprirsi maggiormente al mercato e conquistare maggiore fiducia da parte di
investitori e banche182.
In coerenza con questo nuovo approccio, il Ministero per i Beni e Attività Culturali ha garantito
agli operatori il rinnovo triennale (2011-2013) delle misure di agevolazione fiscale ma, al
contempo, ha annunciato – anche alla luce delle risorse disponibili e delle priorità fra le linee di
intervento – una riforma del sistema di sostegno varato nel 2004. Le novità annunciate alla fine
del luglio 2010 da concordare con i rappresentanti del settore, sono le seguenti:
•
limitazione dell’intervento diretto dello Stato alle sole opere prime e seconde (inclusi
documentari, e cortometraggi);
•
revisione dell’attuale sistema che regola l’accesso ai contributi percentuali sugli incassi e ai
contributi in conto capitale alle sale cinematografiche;
•
intervento dello Stato in ambito promozionale circoscritto ai soli enti ed eventi di rilevanza
internazionale o nazionale.
Accanto alle risorse pubbliche provenienti dallo Stato drenate attraverso il Fus (e a quelle
veicolate da Arcus e Lotto, vedi infra), occorre tener in debita considerazione il prezioso ruolo
svolto da Rai Cinema183 a sostegno della produzione cinematografica italiana, in ossequio
agli obblighi previsti ai sensi delle Leggi 122/98 e 112/04 (poi assorbite dal Testo Unico
181
Ai sensi dell’articolo 7, D.Lgs. 22.1.2004, n.28.
182
L’introduzione del tax credit determina, come primo effetto immediato e a parità di condizioni di scenario, una automatica riduzione delle entrare erariali stimata dagli esperti del Ministero in circa 77 milioni di euro,
considerando gli effetti del tax credit interno ed esterno che andrebbero a decurtare il gettito attuale del settore,
quantificato in circa 290 milioni di euro (limitatamente alle sole imposte indirette). Cfr. Agevolazioni fiscali per il
cinema, I Quaderni dell’Anica, dicembre 2008.
183
Rai Cinema Spa, nasce nel 2000 a seguito dell’operazione di societarizzazione dell’ex Direzione Rai “Acquisto Fiction, Produzione Cinema e Vendita prodotti”.
270
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
del 2005) e ai vincoli indicati nel Contratto di servizio triennale stipulato con il Ministero
delle Comunicazioni. La società controllata al 100% dal broadcaster pubblico investe ogni
anno circa 80 milioni di euro tra produzione ed acquisto, un volume di risorse significativo
considerando che gli investimenti complessivi nel settore nel 2009 sono ammontati a circa 300
milioni di euro. L’intervento di Rai Cinema nel settore cinematografico nell’arco di 10 anni si
è concretizzato nella realizzazione di oltre 250 film, impiegando risorse per circa 400 milioni
di euro. Sono state 200 le società del settore con cui ha collaborato e circa 300 i registi (inclusi
corti e documentari).
4.3.4 Investimenti pubblici a favore della fiction nazionale e i fondi regionali per l’audiovisivo
Per completare il quadro delle risorse pubbliche destinate dalla Rai a favore del settore
audiovisivo, va evidenziato il ruolo strategico svolto dalla Concessionaria di servizio pubblico
a sostegno della produzione nazionale di fiction sulla base degli obblighi di investimento in
programmi europei disciplinati a livello comunitario e nazionale appena richiamati.
Il budget annuale destinato al comparto nel 2010 è sceso a 190,4 milioni di euro in costante
diminuzione dal 2008. Le risorse sono distribuite tra una quindicina di società di produzione
indipendente184, alle quali la Rai commissiona opere di vario genere articolate in differenti
formati, dai tv movie (episodio unico) alle serie tradizionalmente programmate nel prime time
televisivo di Rai Uno, fino alla lunga serialità (soap opera) del daytime. Il costo di ciascuna
fiction può variare in media dai 4 milioni di una miniserie da 2 puntate (formato più diffuso nel
piano di produzione 2010 con 15 produzioni approvate) agli 8 milioni di una serie da 6 puntate
fino ai 14,5 milioni di una lunga serie da 13 puntate.
Figura 14 - Investimenti Rai in fiction nazionale 2006-2010
300
250
200
150
100
50
0
2006
2007
2008
2009
2010
Fonte: elaborazione IEM su dati piano di produzione Rai Fiction. Dati in milioni di euro.
Una forma di sostegno pubblico regionale al cinema e all’audiovisivo era presente, in forma
embrionale e poco strutturata, anche prima del processo di decentramento amministrativo
verificatosi in Italia fra la seconda metà degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila, e
soprattutto in forma di sostegno alla promozione, attraverso il finanziamento dei festival
cinematografici e audiovisivi locali.
E’ però con la riforma del Titolo V della Costituzione (2001) che la potestà legislativa generale
184
In base alle normative comunitarie e nazionali una società di produzione indipendente è una società di
produzione audiovisiva che non abbia un controllo maggioritario/vincolante da parte di una emittente televisiva,
sia in termini di azionariato, che in termini commerciali. Viene considerato controllo maggioritario/vincolante
quando più del 25% del capitale sociale di una società di produzione appartiene ad una sola emittente televisiva
(50% quando sono coinvolte più emittenti) oppure quando, per un periodo di tre anni, oltre il 90% del fatturato di
una società di produzione sia stato realizzato con una stessa emittente televisiva.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
271
sullo spettacolo viene affidata alle Regioni, lasciando allo Stato centrale la potestà di disciplina.
Il processo segue una fase di crescita dell’interesse delle Regioni verso il cinema e l’audiovisivo
e per le loro ricadute economiche e di marketing sul territorio, concretizzatosi attraverso la
creazione delle Film Commission, agenzie pubbliche (raramente private o pubblico-private)
di attrazione di attività di produzione audiovisiva sul territorio, di facilitazione amministrativa
e, spesso, di intermediazione fra domanda e offerta delle professionalità coinvolte nella filiera
produttiva.
Al fiorire delle Film Commission segue poi un movimento di razionalizzazione e consolidamento,
che porta ad una sinergia degli impegni fra i diversi livelli amministrativi locali e ad alcune
fusioni tra Film Commission regionali e comunali nei capoluoghi di regione.
La fase successiva al 2001 vede, quindi, la costituzione in molte Regioni dei Film Fund, fondi
di sostegno alla produzione, generalmente vincolati a clausole di territorializzazione degli
investimenti (ossia al fatto che la produzione spenda una data parte del suo budget sul territorio
dell’ente finanziatore). Questi fondi sono spesso gestiti dalle Film Commission stesse, per le
quali rappresentano una delle leve di azione della propria mission, oppure direttamente dalle
Regioni attraverso gli assessorati competenti.
Il primo fondo istituito, dalla Regione Friuli Venezia Giulia, risale al 2003 con una dotazione di
900mila euro per un triennio (poi cresciuti nel tempo), seguito poi dal Salento Film Fund (oggi
assorbito da Apulia Film Fund) e dal fondo cinematografico della Regione Sardegna185.
Una prima quantificazione delle risorse regionali a disposizione dell’audiovisivo è stata operata
dalla Fondazione Ente dello Spettacolo186. Nel 2009 risultano risorse di competenza dei Film
Fund regionali per 15 milioni di euro, più che triplicati rispetto ai 4,9 milioni del 2007. Questi
fondi hanno quasi compensato il calo delle risorse del Fus a sostegno della produzione (senza
considerare, però, i fondi extra Fus) e sono erogati, per la maggior parte, dalle Film Commission,
per quanto una parte considerevole di queste somme (6,4 milioni, oltre il 40%) venga gestita
direttamente dalle Regioni.
Tabella 1 - Fondi regionali alla produzione audiovisiva, 2009
Fondo
M€ 2009
Fondi delle Film Commission
8,57
F.C. Regione Siciliana
3,00
Friuli Venezia Giulia F.C.
2,09
F.C. Regione Campania
1,80
Abulia F.C.
0,70
Piemonte Doc Film Fund (F.C. + Regione)
0,50
Bologna F.C.
0,24
Emilia Romagna F.C.
0,14
Marche F.C.
0,10
Fondi delle Regioni
6,44
Regione Toscana
4,50
Regione Lazio (via Filas)
1,29
Regione Sardegna
0,65
Totale fondi regionali
15,01
Fonte: Ente dello Spettacolo. Note: dati in milioni di euro
Una più recente quantificazione delle risorse investite a livello regionale su tutta la filiera
(sviluppo, produzione, distribuzione) è stata effettuata dall’ANICA, nel quadro di un progetto
185
Cfr. A. Versace, L. Canova, T.M. Fabbri, F. Medolago Albani, L’evoluzione del sostegno pubblico
all’audiovisivo in L’industria della comunicazione in Italia. XI Rapporto IEM, Guerini e Associati, Milano 2008,
anche per una disamina storica dei finanziamenti regionali all’audiovisivo, a livello italiano ed europeo.
186
Fondazione Ente dello Spettacolo, Il mercato e l’industria del cinema in Italia. Rapporto 2009.
272
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
di ricerca promosso dalla Direzione Generale Cinema del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali187. In base alla prime stime emerse dalla ricerca, il totale reso disponibile dal 2003 al
2010 è pari in 116 milioni di euro. In 4 anni (2006-2009) le risorse drenate per l’audiovisivo
sono quasi quintuplicate. Nel 2009 il budget si è attestato a 29,6 milioni di euro (includendo
anche le risorse provenienti dall’Accordo di Programma Quadro “Sensi Contemporanei188), di
cui almeno il 40% destinato al cinema.
4.3.5 I fondi Extra FUS
A partire dal 2004 il settore dello spettacolo ha iniziato a beneficiare di fondi statali “extra
FUS” ad integrazione degli stanziamenti ordinari, grazie all’istituzione della società Arcus
(interamente a capitale pubblico) e alle norme che destinano una quota dei proventi del Lotto
al settore dei beni e delle attività culturali, nonché dall’8 per mille e 5 per mille189.
Figura 15 - Contributi Extra FUS 2005-2009
35,0
30,0
25,0
32,2
29,7
23,3
20,0
25,2
15,0
15,3
10,0
5,0
0,0
2005
2006
2007
2008
2009
Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac. Dati in milioni di euro.
Nel 2008, tali risorse avevano superato i 32 milioni di euro, una somma rilevante pari al 7%
di quanto complessivamente stanziato in quell’anno a favore delle attività di spettacolo tra
fondi ordinari e straordinari (471 milioni di euro)190. Nel 2009 le risorse, interamente derivanti
dai proventi dell’estrazione infrasettimanale del gioco del lotto, sono state pari a 15,3 milioni,
assegnate in particolare al Petruzzelli di Bari, a Cinecittà Holding e all’Eti. L’andamento di tali
fondi nel corso degli ultimi 5 anni risulta molto altalenante riflettendo il carattere asistematico
degli interventi posti in essere.
Se da un lato tali fonti addizionali hanno consentito di rimediare a situazioni di forte criticità
legate all’impossibilità di attingere alle dotazioni ordinarie in costante flessione, dall’altro
hanno reso molto più complessa la lettura degli investimenti pubblici, soprattutto per quanto
riguarda il finanziamento delle istituzioni a carattere nazionale operanti nel settore dello
187
Progetto di ricerca ANICA, “Mappatura degli strumenti di sostegno regionale al cinema”. Una prima presentazione, dal titolo “Evoluzione dei fondi regionali per il cinema e l’audiovisivo: vincoli ed opportunità”, ha avuto
luogo in occasione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia l’8 settembre 2010.
Il progetto Sensi Contemporanei “Lo sviluppo dell’industria audiovisiva nel Mezzogiorno” è stato av188
viato nel 2005 dal Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica (MISE) e dalla DG Cinema (Mibac)
come innovativo strumento di policy per sperimentare le diverse forme di espressione dell’audiovisivo allo scopo di
promuovere il territorio. I progetti di intervento hanno beneficiato di risorse FAS nazionali e regionali e sono stati
realizzati tramite Accordi di Programma Quadro (APQ) tra lo Stato e le Regioni. Le Regioni coinvolte sinora sono
state la Sicilia, la Puglia e la Basilicata.
189
Nel corso degli anni, seppure sporadicamente, il settore ha beneficiato anche dei fondi per il credito
cinematografico e teatrale della Banca Nazionale del Lavoro (oggi gestiti da Artigiancassa) nonché di ulteriori
risorse aggiuntive provenienti di volta in volta da leggi finanziarie, leggine ad hoc e da altri dicasteri.
190
Si evidenzia che sui 32,2 milioni erogati ben 20 sono stati attribuiti con importi differenti alle 14 Fondazioni Lirico-sinfoniche.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
273
spettacolo191, principali beneficiarie di questa speciale tipologia di fondi. Una parte delle risorse
extra Fus affluisce anche attraverso i progetti speciali disposti direttamente dalla Pubblica
Amministrazione192 o gli interventi di urgenza che si sono succeduti negli ultimi anni per
venire incontro alle croniche sofferenze delle Fondazioni Lirico-Sinfoniche193 o per sopperire ai
ritardi pluriennali nella concessione dei contributi sugli incassi ai produttori cinematografici.
Tabella 2 - Andamento contributi extra FUS per settori e numero progetti (2005-2008)
2005
Settore
Sottosettore
Fondazioni lirico sinfoniche
Musica
n.
1
4.380
1
654
Enti di promozione
4
2.291
Progetti speciali
sub-totale musica
5
7.325
Danza
2
281
1
3.000
1
300
1
3.300
sub-totale danza
2
281
Prosa
Enti
3
11.415
4
5.416
Progetti speciali
2
240
3
424
5
11.655
sub-totale prosa
Contributi sugli incassi
Enti
Cinema
2
10.400
7
5.840
18
7.058
1
7.000
1
130
Estero
Produzione
Progetti speciali
Promozione
sub-totale cinema
2007
2008
1
62
3
10.462
20
14.188
1
4.000
1
621
1
4.621
1
77
14
20.000
1
6.000
20.000
1
6.000
1
77
2
11.302
1
5.000
2
11.302
1
5.000
2
8.ooo
11.000
1
3.000
1
80
2
1.150
5
9.230
11.000
1
3.000
2
Esigenze istituzionali cinema e sdv
Totale
2009
importo
importo
importo
importo
importo
n.
n.
n.
n.
(000)
(000)
(000)
(000)
(000)
Enti
Istituzioni
2006
1.223
16 29.723 29 23.328 10 25.230 16 32.223
1.287
15.287
Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac.
Dalla ricognizione emerge un forte carattere di discontinuità nelle scelte adottate dall’Autorità
competente in merito all’entità e alla natura dei progetti da sostenere che appaiono al di fuori
della originaria visione di sistema riconducibile all’istituzione del FUS. Le linee di intervento
alla base dei provvedimenti - come riconosciuto dallo stesso Ministero - sembrano dettate più
da opportunità del momento e da logiche di cassa, piuttosto che improntate a strategie di più
ampio respiro. Nel 2008, inoltre, si osserva una maggiore concentrazione delle risorse a favore
di alcuni enti (Fondazioni Liriche e Cinecittà) rispetto agli anni precedenti.
Nel corso degli anni, la prassi di sostenere gli enti di rilevanza nazionale con risorse non
ordinarie ha reso ancora più instabile ed incerto il quadro funzionale ed economico, a partire
191
Ci si riferisce a realtà quali Ente Teatrale Italiano – ETI; Accademia Nazionale di Arte Drammatica “Silvio
D’Amico”; Fondazione La Biennale di Venezia; Fondazione Istituto Nazionale del Dramma Antico – INDA; Accademia Nazionale di Danza; Fondazione Opera dell’Accademia Nazionale Danza; Cinecittà–Luce Spa; Fondazione
Centro Sperimentale di Cinematografia.
192
In base ai regolamenti in vigore per la varie discipline (teatro di prosa, cinema, musica ect.), possono
essere concessi contributi ad iniziative, anche disposte direttamente dall’Amministrazione, da attuarsi esclusivamente nell’anno cui si riferisce la richiesta, di valorizzazione e promozione, nonché iniziative rivolte a particolari
celebrazioni o eventi.
193
Il 19 aprile 2010 il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto legge che, secondo le intenzioni del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dovrebbe portare ad una gestione più efficiente delle Fondazioni liriche,
razionalizzandone le spese e favorendo produttività e crescita qualitativa delle produzioni. Il testo prevede differenti
gradi di autonomia a partire dalla Scala di Milano e dall’Accademia di Santa Cecilia e regole più rigide sul turn over
dei dipendenti e sulle assunzioni. Ricordiamo che negli ultimi anni il Ministero è stato costretto a commissariare 5
Fondazioni.
274
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
proprio da quei soggetti che “dovrebbero incarnare la struttura portante a servizio dell’intero
sistema spettacolo, e che invece rischiano, laddove condotti al di fuori dell’alveo naturale di
finanziamento, di trovarsi in particolari condizioni di aleatorietà”194.
4.3.6 Le risorse Arcus per la cultura e lo spettacolo
La Società Arcus S.p.A. “Società per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo”, è
stata istituita nel 2003195 (ma è operativa dal 16 febbraio 2004) con il compito di intervenire
nella promozione e nel sostegno finanziario, tecnico-economico e organizzativo di progetti e
di altre iniziative di investimento e nella realizzazione di interventi di restauro e recupero dei
beni culturali e di altri interventi a favore delle attività culturali e dello spettacolo, nel rispetto
delle funzioni costituzionali delle Regioni e degli enti locali. Il capitale sociale è interamente
sottoscritto dal Ministero dell’Economia, mentre la operatività aziendale deriva dai programmi
di indirizzo che sono oggetto dei decreti annuali adottati dal ministro per i Beni e le Attività
Culturali di concerto con il Ministro delle Infrastrutture.
Il quadro normativo di Arcus trae origine dalla legge finanziaria 2003196, che prevedeva la
destinazione agli interventi per i beni e le attività culturali del 3% degli stanziamenti per le
infrastrutture, sulla base di criteri e modalità rimessi ad apposito regolamento del Ministero per
i beni e le attività culturali, di concerto con quello delle infrastrutture e dei trasporti197. Con tale
normativa, il legislatore ha introdotto una diversa ed innovativa configurazione degli interventi
culturali, qualificandoli espressamente quali investimenti, enfatizzando il loro collegamento
virtuoso con le infrastrutture sul territorio e valorizzandone l’impiego, quali fattori di sviluppo
economico e sociale.
Per l’attuazione del disegno normativo ed in alternativa alla azione diretta ministeriale è stata
dunque prevista la costituzione di una società autonoma, allo scopo di assicurare, mediante una
gestione imprenditoriale ed organizzativa maggiormente adeguata ai criteri di economicità, il
più efficiente ed efficace perseguimento delle finalità di interesse generale indicate nella legge
istitutiva.
La principale missione istituzionale della Società è fungere da organismo “facilitatore”, chiamato
a svolgere compiti di promozione e di sostegno di progetti ed iniziative di investimento, sia per
il restauro ed il recupero dei beni culturali, sia per altri interventi a favore delle attività culturali
e dello spettacolo. Per la realizzazione di questi compiti, Arcus è autorizzata ad erogare risorse
in base a progetti presentati secondo determinati parametri e requisiti, rispettando precisi
limiti di impegno di spesa, da stabilire in base ad un apposito regolamento interministeriale198.
La società, sin dall’avvio delle sue attività, ha patito gravi difficoltà gestionali ed organizzative
per la mancanza di precisi atti di indirizzo da parte dei Ministeri competenti (Ministero per
i Beni e le Attività Culturali e Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) e soprattutto per
l’assenza del citato Regolamento attuativo sui criteri e modalità di destinazione degli interventi,
nonostante le ripetute segnalazioni della Corte dei Conti intervenuta a più riprese per censurare
le inadempienze della società199.
194
Cfr Relazione sull’utilizzo del FUS, anno 2008.
195
Ai sensi dell’articolo 2 della legge 16 ottobre 2003, n. 291. Disposizioni in materia di interventi per i beni e
le attività culturali, lo sport, l’università e la ricerca e costituzione della Società per lo sviluppo dell’arte, della cultura
e dello spettacolo - ARCUS S.p.a.
196
Legge n. 289/2002 capo V “finanziamento degli investimenti” e art. 60 “finanziamento degli investimenti
per lo sviluppo”.
197
Successivi decreti, prorogati fino alla fine del 2007, hanno assegnato ad Arcus una quota aggiuntiva del
2% sugli stanziamenti della Legge 443/2001 (cosiddetta Legge Obiettivo).
198
Arcus opera quale strumento di gestione e di reperimento dei mezzi finanziari calcolati su una quota degli
stanziamenti statali per le infrastrutture; le risorse acquisite rivestono, anche per origine, la natura di investimenti,
essendo le somme relative a mutui contratti con la Cassa Depositi e Prestiti (da restituire in 15 annualità) ed allocate
nella parte in conto capitale del bilancio statale.
199
I prolungati ritardi nell’adozione del regolamento e le conseguenti inadempienze hanno di fatto “impedito
la verifica delle concrete capacità di realizzazione della precipua missione assegnata ad Arcus e dell’importante ruolo
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
275
Solo alla fine del 2008, a distanza di 4 anni dalla sua costituzione, con un decreto
interministeriale200, il Mibac ed il Mit hanno adottato l’atteso Regolamento, cui è poi seguito il
13 gennaio 2009 un atto di indirizzo interministeriale con le linee guida del programma degli
interventi.
Fin dall’origine, l’azione della Società è stata regolata da una disciplina transitoria di urgenza
che si è prolungata nel tempo, con riflessi negativi sulle modalità applicative e di funzionamento
dell’ente, caratterizzato da una forte discrezionalità nel processo di selezione dei progetti e da
una crescente frammentazione degli stanziamenti. Tali fattori “hanno sostanzialmente ristretto
l’azione della Società a quella di mero organismo di promozione di iniziative eterodeterminate
e spesso sostitutive o integrative di quelle ordinarie proprie del Ministero per i Beni e le Attività
Culturali”201.
Ulteriori inadempienze dei Ministeri di riferimento riguardano la nomina degli organi
ordinari di governo della Società, i quali hanno funzionato in composizione completa solo
durante il primo anno successivo alla sua costituzione. A partire dal mese di novembre 2006,
infatti, ha preso avvio un prolungato periodo di amministrazione straordinaria (con due
commissariamenti) che ha inciso negativamente sul pieno sviluppo della operatività aziendale202.
Come stigmatizzato a più riprese dalla Corte dei Conti, la normativa transitoria ha lasciato ampi
margini di discrezionalità ai Ministri interessati, restringendo progressivamente il ruolo della
società a quello di mera agenzia strumentale e braccio operativo di decisioni eterodeterminate,
in assenza di una compiuta programmazione integrata203. Nonostante i lavori di una apposita
Commissione nominata dal Ministero vigilante nell’agosto 2006 abbiano ampiamente condiviso
le osservazioni critiche della Corte dei Conti, prospettando come più idonea forma giuridica
il modello della fondazione, nulla è sostanzialmente mutato sul piano dei comportamenti
ministeriali e su quello normativo.
Il nodo principale riguarda lo scarso impatto degli investimenti nei territori in cui sono
stati realizzati i progetti: i fondi assegnati, in pratica, non hanno svolto la funzione di volano
e moltiplicatore di ulteriori risorse senza generare benefici sociali ed economici – diretti ed
indiretti – per l’intero Paese.
La Corte dei Corti è giunta a prefigurare una chiusura della Società, considerata ineludibile
nella ipotesi che gli interventi di Arcus dovessero mantenere le caratteristiche attuali, sostitutive
o integrative di quelle ordinarie ministeriali.
innovativo di promozione e sviluppo di significativi interventi, prefigurato dal legislatore e posto a fondamento della
sua istituzione”. Cfr. Relazione Corte dei Conti su Arcus, anno 2007.
200
Decreto 24 settembre 2008, n. 182 “Disciplina dei criteri e delle modalità per l’utilizzo e la destinazione
per la tutela e gli interventi a favore dei beni e delle attività culturali della quota percentuale degli stanziamenti previsti per le infrastrutture” pubblicato sulla G.U. n. 270 del 18/11/2008, entrato in vigore dal 3 dicembre 2008.
Tratto caratteristico del meccanismo di provvista delle risorse dovrebbe essere, a giudizio della Corte
201
dei Conti, quello di fondare la parte preponderante dell’azione della società sul debito posto a carico dello Stato,
al cui bilancio viene accollata la restituzione quindicennale delle somme mutuate. Questo sistema, se “facilita il
reperimento di disponibilità immediate, trova giustificazione solo se si traduce in una più rapida ed economica
capacità del loro impiego nella selezione e promozione di interventi idonei ovvero aventi natura di investimenti
caratterizzati da effettiva innovatività e, dunque, oggettivamente diversi rispetto a quelli ordinari rimessi alle
pubbliche amministrazioni operanti nel settore”. Cfr Relazione Corte dei Conti su Arcus, anno 2007.
202
Fino al 18/06/2008 la gestione, come nell’esercizio precedente, è rimasta affidata ad un organo
monocratico rappresentato dal Commissario Straordinario Arnaldo Sciarelli, subentrato in data 01/04/2007 al
precedente Commissario Guido Improta. Dal 19/06/2008 al 16/10/2008 la gestione è stata conferita con decreto
interministeriale ad un nuovo organo monocratico rappresentato dal Commissario Straordinario Salvatore Italia.
Dal 18/11/2008 è stata nominato, con decreto interministeriale, il nuovo Consiglio di Amministrazione, presieduto
da Salvatore Italia. Il 18/12/2008 si è insediato il Consiglio di Amministrazione, sancendo il ritorno ad una gestione
ordinaria della Società.
203
Tra le critiche mosse dalla Corte dei Conti anche quella di aver ridotto i programmi annuali e le relative
convenzioni triennali a “mere elencazioni di singoli interventi, sempre più numerosi e frammentati, con atti di approvazione a volte troppo anticipati oppure eccessivamente tardivi, riguardanti progetti in gran parte già esauriti e
spesso privi di significativa innovatività, in contrasto con le direttive di principio, proclamate negli stessi provvedimenti emanati”.
276
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
Come già accennato, nel febbraio 2009, a seguito dell’emanazione del regolamento attuativo,
i Ministeri competenti hanno trasmesso ad Arcus il nuovo atto di indirizzo, nel quale il
programma degli interventi è articolato in tre aree di intervento:
•
promuovere il sostegno e la riqualificazione del patrimonio culturale statale, non statale
e religioso, attraverso azioni in relazione all’incidenza delle infrastrutture esistenti nel
contesto di riferimento;
•
assicurare interventi di ripristino e tutela paesaggistica finalizzati alla salvaguardia e
conservazione degli aspetti e caratteri peculiari del paesaggio;
•
promuovere altri iniziative a favore delle attività culturali e dello spettacolo.
Con riferimento a quest’ultima area - oggetto della presente analisi – l’atto individua due
specifici obiettivi: l’adeguamento e la valorizzazione delle strutture e attività teatrali, musicali e
cinematografiche; la promozione di investimenti in grandi manifestazioni, eventi e incontri di
rilievo tale da fungere da volano per il turismo e per lo sviluppo economico, sociale e culturale
del territorio italiano, da svolgersi anche all’estero.
Prima di illustrare il nuovo programma di interventi previsto per il triennio 2010-2012, è
opportuno dare conto dei finanziamenti sin qui erogati da Arcus precisando che si tratta di
una operazione complessa per via dei meccanismi procedurali legati ai mutui contratti con la
Cassa Depositi e Prestiti ma soprattutto per effetto di riassegnazioni in corso d’opera dovute a
progetti non andati in porto.
Come si evince dalla tabella riassuntiva delle somme stanziate e investite da Arcus anno per
anno, i dati evidenziano una forte crescita degli stanziamenti annuali dal 2004 (primo anno
di operatività) al 2006, passando in due anni da 57 a 80 milioni di euro. L’attività deliberativa
risulta totalmente definita per gli anni 2004 e 2005, giovandosi peraltro di alcuni importi
riassegnati di modesta entità.
Tabella 3 - Evoluzione finanziamenti Arcus SpA (2004-2008)
Riassegnazioni
di importi
relativi a
progetti non
andati a
buon fine o
definanziati ex
DL 16/03/2007
Riassegnazioni
di importi
relativi a
progetti non
andati a
buon fine o
definanziati ex
DL 24/09/2008
Anno
Importo mutuo con
Cassa DD.PP. (al
Importo
identificato nel netto di spese per
investimenti Arcus,
programma
oneri di preamm.to
degli
e proventi extra sul
interventi
mutuo 2005)
2008
7.918.794 (**)
-
-
-
-
7.918.794
2007
48.435.144 (*)
-
-
3.415.000
43.320.000
1.040.144
2006
80.161.000
78.650.000
38.210.000
1.220.000
39.220.000
0
2005
60.317.000
58.300.000
5.000.000
300.000
53.000.000
0
2004
57.370.000
55.560.000
2.650.000
2.189.100
50.720.000
0
Totale
254.201.938
-
-
-
186.260.000
-
Importi
ancora da
deliberare
Importi
deliberati
Fonte: elaborazione IEM su dati Arcus e Corte dei Conti.. Note: (*) L’importo è pari alla somma delle
riassegnazioni relative a quanto previsto dal D.I. 16/03/2007, cui si aggiunge l’importo dell’extra provento relativo
al mutuo per l’anno 2005, pari a € 2.575.144. (**) L’importo è pari alla somma delle riassegnazioni relative a
quanto previsto dal D.I. 24/09/2008 (come in tabella), cui si aggiunge: a) € 17.183 residuo previsione interessi di
pre-ammortamento ex P.I. 2004; b) € 17.000 previsione interessi di pre-ammortamento ex P.I. 2005; c) 11.000
residuo previsione interessi di pre-ammortamento ex P.I. 2006; d) € 749.511 per extra provento relativo al mutuo
per l’anno 2006.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
277
Il fenomeno si dilata nel 2006, sino quasi alla metà dell’intero stanziamento, di cui rimane
una modesta cifra da deliberare. Gli stanziamenti relativi agli anni 2007 e 2008 sono frutto
di ulteriori riassegnazioni, a dimostrazione della presenza di carenze nella programmazione
ministeriale, dovute a difficoltà e a rallentamenti delle procedure connesse agli stanziamenti
assegnati agli organi decentrati del Ministero delle infrastrutture e dello stesso Ministero per i
Beni Culturali.
Nei 5 anni qui presi in esame, risulta deliberato il 73,2% delle risorse rese disponili nel
programma degli interventi, pari a poco più di 186 milioni di euro, con una media annuale di
37,2 milioni di euro204.
Figura 16 - Stanziamenti ed erogazioni Arcus (2004-2008)
90
Stanziamenti
Erogazioni
80
70
60
50
40
30
20
10
0
Milioni
2004
2005
2006
2007
2008
Fonte: elaborazione IEM su dati Arcus e Corte dei Conti.
Per i primi 4 anni di attività (2004-2007) è possibile ricostruire la distribuzione delle risorse
all’interno dei singoli settori. Più della metà degli importi è affluita al patrimonio (53,6%)
mentre il 43,3% (pari a circa 20 milioni di euro) ha finanziato cultura e spettacolo. Come si
può osservare, le due aree hanno un andamento specularmente opposto, con una forte crescita
dei progetti per il patrimonio nel biennio 2006-2007 a svantaggio di quelli per la cultura e lo
spettacolo. Gli interventi per la tutela del paesaggio appaiono residuali.
Alla fine del 2009, un Decreto del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali di concerto
con quello delle Infrastrutture205 ha stanziato 200 milioni di euro per i nuovi interventi (208
progetti) gestiti da Arcus per il triennio 2010-2012.
204
Il dato relativo alle erogazioni effettuate nel 2008 non è stato reso disponibile.
205
Decreto Ministeriale 1 dicembre 2009 recante il Programma degli interventi relativi alla tutela, ai beni ed
alle attività culturali ed allo spettacolo per gli anni 2010, 2011, 2012, da finanziare con le risorse individuate ai sensi
dell’art. 60 comma 4 della legge 27 dicembre 2002, n.289. Guce, 11 febbraio 2010.
278
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
Figura 17 - Distribuzione risorse Arcus per aree di intervento (2004-2007)
35,0
29,6
Patrimonio
Cultura e spettacolo
Altro
Paesaggio
30,0
28,4
28,1
25,0
21,9
18,4
20,0
17,4
18,1
15,0
14,5
10,0
5,0
3,1
1,7
0,2
1,0
0,0
2004
2005
2006
2007
Fonte: elaborazione IEM su dati Arcus e Sole 24 Ore.
Nel budget sono inclusi 3 milioni di euro per le spese strumentali agli investimenti e di
funzionamento della struttura.
Il programma sarà attuato sulla base delle seguenti linee guida:
1. accrescere il valore e la diffusione del patrimonio culturale nazionale;
2. potenziare il valore aggiunto derivante da più stretti legami tra l’industria culturale ed i
settori produttivi e finanziari presenti sul territorio;
3. Arcus, nell’ambito del piano, dovrà in particolare svolgere una funzione di supporto e
coordinamento per la realizzazione di alcuni programmi strategici quali:
•
programma sperimentale di gestione e valorizzazione dei Parchi archeologici,
•
programma di valorizzazione del patrimonio culturale,
•
sviluppo di bacini culturali,
•
progetti di compartecipazione con altri soggetti pubblici o privati per l’integrazione
delle risorse finanziarie necessarie (come regioni e Fondazioni Bancarie);
4. valorizzazione e potenziamento della nuova società Cinecittà-Luce SpA.
In base a quanto previsto dal Regolamento del 2008 (DM 182/2008), le risorse saranno ripartite
in tre macroaree con le seguenti entità e proporzioni:
1. 100,3 milioni pari al il 50 % saranno impiegati per realizzare 119 interventi di sostegno e di
riqualificazione dei patrimonio culturale;
2. 59,6 milioni pari al 30 % per 56 interventi di ripristino e tutela paesaggistica;
3. 40 milioni, pari al 20 %, per 33 progetti culturali e di spettacolo.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
279
Figura 18 - Ripartizione fondi 2010-2012 per settori di attività
140
120
Importi
Progetti
100
80
60
40
20
0
Patrimonio culturale
Paesaggio
Cultura e spettacolo
Fonte: elaborazione IEM su dati Mibac.
Figura 19 - Ripartizione fondi Arcus 2004- Figura 20 - Ripartizione fondi Arcus 20102007
2012
0,5
59,6
43,2
40,0
53,6
100,3
2,7
Patrimonio
Paesaggio
Cultura e s pettacolo
Patrimonio culturale
Paesaggio
Cultura e s pettacolo
Fonte: elaborazione IEM su dati Mibac.
Rispetto alla gestione degli anni precedenti, la nuova programmazione rivolge maggiore
attenzione al Paesaggio, ridimensionando gli interventi a sostegno dello spettacolo che passano
dal 43% del periodo precedente al 20%. Il piano di investimenti prevede che i 40 milioni a
sostegno della cultura e dello spettacolo siano resi disponili interamente nel 2010 e distribuiti
tra 33 progetti, lasciando intendere un particolare carattere di urgenza. La maggior parte di
tali risorse, in effetti, pari al 54% (21,6 milioni di euro), saranno assorbite da 7 interventi di
promozione gestiti da strutture di rilevanza nazionale (incluse le spese di funzionamento di
280
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
Arcus) e come tali non regionalizzabili.
Tra gli interventi di maggior rilevanza spicca il contributo per la valorizzazione e il rilancio
strategico di Cinecittà-Luce Spa, che da sola beneficerà di circa 16 milioni di euro: tale sostegno
risponde ad un preciso intento del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che in qualità
di azionista unico, ha esplicitamente richiesto una maggiore integrazione degli interventi per
la promozione del cinema in Italia e all’estero e un supporto tecnico-finanziario da parte di
Arcus206.
Sempre in ambito cinematografico, ai nuovi fondi Arcus si attingerà per finanziare il progetto
“Schermi di Qualità” dell’Agis con 3,5 milioni a sostegno di un circuito di schermi che
programma film di essai italiani ed europei. Sul versante della promozione teatrale, allo stesso
modo, Arcus sosterrà alcuni progetti nazionali ed internazionali dell’Ente Teatrale Italiano, per
un importo di 1,3 milioni.
Figura 21 - Ripartizione fondi Arcus per cultura e spettacolo 2010
5%
46%
52%
43%
54%
Interventi regionali
Enti e attività nazionali
Nord
Centro
Sud+Isole
Fonte: elaborazione IEM su dati Mibac.
I restanti 18,4 milioni di euro, pari al 46% delle risorse destinate alla cultura e allo spettacolo,
sono così ripartiti: 51,7% al Nord, il 42,9% al centro e solo il 5,4% al Sud e nelle Isole, per un
totale di 26 progetti. Escludendo le risorse destinate agli interventi a favore di enti e progetti
di rilevanza nazionale, il dettaglio della distribuzione dei restanti finanziamenti nelle singole
Regioni mostra una maggiore attenzione alle aree geografiche del Nord e del Centro che
rispettivamente assorbono il 52% e il 43% degli importi, lasciando solo il 5% al Sud e alle Isole.
Tra le 11 Regioni destinatarie di contributi, il Lazio si colloca in cima alla lista con 6 milioni di
euro di contributi. Seguono l’Emilia Romagna con 3,9 milioni e la Liguria con 2,7207. L’importo
dei singoli progetti presenta una forbice molto ampia che varia da 1,5 milioni a 40mila euro per
le iniziative minori.
206
In particolare il Ministero ha richiesto di “garantire, all’esito della fusione, la migliore integrazione tra le
strutture al fine di valorizzare le prerogative, la continuità di azione, anche allo scopo di garantire la massima diffusione del cinema italiano, usufruendo per quanto possibile, dell’assistenza tecnica e finanziaria di Arcus, sulla base
delle disposizioni statutarie e nell’ottica di una sinergia strategica e operativa finalizzata al potenziamento culturale
dell’offerta delle due società”. Cfr Atto di Indirizzo Mibac a Cinecittà Luce Spa, 3 aprile 2009.
207
Di seguito alcuni esempi dei 26 progetti di spettacolo sostenuti da Arcus nel 2010: Festival di Ravenna
(1,5 milioni di euro); Festival Verdi (1,8 milioni di euro); Festival Pucciniano (1,4 milioni); Accademia nazionale
Silvio D’Amico (500 mila euro); Reate Festival del Belcanto (Fondazione Flavio Vespasiano, 1,5 milioni); Assessorato
alle politiche culturali e della comunicazione del Comune di Roma (1 milione di euro); Carlo Felice di Genova (2,3
milioni); Teatro dell’Archivolto di Genova (450mila euro); Orchestra da camera di Mantova (600mila euro); Festival estivo del Cantiere musicale di Santa croce (40mila); Studi Cinetelevisivi Rodolfo Valentino dell’associazione
culturale teatro Abulia (400mila euro); Festival internazionale Val di Noto (400mila); Todi Arte Festival (300mila);
Celebrazioni del terzo centenario della nascita di Pergolesi (500mila); Festival internazionale della Spiritualità “Divinamente 2010” (200mila).
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
281
Figura 22 - Ripartizione regionale fondi Arcus per cultura e spettacolo 2010-2012
Marche
Veneto
Umbria
Puglia
Piemonte
Sicilia
Toscana
Lombardia
Liguria
Emilia Romagna
Lazio
Interv. naz.
Migliaia 0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
20
22
Fonte: elaborazione IEM su dati Mibac
L’analisi degli esercizi Arcus relativi agli anni 2004-2008 effettuata dall’organo vigilante conferma
un ruolo che non si spinge oltre le “attività di previa istruttoria giuridico/amministrativa, di
deliberazione di finanziamenti elencati nei decreti interministeriali e di monitoraggio dei
progetti”. Continua, inoltre, ad osservarsi una più rapida conclusione delle iniziative nel settore
dello spettacolo – che si traducono in mere contribuzioni finanziarie soprattutto per quelle
già concluse, in contrasto con la natura di investimento delle risorse tratte dai mutui, sia per
origine che per destinazione – ed una quota modesta di apporti di altri soggetti, comunque già
previsti alla presentazione del progetto, ma non verificati nella loro effettività.
La stabilizzazione degli organi amministrativi dopo il lungo periodo commissariale, il
consolidamento dell’assetto normativo con il nuovo Regolamento, unitamente ad una rinnovata
volontà politica (come mostra l’atto di indirizzo del gennaio 2009 e il programma operativo per
il triennio 2010-2012) dovrebbero rafforzare il ruolo di Arcus e consentire una ripresa della
missione aziendale.
Le principali criticità sulle quali intervenire attengono alle procedure istruttorie e decisionali
che ancora non garantiscono una piena trasparenza ed imparzialità e alla programmazione
delle attività che necessita di una maggiore integrazione tra i diversi livelli di governo (statale
e locale) e di un supporto più attivo da parte dei principali attori pubblici e privati del settore.
Occorre uno sforzo maggiore affinché Arcus sia valorizzato come organismo di sviluppo e
catalizzatore di risorse, in grado di sostenere, con criteri innovativi, progetti ambiziosi con
ricadute significative nel settore culturale e fortemente correlati alle infrastrutture, fattori che,
al contrario, non sono riscontrabili nelle iniziative “minori”, soprattutto nel campo oggetto
della presente analisi, ovvero quello dello spettacolo.
L’attenzione della società dovrebbe pertanto rivolgersi prioritariamente verso quelle iniziative
che richiedono capacità di aggregazione di soggetti e di risorse sul territorio, premiando gli
enti in grado di coniugare efficienza dei processi aziendali e tasso di innovazione. L’apporto
specialistico della struttura dovrebbe generare un effetto moltiplicatore sul piano culturale,
sociale ed economico, fungendo da volano dello sviluppo in questo settore. E’ evidente che
alla base di queste strategie occorra in primo luogo costruire un set affidabile di indicatori
di performance per la misurazione dell’impatto degli interventi (deficit riscontrato anche
all’interno del sistema di finanziamento ordinario), che dimostri il valore aggiunto derivante
dall’azione della Società, legittimandone la sua esistenza.
282
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
4.3.7 Le risorse del Lotto per lo spettacolo
Una fonte supplementare di finanziamento pubblico alla cultura è rappresentata dai proventi
derivanti dalle entrate del Gioco del Lotto, introdotta con la legge Finanziaria 1997208. La norma,
integrata e modificata da successivi provvedimenti nel 2001 e 2003, prevedeva espressamente
di attribuire all’attuale Ministero per i Beni e Attività Culturali una quota degli utili erariali
derivanti dal gioco del Lotto in misura non superiore a 154,9 milioni di euro (300 miliardi di
lire), finalizzata al recupero e alla conservazione dei beni culturali, archeologici, storici, artistici,
archivistici e librari, nonché per interventi di restauro paesaggistico, per attività culturali e per
le esigenze anche di funzionamento del settore dello spettacolo. Il meccanismo di attribuzione
delle risorse al Ministero prevede che gli utili erariali del gioco del lotto debbano essere assegnati
all’inizio di ciascun anno, a titolo di anticipazione, nella misura del 50% dell’assegnazione
definitiva dell’anno precedente (attestandosi di norma su un importo semestrale di 77,4 milioni
di euro)209.
Dal 2004 al 2010, come vedremo, le assegnazioni effettive hanno registrato importi annuali
ridotti rispetto alla soglia massima prevista dalla legge, a causa di interventi di revoca delle
somme non impegnate (mancato avvio dei lavori) e di decurtazioni legate ad esigenze di
finanza pubblica.
La natura rinnovabile, non a carattere straordinario, di questa tipologia di finanziamenti ha
permesso al Mibac di impiegare le risorse all’interno di una strategia di programmazione delle
attività di conservazione e valorizzazione dei beni culturali su un arco temporale triennale
e dunque con una ottica più ampia rispetto ai limiti imposti dall’”emergenza conservativa”
tipici del FUS, utilizzando parametri di riferimento distinti da quelli della programmazione
ordinaria.
Il pregio risiede nella natura di additività rispetto alle risorse ordinarie che, come è noto,
soprattutto per quanto attiene alla tutela e valorizzazione dei beni e delle attività culturali, sono
largamente insufficienti a gestire le numerose emergenze presenti sul territorio, ma anche nella
possibilità di stabilire sinergie di cofinanziamento con le varie regioni ed enti locali interessati
là dove (soprattutto al Sud) si è già in presenza di Accordi di Programma Quadro o altri fondi
strutturali di orgine comunitaria.
L’Amministrazione ha cercato di selezionare interventi che fossero particolarmente significativi
sia per la dimensione finanziaria sia, soprattutto, per il rapporto con la realtà territoriale
specifica, premiando il finanziamento di interventi che fossero riferibili a forme di partenariato
e ove possibile di cofinanziamento210.
Entro il 30 giugno di ogni anno viene stabilita la quota erariale che il gioco del Lotto, nella
figura del concessionario Lottomatica, dovrà devolvere al MiBAC e che nel 2010 ammonta a
circa il 3,8% di quanto versato allo Stato.
La programmazione relativa al triennio 2004-2006 prevedeva uno stanziamento di 66 milioni di
euro, dimezzato dopo un anno a soli 35 milioni, per le richiamate esigenze di finanza pubblica.
La ridotta disponibilità di risorse ha costretto a limitare il campo degli interventi alla tutela dei
beni culturali, escludendo i progetti relativi allo spettacolo e al cinema.
208
Articolo 3, comma 83 della Legge 23 dicembre 1996 n. 662 “Misure di razionalizzazione della finanza
pubblica”. La legge, prevista all’epoca dai ministri Visco e Veltroni (rispettivamente alle Finanze e ai Beni Culturali)
fu istituita allo scopo di allinearsi a quanto già attuato dalla National Lottery britannica, la quale destinava il 28%
degli introiti ad opere di assistenza sociale e tutela museale.
209
Art. 24 comma 30 della Legge 27 dicembre 1997 n. 449 recante “Misure per la stabilizzazione della finanza
pubblica”. Nel 1998 l’assegnazione iniziale fu pari a 150 miliardi di lire.
210
Alcune importanti iniziative messe in campo con i finanziamenti del Lotto hanno consentito il restauro di
grandi complessi la cui destinazione funzionale sarà direttamente gestita dagli enti che cofinanziano gli interventi.
Senza il gioco del Lotto, per esempio, non sarebbero stati restaurati la Cappella degli Scrovegni, il Complesso del
Palazzo del Vittoriano piuttosto che Palazzo Reale a Genova. Cfr. VI Rapporto annuale Federculture, 2009.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
283
Anche per il triennio successivo 2007-2009, la Legge Finanziaria 2007211 ha previsto una
decurtazione degli stanziamenti di 30,9 milioni di euro, con conseguente assestamento delle
disponibilità finanziarie, per ogni annualità su un importo di 124 milioni di euro.
Tale dotazione ha subito una ulteriore decurtazione per necessità di accantonamento sul fondo
unico degli investimenti, riducendo così la disponibilità delle risorse lotto programmabili nei
3 anni a 356,6 milioni di euro anziché 465 come originariamente previsto (tetto massimo),
equamente ripartite sui 3 anni. Tali importi hanno subito una ulteriore rimodulazione in corso
d’opera che ha portato, per il triennio 2007-2009, ad una erogazione effettiva pari a 274 milioni
circa con una media di impegno annuale pari a 91 milioni di euro.
La più robusta dotazione ha comunque consentito di riservare una quota significativa ai
comparti dello spettacolo e del cinema pari a 72,5 milioni di euro, più di un quarto in media
del totale nel periodo considerato (26,3%).
Da osservare che, nell’azione di rimodulazione, le risorse a vantaggio dei suddetti settori sono
aumentate in modo considerevole: lo spettacolo dal vivo è passato da 28,8 a 49,8 milioni di euro
mentre il cinema è salito da 14,7 a 22,7 milioni di euro.
Nel 2010, le risorse complessive si sono ridotte a 60,8 milioni. Di questi il 16,3%, pari a 9,9
milioni, è stata destinata allo spettacolo dal vivo e al cinema, rispettivamente con importi di 3,5
e 6,4 milioni di euro.
Proprio a partire dal 2010, dopo oltre 10 anni di programmazione triennale, si è deciso, peraltro,
di pianificare gli interventi relativi a tale stanziamento su base annuale in modo da garantire,
così come dichiarato dal MiBAC, una maggiore stabilità al fondo evitando problematiche
connesse ai cantieri già avviati.
Tabella 3 - Finanziamenti fondo Lotto per spettacolo dal vico e cinema (2007-2010)
Dg. Spett. dal vivo
Attività/Ente
Teatro
Ente teatrale italiano
-
-
-
10.566.000
Attività istituzionali
Petruzzelli e teatri di
Bari
-
-
-
4.000.000
Attività istituzionali
Prosa
-
-
-
736.000
Attività istituzionali
Danza
-
-
-
77.000
Attività istituzionali
Musica
-
-
-
621.000
Attività istituzionali
Varie/Spettacolo
-
-
-
600.000
Attività istituzionali
Musica, Prosa, Danza
-
6.142.130
6.087.620
-
Attività istituzionali
Petruzzelli di Bari
-
6.000.000
-
-
Attività istituzionali
Fondazioni Lirico
Sinfoniche
-
-
15.000.000
-
Spettacolo
Spoleto festival
900.000
-
-
-
Spettacolo
Teatro festival Italia
2.000.000
-
-
-
Gestione valorizz
cinema
Progetto integrato
600.000
-
-
-
3.500.000
12.142.130
21.087.620
16.600.000
Sub-totale SdV
2010
2009
2008
2007
Dg. Cinema
Attività istituzionali
Cinecittà Holding
-
-
8.000.000
5.000.000
Attività istituzionali
Biennale di Venezia
-
-
-
3.000.000
Attività istituzionali
Attività cinematografica
-
-
-
400.000
Attività istituzionali
Cinecittà Holding e
Biennale di Venezia
-
3.164.130
3.136.040
-
Attività istituzionali
Cinecittà Luce
5.800.000
-
-
-
211
Legge 27 dicembre 2006 n. 296 – Legge Finanziaria 2007 “Disposizione per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato”.
284
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
Gestione valorizz
cinema
Progetto integrato
Sub-totale Cinema
Totale Spett e Cinema
Totale Cultura
600.000
-
-
-
6.400.000
3.164.130
11.136.040
8.400.000
9.900.000
15.306.260
32.223.660
25.000.000
60.860.584
78.669.102
89.228.322
106.028.882
16,3
19,5
36,1
23,6
% Spett e Cinema
Fonte: elaborazione IEM su dati Mibac
In 4 anni, dal 2007 al 2010, i fondi destinati allo spettacolo si sono ridotti sensibilmente,
passando dai 25 milioni del 2007 ai 9,9 del 2010, registrando un calo del 60% circa. Come si
evince dal grafico, gran parte delle risorse disponibili nel 2010 (il 62%), pari a 37,7 milioni di
euro, non è stata impiegata per la realizzazione per interventi sul territorio nei vari settori, ma
assegnata alla Direzione Generale per l’Organizzazione e gli Affari Generali del Ministero a
titolo di integrazione fondi per contratti di stabilizzazione del personale e per la realizzazione
di modelli di gestione e valorizzazione212.
Figura 23 Ripartizione fondi Lotto anno 2010 Figura 24 Andamento fondi Lotto per lo
spettacolo 2007-2010
Spettacolo
dal vivo
6%
Regioni e
prov
autonome
5%
Cinema
11%
35
30
25
20
Arti
7%
15
Antichità
5%
Archivi
2%
10
DG OAGIP
62%
Beni Librari
2%
5
0
2007
2008
2009
2010
Fonte: elaborazione su dati Mibac – DG OAGIP
4.3.8 La distribuzione della spesa pubblica nazionale a livello regionale
In questo paragrafo conclusivo, si intende fornire un quadro di sintesi sull’andamento dei
finanziamenti pubblici nazionali destinati allo spettacolo (Fus ed Extra Fus) all’interno delle
singole regioni per valutare il livello di distribuzione territoriale delle risorse destinati ai vari
settori.
Il criterio individuato per la localizzazione dei contributi prende in considerazione la sede legale
(o la residenza nel caso di persone fisiche) dichiarata dal beneficiario del contributo: in alcuni
casi, pertanto, i dati presentano il limite di non essere indicativi delle attività effettivamente svolte
sul territorio di pertinenza. Si pensi, ad esempio allo spettacolo viaggiante o alle compagnie di
prosa, danza e ai complessi orchestrali che, per loro stessa natura, operano in differenti luoghi
del paese, pur avendo la sede legale in una determinata regione o, ancora, i contributi sugli
incassi che, a causa della forte attrattività della città di Roma come sede di residenza degli autori
e produttori, vede affluire su questo territorio una porzione molto significativa di contributi.
Per ovviare parzialmente a tale distorsione e non falsare il quadro complessivo, le elaborazioni
212
Direzione Generale per l’Organizzazione, gli Affari Generali, l’innovazione, il bilancio ed il personale. I
contratti di stabilizzazione hanno riguardato gli ex Lavoratori Socialmente Utili.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
285
dell’Osservatorio dello Spettacolo non contemplano i contributi erogati alle istituzioni che
operano su tutto il territorio nazionale, così come alle attività all’estero e ai progetti speciali213.
La ripartizione per macroaree geografiche evidenzia una riduzione progressiva di risorse nelle
8 Regioni del Nord. Se, infatti, nel 2002 assorbivano il 47% del volume complessivo, nel 2008 la
quota è scesa di 4 punti assestandosi al 43%. A beneficiarne è stata l’area del Centro, la cui quota
è aumentata di ben otto punti, salendo dal 32% al 37%. Più stabile l’andamento complessivo
delle 8 Regioni del Sud (Isole incluse) che perdono in 7 anni 1 punto percentuale (dal 21 al
20%).
Figura 25 - Distribuzione FUS ed extra-FUS per macro-area (2002-2008)
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
Nord
80%
Centro
90%
100%
Sud e Isole
Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac
Entrando nel merito di ciascuna Regione, nell’arco temporale considerato, si osserva una
tendenza generalizzata ad una tenuta delle posizioni e, in alcune realtà, ad una crescita. Spicca
su tutti il dato relativo alla Regione Lazio che, negli ultimi anni, ha registrato una crescita
esponenziale, passando dagli 80 milioni del 2005 ai circa 145 del 2008 (pari al 27,6% del FUS
di quell’anno) grazie al più elevato numero di soggetti beneficiari presenti sul territorio. La
seconda Regione per rilevanza è la Lombardia che dal 2006 ha incamerato risorse aggiuntive
per circa 10 milioni di euro, assorbendo nel 2008 l’11,3% delle risorse del FUS, pari a circa 80
milioni di euro. Al di sopra della fascia dei 50 milioni di contributo figura soltanto un’altra
Regione, il Veneto, il cui “prelievo” sul FUS è superiore al 10% (anche per la presenza di due
Fondazioni lirico-sinfoniche). Lazio, Lombardia e Veneto assorbono da sole quasi la metà del
FUS nel 2008 (49,2%). Le rimanenti Regioni si collocano sotto la soglia dei 40 milioni. Tra
queste possiamo individuare un secondo gruppo che supera la soglia dei 30 milioni composto
da Emilia Romagna, Campania, Toscana e Sicilia le quali assorbono rispettivamente il 7,2%,
il 7,1%, il 6,8% e il 5,8% sul totale del FUS nel 2008. Segue un terzo gruppo che supera i
10 milioni di euro composto da Piemonte, Liguria, Friuli, Sardegna e Puglia. Nella fascia più
bassa, al di sotto dei 5 milioni di euro, si collocano 7 Regioni (Abruzzo, Basilicata, Calabria,
Molise, Trentino, Umbria e Valle d’Aosta) che, nel 2008, sono rimaste al di sotto dell’1% del
totale delle risorse.
213
Dall’analisi sono esclusi anche i contributi destinati agli interventi indiretti alla produzione cinematografica e all’esercizio cinematografico in quanto economicamente non confrontabili.
286
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
Migliaia
Figura 26 - Distribuzione FUS ed extra-FUS per Regione (2002-2008)
Lombardia
Veneto
Emilia Romagna
Piemonte
Liguria
Friuli Venezia Giulia
Trentino Alto Adige
Valle d'Aosta
70.000
60.000
50.000
40.000
30.000
20.000
10.000
0
2002
2003
Migliaia
Lazio
2004
2005
Toscana
2006
2007
Marche
2008
Umbria
160.000
140.000
120.000
100.000
80.000
60.000
40.000
20.000
0
Migliaia
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Campania
Sicilia
Sardegna
Puglia
Abruzzo
Calabria
Basilicata
Molise
40.000
35.000
30.000
25.000
20.000
15.000
10.000
5.000
0
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
287
Figura 27 - Distribuzione FUS ed EXTRA-FUS per Regione (2008)
Valle d'Aosta
Molise
Basilicata
Calabria
Trentino Alto Adige
Umbria
Abruzzo
Marche
Puglia
Sardegna
Friuli Venezia Giulia
Liguria
Piemonte
Sicilia
Toscana
Campania
Emilia Romagna
Veneto
Lombardia
150
140
130
120
110
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
Milioni
0
Lazio
Fonte: elaborazione IEM su dati Osservatorio dello Spettacolo, Mibac. Dati in milioni di euro.
In conclusione, sia la programmazione triennale delle risorse prevista dalla “Legge madre”
istitutiva del FUS, messa in discussione dalle leggi finanziarie che hanno spesso modificato
gli stanziamenti originari programmati l’anno precedente, sia le ridotte dimensioni di un
fondo che incide in misura marginale sul bilancio pubblico, impongono una riflessione sulla
riqualificazione della spesa per lo spettacolo da collocare tra gli investimenti in conto capitale (e
non come spesa corrente) garantendo maggiore stabilità e continuità nel tempo agli operatori
e svincolando l’andamento dell’investimento dal ciclo economico e congiunturale. L’afflusso
288
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
di risorse extra-FUS, inoltre, anziché svolgere un prezioso ruolo di complementarietà nelle
fasi di maggior contrazione delle risorse ordinarie ha mostrato una serie di limiti legati ad
una programmazione di emergenza poco coerente con l’assetto complessivo del sistema di
finanziamento pubblico.
Una considerazione finale sul rapporto che lega lo Stato alle Regioni in materia di spettacolo.
A distanza di 10 anni dalla riforma del Titolo V della Costituzione che ha inserito lo spettacolo
nelle materie di legislazione concorrente (attribuendo allo Stato centrale il compito di fornire
le linee di indirizzo generale e alle Regioni la potestà regolamentare ed amministrativa), si è
ancora in attesa di una profonda riforma del sistema di finanziamento pubblico. Solo attraverso
un organico provvedimento che assegni in modo razionale e con un approccio improntato alla
leale collaborazione, compiti, funzioni e risorse ai vari livelli di governo sarà possibile superare
la gestione accentrata e deficitaria del FUS, correggendo quelle condizioni di forte squilibrio
evidenziate nei dati sulla distribuzione delle risorse nazionali all’interno delle varie regioni214.
Un primo importante banco di prova è giunto nell’aprile 2010 con un Decreto Legge del
Ministero per i Beni e le Attività Culturali di riforma delle Fondazioni Lirico-Sinfoniche
che, come abbiamo analizzato, assorbono più del 47,5% del FUS215. Il provvedimento mira
ad assicurare un adeguato contenimento dei costi del personale, intervenendo sul sistema
di contrattazione collettiva, attribuendo ad un unico soggetto centrale la rappresentanza dei
datori di lavoro, sospendendo il meccanismo del turnover e ricorrendo a forme più flessibili di
impiego. Tenendo conto delle specificità dei vari soggetti, a successivi regolamenti è affidato il
compito di attenersi ai seguenti criteri:
1. razionalizzazione dell’organizzazione e del funzionamento sulla base dei principi di
efficienza, corretta gestione, economicità ed imprenditorialità, anche al fine di favorire
l’intervento di soggetti pubblici e privati nelle fondazioni;
2. individuazione degli indirizzi ai quali dovranno informarsi le decisioni attribuite alla
autonomia statutaria di ciascuna fondazione, con particolare riferimento alla composizione
degli organi, alla gestione e al controllo dell’attività, nonché alla partecipazione di privati
finanziatori nel rispetto dell’autonomia e delle finalità culturali della fondazione;
3. previsione di forme adeguate di vigilanza sulla gestione economico-finanziaria della
fondazione;
4. incentivazione del miglioramento dei risultati della gestione attraverso la rideterminazione
5. dei criteri di ripartizione del contributo statale;
6. disciplina organica del sistema di contrattazione collettiva;
7. eventuale previsione di forme organizzative speciali per le fondazioni lirico-sinfoniche in
relazione alla loro peculiarità, alla loro assoluta rilevanza internazionale, alle loro eccezionali
capacità produttive, per rilevanti ricavi propri o per il significativo e continuativo apporto
finanziario di soggetti privati,
Il provvedimento contiene inoltre alcune misure volte a razionalizzare l’intero sistema di
finanziamento statale destinato agli organismi dello spettacolo dal vivo, rideterminando i
criteri selettivi di assegnazione dei contributi agli organismi di spettacolo, tenendo conto delle
attività svolte e rendicontate, dei livelli quantitativi e dell’importanza culturale della produzione
svolta, della regolarità gestionale degli organismi, nonché degli indici di affluenza del pubblico.
L’intento è rendere ancora più selettivi e trasparenti i criteri da adottare per il finanziamento
alle attività di musica, di danza, di prosa e dei circhi e spettacoli viaggianti.
214
Per una trattazione esaustiva sul tema si rimanda a Andrea Morrone, Lo spettacolo dopo la riforma del
Titolo V: idee per una legge generale, in Le Regioni, 1/2009, Il Mulino, febbraio 2009. Il 22 febbraio 2010 la VII
Commissione Cultura della Camera ha approvato all’unanimità un testo unificato (legge quadro per lo spettacolo
dal vivo) che, superato il nodo della copertura finanziaria, potrebbe divenire legge entro l’anno.
215
Il decreto Legge è stato approvato con carattere di necessità ed urgenza dal Consiglio dei Ministri il 16
aprile 2010 ed è attualmente in fase di conversione in Parlamento.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
289
Il 31 maggio 2010, nel quadro della manovra correttiva dei conti pubblici da 24 miliardi di euro
nel biennio 2010-2011216 resa necessaria dall’inasprirsi della crisi economica internazionale e
dalla richiesta in sede comunitaria di un deciso intervento di contenimento della spesa pubblica
per ridurre il rapporto deficit/Pil, il governo ha deciso di “de-finanziarie” una serie di enti ed
istituzioni culturali tra cui, a titolo esemplificativo, il Centro Sperimentale di Cinematografia,
la Fondazione Rossini, il Festival dei Due Mondi di Spoleto, l’Istituto del Dramma Antico e
l’Arena di Verona e di sopprimere alcuni enti pubblici tra cui l’Ente Teatrale Italiano.
La lista composta da 232 realtà operanti in vari ambiti dello spettacolo, della cultura e
delle scienze che nel 2009 avevano ricevuto complessivamente 21,5 milioni di euro, è stata
successivamente stralciata dal provvedimento ma al Ministero per i beni e le Attività Culturali
è stata attribuito il compito, entro due mesi, di ridurne del 50% i trasferimenti (pari a 10,7
milioni), a seguito di una attenta valutazione nel merito delle attività svolte dai singoli soggetti
chiamati in causa.
4.4. Forme di incentivi pubblici alle infrastrutture di telecomunicazione
4.4.1. Introduzione
Allo stato attuale esitono diverse tipologie di incentivi allo sviluppo di infrastrutture di
telecomunicazioni, il cui obiettivo è il superamento del digital divide sia dal punto di vista
della diffusione delle reti - attraverso la loro implementazioni mediante fibra ottica, rame e
tecnologie wireless - sia dal punto di vista dell’alfabetizzazione informatica - attraverso politiche
di stimolo dei servizi di e-government da parte delle amministrazioni locali.
Sono vari gli effetti benefici per la collettività che una riduzione del digital divide può produrre.
Innanzitutto l’accrescimento del grado di coesione sociale. La diffusione della “rete” garantisce
infatti una crescita di tipo culturale, laddove i flussi di informazione, le norme sociali e le best
practices possono essere più facilmente scambiate, nonché partecipate da tutti i cittadini. Allo
stesso tempo, la diffusione della banda larga consente alle Amministrazioni Pubbliche (PA)
di fornire servizi di e-government a tutti i livelli, migliorando l’offerta e l’efficienza dei servizi
pubblici, che risultano più accessibili ai cittadini e introducono evidenti risparmi nei costi di
gestione, oltre che importanti elementi di trasparenza ed equità.
I vantaggi derivanti dalla diffusione della banda larga riguardano ovviamente ed in maniera
anticipata anche il settore privato. Si pensi alle piccole e medie imprese che, grazie alla diffusione
delle nuove tecnologie di comunicazione, possono accedere più facilmente ed a costi più bassi
a servizi prima accessibili in via esclusiva alle grandi imprese (ad es. nella commercializzazione
dei prodotti all’estero), accrescendo la loro capacità competitiva. Un esempio emblematico è
costituito dall’esperienza bancaria, dove l’elevata diffusione dei moderni strumenti telematici
ha consentito la nascita di una tipologia di banca svincolata dalla tradizionale presenza sul
territorio (sportello bancario), a favore di un incremento di servizi digitali (phone banking,
home banking). Una tendenza, questa, estendibile a vari altri settori dell’economia operanti
nella distribuzione di servizi, quali l’energia elettrica, i trasporti, le assicurazioni etc.
Al fine di conseguire l’obiettivo del potenziamento della banda larga e la riduzione del digital
divide, la spesa pubblica è accompagnata da opportune politiche di sostegno ed incentivazione
del settore delle telecomunicazioni, in grado di stimolare anche l’investimento privato. Le
politiche richieste nel settore delle telecomunicazioni vanno in almeno tre direzioni:
•
politiche di regolamentazione, basate sullo stimolo alla concorrenza e quindi alla
partecipazione al mercato di nuovi soggetti competitori. Questi interventi dovrebbero
essere non soltanto in grado di ridurre i prezzi dei servizi ma nel contempo mantenere
elevata l’efficienza e la qualità del servizio reso;
216
Decreto Legge “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, GU
n 125 del 31.5.2010.
290
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
•
politiche culturali, volte a ridurre al minimo l’analfabetismo informatico tra la popolazione
e quindi ad accrescere la domanda di servizi informatici avanzati;
•
politiche infrastrutturali, per ridurre l’isolamento fisico della popolazione rispetto
all’accesso alla connessione broadband.
In Italia le politiche infrastrutturali sono particolarmente decisive per una riduzione del digital
divide: l’orografia del territorio e la presenza di zone scarsamente popolate rende queste aree
poco appetibili agli operatori privati, i quali tendono a concentrare i propri investimenti
nelle aree metropolitane, con una più alta concentrazione di popolazione e servizi avanzati
e quindi con maggiori ritorni economici. Questo rappresenta un caso classico di fallimento
del mercato, in presenza del quale il ruolo dell’investimento pubblico diventa essenziale
per garantire accessibilità ai servizi anche in aree altrimenti scarsamente interessate dagli
investimenti privati o per creare incentivi ai privati affinché garantiscano che l’offerta dei servizi
di telecomunicazione sia capillare sul territorio.
Le politiche di sostegno al settore delle telecomunicazioni, impostate all’inizio del nuovo
millennio, sono state portate avanti attraverso diversi livelli di intervento quali la semplificazione
delle procedure per la realizzazione di reti e infrastrutture di comunicazione elettronica,
l’istituzione di organismi dedicati quali il Comitato interministeriale per la diffusione della banda
larga, l’Osservatorio Banda Larga e Infratel spa e, dal punto di vista finanziario, la realizzazione
(diretta o tramite bando pubblico a cofinanziamento regionale) delle infrastrutture tramite
la stessa Infratel, la sottoscrizione di protocolli d’intesa tra Ministero delle Comunicazioni,
Infratel s.p.a e gli operatori tlc di più vaste dimensione (Telecom Italia e Fastweb) e altre forme di
finanziamento regionali, fondi comunitari217 e accordi tra regioni e operatori. In considerazione
di tale complessità, in questa sede sono stati approfondite specificamente le politiche connesse
alla realizzazione delle infrastrutture a banda larga: relativamente all’analisi degli incentivi al
settore ICT e di servizi quali e-health ed e-government, l’Istituto di Economia dei Media Fondazione Rosselli ha aperto un apposito Osservatorio incaricato di monitorare gli interventi
di policy e gli investimenti dedicati a queste iniziative sia a livello dell’amministrazione centrale
sia soprattutto delle singole amministrazione regionali, i cui risultati verranno pubblicati nel
corso del 2011.
4.4.2. I principali organismi impegnati nella diffusione della banda larga
Esistono una molteplicità di organi coinvolti nel processo di finanziamento pubblico delle
infrastrutture di telecomunicazione in Italia, e altrettanti sono stati creati appositamente per la
gestione operativa di tali investimenti.
Il principale è Infratel Italia spa, società istituita con il duplice obiettivo di realizzare infrastrutture
di telecomunicazioni a banda larga ed eliminare il digital divide nelle aree sottoutilizzate del
Paese, per soddisfare le esigenze di servizio delle pubbliche amministrazioni e per sostenere
lo sviluppo delle aree industriali. Infratel Italia è stata costituita già dal ’99218 su iniziativa del
Ministero delle Comunicazioni (ora accorpato al Ministero dello Sviluppo Economico) e
di Sviluppo Italia s.p.a. in qualità di società di scopo per l’attrazione degli investimenti e lo
sviluppo d’impresa (il 99% fa capo a Sviluppo Italia S.p.A. e l’1% a Sviluppo Lazio S.p.a), ma è
operativa dal giugno 2004.
217
Tra le risorse comunitarie occorre citare i fondi Feasr e Fesr. Il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo
rurale (FEASR), introdotto con la riforma della politica agricola comune (PAC) del giugno 2003 e dell’aprile 2004
è uno strumento di finanziamento e di programmazione unico istituito dal regolamento (CE) n. 1290/2005 allo
scopo di rafforzare la politica di sviluppo rurale dell’Unione e semplificarne l’attuazione. Il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) è stato istituito dal Regolamento (CE) n. 1783/1999 del Parlamento europeo, del 12 luglio
1999. Tale regolamento stabilisce l’intervento del FESR nell’ambito degli obiettivi 1 e 2, delle iniziative comunitarie
a favore della cooperazione transnazionale, transfrontaliera e interregionale (Interreg III) e del rilancio economico
e sociale delle città e dei quartieri in crisi (Urban II) e a sostegno di azioni innovatrici e misure di assistenza tecnica,
contemplate dal regolamento generale.
218
D.lgs. 9 gennaio 1999, n. 1, come integrato dall’art. 1 del d. lgs. 14 gennaio 2000, n. 3
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
291
Nel 2005 è stata incaricata di attuare il Programma Banda Larga dalla Legge n. 80/2005 (art. 7),
che prevedeva la destinazione di appositi fondi di finanziamento da parte del CIPE (vedi infra).
Tale previsione segue un Accordo di Programma stipulato nel dicembre 2005 con il Ministero
delle Comunicazioni. Lo stesso strumento dell’ Accordo di programma quadro è stato previsto
dal Governo per rafforzare l’intervento di Infratel nell’ambito locale.
Il Comitato Interministeriale per la programmazione economico è un organo di decisione
politica in ambito economico e finanziario che svolge funzioni di coordinamento in materia
di programmazione della politica economica da perseguire a livello nazionale, comunitario
ed internazionale; in particolare è deputato all’allocazione delle risorse finanziarie a
programmi e progetti di sviluppo e approva le principali iniziative di investimento pubblico
del Paese. Presieduto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, è composto anche dai Ministri
dell’economia, degli affari esteri, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti,
del lavoro, delle politiche agricole e forestali, dell’ambiente, dei beni culturali, dell’istruzione,
delle politiche europee, dei rapporti con le Regioni e del turismo, oltre che dal Presidente della
Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Province Autonome.
Il Comitato si riunisce in sedute con cadenza periodica e le delibere relative alle decisioni
assunte sono inviate alla Corte dei Conti per la registrazione e successivamente pubblicate sulla
Gazzetta Ufficiale.
Tra i principali argomenti oggetto di esame da parte del CIPE, quelli più direttamente inerenti
i finanziamenti pubblici alle infrastrutture di telecomunicazione sono:
•
la Decisione di Finanza Pubblica, la Relazione previsionale e programmatica, il Programma
statistico nazionale;
•
il Programma delle Infrastrutture Strategiche della c.d. “legge obiettivo”, nell’ambito del
quale il Comitato approva i singoli progetti e assegna le risorse finanziarie;
•
l’attuazione del Quadro Strategico Nazionale 2007-2013;
•
il riparto di risorse finanziarie del Fondo Aree Sottoutilizzate (FAS) e dei Fondi da questo
alimentati che operano nei settori mobilità, politiche sociali, sostegno alle imprese, ricerca,
innovazione tecnologica, ambiente, sicurezza, istruzione.
Il Cipe stabilisce annualmente e destina, tramite il Fondo aree sottoutilizzate (articolo 61
della legge 27 dicembre 2002, n. 289219), appositi finanziamenti ad Infratel per l’attuazione del
Programma Banda Larga (Legge n. 80/2005 art. 7), in seguito al già citato Accordo di Programma
stipulato nel dicembre 2005 tra la stessa Infratel e il Ministero delle Comunicazioni.
Tali risorse vengono stabilite dal Cipe annualmente e possono essere rimodulate tramite
delibere ulteriori o nelle previsioni delle successive Leggi Finanziarie (come avvenuto nel 2005,
2006 e 2007).
Il Programma Larga Banda è stato approvato con delibera Cipe n. 83/2003: il primo
intervento, che riguardava specificamente le regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata,
Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia) mirava a collegare le centrali degli
operatori commerciali con la posa di 1.800 chilometri di fibra ottica in 265 comuni ed è stato
finanziato con 150 milioni di euro complessivi per il triennio 2003-04-05. Il Programma
Banda Larga è nato con un duplice obiettivo: da un lato realizzare un’infrastruttura pubblica
per collegare gli operatori commerciali e dall’altro promuovere l’alfabetizzazione informatica
presso la popolazione stimolando il consumo di servizi digitali (in primis l’e-government).
Tale distinzione si è concretizzata con l’assegnazione del primo compito al Ministero delle
Comunicazioni (tramite Infratel) Mentre al Ministero per l’innovazione e le tecnologie spetta
219
Il Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) nasce con l’istituzione dei due Fondi di cui agli artt. 60 e 61 della
legge n.289/2002 (legge finanziaria per il 2003), unificati poi con l’art. 4, commi 128 e 129 delle legge n.350/2003
(legge finanziaria per il 2004) nel Fondo per le aree sottoutilizzate, articolato su un arco temporale di quattro anni,
sia per favorire la convergenza del periodo di programmazione finanziaria con quello di impiego delle risorse, sia
per tenere conto della diversa velocità di spesa degli strumenti.
292
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
la promozione della domanda di servizi digitali (obiettivo per cui fu creata, da parte del gruppo
Sviluppo Italia, Innovazione Italia S.p.A.).
Il Ministero dello Sviluppo Economico è l’organo che si occupa direttamente di promuovere le
politiche di riduzione del digital divide mentre l’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni,
in quanto organo di vigilanza, si occupa di analizzare il mercato delle telecomunicazioni e
vigilare affinché non vi siano squilibri nel corretto svolgimento dello stesso. Il rapporto tra i due
organismi in materia di contrasto al divario digitale risulta tuttavia controverso alla luce della
mancata inclusione, nell’attuale Codice delle Comunicazioni Elettroniche, delle politiche di
lotta al digital divide tra i criteri da considerare per l’allocazione delle risorse infrastrutturali e
frequenziali. Se il Ministero, anche alla luce del pronunciamento favorevole della Commissione
europea in materia di aiuti di Stato indirizzati allo sviluppo e all’adozione dei servizi pubblici
televisivi e telematici220 e della volontà del Governo di favorire la diffusione dell’e-government,
può utilizzare il criterio della riduzione del divario digitale nell’allocazione delle risorse in
seguito a relative indicazioni da parte del Governo, l’Agcom, in quanto Autorità indipendente
dalle istituzioni governative, deve attenersi ai criteri elencati dal Codice. Tra questi, i principali
sono l’ottimizzazione dei vantaggi per gli utenti, lo sviluppo della concorrenza, la sostenibilità
degli investimenti rispetto alle esigenze del mercato, la non discriminazione e la neutralità
tecnologica, la trasparenza e la consultazione delle parti. Tale discrepanza nei criteri di gestione
delle risorse risulta critica nel caso di assegnazione dei diritti d’uso di parte dello spettro delle
frequenze, che come noto sono di proprietà pubblica e di capacità limitata. In questi casi, come
avvenuto per l’assegnazione delle frequenze per il Wi-Max e come presumibilmente avverrà
allorché verranno messe a bando le frequenze per la banda larga mobile, all’Autorità221 spetta il
compito di emanare i criteri per l’assegnazione, i quali però, a causa di tale lacuna legislativa,
non includono direttamente la lotta al digital divide ma si basano sulla trasparenza e la garanzia
della corretta applicazione del principio di concorrenza. Di conseguenza il Ministero, nella
propria attività di emanazione del bando sulla base delle linee guida promosse dall’Autorità, pur
nella volontà di favorire i soggetti operanti in zone scoperte dalle infrastrutture, deve limitarsi
a procedere entro i limiti designati dall’Autorità. Nel caso dell’assegnazione delle frequenze
per il Wi-max il problema è stato parzialmente risolto dall’Agcom attraverso l’emanazione di
linee guida che, pur orientate a concedere la priorità alla concorrenza, lasciavano un margine
interpretativo al Ministero per favorire nel contempo la riduzione del digital divide.
Emerge quindi distintamente la necessità di implementare la collaborazione tra organi
nazionali e locali per sviluppare una strategia unitaria di lotta alla mancanza di infrastrutture
di telecomunicazioni in determinate aree del Paese, al momento regolata attraverso la
formula degli Accordi di Programma tra Ministero e Regioni. Proprio il ruolo delle Regioni
nel promuovere ed attuare azioni dirette per lo sviluppo delle telecomunicazioni si è molto
rafforzato negli ultimi anni. La centralità delle azioni di livello regionale è stata confermata
per esempio dal piano “eGovernment 2012”, che individua nell’abbattimento del digital divide,
con una forte focalizzazione sugli aspetti relativi alla distribuzione dei servizi di e-government
a cittadini e imprese, uno degli assi prioritari del Piano. Come congiuntamente dichiarato e
condiviso da Stato, Regioni, Province autonome ed Enti locali nel Piano straordinario 2010
di preparazione all’eGov 2012 “l’innovazione della società e dell’amministrazione richiede che
in ogni territorio regionale vi sia la disponibilità di servizi infrastrutturali tali da raggiungere
tutte le località, soprattutto quelle meno servite da infrastrutture tradizionali, e in modo da
consentire livelli di servizio adeguati per quantità e qualità”.
Un ruolo molto importante è giocato dalla disponibilità di risorse di derivazione comunitaria
(fondi strutturali e risorse aggiuntive nazionali FAS), che rappresentano, soprattutto per
le regioni del Mezzogiorno, un canale essenziale su cui far leva per promuovere interventi
diretti a favore del settore delle telecomunicazioni. Ciò risulta tanto più vero dall’analisi dei
documenti di programmazione regionale dello sviluppo (Programmi Operativi Regionali –
220
221
Comunicazione 2001/C320/04 della Commissione europea.
Ex art. 29 D.Lgs. 259/2003
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
293
POR 2007-2013) che individuano le telecomunicazioni e, più in generale, lo sviluppo della
società dell’informazione, quali driver per ridurre la sottoutilizzazione delle risorse territoriali
ed avviare processi di crescita che favoriscano il riallineamento del divario rispetto alle regioni
più avanzate. Tuttavia, allo stato attuale permane notevole incertezza sulla consistenza e quindi
sulla disponibilità effettiva di tali risorse per le Regioni, specie per la parte dei fondi FAS, la
quale è stata già interessata nel biennio 2008-09 da misure urgenti improntate a principi di
concentrazione delle risorse su obiettivi ritenuti prioritari per il rilancio dell’economia italiana,
quali le infrastrutture strategiche (con particolare enfasi alle reti per la mobilità ed al sostegno
delle attività produttive) e l’emergenza occupazionale.
Altri due organi sono stati creati specificamente per favorire la diffusione del broadband: il
Comitato Interministeriale per la diffusione della banda larga e l’Osservatorio Banda Larga.
Il primo, già “Comitato esecutivo interministeriale per la predisposizione del Piano Nazionale
di sviluppo della larga banda” (2002-2005), è stato riattivato il 20 Dicembre 2006 per agevolare
la realizzazione di reti e infrastrutture di comunicazione per la fornitura di servizi a banda larga,
con il duplice obiettivo di coordinare e monitorare le iniziative già intraprese e individuare gli
interventi prioritari per il raggiungimento dei livelli essenziali di abilitazione tecnologica sul
territorio nazionale, attraverso il confronto con i rappresentanti delle Amministrazioni Locali,
degli utenti e degli operatori nel settore delle Telecomunicazioni. Il 20 settembre 2007 il Gruppo
Tecnico del Comitato ha pubblicato le Linee guida per i Piani regionali per la banda larga,
successivamente approvate dalla Commissione Permanente per l’Innovazione Tecnologica
negli Enti Locali e nelle Regioni, nonché dalla Conferenza Unificata, che identificano i modelli
di sviluppo da adottare per finanziare iniziative di infrastrutturazione a banda larga a livello
locale.
L’Osservatorio Banda larga è nato allo scopo di monitorare tutte le iniziative volte a creare
infrastrutture a banda larga sul territorio italiano. Istituito nel 2002 da Between, azienda che
offre servizi specialistici di consulenza strategica e tecnologica sull’ICT, con la collaborazione del
Comitato Esecutivo per la Larga Banda, realizza un monitoraggio continuo della disponibilità
di infrastrutture e servizi a banda larga nelle varie zone del paese, dei processi di adozione e dei
modelli di sviluppo locali.
Le funzioni principali dell’Osservatorio consistono nella mappatura dell’offerta di infrastrutture
e servizi a banda larga, nella mappatura della domanda di connettività e servizi a banda larga
da parte di famiglie, imprese e nella Pubblica Amministrazione, nell’analisi dei modelli di
sviluppo locale e delle best practices internazionali. L’attività dell’Osservatorio risulta quanto
più importante in considerazione della mancanza, a livello governativo, di un monitoraggio
completo dell’attività di microinfrastrutturazione operata dagli operatori minori, in particolar
modo tramite tecnologie alternative.
4.4.3 I principali interventi a livello nazionale
Gli interventi statali in favore della riduzione del digital divide possono essere distinti in due
tipologie: gli interventi normativi mirati alla semplificazione delle procedure e all’indirizzo
delle politiche pubbliche locali e le previsioni di risorse destinate alla diffusione delle nuove
tecnologie e alla realizzazione delle infrastrutture.
Relativamente al primo aspetto, il primo intervento risale al 2002, anno in cui è stato approvato
il c.d. “Decreto Gasparri” (D.Lgs. 198/2002) che, tramite la previsione di una procedura
unificata in favore degli enti locali, ha semplificato e accelerato il rilascio delle autorizzazioni
per l’installazione di infrastrutture per comunicazioni fisse e mobili. Un secondo intervento
mirato alla semplificazione delle procedure consiste nella previsione, all’interno del Codice
delle Comunicazioni Elettroniche, di una procedura unitaria per la realizzazione di reti e
infrastrutture di comunicazione elettronica (comprese quindi quelle necessarie alla fornitura
dei servizi a banda larga) disciplinata dal Capo V del Codice (Art 86-95). Tale normativa
294
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
riguarda in particolare l’esercizio delle funzioni degli enti locali in materia di concessione alla
realizzazione delle infrastrutture e autorizzazione all’effettuazione di opere civili, compresi
scavo e occupazione di suolo pubblico e la procedura e i poteri dell’Agcom al fine di realizzare
la condivisione di infrastrutture e coordinare la realizzazione delle opere.
Anche le linee guida emanate dal Comitato per la banda larga hanno evidenziato la presenza
a livello locale di ostacoli burocratici che rallentano la realizzazione delle infrastrutture. A tal
proposito, nel 2008 il d.l. n.112 (art 2) ha introdotto alcune misure dirette a semplificare e a
accelerare le procedure necessarie per l’installazione di reti in fibra ottica, di cui la principale
consiste nella possibilità di utilizzare, senza oneri, le infrastrutture civili di proprietà pubblica
o di titolarità di concessionari pubblici per la posa dei cavi.
Dal documento emergono 4 modelli fondamentali per colmare il digital divide in Italia:
1. Accordo tra Amministrazione e operatori per l’attuazione di reciproci impegni in termini di
investimenti sulla banda larga
Questo modello prevede obblighi comuni a amministrazioni e operatori ed in particolare:
•
la condivisione dell’obiettivo dell’annullamento del digital divide infrastrutturale;
•
la redazione e la condivisione di piani di investimento sulla banda larga (l’amministrazione
relativamente allo sviluppo di contenuti multimediali e servizi in rete, e gli operatori con
riferimento all’adeguamento della loro infrastruttura TLC verso il superamento del digital
divide);
•
la negoziazione del contenuto dei rispettivi piani, al fine di assicurarne la coerenza e la
reciproca convenienza;
•
il coordinamento in merito alle modalità di realizzazione e di gestione dell’accordo
(tramite iniziative come l’istituzione di strutture di coordinamento e controllo, azioni di
monitoraggio, iniziative di comunicazione, ecc).
Si prevede inoltre che le amministrazioni ricerchino l’accordo con tutti gli operatori presenti
sul territorio e disposti ad investimenti propri in infrastrutture nelle aree in digital divide, al
fine di tutelare la concorrenza nel mercato della banda larga.
I punti di forza di questo modello sono la garanzia del massimo rispetto dei ruoli reciproci
dei soggetti coinvolti - poiché prevede che gli operatori si occupino dello sviluppo delle reti
e le amministrazioni pubbliche si occupino di erogare i servizi sulla rete e di promuovere lo
sviluppo dei contenuti multimediali - e del massimo approccio negoziale tra Ente ed operatori.
Lo strumento normalmente adottato per attuare questo modello è il protocollo d’intesa.
2. Contributi alle imprese in aree di fallimento del mercato
Questo modello viene comunemente denominato “modello scozzese” poiché si basa sulle
caratteristiche del progetto “Broadband in Scotland”, valutato dalla Commissione Europea
come aiuto di stato compatibile con l’art. 87, paragrafo 3, lettera C del Trattato CE (State
Aid n. 307/2004). Prevede la possibilità per l’amministrazione di erogare un finanziamento
pubblico agli operatori nelle aree a fallimento di mercato, dove cioè “i ricavi non sono in grado
di sostenere le spese di gestione” o dove “non si raggiunge il pareggio se alle spese di gestione
si sommano quelle di investimento o si raggiunge ma su orizzonti temporali non coerenti con
le politiche degli operatori (considerando normalmente 3 anni di rientro dagli investimenti)”.
L’intervento consiste di due fasi: la selezione, tramite procedura di evidenza pubblica, di uno
o più operatori di telecomunicazioni che intendano coinvestire sul territorio per dare servizi
di connettività a cittadini ed imprese, e l’incentivazione economica dell’azione degli operatori
selezionati. Il finanziamento è subordinato all’effettivo verificarsi, ex-post, del fallimento del
mercato durante l’arco di validità dell’incentivo (3-5 anni).
Questo tipo di intervento può attuarsi esclusivamente in zone in cui esso si dimostri
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
295
effettivamente necessario, cioè in aree in cui sono presenti nuclei abitativi o imprese, e deve
essere realizzato con modalità atte ad assicurare la non distorsione del mercato (ad esempio la
Regione può prevedere segmentazione del territorio in più “lotti” di intervento qualora esistano
operatori locali subregionali in grado di intervenire in aree limitate).
Il finanziamento deve rispettare i criteri di proporzionalità ed essere limitato alla quota
necessaria a raggiungere l’equilibrio costi/ricavi per ciascuno degli interventi infrastrutturali
necessari. Per tale ragione sono previsti la necessità per l’operatore di tenere la contabilità
separata e meccanismi di rientro dei capitali pubblici in caso l’investimento si riveli più proficuo
del previsto.
Questo modello di intervento non prevede nessun asset di proprietà pubblica, e fin’ora è stato
applicato, in Italia, solamente da Toscana e Sardegna.
3. Realizzazione di infrastruttura pubblica di backhaul a disposizione degli operatori
Il backhauling è l’infrastruttura di rete “intermedia” tra i backbone (ovvero le grandi “dorsali”
della rete a banda larga) e i siti che ospitano le apparecchiature per l’accesso finale dell’utente
(xDSL o wireless che sia). In questo caso, dunque, il settore pubblico realizza (direttamente
o tramite l’intervento di un soggetto intermediario) l’infrastruttura passiva (cavidotto e fibra
spenta) per collegare siti di raccolta di accesso (centrali, antenne base, ecc.) ai backbone
degli operatori, e concede in affitto l’infrastruttura (in modalità IRU) a uno o più operatori,
che in questo caso completano la rete con l’installazione degli apparati per l’attivazione del
servizio di connettività. In tal modo, l’amministrazione si sobbarca quella parte di intervento
che generalmente rappresenta la più grande barriera all’entrata per gli operatori, poiché la rete
intermedia (backhaul) rappresenta circa il 70 per cento dei costi da sostenere per implementare
una nuova rete via cavo e il 40 per cento per una wireless.
Inoltre, poiché l’“ingerenza” pubblica si ferma a livello di infrastruttura passiva, la possibilità
per gli operatori di gestire l’attivazione, l’organizzazione e la customizzazione dei servizi
consente di aumentare la competizione nei livelli più alti della catena del valore (a livello di
reti, di tecnologie, di servizi e contenuti). Per rientrare nella normativa europea devono essere
rispettate le condizioni previste della sentenza Altmark che prevedono che la compensazione
non debba eccedere quanto necessario per bilanciare (interamente o in parte) gli oneri di
servizio pubblico e che la scelta dell’operatore privato vada effettuata mediante procedura di
appalto pubblico, che consenta di selezionare l’impresa in grado di fornire i servizi al costo
più basso. I relativi finanziamenti sono configurabili come compensazione per un Servizio di
Interesse Economico Generale.
In Italia questo modello è stato adottato da Infratel per completare alcune tratte di interesse
di più operatori e collegare in fibra ottica alcune centrali di Telecom Italia. In alcuni casi
l’intervento è stato inserito in un piano organico dalla Regione. Altre Regioni hanno costruito
backbone pubblici (con l’obiettivo prevalente di collegare la Pubblica Amministrazione Locale
con accessi in fibra ottica ad altissima velocità) da mettere successivamente a disposizione
degli operatori alternativi. Dove questo è già effettivamente avvenuto, gli impatti in termini di
aumento della copertura a banda larga non si sono ancora dimostrati.
4. Realizzazione di una struttura pubblica di accesso e affidamento in gestione a operatore
privato
Questa tipologia di modello è adatta alle aree più marginali e in cui l’investimento per gli
operatori si presenta particolarmente sconveniente, prevedendo che l’amministrazione realizzi
l’infrastruttura di rete di accesso ed eventualmente anche di backhaul e affidi la gestione ad un
operatore, tramite gara pubblica. È pensato per le aree a fallimento di mercato, ovvero nelle aree
in cui, senza un intervento di questo tipo, in nessun caso verrebbe realizzata un’infrastruttura
di rete. Secondo le linee guida, infatti, il modello è da ritenersi utilizzabile solo dopo aver
verificato la non fattibilità degli altri e solo nelle aree dove è massimo il fallimento del mercato.
Anche in questo caso l’intervento non viene considerato aiuto di stato purché vengano
296
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
rispettate le condizione della sentenza Altmark (compensazione non eccedente l’effettivo costo
per l’operatore e scelta dell’operatore più efficiente mediante bando pubblico).
In questo modello, il settore pubblico interviene ad un livello più alto della catena del valore, e
la pianificazione deve comprendere anche la ricerca di operatori disposti ad erogare il servizio,
prendendosi l’impegno di gestire la rete effettuando regolarmente la manutenzione. Le linee
guida, infine, sconsigliano alle amministrazioni pubbliche di gestire direttamente il servizio,
anche attraverso una propria società.
Una diversa tipologia di intervento riguarda la firma dei protocolli d’intesa tra Ministero delle
Comunicazioni, Infratel e due fra i maggiori operatori di telecomunicazioni che operano
in Italia, Telecom e Fastweb: il primo, siglato con l’incumbent il 18 dicembre 2007, prevede
l’avvio di un’attività congiunta per la definizione di un piano finalizzato alla sensibile riduzione
del numero delle aree non abilitate alla larga banda, la condivisione delle informazioni circa
la pianificazione degli interventi nelle aree in ‘digital divide’ tenendo conto dei programmi
di infrastrutturazione assunti dal Ministero in accordo con le Regioni e dei programmi
di investimento dell’azienda, l’ottimizzazione dei tempi di abilitazione delle infrastrutture
realizzate, la definizione dei requisiti tecnico-economici per l’acquisizione da parte di Telecom
delle infrastrutture di telecomunicazioni (fibra ottica e infrastrutture di posa), l’individuazione
di eventuali forme di sinergia perseguibili sul territorio e l’impiego di tecnologie innovative in
grado di abbattere i costi e i tempi di realizzazione delle infrastrutture. È stata prevista anche
l’istituzione di un tavolo di coordinamento che servirà a far dialogare, e di conseguenza ad
operare in maniera efficace e produttiva, i soggetti che hanno sottoscritto l’intesa.
Anche l’accordo con Fastweb, siglato il 7 aprile 2008 per favorire lo sviluppo di infrastrutture
a larga banda su tutto il territorio nazionale, prevede funzioni simili tramite un Memorandum
of Understanding finalizzato alla condivisione delle informazioni, alla definizione dei
requisiti tecnico-economici per l’acquisizione da parte di Fastweb delle infrastrutture di
telecomunicazione e la costituzione di un tavolo tecnico tra le parti.
Dal punto di vista della previsione di risorse destinate alla diffusione delle nuove tecnologie,
il primo intervento è stato realizzato sotto forma di incentivo alla domanda, allo scopo di
promuovere l’adozione del broadband presso le famiglie, in seguito alla citata Comunicazione
europea che di fatto permetteva alla Stato di destinare risorse per l’adozione di servizi pubblici
radiotelevisivi o telematici.
Sono stati stanziati complessivamente 87 milioni di euro tra il 2003 e il 2005222, sotto forma di
incentivo di 75 euro per l’acquisto di “apparati per la trasmissione e/o ricezione a banda larga
dei dati via internet”. Non sono stati previsti, tuttavia, criteri per concedere la priorità alle zone
in digital divide, e gli stanziamenti hanno assunto la forma di incentivi per spingere gli utenti a
sottoscrivere abbonamenti alle offerte broadband presenti nel mercato.
Per ciò che concerne gli stanziamenti a favore delle infrastrutture, il primo e più importante
intervento è stato il lancio del Programma Banda larga (2003), nell’ambito del quale è stato
previsto, attraverso il Comitato Interministeriale per la Programmazione economica (Cipe),
lo stanziamento dei fondi per lo sviluppo della banda larga in 8 regioni del Mezzogiorno. Dei
900 milioni complessivi previsti dalla delibera 83 del 2003, 150 milioni sono stati assegnati alla
banda larga, ripartiti rispettivamente in 5,22 milioni di euro per il biennio 2003-2004 e 144,78
milioni per il 2005.
Il fondo previsto per il Programma Banda larga fu assegnato a Sviluppo Italia, soggetto che,
tramite la propria società Infratel, aveva il compito di attuarlo mediante accordi di programma
con regioni e operatori finalizzati alla realizzazione di cavidotti che potevano essere affittati
agli operatori per il passaggio delle rete in fibra ottica223. A tale scopo venne stipulata una
convenzione quadriennale tra il Cipe e Sviluppo Italia, in cui era prevista l’erogazione dei fondi
che quest’ultima avrebbe destinato ad Infratel in qualità di società realizzatrice.
222
223
Fonte: Ministero delle Comunicazioni/Fondazione Ugo Bordoni.
Cfr. Rapporto Isbul 3.3 pp 26.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
297
L’intervento previsto era stato stimato in 230 milioni, il 70% a carico dell’Amministrazione
centrale e il restante 30% a carico delle Regioni. A tal fine, Infratel ha pubblicato nel 2005 un
bando di gara per la progettazione e la realizzazione delle infrastrutture per la banda larga nel
Mezzogiorno pari a circa 127 milioni di euro e articolato in 7 lotti, relativi all’aggiudicazione di
altrettanti accordi quadro, cui sono seguiti contratti attuativi per le singole tratte per un totale
di 1800 km di fibra che raggiungono 265 comuni delle regioni coinvolte224.
Tabella 1 - Bando Infratel 2005
Regione
Investimenti
(milioni di €)
Comuni
interessati
Km di rete in
fibra ottica
Popolazione in digital divide
da raggiungere (migliaia)
% riduzione divario
tecnologico
Sicilia
49.85
105
690
400
43%
Puglia
26.53
44
350
131
20%
Campania
17.99
40
260
184
38%
Basilicata
6.30
10
90
42
14%
Calabria
12.35
25
180
105
12%
Abruzzo e
Molise
7.90
21
110
79
12%
Sardegna
6.05
20
110
68
10%
126.97
265
1790
1.009
22%
Totale
Fonte: Ministero delle Comunicazioni, Isbul
Tabella 2 - Esito Bando Infratel 2005
Lotto
Base d’asta (milioni di €)
Ribasso (%)
Aggiudicazione lotto
(milioni di €)
Sicilia
49.85
5,63
47,13
Puglia
26.53
5,50
25,11
Campania
17.99
5,05
17,11
Basilicata
6.30
3,50
6,09
Calabria
12.35
4,30
11,83
Abruzzo e Molise
7.90
4,15
7,58
Sardegna
6.05
2,93
5,88
126.97
265
120,73
Totale
Fonte: Ministero delle Comunicazioni, Isbul
In seguito alla citata Legge n. 80/2005 (art. 7), che incaricava Infratel di attuare il Programma
Banda Larga, nel dicembre del 2005 è stato stipulato un Accordo di Programma con il Ministero
delle Comunicazioni della durata di venti anni che assegna ad Infratel la gestione delle reti,
la manutenzione ordinaria e straordinaria delle stesse e la possibilità di effettuare interventi
di adeguamento tecnologico. A tal proposito è opportuno osservare come Infratel, nella
propria politica di realizzazione degli accordi quadro, prediliga lo strumento dei “diritto d’uso
temporaneo”225, che comporta la possibilità per il concedente di posare le strutture-base per le
NGN all’interno delle infrastrutture realizzate dall’assegnatario del bando. Nello specifico, una
volta realizzata l’infrastruttura da parte dell’operatore assegnatario del bando, questa rimane in
concessione al costruttore per 15 anni (rinnovabili), mentre Infratel ne è il proprietario e ha
facoltà di aggiornare la rete, affittare la capacità trasmissiva e collegare i cavi con infrastrutture
terze.
In seguito alla sottoscrizione di molteplici accordi di programma tra Infratel e le singole regioni
- tra cui quelli con Emilia Romagna (dicembre 2007), Lazio (febbraio 2008), Marche (marzo
2008) - tra il 2009 e il 2010 Infratel ha pubblicato cinque bandi per il finanziamento dei seguenti
interventi:
224
225
298
Cfr. Rapporto Isbul 3.3 pp 30.
“IRU”, Indefeasible Rights of Use, cfr. Rapporto Isbul 3.3 pp 30.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
•
la prosecuzione degli interventi d’attuazione226 nella Regione Basilicata (il c.d. bando fibra
ottica Basilicata) per i lavori di progettazione esecutiva e realizzazione d’infrastrutture di rete
di telecomunicazioni in fibra ottica, comprensivi della successiva relativa manutenzione227,
del valore complessivo di euro 6.266.000228, di cui l’aggiudicatario è stato il raggruppamento
temporaneo di imprese Valtellina spa - Alcatel Lucent spa229. Le prestazioni oggetto
dell’affidamento sono finanziate a valere su Fondi POR Basilicata – FESR 2007-2013;
•
nelle Marche la progettazione e la realizzazione di infrastrutture costituite da impianti in
fibra ottica per una rete a banda larga (il c.d. bando fibra ottica Marche), comprensiva della
fornitura e posa in opera del relativo cavo in fibra ottica e della successiva manutenzione
dell’infrastruttura, del valore di 16,5 milioni di euro230;
•
l’acquisto di diritti d’uso di infrastrutture idonee alla posa di cavi in fibra ottica da integrare
nella rete di telecomunicazioni realizzata da Infratel (le aree di interesse sono limitate ai
territori non dotate attualmente di infrastrutture in fibra ottica e il quantitativo stimato
degli acquisti è pari a 1.200 KM)231: 14 milioni di euro;
•
la progettazione esecutiva e la realizzazione di infrastrutture costituite da impianti in fibra
ottica per una rete a banda larga, comprensiva della fornitura e posa in opera del relativo
cavo in fibra ottica e della successiva manutenzione dell’infrastruttura (il c.d. Bando Centro
Nord del valore di 71.555.000 euro) suddiviso in due lotti sovra regionali:
•
•
Lotto 1. Emilia Romagna, Liguria e Lombardia: 36.530.000 euro comprensivo di una
quota finanziata a valere su fondi della Regione Emilia Romagna pari ad 3.835.000
euro e di una quota finanziata a valere su fondi della Regione Lombardia pari a euro
4.395.000 euro232;
•
Lotto 2. Lazio, Marche e Umbria: 35.025.000 euro, comprensivo di una quota finanziata
a valere su fondi della Regione Lazio pari ad 5.145.000 EUR e di una quota finanziata a
valere su fondi della Regione Umbria pari a 3.305.000 euro233.
la progettazione esecutiva e la realizzazione di infrastrutture costituite da impianti in fibra
ottica per una rete a banda larga, comprensiva della fornitura e posa in opera del relativo
cavo in fibra ottica e della successiva manutenzione dell’infrastruttura - il c.d. Bando
Nazionale Fibra Ottica, pari a circa Euro 99.528.051, suddiviso in 3 lotti sovra regionali:
•
Lotto 1. Toscana, Abruzzo, Molise e Sardegna: Euro 39.144.667 comprensivo di
226
Nelle risposte ai quesiti posti sul bando di gara dai partecipanti e pubblicate sul sito di Infratel si precisa
che oggetto dell’affidamento è un accordo quadro e non uno specifico appalto.
227
Bando G.U.C.E. del 05 novembre 2008 e G.U.R.I. del 12 novembre 2008.
228
Euro 1.266.000,00 IVA esclusa di cui Euro 36.710,00 per oneri della sicurezza non soggetti a ribasso e di
cui 30.000,00 EUR per spese di progettazione, con facoltà per la stazione appaltante di affidare un ulteriore importo
di lavori pari ad Euro 5.000.000,00 iva esclusa di cui Euro 145.000,00 per oneri di sicurezza non soggetti a ribasso e
di cui Euro 54.000,00 per spese di progettazione; per un totale complessivo pari a 6.266.000,00 iva esclusa.
Sul sito di Infratel non è stato pubblicato il valore dell’aggiudicazione, tuttavia secondo la stessa Valtellina
229
spa, il valore complessivo dell’aggiudicazione ammonta a circa 6 milioni di euro. Cfr. http://www.valtellina.com/
convention/pdf /ValtellinaSpa_progetti_realizzati.pdf.
230
Euro 16.590.900 IVA esclusa di cui Euro 481 136 per oneri di sicurezza non soggetti a ribasso e di cui
Euro 627.600 per spese di progettazione. Le prestazioni oggetto dell’affidamento sono finanziate a valere su Fondi
POR - FESR 2007-2013. Il bando è stato vinto da RTI Ciet Impianti spa, I.CO.T.TEC. srl, Mazzoni Pietro spa. Valore
finale totale degli appalti è pari a 11.476.049,93 euro +Iva.
231
La procedura riguarda l’istituzione di accordi quadro relativi all’acquisto di diritti d’uso di infrastrutture
idonee alla posa di cavi in fibra ottica da integrare nella rete di telecomunicazioni a larga banda realizzata da Infratel
e la successiva manutenzione dell’infrastruttura. Le forniture oggetto del presente affidamento sono finanziate a
valere su Fondi di cui alle leggi finanziarie dello Stato, delibere CIPE e fondi POR - FESR 2007-2013.
232
Valore finale totale dell’Accordo quadro per il Lotto n.1: € 30.743.676,13 IVA esclusa. Data di aggiudicazione:
24/6/2009. Nome e indirizzo dell’operatore economico aggiudicatario: RTI tra Sirti S.p.A. (mandataria) e Sielte
S.p.A.
233
Aggiudicatario del Lotto n.2 è stato un consorzio tra Ericsson Telecomunicazioni S.p.A (mandataria), Site
S.p.A., Alpitel S.p.A e Ceit Impianti S.r.l. per un Accordo quadro del valore di € 28.696.894,20 IVA esclusa. Data di
aggiudicazione: 24/6/2009.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
299
una quota finanziata a valere su fondi FEASR della Regione Abruzzo pari ad Euro
2.107.333, di una quota finanziata a valere su fondi FEASR della Regione Sardegna
pari ad Euro 7.771.333 e una quota finanziata a valere su fondi FESR della Regione
Toscana pari ad Euro 6.250.000,
•
Lotto 2. Piemonte, Lombardia, Veneto e Friuli: Euro 37.768.000 comprensivo di
una quota finanziata a valere su fondi FEASR della Regione Piemonte pari ad Euro
5.260.667, di una quota finanziata a valere su fondi FEASR della Regione Lombardia
pari ad Euro 5.313.333, di una quota finanziata a valere su fondi FEASR della Regione
Veneto pari ad Euro 4.367.333 e di una quota finanziata a valere su fondi FESR della
Regione Veneto pari ad Euro 6.266.667,
•
Lotto 3. Campania e Calabria: 22.615.385 EUR comprensivo di una quota finanziata
a valere su fondi FEASR della regione Calabria pari a euro 8.693.333 e di una quota a
valere su fondi FESR della regione Calabria pari a euro 6.666.667234.
4.4.4 I principali interventi a livello regionale
Molte regioni hanno già intrapreso politiche anti-digital divide, in attuazione delle linee guida
per i Piani regionali per la banda larga, emanate dal Comitato per la diffusione della banda
larga sul territorio nazionale, oppure come autonome scelte di politica regionale. Poiché gli
interventi di diffusione della connettività broadband variano a seconda dei diversi territori, in
relazione alle specifiche caratteristiche orografiche e al tasso di urbanizzazione degli stessi, ogni
regione ha adottato l’approccio che meglio si adatta alle aree da coprire, combinando in taluni
casi tipologie di interventi diversi. I principali, tra quelli utilizzati fino ad oggi, possono essere
così elencati:
1. protocolli d’intesa con gli operatori per la realizzazione delle infrastrutture (Liguria,
Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia);
2. sovvenzione agli operatori per la realizzazione delle infrastrutture strategiche (Toscana);
3. realizzazione di un sistema integrato di servizi a banda larga da parte degli enti locali della
Regione (e-government) (Sicilia, Veneto, Marche, Piemonte, Lombardia, Valle d’Aosta,
Emilia Romagna, Toscana);
4. accordo di Programma con il Ministero delle Comunicazioni per la realizzazione diretta
delle infrastrutture (Liguria, Piemonte, Sardegna, Emilia Romagna, Marche, Umbria,
Lazio, Calabria, Campania);
5. realizzazione diretta di infrastrutture a banda larga (Provincia autonoma di Trento, Friuli
Venezia Giulia).
Come si nota dalla modellizzazione realizzata dall’Isbul, le tipologie di intervento si diversificano
(pur all’interno del percorso tracciato dalle linee guida) adattandosi alle specificità regionali,
e in alcuni casi le stesse regioni ne hanno adottati diversi a seconda delle proprie necessità
territoriali.
Relativamente alla approvazione dei protocolli d’intesa con gli operatori di telefonia, la Liguria
tra marzo e aprile 2008 ne ha firmati tre, rispettivamente con Ericsson, (4 marzo) Telecom (23
aprile) e Fastweb (24 aprile). Questo tipo di accordi erano inseriti nell’ambito del più ampio
Piano Operativo Triennale di Informatizzazione 2006-2008, ideato con l’obiettivo di diffondere
la connessione a banda larga in tutto il territorio ligure. Delle 4 linee di intervento previste dal
piano, la Sottoscrizione di Protocolli di Intesa con Operatori di Telecomunicazioni fa parte
del terzo tipo e comporta due condizioni principali: che gli operatori siano attivi sul territorio
regionale, anche a carattere locale, e che non vi siano oneri finanziari per l’Amministrazione
234
Per tutti i lotti citati, l’affidamento delle quote sopraindicate al soggetto che risulterà aggiudicatario del
lotto è subordinato alla sottoscrizione di una convenzione operativa tra il Ministero dello Sviluppo Economico e la
regione interessata.
300
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
regionale. L’obiettivo dell’accordo con Ericsson consiste nella fornitura di servizi con diverse
tipologie di canale (internet, tv, fonia), sia in mobilità sia per utenti residenziali, mentre gli
accordi con Fastweb e Telecom prevedono l’estensione della copertura a banda larga alle aree
della regione in cui non è presente per consentire l’accesso ai servizi broadband per i cittadini, le
imprese e la Pubblica Amministrazione con particolare attenzione ad alcuni settori quali quello
socio-sanitario e assistenziale, i trasporti, la logistica, il turismo, la sicurezza delle persone e del
territorio, lo sviluppo dell’e-Government e dell’e-Democracy, nonché la formazione dei cittadini
e delle imprese. Quello con Telecom, in particolare, prevede l’estensione della copertura della
rete a banda larga a ulteriori 33 Comuni, raggiungendo entro la fine del 2009 circa il 96% delle
linee telefoniche fisse attive sul territorio, per un totale di 208 Comuni coperti.
La modalità della sovvenzione agli operatori per la realizzazione delle infrastrutture strategiche
è stata utilizzata specificamente dalla Regione Toscana, nell’ambito del “Progetto Banda larga
nelle aree rurali”, lanciato per abbattere il digital divide sul proprio territorio nel periodo 20072010. Il meccanismo prevede la selezione, mediante un Avviso pubblico, di uno o più operatori
di telecomunicazioni, per coinvestire nelle aree a fallimento di mercato e fornire servizi di
connettività a cittadini ed imprese: la Regione eroga specifici incentivi che pareggiano il saldo
negativo tra ricavi e costi stimati, mentre l’operatore che realizza le infrastrutture ha facoltà di
scegliere la soluzione tecnica giudicata più efficiente e, ultimati i lavori, rimane proprietario
della rete. Gli obblighi cui deve sottostare sono la fornitura di servizi di connettività sia a
cittadini ed imprese (retail) sia agli altri operatori di comunicazione che vogliano attivare
servizi nell’area (wholesale), ai quali deve essere garantito l’accesso ai sensi della disciplina
degli artt. 40-52 del d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259, e della normativa regolamentare emanata
dall’Agcom. Il Progetto Banda larga prevede di raggiungere oltre 200 mila cittadini e circa 15
mila imprese, collocati nelle aree giudicate a fallimento di mercato, ed è stato preceduto da
un’analisi volta ad individuare le motivazioni economiche che impedivano agli operatori di
comunicazione di coprire le aree non ancora raggiunte dal broadband, individuando le aree
che sarebbero rimaste scoperte anche nel medio-lungo periodo. I risultati hanno mostrato la
necessità di intervenire in talune aree per garantire i servizi individuati dal piano e-Europe.
In tal modo, il Progetto è rientrato nei parametri tracciati dalla Commissione dopo
l’approvazione del Progetto “Broadband in Scotland”, valutato dalla Commissione Europea
come aiuto di stato compatibile. La procedura di gara si è conclusa con il decreto n. 841 del
26 febbraio 2008, che ha approvato la graduatoria definitiva. Sono stati assegnati tutti i lotti,
con almeno due operatori per ciascun lotto provinciale. L’investimento pubblico complessivo
ammonta a 20 milioni di euro tra Regione Toscana, Province e Comunità europea.
Esempi di realizzazione di un sistema integrato di servizi a banda larga da parte degli enti locali
della Regione (e-government) sono la Valle D’Aosta e il Piemonte.
La prima, oltre a sottoscrivere accordi con gli operatori presenti sul proprio territorio, in
particolare Telecom235, ha promosso, nell’ambito del progetto VALLE D’AOSTA ALL DIGITAL,
una politica di riduzione del digital digital focalizzata sull’alfabetizzazione informatica della
popolazione, allo scopo di diffondere l’utilizzo dei servizi di e-government presso i propri
cittadini.
Anche nell’ambito del progetto piemontese WI-PIE, lanciato per diffondere la connettività
a banda larga presso tutti i comuni tramite la costruzione di una dorsale in fibra ottica e la
diffusione di connessioni wireless per le aree più difficili da raggiungere, sono state introdotte
misure volte a sostenere lo sviluppo di servizi e contenuti digitali da parte degli enti locali della
regione. Poiché la realizzazione del progetto prevede la copertura di alcuni comuni tramite
un accordo di programma con l’allora Ministero delle Comunicazioni e di altri tramite un
apposito protocollo di intesa siglato con Telecom, le politiche di sviluppo dei contenuti, servizi
235
La Regione ha firmato nel 2007 un protocollo d’intesa con il principale operatore del mercato (Telecom
Italia) al fine di disciplinare i rapporti tra le parti per definire le attività necessarie a garantire entro due anni dalla
firma del protocollo, la riduzione del digital divide sul territorio estendendo i servizi broadband sul 100% dei comuni e garantendo il servizio almeno al 96% della popolazione.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
301
e applicazioni di e-government saranno effettuate sia a beneficio dell’incumbent che di tutti gli
altri operatori, ai quali dovrà essere concesso l’accesso anche alle reti realizzate tramite tale tipo
di accordo.
La sottoscrizione di un accordo di Programma con il Ministero delle Comunicazioni per la
realizzazione diretta delle infrastrutture è uno dei modelli più utilizzati, adottato da Liguria,
Piemonte, Sardegna, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Lazio, Calabria, Campania. All’interno
dell’Accordo viene generalmente previsto l’obiettivo di potenziare la rete tramite fibra ottica
e connessioni wireless allo scopo di garantire una capacità media di 2Mb/s in download ai
cittadini che versano in condizioni di digital divide. Gli interventi comportano la realizzazione
diretta delle infrastrutture e prevedono finanziamenti sia statali che regionali, sulla base dei
quali si basa il diritto di proprietà in relazione agli interventi stessi. Ciò significa che le tratte
realizzate con i fondi regionali restano di proprietà delle regioni, mentre quelle realizzate
tramite l’intervento statale restato di proprietà dell’amministrazione centrale e vengono affidate
dalle Regioni in concessione.
La realizzazione diretta di infrastrutture a banda larga, infine, è stata intrapresa anche senza
specifici accordi di programma, in particolare dalla Regione Emilia Romagna, dalla Provincia
autonoma di Trento, dal Friuli Venezia Giulia, dalla Provincia di Genova e di La Spezia. I progetti
prevedono la realizzazione degli interventi da parte di privati con cofinanziamento regionale e
l’affidamento in concessione per la gestione e la fornitura di servizi senza l’intervento di Infratel.
4.4.5 Le risorse stanziate nella lotta al digital divide
Alla luce della molteplicità dei meccanismi di finanziamento nella realizzazione degli
interventi di copertura dei diversi territori, della complessità nell’allocazione delle risorse
tra Amministrazione centrale, Regioni e Comunità europea, e della varietà degli interventi
dovuta alle specificità regionali e territoriali, effettuare una stima delle risorse stanziate nella
lotta al digital divide risulta un’operazione quanto mai complicata e difficilmente scevra da
manchevolezze e semplificazioni. In considerazione della difficoltà di disaggregare le risorse
investite nelle politiche di copertura del territorio in banda larga tra le maglie dei bilanci statali
e regionali e di discernere fra risorse allocate, stanziate o effettivamente impegnate, in questa
sede si propone una quantificazione basata sullo studio dei bandi di gara pubblicati da Infratel
negli ultimi 5 anni.
Come si nota dalla tabella le risorse complessivamente impegnate oltre 312 milioni di euro (al
netto dell’Iva), 197 dei quali già erogati o in corso di erogazione agli assegnatari degli appalti
per l’effettiva realizzazione delle infrastrutture236.
A livello di Amministrazione centrale sono state impegnate risorse pari ad oltre 228 milioni di
euro (al netto dell’Iva), quasi 127 milioni dei quali provenienti dal Programma banda larga del
2005. L’attività di finanziamento è stata intensificata tra il 2009 e il 2010 con lo stanziamento
di 54,8 milioni per il Bando Centro Nord e di 46,8 milioni per il Bando nazionale fibra ottica.
Le risorse regionali e comunitarie impegnate risultano pari ad oltre 91 milioni di euro (al netto
dell’Iva). Tra queste, 15,3 milioni sono stati stanziati per la Calabria e 10,8 per il Veneto (Fesr e
Feasr Bando nazionale fibra ottica); 11,5 milioni sono stati assegnati ad interventi nelle Marche
(Bando fibra Marche, base di partenza 16,6 milioni, finanziati a valere su Fondi POR - FESR
2007-2013); 9,7 milioni sono stati stanziati in Lombardia (4,4 da risorse regionali e 5,3 su fondi
Fears); 7,7 alla Sardegna (fondi Fears Bando nazionale fibra ottica); 6,2 alla Toscana (fondi
Fesr Bando nazionale fibra ottica); 5,2 al Piemonte (fondi Feasr Bando nazionale fibra ottica);
2,1 all’Abruzzo (fondi Fears Bando nazionale fibra ottica); mentre Lazio, Emilia Romagna e
Umbria hanno stanziato, per interventi nel proprio territorio, rispettivamente 5,1 milioni, 3,8
milioni e 3,3 milioni, messi a gara nel Bando centro Nord.
236
Relativamente bando di gara Fibra ottica in Basilicata, sul sito di Infratel sono stati pubblicati i nomi delle
imprese aggiudicatrici-Alcatel Lucent e Valtellina spa - ma non il valore dell’aggiudicazione. Tuttavia, secondo un
documento pubblicato dalla stessa Valtellina spa, il valore complessivo dell’aggiudicazione ammonta a circa 6 milioni di euro. Cfr. http://www.valtellina.com/convention/pdf/ValtellinaSpa_progetti_realizzati.pdf
302
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
Relativamente ai finanziamenti regionali, in particolare, occorre osservare che le risorse
stanziate attraverso i molteplici strumenti di intervento elencati nel paragrafo 1.3 sono
ovviamente molto più ingenti di quelli elencati in questa sede (si pensi che solo in Lombardia
sono previsti 3 progetti per investimenti complessivi di 93 milioni di euro237) ma difficilmente
identificabili.
Tabella 3 - Finanziamenti infrastrutture broadband: risorse nazionali, regionali ed europee
messe a gara
Risorse
POR - FESR,
FEASR o altri
finanziamenti
regionali
Risorse totali
Risorse
erogate (valore
aggiudicazione)
126.970.000
0
126.970.000
120.729.890,37
Bando fibra Basilicata
(gen-2009)
0
6.266.000
6.266.000
6.000.000*
Bando fibra Marche (apr2009)
0
16.590.900
16.590.900
11.476.049,93
Acquisto diritti d’uso
infrastrutture (apr-2009)
n.d.**
n.d.**
14.000.000
n.d.
Risorse
Infratel
BANDI
Bando Mezzogiorno (mar2005)
Bando centro
Nord (mag2009)
lotto 1
28.300.000
8.230.000
36.530.000
3.835.000 Emilia
30.743.676,13 + 4.395.000
Lombardia
lotto 2
26.575.000
8.450.000
35.025.000
5.145.000 Lazio
28.696.894,20 + 3.305.000
Umbria
39.144.667
2.107.333
Abruzzo Feasr+
7.771.333
n.d.
Sardegna Feasr+
6.250.000
Toscana Fesr
37.768.000
5.260.667
Piemonte Feasr
+ 5.313.333
Lombardia
n.d.
Feasr+ 4.367.333
Veneto Feasr+
6.266.667 Veneto
fesr
8.693.333
Calabria Feasr
n.d.
+ Calabria Fesr
6.666.667
lotto 1
23.016.001
16.128.666
Bando
nazionale
fibra ottica
(mar-2010)
lotto 2
Totale***
Note
16.560.000
21.208.000
lotto 3
7.255.385
15.360.000
22 615 385
228.676.386
92.233.566
312.294.567
197.646.510
Fonte: elaborazione IEM. Note: *Sul sito di Infratel non è stato pubblicato il valore dell’aggiudicazione, tuttavia
secondo Valtellina spa, il valore complessivo; ** Le forniture oggetto del presente affidamento sono finanziate a valere
su Fondi di cui alle leggi finanziarie dello Stato, delibere CIPE e fondi POR - FESR 2007-2013, pertanto non è
possibile distinguere tra risorse statali e risorse regionali ***dell’aggiudicazione ammonta a circa 6 milioni di euro.
Importi al netto dell’iva.
237
Si tratta dell’Accordo di programma quadro ‘Società dell’informazione’, del Bando regionale di riduzione
del Digital divide e del Piano di sviluppo rurale. Complessivamente i tre progetti coinvolgono 630 Comuni con
investimenti per 93 milioni di euro che consentono la posa di quasi 3.000 chilometri di fibra ottica. Cfr. http://www.
regione.lombardia.it/cs/Satellite?c=News&childpagename=Regione/Detail&cid=1213346248980&pagename=RG
NWrapper
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
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Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
305
Considerazioni a margine di Carla Bodo, Maurizio Decina, André
Lange, Mario Morcellini, Mariella Volpe
1. Alcune annotazioni sullo Stato dell’arte.
di Carla Bodo238
Lo studio della Fondazione Rosselli su “Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle
telecomunicazioni”, rappresenta un solido contributo alla costruzione di un edificio – quello
del sistema informativo e statistico italiano sulla cultura – che procede solo a rilento e con
molto ritardo. Vediamo anzitutto di inquadrare lo stato dell’arte della questione oggi, anche
nel contesto internazionale.
Come e’ noto l’ inserimento a pieno titolo delle politiche della cultura nell’ ambito delle politiche
sociali e del welfare – a fianco delle politiche dell’ educazione, dell’ assistenza, della sanità – è una
acquisizione relativamente recente, che ha preso progressivamente corpo solo a partire dalla
seconda metà del secolo scorso, grazie all’intuizione ed all’ impulso di personalità lungimiranti
quali John Maynard Keynes (1946) e André Malraux (1959). Dopo mezzo secolo, peraltro, è
un fatto che in quasi tutti i paesi il sistema di dati e statistiche a disposizione per monitorare i
fenomeni culturali e i risultati delle politiche poste in essere è ancora, nel complesso, alquanto
arretrato, e per di più assolutamente inadeguato al ruolo di elemento propulsivo dello sviluppo
economico e sociale ormai riconosciuto alla cultura.
Con molto ritardo, solo a partire dal 1997, la Commissione Europea ha cercato di rimediare
a questa grave lacuna informativa, istituendo con qualche esitazione nell’ ambito di Eurostat
– dapprima in via sperimentale239, in seguito formalmente – un Working Group on Cultural
Statistics, con il dichiarato obbiettivo di indurre gli stati membri a integrare e sviluppare i loro
sistemi statistici sulla cultura, rendendoli nello stesso tempo più comparabili tra loro. Dopo
aver operato attivamente tra il 1997 e il 2004, il W.G. e’stato peraltro posto in sonno per l’ intera
Sesta Legislatura, ed è stato resuscitato sotto altre spoglie solo nel 2008.
Nella prima fase del suo lavoro, l’Eurostat W.G. on Cultural Statistics si è applicato anzitutto,
in una Task Force Methodology, nel trovare un accordo tra i paesi membri su una definizione
comune di cultura. In teoria non si partiva da zero, bensì da una definizione alquanto ampia
– estesa all’ambiente e allo sport - a cui si era pervenuti in sede Unesco negli anni Ottanta
con l’ adozione del Framework for Cultural Statistics240. In pratica, tuttavia, è apparsa subito
chiara l’estrema diversificazione esistente fra i più o meno estesi sistemi statistici della cultura
esistenti nei vari paesi, modellati com’erano sulle pur variabili aggregazioni amministrative
esistenti al livello statale (ministeri della cultura, della cultura e comunicazione, della cultura
e sport, Arts Councils,...), e sulle loro peculiari priorità (il patrimonio, la creazione artistica,
le industrie culturali.…). Alla fine, si è trovato un accordo su una definizione di cultura nello
stesso tempo ampia ma strettamente pertinente, comprensiva delle “attivita’ di conservazione,
di creazione-produzione, di distribuzione-diffusione, di commercializzazione, di beni e servizi
culturali attinenti: il patrimonio artistico e storico, le biblioteche e gli archivi, le arti visive, lo
spettacolo dal vivo, l’ editoria libraria e la stampa, il cinema, gli audiovisivi e i nuovi media241”.
238
Vicepresidente dell’Associazione per l’Economia della Cultura.
239
Vedi Eurostat, Final Report on the LEG on Cultural Statistics in the European Union, Luxembourg, 2000.
240
L’Unesco Framework 1986 e’ stato recentemente oggetto di un lungo processo di revisione, culminato
nell’ adozione dell’Unesco Framework on Cultural Statistics 2009, che ha nello stesso tempo ristretto e ulteriormente
allargato (alle tradizioni orali e al patrimonio immateriale, alle feste e fiere, alla moda, ecc..) la definizione di cultura.
241
V. Final Report of the Leg, Luxembourg, 2000. Da notare che l’ inserimento della stampa, della televisione
e dei nuovi media nella definizione di cultura non è stato facile, in quanto a lungo contestato – come “estensione al
trash”- dai paesi più tradizionalisti. Nello stesso tempo, nella formulazione della definizione stessa, è implicito che
le statistiche culturali includono le attività concernenti il software, ma non l’hardware: ad esempio l’occupazione, o
306
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
Nello stesso tempo, pur in stretto contatto con questa TF, altre tre TF si sono concentrate
sui seguenti assi tematici: Employment, Cultural Expenditure and Financing, Cultural
Participation.
E giungiamo così finalmente al cuore del problema che qui ci interessa: nel 2004, alla chiusura
della legislatura, Eurostat ha ritenuto che - mentre i lavori delle altre T.F. avevano decisamente
progredito nella produzione e nella comparabilità dei dati – i risultati conseguiti dalla TF
finanziamenti erano ancora essenzialmente di ordine metodologico e tassonomico. Il tentativo
di concreta raccolta e di elaborazione statistica concernente la spesa pubblica per la cultura
nei paesi membri effettuato nel 2003, veniva considerato infatti “un miglioramento nella
base conoscitiva di un’area molto complessa242”, con esiti peraltro ancora disomogenei e non
pubblicabili.
Le ragioni principali alla base delle difficoltà incontrate venivano così individuate:
1. la necessità di prendere in considerazione la spesa culturale erogata da tutti i livelli di
governo, vista la scarsa significatività di comparazioni limitate alla spesa statale, per i forti
divari tra paesi nel suo ruolo e nella sua incidenza (oscillante fra il 15 e il 60% della spesa
complessiva);
2. la conseguente, estrema frammentazione dei centri di spesa da prendere in considerazione,
ossia: a) i livelli di governo centrale, regionale e locale (da 2 a 4 a seconda dei paesi); b) la
pluralità dei ministeri coinvolti al livello centrale: c) la pluralità, a maggior ragione, delle
unità amministrative competenti per gli assessorati al livello regionale e locale;
3. la difficoltà di pervenire ad una classificazione settoriale della spesa, secondo l’articolata
nomenclatura Eurostat, in particolare per i livelli di governo inferiori;
4. i problemi posti dal consolidamento della spesa erogata, depurandola dai trasferimenti,
per evitare il double counting.
Eurostat ribadiva quindi con forza che la T.F. Financing - non essendo ancora venuta a capo di
problemi così complessi - era quella per cui era maggiormente necessario un proseguimento
dei lavori. Suggerimento accettato dal nuovo European Statistical System Network Project/
ESSNET, che nel 2008 ha resuscitato, prendendone il posto, il vecchio Working Group243.
Se in ambito europeo siamo ancora, quindi, nella fase dei lavori preparatori e di approfondimento,
è peraltro inutile nascondersi che – quando il sistema statistico dell’ UE sulla cultura andrà a
regime - l’Italia si troverà in grave difficoltà nel far fronte a questo nuovo impegno. Per la sua
frammentazione, la sua disorganicità, la sua incompletezza, il nostro sistema statistico sulla
cultura è infatti oggi mediamente più arretrato rispetto a quello dei maggiori paesi europei.
Ciò vale non tanto per i singoli settori, per i quali la copertura statistica alterna luci ed ombre,
ma in particolare per quelle statistiche riferite al campo culturale nel suo complesso, quali
quelle riguardanti l’occupazione culturale e i finanziamenti alla cultura. Il che è certamente
dovuto anche al ritardato e, nei fatti, non ancora perfettamente compiuto accorpamento delle
principali competenze statali sulla cultura nel Ministero per i Beni e le Attività Culturali, mentre
le competenze sui media - audiovisivi ed editoria – sono ormai ripartite tra due ministeri. Per
di più l’accentuata conflittualità esistente fra Stato, regioni ed enti locali circa l’aggiudicazione
delle responsabilità amministrative in questo campo non facilita certo lo scambio dei dati e
l’informazione reciproca.
In particolare per quanto riguarda la spesa pubblica per la cultura, mentre a farsene carico,
negli altri paesi, sono generalmente gli istituti statistici nazionali e/o i ministeri per la cultura,
da noi questa materia è invece terra di nessuno, abbandonata com’è alla volenterosa e saltuaria
il sostegno finanziario, attinenti la produzione di dischi o DVD, ma non i lettori o i televisori).
242
Vedi Working Group on Cultural Statistics - Short conclusions. Doc.ESTAT/D5/2004-CULT.
243
Le altre TF sono Framewok and definitions (evidentemente oggetto di nuove precisazioni e di eventuali
integrazioni) e Cultural participation and social aspects, che dovrebbe anche cercare di misurare il ruolo della cultura nell’inclusione sociale. Per contro la TF Occupazione - che già aveva conseguito risultati abbastanza esaustivi - e’
stata sostituita da una nuova TF Industrie culturali.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
307
iniziativa di singoli studiosi o di singole organizzazioni, pubbliche o private. E va anche segnalato
che, se alcuni comparti della spesa sono abbastanza coperti, raramente i finanziamenti alla
cultura vengono analizzati a tutto campo, nelle loro molteplici articolazioni. Fra i soggetti che
hanno contribuito a cercare di colmare almeno in parte questo vuoto rammentiamo l’ISPE/
ISAE, l’UVAL e l’ Associazione per l’ Economia della Cultura, con i suoi due Rapporti244. Ben
venga quindi anche la Fondazione Rosselli, che con questo studio entra a far parte della ristretta
cerchia dei cultori della materia.
In ragione degli specifici interessi che improntano il lavoro della Fondazione, è da dire che la
definizione di cultura alla base dello studio non coincide con quella di Eurostat, presentando
variazioni sia in eccesso - vi sono incluse le telecomunicazioni - sia in difetto: resta infatti
escluso il comparto dei beni culturali, ovviamente di grande rilievo nel contesto italiano. Per
questo motivo il capitolo 3, la spesa pubblica in cultura, desta qualche perplessità, sia per il
perimetro concettuale non propriamente ortodosso alla base dell’analisi, sia perché la fonte dei
dati – la contabilità nazionale – si basa oggi su codificazioni non sufficientemente disaggregate,
che non sempre consentono di isolare le spese più specificamente culturali da quelle non
pertinenti, fra cui le spese di culto, la cui non quantificabile incidenza, in un paese come il
nostro, potrebbe riservare qualche sorpresa. La Contabilità nazionale rappresenta certamente
una fonte potenzialmente molto preziosa nella sua completezza, sulle cui codificazioni sarebbe
peraltro necessario ancora lavorare insieme all’UVAL per renderla utilizzabile ai fini della
rilevazione e della classificazione della spesa per la cultura così come definite in sede europea.
I pregi maggiori dello studio risiedono invece, ai miei occhi, nei singoli capitoli relativi ai settori.
In alcuni dei quali, tra l’ altro, i beni culturali, cacciati dalla porta, rientrano dalla finestra,
in quanto principali destinatari di due tipologie relativamente nuove di fondi straordinari
aggiuntivi rispetto alle risorse ordinarie del Ministero per i Beni e le Attività Culturali: i fondi
provenienti dal Lotto, e i finanziamenti gestiti da Arcus. In quest’ultimo caso i fondi sono
alimentati da una percentuale prelevata sugli investimenti per le infrastrutture, gestiti peraltro
(anche per la Corte dei Conti) con criteri alquanto discrezionali e “a pioggia”. Ben venga quindi
uno studio che getta finalmente luce sul loro ammontare, sulla loro destinazione e sul loro
andamento.
Di particolare rilievo infine – perché trattano di una materia attualmente al centro dell’
attenzione e delle polemiche, ma raramente esplorata in modo tanto approfondito ed esaustivo
– mi sono parsi i capitoli concernenti i finanziamenti alla stampa e alla televisione erogati dalla
Presidenza del Consiglio e dal Dipartimento Comunicazione del Ministero per lo Sviluppo
Economico. Finanziamenti che, anche per le istituzioni europee, fanno parte a pieno titolo della
spesa statale per la cultura, ma che sono sistematicamente ignorati in tutte le stime nonché negli
abborracciati confronti internazionali concernenti tale spesa che circolano nel nostro paese.
244
Vedi i due Rapporti sull’ Economia della Cultura in Italia 1980-1990 e 1990-2000, editi, rispettivamente,
dal Dipartimento Editoria della Presidenza del Consiglio e dall’ editore il Mulino, Bologna. La metodologia utilizzata per l’ analisi della spesa di cui al secondo Rapporto coincide con quella Eurostat.
308
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
2. In Italia ci sono due digital divide
di Maurizio Decina245
In Italia ci sono due digital divide (ovvero la spaccatura fra chi accede alla Rete e chi no). Il
più evidente riguarda la carenza di infrastrutture di accesso, ma non è meno importante quello
relativo ai comportamenti delle persone (il digital divide “culturale”). Guardiamo i numeri. Ci
sono 60 milioni di individui e 25 milioni di famiglie. In prima approssimazione, il 50 per cento
delle famiglie possiede un computer e accede a Internet con collegamenti fissi e mobili, mentre
l’altra metà è analfabeta (in informatica) e sconnessa da Internet. Incrociando questo dato
con il digital divide “infrastrutturale”, emerge che circa 5,5 milioni di italiani (il 9 per cento)
non hanno possibilità di accesso a larga banda, cioè con connessioni di almeno 2 megabit al
secondo.
Basta scorrere il National Broadband Plan all’esame del Congresso degli Stati Uniti per capire
quello che avremmo dovuto programmare e realizzare per lo sviluppo della Rete nel nostro
Paese. Ci sono quattro temi principali: il digital divide nelle aree rurali, l’alfabetizzazione
informatica, la banda ultra-larga nelle grandi città, e l’uso dello spettro televisivo per l’accesso
a Internet. Fermandosi ai primi due aspetti relativi ai digital divide, sono programmati 16
miliardi di dollari in 10 anni per lo sviluppo della banda larga nelle aree rurali, con l’obiettivo di
garantire 4 megabit al secondo alle abitazioni e un gigabit alle istituzioni come scuole, ospedali,
librerie. Inoltre, il piano prevede la trasformazione dell’Universal Service Fund, altri 16 miliardi
di dollari in 10 anni, a favore dell’alfabetizzazione informatica (le Internet Geek Squads) e della
diffusione della telefonia Voip (Voice over Internet Protocol).
In Italia l’attenzione del Governo è rivolta ad altre priorità e le risorse messe in gioco per
l’accesso a Internet e l’alfabetizzazione informatica sono minime, pur spiccando un drammatico
sottosviluppo del nostro Paese rispetto ai partner europei. Lasciamo da parte per un momento
la classica divisione Nord-Sud e il fatto che persino in Lombardia, Veneto e Piemonte un
milione di persone siano escluse dalla Rete. Concentriamoci piuttosto su quel 40 per cento degli
italiani (rispetto al 60 per cento della media dei cittadini europei) che ha accesso a Internet e
che quindi potrebbe usare Internet, eppure non lo fa. Perché non lo fa? Perché non ne sente il
bisogno, non ne ha le capacità tecniche o più banalmente non sa che farci. Soltanto il 12 per
cento degli italiani compra beni o servizi online, rispetto al 37 per cento della media europea.
Tra le nostre imprese, appena il 4 per cento vende online, mentre la media europea è almeno il
triplo (12 per cento)!
Questa situazione si può cambiare? Sì, a patto di unire gli investimenti sulle infrastrutture
agli stimoli all’uso della Rete e dei suoi servizi. Per gli investimenti nelle aree a digital divide
infrastrutturale, lo studio della Fondazione Rosselli mostra che in Italia negli ultimi cinque
anni sono stati effettuati stanziamenti dell’ordine dei trecento milioni di euro, contro il miliardo
e quattrocento milioni stimato necessario entro i prossimi cinque anni dallo stesso sottoMinistero delle Comunicazioni. Per gli stimoli all’uso della Rete, inoltre, sono stati stanziati
soltanto incentivi all’acquisto dei computer per poche decine di milioni di euro!
Cosa si potrebbe fare concretamente? Tre esempi. Primo, stabilire che entro una data certa
(il 2020) la Pubblica amministrazione abolirà la carta e che tutte le operazioni saranno solo
online. Secondo, prevedere che tutti i nuovi edifici siano raggiunti dalla fibra ottica. Terzo,
portare i computer nelle scuole, su ogni banco: in Uruguay lo hanno fatto e le famiglie pagano
5 dollari al mese. Il problema è che in Italia per proporre di pagare una rata per i computer,
dovremmo prima spiegare a tutti perché sono importanti.
245
Politecnico di Milano.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
309
3. Analysing public investment in culture: an issue of European importance
di André Lange246
The study Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni edited by
the Istituto di Economia dei Media is not only an important contribution to the understanding
of cultural policy in Italy but also represents an interesting model for Europe.
Understanding the evolution of cultural policy in Italy (and in particular of film and television
policies, which are my field of specialisation as an expert at the European Audiovisual
Observatory) has always been a challenge for the non-Italian observer, even when he or she is
familiar with the language, the institutions and the protagonists. Political commentaries and
the traditional Italian exercise of dietrologia are a common practice, but they generally eschew
precise references, technical and in-depth presentations and explanations of laws, regulations
and public accounting systems. Despite the progress resulting from the online publication of
official documents, key reports cannot always be accessed easily. In this context, the present
study is invaluable to the foreign observer: it provides a clear and rigorously referenced
presentation of a rather complex system.
One of the main qualities of the study is the detailed analysis it provides of regional and local
investment in support of culture. In the audiovisual sector, this includes support to regional
and local television, but also an increasing amount of regional support to film production.
From a European point of view, portraying the regional and local dimension of the audiovisual
sector is among the most difficult exercises. I will mention just two examples:
•
According to the MAVISE database managed by the European Audiovisual Observatory,
no less than 2,900 regional or local television channels operate in the European Union in
2010. However, very little data is available on the public finance sources and revenues of
this category of broadcaster.
•
In 2004, the European Audiovisual Observatory published a comparative analysis of public
funding for film and audiovisual works in Europe. 118 regional and local funding bodies
were identified in the report, representing around 248 million Euros of support or 19,5%
of total public funding in Europe in 2002. Since then, the number of regional and local
initiatives has multiplied and a systematic census has become more and more problematic.
In this context, it would certainly be useful to have reports like this one for other European
countries, allowing a clear comparative approach to the evolution of public investment in the
cultural sector. This would be particularly useful for countries where the regional dimension
of public funding is of increasing importance.
246
310
Head of Department for Information on Markets and Financing, European Audiovisual Observatory.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
4. Investimenti per la cultura e cultura come investimento. Una nota critica
di Mario Morcellini247
Da qualunque prospettiva si guardi alla contemporaneità, è difficile non notare la centralità
prorompente della cultura nel tempo moderno. Le variabili che possono essere chiamate in
causa per spiegare una tale rilevanza sono ovviamente numerose: la crescita economica del
comparto delle arti e dello spettacolo, l’espansione dei fenomeni migratori su scala globale
(con ciò che ne deriva in termini di dialogo, interazione e comprensione), l’estetizzazione
e volatilizzazione dei beni di consumo, la dilatazione ed espansione dell’impatto dei media
generalisti, e quindi la radicalizzazione della loro funzione sociale, la spettacolarizzazione e
mediatizzazione dell’agire politico, o ancora le trasformazioni sociali e comunicative portate
dalla tecnologia più recente. Certo, occorre convenire su cosa s’intende per cultura e andare
al di là di definizioni politiche spesso così estensive da sfumare i contorni dell’ambito cui si
riferiscono, soprattutto se si adotta uno stile formativo che enfatizza la nozione dinamica
del concetto. La stessa erosione dei confini tra cultura e telecomunicazioni, che emerge dai
documenti alla base del testo di Barca, Marzulli, Murrau, Principali e Zambardino, può generare
distorsioni e ambiguità, sebbene non si possa negare il peso che la cultura mediata abbia sulla
dimensione sociale e comunicativa. Infatti le pratiche culturali descritte e analizzate, nella loro
dimensione economica e giuridica, includono il cinema, i teatri e le attività musicali, ma anche
l’ambito del patrimonio artistico e museale, le attività sportive e genericamente ricreative, così
come qualunque iniziativa o servizio relativo alla «costruzione, ampliamento, miglioramento,
funzionamento e manutenzione dei sistemi di comunicazione (postali, telefonici, telegrafici,
senza fili, satellitari)». Si tratta di una definizione volutamente estensiva e comunque coerente
con l’idea che per cultura si possa intendere quella sfera della dimensione sociale qualificata
dalla presenza di simboli e significati comunicabili, di cui l’arte o il comparto dello spettacolo
rappresenta solo un ramo, sebbene forse il più visibile (Santoro, 2008).
In ogni caso, è condivisibile la percezione che trapela nelle pagine dello studio, secondo cui la
cultura è al centro di processi di negoziazione fra strutture economico-produttive e professionali
estremamente complesse, nuovi prodotti culturali, modalità inedite di fruizione, immaginari,
universi simbolici, comportamenti, chiavi interpretative e conoscenze che, all’interno delle
società complesse, si aggregano anche - e soprattutto - intorno ai media. Inoltre, è evidente che
l’ambito culturale non possa essere racchiuso in una definizione dai confini rigidi. La stessa
Unione Europea, come è ben argomentato nel testo, si è dimostrata sensibile all’evoluzione
del concetto, tanto da approvare per la prima volta la concessione di aiuti in Francia, sotto
forma di credito d’imposta, a imprese produttrici di videogiochi, riconoscendo a tale comparto
dell’industria culturale un’indiscutibile ricchezza e un apprezzabile valore educativo.
Dalla metà degli anni Novanta, d’altronde, i dati sui comportamenti culturali della società
italiana in corso di modernizzazione rivelano alcuni caratteri di non ritorno, che segnano lo
spazio culturale. È come se alcuni processi di dilatazione ed espansione dell’impatto dei media
generalisti fossero arrivati al massimo in termini di penetrazione sociale. Si tratta di una novità
storica eccezionale, soprattutto perché non riguarda un solo medium, ma diversi comparti
del pacchetto del generalismo. La “disinfiammazione” televisiva in corso rappresenta, poi, un
primo e importante indicatore della riarticolazione e “diffusione” del benessere culturale degli
italiani, soprattutto alla luce del fatto che il tradizionale contributo della televisione generalista
ai processi di sviluppo e coesione del Paese appare garantito oggi anche da forme di consumo
qualitativamente nuove, come quelle che viaggiano lungo la banda larga o si manifestano in
spettacoli dal vivo.
All’indebolimento della televisione si è accompagnato, inaspettatamente, il declino del resto
dell’offerta generalista: si sono ridotti, infatti, quegli stessi consumi culturali che negli altri Paesi
247
Preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione, Sapienza Università di Roma.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
311
funzionavano da propulsori alla modernità (radio, editoria, quotidiani, settimanali, periodici).
Parallelamente, il cambiamento socioculturale è passato anche per quei consumi culturali per i
quali è richiesta una più elevata qualità e competenza di scelta: la fruizione di quella cultura che
si autodefiniva d’élite ha conosciuto un processo di radicale allargamento delle sue basi sociali,
imperniato in buona parte sullo smantellamento dei confini tradizionali del pubblico.
Alla conquista dei luoghi cittadini e di una nuova idea di socialità, il soggetto moderno
trova nella passione per il teatro, il cinema, gli spettacoli dal vivo, la lettura, o anche la scelta
autonoma all’interno di un ampio carnet di contenuti che viaggiano su bande larghe, spazi
e strumenti tradizionalmente deputati a coniugare realtà e immaginazione, elemento di
condivisione e aggregazione simbolica. Alfabetizzato ormai alla scuola dei new media, l’attore
moderno continua i suoi percorsi virtuali, passando dalla Rete delle Reti alla rete di relazioni
metropolitane e culturali, altrettanto rappresentative per la costruzione delle comunità
immaginate.
Alla luce di tali trend, non si può ignorare la distanza tra il valore sociale della cultura e della
comunicazione e il valore economico attribuito a tali ambiti dagli investimenti pubblici.
A fronte di finanziamenti per anni concessi in automatico e in misura crescente, dal 2000 al
2008 la spesa pubblica in cultura e servizi ricreativi si è ridotta (dai 14.263,81 milioni euro
del 2000 ai 10.668,64 milioni del 2008). Inoltre, rilevano gli autori del testo, «nonostante
l’importanza riconosciuta agli investimenti in telecomunicazione per la competitività e la
crescita di un Paese, i dati sulla spesa pubblica per il settore in Italia indicano che, a partire dal
2001, vi è una riduzione progressiva dei flussi di spesa pubblica alle telecomunicazione, mentre
con riferimento alla parte in conto capitale, questa subisce una drastica riduzione a partire dal
2005.»
Non irrilevante, poi, è la differenza di prospettiva tra Italia e Europa: quegli investimenti a
giornali, cinema, teatri, concerti di lirica e molto altro, che hanno avuto una funzione spesso
assistenziale estranea alla considerazione dell’equilibrio mercantile tra domanda e offerta,
in Europa sono stati guidati dal principio saldamente sostenuto della non limitazione della
concorrenza. Non è un caso che gli aiuti alla cultura siano previsti in deroga al principio
d’incompatibilità tra sostegno pubblico e libero mercato. Nel nostro Paese, invece, il
disinvestimento in cultura sembra una novità e le recenti manovre economiche impongono
una presa di coscienza dei meccanismi puri di un mercato che stenta a reggersi sulle proprie
gambe (forse solo per mancanza di abitudine e attitudine). Così, la scelta di razionalizzare
drasticamente il sistema di concessione di contributi pubblici alla cultura, nell’ottica di un
radicale contenimento dei costi, non è priva di conseguenze e di qualche squilibrio. I tagli,
anche piuttosto consistenti, vengono applicati per esempio con alcune eccezioni: aumentano,
a fronte di riduzioni radicali in ogni comparto della cultura, le spese per i servizi di stampa e
di informazione, un settore già ampiamente sostenuto dallo stato in passato, anche a fronte di
criticità evidenti. Un ambito però sempre più duramente colpito da una drastica emorragia di
lettori.
In tempi di crisi, è chiaro che l’uso appropriato delle risorse pubbliche diventi un nodo sempre
più strategico, ma lo è anche la necessità di evitare aberrazioni nel sostegno a enti dal discutibile
appeal socio-culturale. Quei tagli che possono avere effetti sistemici positivi, perdono di vigore
e utilità se indiscriminati, concentrati in settori chiave per lo sviluppo del paese, o se ignorano
il valore (non solo economico) di giacimenti di cultura e comunicazione di ambiti come la rete
o gli eventi live, cui spetta il mantenimento e il rinvigorimento di quella condivisione che è alla
base di qualunque processo culturale di scambio e adesione a un senso condiviso.
A questo punto, è lecito domandarsi se il dato economico, da solo, possa restituire la complessità
del vissuto sociale. Certamente, è necessario inquadrare il concetto di valore, che, rinviando per
definizione ad aspetti economici, sociali, culturali e perfino simbolici, dimostra di possedere
una notevole poliedricità semantica. Per questo motivo risulta fruttuoso disinnescare il potere
seduttivo di una lettura economica tradizionalmente incentrata sul concetto di prezzo, per
312
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
proporre una riflessione su quello di pregio. Termini che hanno in comune la stessa radice
semantica e che segnano il passaggio da un modello interessato al valore d’uso e di scambio
delle merci, al valore commerciale e quindi materiale dei beni messi a disposizione all’interno
del circuito delle reti digitali, fino a un punto di vista che riconosce la centralità di un valore
intrinseco e di una vera e propria economia del desiderabile.
In questo contesto, la legge della domanda e dell’offerta non coglie appieno le dinamiche
dell’economia digitale per la sua incapacità di evidenziare i caratteri relazionali e intangibili
che connotano una lettura in chiave economica della comunicazione. Esemplare, a questo
proposito, è il caso degli studi di economia dell’istruzione, che mostrano come il vantaggio
economico dei processi formativi sia una dimensione a utilità differita, e debba dunque esser
letto come dispositivo sociale di lungo periodo. Nella stessa ottica, andrebbe considerata
la politica del finanziamento a pioggia della cultura del passato remoto e la prospettiva del
definanziamento drastico del passato prossimo.
Se si riflette sulle ragioni del sostegno pubblico alla vita culturale del paese, i motivi di un
tempo sembrano valere anche oggi, pur con alcuni distinguo: l’allargamento del privilegio
della crescita culturale attraverso la progressiva accessibilità dei luoghi e i riti della cultura
alla maggior parte della comunità è un principio che resiste alla prova del tempo; la difesa
dall’inerzia del mercato di alcuni ambiti irrinunciabili per tramandare un certo grado di civiltà
che probabilmente non avrebbero avuto la forza di sopravvivere alla logica del profitto sembra
valere anche oggi, se al riparo da scelte irrazionali e anacronistiche; il bisogno di avere cittadini
informati, minimamente colti, dotati di principi morali saldi e di riferimenti culturali solidi ci
auguriamo che non sia tramontato.
Tuttavia, queste vecchie esigenze sempre attuali andrebbero ricollocate nel paesaggio che ci
circonda. Dovrebbero tener conto, per esempio, che se è utile il sostegno pubblico di ambiti
come la lirica, il teatro, la musica classica, non è utile il presidio che annulla per gli operatori
culturali il bisogno di far di conto e limita il margine di manovra dei soggetti privati. Inoltre,
ci sono cattedrali della cultura in cui il sostegno sembra oggi più che mai urgente e sempre più
disatteso. Uno di questi è la scuola, lì dov’è il paese reale e dove si pongono le basi per quella
formazione culturale che sembra vacillare e che si cerca di recuperare quando è forse troppo
tardi, a suon di spettacoli teatrali, visite a musei, festival, fiere ed eventi.
Sarebbe ancora più interessante, ma certamente coraggioso, investire anche in contenuti
televisivi che non tengano conto di share e audience, per esempio in programmi che rendano
meno eccezionale ed eroica la lettura di Dante di Benigni, che pure l’audience riesce ad attrarla.
Se poi la crisi impone dei tagli, che ben vengano, quando questi mettono fine a sprechi
e incoerenze. Allora, però, occorrerebbe pensare a quello che agli occhi di molti appare un
tabù: lasciare qualche spazio agli investimenti dei privati. È ciò che avviene in buona misura
nell’editoria. È quello che in altri paesi si dà per scontato. È il tentativo di fare cultura e business
al tempo stesso, senza che una cosa escluda l’altra. È un ostacolo che appare difficile da superare
nel nostro paese, ma che aprirebbe scenari potenzialmente proficui, soprattutto se si creassero i
presupposti per una vera impresa culturale privata, che non escluda l’aiuto pubblico, ma tenga
fuori moralismi e anacronismi.
In ogni caso, oggi più che mai, si sente la necessità di un nuovo e più flessibile “paradigma
di lettura”, cosicché quello che sembra un problema tecnico si riveli per quello che è: una
rivoluzione mentale, che riesca a dipingere un ritratto credibile delle passioni dell’uomo
moderno e favorisca il passaggio dal Mediaevo a un possibile Rinascimento culturale.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
313
5. L’importanza di buoni dati a supporto delle politiche pubbliche
di Mariella Volpe248
I decisori pubblici e gli analisti che approfondiscono e interpretano la sfera dell’economia
pubblica mostrano un bisogno sempre più esplicito di dati accurati sui flussi finanziari
pubblici, soprattutto articolati a livello regionale. Conoscere quanto si spende, dove si spende e,
soprattutto, come si spende è un bisogno fondamentale per garantire la necessaria trasparenza
della pubblica gestione e per verificare criteri di efficienza economica e di equità.
Il vincolo derivante dalla mancanza di adeguate basi informative si amplia ulteriormente
se si scende ad analizzare i singoli comparti, tentando di comprendere in quali ambiti si sia
effettivamente concentrata la spesa e quali dinamiche abbia mostrato negli ultimi anni. Ciò
è particolarmente vero per la filiera culturale. La dimensione economica di tale ambito è un
tema ormai consolidato nell’ambito dell’economia pubblica; tuttavia, nonostante la maturità
raggiunta dalla letteratura e dalla ricerca applicata, non sempre le decisioni vengono assunte
con un adeguato supporto informativo249.
La consapevolezza di tali bisogni e di un gap informativo considerevole ha fatto sì che il principio
ispiratore alla base della produzione dei Conti Pubblici Territoriali (CPT)250 fosse proprio l’idea
di un’informazione statistica intesa come bene pubblico. La convinzione sottostante è infatti che
una adeguata disponibilità informativa può influenzare e orientare la politica in diversi modi:
accrescendo la capacità del policy-maker a livello centrale, incrementando la responsabilità
a livello locale e garantendo la possibilità di fissare obiettivi fondati e verificabili che possano
sostenere le scelte e orientare le decisioni.
Tali ambizioni danno grande responsabilità al produttore del dato. L’informazione, infatti, non
costituisce di per sé conoscenza. Perché ciò sia possibile sono necessari dati di qualità, ovvero
completi e affidabili, tempestivi, flessibili nell’aggregazione secondo diverse chiavi di lettura e
opportunamente disaggregabili utilizzando criteri e metodi statisticamente adeguati; ma anche
affinamento crescente nel tempo, trasparenza e accessibilità, condizioni tutte essenziali perché
gli utilizzatori possano fondare le loro scelte su informazioni chiare, precise e affidabili.
Ma grande è anche la responsabilità dell’utilizzatore del dato, che non può che essere un
utilizzatore informato e consapevole, soprattutto quando fa uso di una base informativa vasta
e composita qual è la banca dati CPT. La perfetta conoscenza della complessità dei suoi aspetti
teorici e dell’estremo dettaglio e flessibilità delle informazioni è un elemento irrinunciabile per
articolare le domande ed affinare le ipotesi di ricerca, soprattutto settoriali.
L’analisi settoriale della spesa pubblica, basata sulla classificazione in 30 voci adottata dai CPT
248
Responsabile Sistema Conti Pubblici Territoriali (CPT) - Unità di Valutazione degli Investimenti Pubblici
(UVAL)-DPS-MISE
249
Cfr. B. Stratta, “Spesa pubblica per la cultura nelle regioni italiane: dinamiche recenti e modelli”, in Economia della cultura, n.2 2009.
La banca dati Conti Pubblici Territoriali (http://www.dps.tesoro.it/cpt/cpt.asp) consente di ricostruire a
250
livello regionale la totalità della spesa e la totalità delle entrate, sia correnti sia in conto capitale per il Settore Pubblico Allargato. La banca dati fa parte dal 2004 del Sistema Statistico Nazionale (SISTAN), la rete dei soggetti che fornisce l’informazione pubblica, garantendo ai prodotti della rilevazione lo status di informazione statistica ufficiale
e assicurando l’obbligo di risposta da parte di tutti i soggetti. La rete dei soggetti produttori dei dati è estremamente
articolata e capillare sul territorio, comprendendo, oltre al Nucleo Centrale, operante presso l’UVAL, 21 Nuclei Regionali, operanti presso ciascuna Regione e Provincia autonoma italiana. Essa costituisce non solo una capillare rete
fisica che consente di coprire la rilevazione di un universo di erogatori di spesa unico in Italia, ma una rete di metodi
condivisi. Gli aggregati prodotti sono leggibili attraverso molteplici chiavi di interrogazione: per anno (la serie a
oggi disponibile è relativa agli anni 1996-2007); per categorie economiche; per settori d’intervento; per ente (totalità
degli enti della PA e del SPA). La pluralità delle chiavi di accesso garantisce una notevole flessibilità all’informazione,
consentendo di disporre di ogni aggregato con riferimento a entrambi gli universi (PA e SPA) e, naturalmente, con
riferimento a ogni territorio regionale. Vedi anche Nota metodologica al Cap. 3 di questo studio.
314
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
(e coerente con la classificazione COFOG adottata dagli organismi internazionali), consente
di leggere e interpretare l’intervento pubblico attuato sui territori in modo puntuale. Al tempo
stesso però l’analisi settoriale risente, più di altre tipologie di analisi, dei vincoli dell’informazione
di base derivante dai bilanci pubblici.
Alcuni esempi collegati proprio alle potenzialità di analisi nei settori Cultura e Telecomunicazioni
consentono di rendere più esplicito il messaggio.
Il settore funzionale CPT “Cultura e servizi ricreativi”, ad esempio, ingloba le spese relative
alle due funzioni, essendo assolutamente vago e molto discrezionale nei bilanci pubblici il
confine tra cultura e servizi ricreativi251. Ciò rende necessario un affinamento del dato settoriale
(depurandolo di tutte le voci non opportune, ad esempio i servizi ricreativi), finalizzandolo
allo specifico obiettivo di analisi, con lo scopo di identificare l’effettivo ambito di policy che si
vuole indagare.
Anche con riferimento alla classificazione economica, la scelta di CPT di adottare un approccio
finanziario può rappresentare un vincolo rispetto all’obiettivo analitico di valutare l’effettivo
impatto economico di alcune voci di spesa.
Diviene allora compito dell’utilizzatore del dato riuscire a discernere ciò che è importante
escludere, soprattutto se l’estrema articolazione e flessibilità con cui il produttore ha reso
l’informazione disponibile lo consente.
Nel caso specifico quindi anche la filiera culturale può essere indagata eliminando una serie di
voci economiche che inquinano l’ effettiva dimensione del settore, ma anche la distribuzione
territoriale dei flussi ed il loro effettivo impatto. Il caso tipico è quello delle partite finanziarie,
delle poste correttive e compensative, ma anche dei trasferimenti ad alcuni enti che possono
rendere il dato molto variabile (ad es. le vincite derivanti dal gioco del lotto).
L’operazione di identificare correttamente, all’interno degli aggregati CPT, l’ambito di
riferimento più opportuno per i propri bisogni di analisi, non risulta tuttavia sempre agevole,
sia a causa della pluralità degli enti che operano nel settore, sia perché nel caso di alcuni di
essi (ad esempio per le Regioni e per le Province) non si hanno informazioni sufficienti per
approfondire più dettagliatamente le tipologie di intervento effettuate.
251
In particolare le voci di spesa si riferiscono a: tutela e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale;
musei, biblioteche, pinacoteche e centri culturali; cinema, teatri, e attività musicali; sovvenzioni degli enti lirici;
attività ricreative e sportive, quali piscine, stadi, centri polisportivi; propaganda, promozione e finanziamento di
strutture; giardini e musei zoologici; archivi di Stato, accademie, antichità e belle arti.
Gli investimenti pubblici nell’industria culturale e delle telecomunicazioni
315
Note sugli autori
Flavia Barca, curatrice del presente volume è coordinatore dell’Istituto di Economia dei
Media – Iem della Fondazione Rosselli. Ha svolto attività di consulenza e di formazione presso
Università ed enti pubblici e privati e ha firmato come autrice diversi progetti di produzione
audiovisiva. Ha pubblicato articoli, saggi e libri sulla struttura e strategia delle imprese e
dell’industria della comunicazione, con particolare riferimento al settore dei media; tra le opere
più recenti, L’industria della comunicazione in Italia. Dodicesimo Rapporto IEM (Guerini e
Associati, 2009); Le Tv invisibili, (Rai Eri, 2007).
Daniela Ciavarelli (Teramo, 1983) si è laureata presso l’Università di Teramo in Editoria,
Comunicazione Multimediale e Giornalismo. È collaboratrice dell’Istituto di Economia dei
Media dal 2009.
Andrea Marzulli (Roma, 1970), coordinatore di questo volume, è ricercatore nel campo dei
media e dell’industria culturale. Laurea in Storia del Cinema all’Università di Roma, Master
in Management dell’Audiovisivo e in Gestione e Marketing della Tv Digitale. Ha progettato,
coordinato e scritto ricerche e consulenze sul mercato audiovisivo italiano e internazionale
per istituzioni nazionali e locali e per i principali operatori del settore. Ha scritto su media
e audiovisivi per diverse testate e in volumi collettivi. Attualmente è responsabile dell’area
studi strategici e di mercato dell’Istituto di Economia dei Media della Fondazione Rosselli ed è
consulente per l’Unesco Institute of Statistics.
Luca Murrau è consulente da diversi anni all’UVAL-DPS del Ministero dello Sviluppo
Economico. Insegna alla facoltà di Economia dell’Università della Calabria sui temi
dell’economia dello sviluppo locale e delle politiche per lo sviluppo. Ha svolto studi post-laurea
in Italia e all’estero. Ha collaborato a diversi rapporti di ricerca e realizzato varie pubblicazioni
su riviste scientifiche italiane e internazionali.
Lorenzo Principali è ricercatore presso l’Istituto di Economia dei Media della Fondazione
Rosselli. Laureato in Scienze della Comunicazione, dal 2006 collabora con la cattedra di Teorie
e Tecniche dei Nuovi Media del professor Marinelli all’Università “La Sapienza” di Roma. Nel
biennio 2006-2007 ha fatto parte dello staff del Sottosegretariato alle Comunicazioni. Dal 2009
è responsabile della gestione della strategia di comunicazione digitale dell’attività parlamentare
del Senatore Vimercati. Si occupa prevalentemente di nuove tecnologie della comunicazione
quali internet, tv digitale e telefonia mobile.
William Ricci (Pescara, 1982), laureato in Scienze della Comunicazione all’Università degli
studi di Teramo, frequenta nella stessa Università i corsi di laurea specialistica in Pubblicità e
Comunicazione d’Impresa. Collabora con l’Istituto di Economia dei Media dal 2008.
Paola Savini (Milano, 1979) laurea in Scienze della comunicazione istituzionale e d’impresa
presso l’Università «La Sapienza» (2003), Master internazionale in European Studies and
Global Affairs presso l’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell’Università
Cattolica di Milano (2005) e Master in Antitrust e regolazione dei mercati presso l’Università
di Tor Vergata (2008). È iscritta al XXIII ciclo del dottorato di ricerca in Economia, marketing
e comunicazione d’impresa presso l’Università IULM di Milano. È membro del consiglio
direttivo dell’associazione Youth Press Italia.
316
Note sugli autori
Roberto Triola (Roma, 1971): esperto di economia digitale. Laurea in Scienze Politiche
all’Università La Sapienza e Master in Giornalismo e Comunicazione d’impresa alla Luiss di
Roma. Nella seconda metà degli anni ‘90 lavora per il Movimento Giovani Imprenditori di
Confindustria come responsabile del progetto di comunicazione digitale. Dal 2000 al 2005
si occupa di seguire la lobby ICT nell’Area Ricerca e Innovazione della Confederazione.
Dal 2006 è responsabile dell’Ufficio Studi di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici
(già Federcomin) coordinando la realizzazione delle pubblicazioni della Federazione
sull’innovazione digitale.
Chiara Valmachino, senior media consultant indipendente, dal 2005 si occupa di ricerche di
scenario sui mercati media italiani ed europei (con focus sull’area tedesca) e di studi di settore
sulla Tv, in particolare per il target “kids”. Dottore di Ricerca in Pedagogia, esperta in media
education, collabora inoltre con l’Università Cattolica di Milano, presso cui ha coordinato
fino al 2008 corsi di formazione post lauream. Ha scritto diversi saggi, sulle tecnologie
dell’apprendimento, sulla media education e sull’informazione.
Bruno Zambardino (Napoli, 1968), esperto di studi economici ed analisi strategiche del
settore audiovisivo e dello spettacolo. Dal maggio 2009 collabora con l’Istituto di Economia dei
Media della Fondazione Rosselli come ricercatore senior e responsabile di progetto. Dal 2003
è docente di Organizzazione ed economia dello Spettacolo nel Corso di Laurea Arti e Scienze
dello Spettacolo presso la Sapienza di Roma. Dal marzo 2010 è membro del Comitato Scientifico
dell’Osservatorio Internazionale sull’Audiovisivo e la Multimedialità della Fondazione Roberto
Rossellini per l’Audiovisivo di Roma. Nel 2009-2010 ha ricoperto la carica di consigliere di
amministrazione dell’ETI (Ente Teatrale Italiano) con delega all’audiovisivo e nuovi media.
Ultime pubblicazioni (coautore): Cinema di qualità. Analisi del progetto Schermi di Qualità, a
cura di Ufficio Studi ANICA, 2009; Il mercato della fiction italiana nel contesto internazionale,
ricerca IEM-Fondazione Rosselli e Sviluppo Lazio per il RomaFictionfest 2009; Il mercante e
l’artista. Per un nuovo sostegno pubblico al cinema: la via italiana al tax shelter”, Spirali, 2008;
L’occhio del pubblico. Analisi dei 5 maggiori sistemi televisivi pubblici europei, ricerca IsICult
per Rai Marketing Strategico, Rai-Nuova Eri, 2008.
Note sugli autori
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