alpennino n. 3.2013_ALPENNINO 4/2005

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alpennino n. 3.2013_ALPENNINO 4/2005
Notiziario trimestrale delle Sezioni del Club Alpino Italiano di Alessandria,
Acqui Terme, Casale Monf., Ovada, San Salvatore Monf., Tortona, Valenza
Autorizzazione Trib. di Casale n. 155 del 27.2.1985 - Direttore Responsabile
Diego Cartasegna - Direzione e Amministr. Via Rivetta, 17 Casale Monferrato
Redazione Stampa Tipografia Barberis snc San Salvatore Monferrato
“Spedizione in a. p. art. 2 comma 20/c legge 662/96 - Filiale di Alessandria”
Anno XXIV - Num. 3 - LUGLIO 2013 __________________________________________________
Un’avventura di tredici giorni nei dintorni del “tetto del mondo”
L’impegno del CAI di Acqui
Terme verso World Friends
TREKKING ROUND ANNAPURNA
PROGETTO
ACONCAGUA 2014
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L'Aconcagua, nelle Ande argentine, con i
suoi 6962 m, è la più alta montagna della
Cordigliera, di tutto il continente americano e di tutto l'emisfero meridionale. È
inoltre la più alta montagna della Terra al
di fuori dell'Asia. È questo l’obiettivo Alpinistico del CAI di Acqui per festeggiare il
150° e per rilanciare la raccolta fondi per
World Friends. Nel 2007, in occasione del
50° anniversario di fondazione la nostra
Sezione decide di unire all’impegno alpinistico momenti di solidarietà attiva. La scelta cade su World Frieds Onlus in cui opera
il nostro socio acquese dott. Gianfranco
Morino che ha deciso di vivere con la propria famiglia in Kenya e impegnarsi per
migliorare la situazione disperata dei diseredati delle baraccopoli africane. Di qui l’idea di organizzare una spedizione alpinistica sul Monte Kenya abbinata a una raccolta di fondi per finanziare la costruzione
di un ospedale al servizio dei bambini e
delle madri delle baraccopoli di Nairobi: il
Neema Hospital. La spedizione, “Una luce
di speranza per l’Africa”, suscita l’interesse
del secondo canale della RAI che invia un
suo operatore, Silvio Giuglietti, per compiere le riprese che saranno poi sviluppate
in un documentario dal titolo “Montagna
di luce”. La spedizione, patrocinata dal Ministero per le politiche giovanili e delle attività sportive e dal Comune di Acqui Terme, ha successo sia alpinistico sia mediatico e permette una raccolta di fondi tale da
fare citare il CAI di Acqui Terme fra i cofinanziatori nella presentazione del cantiere.
Da allora l’attività di raccolta fondi per
l’Onlus è diventata una costante del nostro programma (Camminata Pirotecnica
di luglio, Uscite in Mountain Bike, 5 Torri
nella Langa Astigiana ecc.) con un nuovo
apice nel 2010 attraverso una nuova spedizione alpinistica sul Kilimangiaro abbinata
al programma “Nati nel Posto Giusto”. I
componenti della spedizione Kilimangiaro
2010 del CAI di Acqui Terme che nel 2007
ricordavano una spianata di area edificabile e cintata, trovano nel 2010 un ospedale
che è già una solida realtà in cui transitano più di 400 pazienti al giorno.
La verifica dell’impegno e della concretizzazione delle attività di World Friends, ci
spinge ora, in occasione dell’organizzazione della spedizione alpinistica sul monte
Humde. Sullo sfondo, al centro, il
Chulu Far East, la nostra meta
bandona il percorso principale del trekking e si
punta decisamente a nord, con ripida, costante
salita in avvicinamento alla catena del Chulu,
ove si cela la nostra meta; vegetazione sempre
più scarna: non più afa, ma vento, freddo di
notte nelle tende che finalmente si montano
abbandonando i lodge più o meno confortevoli
che finora si trovavano sul percorso; si fa fatica,
si va in montagna, ti prende un po’ di inquietudine, sei isolato, conti solo su te stesso, sugli
sherpa, sui compagni, su Martino. Primo campo
a 3990 m, al sesto giorno campo a 4800 m, ancora sull’asciutto, pietraie moreniche aride, molto sottozero di notte, finalmente i sacchi a pelo
“himalayani” comprati dall’amico Chicco cominciano a fare il loro lavoro! Un amico del gruppo
sta male, cefalea, vertigini, sbandamento nella
marcia: sintomi pericolosi, lo dico a Martino,
che si fa? Se lo dici tu che sei medico, lo mandiamo giù senza esitazione, con uno sherpa, è la
decisione migliore; starà male ancora 48 ore,
poi tutto ok e potrà riprendere il cammino. Arriva il settimo giorno ma non ci si riposa, finalmente si tocca la neve, il primo ghiacciaio, le
scarpette si mettono nei sacchi e si calzano gli
scarponi veri, ma poi ti guardi indietro e vedi gli
sherpa che hanno ancora ai piedi le infradito e
ti chiedi se loro sono dei marziani oppure tu un
pigro e rammollito figlio del benessere. E intanto sali. Campo a 5300 sul ghiaccio. Notte tremenda: una compagna del gruppo sta male, un
problema serio, affanno, rantoli, per me la diagnosi è facile, edema polmonare in fase iniziale.
Sono medico, appassionato di montagna, studio da anni la fisiopatologia d’alta quota; non
sono il medico della spedizione, solo un privato
partecipante, ma non fa differenza; ho con me i
farmaci che servono. Desametazone endovena
e intramuscolo, gocce di nifedipina sotto la lingua; purtroppo non basta, continua a star male,
per fortuna l’organizzazione nepalese ha nel
budget la sacca di Gamow, la camera iperbarica
portatile. La ficchiamo dentro, pompiamo aria
per 2 ore; poi fra la sacca ed i farmaci, sta un
po’ meglio, quel tanto che basta ad aspettare
l’alba e non essere costretti a farla portare giù
in piena notte sulle spalle di due portatori. Altri
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“Sulle Ande per l’Africa”
In Italia abbiamo montagne bellissime, fin quasi
superfluo citarle. Eppure, negli spiriti irrequieti,
forse vagabondi nella mente prima ancora che
sul mappamondo, il richiamo dell’Himalaya prima o poi attira come un vortice dal quale non si
può sfuggire, se le circostanze permettono di
assecondarlo; ed ecco perché, dopo un lontano
viaggio esplorativo in Tibet e Nepal, dopo il primo trekking nella valle del Khumbu con la salita
al Kala-Pattar, dopo una divagazione extra-himalayana in vetta al Kilimanjaro, nel 2008 siamo tornati in Nepal per una terza grande avventura: il trekking attorno all’Annapurna con
due varianti non banali, la salita a una vetta di
6060 metri nel gruppo del Manang Himal e, sulla via del ritorno, una selvaggia variante al classico colle di Thorung con il periplo del Tilicho
Lake e l’attraversamento di due colli glaciali a
più di 5300 metri di quota, una variante percorsa pressoché da nessuno (e si capisce anche il
motivo!), ma che permette di camminare per
due giorni a ridosso della maestosa Grande Muraille. Eccoci dunque, di nuovo, a Kathmandu,
con Giorgio e Annalisa, i due cari amici di Padova con cui abbiamo condiviso numerose esperienze di viaggio e di montagna, altri dieci compagni italiani conosciuti sul momento, con la
guida di Martino Moretti di Alagna Valsesia,
prestigioso alpinista con al suo attivo, fra le altre cose, anche il K2 senza ossigeno nel 1986.
Sbrigate le pratiche di rito, dopo il rituale tuffo
nelle molteplici facce della città, ci si sposta verso ovest in direzione Pokhara, e poi si arriva a
Bhulbule, 840 m, ove ha inizio il trekking. Si comincia quindi a camminare a una quota inverosimilmente bassa, in mezzo a un paesaggio dolce, verdissimo, fertile, ricco di acqua nel
profondo solco glaciale della Marsyangdi Khola;
si cammina sudando, quasi nell’afa, (nemmeno
che si salisse sul Tobbio d’estate!), attraversando
villaggi non ricchi, ma ove si respira già un diverso livello di “benessere”, per le popolazioni
locali, derivante dai guadagni correlati ai
trekking. In tre giorni si arriva a 2600 m, si prende il passo, si respira, ci si assesta gli zaini sulle
spalle, ci si libera dalle tossine della civiltà, ci si
commuove vedendo i bambini, sporchi, miseri,
sani e felici; poi piano piano cambia qualcosa, si
fa una gigantesca curva “a sinistra”, si lascia ad
est il massiccio del Manaslu e si comincia a intravedere la colossale catena degli Annapurna, con
almeno quattro cime secondarie sopra i 7500
metri, si entra nel cuore della Marsyangdi Khola, enormi pareti lisciate dal ghiaccio, valle ad
“U” glaciale da manuale di geologia; si comincia a rimanere storditi, non tanto per l’aria sottile, che pure di notte a qualcuno dà fastidio, ma
soprattutto per le dimensioni: enormi, lasciano
increduli, te lo aspetti ma comunque non sei
preparato alla vastità fisica e spirituale dei luoghi. Al quinto giorno a Humde (3300 m) si ab-
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TREKKING ROUND ANNAPURNA
due hanno cefalea, nausea e vertigini: nonostante l’acclimatazione la quota picchia: cerco di
fare qualcosa anche per loro, tutta la notte dentro fuori la mia tenda e la loro, Augusta mi aiuta. Mi passa i farmaci, mi prepara le iniezioni,
nella concitazione una distrazione fatale: lasciamo i suoi scarponi nell’abside della tenda, si
congelano.
Chorten.
Sullo sfondo il gruppo degli Annapurna
Alle 5 di mattina si decide: il bollettino medico è
più rassicurante; chi sta male scende con gli
sherpa o è già sceso, chi sta bene parte per la
vetta; siamo già in ritardo di un’ora e mezza;
freddo, vento, siamo stanchi, io, Augusta e Martino ovviamente abbiamo passato tutta la notte
svegli e in piedi; Augusta paga la sua generosità
con gli scarponi ed i piedi freddissimi a causa
degli eventi descritti, dopo un’ora torna, teme
un congelamento; che rabbia, lei sta benissimo
e salirebbe in cima di corsa! Si va troppo veloci,
a strappi, non si riesce a tenere un ritmo armonico, qualcun altro deve tornare indietro perché
non si riesce a trovare il passo giusto. Tre pendii
ghiacciati ripidi successivi, pendenza fino a 4345°. Io, Martino e altri quattro “superstiti” arriviamo in vetta al Chulu Far East, 6059 m. Davanti, dietro, a sinistra, a destra, solo Himalaya. A
ovest il Mustang, a est il Manaslu, a nord il Tibet, a sud un rettangolino dietro l’Annapurna
Range, riguardando le foto lo identifico come la
cima vera dell’Annapurna, fino ad allora ancora
invisibile. Foto di vetta, un abbraccio. Sono salito su una cima himalayana insieme ad un uomo
che è stato sul K2: scendendo mi ha ringraziato
per il lavoro che ho fatto nella notte con chi stava male. Questa è la montagna, la sua follia, la
sua bellezza. Mi spiace per Augusta e per gli
amici che non ce l’hanno fatta. Se la notte passava tranquilla, arrivavamo tutti in cima. In
compenso tutti sono tornati giù, e per come si
sono messe le cose, questa è stata la vera conquista della vetta. Rimangono una manciata di
foto, uno sguardo sul mondo, una piccozza lasciata in cima da un compagno di Udine in memoria dell’ amico morto in montagna.
Si scende molto velocemente al campo a 4800
m; la mattina dopo colazione all’aperto, si guada un torrentello semi-ghiacciato e, quasi di
corsa, si scende ancora fino al fondo valle: fine
della giornata? Macché, per arrivare a Manang,
praticamente su sentiero sempre in piano, ci
mettiamo due ore; una bottiglia di Coca-Cola
ghiacciata comprata sulla strada da un bambino
vale più di uno champagne d’annata!
Manang, 3500 m. L’ultimo paradiso degli hippies e dei giramondo stile anni ’60, in fuga da
una Kathmandu non più tanto tollerante; si mescolano bene ai trekkers che passano un giorno
di completo relax: chi si lava gli indumenti, chi si
taglia la barba, chi cerca di accaparrarsi un turno di acqua calda sotto la doccia del lodge, chi
dorme tutto il giorno, chi gira a caccia di foto e
di atmosfere. Alla sera tutti cercano di mangiare più carne di yak possibile dal menù del cuoco
che in realtà sembra sempre molto parsimonio-
so. La compagna che è stata male non si è ancora ripresa e, in accordo con i medici volontari
americani dell’ambulatorio per i disturbi d’alta
quota, non prosegue il trekking e ridiscende a
dorso di cavallo con uno sherpa fino a Bhulbule,
da lì fino a Pokhara in bus, dove la ritroveremo
in buona salute. Noi ripartiamo. Alla fine del
paese, in un vicoletto, due cartelli per le due direzioni possibili: uno è per la via “normale” del
giro dell’Annapurna, per il passo di Thorung;
l’altro è per la via più difficile, percorsa solo fino
al lago di Tilicho ove però quasi tutti tornano
indietro; noi invece proseguiremo, per valicare
ancora in alta quota e scendere a Jomosom in
totale solitudine. Sarà un’avventura. Si parte rilassati, con un panorama piacevolissimo, la Marsyangdi Khola nella sua parte centrale, più
aperta e con visioni bellissime sul gruppo dell’Annapurna, ma in realtà si capisce ben presto
che sarà dura; si deve arrivare al Tilicho Base
Camp, teoricamente 600 m di dislivello, in realtà
sono 900 a causa di saliscendi interminabili. Un
piccolo monastero, isolato e solitario a 4000 m,
è commovente con il suo unico custode. Si arriva al lodge tardi, il sole è già scomparso dietro
la Grande Muraille, freddo glaciale a 4150 metri. Ai lodge non si prenota, speravamo di trovare posti, ma un gruppo di francesi ci ha preceduto: allora si montano le tende e, viste le condizioni del lodge, tutto sommato è meglio così,
bollente serve a scaldare le mani prima che lo
stomaco. Un momento di estasi, ma solo un momento, si riparte, c’è qualche incertezza sulla direzione, la neve ha sparigliato le carte ed i punti
di riferimento; Martino decide di non fare il
Mesokanto La, ma di puntare a nord verso il
New Tilicho western Pass: lo ha già percorso alcuni anni addietro; gli sherpa non sono di grande aiuto, per cui si affida alla memoria. La neve
è pesante, la traiettoria è diretta e quindi anche
decisamente ripida, ancora fatica per arrivare finalmente al passo a 5480 metri. Alla nostra sinistra, a sud-ovest, l’elegante gruppo del Nilgiris,
ancora oltre fa capolino il triangolo sommitale
dell’Annapurna, ma a un certo punto compare
in tutta la sua maestosità il Dhaulagiri con il suo
versante nord-est. Si scende ancora su pendii ripidi ghiacciati e, dopo un’ora, come un sogno,
si comincia a toccare la roccia e a calpestare
qualche rado arbusto. Ci si spoglia al sole, la
temperatura è salita di almeno 20 gradi. Si scende al campo successivo a 4215 metri, ma bisogna guadagnarselo anche questo, con i soliti
terribili saliscendi e con ultima salitina spacca
gambe. Ma si dorme in tenda all’asciutto, comodi e rilassati come dei re. Il tredicesimo e ultimo giorno di trekking si dovrebbe “solo” scendere fino a Jomosom. Cento metri di dislivello
Sopra Jomosom, sulla destra inizia il Mustang
Ai piedi della Grande Muraille, 5200 m
a parte il freddo e l’umidità. Si riparte all’alba di
una giornata meravigliosa, si sale a lungo su
pendii morenici e finalmente si arriva su un pianoro ghiacciato a 4800 m, la Grande Muraille si
tocca quasi con le mani! Poi, dopo un’altra ora,
finalmente il Tilicho Lake, 4950 metri, uno dei
più alti laghi naturali del mondo, 3,5 km di lunghezza e 1,5 di larghezza, acque blu cristalline,
due chilometri più in alto incombe il Tilicho
Peak. La bellezza del luogo è indescrivibile. Noi
cominciamo ad aggirare il lago sulla destra, su
ripidi pendii ghiacciati; qualcuno calza i ramponi, diamo le piccozze ai portatori i quali, incredibile ma vero, camminano ancora con ai piedi le
infradito o tutt’al più con qualcosa di simile alle
Superga da basket in tela (in versione nepalese,
ovviamente). Il lago è poco più giù, una scivolata nelle sue acque sarebbe fatale per lo shock
termico. Si supera l’Eastern Pass a 5340 m (in totale 1200 m di dislivello nella giornata) con ripidi passaggi su roccia sporca e friabile; ora bisogna solo andare giù, a 5200 m, dove dormiremo. Arriviamo al buio e sotto la neve, montiamo con fatica le tende, si mangia poco e contro
voglia nella tenda-mensa, più che altro per scaldarsi un po’, poi si cerca di dormire, ma per tutta la notte ogni ora si dovrà buttare giù la neve
dal tetto della tendina per non rimanerne
schiacciati. Alba a -15°, un incredibile cielo blu
che sembra finto, sole, la Grande Muraille scintillante e ghiacciata: una foto, un ricordo, un’emozione indelebile che compensa la notte poco
riposata, basterebbe da solo questo momento
per giustificare il viaggio. Colazione all’aperto
mentre gli sherpa smontano il campo, la tazza
in salita e 1600 in discesa; arriviamo sull’ultimo
spuntone roccioso da cui si domina il paesino
poco (?) più sotto, alla sua destra il magico Mustang: è fatta, emozione, rilassatezza, si pregustano birre e Coca-Cola, ma tutto questo ben di
Dio ci sarà concesso dopo le ultime due interminabili ore di discesa. Il resto è una doccia calda,
una cena fra quattro mura coi sandali ai piedi,
una atroce torta a forma di montagna preparata dal cuoco (volenteroso, ma solo quello!), il
solito rituale, commovente, delle mance ai portatori con una lotteria per tutti i vestiti e capi
tecnici che si lasciano in regalo, come sempre alla fine di una spedizione o di un trekking, l’ansia di riuscire a prendere il volo per Pokhara la
mattina successiva, dopo tre ore di attesa in cui
ci sono passati davanti centinaia di trekkers; il
nostro aereo rischia di non atterrare (e non ripartire) per il vento, ma il pilota, pazzo e bravissimo, vuole mangiare a casa con la famiglia e
non ha nessuna intenzione di farsi turbare dalle
raffiche (noi invece sì, ma che importa?). Il resto
è, ancora, una monumentale bistecca di yak con
una montagna di patate fritte e un po’ di birre
ghiacciate, un po’ di relax a Pokhara, un’alzataccia all’alba per farsi portare dalle barche al
centro del Phewa Lake per vedere i primi raggi
di sole illuminare il versante sud del gruppo dell’Annapurna e, soprattutto, il Machapuchare,
incredibile piramide che incombe sulla città. E
poi il ritorno a Kathmandu, e in Europa. Voglia
di ritornare e di non dimenticare.
Durata: 13 giorni
Dislivello in salita: 9500 m
Dislivello in discesa: 7500 m
Quota massima: 6059 m (Chulu Far East)
Quota più bassa: 840 m (Bhulbule)
Sviluppo in lunghezza (approssimato): 140-150 km
Augusta e Stefano Gandolfi
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IN RICORDO DI MARCO CORINO, GLI AMICI DEL CAI CASALE
“Durante una gita del corso di sci alpinismo che
lo vedeva come allievo, andavo cercando, durante la discesa, la neve più soffice, la farina. La individuai in un vallone laterale, immacolato. Gli feci
cenno di seguirmi e quando mi chiese cosa avessi
visto di tanto interessante laggiù, risposi… la Madonna. La sciata con la neve polverosa fino al ginocchio fu dolce, magica, esaltante. Lo invitavo
non tanto a cercare preziosismi di stile ma ad accarezzare la neve con i due legni e godere di tanta bellezza. Lo sentivo alle mie spalle ridere e
cantare. Quando arrivammo in fondo, con quel
suo sorriso a ganascia larga mi disse “Tino avevi
ragione, qui abbiamo davvero visto la Madonna!” Questo episodio è uno dei tanti che lui, con
il suo generoso entusiasmo, ci ha riservato. Quel
mattacchione mi mancherà.” (Tino)
“Ciao Marco, mi ricordo come fosse ieri la tua
prima gita del corso, salimmo insieme sulla Cialma, tu affaticato ed io a cercare di trasmetterti i
rudimenti di questo gioco chiamato scialpinismo. Dopo quella volta, quante gite abbiamo
fatto insieme, e quante altre ancora ne avremmo fatte... Sei stato un compagno di gioco fedele e divertente in tutte le salite, e lo sarai di
sicuro anche nelle prossime, ti porteremo sempre con noi, non nello zaino ma nel cuore. Come dicevi tu: molto Annapurna!” (Paolo)
“Quanti ricordi ho di Te, accomunati dalla parola “Allegria”. Le risate durante le gite insieme,
tu e le tue facce buffe e burlesche che io mi divertivo a fotografare e poi mi dicevi con falsa
preoccupazione “Non le metterai mica sul sito
del CAI!?!”. E quando catalogavamo i libri della
Biblioteca del CAI aspettando che io ti dessi il
numero da inserire mi dicevi “Sei lenta, lenta!”;
quanto amavi quei libri, li conoscevi tutti e me li
consigliavi con grande passione. Scommetto che
anche adesso stai facendo ridere qualcuno raccontando una delle tue barzellette!” (Manu)
“Sono passati 30 anni esatti dalla nostra prima
salita, Tu ragazzino tredicenne, già affamato di
Montagne, e ne abbiamo scalate tante insieme
83 anni ma non li dimostrava
BREVE STORIA DEL RIFUGIO CASALE
Nell’anno 1930, con la firma dell’atto di acquima già nell’estate 1946 venne utilizzato per i
sto di un appezzamento di terreno in territorio
campeggi estivi riaprendo i battenti dopo diverdi Ayas da parte del Comune di Casale Monfersi anni di forzata inattività. Negli anni successivi
rato, rappresentato dall’allora Podestà Avv.
fu ristrutturato ed aggiornato e quindi nuovaGiovanni Tommaso Caire, ebbe inizio la storia
mente inaugurato nel 1949. Per quasi vent’anni
del Rifugio CAI Casale Monferrato. Il citato atto
la struttura del Rifugio Casale fu utilizzata per
di acquisto giunse a coronamento dell’operato
soggiorni estivi ed invernali, rimanendo a dispodel Consigliere Avv. Mario Cappa il quale, già
sizione dei soci, ma priva di un gestore. Il tranel dicembre 1928, aveva caldeggiato l’idea di
scorrere degli anni e le condizioni ambientali
costruire un rifugio in Valle d’Ayas. Successivadella località, unitamente ad una sfortunata gemente era stata aperta tra i soci una sottoscristione nei primi anni ’70 lasciarono pesantezione per reperire i fondi necessari per perfeziomente il segno sullo stabile, che lentamente si
nare l’atto di acquisto del terreno e per costruidegrado’. Grazie all’instancabile opera di un
re il rifugio. L’Ing. Dario Pater si occupò del pronutrito gruppo di soci ed all’interessamento del
getto mentre la Ditta BuscaComune di Casale Monferraglione eseguì l’opera a temto, negli anni 1977/78 venne
po di record; fu così che il 19
eseguito un insieme di opere
luglio 1931 avvenne la ceriatte a riportare la struttura in
monia di inaugurazione. Si
grado di assolvere agli usi per
trattava di una gradevole cocui venne costruita; in particostruzione posta a 1701 metri
lare si sistemarono le pavidi quota sul livello del mare,
mentazioni ed i rivestimenti
in splendida posizione panoin legno delle pareti, si costruì
ramica ed edificata su basal’impianto di riscaldamento
mento in pietra, con struttucentralizzato, vennero interare portanti verticali ed orizmente rifatti i servizi igienici e
zontali in legno, pareti rivela cucina. Da quel momento il
stite esternamente in lastre
“Rifugio Casale” ebbe un gedi fibrocemento e tetto a due
store, per un breve periodo il
falde anch’esso coperto da
nostro socio Renato Gasparetlastre fornite a prezzo agevoto, e quindi dal 1979 la Signolato dall’Eternit. Al piano rialra Fausta Bo che per oltre
Il Rifugio Casale
zato si trovavano la cucina con
vent’anni lo ha gestito con
il giorno della sua inaugurazione
la zona pranzo, al primo piano
grande passione e competenle camere da letto ed al secondo piano un caza, coadiuvata dalla mamma e dal marito Stelio
merone comune. Negli anni successivi alla sua
Frachey. Il progresso è arrivato anche in Valle
costruzione il rifugio venne utilizzato dai soci
d’Ayas ed il rifugio, ormai raggiunto dalla stradella nostra Sezione per i campeggi estivi e coda carrozzabile e dalle piste da sci, ha perso le
me base di partenza per le innumerevoli escuroriginali caratteristiche di punto d’appoggio
sioni possibili in zona. Durante la seconda guerper gli alpinisti e gli escursionisti casalesi, divenra mondiale il fabbricato non sfuggì alle usanze
tando un alberghetto; vera e propria “anticadell’epoca subendo saccheggi di ogni genere,
mera” alle splendide montagne della valle. Ne-
che non sto ad elencare. Sei stato una formidabile spalla nelle salite e un grande Amico nella
vita di tutti i giorni. Mi mancherai! Ciao Marco.” (Giorgio)
“Ma la montagna, anche se era tanto per Te,
non era tutto. Che dire del lavoro… quando per
esempio ci tinteggiasti la cucina “arancio
ANAS” e cercavi di spiegarci la luminosità che
dava quella tinta… Oppure le cene insieme, a
ricordare i piatti tipici, ormai dimenticati dai
più… Tante cose, sciocchezze forse, ma che rendevano piacevole il tempo trascorso insieme.
Non avevo mai realizzato, prima d’ora, quanti
furgoni bianchi ci siano in giro: solo adesso che,
incrociandoli, cerco all'interno di ognuno il tuo
sorriso.” (Marco)
“Scendevamo da... beh non ricordo il nome. In
svizzera a 3800 metri. A sinistra delle guglie di
roccia, a destra dei seracchi, in centro un canale
di neve polverosa. Nelle tue curve c'era l'incertezza di chi stava imparando ma c'era anche l'amore e la gioia per lo sci. Avremmo dovuto urlare di felicità, invece siamo scesi concentrati e increduli di sciare in così tanta bellezza. Era la bellezza della vita e noi ci scivolavamo sopra... Un
urlo diverso avrei voluto fare quando, una mattina, ho saputo quello che il destino già sapeva.
Quelle urla sono la vita. Bella e tragica insieme,
la vita... Noi abbiamo scivolato sulla vita per
qualche tratto insieme. Grazie caro Marco per il
tuo modo di amare la montagna e grazie per
averlo condiviso con me. Grazie... grazie.” (Luca)
gli anni ’80 l’originale copertura del tetto venne
rimossa e sostituita con pannelli di rame ben
coibentati per migliorare l’isolamento termico
durante la stagione invernale. Verso la metà degli anni ’90 fu effettuato un ulteriore intervento di restauro e coibentazione di tutte le facciate esterne. I lavori, eseguiti con pannelli isolanti
e tavole di legno disposte orizzontalmente secondo le tecniche costruttive giunte a noi sin
dal ‘500 tramite le popolazioni Walser (detta a
blockbau) hanno anche migliorato notevolmente l’aspetto estetico dell’edificio; essi si erano resi necessari sia per neutralizzare le lastre di fibrocemento che rivestivano le facciate che per
aumentare il livello di isolamento dei locali a
fronte dei sempre crescenti costi energetici per
il suo riscaldamento. Negli ultimi anni, sempre
grazie ad un nutrito gruppo di volontari, la
struttura era stata notevolmente migliorata;
vennero rifatti tutti i servizi, la centrale termica
e moltissime finiture interne; ciò ha consentito
il suo utilizzo da parte di gruppi di soci provenienti da tutt’Italia sia durante la stagione estiva che quella invernale. Ultimamente era stato
interamente restaurato il salone di piano terreno ed il nostro rifugio non era mai stato così
bello ed accogliente. Il tragico rogo del 23 maggio scorso ci ha privati di Marco, un amico di
sempre ed un instancabile collaboratore per le
manutenzioni del rifugio e, ad 83 anni di distanza dalla sua costruzione, ha messo la parola
fine alla storia del Rifugio Casale. Personalmente conserverò sempre nel cuore il ricordo di una
straordinaria esperienza di solidarietà umana
ogni qualvolta il nostro rifugio necessitava di
manutenzione; in particolare negli ultimi mesi
sono state moltissime le giornate trascorse a
Saint Jacques in compagnia dei “soliti volontari” per cercare di affrettare i lavori ed avere tutto pronto per la stagione estiva. Grazie Marco,
Giorgio, Claudio, Franco... e qui mi fermo perché dimenticherei sicuramente qualcuno, grazie
delle giornate trascorse lassù, non le potrò mai
dimenticare.
Antonio Bobba
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CAMMINANDO SI PESTANO STORIE
Tra il 23 maggio ed il 2 giugno si è percorso il
secondo tratto della variante Francigena delle
Terre Alte di CAMMINACAI 150, da Casale
Monferrato a Sarzana. Hanno attivamente
partecipato, oltre alla Sezione di Casale, quelle
di Valenza, che ha generosamente accolto per
la notte viandanti nella propria sede, Tortona,
Voghera, Piacenza, Parma, Pontremoli e Sarzana, accompagnando il gruppo, anche sotto
la pioggia battente, lungo i sentieri sul proprio
territorio, ed organizzando importanti eventi
per l’accoglienza. Presentiamo questo tratto
del percorso attraverso la singolare testimonianza di una nostra nuova socia “tedesca”.
t
“Camminando si pestano storie“, dice Wu
Ming 2 nel blog della Compagnia dei Cammini, e se questo è vero in generale lo è in modo
assolutamente particolare per le grandi vie
storiche. È rincuorante osservare quante energie si stanno investendo anche a livello di Comunità Europea (hub.coe.int/it/web/coe-porta
l/cultural-routes-forum-2012) per promuovere
percorsi ed itinerari culturali come quello che
Sigerico, arcivescovo di Canterbury, conobbe
e descrisse nel 990 al ritorno da un suo viaggio che lo aveva portato in 79 tappe e ben
1800 chilometri attraverso Francia e Svizzera
dalla sua sede episcopale fino alla Roma di
Papa Giovanni XV. Mi riempie di speranza il
vedere quante persone si stiano dedicando al
rallentare, alla scoperta dei centri minori, alla
pratica di stili di vita sostenibili, al fare fatica
in modo sano e alla promozione di mille
realtà locali “virtuose”, come da qualche anno si dice senza neanche le virgolette, come
fosse chiaro e lampante di quali virtù si tratti.
Si parla di virtù nel mondo del Nano e del
Grande Fratello, che strano. Io sono via dall’Italia dagli anni ‘90. Quando
mi salta il ghiribizzo di sentir parlare italiano
salto su un aereo e vengo giù, mettendo a zittire malamente le mie stesse obiezioni ecologiste. Da quando ho scoperto le escursioni del
CAI sono spesso in giro con l’una o con l’altra
sezione. Il mio inizio in questo senso è stato il
trek di 7 giorni che Sergio e Marinella della
sezione Bologna Ovest organizzano annualmente per il 2 giugno: dalle vie appenniniche
che conducono dalla Barbiana di Don Milani
ai morti di una guerra per niente civile dalla
quale è nata la Repubblica Italiana (come non
mi stanco mai di ripetere ai miei tedeschi, che
al contrario di noi hanno ancora oggi un modo di ricordare e rappresentare la dittatura
pieno di imbarazzi e di silenzi). Segue da pag. 1:
A maggio di quest’anno mi sono imbarcata in
una storia di tipo decisamente diverso. Niente
partigiani, niente Costituzione né critica sociale radicale ma anch’essa un’avventura con
una forte componente storica: l’Anno Mille,
storie di pellegrini, di monaci medievali, saraceni e longobardi, di mercanti e di eserciti.
Un’avventura che ha messo a dura prova non
solo i miei scarponi e i miei menischi ma soprattutto la mia - appena nata - capacità di
camminare al freddo, sotto la pioggia, in tanti, nel fango, con uno zaino sempre troppo
pesante, cantando, sbuffando. Siamo partiti
in una ventina da Casale Monferrato, sotto
un cielo inizialmente freddo e grigio - strano
maggio - e io mi sentivo come una marziana
mentre gli altri sopraggiungevano e si salutavano. Già, molti avevano fatto un primo tratto della Via Francigena insieme e raccontavano della neve al Moncenisio e della Sacra di
San Michele, della Val di Susa. Nel fresco del
mattino, mentre continuavano ad arrivare
nuovi volti e ci si preparava per il cammino
siamo stati raggiunti da una notizia orribile
che purtroppo ci avrebbe accompagnato per
molti giorni: la morte di Marco Corino nel rogo del rifugio di San Jacques. Prima o poi il
gruppo si è poi messo in marcia, mentre le nuvole basse che si dissolvevano regalavano ai
molti obiettivi fotografici improbabili immagini di campi di grano fumanti. A Casale mi son guardata intorno e ho cominciato a preoccuparmi seriamente. Ho visto fisici asciutti, scattanti, outfit superprofessionali,
passi esperti... ce la farò? Poi nei giorni seguenti non ci sarà più tempo per i timori e,
come sempre accade camminando insieme,
alle fine siamo diventati tutti consorti. Ed era
un bel campionario di umanità. C’è l’Uomo
dei Numeri con il suo GPS, c’è il playboy Autoironico, c’è la Compagna di Stanza, c’è la
Capa Infortunata, ci sono le Sorelle con la
bandiera, c’è il Gianni, così dolce, con la sua
Maura, c’è il Capo con le insegne del Cammino e il cipiglio di uno che guarda sempre
avanti, c’è chi fa sempre lo spiritoso, ci sono
gli irriducibili, c’è chi parla “a chilometro zero”, c’è chi a casa ha più grane che altro, c’è
chi invece lascia un orto e una moglie, c’è chi
per strada cerca banalmente la propria fortuna, c’è chi è ad una svolta importante e la affronta a testa alta, c’è chi chiacchiera, c’è chi
fotografa, chi si apparta in chiesa, chi ci viene
incontro in bici, c’è chi cerca il silenzio in cima
alla fila, c’è chi la sa lunga ma tace, c’è chi è
stato a Santiago. E ci sono gli esperti di tutto,
le guide improvvisate, c’è chi in mezzo a monti racconta permanentemente di altri monti,
c’è chi finisce in acqua, ci sono quelli che vogliono portare a Francesco un dono, ci sono
quelli che camminano perché l’han sempre
fatto e ora ne hanno il tempo, c’è chi si fa male ma soffre silenzio, ci sono mille storie e motivazioni diverse... E ci sono dozzine di accompagnatori e compagni di un pomeriggio, ci
sono tanti amici incontrati per strada... durante gli undici giorni del nostro percorso il gruppo si contrae, espelle qualcuno, accorpa qualcun’altro, si ingigantisce come un’ameba fino
a comprendere 303 persone durante l´intersezionale del 26 maggio (c’erano anche madame con le scarpe da ginnastica) ed è un piccolo catalogo di vizi e qualità umane che cammina accanto a me con lo zaino. Ma non c’è tanto tempo per pensare. Iris, papaveri, rose, maggio alla fine è esploso. Presto
passiamo accanto ad una cascina che apre il
suo portone per noi, e lì sull’aia ci attende un
rinfresco: salvia e limone, torcetti, crumiri di
Casale (solo la sera prima in una cena di benvenuto preventivo avevo imparato quali non
comprare), gusti semplici ed antichi come il
gesto elementare di chi cammina. Un amico
infortunato ci vuole salutare.
(continua sul prossimo numero)
[email protected]
PROGETTO ACONCAGUA 2014
Aconcagua in Argentina, a promuovere
una nuova raccolta fondi destinata al potenziamento del Neema Hospital e ad un
eventuale acquisto di un’ambulanza da
destinare alle baraccopoli. La nuova spedizione sarà per questo denominata “Sulle
Ande per l’Africa” e vedrà impegnato con
noi l’alpinista Piacentino Davide Chiesa
che curerà la parte finale dell’ascensione
documentandone in un filmato le fasi del
raggiungimento della vetta.
Chi è World Friends Onlus
Amici del Mondo World Friends Onlus è
un’associazione aconfessionale e apartitica
che si ispira ai valori della solidarietà e della giustizia. I suoi aderenti si riconoscono
nei principi sanciti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, con particola-
re riferimento alla salute, all’educazione e
alla dignità personale. La struttura organizzativa è flessibile ed essenziale: questo
consente di destinare il massimo possibile
dei fondi raccolti alla realizzazione degli
interventi di cooperazione, senza sprechi
né costi eccessivi per la gestione dell'associazione.
Gli obiettivi
Interventi nelle zone più povere del sud
del mondo, con una speciale attenzione
alle baraccopoli di Nairobi, Kenya, dove si
attivano progetti nell'ambito della sanità,
della formazione professionale e della
promozione sociale. Il gruppo progettuale
di World Friends e parte del Comitato Direttivo si trovano a Nairobi, dove lavorano
con le comunità locali e ne raccolgono le
richieste, condividendo con loro i progetti
di sviluppo.
ONLUS E ONG
In Italia World Friends si è costituita come
associazione il 21/07/2001 e come Onlus dal
12/02/2004. Dal 2011 (decreto ministeriale
del 04/07/2011) World Friends è una Organizzazione Non Governativa riconosciuta
dal Ministero degli Esteri Italiano ed è pertanto Onlus di diritto. World Friends è
iscritta al Registro delle persone giuridiche,
ai sensi del D.P.R. 361/2000, presso la Prefettura di Roma al n° 745/2010. In Kenya
World Friends è stata ufficialmente riconosciuta come Organizzazione Non Governativa Internazionale (International Non Governamental Organisation) il 16/12/2004. Sezione CAI Acqui Terme
5
Sezione di Acqui Terme,
Gruppo Mountain Bike
BIKEGORREI 2013,
PERCORSO DURO
I sentieri del ponzonese domenica 9 giugno
sono stati teatro della terza edizione del
Bikegorrei, raduno di mountain bike organizzato dal gruppo MTB del Club Alpino
Italiano Sezione Nanni Zunino di Acqui Terme. Non sono serviti i due rinvii della manifestazione per maltempo, il destino era la
pioggia e pioggia è stata, ma per fortuna
solo all’arrivo.
Più di trenta i partecipanti partiti da Abasse, risalendo il tracciato del mitico “Trail
dei Gorrei”, gara del 14 aprile scorso, abbandonato dopo la durissima discesa dei
tralicci per proseguire verso Bandita e risalire il Rio Meri fino a Toleto per poi scendere al Rifugio Gorello e tornare ad Abasse. Il
nuovo e definitivo tracciato di 23 kilometri
si è presentato molto impegnativo ed ha
messo a dura prova gambe e braccia dei
bikers massacrando i mezzi meccanici con 5
forature, un disco freni esploso ed un cambio saltato.
I tratti del percorso sono caratterizzati da
panorami impagabili sul Ponzonese, sulla
valle di Olbicella e sulla Pianura Padana dominata dall’alto della costiera attraversata
dal sentiero CAI 531 (Sentiero del Pellegrino di Bruno Buffa) che da Acqui giunge al
mare (la traccia GPS del percorso è a disposizione presso la sede CAI). L’acquazzone
degli ultimi 10 minuti neppure è stato sentito dagli atleti già bagnati ed infangati dai
sei guadi del percorso. Meta ultima e meritata il Ristorante Bado’s di Abasse che come tutti gli anni ha ospitato ciclisti ed accompagnatori per la consueta ed impagabile raviolata.
Come tutte le manifestazioni organizzate
dal CAI di Acqui in MTB, l’incasso della
giornata sarà interamente devoluto alla
Onlus World Friends fondata dal socio CAI
Dr. Gianfranco Morino. I 350 euro raccolti
finanzieranno il Neema Hospital di Nairobi
(Kenia) ed aiuteranno l’associazione ad acquistare un’ambulanza per le baraccopoli
della città.
Il prossimo appuntamento del gruppo MTB
CAI sarà una due giorni a Limone Piemonte
“Sulla Via Del Sale” a fine Luglio.
Alpinismo Giovanile: prime esperienze in verticale
FERRATA ALLA SACRA DI S. MICHELE
Mano a mano che i due pullman con a bordo ragazzi ed accompagnatori si avvicinavano alla meta, il profilo di una grande e storica costruzione si delineava all'orizzonte.
Tutti eravamo increduli per la domenica di
sole che questa primavera bizzarra, fredda e
piovosa ci ha inaspettatamente regalato domenica 2 giugno. L’obbiettivo dell’uscita era
il monte Pirchiriano (962 m) dove sorge uno
dei simboli del Piemonte ed uno tra i monumenti storici più importanti d’Italia. Si tratta
dell’Abbazia della Sacra di San Michele e la
via ferrata che percorre il versante nord del
Pirchiriano, intitolata a Carlo Giorda, è il terreno di azione del corso di AG delle sezioni
di Ovada, Novi Ligure e Acqui Terme. Il percorso viene affrontato solo dai ragazzi
più esperti e tecnicamente preparati, quelli
che partecipano al corso avanzato. Gli altri,
quelli che devono ancora prendere confidenza con le vie ferrate, si confrontano con
i facili tratti del percorso attrezzato che si
sviluppa sulle pareti rocciose sopra il paese
di Caprie, proprio di fronte alla Sacra sull’altro versante della valle. Questa ferrata si
snoda sulla roccia sfruttando ampiamente le
zone di maggior interesse con un itinerario
diviso in due settori distinti. Il primo è più
facile ed appoggiato, ideale per una prima
esperienza. I ragazzi più piccoli o comunque
alle prime esperienze con cavi e moschettoni hanno provato l'utilizzo di questi attrezzi,
divertendosi a salire la via, tutta o in parte,
a seconda delle valutazioni degli accompagnatori. Ovviamente anche gli accompagnatori si sono divisi in due gruppi per seguire
adeguatamente i ragazzi, adottando la tecnica di progressione in conserva che aggiunge un importante fattore di sicurezza all'uso
dell’indispensabile set da ferrata. Il percorso
che sale alla Sacra, oltre che essere affascinante, è anche ricco di spunti storici: a metà
salita si incontra un ripiano, chiamato nell’antichità dagli abitanti di Sant’Ambrogio
“Pian Cestlet” e “Piasa Buè” dagli abitanti
della Chiusa San Michele. Su questo ripiano
si trova l’antica chiave di confine tra i comuni scolpita nella roccia. Più in alto una spaccatura orizzontale fu usata come nascondiglio dai partigiani della zona negli anni del
secondo conflitto mondiale. Ancora sopra si
incontra un altro sentiero, che nell’antichità
collegava gli abitati di San Pietro e Chiusa
passando su una cengia identificata dal toponimo “U Saut du Cin”. Affascinante dicevamo, ma anche piuttosto impegnativo con
i suoi 600 metri di dislivello che in una domenica di bel tempo è anche rallentato dal
numero di frequentatori.
Questo percorso ha però un grande vantaggio: quello di offrire due possibili varianti a
due quote differenti, che consentono, in caso di problemi o semplicemente in caso di
stanchezza, di prendere un sentiero e tornare a valle. Un paio di accompagnatori hanno
saggiamente scelto questa soluzione per
prudenza, vedendo allungarsi troppo il tempo richiesto per la salita. La maggior parte è
invece arrivata al termine della ferrata con
grande soddisfazione, ammirando la Valle
di Susa e raggiungendo e contornando le
antiche mura dell’Abbazia della Sacra. Un
altro bel momento da annoverare tra le
uscite del corso di AG 2013.
CAI Tortona
ATTIVITÀ SEZIONE
La fine dell’inverno è stata generosa di neve
anche sull’Appennino della Val Curone e
quindi molti soci della Sezione di Tortona
hanno potuto effettuare escursioni con sci e
racchette in varie località, soprattutto nell’area del Monte Ebro, sostando al Rifugio Ezio
Orsi per una piacevole pausa o per il pernottamento. Le avversità atmosferiche della primavera hanno talvolta imposto modifiche al
programma ma sono state effettuate ugualmente alcune interessanti escursioni anche
in località alpine. Sono stati organizzati alcuni incontri divulgativi presso la sede della
Sezione con lo scopo di aggiornare i soci
presenti relativamente alle tecniche di progressione su ghiacciaio. L’interesse e la partecipazione sono stati molto elevati e i soci
che non hanno mai praticato la specifica attività hanno ora sufficienti elementi per valutare la propria eventuale iscrizione ai corsi
della scuola intersezionale. Una serata è stata dedicata all’accoglienza di alcuni soci di
altre Sezioni impegnati nel percorso della
Via Francigena ed alla proiezione di filmati
e fotografie inerenti varie attività alpinistiche soprattutto nel gruppo del Monte Bianco. La sede della sezione, anche se parzialmente inagibile a causa di un guasto idrico,
ogni giovedì sera è animata da molti soci
che in un sincero clima di amicizia e simpatia si scambiano esperienze e programmi. Si
invitano tutti gli appassionati della montagna a condividere questi semplici ma autentici momenti di unione e cordialità.
6
Caratteristiche e segreti della fauna che vive in montagna
ARRAMPICARE COME... STAMBECCHI E CAMOSCI
In estate in montagna molti appassionati si
dedicano alle escursioni, altri hanno la possibilità di aggiungere qualche difficoltà e
quindi qualche passo di arrampicata e pochi
riescono ad arrampicare dedicando a questa
disciplina la maggioranza del proprio tempo.
Arrampicare con una certa disinvoltura prendendosi gioco del vuoto ed ottenere prese
improponibili da appigli insignificanti è oggi
possibile anche grazie ad una vastissima disponibilità di attrezzature. Ma nelle escursioni estive in montagna è sempre possibile l’incontro con stambecchi e camosci che arrampicano per tutta la vita iniziando già qualche
ora dopo la nascita, facendo uso solo di
quanto hanno ottenuto dalla natura. Talvolta questi animali sostano a lungo nei pendii
più ripidi anche nel periodo invernale dove
l’accumulo di neve è più contenuto ed è
quindi possibile individuare povere fonti di
cibo. La natura ha infatti fornito al camoscio
ed allo stambecco zampe particolarmente
adatte alla vita verticale.
Gli arti dello stambecco sono particolarmente idonei all’arrampicata poiché terminano
con zoccoli costituiti da un materiale molto
elastico e relativamente morbido; essi sono
inoltre facilmente divaricabili. Nella parte
posteriore del piede sono presenti due escrescenze cornee, detti speroni, sufficientemente robuste per sfruttare ogni minima sporgenza rocciosa; esse sono anche utili per frenare al termine dei salti sul terreno in pendenza. Gli stambecchi percorrono i versanti
più ripidi con ostentata sicurezza che osservarli con un binocolo può farti credere che
sia possibile rubare loro qualche segreto. È
inutile, devi accontentarti di guardare. Ma
continuando a guardare non può sfuggire
un secondo aspetto dell’arrampicata dello
stambecco: la calma e la lentezza. Questi
animali sembrano non curarsi del pericolo di
precipitare ma, se non sono disturbati, procedono sempre con una certa lentezza. E
proprio queste caratteristiche consentono
agli stambecchi di arrampicarsi anche sugli
sbarramenti frontali delle dighe soprattutto
se essi sono molto grezzi o rivestiti in pietra
e più raramente sulle costruzioni militari in
quota alla ricerca degli affioramenti salini.
C’è poi un terzo ed affascinante aspetto: lo
stambecco non segue quasi mai la via più
breve e, soprattutto il maschio, ama raggiungere posizioni dominanti, quasi sempre
a strapiombo, passando tra i massi, sottraendosi alla vista per qualche istante. Molte volte esso sembra essere scomparso, lo attendi
a destra e lui riappare a sinistra e viceversa,
oppure non lo rivedi più ma nel momento in
cui credi che sia andato altrove, eccolo che
ritorna e con un ultimo salto raggiunge il
punto più alto dove infine il maschio assume
sempre una posizione statuaria. Se lo stambecco è intimorito da un predatore o dall’uomo, procede meno lentamente, ma se
sosta su una parete rocciosa non si affanna
mai nella fuga poiché è consapevole dell’asprezza del territorio, quasi impossibile per
uomini e predatori. Anche nel periodo degli
amori lo stambecco continua a frequentare
prevalentemente i dirupi dove sfida i rivali
sommando le fatiche della lotta con le difficoltà connesse all’ambiente. Per vedere fuggire di corsa un branco di stambecchi è necessario sorprenderli nei pascoli in quota ed
essi, soprattutto se sono
presenti femmine e piccoli, fuggono con una
corsa abbastanza veloce verso la più vicina
parete rocciosa dove,
confidando nella vista
molto efficace e nelle
difficoltà ambientali,
sono sostanzialmente al
sicuro.
Il camoscio apparentemente condivide il territorio con lo stambecco
anche se in realtà esistono delle differenze
importanti. Anche l’arrampicata del camoscio
è differente rispetto a
quella dello stambecco.
Gli zoccoli del camoscio sono più allungati,
ben divaricabili analogamente a quelli dello
stambecco ma maggiormente adattati alla
progressione sulla neve per la presenza di
una suola. La punta degli zoccoli è più o meno acuta in relazione all’ambiente frequentato che a sua volta può causare una maggiore usura mentre il bordo laterale è spigoloso ed elastico, adatto alla presa anche su
sporgenze rocciose ridottissime. La parte
centrale è più morbida e liscia e favorisce l’aderenza sulle superfici uniformi e levigate
come per esempio le superfici rocciose percorse dai ghiacciai. Anche il camoscio è dotato di speroni, utili soprattutto al termine dei
salti verso il basso per favorire la frenata. La
progressione del camoscio è molto diversa
da quella dello stambecco. Il camoscio è osservabile principalmente in tre momenti:
mentre si alimenta nelle radure tra i boschi e
nei pascoli oltre il limite della vegetazione
oppure tra le rocce più elevate soprattutto
nel periodo estivo o durante una fuga im-
provvisa allarmato dall’arrivo dell’osservatore. Se l’animale non percepisce la presenza
umana o di un predatore, pascola tranquillamente anche se mantiene un livello di attenzione molto alto poiché frequenta spesso
anche ambienti non spiccatamente rocciosi e
quindi facilmente accessibili ai predatori.
Sorpreso, si dilegua molto rapidamente seguendo un percorso inizialmente orizzontale, interrotto ben presto talvolta da una discesa precipitosa o più spesso da una veloce
salita quasi sempre seguendo la linea di massima pendenza. Nella fuga il camoscio è sempre molto veloce, talvolta si abbandona ad
una corsa sfrenata, ma anche molto sicuro
nei movimenti; riesce a correre in salita percorrendo pendii ripidissimi saltando da un
masso all’altro e galoppando sui ghiaioni.
Può saltare verso il basso anche nelle pareti
rocciose molto ripide. In qualche caso, il camoscio scende dai pendii innevati scivolando
verso valle ma è capace di interrompere la
discesa ed iniziare a correre all’improvviso
nella direzione opposta. Solamente nel periodo degli amori il camoscio modifica le
proprie abitudini e soprattutto il maschio è
più attento all’arrivo di un rivale che di un
essere umano. Gli altri maschi vengono respinti con decisione anche con lunghi inseguimenti che obbligano il soggetto dominante ad abbandonare, anche se brevemente, le femmine. Queste ultime, quando sono
costrette ad allontanarsi, sembrano poco desiderose di fuggire ed apparentemente preferiscono attendere il ritorno del maschio
spostandosi brevemente. La differenza tra la
fuga dello stambecco e del camoscio è dovuta all’ambiente frequentato: lo stambecco vive quasi esclusivamente tra le pareti rocciose
anche in inverno mentre il camoscio è molto
meno esigente e scende, soprattutto in inverno, all’interno del bosco. Le abitudini del
camoscio rendono l’animale più vulnerabile
e per questo motivo esso fugge sempre precipitosamente sollevando la breve coda in
segno di allarme. In un certo senso, riuscire
ad osservare a lungo i camosci nel loro ambiente può essere motivo di soddisfazione
anche in relazione alla elevatissima soglia di
attenzione dell’animale, sempre estremamente vigile e pronto alla fuga.
È ancora da segnalare che le informazioni
ora esposte sono relative ad animali che vivono in ambienti poco frequentati. Nelle
aree protette, soprattutto in alcune località
raggiunte ogni anno da moltissimi escursionisti, gli stambecchi sono molto confidenti
anche perché hanno imparato che gli escursionisti consumano alimenti molto salati e
quindi particolarmente graditi a questi animali. Anche i camosci accantonano in parte
la propria diffidenza e possono farsi avvicinare fino a qualche metro. Riuscire ad avvicinare un animale selvatico divenuto molto
confidente può essere attraente; è però importante ricordare che esso può interpretare
erroneamente un movimento dell’osservatore o giungere a pretendere l’offerta di cibo
come talvolta è avvenuto con le volpi, divenendo ostile e pericoloso soprattutto in presenza di bambini. Non deve mai essere offerto cibo agli animali poiché essi devono procurarsi gli alimenti in natura mantenendo in
questo modo la propria rusticità.
PROGRAMMA ATTIVITAʼ
ALESSANDRIA
ESCURSIONISMO
6-7 LUGLIO
14 LUGLIO
30 AGO-2 SETT
15 SETTEMBRE
29 SETTEMBRE
13 OTTOBRE
20 OTTOBRE
WEEK END PER FAMIGLIE IN VAL VENY
D.G. Astori, Avalle
COLLE BATTAGLIONE AOSTA 2883 m
(Val Ferret) dallʼAlpe Prà Sec 1600 m
(EE) D.G. Colla, Penna
TREKKING IN VAL DI FASSA
(EE) D.G. Accornero, Fei, Modica
CIMA SASSO 1916 m (Val Grande) da Cicogna
(EE) D.G. Lagostina, Torti
GIRO DEI 3 PASSI IN ALTA VAL FORMAZZA
Riale, Passo S. Giacomo, Capanna Corno
Gries, Passo del Corno, Passo Gries, Riale
(E) D.G. Rosina, Torti, Visconti
ANELLO DEI LAGHI DI FREMAMORTA
2429 m - da Terme di Valdieri 1368 m
(E) D.G. Barbieri, Moscato
CASTAGNATA AL MOLINO NUOVO
CASALE
ESCURSIONISMO
7 LUGLIO
7-21 LUGLIO
21 LUGLIO
1 SETTEMBRE
5-14 SETTEMBR
15 SETTEMBRE
19-28 SETTEMB
13 OTTOBRE
27 OTTOBRE
ALPINISMO
21 LUGLIO
BREITHORN OCCIDENTALE 4165 m
da Plateau Rosà 3455 m
(F) D.G. Astori, Avalle, Brunoldi
ACQUI TERME
ESCURSIONISMO
7 LUGLIO
8 LUGLIO
21-28 LUGLIO
4 AGOSTO
18-21 AGOSTO
25 AGOSTO
1 SETTEMBRE
14-15 SETTEMB
6 OTTOBRE
MONTE ALBRAGE E MONTE BELLINO
PASSEGGIATA PIROTECNICA
CORVARA (Trentino Alto Adige)
MONTE GIMONT E CIMA SAUREL 2646 m
ENTRACQUE - VALLE DELLE MERAVIGLIE
TESTA GRIGIA 3313 m
SUI SENTIERI DI NANNI ZUNINO
GRAN TRAVERSATA DELLE GRIGNE 2409 m
PONZONE PER IL 150° (prima edizione)
ALPINISMO
13-14 LUGLIO
21-28 LUGLIO
AGOSTO
NOVEMBRE
MONTE ROSA - TRAVERSATA DAL RIFUGIO
SELLA AL RIFUGIO MANTOVA
CORVARA (Trentino Alto Adige)
ARRAMPICATE IN VALPELLINE
ACONCAGUA 6962 m - Spedizione Alpinistica
SIMPLON DORF - BIVACCO LAGGIN
(E) Org. Piotto, Rossi
ALLA SCOPERTA DELLʼISLANDA
A cura di F. Capra e G. Demichelis
LAGO DELLʼINCLOUSA - BIVACCO REGONDI
(E) Org. Bobba
ANELLO COMBOÈ - ARBOLLE - CHAMOLÉ
(E) Org. Leporati
CAMMINACAI 150 - DA SARZANA A SIENA
BIVACCO MOLINO - VALLI DI LANZO
(E) Org. Capra, Demichelis
CAMMINACAI 150 - DA SIENA A ROMA
LA TRADIZIONALE CASTAGNATA: ANELLO
RONCO CANAVESE - VALPRATO SOANA
(E) Org. Piotto, Rossi
QUARONA - MADONNA DEL SASSO
(E) Org. Piotto, Nosenzo
ALPINISMO
7 LUGLIO
CORNO BIANCO VALSESIANO
da Rif. Carestia (F) Org. Mazzuccato
8 SETTEMBRE MONTE CRESTO DALLA BOCCHETTA DEL
CANABÀ (PD) Org. Ferrero
CICLOESCURSIONISMO
14 LUGLIO
RISALENDO LA VALLE DʼAYAS: DA CHALLAND
S. ANSELME AL RIFUGIO CASALE
(MC/MC) Org. Mazzuccato, Bobba
15 SETTEMBRE GIRO DEL MONTE SION
(MC/MC) Org. Bardone
13 OTTOBRE
DA SCIARBORASCA A PRÀ RIONDO
(MC/BC) Org. Ferrero
ALPINISMO GIOVANILE
Gruppo guide
13 LUGLIO
SAINT VINCENT attendamento
15 SETTEMBRE PUNTA MARTIN escursione “alpina”
6 OTTOBRE
CASALESE uscita MTB
VALENZA
MTB
13 OTTOBRE
GIRO DEI TRE BRICCHI
ESCURSIONISMO
5-8 LUGLIO
TO R TO N A
MTB
21 LUGLIO
MONTE CHABERTON
ESCURSIONISMO
27-28 LUGLIO
DUE GIORNI AL MONVISO - RIF. Q. SELLA
Commemorazione 150 anni del CAI
ALPINISMO
31 AGO -1 SETT
CAPANNA MARGHERITA 4554 m
DAL RIFUGIO MANTOVA
14 LUGLIO
1 AGOSTO
13-14 AGOSTO
1 SETTEMBRE
15 SETTEMBRE
21-26 SETTEMB
6 OTTOBRE
20 OTTOBRE
OVADA
ESCURSIONISMO
6-7 LUGLIO
13-22 LUGLIO
21 LUGLIO
26-29 LUGLIO
10 AGOSTO
WEEK END IN VAL BELLINO Rif. Melezè (EE)
Org. Cartasegna, Ferraro
TUTTI IN BAITA IN VAL VENY (E)
Org. Icardi, Stiber
BECCA DI PUGNENTA m 2827 - Valle dʼAosta
(EE) Org. Mazzino
ALPI OROBIE - RIFUGIO CURÀ
(E) Org. Cons. Direttivo
FIACCOLATA NOTTURNA A SAN LORENZO
(T) Org. Piana, Piccardo
DOLOMITI (DA RIFUGIO A RIFUGIO)
GIRO DELLA MARMOLADA
ALAGNA VALSESIA - RIFUGIO FERIOLI
UNA NOTTE AL RIFUGIO CARESTIA
DUE NOTTI IN RIFUGIO
(Chalet de lʼEpèe - Benevolo)
RIFUGIO PERUCCA (Valtournenche)
MONTE LOSETTA (Chianale)
LA CAMARGUE - PARC DU LUBERON
BICICLETTATA E CAMMINATA SULLE
NOSTRE COLLINE
FAIALLO - MONTE RAMA - LERCA
SAN SALVATORE
ESCURSIONISMO
7 LUGLIO
14 LUGLIO
28 LUGLIO
15 AGOSTO
25 AGOSTO
8 SETTEMBRE
21-22 SETTEMB
13 OTTOBRE
27 OTTOBRE
GUGLIA ROSSA (Valle di Susa) (EE)
PUNTA DELLA CROCE (Valle di La Thuile) (E)
TREKKING IN VALLÈE BLANCHE (EE)
CONCERTO DI FERRAGOSTO (E)
ALTA LUCE (Valle di Gressoney) (E)
RIFUGIO MASSERO (Carcoforo) (E)
RIFUGIO V. SELLA (Val di Cogne) (E)
CASTAGNATA
GITA SOCIALE
8
Una giornata, una vetta…
TÊTE ENTRE DEUX SAUTS m 2729
Val Ferret
Tra il vallone Arminaz ed il più celebre
vallone di Malatrà, tributari di sinistra della val Ferret, si eleva la Tête Entre Deux
Sauts, cima dal nome singolare che costituisce un punto panoramico di prim'ordine. L'itinerario che raggiunge la vetta si
sviluppa interamente al cospetto delle
Grandes Jorasses, con la Punta Walker che
riveste il ruolo di nobile dirimpettaia alla
nostra meta. Il panorama che si gode dal
punto culminante è indubbiamente
straordinario, dal momento che è possibile cogliere con un solo sguardo l'intero
versante valdostano del gruppo del Monte Bianco, che mostra tutte le sue cime
più famose: mentre sulla testata della val
Ferret s'eleva il Mont Dolent, dal lato opposto le lingue del ghiacciaio del Miage e
della Brenva scendono dai 4806,80 m (ultima misurazione) del tetto d'Europa verso la val Veny. L'Aiguille Noire de Peuterey, pinnacolo in stile gotico, e le cuspidi
del Maudit e del Tacul contornano il gigante, che mostra il suo curioso dente
quasi a scoraggiare chi medita di violarlo.
Dalla Tête si possono inoltre scorgere il
Crammont e la Testa delle Tronche, altri
balconi sui graniti del Bianco meritevoli di
visita. L'itinerario si svolge interamente su
sentiero, poco evidente soltanto nel primo tratto tra il passo Entre Deux Sauts e
l'omonima Tête.
Caratteristiche dell'escursione
Dislivello: 1040 m circa
Esposizione: percorso ad anello, con tratti
rivolti in modo variabile ai quattro punti
cardinali.
Difficoltà: E
rato il limite del bosco, perviene al rifugio Walter Bonatti (2025 m). Tenendo la
suggestiva costruzione a sinistra, si prosegue lungo il vallone dirigendosi verso l'Alpe
Malatrà superiore (2213 m),
in prossimità della quale il
sentiero appare inerbito; tuttavia, mantenendosi a destra
dell’alpeggio, presto ci si ritrova su percorso evidente.
Si risale a lungo, con pendenza graduale, il vallone di Malatrà, fino a quando il tracciato svolta nettamente a destra, mirando con decisione
il passo Entre Deux Sauts, a quota 2524 m.
Raggiunto il punto di valico, superata di
una decina di metri la linea di displuvio, si
lascia il sentiero principale e si sale verso
destra per un’esile traccia, che una trentina di metri più in quota riprende le sembianze di un vero e proprio sentiero. Quest’ultimo s’inoltra presto nel versante sud
Sulla cima sud-est,
sullo sfondo del Monte Bianco
Il Gruppo del Bianco dalla vetta:
a destra si nota il Dente del Gigante
della montagna, guadagnando rapidamente quota e raggiungendo infine la
sommità della Tête Entre Deux Sauts, caratterizzata da due punti culminanti, uniti
da una breve e ampia cresta erboso-detritica. All’estremità sudovest si nota un cippo di pietre ed una croce, mentre la cima
nordest, che in verità sembra appena più
alta, non presenta alcun segno che la contraddistingua. Ridiscesi al passo, si prosegue il percorso ad anello scendendo nel
vallone Arminaz. Raggiunta quota 2270 m
circa, si nota alla propria destra un sentiero minore, che porta verso l'Alpe Secheron superiore (2250 m): alcune indicazioni
(segni gialli) ne facilitano l’individuazione. Raggiunto l’alpeggio, lo si supera e,
camminando sempre su esile sentiero tra
praterie interrotte da alcune colate detritiche, raggiunta quota 2140 m circa, si
confluisce finalmente su un tracciato più
evidente. La si segue, ignorando un centinaio di metri più a valle la variante per
Arminaz che si stacca a sinistra; ritornati
nel bosco, si perviene finalmente a Secheron. Da quest’ultima località, si segue
un’evidente carrareccia fino a 1845 m circa, dove ci si ricongiunge al percorso dell’andata, chiudendo l’anello. Un’ultima
decisa discesa tra i larici riporta infine al
parcheggio.
Claudio Trova
Sulla cima sud-est,
sullo sfondo della Val Veny (a destra)
Descrizione del percorso
Con un po’ di fortuna si può parcheggiare
l’auto su un piccolo spiazzo a 1695 m a
monte di La Vachey o Lavachey. Soprattutto nell’alta stagione e nei giorni festivi
non è tuttavia infrequente che i pochi posti disponibili siano occupati: in questo caso occorrerà lasciare i mezzi motorizzati
proprio a La Vachey, non essendo consentito il parcheggio ai lati della carrozzabile.
In qualunque caso occorrerà raggiungere
lo spiazzo a 1695 m, da dove s’inizia a
camminare per il sentiero 107, l’attacco
del quale si trova poco a valle dello slargo; occorre fare attenzione a non seguire
il sentiero che inizia invece a monte del
parcheggio, presso una casupola, che s’identifica con un tracciato più lungo. Il
sentiero s’inerpica ripido nel lariceto, lascia a destra il bivio per Secheron e, supe-