Esposizione occupazionale articoli

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Esposizione occupazionale articoli
136
TEMA LIBERO
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
Tabella I. Rischio di linfoma e dei maggiori sottotipi associato
a polimorfismi a carico dei geni implicati nel metabolismo
di cancerogeni occupazionali (modello dominante)
01
RISCHIO DI LINFOMA ASSOCIATO AI POLIMORFISMI
DEI GENI IMPLICATI NEL METABOLISMO DI XENOBIOTICI
CANCEROGENI PRESENTI IN AMBIENTI DI LAVORO
P. Cocco, M. Zucca1, D. Fadda, G. Satta, T. Nonne, E. Masala,
M. Meloni, C. Flore, E. Angelucci2, A. Gabbas3, P. Moore4,
A. Scarpa4, M.G. Ennas1
Università di Cagliari, Dipartimento di Sanità Pubblica - Sezione di
Medicina del Lavoro, Asse didattico della Facoltà di Medicina, SS 554
km 4.5 09042 Monserrato (Cagliari)
1 Dipartimento di Citomorfologia, Università di Cagliari;
2 Unità Complessa di Ematologia, Ospedale Oncologico A. Businco,
ASL 8, Cagliari;
3 Unità Complessa di Ematologia, Ospedale San Francesco, ASL 3,
Nuoro;
4 Dipartimento di Anatomia Patologica, Università di Verona.
Corrispondenza: Pierluigi Cocco, Università di Cagliari, Dipartimento
di Sanità Pubblica - Sezione di Medicina del Lavoro, Asse didattico
della Facoltà di Medicina, SS 554 km 4.500, 09042 Monserrato
(Cagliari). Tel. +39 070 6754438, fax: +39 070 6754728; e-mail:
[email protected]
LYMPHOMA RISK ASSOCIATED TO POLYMORPHISM IN
GENES IMPLICATED IN THE METABOLISM OF WORKPLACE
CARCINOGENS
ABSTRACT. Introduction. Exploring lymphoma risk associated
with metabolic gene polymorphisms might provide clues on the role of
gene-environment interactions in lymphomagenesis.
Methods. We assessed polymorphisms in genes encoding for the metabolic enzymes CYP1A2, CYP2E1, GSTM1, GSTT1, NAT1, NAT2,
NQ01, and PON1 in 255 incident lymphoma cases and 204 population
controls. The odds ratio (OR) for lymphoma overall, B lymphoma, and
the diffuse large B cell lymphoma (DLBCL) and chronic lymphocytic
leukemia (CLL) subtypes, associated to the less frequent allele was calculated along with the respective 95% confidence interval, adjusting by
age and gender.
Results. GSTT1 gene polymorphism significantly increased risk of
DLBCL (OR = 5.0, IC 95% 3.0-8.3). An excess risk of DLBCL was also
related to polymorphisms in the CYP1A2, PON1, NAT1 and NAT2genes.
CLL risk was reduced in relation to CYP1A2 polymorphisms, increased
in relation to GSTM1 deletion, and strongly associated with NAT1, and
NAT2 mutant haplotypes.
Conclusion. Caution is recommended in interpreting the high risks
in our study, due its small size. However, our results suggest that polymorphisms in genes encoding for the metabolic enzymes might affect risk
of specific lymphoma subtypes associated with exposure to workplace
carcinogens.
Key words: gene polymorphisms, lymphoma, occupational
carcinogens
INTRODUZIONE
I linfomi costituiscono un gruppo eterogeneo di neoplasie del sistema emolinfopoietico ad eziologia multifattoriale, nella quale sono implicati fattori genetici, agenti virali, esposizioni occupazionali, esposizioni ambientali, ed abitudini individuali.1 La valutazione del rischio associato a polimorfismi a carico dei geni che controllano la sintesi degli
enzimi che sovrintendono al metabolismo di xenobiotici presenti nell’ambiente di lavoro, può offrire indicazioni sulle esposizioni lavorative
che, interagendo con quei polimorfismi, potrebbero contribuire alle fasi
iniziali del processo di linfomagenesi.
MATERIALI E METODI
Nel corso del periodo 1999-2003, 255 casi incidenti di linfoma e
204 controlli, selezionati a caso tra la popolazione residente nelle aree
dello studio, partecipanti allo studio multicentrico Europeo caso-controllo EPILYMPH in Sardegna, hanno donato un campione ematico
per la determinazione di biomarcatori di esposizione e di polimorfismi
genetici. Ai fini di questo studio, sono stati esaminati 6 polimorfismi
di singoli nucleotidi (SNPs) a carico di geni che codificano sono state
condotte con tecnologia Taqman® per i seguenti enzimi coinvolti nel
metabolismo di cancerogeni in ambienti di lavoro: CYP1A2, GSTT1,
NQ01, e PON1. Per le seguenti analisi si è ricorso a primers allele specifici e PCR multiplex: CYP2E1 (delezione regione 5’),GSTM1 (delezione, plus/null), NAT1 (aplotipi *4, *10 e *11), e NAT2 (aplotipi
*5C, 6 e 7). Gli odds ratio (OR) per tutti i linfomi nel complesso, e per
i sottotipi più frequenti (linfoma diffuso a grandi cellule di tipo B,
DLBCL, e leucemia linfatica cronica, LLC) e loro raggruppamenti
(linfomi a cellule B), associati alla variante rara, ed i rispettivi intervalli di confidenza al 95%, sono stati calcolati mediante regressione
logistica non condizionale, aggiustando le stime di rischio per età e
sesso. A causa del ridotto numero di casi di specifici sottotipi, l’analisi
è stata condotta utilizzando il modello della mutazione dominante,
combinando quindi la condizione di omozigosi per la variante rara con
quella di eterozigosi.
RISULTATI
L’allele caratterizzato dalla sostituzione Citosina>Timina in posizione 182 del gene della Glutatione transferasi T1 (SNP rs4630), implicato nella detossificazione, tra l’altro, dei metaboliti ossidativi del benzene, dell’ossido di etilene e del tricloroetilene, ha mostrato un aumento
significativo del rischio di linfoma diffuso a grandi cellule di tipo B (Tabella I). Un aumento non significativo del rischio di DLBCL è stato
anche osservato in relazione alla sostituzione Adenosina>Guanina in posizione 78 del gene PON1 (rs662), coinvolto nel metabolismo di seconda
fase degli esteri organofosforici, alla sostituzione Citosina/ Adenosina in
posizione 154 della sequenza ripetuta 1 (IVS1) del gene CYP1A2, al polimorfismo NAT1, ad al polimorfismo dell’aplotipo 7 di NAT2. Il rischio
di LLC ha mostrato una forte associazione con i polimorfismi dei geni
NAT1 e NAT2 e con la delezione del gene GSTM1.
CONCLUSIONI
In accordo con altri studi, i nostri risultati suggeriscono che polimorfismi a carico geni codificanti per enzimi coinvolti nel metabolismo
degli xenobiotici potrebbero modulare la suscettibilità individuale nei
confronti di cancerogeni occupazionali. Recenti studi caso-controllo
hanno mostrato aumenti del rischio di linfomi in relazione all’esposizione occupazionale a benzene, tricloroetilene, ed ossido di etilene.2-4
L’osservazione che il rischio per alcuni sottotipi di linfoma varia in funzione dei polimorfismi a carico di geni implicati nel metabolismo di
questi agenti chimici rinforza l’ipotesi di un loro ruolo eziologico.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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BIBLIOGRAFIA
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4) Kiran S, Cocco P, ‘t Mannetje A, Satta G, D’Andrea I, Becker N, et
al. Occupational exposure to ethylene oxide and risk of lymphoma.
Epidemiology 2010 (in press).
02
RICERCA ATTIVA DELLE PATOLOGIE DI NATURA
PROFESSIONALE. INDAGINE SUI RICOVERI PER SILICOSI
TRA IL 2000-2004 NELLA PROVINCIA DI MODENA
R.I. Paredes Alpaca1, R. Bergamini2, M. Pirani3
1
Servizio di Prevenzione Salute Ambienti di Lavoro (SPSAL), Distretto
di Vignola, Azienda Unità Sanitaria Locale - Modena
2 INAIL Sede di Modena
3 Registro Tumori della Provincia di Modena
Corrispondenza: Rudy Ivan Paredes Alpaca, Azienda USL di Modena,
Dipartimento di Sanità Pubblica, SPSAL Distretto di Vignola, via Libertà
799, 41058 Vignola (MO), Telefono: 059/777031, Fax: 059/777062,
E-mail: [email protected]
ACTIVE RESEARCH ON WORK RELATED PATHOLOGIES.
INQUIRY ON HOSPITALIZATIONS FOR SILICOSIS 2000-2004 IN
THE PROVINCE OF MODENA
ABSTRACT. Objectives This inquiry allowed the employment of
several databases to supplement the information on the hospitalized
silicosis cases in the province of Modena. Methods. The cases were
compared through the use of the record linkage method (National Insurance
Number) with the data from INAIL, the Modena Cancer Registry and the
information from the files of SPSAL agencies within the AUSL of Modena.
Results. From 2000 and 2004, an overall amount of 145 hospitalized
silicosis cases had been identified, of these a total of 88 cases were reported
to INAIL which acknowledged them as occupational diseases (76 as
silicosis cases and the remaining 12 cases as other airway pathologies).
The comparison with the database of the Modena Cancer Registry
produced 52 subjects affected by tumour pathologies among whom 13 were
the cases of lung cancer. Only 4 cases were recorded in the SPSAL files.
Conclusions. The comparison of information from the various directories
highlighted the silicosis cases which would otherwise have been left
unknown, favouring the understanding of the extent of the phenomenon and
a correct, preventive and forensic, epidemiological classification.
Key words: silicosis; hospital discharge records; systematic search
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Per l’accertamento della diagnosi sono state utilizzate le Schede di
Dimissione Ospedaliera (SDO) dell’Azienda USL di Modena relative
agli anni 2000-2004. La patologia silicosi (502: altri pneumoconiosi da
silice e silicati) è stata individuata seguendo i criteri della “Classificazione Internazionale delle Malattie, Traumatismi e Cause di Morte” utilizzando la IX Revisione, presente nei campi: diagnosi principale, diagnosi 1, diagnosi 2, diagnosi 3.
I casi cosi individuati sono stati confrontati con l’archivio delle denunce di malattie professionali presente presso il Servizio di Prevenzione
Sicurezza Ambienti di Lavoro (SPSAL) dell’Azienda USL di Modena.
L’elenco dei soggetti ed i rispettivi codici fiscali sono stati inviati
alla sede dell’INAIL di Modena e presso il Registro Tumori della Provincia di Modena.
Inoltre sono state richieste le cartelle cliniche relative ai ricoveri di
tutti i soggetti individuati, in modo di poter avere maggiori informazioni
relative alla diagnosi ed altri dati utili come l’abitudine al fumo, l’attività
lavorativa e sull’eventuale denuncia di malattia professionale.
RISULTATI
L’osservazioni raccolte, relative ai soggetti ricoverati presso tutte le
strutture sanitarie pubbliche e private della Regione Emilia Romagna tra
il 2000-2004 sono le seguenti:
Informazioni dalle cartelle cliniche:
• Sono stati individuati 384 ricoveri relativi a 145 soggetti, l’età di
questi è compresa tra 51 e 94 anni. I soggetti di sesso maschile sono
138 mentre i soggetti di sesso femminile sono 7,
• le strutture sanitarie pubbliche e private dove sono stati effettuati i
ricoveri sono 7: oltre all’Azienda USL ed al Policlinico di Modena,
altri ricoveri sono stati effettuati presso le Aziende USL e Ospedaliere di Reggio Emilia, Bologna e Parma,
• i cittadini italiani sono 144, mentre è presente 1 cittadino non italiano,
• sono state individuate nella cartella clinica 2 denunce di malattia
professionale (2000 e 2001), mentre i riconoscimenti da parte dell’ente assicuratore riferiti nelle cartelle cliniche sono 9,
• sono stati osservati 10 soggetti con diagnosi di silicosi ed età inferiore a 65 anni, mentre sono 5 i soggetti con diagnosi di silicosi ed
età inferiore a 60 anni,
• durante il ricovero sono deceduti 17 soggetti,
• sono stati individuati 7 casi di tumore polmonare codificati nelle sdo,
Informazioni fornite dall’INAIL
• Sono stati individuati 88 soggetti presenti nei loro archivi, di questi,
83 casi sono stati riconosciuti come malattia di origine professionale, 5 casi non sono stati riconosciuti. Non conosciuti all’INAIL risultano essere 57 soggetti,
• dei soggetti con riconoscimento, 76 casi erano silicosi, 4 casi di
bronchite cronica, 2 casi di pneumoconiosi da polvere inorganiche e
1 caso di enfisema polmonare
Informazioni fornite dal Registro Tumori della Provincia di Modena
• sono stati individuati 52 soggetti per i quali è stata diagnosticata una
patologia tumorale,
• sono 65 le patologie tumorali diagnosticate: 41 soggetti con 1 patologia,
9 soggetti con due patologie e 3 soggetti con 3 patologie tumorali,
• i tumori del polmone evidenziati sono 13.
INTRODUZIONE
La necessità di individuare i casi di patologie correlate al lavoro è
utile in termini epidemiologici, preventivi e medico legali. Sono stati effettuati studi per ricerca attiva dei tumori di natura professionale, per
esempio con l’uso del metodo di record Linkage tra le Schede di Dimissione Ospedaliera(SDO) ed altre banche dati quali quella dell’INPS, dell’INAIL o dei Registri Tumori (2,4).
In questo lavoro, si utilizzano le informazioni contenute nelle SDO,
che individuano i casi di silicosi ricoverati presso le strutture ospedaliere
della Provincia di Modena, e con l’uso del linkage si confronta queste
informazioni con altre banche dati.
Informazioni presenti presso gli archivi delle denunce di malattie
professionale pervenute al SPSAL di Modena a partire dal 1993
• sono stati individuati i nominativi di 4 soggetti presenti presso i nostri archivi,
• le patologie denunciate sono state le seguenti: 1 caso di pneumoconiosi, 1 caso di silicosi neoplastiforme, 1 caso di silicosi e 1 caso di
silicosi in soggetto con carcinoma polmonare, due di questi soggetti
avevano operato nel comparto ceramico,
• per 2 soggetti è stato evidenziato il riconoscimento della silicosi da
parte dell’INAIL, per gli altri 2 casi non era stato inviato il primo
certificato di malattia professionale.
MATERIALE E METODI
Lo studio è un’indagine retrospettiva sui casi di silicosi ricoverati
presso le strutture ospedaliere pubbliche e private della provincia di Modena dal 01/01/2000 al 31/12/2004.
CONCLUSIONI
Questa indagine, al momento ha evidenziato l’utilità della consultazione/confronto delle diverse banche dati che contengono informazioni
utili alla individuazione delle patologie di natura professionale ed alla
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possibilità che queste possano essere integrate al fine di approfondire
l’entità del problema.
Il principale problema riscontrato è quello relativo al flusso delle
informazioni ed alle differenze tra le diverse fonti informative.
Nel primo caso, l’omissione degli obblighi di Denuncia/Referto e la
mancata comunicazione all’INAIL della patologia diagnosticata, porta
da una parte alla impossibilità di valutare a livello medico legale e assicurativo una patologia che ha una correlazione certa con la esposizione
lavorativa, dall’altra viene a meno la possibilità di evidenziare l’entità di
un problema sanitario che cambia secondo la fonte che viene indicata
come riferimento per analizzare o descrivere il problema in studio.
Si è osservato che l’INAIL ha riconosciuto il 94.3% delle segnalazioni
di patologie correlate ad esposizioni a silice. Solo il 5.7% delle patologie
con diagnosi di silicosi nelle SDO hanno avuto un mancato riconoscimento.
Dei soggetti con diagnosi di silicosi ed età inferiore a 65 anni solo 4
erano presenti negli archivi dell’INAIL (con patologia riconosciuta) e
solo 1 negli archivi dei SPSAL.
I soggetti con diagnosi di silicosi ed età inferiore a 60 anni sono 5,
di questi l’INAIL ha riconosciuto la patologia a 2 soggetti, mentre negli
archivi dei SPSAL non era presente nessuno di questi soggetti.
Altre criticità possono essere individuate nella qualità degli esami
strumentali utilizzati durante la sorveglianza sanitaria (nella individuazione precoce dei casi) ed nella mancata comunicazione tra medici competenti, medici di medicina generale e medici specialisti, con le strutture
di prevenzione presenti sul territorio in modo di attivare, dove possibile,
adeguate misure di prevenzione (1,3,5).
Si conferma dell’utilità dell’utilizzo delle informazioni contenute in
più banche dati (SDO, INAIL, Registri Tumori, INPS) per individuare i
nuovi casi di patologie di origine professionale e la necessità di attivare
una rete di comunicazione tra le diverse strutture sanitarie territoriali in
modo di avere nel più breve tempo possibile e nel modo più completo le
informazioni relative alle patologie di origine professionale.
BIBLIOGRAFIA
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le storie professionali di fonte INPS e i dati dei ricoveri ospedalieri
per lo studio delle cause lavorative di alcuni tumori e degli aborti
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workers exposed to the risk of pneumoconiosis: proposal for a qualitative screening method. Med Lav 2003; 94, 2:242-9
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Considerazioni sul ruolo del Medico del Lavoro nella ricerca sistematica e nella diagnosi eziologia dei tumori polmonari, alla luce di
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in the province of Viterbo. Med Lav 2001; 92, 1:5-11
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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Corrispondenza: Dott. Federico Maria Rubino; LaTMA Laboratorio di Tossicologia e Metabolomica Analitica, Dipartimento
di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, Università degli Studi di
Milano - Ospedale San Paolo, v. Antonio di Rudinì 8, Milano, Italia,
I-20142 ([email protected])
S-METHYL-CYSTEINE (SMC) AS A PROSPECTIVE BIOMARKER
OF CELL PROLIFERATION
ABSTRACT. SMC is naturally excreted in human urine and is the
catabolic product of a catalytic protein (MGMT) which specifically
removes the methyl group from the modified nucleotide O-6-methylguanine to revert the normal GC base pairing. To assess the value of SMC
as a biomarker of proliferation, a GC-MS analytical method was applied
in a pilot study of healthy subjects to assess the magnitude and the extent
of its intra- and inter-individual variability. Levels in the morning urine of
3 healthy fertile-age women followed for one month are in the 10-850
μg/L range (n=61) with large inter-day and inter-individual variations,
little apparent regular monthly cycle and no mutual synchronization. In a
young healthy male urine samples taken throughout a few days yielded
concentrations in the same 90-810 μg/L range (n=11), with no apparent
circadian cycle. Strong smokers excreted 143-1169 μg/L (n=61), with no
relationship to smoking level measured by urinary cotinine. A young 2nd3rd trimester young pregnant woman excreted 230-970 μg/L (n=5), at the
upper end of un-pregnant fertile women SMC excretion. This preliminary
results points at SMC as a candidate biomarker for the study of
methylation turnover in several biochemical processes.
Key words: S-methyl-cysteine; GC-MS; methylation
INTRODUZIONE
La S-metil-cisteina (SMC) è un amminoacido minore escreto nelle
urine in quantità dell’ordine di 0,3-6 micromoli al giorno in soggetti della
popolazione generale. La sua presenza nell’organismo può essere ricondotta sia a sorgenti alimentari (numerose alch(en)il-cisteine sono naturalmente presenti nell’aglio e nella cipolla, cui impartiscono le note proprietà nutraceutiche) sia alla produzione endogena quale prodotto del
meccanismo fisiologico di ripristino della metilazione in O-6 della guanina del DNA. La correzione è affidata a un costoso quanto specifico sistema metabolico in cui la O-6-alchil-guanina viene dealchilata dal residuo attivo essenziale di cisteina della proteina catalitica metilguaninametiltransferasi (MGMT; EC 2.1.1.37), processo che comporta l’inattivazione irreversibile dell’enzima e la sua degradazione lisosomiale, con
formazione di S-metil-cisteina (SMC). La produzione endogena di SMC
proveniente dalla demolizione della proteina MGMT inattivata riflette
pertanto in misura stechiometrica 1:1 l’entità della demetilazione delle
basi guaniniche O-metilate e può pertanto rappresentare un indicatore diretto dell’entità dei fenomeni di riprocessamento del DNA associati alla
metilazione reversibile dei residui di guanina (1).
Avvalendosi di un metodo originale che impiega la gascromatografia-spettrometria di massa con diluizione isotopica (2) è stato intrapreso uno studio volto a valutare l’impiego della SMC quale biomarker
di proliferazione cellulare fisiologica o indotta, in analogia a quanto recentemente descritto per l’uso della sarcosina (N-metil-glicina) quale indicatore specifico di proliferazione invasiva del tumore prostatico (3).
F.M. Rubino1, M. Pitton2, D. Di Fabio2, C. Colosio2,
F. Gelmini3, R. Maffei-Facino3, A. Colombi2
MATERIALI E METODI
La SMC eliminata nelle urine viene misurata mediante gascromatografia-spettrometria di massa con diluizione isotopica su uno strumento a
singolo quadrupolo (Agilent MSD 5690), dopo derivatizzazione del campione mediante alchilazione estrattiva con una miscela di n-butanolo, piridina e butil cloroformiato. Nelle condizioni analitiche adottate è risultato
possibile misurare concentrazioni minime nell’ordine di 0,01mg/L circa
adottando la tecnica dell’aggiunta standard per compensare l’effetto della
complessità e della variabilità intrinseca della matrice analitica.
1 LaTMA - Laboratorio di Tossicologia e Metabolomica Analitica,
Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, Università degli
Studi di Milano - Ospedale San Paolo;
2 LaTMA - Laboratorio di Tossicologia e Metabolomica Analitica,
Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano
- Sezione ‘Ospedale San Paolo’ v. Antonio di Rudinì 8, Milano, Italia,
I-20142;
3 Dipartimento di Scienze Farmaceutiche ‘Pietro Pratesi’, Università
degli Studi di Milano.
RISULTATI
L’ambito naturale di variabilità dell’escrezione di SMC è stato valutato: (a) in soggetti maschi sani, che hanno mostrato l’assenza di una sostanziale variabilità circadiana dell’escrezione nel corso di 36 ore di osservazione; (b) in soggetti di sesso femminile in età riproduttiva, che
hanno mostrato una modesta variazione giornaliera nell’escrezione mattutina di SMC nel corso del ciclo mensile; (c) in soggetti forti fumatori
(>20 sigarette/die da più di 10 anni; n=30), che non hanno mostrato un’e-
03
LA S-METIL-CISTEINA QUALE POTENZIALE BIOMARKER
DI ATTIVITÀ PROLIFERATIVA CELLULARE
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
Tabella I. Livelli di escrezione urinaria di SMC (μg/L)
in soggetti della popolazione generale
139
04
VALUTAZIONE DEL RISCHIO, DIAGNOSI E INDICAZIONI AL
TRATTAMENTO DELL’INFEZIONE TUBERCOLARE LATENTE NEGLI
OPERATORI SANITARI DELL’A.O. “LUIGI SACCO” DI MILANO
F. Tonelli1, S. Fossati1,2, A. D’Alcamo1, T. Macario2, E. Omeri1,
C. Piretti1, R. Zingoni1, R. Mascione1, E. Re Cecconi1, E. Toia1,
M. Ronchin1, P. Carrer1,2
1
U.O. Medicina del Lavoro, A.O. Ospedale Sacco, Milano, via G.B. Grassi
74 20157 Milano
2 Dip.to Medicina del Lavoro, Sez. Sacco, Università degli Studi di Milano,
via G.B. Grassi 74 20157 Milano
Corrispondenza: [email protected]
Figura 1. Eliminazione urinaria di SMC assunta per via orale da un
volontario sano
screzione marcatamente superiore a quella dei soggetti non-fumatori; (d)
in una donna in corso di gravidanza (2°-3° trimestre), che ha mostrato valori ai limiti superiori, ma non significativamente differenti da quelli
delle donne non-gravide del gruppo (b). I livelli misurati sono riportati
nella Tabella I.
Per valutare il ruolo della quota di SMC introdotta con la dieta sull’escrezione urinaria ne è stata misurata la cinetica plasmatica e urinaria
in un soggetto sano che ha assunto una dose orale estemporanea di SMC
pari a 50 mmoli per kg di peso corporeo. I risultati (Figura 1) hanno mostrato che la concentrazione urinaria ritornava ai valori pre-assunzione
entro 36 ore circa e che solo il 2% circa della dose veniva escreto come
tale dopo 36 ore dall’assunzione. La valutazione olfattometrica dell’aria
espirata dal soggetto esaminato mostrava che non si verificava alcuna
conversione della SMC a metil-mercaptano (limite di sensibilità intorno
a 5 parti per miliardo della dose assunta).
DISCUSSIONE
Questi risultati rendono evidente la potenzialità della misura di SMC
nello studio di fenomeni biochimici e farmacologici quali i processi di
controllo dell’espressione genica che conducono alla metilazione della
guanina in posizione O-6 e che sono in equilibrio con il ripristino della
forma O-demetilata, nonché possibilmente la risposta a farmaci antitumorali quale la dacarbazina. Per quanto riguarda il destino metabolico
della SMC, è i risultati ottenuti confermano che una quota di SMC libera
viene incorporata tal quale nelle proteine corporee.
BIBLIOGRAFIA
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Pennathur S, Alexander DC, Berger A, Shuster JR, Wei JT, Varambally S, Beecher C, Chinnaiyan AM Metabolomic profiles delineate
potential role for sarcosine in prostate cancer progression. Nature
2009 Feb 12 457(7231) 910-4
RISK ASSESSMENT, DIAGNOSIS AND TREATMENT OF LATENT
TUBERCOLOSIS IN HEALTH CARE WORKERS: THE CASE OF
AN ITALIAN UNIVERSITY HOSPITAL
ABSTRACT. In countries with low tubercolosis prevalence, control
of this infection is based on the early diagnosis and the treatment of the
latent tubercolosis infection (LTBI). The IGRA tests (Interferon Gamma
Release Assay) are more specific than tubercolin skin test (TST). The
QuantiFERON®-TB GOLD test (QTF-G) has been reported in literature
as a useful tool for the control and prevention of the disease in health
care workers (HCWs). This study aims to evaluate the effects of the
introduction of QTF-G test in the health surveillance in the UniversityHospital “Luigi Sacco” of Milan (Italy). 3462 TST test data are
available for 2163 HCWs exposed to TB risk (from January 2005 and
July 2010). Data on QTF-G test are available since April 2010, only for
TST positive HCWs (44 subjects). TST positive workers were 13%
(461/3462). QTF-G test was positive in 2 out of 44 TST positive HCWs.
In conclusion, the data collected in this study show a great
discrepancy between positive TST test and QTF-G results. The obtain
results could be due to a booster effect and to a previous BCG vaccine.
Key words: tubercolosis, health workers, IGRA test
INTRODUZIONE
La tubercolosi (TB) è riemersa negli ultimi anni nei paesi industrializzati. La Sorveglianza Sanitaria periodica (SS) degli operatori sanitari
(OS) rientra tra i piani per il controllo dell’infezione (1). Il controllo della
TB nei paesi a bassa prevalenza di malattia si basa sulla diagnosi precoce
e sul trattamento dell’infezione latente (ITL). Il test storicamente utilizzato per la diagnosi di ITL è l’intradermoreazione tubercolinica secondo
Mantoux (TST). Il TST è operatore dipendente sia per la lettura che per
la somministrazione ed è caratterizzato da bassa specificità (ampia variabilità antigenica del PPD) e dal possibile effetto di potenziamento
(booster) causato da precedenti test. Le nuove tecniche diagnostiche in
vitro, Interferon Gamma Release Assay (IGRA) permettono di rilevare la
risposta immune cellulo-mediata specifica per il Mycobacterium Tuberculosis (MTB) attraverso il dosaggio di IFγ rilasciato dai linfociti T sensibilizzati. Il Test IGRA QuantiFERON®-TB GOLD (QTF-G) utilizza
Ag specifici del MTB (ESAT-6 e CFP-10) e presenta: i) sensibilità e specificità comparabili al test cutaneo; ii) stimolazione con Ag-specifici
(QTF-G); iii) test in vitro standardizzato; iv) minore operatore-dipendenza (esecuzione e lettura); v) assenza di effetti collaterali sistemici; vi)
assenza effetto booster.
Il gruppo di lavoro sul rischio biologico della Sezione di Medicina
Preventiva dei Lavoratori della Sanità 2010, di cui fa parte la nostra
U.O., ha formulato indicazioni per la prevenzione e il controllo della TB
nelle strutture sanitarie, basate sulle evidenze scientifiche e sull’analisi
dei dati di SS e procedure attualmente adottate in nove aziende ospedaliere del nord e centro Italia (35.000 OS). La revisione della letteratura
indica i test in vitro, in particolare il QTF-G, come valido strumento nella
prevenzione e nel controllo della TB (2).
La SS dei lavoratori esposti al rischio TB dell’A.O. “Luigi Sacco” di
Milano segue le linee guida nazionali-regionali che prevedono l’utilizzo
del TST (dal 2008 viene utilizzato il Tubercolina PPD della BB-NCIPD
Ltd.-Bulgaria) a causa della indisponibilità del Biocine-Test PPD, precedentemente in uso. Il protocollo prevede l’esecuzione di RX torace per
140
escludere un’infezione attiva nei soggetti TST positivi (infiltrato ≥ 10
mm); in caso di RX negativa, viene posta diagnosi di sospetta ITL ed effettuato il counceling per la chemioprofilassi specifica.
OBIETTIVI
Questo lavoro si inserisce all’interno di un percorso di verifica e aggiornamento dell’appropriatezza di strumenti e procedure di valutazione
del rischio e sorveglianza sanitaria negli operatori sanitari esposti al rischio tubercolare nell’A.O. “Luigi Sacco” di Milano, attuato anche alla
luce dell’ultimo aggiornamento delle raccomandazioni per le attività di
controllo della tubercolosi in Italia (1), che prevede l’introduzione in sorveglianza sanitaria dei test IGRA. Obiettivo di questo lavoro è quello di
valutare l’impatto dell’introduzione del test QuantiFERON TB-GOLD
sulla sorveglianza sanitaria e sull’indicazione al trattamento dell’infezione tubercolare latente.
MATERIALI E METODI
Sono stati raccolti i dati di SS degli OS della nostra A.O. esposti al
rischio TB da gennaio 2005 a luglio 2010, sia in assunzione che in visita
periodica. Da aprile 2010 il protocollo di SS aziendale prevede l’esecuzione del test QTF-G nei soggetti con test Mantoux positivo (infiltrato≥10 mm).
RISULTATI
Durante il periodo in studio, sono stati somministrati 3462 TST relativi a 2163 lavoratori dell’A.O. “Luigi Sacco” di Milano. Il dato relativo alle dimensioni in millimetri dell’infiltrato non era sempre disponibile, pertanto sono stati considerati cuticonvertiti tutti i lavoratori positivi
al TST durante la visita periodica, per i quali era disponibile nel data base
un precedente negativo (< 10 mm).
Come mostrato in Tabella I, la prevalenza di soggetti con test Mantoux positivo, in prima visita o durante la visita periodica, era del 13%
circa (461/3462); di questi, circa la metà presentavano cuticonversione
(217 soggetti, 6%,). È da notare che nel 2008 e 2009 è stata registrata una
diminuzione delle cutipositività (4-5%).
I lavoratori cutipositivi da aprile a luglio 2010 sono stati sottoposti a
test QTF-G, per un totale di 44 lavoratori (11 uomini e 33 donne) con
un’età media di 42 anni. La totalità dei lavoratori era stata sottoposta precedentemente a TST, compresi gli 11 lavoratori in assunzione; 11/44
erano stranieri provenienti da Paesi extracomunitari (5 sicuramente vaccinati presso il paese di origine) e per nessuno dei 44 lavoratori è stato
registrato un recente contatto stretto con casi di TB bacillifera. Tutti i
soggetti sono stati sottoposti a radiografia del torace con esito negativo
per lesioni di sospetta natura tubercolare attiva. 2/44 (1 donna peruviana
di 37 anni vaccinata e un uomo italiano di 47 anni, entrambi in visita preventiva) sono risultati positivi al test QTF-G, e solo un soggetto ha aderito alla profilassi specifica con isoniazide, proposta ad entrambi.
DISCUSSIONE
Il dato relativo alla percentuale di cuticonversione annuale è sempre
risultato in linea con i dati presenti in letteratura per gli OS di ospedali
classificati ad analogo rischio (3) (1-10%), seppure gli ultimi 6 mesi sia
stato osservato un aumento delle cutipositività e delle cuticonversioni.
Non si può escludere che tale riscontro sia attribuibile alla nota elevata
operatore-dipendenza del test, e alle caratteristiche dell’A.O. in studio (riferimento nazionale per le malattie infettive). I dati ottenuti dimostrano
una notevole discordanza tra i risultati positivi dei TST e QFT-G, che potrebbe essere spiegata da fenomeni “booster” (correlati alla ripetizione
periodica TST) e a pregressa vaccinazione con BCG. Tali risultati suffragano una maggior specificità diagnostica del test in vitro rispetto al TST,
Tabella I. Risultati del test Mantoux negli operatori sanitari dell’A.O.
“Luigi Sacco” di Milano per anno nel periodo 2005-2010*
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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come già riportato in letteratura seppur con risultati meno discordanti (4),
e pertanto confermano la necessità di affiancare i test in vitro al TST, attualmente indicato dalle linee guida nazionali e regionali come strumento
principale per la SS degli OS. Sebbene l’introduzione del QFT-G comporti un iniziale aumento dei costi, essa sarà giustificata a lungo termine
dai benefici che deriveranno da una più precisa diagnosi della ITL e dal
conseguente trattamento precoce dell’infezione solo nei soggetti realmente affetti; la riduzione del numero di OS con sospetta ITL non confermata dal QFT-G ridurrà infatti i costi associati alle indagini radiologiche e alle visite specialistiche non necessarie, oltre che alle chemioprofilassi non necessarie, e gli eventuali effetti dovuti alla loro tossicità.
BIBLIOGRAFIA
1) Aggiornamento delle raccomandazioni per le attività di controllo
della tubercolosi in Italia, Settembre 20008 - Ministero del lavoro,
Salute e Affari sociali - Settore Salute
2) Pai M, Zwerling A, Menzies D. Systematic review: T-cell-based assays for the diagnosis of latent tuberculosis infection: an update. Ann
Intern Med 2008; 149:177-84
3) Baussano I, Bugiani M, Carosso A, et al.: Risk of tuberculin conversion among healthcare workers and the adoption of preventive
measures. Occup Environ Med 2007;64:161-166.
4) Girardi E, Angeletti C, Puro V, et al. Estimating diagnostic accuracy
of tests for latent tuberculosis infection without a gold standard
among healthcare workers. Euro Surveill. 2009;14(43):pii=19373.
05
ALCOL E SOSTANZE STUPEFACENTI NEI LUOGHI DI LAVORO:
STRATEGIE DI PREVENZIONE E DI GESTIONE DELLE
PROBLEMATICHE
B. Persechino, G. Fortuna, V. Boccuni, A. Valenti, S. Iavicoli
INAIL, ex ISPESL - Dipartimento di Medicina del Lavoro - via Fontana
Candida, 1 - 00040 Monteporzio Catone (RM)
Corrispondenza: Benedetta Persechino - INAIL, ex ISPESL - Dip.to
Medicina del Lavoro - via Fontana Candida, 1 -00040 Monteporzio
Catone (RM), tel. 06/97896033, e-mail: [email protected]
ALCOHOL - AND DRUG - RELATED PROBLEMS IN THE
WORKPLACE: STRATEGIES OF PREVENTION AND MANAGEMENT
ABSTRACT. Art. 15 of Law n. 125/01 and the implementing
measures concerning alcohol and psychotropic drugs were confirmed by
the Decree 81/08, which provided health surveillance programmes to
verify“…absence of alcohol dependence and drug consumption”.
The current law considers alcohol and drug abuse like any other
health risk at work. Therefore, all the duties set by applicable safety
regulations should be carried out: assessment, management and
prevention. As the application of such regulations involves ethical,
deontological and privacy protection aspects, it would be convenient to
identify specific procedures to protect workers’ privacy in compliance
with occupational health and safety (OHS) regulations.
Training and information programmes directed at workers, safety
personnel and employers are also important, as demonstrated by the
indications of international organizations such as the International
Labour Organization (ILO) which sees the uselessness of screening tests
if not associated with specific prevention actions.
As also the ILO underlines, the alcohol/drug abuse at work should be
faced without any discrimination like any other health problem: not only
with repressive measures but also with assistance programmes to address
workers to treatments and to guarantee the effective workers’ reintegration.
A comprehensive management of alcohol- and drug- related
problems at the workplace requires a proper “prevention policy” to be
specifically adapted to individual enterprises, with the effective
involvement of the bodies within the National Health Service.
Key words: alcohol and drugs in the workplace, prevention
strategies, management strategies
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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A fronte dei costi dell’alcol stimati, per l’Italia dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS), tra il 2% ed il 5% del PIL, tenuto conto
della percentuale, nel 2008, di consumatori di alcol tra gli individui occupati pari all’87,6% dei maschi ed al 68% delle femmine e del 70% di
utenti dei Ser.T., nel 2009, che risultano svolgere lavori occasionali e
fissi, nonché della stima dell’OMS e dell’ILO che pongono tra il 4% ed
il 20% gli infortuni sul lavoro dovuti ad uso/abuso di sostanze stupefacenti e psicotrope, alcol compreso, ed anche in virtù della politica cosiddetta della “tolleranza zero” nei confronti di tali deleteri stili di vita, si
rende necessaria una particolare e specifica tutela della sicurezza sia dei
lavoratori che dei terzi.
È da rilevare che l’inserimento, nel contesto della sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41 del D.Lgs 81/08 e s.m.i., “…Nei casi ed alle
condizioni previste dall’ordinamento…” della verifica di “…assenza di
condizioni di alcol dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e
stupefacenti”, esclusivamente per le mansioni previste dagli allegati di
cui al Provvedimento 16/03/06 per l’alcol, ed al Provvedimento
31/10/2007 per le sostanze stupefacenti, sebbene da diverso tempo prevista in ragione delle previsioni normative degli artt. 125 del DPR
309/90 e 15 della L. 125/01, tuttavia presenta non poche criticità per
quanto concerne, soprattutto, l’ambito delle procedure accertative che,
allo stato attuale, per l’alcol non risultano normativamente definite e
per le sostanze stupefacenti, sebbene normate, alquanto complesse ed
articolate.
Dal momento che la tutela dai rischi riconducibili ai sopra riportati
stili di vita è inserita nello specifico assetto normativo costituito dal
D.Lgs 81/08 e s.m.i., di conseguenza vanno attuati tutti gli obblighi previsti dallo stesso decreto, in particolare quelli riconducibili agli aspetti
valutativo, gestionale nonché prevenzionale. È da considerare, inoltre,
che l’applicazione della vigente normativa di tutela a tali “rischi voluttuari”, in particolare le procedure accertative/diagnostiche ed i controlli
ad oggi individuati, coinvolge gli aspetti etici, deontologici e la garanzia
della privacy con il rischio di criticità in concreto più amplificate rispetto
alla gestione di tutti gli altri rischi tradizionalmente lavoro-correlati.
Ad esempio, la positività agli accertamenti di primo livello con conseguente sospensione dalla mansione a rischio, facilmente può portare al
cosiddetto “dito puntato” sul lavoratore interessato con tutte le prevedibili conseguenze.
In particolare sui tests accertativi, l’OMS rileva che gli stessi in ambiente di lavoro sono difficilmente conciliabili con il concetto di promozione della salute e richiama la necessità di mantenere un giusto equilibrio tra la garanzia di sicurezza ed il rischio di sottoporre a discriminazioni il lavoratore; in sostanza, l’OMS raccomanda di evitare che il ricorso all’esecuzione di tests accertativi assurga a soluzione semplice e
veloce ad un complesso problema sociale.
L’ILO invita a prevenire, ridurre e gestire le problematiche dall’uso/abuso di sostanze stupefacenti e psicotrope con la consapevolezza
di affrontare tale problematica all’interno del luogo di lavoro alla stregua
di qualsiasi altro problema di salute senza operare discriminazioni, nel rispetto delle norme a garanzia della vita lavorativa, dei diritti dei lavoratori e la sicurezza sul lavoro. L’ILO esorta altresì l’impresa, anche in presenza di una regolamentazione nazionale della materia, ad attuare una
specifica “politica” nei confronti della tematica “uso/abuso di sostanze
sul luogo di lavoro” che porti ad attuare, al di là degli obblighi legali,
strategie condivise, diffuse ed atte a creare una cultura idonea all’implementazione degli interventi in ambito lavorativo.
Per quanto concerne gli aspetti etici che rappresentano uno dei punti
più critici della gestione delle problematiche, l’ILO consiglia la definizione di una procedura il più possibile dettagliata al fine di garantire la
“sicurezza” delle varie fasi operative.
Sia l’OMS che l’ILO invitano ad un’adeguata informazione/formazione dei lavoratori sul significato degli specifici accertamenti nonché
sulle modalità accertative e gli obiettivi delle stesse.
D’altronde, sia il Piano Nazionale Alcol e salute che il programma
ministeriale “Guadagnare salute”, relativamente all’area “ambienti e
luoghi di lavoro”, al fine di ridurre il danno prodotto dall’alcol in particolare per quanto concerne la salute e la sicurezza di terzi, invitano a promuovere nei luoghi di lavoro una politica sull’alcol fondata sull’educazione, la promozione della salute, la tempestiva identificazione dei soggetti a rischio e la possibilità di intraprendere, nel pieno rispetto della privacy, trattamenti per la disassuefazione resi disponibili presso le strutture
sanitarie pubbliche o, in alternativa, sarebbe auspicabile, in specifici pro-
141
grammi privati di trattamento attivati con il contributo dei datori di lavoro.
Proprio in merito ai percorsi terapeutici/riabilitativi, è da rilevare che
l’art. 124 del DPR 309/90 prevede il diritto alla conservazione del posto
di lavoro “per il tempo in cui la sospensione delle prestazioni lavorative
è dovuta all’esecuzione del trattamento riabilitativo…”, possibilità contemplata solo per i lavoratori tossicodipendenti “…se assunti a tempo indeterminato…”. In considerazione del prevalere, attualmente, delle tipologie contrattuali cosiddette “atipiche” rispetto a quelle più tradizionali,
si ravvisa la necessità di rivisitare la norma al fine di garantire tale diritto
a tutti i lavoratori, indipendentemente dal tipo di contratto.
In conclusione, la completa attuazione dei principi ispiratori della
norma di tutela prevede la definizione di tutto un insieme di procedure
che vanno condivise tra datore di lavoro e figure della prevenzione; un
ruolo centrale è senza dubbio rivestito dal medico competente, attore
principale sia della sorveglianza sanitaria che della promozione della salute così come intesa dall’OMS e cioè “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o
d’infermità”, definizione sulla quale, così come ripresa all’art. 2, comma
1, lettera o) del D.Lgs 81/08 e s.m.i. ruota tutto il complesso assetto normativo di tutela negli ambienti di lavoro.
Nella pratica, per quanto concerne il consumo, comunque inteso, di
sostanze stupefacenti e psicotrope, alcol compreso, sul lavoro, si avrà
una completa realizzazione della norma non solo con il rispetto del divieto, bensì con un vero e proprio cambiamento culturale che, a sua
volta, va a modificare lo stile di vita.
BIBLIOGRAFIA
1) Iavicoli S., Soleo L., Palmi S., Persechino B. - Il medico del lavoro
e le strategie per la prevenzione degli infortuni alcol correlati - G Ital
Med Lav Erg 24:3, 288-292, 2002.
2) International Labour Office (ILO). - Management of alcohol - and
drug - related issues in the workplace - An ILO code of practice Geneva, International Labour Office, 1996.
3) International Labour Office (ILO) - Alcohol and drug problems at
work - Geneva, International Labour Office, 2003.
4) Persechino B, Iavicoli S. - Attività lavorativa ed uso/abuso di alcol:
le problematiche. - G Ital Med Lav Erg 29:3, Suppl, 510-513, 2007.
06
PREVENZIONE DELL’ESPOSIZIONE A POLVERI DI LEGNO
NELLA ASL 10 DI FIRENZE: RUOLO DEI SERVIZI PISLL
C. Arfaioli1, C. Cassinelli2, R. Bolognesi1, L. Bonini1, M. Giannelli1,
L. Monticelli1, F. Poli1, P. Faina1, C. Raffaelli1, C. Fiumalbi1, C. Sgarrella1
1Dipartimento
di Prevenzione - Azienda Sanitaria di Firenze
Laboratorio di Sanità Pubblica Area Vasta Toscana Centro - Azienda
Sanitaria di Firenze
2
Corrispondenza: Carla Arfaioli, Dipartimento di Prevenzione USL10
Firenze, v. S. Salvi 12 Firenze, tel 055-6263642, fax 055-6263665,
Email: [email protected]
PREVENTION OF EXPOSURE TO WOOD DUST IN ASL 10 OF
FLORENCE: THE ROLE OF OCCUPATIONAL PUBLIC
SERVICES
ABSTRACT. The Occupational Public Services of ASL 10 in
Florence with the Public Health Laboratory started in 2009, a project in
the woodworking sector, with the objective of facilitating the containment
of the exposure to hardwood dust. We were surveyed 440 companies,
mostly little companies (384/440) with 2108 workers, mainly working is
the production of furniture and fixtures. In 100% of the sample
companies used hardwoods especially pine, poplar, oak and chestnut. It
was followed by campaign of information about legislation, measures of
good practices and specific self-assessment checklist. Occupational
Public Services play the role of reference and coordination for business
associations, consultants and competent physicians in implementing
practical solutions of solving problems.
Key words: Wood dust, prevention, occupational health
142
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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Tabella I. Analisi descrittiva dei campionamenti
di polvere di legno in mg/m3
INTRODUZIONE
La polvere di legno duro è stata classificata come Group 1: Carcinogenic to humans dalla IARC nel 1995 a seguito della sufficiente evidenza
del nesso causale con l’insorgenza del tumore dei seni nasali e paranasali.
In Toscana si stima che il 33% dei tumori ai seni paranasali sono attribuibili a esposizioni professionali. In indagini precedenti nel comparto legno
nella ASL di Firenze, in alcune tipologie produttive, sono stati riscontrati
valori di esposizione a polvere di legno superiori ai VL e non adeguate misure di prevenzione. Le criticità riguardano anche aspetti relativi all’informazione, la formazione e la consapevolezza del rischio in una realtà costituita prevalentemente da piccole aziende con numero di addetti inferiore a
5. I servizi di prevenzione, igiene e salute nei luoghi di lavoro (PISLL) dell’ASL 10 di Firenze, hanno avviato nel 2009, con il Laboratorio di Sanità
Pubblica, un progetto nel comparto della lavorazione del legno, con l’obiettivo di favorire il contenimento dell’esposizione a polveri di legno duro
riferendosi a quanto previsto dalle Linee Guida Nazionali.
MATERIALI E METODI
Il progetto prevede l’aggiornamento delle aziende attualmente attive
sul territorio tramite link con le banche dati disponibili, la stesura di una
check list per la verifica delle misure di prevenzione e protezione messe
in atto dal datore di lavoro, una campagna di informazione alle aziende
ed alle associazioni di categoria sulle buone pratiche, sopralluoghi ispettivi e campionamenti ambientali per definire l’entità dell’esposizione. Il
progetto prevede l’utilizzo di una specifica check list allo scopo di: una
prima autovalutazione da parte delle aziende, una successiva valutazione
diretta da parte dei Servizi PISLL durante l’intervento ispettivo in
azienda e l’identificazione delle fasce di rischio in cui inserire le singole
aziende sulla base delle misure di prevenzione (tecniche, organizzative,
procedurali) che sono state messe in atto e gli eventuali miglioramenti. I
campionamenti della frazione inalabile sono stati eseguiti con GSP-“conetti” ad un flusso di 2,7 l/min, mentre per la frazione respirabile sono
stati impiegati campionatori Dorr-Oliver con flusso di 1,7 l/min. Il metodo di analisi è gravimetrico ed è stata utilizzata una bilancia con sensibilità di 0,001 mg. Il progetto è ancora in corso, tuttavia sono disponibili
i primi dati.
RISULTATI
Sono state censite 440 aziende attive del settore, prevalentemente artigiane (384/440) con 2108 lavoratori di cui 299 femmine e 1824 maschi;
la lavorazione prevalente è la produzione di mobili ed infissi. Nel 100%
del campione le aziende utilizzavano legni duri soprattutto pino, pioppo,
rovere e castagno. È seguita una campagna informativa tramite sopralluogo conoscitivo in azienda con diffusione ai datori di lavoro di materiale riguardante la normativa specifica, le misure di buone prassi e la
specifica check list di autovalutazione. campionamenti, per il momento,
hanno interessato 4 aziende, nelle quali sono stati eseguiti campionamenti personali ed ambientali per aver una stima iniziale dell’esposizione dei lavoratori e dell’inquinamento da polveri negli ambienti di lavoro. Complessivamente sono state eseguite 47 misure, di cui 24 di tipo
personale e 23 in postazione fissa. I soggetti campionati sono stati 7 lavoratori. Nella Tabella I è riportata l’analisi descrittiva dei campionamenti personali ed ambientali. La media geometrica dell’esposizione
personale è risultata pari a 1,4 mg/m3 (range 0,4-5,5 mg/m3) con una
DSG di 2,1, mentre il dato di inquinamento ambientale mostra un valore
di media geometrica di 0,3 mg/m3 (range 0,1-3,9 mg/m3) con una DSG
di 2,6. I dati dei campionamenti evidenziando una grande variabilità
(DSG maggiore di 2) e la possibilità di avere esposizioni prossime o superiori al valore limite di 5 mg/m3 previsto nel D.Lgs. 81/08 anche in
realtà produttive con un buon sistema di gestione del rischio.
CONCLUSIONI
Dai primi risultati emerge ancora una esposizione a polvere di legno
duro che necessita di essere ulteriormente ridotta. Infatti la maggior parte
degli ambienti di lavoro, rappresentati da piccole aziende artigiane sono
dotati di aspirazioni sulle macchine che però non risultano talvolta adeguate alle normative di riferimento e si rileva una scarsa conoscenza sulle
idonee procedure organizzative e procedure da parte dei lavoratori e dei
datori di lavoro. Nell’applicazione delle soluzioni praticabili nel risolvere le criticità individuate i servizi PISLL della ASL 10 di Firenze svolgeranno il ruolo di riferimento e coordinamento per le associazioni imprenditoriali, i consulenti e i medici competenti.
BIBILOGRAFIA
UNI EN 689: “Guida alla valutazione dell’esposizione per inalazione a
composti chimici ai fini del confronto con i valori limite e strategia
di misurazione, Giugno 1997
Coordinamento tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province autonome: “Linee guida per la valutazione
dell’esposizione a polveri di legno duro”, RISCH 2002 Modena,
707-753
M. Vincentini et al.: “L’esposizione a polveri di legno duro in 53 Aziende
della Regione Toscana: analisi dei dati alla luce della norma UNI EN
689/1997, RISCH 2003 Modena
G. Scancarello, G. Sciarra, B. Banchi, D. Cardelli, C. Cassinelli, M. Landini, N. Graziani, I. Cenni, M. Vincentini, S. Berti, R. Canesi, C.
Gozzini: “Efficienza di raccolta delle polveri di legno utilizzando
filtri in fibra di vetro e membrane in PVC”, 115-117, Atti del 20°
Congresso Nazionale AIDII, Viterbo 2002
07
INDIVIDUAZIONE E CARATTERIZZAZIONE DELLE SORGENTI
DI BENZO(A)PIRENE NEL COMUNE DI TARANTO E STIMA
DEL RISCHIO CANCEROGENO ASSOCIATO ALL’ESPOSIZIONE
DELLA POPOLAZIONE GENERALE
L. Bisceglia1, R. Giua1, A. Morabito1, M. Serinelli1, C. Calculli2,
I. Galise3, A. Pollice2, G. Assennato1
1 ARPA
Puglia - Corso Trieste, 27, 70127, Bari
Dipartimento di Scienze Statistiche Carlo Cecchi, Università degli
Studi di Bari, via Camillo Rosalba, 53, 70124, Bari
3 Registro Tumori Puglia, IRCCS Oncologico “Giovanni Paolo II”
Via Samuel F. Hahnemann, 70126 Bari
2
Corrispondenza: Prof. Giorgio Assennato, Direzione Generale ARPA
Puglia, Corsoso Trieste, 27 - 70126 BARI, Tel. 080 5460151 - Fax 080
5460150; [email protected]
SOURCE APPORTIONMENT OF BENZO(A)PYRENE IN
TARANTO AND CARCINOGENIC RISK ESTIMATE IN GENERAL
POPULATION
ABSTRACT. Introduction. In 2009 the limit value of benzo(a)pyrene
(BaP) in ambient air of 1.0 ng/m3 has been exceeded in the urban district
of Taranto near to the industrial area, where a several large plants are
located, including an integrated cycle steel plant.
Objective. To identify emission sources and quantify relative
contribution to the PAHs levels; to estimate health impact associated to
PAHs exposure in general population.
Methods. Multivariate receptor models have been used.
Concentration of PAHs measured in 4 location in Taranto in 2008-2009
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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have been analyzed. 5 different models estimated profiles of unknown
sources and identified significant chemical species. To compute the lung
cancer risk the WHO unit risk estimate for BaP (8.7 x 10-5ng/m3) has
been adopted.
Results. Models employed identify 3 to 4 emission sources.
Estimated profiles have been compared with measured ones. Based on
the average annual BaP level measured (1.3 ng/m3), 2 attributable
cancer cases in the district Taranto population are estimated to result
from a life-time exposure.
Conclusions. Among different emissive sources, the analysis
identifies theoretical sources whose profiles, compared with observed
data, allow to identify dominant contributions to PAHs pollution and to
design corrective actions to reduce environmental and health impact.
Key words: benzo(a)pyrene, source apportionment, carcinogenic
health risk
INTRODUZIONE
Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sono un’ampia classe di
composti organici la cui formazione avviene principalmente per cause
antropiche nel corso di processi industriali e civili. Il benzo(a)pirene
(BaP) è considerato il “marker” degli IPA. L’Agenzia per la Ricerca sul
Cancro (IARC) ha classificato il BaP come cancerogeno per l’uomo
(classe 1) e altri IPA come probabili (classe 2A) o possibili (classe 2B)
cancerogeni per l’uomo.
È ormai ampiamente noto che diversi IPA sono in grado di determinare
tumori in animali da esperimento e studi epidemiologici su lavoratori
esposti, in particolare in cokeria e nelle fonderie di alluminio, hanno mostrato chiari eccessi di rischio di tumore del polmone e altamente suggestivi
rischi di tumore della vescica (1). Nonostante la letteratura scientifica sia
concorde nell’affermare che l’esistenza dell’associazione tra l’esposizione
ad IPA e aumento di rischio di tumore sia oltre ogni ragionevole dubbio (2),
vi è una certa incertezza circa la stima quantitativa del rischio cancerogeno
e quindi della relazione tra esposizione e risposta, che è evidentemente la
base per stabilire standard di esposizione ambientali e professionali. Per
quanto riguarda i dati tratti da indagini epidemiologiche, sono stati utilizzati
i risultati di studi di grandi coorti di lavoratori delle cokerie e di fonderie di
alluminio (2), per la stima della relazione dose-risposta. Una sintesi dei diversi valori di rischio unitario stimato è disponibile in Boström et al. (3). Ulteriori stime sono state calcolate da Vyskocil et al. (4) utilizzando sia la tossicità equivalente a BaP dei singoli IPA derivata da studi animali (che porta
a stime comprese tra 0.012-4.7 x 10-5 in fonderia di alluminio) sia attraverso
studi epidemiologici basati su misure di esposizione di BaP (0.02-89 x 105, sempre in fonderia). Armstrong et al. (5), attraverso una revisione e metaanalisi di 39 coorti professionali, pervengono a stime di rischio relativo unitario per esposizione a 100 µg/m3 di BaP /anni cumulativi pari di 1.35 e di
2.68, a seconda del modello di analisi utilizzato.
Nel 2009, il valore obiettivo per il BaP in aria ambiente pari a 1,0
ng/m3 è stato superato nel quartiere Tamburi di Taranto, sito a ridosso
dell’area industriale che ospita un impianto siderurgico a ciclo integrato,
una raffineria, un cementificio, un inceneritore di rifiuti urbani e diverse
centrali elettriche. La norma prevede che, in tali casi, le autorità regionali
siano tenute a definire specifici piani di risanamento che riconducano al
rispetto del valore obiettivo, anche attraverso interventi sulle principali
sorgenti di emissione.
L’obiettivo della relazione è quello di identificare e quantificare il
contributo delle varie sorgenti di emissione alle concentrazioni di BaP
misurate e di stimare l’impatto sanitario associato.
MATERIALI E METODI
Oltre alla valutazione sistematica dei dati di monitoraggio prodotti, è
stato calcolato il bilancio emissivo delle sorgenti puntuali e diffuse presenti
nell’area ed è stato quindi applicato un sistema modellistico diffusionale
lagrangiano. Le sorgenti puntuali considerate sono rappresentate dall’agglomerato e dalla cokeria del siderurgico e dai camini della raffineria, del
cementificio e dall’inceneritore. Le sorgenti diffuse incluse sono la cokeria
e l’altoforno del siderurgico, nonché il traffico portuale e stradale.
Ai fini del source apportionment sono stati inoltre utilizzati modelli
recettoriali multivariati, che si basano sul principio della “conservazione
della massa” secondo il quale la composizione chimica degli inquinanti
non subisce alterazioni nel passaggio dalla sorgente emissiva al sito recettore. A questo scopo sono stati analizzati i dati delle concentrazioni
medie mensili di IPA rilevati presso 4 siti nel comune di Taranto nei pe-
143
riodi maggio 2008 - dicembre 2008 e gennaio 2009 - dicembre 2009. Le
analisi sono state eseguite utilizzando il software UNMIX dell’US-EPA.
Sono stati utilizzate 5 distinte specificazioni del modello a recettore in
funzione degli IPA (distinguendo tra IPA leggeri e IPA pesanti) e del numero delle stazioni incluse. Per ogni specificazione UNMIX stima i profili delle sorgenti incognite e utilizza dei metodi diagnostici per individuare quante sorgenti devono essere considerate e quali specie chimiche
risultano significative per l’analisi.
Per la stima del rischio cancerogeno, è stata utilizzata la procedura
di calcolo del rischio unitario (UR: Unit Risk) del World Health Organization (WHO) (6), ossia del rischio incrementale per una data popolazione esposta per tutta la vita (“life-time”) ad una concentrazione media
ponderata di 1 μg/m3 di agente cancerogeno. Per il BaP, l’UR adottato è
pari a 8.7 x 10-5ng/m3, applicato alla popolazione residente nel quartiere
Tamburi (17.644 abitanti). Tale metodologia, che combina l’estrapolazione a basse dosi e l’estensione della stima ad un’ipotetica popolazione
generale, è comunque condizionata dalla incidenza di base della malattia,
dalla definizione dei livelli di esposizione che non è sempre agevole e
dall’aver posto le seguenti assunzioni:
– la risposta è funzione della dose cumulativa;
– non è ammessa una dose-soglia;
– il modello determina una estrapolazione lineare della relazione doserisposta.
La stima del rischio è prodotta sulla base dei dati di uno studio sui
lavoratori di cokeria e utilizza il BaP come indicatore di esposizione dell’intera miscela di IPA.
RISULTATI
Il bilancio emissivo conferma il predominante apporto dello stabilimento siderurgico, e della cokeria in particolare, in misura tale che nessuna
delle altre sorgenti considerate raggiunge lo 0,1% del totale. La modellistica
diffusionale stima che le concentrazioni medie annuali al suolo di BaP siano
dovute alle emissioni provenienti dalla cokeria nella misura del 99,5%.
Il modello a recettori multivariato identifica da tre a quattro sorgenti
emissive prevalenti teoriche il cui confronto qualitativo con i profili misurati consente di individuare i contributi prevalenti dell’inquinamento
da IPA a Taranto.
Partendo dalla concentrazione media di BaP rilevata presso il sito di
via Machiavelli a Taranto (1.3 ng/m3) e impiegando il valore di Unit Risk
indicato dall’OMS, si stima un rischio incrementale per la concentrazione misurata pari a 11.3 x 10-5. La stima dei casi di tumore del polmone ella popolazione dovuti ad una esposizione per tutta la vita (lifetime) al livello considerato di Bap risulta pari a 2.
DISCUSSIONE
Tutti i dati indicano concordemente che il contributo emissivo all’origine, in modo preponderante, del superamento del valore obiettivo per
il BaP è costituito dai processi produttivi condotti nell’area a caldo dello
stabilimento siderurgico e, in modo maggioritario, dalla cokeria.
Su queste basi è possibile disegnare azioni correttive che permettano
di ridurre l’impatto ambientale e sanitario.
BIBLIOGRAFIA
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6) WHO. Air quality guidelines for Europe. WHO Regional Office for
Europe 1987.
144
08
ASMA DA LATTICE: RISULTATO DI UN FOLLOW-UP DI 12 ANNI
IN INFERMIERE POSITIVE AL TEST DI BRONCOPROVOCAZIONE
SPECIFICA
F. Larese Filon, S. Cappelletti
Unità Clinico Operativa di Medicina del Lavoro - Università di Trieste
Corrispondenza: Francesca Larese Filon, e mail: [email protected]
LATEX ASTHMA IN NURSES: A 12 YEARS FOLLOW-UP
ABSTRACT. Background: Latex allergy is decreasing after the
introduction of no powdered latex gloves and the increase of use of gloves
in other material. The effect of reducing exposure to latex in subjects with
latex induced asthma is unclear in long term follow-up. Purpose: The aim
of this study was to evaluate allergic symptoms in nurses with latexinduced asthma after the cessation of direct exposure to latex. Methods:
Sixteen nurses with latex induced asthma and/or oculorhinitis as
ascertained by specific inhalation challenge and skin prick test positivity
to latex where investigated after a median follow-up of 12.3±2.2 years.
Initial and 1st follow-up visits included use of a detailed questionnaire and
measurement of the concentration of metacholine causing a 20% fall in
FEV1. In the 1st and 2nd follow-up information on symptoms, therapy,
latex exposure and employment was collected. Results: At follow-up only
2 subjects stopped to work as nurses while the others continued to work
in hospital using no-latex gloves in departments were other workers used
vinyl and/or no powdered latex gloves with low protein release. Subjects
without allergic symptoms before latex exposure (6 cases) reported a
significant improvement of symptoms in the follow-up while the 10
workers with common allergic symptoms and skin prick test positivity
before latex exposure reported in 3 cases an increase of allergic symptoms
and a need for therapy. Discussion: Our results suggest that elimination
of powdered latex gloves is not sufficient to avoid symptoms in atopic
subjects with a positive history of allergy to common allergens and to
latex: this group needs an increase in prevention measures and a latexfree work environment.
Key words: latex, asthma, follow-up
INTRODUZIONE
La patologia da lattice colpisce prevalentemente le donne in quanto
l’esposizione a questo allergene è maggiore nei lavoratori della sanità che
sono costituiti per più del 70% da personale di sesso femminile (1). Le
donne hanno maggior rischio di avere orticaria e dermatiti allergiche da
lattice e da apteni della gomma (2). Tale predisposizione è legata da un
lato alle caratteristiche anatomiche della cute femminile più sottile e suscettibile ad andare incontro a forme di dermatite irritativa, sia al contatto
ripetuto con irritanti e sensibilizzanti che le donne hanno sia per motivi
professionali che extraprofessionali. La presenza di dermatite alle mani è
un fattore di rischio per lo sviluppo della patologia da lattice in quanto tale
allergene può penetrare atraverso la cute fissurata e determinare l’induzione di una reazione allergica IgE mediata (3). Tale evento risulta significativamente più frequente nei soggetti con diatesi atopica, cioè con sintomi personali o familiari di allergia respiratoria o positività ai prick test
per almeno un allergene comune. La patologia da lattice tende ad avere
un’evoluzione dall’orticaria all’oculorinite all’asma se non viene identificata precocemente e viene evitata l’ulteriore esposizione (2).
L’andamento dei sintomi legati al lattice dopo la diagnosi è stata indicatan in folow-up di breve periodo (4, 5) ma vi è la necessità di conoscere l’andamento di questa patologia sul lungo periodo.
Scopo del nostro lavoro è indagare l’andamento dei sintomi in 16 infermiere con diagnosi di asma e/o oculorinite da lattice effettuata con il
test di broncoprovocazione specifica in cabina prima del 1998.
MATERIALI/METODI
Le donne con asma da lattice positive al test di broncoprovocazione
specifica in cabina prima del 1998 sono state sottoposte ad un controllo
nel 2001 con esecuzione di spirometria con metacolina, visita medica e
compilazione di un questionario anamnestico sull’andamento dei sintomi. Nel 2009 il gruppo ha compilato lo stesso questionario utilizzando
l’intervista telefonica. Dalla diagnosi tutte le lavoratrici non avevano più
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lavorato con mezzi di protezione in lattice e negli ospedali della Regione
dal 2000 si utilizzano guanti senza lubrificante pulverulento e a basso rilascio di allergene lattice.
I dati raccolti sono stati informatizzati su foglio elettronico Excell ed
elaborati con il programma statistico SPSS per Windows. La significatività statistica è stata posta per p<0.05.
RISULTATI
Sono state sottoposte a follow-up 16 infermiere con età media alla
diagnosi di 32.9±5.7 anni, 14 con asma da lattice e 2 con oculorinite.
Tutte erano positive al prick test per lattice e avevano IgE specifiche nel
siero. Dieci avervano un test alla metacolina positivo. Il test di provocazione in cabina aveva determinato la comparsa di asma in 2 casi e di oculorinite in 14 casi. Il primo follow-up è stato eseguito nel 2001 dopo
3.6±.6 anni. Nel 25% i sintomi erano scomparsi e nel 75% erano migliorati. Quattro riferivano asma, 12 rinite e 9 congiuntivite. Nel 68.7% dei
casi i sintomi comparivano sul lavoro. Il secondo follow-up è stato eseguito in media dopo 12.3±2.2 anni dalla diagnosi. Quattordici lavoratrici
erano ancora in reparto mentre 2 avevano cambiato mansione. I sintomi
erano ancora presenti: in 14 casi oculorinite, in 9 asma, in 8 sintomi cutanei. Undici soggetti riferivano sintomi sia a casa che sul lavoro 3 solo
sul lavoro. Due erano asintomatici. Due infermiere riferivano peggioramento dei disturbi respiratori: entrambe erano atopiche ed una fumatrice.
I risultati del follow-up sono riportati nella tabella I.
Al fine di valutare alcuni fattori di rischio per la comparsa e persistenza dei sintomi respiratori da lattice abbiamo riportato nella tabella II
le condizioni pre-esposizione al lattice nei 16 soggetti indagati. Solo uno
di questi era non atopico e i suoi disturbi sono migliorati nel follow-up.
Cinque soggetti erano atopici anche se asintomatici all’inizio: per tutti i
sintomi sono migliorati. Diverso l’andamento dei sintomi nei soggetti già
atopici e sintomatici per allergeni comuni che in tre casi hanno riferito un
peggioramento dei disturbi anche evitando l’esposizione al lattice.
Tabella I. Risultati complessivi del follow-up eseguito
Tabella II. Confronto tra sintomi pre-esposizione
e sintomi rilevati nei follow-up
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DISCUSSIONE
L’evoluzione della malattia da lattice da orticaria e dermatite a patologia respiratoria è nota ma l’andamento della sintomatologia in soggetti
sintomatici per il lattice dopo l’esclusione dal contatto e dall’esposizione
professionale per lungo periodo è dibattuto. Il nostro studio ha evidenziato
che la maggior parte delle donne riferiscono sintomi respiratori nonostante evitino di utilizzare personalmente guanti in lattice e negli ambienti
siano permessi solo guanti senza lubrificante pulverulento. La sintomatologia è presente sia sul lavoro che a casa e può essere associata anche alla
sensibilizzazione ad allergeni extraprofessionli presenti in questi soggetti.
In questi casi, infatti, risulta difficile capire se i sintomi riferiti debbano
essere riferiti all’allergene lattice o agli altri allergeni. Nel 1998 Allmers
(6) ha riportato che l’eliminazione dei guanti pulverulenti è sufficente ad
evitare la dispersione aerea dell’allergene lattice e quindi permette il mantenimento al lavoro dei soggetti sensibilizzati o con sintomi allergici da
lattice. Il nostro studio evidenzia come nei soggetti atopici la malattia respiratoria persista anche evitando l’esposizione diretta all’agente. Tale rilievo rende necessario intervenire nei soggetti già atopici e sintomatici per
allergeni comuni evitando esposizione professionale a lattice in senso preventivo. Questi soggetti sono a maggior rischio di sensibililzzazione ad
altri allergeni e tale condizione favorisce lo sviluppo di sintomi lattice correlati. L’introduzione dei guanti senza lubrificante pulverulento e a basso
rilascio di lattice è risultato utile a ridurre l’incidenza di sintomi allergici
da lattice (2) ma i soggetti atopici sintomatici comuni devono essere considerati a maggior rischio e per loro vanno prescritti guanti alternativi al
lattice. Per i soggetti con sintomi respiratori da lattice è opportuno lo svolgimento di attività in ambiente totalmente latex free perché anche la presenza di guanti senza lubrificante portati dai colleghi di lavoro sembra essere in grado di scatenare i sintomi in soggetti suscettibili (7).
BIBLIOGRAFIA
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workers. J Allergy Clin Immunol 2006; 118: 445-54
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German Experience 10 years after the latex allergy epidemic: need for
further preventive measures in healthcare employees with latex allergy. Int Arch Occup Environ Med DOI 10.1007/s00420-010-0533-3
09
LO STUDIO PM-CARE. EFFETTI DELL’ESPOSIZIONE A
PARTICOLATO ATMOSFERICO URBANO SU PARAMETRI
INFIAMMATORI IN SOGGETTI SUSCETTIBILI E SANI
L. Ruggeri1, P. Urso3, A. Cattaneo2, S. Fossati1, A.C. Fanetti1,
E. Corsini4, S. Fustinoni5, D. Cavallo3, P. Carrer1
1 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Sezione Ospedale “Luigi
Sacco”, Università degli Studi di Milano, Milano
2 Dipartimento di Medicina del Lavoro,Università degli Studi di Milano,
Milano
3 Dipartimento di Scienze Chimiche e Ambientali, Università
dell’Insubria, Como
4 Laboratorio di Tossicologia, Dipartimento di Scienze Farmacologiche,
Università degli Studi di Milano, Milano
5 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Fondazione IRCCS Ca’ Granda
Ospedale Maggiore Policlinico, Milano
145
Corrispondenza: Laura Ruggeri, Dipartimento di Medicina del Lavoro,
Sezione Ospedale Luigi Sacco, Università degli Studi di Milano, Via GB
Grassi, 74, 20157 Milano, Telefono: 02 503 19610, e-mail:
[email protected]
THE PM-CARE STUDY. HEALTH EFFECTS OF PARTICULATE
MATTER EXPOSURE ON INFLAMMATORY PARAMETERS
AMONG SUSCEPTIBLE AND HEALTHY SUBJECTS
ABSTRACT. Aim. To assess variation in haematological parameters among healthy subjects and subjects with cardiac or chronic lung disease in Summer and Winter surveys of the PM-CARE Study.
Methods. Three groups of non-smoking adult subjects were recruited
by two Italian hospitals: 34 with cardiovascular disease (heart group),
20 with chronic lung disease (COPD or asthma) (lung group) and 27
healthy subjects (healthy group). Each subject was investigated for one
day during his/her habitual activities in Summer and Winter 2005/2006.
Blood samples were collected at the end of 24-h protocol; inflammatory
parameters consisted in complete blood cells count, sR-I-TNFα, sR-IITNF-α, TNF-α, IL8, IL10. Environmental parameters included ultrafine,
fine and coarse fractions of particulate matter, temperature and relative
humidity. Linear mixed effects models for repeated measures data were
applied.
Results. Differences between Summer and Winter exposure data are
always significant, showing higher values of all the PM fraction in Winter
than in Summer. Lymphocytes number increases of 8,71% (p<0,05) in association with PM10 exposure in healthy group. Monocytes number increases of 7,9% (p<0,1) in association with PM10 exposure.
Discussion and conclusions. Preliminary results indicate a pro-inflammatory condition in both healthy and heart group.
A comprehensive evaluation will be possible in the next months,
when the collection of results will be completed with the analysis of the
other inflammatory parameters.
Key words: Inflammatory markers, particulate matter, individual exposure.
INTRODUZIONE
Gli studi epidemiologici condotti negli ultimi decenni hanno dimostrato che l’esposizione a particolato produce numerosi effetti sulla
salute, sia acuti che cronici, che coinvolgono il sistema cardiovascolare
e respiratorio (1, 2), in particolare in soggetti iperscuscettibili, quali gli
anziani, individui con BPCO, asma, cardiopatia ischemica, ipertensione, diabete e obesità (3, 4). Nonostante il gran numero di studi finora
condotti, i meccanismi fisiopatologici alla base di tale associazione non
sono stati ancora ben chiariti. Inoltre l’utilizzo delle centraline di monitoraggio fisse come misura dell’esposizione della popolazione,
spesso non è rappresentativa della reale esposizione. Per superare
questo limite abbiamo disegnato lo studio PM-CARE, caratterizzando
l’esposizione individuale a PM attraverso una stazione mobile di monitoraggio, e indagando l’eventuale relazione tra esposizione a diversi
livelli di PM e alterazione di alcuni parametri infiammatori ematici in
soggetti suscettibili.
MATERIALI E METODI
Sono stati reclutati tre gruppi di soggetti non fumatori, provenienti
dall’area urbana e suburbana di Milano, così suddivisi: soggetti affetti da
malattia ischemica cardiaca cronica, definiti Gruppo Cuore; affetti da
asma cronico o broncopneumopatia cronica ostruttiva, definiti Gruppo
Polmone; soggetti non affetti da tali patologie, definiti Gruppo Sani.
Ogni soggetto è stato sottoposto ad un protocollo clinico e di misura dell’esposizione durante una giornata infrasettimanale estiva ed
una invernale tra luglio 2005 e giugno 2006. L’esposizione individuale
a PM è stata valutata con sistemi di misura posti all’interno di un
trolley trasportabile dai soggetti. Sono state effettuate misure di concentrazione di massa (misure gravimetriche integrate nelle 24 ore,
µg/m3) per il PM0.5, PM1 PM2.5, PM10, e di concentrazione numerica
(#/cm3) delle diverse frazioni secondo il diametro aerodinamico: frazione ultrafine (UFP0,02-1), fine (FP 0,3-0,5; FP 0,5-1; FP 1-2,5) e grossolana (CP 2,5-5; CP 5-10). Sono state misurate anche temperatura e umidità relativa. Il giorno successivo al monitoraggio ambientale, sono
stati raccolti campioni di sangue per il dosaggio di TNF-alfa, il recettore solubile I e II del TNF-alfa, IL-8 e IL-10 (metodo ELISA), e l’esame emocromocitometrico completo. L’analisi delle associazioni tra
146
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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esposizione e parametri biologici è stata condotta utilizzando modelli
misti per misure ripetute (software SPSS.18).
RISULTATI
I soggetti che hanno completato l’intero protocollo sono stati ottantuno; divisi in: 34 Gruppo Cuore, 20 Gruppo Polmone, 34 Gruppo Sani.
L’età media (± DS) dei soggetti è di 66 (± 10) anni nel Gruppo Cuore, 65
(± 11) nel Gruppo Polmone e 61 (± 6) nel Gruppo Sani. Il sesso maschile
è prevalente nel Gruppo Cuore (88%), mentre negli altri due gruppi la percentuale dei due sessi è sovrapponibile. I risultati dell’esposizione individuale dei soggetti alle diverse frazioni di PM sono mostrati nella tabella I.a
e I.b. Le differenze tra il monitoraggio nella stagione calda e nella stagione
fredda risultano sempre significative per tutte le frazioni di particolato.
I risultati dei modelli misti evidenziano una variazione significativa
nel numero di linfociti nel Gruppo Sani in associazione a numerose frazioni di PM (PM0,5, PM1, PM2,5, PM10, FP0,3-0,5 FP 0,5-1). In dettaglio,
i linfociti aumentano del 8,71% (p=0,01) in associazione al PM10 (figura
1). Il numero di monociti nel Gruppo Cuore è associato positivamente a
numerose frazioni di PM (PM0,5, PM1, PM2,5, PM10). In particolare, i
monociti aumentano del 7,9% (p=0.06) in associazione al PM10 (figura
2). Nel Gruppo Polmone si evidenzia una relazione negativa tra numero
di monociti (PM0,5, PM1, PM2,5, PM10, FP0,3-0,5, FP0,5-1, FP1 -2,5) e
linfociti (FP0,3-2,5, FP1-2,5). Il numero di monociti diminuisce del 14,73%
(p=0,01) in associazione al PM10 (Figura 2).
DISCUSSIONE
Rispetto alle linee guida per la qualità dell’aria proposte dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO AQG, 2005), i soggetti sono
stati esposti a livelli mediani di PM10 nelle 24 ore superiori al limite stabilito (40 µg/m3 nelle 24 ore) solo durante la campagna invernale,
mentre per quanto riguarda l’esposizione a PM2.5 si sono registrati, sia
in estate che in inverno, livelli mediani al di sopra delle linee guida (25
µg/m3 nelle 24 ore).
Le differenze tra il monitoraggio nella stagione calda e nella stagione fredda risultano sempre significative per tutte le frazioni di particolato, evidenziando un andamento stagionale con valori mediamente
più alti nel periodo freddo rispetto a caldo.
Tabella I.a. Esposizione a PM misurato con metodo gravimetrico
in estate e in inverno (mediana, 25°e 75° percentile)
Tabella I.b. Esposizione a PM misurato come concentrazione
numerica in estate e in inverno [dati mediati su 24h]
(mediana, 25°e 75° percentile)
Figura 1. Variazione percentuale del numero di linfociti associata a
una incremento interquartile di PM10
Modello corretto per genere, età, BMI, statine, antiinfiammatori non steroidei,
temperatura e umidità relativa
Figura 2. Variazione percentuale del numero di monociti associata
a una incremento interquartile di PM10
Modello corretto per genere, età, BMI, statine, antiinfiammatori non steroidei,
temperatura e umidità relativa
L’incremento nel numero di monociti e linfociti nel Gruppo Sani e
Cuore in associazione a numerose frazioni di PM potrebbe essere attribuito a un’attività proinfiammatoria del PM stesso.
Il Gruppo Polmone si comporta diversamente rispetto agli altri due
probabilmente perché in questo gruppo sono presenti pazienti allergici,
che mostrano un pattern infiammatorio più elevato nella stagione calda a
causa della maggiore presenza di pollini. La presenza di questi soggetti
influisce in modo sostanziale sul risultato di tutto gruppo, determinando
il trend in negativo in associazione con il PM. Le analisi effettuate separando i soggetti asmatici dai non asmatici supportano questa ipotesi, pur
non raggiungendo la significatività statistica probabilmente per la dimensione assai ridotta del campione.
Il quadro clinico risultante da queste prime analisi potrà essere ulteriormente confermato e chiarito dall’analisi futura dei rimanenti indici
infiammatori (TNF-alfa, il recettore solubile I e II del TNF-alfa, IL-8 e
IL-10).
Il presente studio è stato cofinanziato dal Ministero dell’Istruzione,
dell’Università e della Ricerca (PRIN 2004, area 06, n. 30) e da Fondazione Cariplo (Progetto TOSCA).
BIBLIOGRAFIA
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3) Sullivan JH. et al. Association between short term exposure to fine
particulate matter and heart rate variability in older subjects with and
without heart disease. Thorax 2005; 60:462-466.
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airborne particles? Environ Health Perspect 2000; 108:841.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
10
LA SALUTE RIPRODUTTIVA: UNA STRATEGIA
PER LA PREVENZIONE DEI RISCHI LAVORATIVI
C. Sgarrella1, C. Arfaioli1, M. Da Frè3, R. Bellagambi1, C. Castiglia1,
A. Citroni1, S. Della Scala1, P. Faina1, C. Fiumalbi1, T. Flotta1,
F. Gaudio1, L. Gioè1, G. Mignani1, S. Miniati1, A.R Nisticò1,
R. Ronconi1, M. Rontini1, F. Sbolci1, D. Segni4, V. Sestrieri4,
M. Filippousi4, M. Gavazza2, M. Balli2, C. Bondi2, F. Voller3
1 Dipartimento di Prevenzione ASL 10 Settore Prevenzione Igiene e
Sicurezza nei Luoghi di Lavoro, via S. Salvi 12 50135 Firenze
2 Dipartimento Cure Primarie ASL 10, via S. Salvi 12 50135 Firenze
3 Osservatorio di Epidemiologia Settore Epidemiologia dei Servizi
Sociali Integrati Agenzia Regionale di Sanità della Toscana, Viale
Milton, 7, 50129 - Firenze
4 Università degli studi di Firenze Medicina del Lavoro
REPRODUCTIVE HEALTH: A STRATEGY FOR RISK PREVENTION
ABSTRACT. The problem of health effects of work on reproductive
health is important both for the extent of damage to the high spread of
risk because the workplace risks for pregnancy are varied and many
employment sectors are predominantly female workforce.
The survey was conducted with the involvement of the advisory ASL
10 where all the women in the Region of Tuscany go to pick up the book
of pregnancy. The sample of pregnant workers is 85, 61 percent Italian
and 14.39% foreign. The 56.64% of pregnant women workers
interviewed held a job at risk.
The tasks at risk are prevailing: health and social marketing and
related tasks, the manufacturing sector (chemicals, wood, etc…),
cleaning, housework.
Working women surveyed were predominantly employees (89.65%),
and in the most favorable condition for the enforcement of protection,
although this remains high percentage of workers at risk not enjoying the
legislation from 68% to 49%.
Key words: Reproductive health, risk task, health safety
INTRODUZIONE
Il problema di salute relativo alla salute riproduttiva femminile è rilevante sia per l’entità del danno, in quanto gli effetti degli inquinanti
ambientali presenti negli ambienti di lavoro possono causare danni sia
alla madre che al nascituro in diverse fasi del concepimento e del postpartum, sia per la elevata diffusione del rischio in quanto negli ambienti
di lavoro i fattori di rischio per la gravidanza sono molteplici e molti settori lavorativi sono a prevalente manodopera femminile. Dati recenti
hanno fatto emergere che dopo circa 16 anni di attività il numero delle
donne lavoratrici che non usufruisce della legge di tutela è ancora alto,
una esperienza condotta nell’Area Vasta Nord Ovest della Versilia ha
messo in atto una strategia efficace per garantire una maggiore tutela
della salute alle lavoratrici madri.
Obiettivi dell’indagine condotta nell’ASL 10 di Firenze:
– Garantire una maggiore e diffusa informazione della normativa sulle
lavoratrici madri,
– Conoscere la composizione lavorativa femminile dell’ASL 10 di Firenze con particolare riguardo alle mansioni a rischio che possono
usufruire della legge di tutela,
MATERIALI E METODI
Nella Regione Toscana Il percorso nascita inizia con il ritiro del libretto di gravidanza, un vademecum contenente le richieste di tutti gli
esami periodici consigliati durante la gestazione. Le prestazioni previste
dal libretto sono gratuite e assicurano il monitoraggio della gravidanza
fisiologica. Il punto di riferimento del percorso nascita del Servizio Sanitario della Toscana è il consultorio. In alcuni consultori sono presenti
anche mediatori culturali che aiutano le donne straniere ad orientarsi in
un paese che ha pratiche e strutture diverse da quello di origine. La legislazione italiana tutela la maternità consentendo un accesso libero e gratuito ai servizi anche alle donne non in regola con le norme di ingresso e
di soggiorno.
147
All’atto della consegna del libretto le ostetriche hanno fornito alle
donne una prima scheda per la raccolta dei dati generali, fra cui l’eventuale occupazione. Le donne lavoratrici sono state successivamente contattate telefonicamente dagli infermieri delle UF PISLL del Dipartimento
di Prevenzione per richiedere informazioni più dettagliate, seguendo una
scheda predisposta, sulla mansione svolta, settore produttivo di appartenenza, orario di lavoro, tipo di contratto e notizie sulla precedente storia
clinico - ostetrica. Inoltre, durante l’intervista le donne sono state informate sulle leggi di tutela ed eventualmente invitate a presentare la domanda di astensione o di interdizione obbligatoria presso le sedi dei
PISLL o della DPL se ne sussistevano le condizioni. I dati raccolti durante le interviste sono stati inseriti in un data base appositamente predisposto per le elaborazioni successive. È stato effettuato un accorpamento
delle mansioni codificate in base al profilo di rischio della mansione: tra
quelle non a rischio ci sono le amministrative, avvocato, ingegnere, architetto, sarta, addette allo spettacolo, portineria. Durante l’indagine è
stata realizzata un’iniziativa di formazione rivolta al personale infermieristico del Dipartimento di Prevenzione e al personale ostetrico dei consultori del Dipartimento Cure Primarie.
RISULTATI
I dati riportati si riferiscono al periodo luglio 2007 dicembre 2008.
In questo periodo il numero di libretti consegnati sono stati 12037; il numero di donne lavoratrici che hanno compilato la prima scheda sono state
4078, di queste ne sono state intervistate 3071 (73%). Delle 4078 lavoratrici l’85,6% sono italiane, l’11,3% sono straniere provenienti da Paesi
a Forte Pressione Migratoria (PFPM) e il 3% provenienti da Paesi a Sviluppo Avanzato (PSA). Le italiane hanno in media 33,5 anni, il 59,1%
sono coniugate e sono nubili il 9,6%. Hanno un titolo di studio medio
alto l’84,9%, l’89% è lavoratrice dipendente e il 10,1% lavoratrice autonoma.
Le straniere PFPM hanno un’età media di 30 anni (ha meno di 25
anni il 16.8% delle straniere contro il 3,2 delle italiane e più di 35 anni il
18,1% delle straniere contro il 32,5% delle italiane), sono coniugate nel
60,4% dei casi e sono nubili il 12%. Hanno un titolo di studio medio alto
il 66,7%, il 95% è lavoratrice dipendente e il 2,6% lavoratrice autonoma.
Tra le intervistate rispetto alla mansione svolta la quota di impiegate
è 41,6%. Il 56,6% delle donne intervistate svolge una mansione a rischio.
Le mansioni prevalenti a rischio sono: 17,4% addette alla sanità, sociale
e scuola, 13,2% addette al commercio e mansioni connesse, 11,5% addette al settore manifatturiero (chimica, legno, ecc…), 6,4% addette alle
pulizie e lavori domestici. Le straniere PFPM sono occupate in mansioni
a rischio per la gravidanza in proporzione superiore rispetto alle italiane
(89,2% vs 52,9% rispettivamente). Hanno precedenti abortivi il 27,7%
dei casi con una prevalenza maggiore tra chi svolge attualmente una
mansione a rischio (31,8%) rispetto a chi svolge una mansione non a rischio (21,5%). Questo dato è confermato per le donne italiane ma non
per le straniere. È verosimile che chi svolge attualmente una mansione a
rischio (vedi amministrative) abbia svolto anche precedentmente questo
tipo di attività. Il 73,9% delle intervistate ha un contratto dipendente a
tempo indeterminato, il 9% a tempo determinato, il 2,4% Co-co-co, il
12,4% sono lavoratrici autonome. È stata effettuata una stima dei provvedimenti emessi dalla Direzione Provinciale del Lavoro rispetto alle lavoratrici a rischio, potenzialmente destinatarie delle norme di tutela. È
stato stimato che nel 2007 sono stati emessi 1322 provvedimenti per
astensione anticipata per gravidanza su 4090 lavoratrici a rischio
(32,3%), nel 2008 è stato stimato che sono stati emessi 2197 provvedimenti per gravidanza su 4286 lavoratrici a rischio (51,2)%.
DISCUSSIONE
Il progetto ha avuto lo scopo, attraverso un contatto diretto con le lavoratrici che iniziavano un percorso al parto di fornire le informazioni
necessarie per richiedere quelle tutele previste dalla legge ed a carico del
datore di lavoro. Il momento del ritiro del libretto di gravidanza presso i
consultori, rappresenta un’occasione importante di informazione, poiché
avviene nei primi 3 mesi della gravidanza, quindi nella fase più critica rispetto ai rischi per il nascituro.
Le donne lavoratrici intervistate erano in prevalenza dipendenti
(89,6%), nonostante questo rimane ancora alta la percentuale di lavoratrici a rischio che non usufruisce della legge di tutela, dal 68% al 49%
(2007) al 49% (2008). Rispetto all’efficacia dell’informazione fornita
durante lo svolgimento del progetto occorre tenere conto che alla fine
148
sono state intervistate circa il 30% delle lavoratrici a rischio, con un incremento rispetto all’anno precedente dei provvedimenti adottati, tuttavia il dato è insufficiente a giustificare un impegno di risorse da impiegare in modo routinario. Infatti la stima di donne lavoratrici da contattare
da parte del personale dei PISLL sarebbe circa 4000/anno. Ci sembra
quindi molto più efficace che l’informazione venga fornita direttamente
dalle ostetriche e solo alle donne che svolgono una mansione a rischio. Il
progetto ha fornito un indicatore che serve a monitorare l’effettiva tutela
delle lavoratici, che ha al denominatore la stima del numero delle lavoratrici a rischio/occupate/anno, e al numeratore il numero provvedimenti
emessi dalla Direzione Provinciale del Lavoro (DPL)/anno. Tale indicatore è praticabile seppure si tratti ancora di una stima in assenza di numeri certi da parte della DPL, che non dispone di una archivio informatizzato né sono previsti flussi a livello nazionale. Dall’indagine condotta
un dato importante riguarda la presenza di precedenti abortivi in misura
maggiore nelle donne che attualmente, ma presumibilmente anche prima,
hanno svolto mansioni a rischio
BIBILOGRAFIA
Istituto Superiore Di Sanità. Salute della donna e del concepito:prevenzione dei rischi ambientali e occupazionali, a cura di Alida Leonardi
e Giulia Scaravelli ISSN 1123-3117 Rapporti ISTISAN 04/20
http://www.iss.it/binary/publ/publi/0420.1106229524.pdf
ARS Toscana Nascere In Toscana Anni 2005-2007 Ars Novembre 2009
11
SORVEGLIANZA SANITARIA E SALUTE DEI LAVORATORI
AGRICOLI MIGRANTI: RISULTATI PRELIMINARI
DALLA REGIONE LOMBARDIA
C. Somaruga, M. Bogni, I. Bollina, G. Brambilla, A. Colombi,
M.G. Troja Martinazzoli, F. Vellere, C. Colosio
Occupational Health Department, University of Milan, San Paolo
Hospital and International Centre for Rural Health, San Paolo
University Hospital, Via San Vigilio 43, Milan.
Corrispondenza: Chiara Somaruga, Centro Internazionale per la Salute
Rurale dell’Azienda Ospedaliera San Paolo, Polo Universitario, Milano,
[email protected], Via San Vigilio 43, Milano, tel: 0281843466
HEALTH SURVEILLANCE AND MIGRANT WORKERS’ HEALTH:
PRELIMINARY RESULTS FROM REGION OF LOMBARDY
ABSTRACT. In literature there is some evidence of possible gaps in
health status for migrants. Hypertension, hyperglycaemia and metabolic
syndrome seem to be linked to migration. Agricultural work is
demanding and often performed in extreme climatic conditions, well
known risk factors for cardiac infarction, for example. In agriculture,
most of seasonal workers are foreigners: in our sample, more then the
20% are not national worker. The identification of a possible vulnerable
subgroup would impone specific health surveillance programmes.
In the frame of the Health Surveillance Programme in Agriculture
carried out by the International Centre for Rural Health - San Paolo
University Hospital, Milan - a cross sectional study aimed to identify
possible gaps in the health status for foreigner workers has been
conducted. According blood the preliminary results, migrants are at
higher risk for hypertriglycerideaemia and overweight. Other hand,
italians have higher blood pressure levels. This can be put in relationship
whith smoking habits: among italians, smokers are more represented and
also the number of cigarettes/day is higher the in the migrant population.
Moreover, these results can be explained by a multifactor aetiology in
which food habits, migration-related stress and genetic patterns play a
critical role.
Key words: migrants’ health, agriculture, metabolic syndrome
INTRODUZIONE
Lo stato di salute della popolazione straniera in Italia non è del tutto
noto. Il migrante, infatti, tende a rivolgersi alle strutture sanitarie principalmente in caso di infortunio, per la gravidanza ed il parto. In caso di pa-
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
tologia cronico-degenerativa tende a tornare al paese d’origine, uscendo
pertanto dal circuito del Sistema Sanitario Nazionale(1). A fronte di una
popolazione migrante tendenzialmente giovane ed in buone condizioni di
salute, sono state individuate due aree critiche: la patologia infettiva e gli
infortuni(2). Inoltre, diversi studi indipendenti suggeriscono una maggiore predisposizione degli stranieri a sviluppare patologie su base dismetabolica quali diabete mellito, ipertensione arteriosa, dislipidemia,
con un conseguente eccesso di rischio per la patologia cardiovascolare.
Dominguez e coll.(3) hanno rilevato un’associazione tra anzianità migratoria e aumento del rischio cardiovascolare, in parte verosimilmente dovuto alla riduzione del consumo di frutta e verdura fresca rispetto a quanto
fatto nel paese d’origine. Un aumentato rischio di sviluppare malattia coronaria è stato inoltre rilevato nella comunità indiana di Durban, in Sud
Africa(4). Le prevalenze di sindrome metabolica e di ipertrigliceridemia,
secondo i dati forniti da Foucan e collaboratori, risultano maggiori nei migranti indiani affetti da Diabete Mellito di tipo 2 rispetto alla popolazione
generale residente in Guadalupa(5). Infine, un più ampio studio condotto
in Svezia ha dato risultati apparentemente contrastanti, rilevando livelli di
trigliceridi plasmatici più elevati nella popolazione nativa che tra i soggetti appartenenti alla comunità assiro/siriana(6). Data l’alta prevalenza di
tali patologie e dato l’importante peso delle stesse in termini morbidità,
mortalità e di spesa sanitaria, è evidente l’interesse ad approfondire il
tema. Una ipersuscettibilità dei lavoratori stranieri alla malattia cardiovascolare, infatti, imporrebbe l’adozione di programmi di sorveglianza sanitaria e di prevenzione specifici per l’agricoltura, caratterizzata da esposizione a condizioni climatiche sfavorevoli, a volte estreme, impegno muscolare gravoso ed irregolarità dell’orario di lavoro.
MATERIALI E METODI
Scopo del lavoro. Indagare la prevalenza di fattori di rischio cardiovascolare nella popolazione migrante rispetto a quella italiana. Popolazione. Sono stati selezionati - in maniera casuale - 50 lavoratori stranieri
sottoposti a Sorveglianza Sanitaria nell’ambito della Convenzione in atto
tra l’Azienda Ospedaliera San Paolo - Centro Internazionale per la Salute
Rurale - e Confagricoltura. Variabili. Per ciascun soggetto sono stati selezionati i seguenti parametri, rilevati nel corso della sorveglianza sanitaria: Colesterolo Totale (vn<190 mg/dl), Trigliceridi (vn<180 mg/dl),
Glicemia a digiuno (vn<110, intolleranza glucidica 110-126 mg/dl, sospetto diabete mellito >126), Creatininemia (vn= 0,70-1,30 mg/dl), Pressione arteriosa (sis vn <130 mmHg, dia vn <80 mmHg), BMI (<25 normopeso, 25-29 sovrappeso, >30 obesità), abitudine al fumo di sigaretta.
Analisi statistica. La significatività della differenza di prevalenza delle
variabili in oggetto rilevata tra i due gruppi allo studio (migranti e italiani) è stata valutata utilizzando test T a 2 code per dati appaiati. È stato
utilizzato il software statistico SPSS.
RISULTATI
Lo studio non ha rilevato differenze statisticamente significative tra
lavoratori migranti e lavoratori italiani per quanto concerne colesterolemia, glicemia a digiuno, AST, ALT e gammaGT. La prevalenza di ipertrigliceridemia, è risultata significativamente maggiore nel campione di
stranieri rispetto a quello di italiani (p<0,005). Lo stesso dicasi per il sovrappeso corporeo: i lavoratori migranti hanno un BMI mediamente più
alto (26,6 versus 25,1) e sono per il 48% sovrappeso e per il 18% obesi,
contro, rispettivamente, il 32% e il 12% degli italiani (p=0,02). I livelli
di pressione arteriosa, al contrario, sono più elevati tra gli italiani: la prevalenza di ipertensione sistolica tra gli italiani è del 48%, contro il 22%
rilevato tra gli stranieri (p= 0,04). Analogamente, la prevalenza di ipertensione diastolica è pari all’80% tra gli italiani a fronte di un 58% rilevato tra gli stranieri (p=0,009). Infine, le due popolazioni sono risultate
significativamente diverse per quanto concerne l’abitudine al fumo di sigaretta, molto maggiore tra gli italiani (52% versus 22%). Tra questi ultimi, inoltre, è molto maggiore la quota di forti fumatori: il 20% fuma almeno 20 sigarette al giorno, contro il 6% registrato tra gli immigrati.
DISCUSSIONE
Si rilevi che il campione degli stranieri è costituito da soggetti dotati di
regolare permesso di soggiorno e contratto di lavoro quindi, almeno in via
teorica, del tutto paragonabili ai loro colleghi italiani per ciò che concerne
l’accesso alla salute e la situazione abitativa. La maggiore prevalenza di noti
fattori di rischio cardiovascolare quali ipertrigliceridemia ed Indici di Massa
Corporea > 25 tra i lavoratori immigrati, potrebbe essere spiegata dalle di-
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
verse abitudini alimentari. Inatteso risulta il dato relativo alla pressione arteriosa, maggiore nei lavoratori italiani. A spiegazione di ciò sta la maggiore
prevalenza dell’abitudine al fumo di sigaretta. I principali limiti dello studio
sono l’esiguità del campione e il fatto di essere uno studio trasversale: valori di pressione arteriosa rilevati una sola volta durante la visita medica non
sono necessariamente rappresentativi dei livelli medi del soggetto. Un’ulteriore limitazione è data dal fatto che la raccolta dei dati utilizzati è stata effettuata prima del disegno dello studio. Si considerino pertanto i risultati riportati come esiti preliminari cui far seguire un’indagine ad hoc sulla valutazione del rischio cardiovascolare che prenda in esame i fattori di rischio
della sindrome metabolica. La sindrome metabolica (MS), chiamata anche
sindrome di insulino-resistenza, è associata ad un aumentato rischio di patologie cardiovascolari ed è definita dalla presenza di tre o più dei seguenti
fattori di rischio: ipertensione (SBP ≥130 mmHg e/o DBP ≥ 85 mmHg),
obesità centrale (definita come BMI ≥ 30 Kg/m2 e circonferenza addominale > 102 cm negli uomini o > 88 cm nelle donne), iperglicemia (≥110
mg/dL) e dislipidemia (HDL-C <40 mg/dL negli uomini o <50 mg/dL nelle
donne; trigliceridi ≥150 mg/dL) (National Cholesterol Education Program’s
Adult Treatment Panel III). Infine si rilevi che, in alcuni casi, gli esiti della
sorveglianza sanitaria hanno portato all’effettuazione di prima diagnosi di
patologia (ipertensione arteriosa e diabete mellito) in soggetti che non si
erano mai recati prima dal medico di base, indicando così, ancora una volta,
l’importanza della collaborazione Medico Competente e Medico di Medicina Generale nello sviluppo di azioni di prevenzione.
BIBLIOGRAFIA
1) ISTAT Salute e ricorso ai servizi sanitari della popolazione straniera
residente in Italia Anno 2005, Statistiche in breve, Roma, 2008
2) Mladowsky P Migration and health in EU health systems. The
Health Policy Bulletin of the European Observatory on Health Systems and Policies, Winter 2007 Volume 9, Number 4
3) Dominguez LJ, Galioto A, Pineo A, Ferlisi A, Vernuccio L, Belvedere M, Costanza G, Putignano E, Barbagallo M. Blood pressure and
cardiovascular risk profiles of Africans who migrate to a Western
country. Ethn Dis. 2008 Autumn;18(4):512-8
4) Seedat YK, Mayet FG, Khan S, Somers SR, Joubert G. Risk factors
for coronary heart disease in the Indians of Durban. S Afr Med J.
1990 Oct 20;78(8):447-54.
5) Foucan L, Deloumeaux J, Donnet JP, Bangou J, Larifla L, Messerchmitt C, Salmi LR, Kangambega P. Metabolic syndrome components in Indian migrants with type 2 diabetes. A matched comparative study. Diabetes Metab. 2006 Sep;32(4):337-42.
6) Taloyan M, Wajngot A, Johansson SE, Tovi J, Sundquist J. Cardiovascular risk factors in Assyrians/Syrians and native Swedes with
type 2 diabetes: a population-based epidemiological study. Cardiovasc Diabetol. 2009 Nov 12;8:59.
149
Corrispondenza: Pierluigi Cocco, Università di Cagliari, Dipartimento di
Sanità Pubblica - Sezione di Medicina del Lavoro, Asse didattico della
Facoltà di Medicina, SS 554 km 4.500, 09042 Monserrato (Cagliari). Tel.
+39 070 6754438, fax: +39 070 6754728; e-mail: [email protected]
LYMPHOMA RISK AMONG ANIMAL BREEDERS
ABSTRACT. Introduction. Occupational contact with breeding
animals might be implicated in the etiology of lymphoma.
Methods. In 1998-2003, 2337 incident lymphoma cases and 2434
controls participated in the EPILYMPH case-control study in six
European countries. A detailed occupational history was collected in
cases and controls, including species of breeding animals, their
approximate number, and circumstances of contact. We conducted a
preliminary analysis on ever exposed to contact with breeding animals,
and we stratified the analysis by age at first exposure, whether before or
after 12. The Odds ratio (OR) and its 95% confidence interval (95% CI)
was calculated with unconditional logistic regression for all lymphomas,
and its major subtypes, adjusting by age, gender, and education.
Results. Lymphoma risk (all subtypes combined) did not increase
among exposed to contact with breeding animals (OR = 1.0, 95% CI 0.8
-1.2). Risk of DLBCL was significantly lower among subjects employed
in poultry farms (OR = 0.6, 95% CI0.4 -1.0). This inverse association
was observed among subjects who starter exposure before or at age 12
(OR = 0.5, 95% CI 0.2 -1.1), but not later.
Conclusion. Early occupational contact with poultry might be
associated with a decrease in risk of specific lymphoma subtypes.
Key words: lymphoma; animal breeding; farming.
INTRODUZIONE
Il contatto con animali da allevamento è stato implicato quale determinante dell’elevato rischio di linfoma non Hodgkin (NHL) in attività lavorative quali veterinari ed allevatori (1, 2). Una delle esposizioni responsabili di tale eccesso potrebbe essere costituita da agenti virali, ed in
particolare dai virus responsabili di emolinfopatie maligne negli animali,
come il virus della leucemia dei bovini.
P. Cocco, I. D’Andrea, G. Satta, G. Udas, M. Zucca1, T. Nonne,
A. t’Mannetje2, N. Becker3, S. de Sanjosé4, L. Foretova5, A. Staines6,
M. Maynadié7, A. Nieters3, P. Brennan8, P. Boffetta8, M. Meloni,
M.G. Ennas1
MATERIALI E METODI
Nel corso del periodo 1998-2003, 2337 casi incidenti di linfoma e
2434 controlli hanno partecipato allo studio multicentrico caso-controllo
Europeo EPILYMPH, condotto in alcuni centri di sei stati: Spagna,
Francia, Germania, Italia, Irlanda, e Repubblica Ceca. Per ognuno dei partecipanti è stata raccolta la storia lavorativa completa; negli addetti ad attività in ambito agricolo, sono stati raccolti ulteriori dettagliate informazioni
mediante un secondo questionario specifico. Le informazioni raccolte
comprendevano specie e dimensioni numeriche degli animali da allevamento, eventuali episodi di zoonosi, e frequenza e modalità del contatto.
La definizione di alcune variabili di esposizione (frequenza, intensità e
probabilità) è stata effettuata in maniera standardizzata, secondo scale semiquantitative a quattro livelli (non esposti, basso, medio, ed elevato), in
ogni centro partecipante allo studio da igienisti industriali addestrati allo
scopo. In questa analisi preliminare, presentiamo i rischi di linfoma (tutti i
sottotipi combinati) e dei più frequenti sottotipi istologici, linfoma diffuso
a grandi cellule di tipo B (DLBCL) e leucemia linfatica cronica (LLC) associati alla condizione binaria di contatto con le varie specie animali considerate. L’analisi è stata inoltre stratificata in relazione all’età all’esordio
dell’esposizione, se inferiore o uguale a 12 anni o superiore. Gli odds ratio
(OR) ed i rispettivi intervalli di confidenza al 95% (IC 95%), sono stati calcolati mediante regressione logistica non condizionale, aggiustando le
stime di rischio per età, sesso e livello d’istruzione.
Dipartimento di Sanità Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro,
Università di Cagliari, Asse Didattico - Policlinico Universitario,
SS 554, km 4,500, 09042 Monserrato (Cagliari). Tel: 0706754438;
fax: 0706754728; e-mail: [email protected].
1 Dipartimento di Citomorfologia, Università di Cagliari;
2 Centre for Public Health Research, Massey University, Wellington,
New Zealand;
3 German Cancer Research Center, Heidelberg, Germany;
4 Catalan Institute of Oncology, Barcelona, Spain;
5 Department of Cancer Epidemiology and Genetics, Brno, Czech Republic;
6 Dublin City University, Dublin, Ireland;
7 Dijon University Hospital, Dijon, France;
8 International Agency for Research on Cancer, Lyon, France.
RISULTATI
Il contatto con animali da allevamento era presente nel 4.2% delle
attività lavorative svolte dai soggetti partecipanti allo studio. L’esposizione più frequente è risultata quella a bovini, seguita dal contatto con
suini e pollame. Ovini ed altre specie animali (equini in prevalenza), pur
essendo meno frequenti, erano comunque rappresentati da un numero di
esposti sufficiente ad un’analisi binaria.
Come riportato in Tabella I, nessun aumento del rischio di linfoma
(tutti i sottotipi) è stato osservato in relazione al contatto con animali in
generale (OR = 1.0, IC 95% 0.8 -1.2), né in relazione alle singole specie
considerate. Il rischio di linfoma diffuso a grandi cellule di tipo B
(DLBCL) ha invece mostrato una significativa riduzione in relazione al
12
RISCHIO DI LINFOMA ASSOCIATO AL CONTATTO
OCCUPAZIONALE CON ANIMALI DA ALLEVAMENTO
150
Tabella I. Rischio di linfoma (tutti i sottotipi) e principali sottotipi
associato con il contatto lavorativo con animali da allevamento.
Gli Odds ratios (OR) sono aggiustati per età, genere, residenza
e livello di istruzione. L’intervallo di confidenza al 95% (CI)
e riportato a fianco di ogni OR
contatto occupazionale con pollame d’allevamento (OR = 0.6, IC 95%
0.4 -1.0). Tale associazione inversa è risultata apparentemente in relazione all’età al primo contatto, ed in particolare all’esordio dell’attività
lavorativa in età prepuberale (inferiore o uguale a 12 anni: OR = 0.5, IC
95% 0.2 -1.1). In età superiore o uguale a 13, è apparsa ancora una modesta associazione inversa (OR = 0.7, IC 95% 0.4 -1.2), mentre, considerando solo i soggetti che iniziarono l’attività di allevamento di pollame
in età uguale o superiore a 19 anni, non si è osservata più alcuna associazione (OR = 0.9, IC 95% 0.4 -2.1).
CONCLUSIONI
L’esposizione ad animali da allevamento non sembrerebbe comportare un aumento del rischio di linfomi in generale. Tuttavia, l’esposizione
al contatto con pollame in età prepuberale appare associata ad una riduzione del rischio di DLBCL. Tale risultato sembra confermare quanto osservato in associazione al contatto con galline, allevate in ambito domestico (3), e potrebbe essere in relazione all’immunità di tipo Th1 conferita dal contatto precoce con agenti virali di provenienza aviaria.
BIBLIOGRAFIA
1) Tranah GJ, Bracci PM, Holly EA. Domestic and farm-animal exposures and risk of non-Hodgkin’s lymphoma in a population-based
study in the San Francisco Bay Area. Cancer Epidemiol Biomarkers
Prev 2008;17:2382-2387.
2) Moore T, Brennan P, Becker N, de Sanjosé S, Maynadié M, Foretova
L, Cocco P, Staines A, Nieters A, Font R, ‘t Mannetje A, BenhaimLuzon V, Boffetta P. Occupational exposure to meat and risk of
lymphoma: A multi-center case-control study from Europe. Int J
Cancer 2007; 121:2761-6.
3) Bellizzi S, Cocco P, Zucca M, D’Andrea I, Sesler S, Monne M,
Onida A, Piras G, Uras A, Angelucci E, Gabbas A, Rais M, Nitsch
D, Ennas MG. Household contact with pets and birds and risk of
lymphoma. Cancer Causes and Control 2010 (in press).
13
RISCHIO DI LINFOMA ASSOCIATO ALL’ESPOSIZIONE
A PESTICIDI IN AGRICOLTURA: RISULTATI PRELIMINARI
DELLO STUDIO EPILYMPH
G. Satta, S. Dubois, M. Lecca, A. Naitza, M. Pilleri, M. Zucca1,
T. Nonne, C. Pili, A. t’Mannetje2, N. Becker3, S. de Sanjosé4,
L. Foretova5, A. Staines6, M. Maynadié7, A. Nieters3, P. Brennan8,
P. Boffetta8, M. Meloni, M.G. Ennas1, P. Cocco
Dipartimento di Sanità Pubblica, Sezione di Medicina del Lavoro,
Università di Cagliari, Asse Didattico - Policlinico Universitario,
SS 554, km 4,500, 09042 Monserrato (Cagliari). Tel: 0706754438;
fax: 0706754728; e-mail: [email protected].
1 Dipartimento di Citomorfologia, Università di Cagliari;
2 Centre for Public Health Research, Massey University, Wellington,
New Zealand;
3 German Cancer Research Center, Heidelberg, Germany;
4 Catalan Institute of Oncology, Barcelona, Spain;
5 Department of Cancer Epidemiology and Genetics, Brno, Czech Republic;
6 Dublin City University, Dublin, Ireland;
7 Dijon University Hospital, Dijon, France;
8 International Agency for Research on Cancer, Lyon, France.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
Corrispondenza: Pierluigi Cocco, Università di Cagliari, Dipartimento di
Sanità Pubblica - Sezione di Medicina del Lavoro, Asse didattico della
Facoltà di Medicina, SS 554 km 4.500, 09042 Monserrato (Cagliari). Tel.
+39 070 6754438, fax: +39 070 6754728; e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Introduzione. Alcuni fitofarmaci hanno dimsotrato
un’azione cancerogena negli animali da esperimento.
Metodi. Nel corso del periodo 1998-2003, 2337 casi incidenti di
linfoma e 2434 controlli parteciparono allo studio caso-controllo
EPILYMPH in sei Paesi Europei. In tutti i partecipanti fu raccolta una
dettagliata storia lavorativa, che comprendeva domande specificamente
indirizzate ai lavoratori agricoli, quali tipo di coltura praticata e dimensioni della superficie coltivata, tipo di fitopatologia trattata, fitofarmaci
utilizzati e frequenza dei trattamenti. Abbiamo condotto un’analisi preliminare del rischio di linfoma e dei suoi maggiori sottotipi associato all’esposizione lavorativa a gruppi di fitofarmaci. Odds ratio (OR) ed intervallo di confidenza al 95% (IC 95%) sono stati calcolati mediante regressione logistica non condizionale, aggiustando per età, genere e livello d’istruzione
Risultati. Il rischio di linfoma non ha dimostrato tendenza ad aumentare in relazione all’esposizione a pesticidi inorganici (OR = 1.3,
IC 95% 0.9 -1.7) o organici (OR = 1.1, IC 95% 0.9 -1.4). Il rischio di
LLC è risultato elevato tra gli esposti ad esteri organofosforici (OR =
2.2, IC 95% 1.1 -4.4). Non sono state osservate ulteriori associazioni
degne di nota.
Conclusioni. I nostri risultati confermano precedenti osservazioni
su un aumento del rischio di specifici sottotipi di linfoma in relazione all’esposizione a specifici gruppi di fitofarmaci.
LYMPHOMA RISK AND OCCUPATIONAL EXPOSURE TO
PESTICIDES: PRELIMINARY RESULTS OF THE EPILYMPH
STUDY
ABSTRACT. Introduction. Several agricultural pesticides have
shown a carcinogenic potential in experimental animals.
Methods. In 1998-2003, 2337 incident lymphoma cases and 2434
controls participated in the EPILYMPH case-control study in six
European countries. A detailed occupational history was collected in
cases and controls. Specific questions for farm workers included type of
crop, farm size, pests being treated, type and schedule of pesticide use.
We conducted a preliminary analysis of risk of lymphoma and its major
subtypes associated with occupational exposure to groups of pesticides.
The Odds ratio (OR) and its 95% confidence interval (95% CI) was
calculated with unconditional logistic regression for all lymphomas, and
its major subtypes, adjusting by age, gender, and education.
Results. Lymphoma risk did not increase among exposed to
inorganic (OR = 1.3, 95% CI 0.9 -1.7) or organic pesticides (OR = 1.1,
95% CI 0.9 -1.4). Risk of CLL was significantly increased among
exposed to organophosphates (OR = 2.2, 95% CI 1.1 -4.4). No other
significant association were observed.
Conclusion. Our results confirm previous reports of an increase in
risk of specific lymphoma subtypes associated with exposure to specific
agrochemicals.
Key words: lymphoma; animal breeding; farming.
INTRODUZIONE
Numerosi pesticidi hanno dimostrato proprietà cancerogene in animali da esperimento. Tuttavia, gli studi epidemiologici condotti finora
hanno dato luogo a risultati contradditori o sono stati caratterizzati da limiti interpretativi, a causa del piccolo numero di esposti e della molteplicità di esposizioni contemporanee (1). In particolare, alcuni esteri organofosforici, carbammati ed erbicidi fenossiacidi sono stati associati ad
un elevato rischio di linfoma non Hodgkin (NHL) (2, 3).
MATERIALI E METODI
Nel corso del periodo 1998-2003, 2337 casi incidenti di linfoma e
2434 controlli hanno partecipato allo studio multicentrico caso-controllo Europeo EPILYMPH, condotto in alcuni centri di sei stati:
Spagna, Francia, Germania, Italia, Irlanda, e Repubblica Ceca. Per
ognuno dei partecipanti è stata raccolta la storia lavorativa completa;
negli addetti ad attività in ambito agricolo, sono stati raccolti ulteriori
dettagliate informazioni mediante un questionario specifico. Le informazioni raccolte comprendevano tipo di coltura, estensione della col-
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Tabella I. Rischio di linfoma (tutti i sottotipi) e principali sottotipi
associato esposizione occupazionale a pesticidi in agricoltura.
Gli Odds ratios (OR) sono aggiustati per età, genere, residenza
e livello di istruzione. L’intervallo di confidenza al 95% (CI)
e riportato a fianco di ogni OR
151
14
UTILIZZO DI VIDEOTERMINALE ED EPICONDILITE:
APPROCCIO BASATO SULL’EVIDENZA
M.R. Gigante, I. Martinotti, G. Iadanza, P.E. Cirla
Divisione Medica CIMAL (DIMEC), Centro Italiano Medicina Ambiente
Lavoro (Gruppo CIMAL), Milano
Corrispondenza: Piero Emanuele Cirla, Viale Friuli, 61 - 20135 Milano,
Italy, Phone: ++39 02 59901542, e-mail: [email protected]
tura, tipo di fitopatologie trattate, tipo e modalità di uso dei fitofarmaci. La definizione di alcune variabili di esposizione (frequenza, intensità e probabilità) è stata effettuata in ogni centro partecipante allo
studio, secondo scale semiquantitative a quattro livelli (non esposti,
basso, medio, elevato), da igienisti industriali addestrati allo scopo,
coadiuvati da un esperto agronomo. In questa analisi preliminare, presentiamo i rischi per tutti i linfomi, per linfomi a cellule B e per i maggiori sottotipi istologici linfoma diffuso a grandi cellule di tipo B
(DLBCL) e leucemia linfatica cronica (LLC), associati alla condizione
binaria di esposizione ai raggruppamenti di pesticidi più frequentemente rappresentati nella popolazione studiata. Per alcune inconsistenze di codifica tra i diversi centri partecipanti, erbicidi fenossiacidi
e clorofenoli sono stati combinati insieme. Gli Odds ratio (OR) ed i rispettivi intervalli di confidenza al 95% (IC 95%), sono stati calcolati
mediante regressione logistica non condizionale, aggiustando le stime
di rischio per età e sesso.
RISULTATI
Un’esposizione a pesticidi organici è stata rilevata in circa il 2%
delle attività lavorative riferite dai partecipanti allo studio, mentre l’esposizione a pesticidi inorganici è risultata presente nell’1.1% delle attività lavorative. La capacità di identificare specifici principi attivi è risultata scarsa, riguardando solo lo 0.5% delle attività lavorative per i
clorofenoli, e lo 0.3% per gli esteri organofosforici e gli organoclorati.
In generale, non è stata rilevata un’associazione del rischio di linfoma
in generale con l’esposizione a pesticidi inorganici (OR = 1.3, IC 95%
0.9 -1.7) o organici (OR = 1.1, IC 95% 0.9 -1.4) (Tabella I). Il rischio di
LLC è risultato elevato tra gli esposti a pesticidi organici (OR = 1.5, IC
95% 1.0 -2.2), ed in particolare ad esteri organofosforici (OR = 2.2, IC
95% 1.1 -4.4). Non è stato osservato alcun aumento del rischio in relazione all’esposizione a clorofenoli e fenossiacidi, considerati nel medesimo raggruppamento.
CONCLUSIONI
In accordo con altri studi, i nostri risultati preliminari suggeriscono
la possibilità di un ruolo dell’esposizione ad alcuni fitofarmaci di largo
uso nell’eziologia di specifici sottotipi di linfoma. È verosimile che il nostro studio non abbia potuto rilevare altre associazioni a seguito della diluizione dell’esposizione ai principi attivi responsabili all’interno di raggruppamenti generici. Ulteriori sforzi saranno condotti, in particolare, all’identificazione dell’esposizione a 2,4 diclorofenolo, da tempo segnalato in associazione al rischio di linfoma non Hodgkin.
BIBLIOGRAFIA
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study. Am J Ind Med 2003;44:627-636.
Parole chiave: disturbi dell’arto superiore, VDT, patologie muscolo-scheletriche correlate al lavoro
ACTIVITY WITH VISUAL DISPLAY UNIT (VDU) AND
EPICONDYLITIS: AN EVIDENCE BASED APPROACH
ABSTRACT. The latest technology developments are increasingly
geared to computer portability (laptop) and a traditional ergonomic
standard seems to be often poorly suitable. Some cases were referred in
workers using laptop as elective instrument, about the possible onset of
pain in the upper limbs, leading to a specialized diagnosis of
epicondylitis. The medical debate developed partially, without
considering multidisciplinary available data. A systematic review of the
literature, using an evidence-based approach, was performed. In
disorders associated with the use of VDU, we must distinguish those at
the upper limbs and among them those related to an overload rather than
nervous compression phenomena. The experimental studies on the
occurrence of ulnar nerve pain are quite limited, as well as clinically is
quite difficult to prove the ethiology, considering the interference due to
other activities of daily living. Overall, available studies appear to
indicate a possible acute inflammatory action, but many factors may
influence the onset of epicondylitis in humans (eg anatomical variability,
sex, age, exercise). At present a musculo-skeletal overload related to the
use of portable computer seams to be an hypothesis not yet proven with
sufficient strength. The available studies specifically concerning chronic
effects of VDU use are still too few and further investigations are
required.
Key words: upper limbs disorder, VDU, work-related musculoskeletal disease
INTRODUZIONE
Con i più recenti sviluppi tecnologici ha trovato diffusione in svariati
ambiti lavorativi l’utilizzo di sistemi informatici sempre più orientati alla
portabilità ed alla miniaturizzazione. In questo senso gli standard ergonomici tradizionali non sempre appaiono sufficienti a garantire il mantenimento del benessere del lavoratore. Di particolare interesse appare l’attenzione, attirata da alcuni casi di riscontro pratico in lavoratori che impiegavano videoterminali portatili come strumento elettivo, sulla possibile insorgenza di sofferenza a carico degli arti superiori con conseguente diagnosi
specialistica di epicondilite. Il dibattito medico-scientifico, affrontando il
complesso argomento dei disturbi muscolo-scheletrici in riferimento all’uso
di videoterminali, si è però spesso sviluppato senza considerare a pieno le
necessarie informazioni multidisciplinari oggi a disposizione.
Scopo della ricerca condotta è stato quello di inquadrare con un’analisi sistematica della letteratura scientifica la problematica, avvalendosi di un approccio basato sull’evidenza. Nello specifico, per valutare
l’impatto che l’uso del videoterminale può avere nello sviluppo di epicondilite, si è scelto di seguire un approccio mutuato dall’Evidence
Based Medicine (EBM), un modello di pratica sanitaria che prevede che
il medico debba prendere decisioni ed individuare soluzioni utilizzando
le informazioni disponibili in modo coscienzioso (applicando prove
scientifiche alle pratiche sanitarie), giudizioso (adattando orientamenti e
raccomandazioni ai singoli problemi), ed esplicito (riuscendo sempre a
dimostrare con trasparenza la fondatezza delle decisioni adottate) (1).
MATERIALI E METODI
Lo studio è stato condotto rispettando il paradigma dell’EBM articolato nei seguenti punti:
Formulazione del problema: il quesito oggetto di studio valuta
quanto l’utilizzo di videoterminale è di rilievo nell’alterazione della fi-
152
siologia degli arti superiori con particolare riferimento alla manifestazione di epicondilite.
Ricerca nelle banche dati disponibili delle migliori evidenze che
consentano di rispondere al quesito formulato: la rivisitazione puntuale
della letteratura scientifica nazionale ed internazionale pubblicata fino al
giugno 2010 è stata condotta utilizzando quale motore di ricerca rintracciabile in rete PubMed; le parole chiave utilizzate sono: epicondilite,
nervo ulnare, nervo radiale, videoterminale, laptop. Questa risorsa è stata
integrata con l’esame delle documentazioni ufficiali e position paper di
Enti ed Associazioni internazionali. Sono stati inoltre consultati manuali
di anatomia, fisiologia e fisiopatologia.
Analisi critica delle informazioni trovate e determinazione della loro
validità e utilità: le informazioni recuperate on-line sono state analizzate,
valutate criticamente e confrontate con i dati disponibili di tipo anatomico e fisiologico e con quanto emergente dalla lettura di position paper.
Ai fini della revisione sistematica gli studi sono stati raggruppati in base
al tipo di variabile investigata. Nella valutazione critica degli studi è stato
dato il maggiore peso alle evidenze derivanti da studi randomizzati controllati, studi di coorte, studi caso-controllo, sono stati presi in considerazione tuttavia anche studi non controllati.
Applicazione delle soluzioni al problema: La soluzione al problema
è stata formulata integrando le conoscenze disponibili con le prove
esterne derivanti dalla ricerca delle informazioni.
RISULTATI
Con il termine di “epicondilite”, nella pratica clinico-ortopedica, ci
si riferisce ad una serie di sindromi accomunate dall’insorgenza di sintomatologia dolorosa nella regione epi- ed apofisaria del condilo omerale
al gomito. In ambito anglosassone comune la dizione di “gomito del tennista” quando vi è coinvolgimento del condilo radiale (epicondilite laterale), evenienza più frequente, e di “gomito del golfista” per quello ulnare (epicondilite mediale). Da un punto di vista patogenetico è possibile
distinguere tre situazioni: alterazioni dell’inserzione muscolare dei tendini estensori delle dita al gomito per microtraumatismi o traumatismi diretti; neurite compressiva od irritativa a livello del gomito; miscellanea
(affezioni reumatiche, affezioni cervicali, periartrite scapolo-omerale,
tendosinovialite stenosante, fibromiosite, artrosi dell’articolazione del
gomito).
Nell’ambito dei disturbi connessi all’uso di videoterminale a carico
dell’apparato muscolo-scheletrico, occorre individuare quelli a carico
degli arti superiori e, tra questi, quelli legati ad un sovraccarico piuttosto
che conseguenti a fenomeni compressivi. Per quanto riguarda il primo
aspetto, non emergono evidenze che nell’utilizzo di videoterminali
(anche con dispositivi portatili) ci si possa trovare in una delle situazioni
di sovraccarico correlabili allo sviluppo di affezioni a carico del gomito
(movimenti ripetitivi di presa, di prono-supinazione o di flesso-estensione) (2-3). Possibile, qualora venga utilizzato un videoterminale portatile in assenza di una tastiera ed un dispositivo di puntamento indipendenti, è invece l’assunzione di un appoggio sulla parte inferiore del gomito a generare compressione (4); tale postura tuttavia non risulta assumere i caratteri dell’abitualità e della continuità.
Gli studi sperimentali in merito all’insorgenza di sofferenze del
nervo ulnare a livello del gomito sono abbastanza limitati, oltre che non
particolarmente agevoli da realizzarsi considerata la notevole interferenza teorica dovuta ad altre attività del vivere quotidiano o a variabili
individuali (5-6).
Gli studi epidemiologici disponibili, per altro caratterizzati da un
contenuto numero di soggetti e da limiti nella considerazione di fattori di
confondimento, non mostrano alcuna evidenza di correlazione tra epicondilite ed utilizzo di videoterminale tradizionale (7); non sono disponibili dati relativamente all’uso esclusivo o prevalente di personal computer portatili.
Nel complesso gli studi disponibili relativi alla comparsa di alterazioni alla fisiologia del gomito in utilizzatore di videoterminale appaiono
indicare una possibile azione infiammatoria acuta, che si estrinseca più
facilmente in soggetti ipersuscettibili. Gli studi disponibili di tipo cronico
richiedono ulteriori approfondimenti.
CONCLUSIONI
Numerosi sono i fattori biologici che possono influenzare la comparsa di epicondilite nell’uomo (es. variabilità anatomica, sesso, età,
esercizio fisico, benessere psicologico).
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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Nessuna evidenza disponibile indica la possibilità di fenomeni di sovraccarico potenzialmente causa di epicondilite connessi all’utilizzo di
videoterminale, anche se portatile.
Compressioni connesse all’utilizzo di videoterminale portatile capaci di indurre epicondilite costituiscono un’ipotesi non ancora attualmente dimostrata con sufficiente solidità.
Nessuna evidenza epidemiologica disponibile indica una connessione tra uso di videoterminale tradizionale ed insorgenza di epicondilite;
non sono disponibili dati in riferimento all’uso prevalente o esclusivo di
dispositivi portatili.
I fenomeni infiammatori evidenziati hanno caratteristiche di acutezza; eventuali manifestazioni croniche costituiscono al momento ipotesi da approfondire.
BIBLIOGRAFIA
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teoria alla pratica. G Ital Med Lav Erg 2006; 28(Suppl):170-175.
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elbow pain, epicondylitis. Ugeskr Laeger. 1999; 161(34):4751-4755.
15
IL RISCHIO DA ESPOSIZIONE CUTANEA A NANOPARTICELLE
F. Larese Filon1, M. Crosera1, M. Bovenzi, G. Maina2
1 Unità
Clinico Operativa di Medicina del Lavoro - Università di Trieste
Dipartimento di Traumatologia e Medicina del Lavoro - Università di
Torino
2
Corrispondenza: Francesca Larese Filon, e mail: [email protected]
NANOPARTICLES SKIN PENETRATION
ABSTRACT. The potential for solid nanoparticles to penetrate the
skin lies at the centre of the debate concerning the safety for their use and
there is a lack of available data demonstrating whether manufactured
nanoparticles can gain access to the epidermis and derma after the skin
contact even though it is known that dermally administered
nanoparticles can transfer to regional lymph nodes. The aim of this
experimental study was to evaluate nickel nanoparticles skin
penetration.
Methods: skin absorption was evaluated by means of the Franz
diffusion cell method with human skin, intact (n=7) and damaged with
needle (n=7). We used nickel nanoparticles with an average particle size
of 25 nm measured by transmission electron microscopy. They were
dispersed in ethanol 0.14 wt%. The receptor fluid measurements were
performed by electro-thermal atomic absorption spectrometry with
Zeeman background correction.e was used for analyses. The Ni detection
limit was 0.1 μg/L at an analytical wavelength of 328.1 nm.
Results: The concentration of nickel in the receiving phase after 24
hours was 0.0241±0.013 µgcm-2 in intact skin and 5.429±2.13 µgcm-2
using damaged skin.
Conclusion: Data from this study show that nickel nanoparticles can
permeate the skin in higher amount using damaged skin. Into the skin Ni
content is higher in epidermis than in dermis.
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153
These findings are consistent with those of other studies on silver
nanoparticles. Our data demonstrated for the first time that nickel
nanoparticles can permeate the skin. More research is needed to explore
the absorption of metal nanoparticles through the human skin.
Key words: nanoparticles, metal, nickel, Franz cells
Tali dati suggeriscono la necessità di proteggere la cute per evitare
la penetrazione di nanoparticelle metalliche che hanno maggiore capacità
di permeazione rispetto ai metalli in dimensioni tradizionali. Un aspetto
che risulta di particolare importanza quando vi è esposizione a metalli allergenici.
INTRODUZIONE
La possibilità di passaggio percutaneo delle nanoparticelle è un argomento molto dibattuto nella letteratura attuale e i dati riportati sono discordanti. È noto che alcune nanoparticelle possono penetrare attraverso
la cute nelle aree di flessioni e di compressione e vi sono dati sulle nanoparticelle d’argento che sono in grado di penetrare la cute inegra e lesa
in sistemi in vitro. Anche piccole nanoparticelle d’oro possono essere assorbite alltraverso la cute con un trend inversamente proporzionale alle
dimensioni (1). Studi su biossido di Titanio e Ossido di Zinco hanno dimostrato, invece, che questi prodotti si localizzano a livello dello strato
corneo e non possono essere assorbiti a livello sistemi (2, 3). Nanoparticelle di ferro si localizzano solo in superfice e non penetrano in profondità (4).
È necessario studiare meglio il rischio di assorbimento cutaneo delle
nanoparticelle in quanto molti prodotti già in commercio le contengono
e l’imbrattamento e la contaminazione negli ambienti di lavoro è spesso
trascurata dai lavoratori stessi. La diffusione di nanoparticelle metalliche
potrebbe determinare un assorbimento di apteni con aumentato rischio
allergologico nei lavoratori professionalmente esposti.
Scopo del nostro studio è stato quello di studiare l’assorbimento di
nanoparticelle di nichel in vitro.
BIBLIOGRAFIA
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skin and rat intestine: Effect of particle size. Colloids Surf. B Biointerfaces. 2008; 65, 1-10.
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assessment. Toxicology 2009; 255: 33-37
7) Larese Filon F., D’Agostin F., Crosera M., Adami G., Bovenzi M.,
Maina G. In vitro absorption of metal powders through intact and
damaged human skin. Toxicology in vitro 2009; 29: 574-579
MATERIALI/METODI
È stato valutato il passaggio percutaneo in vitro di nanoparticelle di
Nichel (diametro medio 25 nm) utilizzando la metodica delle Franz cell.
Le nanoparticelle disperse in sudore sintetico sono state applicate su cute
intatta (n. 7) o abrasa (n. 7) secondo il metodo proposto da Bronaugh. La
soluzione ricevente è stata raccolta ad intervalli successivi fino alle 24
ore ed il contenuto in metalli è stato valutato con spettrometria in assorbimento atomico elettro-termica con correzione del fondo Zeeman. Le
soluzione donatrici e i lembi di cute mineralizzati sono stati analizzati
con spettroscopia di emissione al plasma induttivamente accoppiato
(ICP-AES). I dati sono stati informatizzati su foglio elettronico Excell e
l’analisi statistica è stata effettuata utilizzando il programma SPSS per
Windows. La significatività statistica è stata posta per p<0.05.
RISULTATI
Gli esperimenti in vitro hanno dimostrato che le nanoparticelle di nichel sono in grado di permeare la cute sia sottoforma di ioni Ni che come
nanoparticelle identificabili con il miscroscopio elettronico (TEM) in
tutti gli strati cutanei. La quantità di nichel nella fase ricevente dopo 24
ore è risultata pari a 0.024±0.013 µg/cm2 e di 5.42±2.13 µg/cm2 (p<0.02)
negli esperimenti con cute integra e lesa rispettivamente, mentre la concentrazione di Ni rimasto nella pelle è risultata pari a 577±266 µg/g nella
cute integra e 1143±753 µg/g nella cute lesa (p<0.02). La percentuale di
Ni in forma ionica nelle soluzioni donatrici dopo 24 ore è del 19.6±3.8%.
DISCUSSIONE
I risultati dimostrano che le nanoparticelle di Ni sono in grado di
permeare la cute in un sistema in vitro, in particolare quando vengono a
contatto con cute abrasa. I dati ottenuti sono in accordo con un nostro
studio sull’assorbimento cutaneo di NP di argento (6), inoltre, confrontando i dati con quelli relativi a test di permeazione cutanea di micropolveri (2.5 µm) di Ni (7), si osserva come il Ni-NP, pur con esposizioni inferiori di circa 50 volte come massa applicata, porti a valori di permeazione dello stesso ordine di grandezza.
La ricerca dei metalli all’interno degli strati cutanei ha evidenziato
una concentrazione decrescente degli stessi andando dallo strato corneo
al derma e la ricerca delle nanoparticelle metalliche effettuate con il
TEM ha evidenziato la presenza di nanoparticelle nel derma e nell’epidermide.
I risultati di questo studio associati ai dati di letteratura confermano
la capacità di passaggio percutaneo delle nanoparticelle metalliche come
quelle di nichel, argento e oro. Per le prime due l’assorbimento avviene
sia sotto forma ionica che come nanoparticelle. Per le nanoparticelle
d’oro l’assorbimento avviene solo nella forma di nanoparticella.
16
PREVALENZA ED INCIDENZA DI MALATTIE NELLE DONNE
CHE LAVORANO: QUALI E PERCHÉ
U. Carbone, E. Farinaro
Dipartimento di Scienze Mediche Preventive dell’Università di Napoli
Federico II, Sezione di Medicina del Lavoro, Via Sergio Pansini 5 80131 Napoli
Corrispondenza: Prof. Umberto Carbone, Dipartimento di Scienze
Mediche Preventive dell’Università di Napoli Federico II - Sezione di
Medicina del Lavoro, Via Sergio Pansini 5 - 80131 Napoli, Tel/Fax 0817462049 - Cell. 347-7900231, E.mail [email protected]
Parole chiave: Incidenza patologie, Determinanti di salute, Differenze di genere
WHAT ARE THE CAUSES AND THE REASON WHY OF
DISEASES PREVALENCE AND INCIDENCE IN OCCUPATIONAL
SAMPLE OF WOMEN
ABSTRACT. Aim of this study has been the evaluation of health
status change among women and men engaged in different occupational
activities.
Methods. In a sample of 1,145 women and 3,110, collected in a time
span of 10 years, were calculated prevalence and incidence of diseases
related to occupational and non occupational variables: physical work
load and job timing, civil status and family engagement. Differences
between sexes were calculated by X-square and mean difference test.
Results. In women subset, cardiovascular and vertebral
degenerative disease, skin, wrist and elbow (carpal canal and
epicondylitis) pathologies were much more represented than in men’s
ones. Psychiatric and psychosomatic symptoms and diseases were much
more represented in the women sample and furthermore at younger age.
In women, heavier work load has been the most responsible factor
of degenerative diseases, while shift work of psychiatric and
psychosomatic diseases.
154
In the same gender, the stable living together and family charge
increased the incidence of chronic degenerative diseases, suggesting an
empowering effect coming from the occupation. In conclusion, from data
analysis it is possible to speculate that working women’s health profile is
sensible to various determinants with synergic effect; consequently the
clinical emergence of diseases is shown up earlier.
Key words: Diseases incidence, Health determinants, Gender
differences
INTRODUZIONE
La salute delle donne è ancora spesso riferita alla specificità genitale
e alla regolazione ormonale, la prima come sede delle patologie di maggiore rilevanza medica e sociale (1, 2), la seconda come causa presumibile di gran parte delle malattie femminili (3-7). Il riferimento scaturisce
da un’impostazione della ricerca medica, che individua nei determinanti
biologici le cause uniche o, per lo meno, principali, della malattia, finendo con il lasciare nell’incertezza attributiva molte situazioni, nelle
quali un ruolo causale o fortemente interferente compete a determinanti
non esclusivamente biologici.
Per molti aspetti, la stessa Medicina del Lavoro resta allineata ai paradigmi della Scienza Medica dominante, giacché essa è più orientata a
trovare le connessioni tra cause e patologie all’interno dei luoghi e delle
situazioni di lavoro, tutt’al più riferendo a suscettibilità biologiche l’interpretazione di fenomeni devianti, anche quando connessi con non congruità organizzative. La limitazione dell’approccio è più evidente nell’analisi del rapporto tra salute e lavoro delle donne, sia perché la specificità della donna è stata prevalentemente connessa con la funzione riproduttiva, sia per il poco sufficiente adeguamento dei modelli valutativi a
realtà non solo biologicamente differenti.
Le differenze biologiche di genere sono fattori causali, per alcuni
aspetti preponderanti, delle risposte differenziate di donne e uomini agli
stimoli avversi del lavoro. È, però, anche probabile che la diversa morbilità delle donne che lavorano sia conseguente all’adozione nel lavoro di
criteri di congruità costruiti su modelli maschili, che finiscono con il determinare situazioni poco o affatto non protettive dell’organismo biologico femminile. Da entrambe le condizioni derivano gli obblighi scientifici ed etici di valutare il rischio lavorativo secondo un’esaustiva ottica di
genere (8), ben oltre una generica differenziane degli indici di morbilità,
che è un possibile mezzo per comprendere i problemi delle donne a lavoro, ma non deve costituire il solo momento d’approccio differenziato.
Il sospetto che varabili extralavorative e, ad ogni modo, connesse con
l’aspetto sociale del lavoro agiscano sulla morbilità lavoro correlata, ha indotto ad ampliare la ricerca su questi possibili fattori deterministi. Numerose ricerche hanno misurato maggiorazioni della morbilità in funzione dei
valori economici e di posizione sociale del lavoro, dimostrando la sinergia
d’azione tra essi e i rischi propri delle attività (9, 10, 11). Nelle donne, ai
determinanti contestuali economici e sociali, comuni anche agli uomini,
sono associati quelli di genere, derivanti dai diversi ruoli nella gestione
della casa e della famiglia, dalle diverse opportunità di partecipazione e di
gratificazione, dalle interazioni tra i corredi emozionali dei vissuti privati e
le esigenze di adeguamento alla dimensione lavorativa. Diversi studi sono
stati concordi nel riconoscere una maggiore percezione soggettiva di cattiva salute e di stress lavoro correlato nelle donne rispetto agli uomini (12,
13), individuando nel doppio lavoro, esterno e domestico, nel carico familiare e nelle disparità dei ruoli in famiglia le cause delle differenze (14, 15,
16, 17). Anche l’effetto penalizzante sulla salute della precarietà economica è apparso più efficiente nella donna, nella quale esso è in grado di innalzare il disagio lavorativo e la percezione di non salute (18, 19). Il non
positivo effetto sulla salute delle donne del lavoro domestico, anche nei
termini della bassa considerazione di sé, è riconosciuto da molti ricercatori.
Mentre il lavoro esterno, soprattutto se di responsabilità e di prestigio sociale, può costituire un fattore di promozione della buona percezione della
propria salute, è, di contro, dimostrato che le donne esclusivamente casalinghe, con alto carico domestico e bassa gratificazione familiare, hanno
percezioni di malessere e sintomatologie dolorose molto più che le occupate (20, 21). Il lavoro esterno può, tuttavia, generare tensioni emotive e
difficoltà di relazione affettiva più nelle donne che negli uomini, soprattutto in quelle impegnate in attività dirigenziali e di responsabilità, finendo
con il compromettere le ambizioni di carriera (22).
Sintetizzando le diverse esperienze, sembra non confutabile l’affermazione secondo la quale la donna che lavora ammala più degli equivalenti maschili per una serie di fattori concorrenti.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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In questo senso, i dati che saranno discussi di seguito, potrebbero costituire un semplice contributo ad acquisizioni già note. L’elemento innovativo deriva dal fatto che si tratta di dati oggettivi, desunti dall’elaborazione dei profili di salute di lavoratori osservati per un periodo di 10
anni presso la Medicina del Lavoro dell’Ateneo Federico II di Napoli,
configurandosi, pertanto, come epicrisi di un follow-up.
CAMPIONE
Il campione è stato costituito da 1.135 donne e 3.110 uomini, appartenenti al settore terziario (572 donne e 1.030 uomini), a quelli industriale operaio (245 e 1.360), dei servizi di pulizia non domestica (170 e
176) e alla Polizia locale di Napoli (148 donne e 544 uomini), addetta
alla regolazione del traffico. Al tempo zero, le donne hanno avuto età
media di 33.1 anni, d.s. 5.5, gli uomini di 35.9 anni, ds. 6.5, con significativa differenza statistica (P<0.01). La stessa differenza (P<0.01) è stata
presente tra donne e uomini nei diversi settori, con la sola eccezione di
quello delle pulizie civili.
METODI
Il primo step della procedura è stato costituito dal calcolo delle prevalenze puntuali e dell’incidenza a 10 anni delle patologie con carattere
cronico degenerativo degli apparati cardiocircolatorio, respiratorio e
osteomuscolare e dei disturbi psichici e psicosomatici, come probabile
effetto dell’usura fisica e relazionale lavoro correlata. Sono state, altresì,
calcolate le incidenze delle patologie della cute e dell’arto superiore
(tunnel carpale, tendiniti, epicondiliti), più direttamente connettibili con
rischi specifici nelle attività. Tutti i dati sono stati stratificati in funzione
del genere, dei settori d’attività e delle due variabili carico fisico e temporale del lavoro.
Nelle donne è stata valutata l’azione dei principali determinanti oggettivi di contesto, stabilità della vita in coppia, carico familiare, espletamento dell’attività domestica e ausilio per essa ricevuto. È stato, altresì,
considerato il determinante socioeconomico, dedotto dall’integrazione
dei giudizi emessi dalle lavoratrici, previa raccolta del consenso informato all’iniziativa e dell’assenso al trattamento anonimo di dati sensibili,
su alcuni indicatori di benessere (occupazione e reddito del partner, disponibilità di beni di consumo, vacanze e attività ricreative, autonomia
economica).
Le differenze in funzione di tutte le variabili considerate, corrette per
i fattori eventualmente confondenti, sono state valutate mediante i test di
confronto tra medie e del Chi-quadro.
RISULTATI
Le incidenze a 10 anni delle patologie con le maggiori differenze
tra i generi sono riportati nella tabella I, distinti per settore d’attività.
Le interazioni tra le incidenze delle patologie, il carico fisico e l’organizzazione oraria del lavoro sono riportate nella tabella II. Il carico fisico è stato valutato in maniera non diretta, mediante l’assemblaggio
delle informazioni sul ciclo lavorativo, sulla presenza e sul tipo di obbligo posturale, sulla movimentazione di gravi e sui ritmi lavorativi.
Le attività di Polizia urbana e una parte di quelle operaie nell’industria
sono state allocabili nella fascia del lavoro medio, alcune operaie e le
pulizie civili in quella del lavoro pesante, altre operaie nel lavoro
molto pesante di alcune, espletato solo da lavoratori maschi. Per la variabile tempo, è stata considerata l’organizzazione in turni, unici o avvicendati.
Le interazioni tra l’evoluzione della salute delle donne e i determinanti del contesto familiare e sociale sono sintetizzate nella tabella III.
Tabella I. Incidenze di patologie a 10 anni,
distinte per sesso e per settore
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Tabella II. Incidenze di patologie a 10 anni, in funzione
dell’organizzazione oraria e del carico di lavoro
Tabella III. Incidenza di patologie nelle donne, in funzione
di determinanti economici e di genere
CONSIDERAZIONI SUI RISULTATI
Scorrendo i dati si evidenzia la diversità nell’incidenza delle patologie tra i generi, con una complessiva maggiore morbilità delle donne
rispetto agli uomini. Valutando la morbilità come presenza di almeno una
patologia cronica, differenze molto significative state misurate tra donne
e uomini, sia globalmente (P<0.01), sia nella stratificazione per settori
(P<0.01, P<0.05), con la sola eccezione di quello terziario.
Considerando i singoli apparati, l’incidenza delle patologie degenerative cardiovascolari e osteoarticolari vertebrali è stata maggiore nelle
donne che negli uomini, nonostante la loro maggiore età media, sia nel
campione totale (P<0.01), sia nella distinzione per settori, con significatività diverse tra i essi (P<0.01 in quello industriale, P<0.05 nei servizi e
nella Polizia urbana, P non significativa nel terziario). In questa prima
fase d’analisi dei risultati, il dato di maggiore interesse è stato costituito
dalla maggiore morbilità cardiovascolare delle donne, in gran parte determinata dall’ipertensione arteriosa, patologia notoriamente più prevalente nel sesso femminile, ma anche condizionata dalle patologie del
ritmo cardiaco e dalla cardiopatia ischemica, l’incidenza della quale è
stata sovrapponibile a quelle degli uomini nel settore dei servizi e addirittura superiore in quello della Polizia urbana.
Le patologie respiratorie hanno confermato di interessare più gli uomini, in rapporto sia con gli effetti di esposizioni lavorative, evidenziati
dall’incidenza nettamente più alta negli operai dell’industria, sia con l’abitudine al fumo, presente in oltre un terzo degli uomini contro poco più
della metà delle donne, con il picco massimo nei maschi del settore dei
servizi (78.8%).
I disturbi psichici e la cefalea ricorrente, non motivata da cause organiche come l’ipertensione e l’artrosi cervicale, hanno avuto nelle
donne incidenze da 1.5 a 5 volte superiori agli uomini nei diversi settori,
con prevalenze puntuali al tempo zero molto più alte, dato che evidenzia
la precocità dell’insorgenza di essi nella popolazione femminile. Le
cause probabili dell’alta incidenza e della precocità dei disturbi psichici
e psicosomatici sono connettibili con le condizioni di vita legate al genere. Nelle donne coniugate, soprattutto in quelle con figli, le incidenze
della cefalea ricorrente, probabile somatizzazione di disagio, sono state
più alte che nelle donne senza una stabile vita di coppia. Meno uniforme
è stato il comportamento dei disturbi psichici, più presenti solo nelle
donne con figli. Il peso del lavoro domestico è stato molto evidente. Le
donne che non usufruiscono di significativi e stabili ausili in casa hanno
avuto incidenze più alte delle patologie degenerative cardiovascolari,
vertebrali, dell’arto superiore e della cute e di quelle psichiche o riferibili
a somatizzazioni rispetto a quelle che hanno dichiarato di godere di collaborazioni frequenti o stabili (P<0.01). I disturbi psichici e la cefalea ricorrente da probabile somatizzazione sono state nettamente prevalenti
nelle donne che hanno giudicato precario il proprio stato economico, con
alta significatività in entrambi i momenti dell’osservazione (P<0.01).
Un’osservazione conclusiva riguarda gli effetti della condizione lavorativa. L’alternanza in turno e il carico fisico del lavoro sono stati più
influenti sulla morbilità delle donne. La differenza tra donne e uomini
adibiti a lavori pesanti, attestata a circa 12 punti percentuali, si è innal-
155
zata a oltre 25 punti quando sono state considerate le donne che non usufruiscono di ausili nel lavoro domestico, dimostrazione evidente del potere usurante del doppio lavoro e della sinergia nella determinazione
degli indici di morbilità femminile.
CONCLUSIONI
La differente morbilità di donne e uomini, oltre alla registrazione di
un dato di fatto, deve costituire uno sprone all’elaborazione di meglio
adeguate strategie valutative. È probabile, infatti, che la diversa suscettibilità sia conseguenza di un’impostazione delle organizzazioni lavorative
ancora costruite su modelli prevalentemente maschili, nei quali le differenze biologiche di genere finiscono con il penalizzare maggiormente la
fascia di popolazione in esse “intrusa”. Né va tralasciato di considerare il
peso molto diverso che le variabili extralavorative esercitano sulle
donne, in primo luogo il lavoro domestico. Non può altrimenti essere
compreso il dato emerso dell’incidenza superiore nelle donne che negli
uomini di patologie degenerative in genere, e in particolare di patologie
della cute e dell’arto superiore, anche nei settori e nelle attività, nelle
quali non è ipotizzabile l’esposizione a rischi deterministi, che sono invece molto riconoscibili nelle attività domestiche.
In conclusione, l’esperienza attuale, che s’inserisce in un progetto
più ampio di ricerca sulla condizione della donna a lavoro, conferma
negli autori la convinzione della necessità di modificare le strategie d’approccio, sia attraverso l’elaborazione di modelli analitici che tendano a
comprendere tutte le cause della diversità tra i generi, sia attraverso la
messa in atto di interventi correttivi negli ambienti e nelle organizzazioni
di lavoro, che meglio consentano di tutelare la salute della donna.
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17
DUE NUOVI POLIMORFISMI NEL PROMOTORE DEL GENE
CODIFICANTE PER MESOTELINA SONO ASSOCIATI CON
I LIVELLI DI SMRP (SERUM MESOTHELIN-RELATED PROTEIN)
A. Bonotti, S. Simonini, R. Bruno, A. Ferraro, A. Vivaldi, R. Foddis,
S. Landi, F. Gemignani, A. Cristaudo
U.O. Medicina Preventiva del Lavoro, Azienda Ospedaliero - Universitaria Pisana
Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, Ortopedia e Traumatologia, Medicina del lavoro, Università di Pisa
Dipartimento di Biologia, Università di Pisa
Corrispondenza: Alessandra Bonotti, U.O. Medicina Preventiva del
Lavoro, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Via S. Maria 110,
Pisa. Telefono: 050/993894. e-mail: [email protected]
Parole chiave: mesotelina sierica, polimorfismi, markers
TWO NEW POLYMORPHISMS IN THE PROMOTER OF THE
MESOTHELIN GENE ARE ASSOCIATED WITH SERUM
MESOTHELIN RELATED PROTEIN (SMRP) LEVELS
ABSTRACT. Objectives: Increased concentrations of a soluble
splice variant of the 40-kDa carboxyl-terminal fragment called “soluble
mesothelin-related protein” (SMRP) were found in sera of patients with
ovarian carcinoma and malignant pleural mesothelioma (MPM).
However, the real usefulness of using SMRP in screening has not yet been
demonstrated; in fact, a relatively high rate of false negatives as well as
false positives have hampered its clinical use. In particular, the reason
why some healthy subjects show increased SMRP levels is still unknown.
We hypothesized that individual basal SMRP levels could be, at least in
part, affected by cis-acting polymorphic regulatory elements. Thus, the
aim of this study was to investigate the association of single nucleotide
polymorphisms (SNPs) within the promoter-5’UTR regions with the
SMRP levels, in healthy asbestos-exposed people and MPM patients.
Methods: The promoter-5’UTR regions of the mesothelin gene were
genotyped in 59 healthy asbestos-exposed subjects and 27 MPM
patients. SMRP levels were measured using a commercially available
ELISA kit.
Results: We identified two novel polymorphisms: an A>C variant
(called New1) at -2642bp and a C>T variant (called New2) at -2641bp
from the translation start site. In healthy subjects, high SMRP levels were
associated with the status of C-allele carrier of the polymorphism New1,
with an average level increased by 1.62-fold as compared to the AA
homozygotes (P < 0.0001). Most of the carriers of the C-allele showed a
SMRP level over the threshold of 1.00nM. We set two different SMRP
cutoffs, on the basis of the combined New1+New2 genotypes, following
a calculation of ROC curves in the two groups.
Conclusions: New1-New2 genotypes could be employed as markers
for setting individualized and appropriate thresholds of “normality”,
when SMRP is used in surveillance programs of asbestos-exposed people.
INTRODUZIONE
La mesotelina è una glicoproteina di membrana del peso di 40 KDa,
legata alla superficie cellulare da un fosfatidil-inositolo; questo antigene
di differenziazione è presente sulle normali cellule mesoteliali ed overespresso in alcuni tumori umani come il mesotelioma pleurico maligno
(MPM)1. Il gene della mesotelina (MSLN) mappa sul cromosoma
16p13,3, è costituito da 17 esoni, il suo cDNA è lungo 2130 bp e contiene
un open reading frame di 1884 bp2. Aumentate concentrazioni di una proteina solubile di 40KD chiamata mesotelina o SMRP sono state ritrovate
nel siero di pazienti affetti da mesotelioma pleurico maligno (MPM)3. La
reale utilità di SMRP come marcatore tumorale nella diagnosi di MPM
non è ancora stata dimostrata. Infatti, l’alto numero di falsi negativi e falsi
positivi ne sconsiglia l’uso nella clinica di routine. In particolare, non è
ancora chiaro perché alcuni soggetti sani mostrino alti livelli di SMRP.
Nella nostra ipotesi, i livelli basali di SMRP potrebbero essere influenzati,
almeno in parte, da polimorfismi presenti in regioni regolatrici del gene
codificante per la proteina mesotelina. In uno studio recente del nostro
gruppo4, analizzando la regione 3’UTR del gene codificante per mesotelina, è stato dimostrato che lo SNP rs1057147 (G>A) è associato ad alti livelli di SMRP in soggetti sani ex-esposti ad asbesto. Altre regioni coinvolte nella regolazione genica sono il 5’UTR ed il promotore. Quindi,
scopo del nostro studio è stato quello di investigare l’associazione fra polimorfismi a singolo nucleotide (SNPs) presenti nelle regioni del 5’UTR
e del promotore del gene con i livelli sierici di SMRP, sia in soggetti sani
ex-esposti ad asbesto sia in pazienti affetti da MPM.
METODI
Le regioni del promotore e del 5’UTR del gene codificante per mesotelina sono state sequenziate e genotipizzate in 59 soggetti sani exesposti ad asbesto ed in 27 pazienti affetti da MPM. I livelli di SMRP
sono stati dosati con un kit Elisa disponibile in commercio (Mesomark),
prodotto da Cisbio International (Gif/Yvette, France).
Il Dna genomico è stato estratto da sangue intero e, mediante PCR
(polymerase chian reaction), è stata amplificata la regione di nostro interesse, che comprendeva il 5’UTR e la regione promotore del gene ottenendo quattro ampliconi, successivamente analizzati usando il sequenziatore automatico.
Per quanto riguarda l’elaborazione statistica, è stato utilizzato il programma SPSS 13.00 (Statisical Package for Social Sciences)5.
RISULTATI
Abbiamo identificato due nuovi SNPs: una variante A>C (chiamata
New1) e una variante C>T (chiamata New2), a -2642 paia-basi ed a -2641
paia-basi dal sito di inizio della traduzione, rispettivamente. Nei soggetti
sani ex-esposti ad asbesto, i portatori della variante polimorfica New1 (AC
e CC) mostravano più alti livelli di SMRP rispetto ai soggetti wild-type
(AA), con un livello medio di SMRP aumentato di 1.62 volte (p<0.0001).
La maggior parte dei portatori dell’allele polimorfico C New1 (80.96%),
inoltre, presentava livelli di SMRP maggiori del cut-off di 1nM, definito da
un nostro precedente lavoro6 come il miglior cut-off nella discriminazione
fra soggetti sani e affetti da MPM. La variante allelica chiamata New 2 era
più debolmente associata con livelli aumentati di SMRP (p=0.085), anche
se, suddividendo i soggetti sani in portatori dello variante polimorfica
New1 e/o New2 versus non portatori, i primi avevano in media livelli più
elevati di SMRP (1.17 ± 0,375 versus 0.635± 0,376, p<0.0001). Quindi,
sulla base del genotipo individuale, abbiamo stabilito due diversi cut-offs,
mediante l’utilizzo delle curve ROC: 1nM per i non portatori e 1.76nM per
i portatori di almeno una delle due varianti polimorfiche.
DISCUSSIONE
L’over-espressione della mesotelina potrebbe essere controllata, almeno
in parte, a livello trascrizionale, da elementi presenti nel promotore del gene.
Il promotore della mesotelina è stato caratterizzato da Urwin et al2, che
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157
hanno clonato una regione di 1850bp all’estremità 5’ del gene, compresa fra
-3366 e -1516 dal codone di inizio della trascrizione. Nel presente studio, abbiamo indagato, attraverso una grande lavoro di sequenziamento, dove i vari
SNP dentro questa regione fossero associati con i livelli di SMRP.
Abbiamo trovato due nuovi polimorfismi, New1 e New2, distanti
una base l’uno dall’altro, la cui variante polimorfica è risultata associata
con elevati livelli di SMRP.
I nostri dati suggeriscono che l’attività trascrizionale del gene codificante per mesotelina può variare in soggetti diversi, in accordo con
il loro background genetico, e quindi i livelli di SMRP potrebbero essere, almeno in parte, ascrivibili alla presenza delle varianti polimorfiche New1 e New2. Seguendo questa considerazione, la genotipizzazione per New1 e New2 potrebbe essere utilizzata per stabilire nuovi
valori di normalità individuali, quando l’SMRP è usato nei programmi
di sorveglianza sanitaria in soggetti ex-esposti ad asbesto. Nella popolazione studiata, i valori soglia calcolati considerando il genotipo sono
risultati pari a 1.76nM per i portatori di almeno una variante polimorfica (new1 e/o New2) ed 1nM per i soggetti omozigoti wild-type per
entrambi gli SNPs. Utilizzando tali cut-off, si ottengono una sensibilità
del 55.6% ed una specificità del 91.2% nel discriminare fra soggetti
sani e affetti da MPM, rispetto ad una sensibilità del 70.4% ed una specificità del 64.4% non considerando il genotipo, come riportato in un
nostro precedente lavoro6. Questi dati sono molto importanti poiché la
specificità è un parametro fondamentale nella valutazione di un marcatore usato nei programmi di sorveglianza sanitaria di soggetti che sono
stati esposti a cancerogeni occupazionali. Un cut-off altamente specifico riduce i falsi positivi e, di conseguenza, diminuisce notevolmente
il numero di esami radiologici richiesti. In accordo con i nostri risultati,
i protocolli di sorveglianza potrebbero essere modificati sulla base dei
genotipi individuali: per i soggetti con livelli di SMRP compresi fra 1
e 1.76nM, senza varianti polimorfiche, dovrebbero essere effettuati più
frequentemente test radiologici, rispetto ai soggetti con almeno una
delle due varianti polimorfiche.
Per confermare l’utilità dei nostri dati, tale studio dovrà essere ripetuto su una popolazione più ampia di soggetti sani ex-esposti ad asbesto.
Corrispondenza: Dr. Pascale Basilicata - Dipartimento di Medicina
Pubblica e della Sicurezza Sociale, Università degli Studi di Napoli
“Federico II”, Via S. Pansini 5. 80131, Napoli, e-mail: [email protected];
tel: 081 7463474; fax: 081 5469185.
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INTRODUZIONE
Doxorubicina ed epirubicina sono tra le antracicline più comunemente
utilizzate per il trattamento della leucemia acuta, del morbo di Hodgkin e
dei linfomi non Hodgkin. Le tossicità dei due farmaci sono analoghe, includono mielodepressione e cardiotossicità dose-correlata (1); inoltre, la
IARC classifica la doxorubicina nel gruppo 2A, quale probabile cancerogeno per l’uomo (2). Il meccanismo d’azione delle antracicline non è specifico nei confronti delle cellule tumorali, pertanto, è possibile che inducano la formazione di neoplasie secondarie in pazienti sotto trattamento e
di neoplasie primarie in soggetti sani. Quest’ultimo è un rischio professionale che va tutelato, adottando specifiche misure di prevenzione. Considerando che una delle principali vie di penetrazione nell’organismo delle due
antracicline è quella cutanea e, che, la manipolazione dei preparati liofili
sterili rappresenta una fase lavorativa particolarmente critica, diventa cruciale la scelta dei guanti di protezione da adottare. Per gli operatori sanitari, il rischio di esposizione è evidente, tuttavia, non è da sottovalutare il
rischio di esposizione di figure professionali che hanno la necessità di manipolare soluzioni di farmaci antiblastici a pH diverso rispetto all’ambito
sanitario (soluzioni a pH 7). Di fatto, non esistono guanti capaci di garantire un’impermeabilità assoluta e costante nel tempo a tutti i farmaci antiblastici. Il documento di Linee Guida redatto dall’I.S.P.E.S.L. nel 1999 (3)
consiglia l’utilizzo di doppi guanti in lattice o di guanti in pvc e di sostituirli al massimo dopo 30 minuti, con un adeguato lavaggio delle mani. In
letteratura sono presenti pochi studi relativi alla valutazione della permeabilità dei guanti nei confronti dei farmaci antiblastici.
In tale contesto, lo studio ha previsto la valutazione del grado di permeabilità di guanti in diverso materiale e/o spessore, nei confronti di
doxorubicina ed epirubicina, variando il tempo di contatto ed il pH della
soluzione di farmaco.
18
VALUTAZIONE DEL GRADO DI PERMEABILITÀ DI DIVERSI TIPI
DI GUANTI NEI CONFRONTI DI DOXORUBICINA ED EPIRUBICINA
M. Pieri1,2, L. Castiglia1, P. Pedata1, D. Feola1, P. Basilicata2,
A. Silvestre2, A. Acampora2, N. Miraglia1
1
Sezione di Medicina del Lavoro, Igiene e Tossicologia Industriale,
Dipartimento di Medicina Sperimentale, Seconda Università degli Studi
di Napoli, Via L. De Crecchio, 7. 80138, Napoli
2 Dipartimento di Medicina Pubblica e della Sicurezza Sociale, Università
degli Studi di Napoli “Federico II”, Via S. Pansini 5. 80131, Napoli
Parole chiave: Dispositivi di Protezione Individuale; antracicline;
permeabilità dei guanti
EVALUATION OF THE DEGREE OF PERMEABILITY OF
DIFFERENT GLOVES TOWARDS DOXORUBICIN AND
EPIRUBICIN
ABSTRACT. The degree of permeability of different gloves towards
doxorubicin and epirubicin was studied, by considering different
deposition times both at physiological and acid drug solution pH, in
order to evaluate the gloves protection efficacy when used by sanitary
staff and other workers, such as chemical laboratory technicians.
Four types of gloves were tested, differing in materials and/or
thickness: natural rubber gloves (0.1mm) by two different producers, and
nitrile gloves (0.1 and 0.3mm).
Results of experiments at physiological pH evidenced the efficacy of
all gloves tested, infect the two analytes were not present on gloves’
internal surfaces up to 8hrs contact time.
Experiments performed at acid pH evidenced a different behaviour
of the two tested materials. While natural rubber gloves still ensured
complete impermeability, nitrile gloves’ performances were different
depending on their thickness.
0.3mm nitrile gloves ensured complete impermeability, while 0.1mm
ones showed a non-negligible permeability: after 8hrs, 0.56% of
doxorubicin and 2.4% epirubicin permeated the glove.
Obtained results have important consequences in planning a correct
risk management strategy in working contexts when anthracyclines acid
solution are handled, infect, in these cases, natural rubber or nitrile
gloves of high thickness must be adopted by workers.
Key words: Personal Protection Equipment, anthracyclines; gloves
permeability
MATERIALI E METODI
Sono stati testati quattro tipi di guanti in diverso materiale e/o spessore:
Chemoprotect in lattice naturale, spessore 0.1mm; guanti Cytostatic Protective Gloves Z+ in lattice naturale, spessore 0.1mm; guanti N-Dex Ultimate
in nitrile, spessore 0.1mm; guanti Sol-Vex in nitrile, spessore 0.3mm. Il
grado di permeabilità è stato determinato eseguendo un campionamento,
158
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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caso di realtà lavorative in cui le antracilcine debbano essere solubilizzate in soluzione acida, come ad esempio i laboratori di analisi chimica
e industrie di sintesi, appare opportuno suggerire l’uso di guanti in lattice
naturale oppure in nitrile dallo spessore di 0.3mm o superiore, al fine di
garantire un’adeguata protezione dei lavoratori. Inoltre, va sottolineato
come, nelle normali condizioni di utilizzo, calore ed umidità della mano,
movimenti dell’operatore, tempo intercorso tra produzione ed utilizzo
del guanto, nonché luogo e modalità di conservazione/stoccaggio prima
dell’utilizzo possano compromettere l’impermeabilità o l’integrità del
guanto stesso, pertanto, resta più che valida la raccomandazione di sostituire i guanti ogni 30 minuti durante l’attività lavorativa (3).
Figura 1. Permeabilità percentuale di guanti in nitrile di spessore
pari a 0.1 mm verso soluzioni 0.05 M HCOOH, 2 mg/ml di
doxorubicina (DOXO, pannello a) ed epirubicina (EPI, pannello b)
al variare del tempo di contatto
mediante wipe test, sulle superfici esterne ed interne dei guanti, ciascuno addizionato di 2mg di doxorubicina ed epirubicina. Il campionamento è stato
effettuato dopo aver atteso 0.5, 1 e 8hr (tempi di contatto), oltre al tempo
zero, usato quale riferimento. Gli esperimenti sono stati, inoltre, condotti a
pH sia fisiologico sia acido, applicando sui guanti soluzioni di doxorubicina
ed epirubicina preparate in 0.9% NaCl e 0.05M HCOOH, rispettivamente.
Il pH basico non è stato testato, poiché i farmaci si degradano già a pH di
poco superiore a 7. I campioni sono stati purificati per estrazione in fase solida ed analizzati mediante cromatografia liquida accoppiata a rivelatore
fluorimetrico (4), secondo una procedura precedentemente validata in accordo alle Linee Guida della Food and Drug Administration.
La permeabilità per ciascun tempo di contatto è stata calcolata come
rapporto percentuale tra la concentrazione di analita ritrovata sulla superficie
interna del guanto ed il valore medio risultante dalla somma delle quntità di
farmaco misurate sulle superfici interna ed esterne dello stesso guanto.
RISULTATI E DISCUSSIONE
I risultati degli esperimenti condotti a pH fisiologico hanno evidenziato l’efficacia protettiva di tutti i guanti testati: anche dopo 8h di contatto entrambe le antracicline risultavano assenti dalla superficie interna,
a conferma della totale impermeabilità dei guanti quando in soluzione a
pH 7 sono manipolate.
Al contrario, gli esperimenti di permeazione condotti a pH acido
hanno evidenziato una diversa risposta per i due tipi di materiale testati:
mentre i due guanti in lattice mostravano una completa impermeabilità
anche dopo 8h di contatto, i guanti in nitrile hanno evidenziato il ruolo
cruciale dello spessore sul grado di protezione offerto. I guanti di 0.3mm
di spessore hanno mostrato completa impermeabilità nei confronti delle
due antracicline, mentre con quelli da 0.1mm si evidenziava una permeabilità non trascurabile già dopo 30min di contatto, come riportato in
Figura 1. In particolare, per la doxorubicina (Figura 1, pannello a) una
quantità crescente di farmaco penetra il guanto al crescere del tempo di
contatto, fino ad una permeabilità dello 0.56% dopo 8h di deposizione.
Nel caso dell’epirubicina (Figura 1, pannello b), la quantità di farmaco
penetrata (circa 2%) è superiore rispetto alla doxorubicina e, nell’ambito
dell’errore sperimentale, resta sostanzialmente costante fino ad 1h, per
poi aumentare in corrispondenza delle 8h, raggiungendo il 2,4%.
CONCLUSIONI
I risultati ottenuti dal presente studio mostrano come il pH giochi un
ruolo cruciale nel determinare il grado di permeabilità dei guanti. Nel
BIBLIOGRAFIA
1) Zagotto G, Gatto B, Moro J, Sissi C, Palumbo M. Antracyclines: recent developments in their separation and quantitation. J Chromatogr B (2001) 764: 161-171.
2) IARC. Overall Evaluations of Carcinogenicity. In: Monographs on
the Evaluation of Carcinogenic Risk of Chemicals to Humans. Lion,
France; 1987. p. 440.
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G.U. n. 236, 07/10/1999.
4) Pieri M, Castiglia L, Basilicata P, Sannolo N, Acampora A, Miraglia
N. Biological Monitoring of nurses exposed to doxorubicin and epirubicin by a validated liquid chromatography/fluorence detection
method. Ann Occup Hyg (2010) 54: 368-376
19
IL GAS RADON COME FONTE DI ESPOSIZIONE OCCUPAZIONALE:
IL CASO DI UN GRUPPO BANCARIO DI RILEVANZA NAZIONALE
P. Urso1, M. Ronchin2, D. Russignaga3, A. Izzo3, M. Coggiola3,
M. Musti3, P. Carrer2
1 Department of Chemical and Environmental Science, University of
Insubria - via Valleggio 11, 22100 Como Italy
2 Department of Occupational and Environmental Health, University
Hospital “L. Sacco”, University of Milan - Via G. B. Grassi 74, 20157
Milano
3 Intesa Sanpaolo Group, Work Hygiene and Safety Unit - Via Bisceglie
120, 20157 Milano Italy
Corrispondenza: [email protected]
RADON AND OCCUPATIONAL EXPOSURE: THE SURVEY ON
THE NATIONAL TERRITORY FOR AN ITALIAN BANK GROUP
ABSTRACT. Radon is a natural radioactive gas seeping out of
rocks and soil. Because it is a human carcinogen, causing lung cancer,
Italian legislation (D.Lgs 241/2000) requires annual monitoring in
underground workplaces, imposing remedial measures at the action level
of 500 Bq/m3.
Bank workplaces are characterised by an elevated number of
underground floors, generally used as vaults, but also as archives and
technical rooms.
The present study involves annual measurements in the underground
premises of 239 branches of an important Italian bank group, posing 2453
nuclear tracks dosimeters. Moreover measurements at the ground floor of
17 branches in Rome and Milan were carried out in order to study
relationship between underground and ground floor concentrations.
The annual average concentration resulted to be about 97.0 Bq/m3,
and 1.7% measurements between 400 and 500 Bq/m3 and 1.8% above
the action level (500 Bq/m3). The vaults resulted mostly affected by radon
infiltration, followed by warehouse and archives. Concentrations
variability at the ground level resulted explained by underground levels
at 57.4%.
Results represent a valid tool in order to define a monitoring
strategy for bank workers exposure evaluation, especially for bank group
with high number of branches.
Key words: Radon, occupational exposure, bank buildings
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INTRODUZIONE
Il radon è un gas radioattivo di origine naturale e la sua presenza
nelle rocce è legata alla presenza primordiale del capostipite U-238. Raggiungendo i polmoni, il radon e la sua progenie producono particelle alfa,
che danneggiano il DNA delle cellule epiteliali, con conseguente incremento della probabilità di insorgenza di neoplasia polmonare.
Le recenti ricerche della comunità scientifica internazionale sottolineano la possibilità di processi patogenetici anche alle basse concentrazioni, ragione per cui il limite di concentrazione indoor consigliato per la
popolazione generale è stato ridotto a 100 Bq/m3 con limite massimo di
300 Bq/m3 come worst case scenario.
Dal punto di vista occupazionale la legislazione Italiana impone misure annuali obbligatorie nei locali sotterranei, con livello di azione e di
attenzione rispettivamente di 500 Bq/m3 e 400 Bq/m3 (D.Lgs. 241/00).
Il settore bancario è sensibile alla problematica dell’esposizione occupazionale a radon, a causa della presenza del caveau e di attività condotte in
ambienti sotterranei. Il presente studio è rivolto alla valutazione dell’esposizione a radon nell’ambito di un gruppo bancario di importanza nazionale.
159
Figura 1 Valori mediani delle concentrazioni di radon per le diverse
destinazioni d’uso dei locali sotterranei delle 239 filiali studiate
MATERIALI E METODI
Lo studio riguarda 239 filiali distribuite sul territorio nazionale per
un totale di 2’453 misure annuali ai piani sotterranei. Un ulteriore approfondimento ha previsto misure annuali ai piani terra in 17 filiali delle
due maggiori città italiane, Roma e Milano. I dosimetri utilizzati sono del
tipo a tracce nucleari Cr-39.
RISULTATI
I risultati del monitoraggio effettuato nei piani sotterranei delle 239 filiali in studio sono descritti nella tab. I e mostrano una concentrazione
media annuale complessiva di 97.0 Bq/m3, con superamenti del livello di
azione e di attenzione in una percentuale modesta di ambienti (1.8 e 1.7%).
Lo studio dell’andamento delle concentrazioni in funzione della destinazione d’uso mostra un maggiore accumulo nei caveau, quindi nei magazzini e negli archivi, mentre gli uffici risultano meno inquinati (fig. 1).
La concentrazione di radon dei piani terra è risultata inferiore a
quella dei relativi sotterranei, con valori mediamente più bassi del
49.7%. Inoltre, il modello di regressione lineare indica che le concentrazioni del gas al piano sotterraneo spiegano circa il 57.5% della variabilità al corrispondente piano superiore (fig. 2).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
I livelli regionali e il superamento dei livelli legislativi risultano fortemente influenzati dal territorio in cui le filiali sono ubicate, confermando così che l’aera geologica d’appartenenza sia fondamentale nell’identificazione delle filiali più a rischio.
La dipendenza dei livelli di radon dall’utilizzo dei locali si spiega
considerando la diversa ventilazione degli stessi, legata alla presenza del
personale e alle caratteristiche strutturali anti-rapina. Pertanto la ventilazione risulta prioritaria nell’individuazione dei locali nella pianificazione
delle misure nonché per gli eventuali bonifiche.
Lo studio sulle concentrazioni dei piani interrati rispetto ai piani
terra conferma che le misure sotterranee siano generalmente superiori e
che rappresentino un buon proxy dei valori al relativo piano superiore,
sebbene da soli non spieghino la variabilità complessiva.
Tabella I. Statistica descrittiva e percentuali di superamento
dei livelli legislativi per ogni regione italiana
Figura 2 Concentrazioni di radon ai piani terra in funzione delle
concentrazioni nei relativi sotterranei in 17 filiali di Roma e Milano
I risultati forniscono quindi una panoramica dei livelli di esposizione
sul territorio nazionale e della variabilità spaziale fra le diverse regioni;
inoltre suggeriscono opportuni criteri per la valutazione e gestione del rischio da radon nel settore bancario.
BIBLIOGRAFIA
1) Committee on Health Risks of Exposure to Radon Health Effects of
Exposure to Radon (BEIR VI) Washington, National Academy
Press, 1999
)2 World Health Organization WHO handbook on Indoor radon: a public health perspective. Geneve, Ed. Hajo Zeeb and Ferid Shannoun,
2009
3) Gerken M et al. Models for retrospective quantification of ihdoor
radon exposure in case-control studies. Health Phys. 2000; 78(3):
268-278
20
LA VALUTAZIONE DEI RISCHI PER LA SICUREZZA E LA SALUTE:
PROPOSTA DI UNO STRUMENTO PER TENER CONTO DELLA
PROVENIENZA DA ALTRI PAESI
D. Sottini1, L. Benedetti1, F. Comincini2, I. El Hamad3,
M. Provasi4, C. Scarcella5
1 ASL di Brescia, Servizio Prevenzione e Sicurezza nei Luoghi di Lavoro
- Corso Matteotti 21, 25122 Brescia
2 ASL di Brescia, Servizio Educazione alla Salute e Attività Sperimentali
- Viale Duca degli Abruzzi 15, 25124 Brescia
3 U.O. Medicina Transculturale e MST, ASL di Brescia - Viale Duca
degli Abruzzi 15, 25124 Brescia
4 Antropologa, Libera Professionista - Viale Duca degli Abruzzi 15,
25124 Brescia
5 Direttore Generale, ASL di Brescia - Viale Duca degli Abruzzi 15,
25124 Brescia
160
Corrispondenza: Domenica Sottini, Servizio Prevenzione e Sicurezza
nei Luoghi di Lavoro, ASL di Brescia, Corso Matteotti 21, 25122
Brescia, Tel. 0303838597, E-mail: [email protected]
Parole chiave: lavoratori immigrati; valutazione del rischio; approccio multidisciplinare
HEALTH AND SAFETY AT WORK: PROPOSAL OF A SPECIFIC
RISK ASSESSMENT TOOL FOR MIGRANT WORKERS
ABSTRACT. According to available studies, migrant workers
represent a vulnerable workers’ category, like women, youngest and
oldest workers. For this reason, the Italian law on safety and health at
work (D.Lgs 81/2008) requires employers to assess working risks taking
into account also the conditions of migrant workers. Currently there are
no practical risk assessment tools but only scarce scientific literature and
statistics regarding occupational injuries and diseases.
Local Public Health Department of Brescia established a
multidisciplinary working group with different kind of professionals:
occupational physicians, expert physicians on migration health, experts
in the area of health promotion and social anthropology.
Based on scientific literature and working group experience, main
variables linked to migrant workers’ vulnerability were identified,
considering both personal and social characteristics and professional
experience.
A method including a two-part questionnaire for migrant workers
was defined. The first part evaluated linguistic skills, the second one
specific fragilities of migrant conditions. Currently the first wave of the
survey is in progress in eight companies.
The proposed tool wants to be a contribution for the development of
a specific risk assessment method for migrant workers, supporting the
planning of necessary actions to improve health and safety at work.
Key words: migrant workers; risk assessment; multidisciplinary
approach
INTRODUZIONE
I dati ISTAT (1.1.2009) stimano 3,89 milioni gli stranieri residenti in
Italia; Brescia si colloca, tra le province lombarde, al primo posto per
densità migratoria (1). Il trend crescente di lavoratori immigrati giustifica
in parte il costante aumento degli infortuni e delle malattie professionali
occorsi a loro carico, almeno fino al 2008. Il calo degli infortuni registrato nel 2009 è in parte da attribuire alla crisi occupazionale che più duramente ha colpito gli immigrati, caratterizzati da maggiore precarietà lavorativa (2).
La principale causa determinante il diverso andamento infortunistico tra autoctoni e migranti, è l’impiego in settori a più elevata rischiosità (dirty, dangerous and demanding) (3, 4, 5). La “segregazione”
del mercato del lavoro è giustificata dalla carenza di manodopera, ma
anche da barriere linguistiche e legali e da forme di discriminazione più
sottili. La conoscenza della lingua del Paese ospite condiziona l’accesso
al mercato del lavoro e influisce in modo determinate sulla sicurezza e
salute sul lavoro.
Un fattore aggravante è rappresentato dalla situazione di vita dei lavoratori immigrati, spesso precaria e disagiata. È noto che gli immigrati
all’arrivo in Italia sono sostanzialmente in buona salute ma successivamente diventano più vulnerabili per il concentrarsi di numerosi fattori di
rischio per la salute, alcuni presenti, seppure silenti, nella fase precedente
la migrazione, altri acquisiti e correlati alla migrazione. In quest’ottica
deve essere considerata la prevalenza di patologie “da raffreddamento” e
cutanee (conseguenza di disagiate condizioni di vita e di lavoro), lesioni
traumatiche (infortuni sul lavoro, episodi di violenza), patologie da
“adattamento” condizionate dal processo migratorio come evento stressogeno (patologie neuropsichiatriche, malattie gastroenteriche correlate
a disagio psicologico).
Altro aspetto da considerare nell’ambito di un realtà lavorativa multietnica, è l’influenza della dimensione socio-culturale sulla percezione
del rischio lavorativo. Consideriamo l’habitus mentale (6) di un lavoratore immigrato, inserito in una “cultura della sopravvivenza” nel paese
ospitante, il cui basso stipendio è necessario per mantenere la famiglia:
la lombalgia e lo sfinimento fisico e mentale provocato da innumerevoli
ore di lavoro possono essere vissuti come regolari, giusti, quasi auspicabili. Quello che un gruppo sociale può ritenere pericoloso o non lecito,
per un altro gruppo potrà assumere valenze completamente differenti.
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La maggiore vulnerabilità di questa categoria di lavoratori è oggetto
di attenzione da parte del D.Lgs 81/08, che stabilisce l’obbligo per il datore di lavoro di garantire la salvaguardia dei propri lavoratori e valutare
i rischi a cui gli stessi sono esposti, con particolare riguardo alla condizione dei lavoratori immigrati. All’interno del mandato dell’art. 11 del
decreto si colloca il contributo degli Autori.
MATERIALI E METODI
Si è costituito un gruppo multidisciplinare composto da medici del
Servizio PSAL, medici esperti della salute dei migranti, esperti nell’area della promozione della salute e dell’area antropo-sociologica.
Sulla base della revisione della letteratura scientifica e dell’esperienza
maturata, sono state identificate le principali variabili che contribuiscono alla maggiore vulnerabilità dei lavoratori immigrati, prendendo
in considerazione sia l’ambito personale e sociale che lavorativo. Ad
ognuna delle variabili è stato attribuito un punteggio in base alla rilevanza emersa dalla letteratura o su base empirica, in relazione ad una
oggettiva valutazione di svantaggio. È stato così predisposto un modello pluridimensionale mirato a individuare e, per quanto possibile,
pesare le diverse fragilità attraverso un questionario suddiviso in due
parti. La prima, che valuta le competenze linguistiche, trae origine da
altra esperienza (7) con semplificazione del test proposto grazie alla
collaborazione di un insegnante esperto nell’insegnamento dell’italiano
ad adulti stranieri. La seconda, che prende in considerazione fattori
personali (tempo di permanenza in Italia, progetto migratorio, conoscenza dei servizi sociosanitari, condizioni abitative, …) e fattori lavorativi (esperienza professionale, atteggiamento nei confronti della sicurezza, integrazione, conoscenza dei diritti, …), è stata messa a punto
anche attraverso interviste condotte a lavoratori immigrati afferenti ai
servizi della ASL.
La formulazione delle domande è stata curata con espressioni e parole semplici, utilizzando ove possibile scale a “freccia” che consentono
di visualizzare le possibilità di risposta da un minimo di 0 (“per niente”)
a un massimo di 3 (“molto”). La prima parte del questionario può essere
somministrata da tutte le figure aziendali della prevenzione previo breve
addestramento. Per la somministrazione della seconda parte è invece richiesta la collaborazione del medico competente per la presenza di informazioni più personali. Il modello “a punteggio” permettere di ottenere un
profilo del gruppo di lavoratori stranieri presenti in azienda e identificare
quali interventi preventivi sia necessario adottare, monitorandone l’efficacia nel tempo. Il questionario è stato condiviso con le organizzazioni
sindacali CGIL, CISL e UIL e con l’Associazione Industriale Bresciana,
fino ad arrivare all’attuale versione.
RISULTATI
Attualmente è in corso una prima sperimentazione in 8 aziende,
dove i medici competenti somministreranno il questionario ad un campione di stranieri scelti casualmente e, in versione adattata, ad un gruppo
di controllo di italiani paragonabili per mansione. Per garantire omogeneità nelle modalità di somministrazione e attribuzione dei punteggi, è
stata predisposta una guida ad hoc e sono stati organizzati incontri preliminari. I primi risultati sono in fase di elaborazione e potranno verosimilmente essere divulgati in sede congressuale. Si può tuttavia anticipare
che l’interesse suscitato dall’iniziativa è stato elevato e i primi riscontri
sono stati positivi. Una fase successiva prevede di raccogliere, analizzare
e mettere a confronto le misure programmate e adottate nelle aziende
coinvolte.
DISCUSSIONE
L’esperienza riportata ha l’intento di contribuire all’individuazione
di strumenti che permettano di tener conto delle fragilità della condizione
di migrante all’interno del processo di valutazione dei rischi aziendale, al
fine di pianificare gli interventi necessari e migliorare nel tempo i livelli
di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. L’interesse suscitato dal progetto sia nelle organizzazioni datoriali e sindacali, con le quali è in corso
una proficua collaborazione, che nelle aziende del territorio, dimostra
l’attenzione al tema specifico, considerato rischio emergente che necessita di nuove forme di prevenzione (8).
BIBLIOGRAFIA
1) Besozzi E (a cura di). Immigrazioni e contesti locali. Annuario CIRMiB Brescia, V&P Ed. 2009;
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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2) Sartori M. Infortuni sul lavoro e malattie professionali nel 2009.
Comunicato INAIL del 20/07/2010, http://www.inail.it;
3) European Agency for Safety and Health at Work. Literature study on
migrant workers. 2007, http://osha.europa.eu;
4) European Foundation for the Improvement of Living and Working
Conditions. Employment and working conditions of migrant
workers. 2007, http://www.eurofound.europa.eu;
5) McKay S, Craw M, Chopra D. Migrant workers in England and Wales: an assessment of migrant worker health and safety risks.
Working Lives Research Institute, London Metropolitan University.
2006, http://www.hse.gov.uk;
6) Bourdieu P. Ragioni pratiche. Sulla teoria dell’azione. Bologna, Il
Mulino Ed. 1994;
7) Cipriani E. (Resp. Progetto). Sottoprogetto Promossi in Classe - Progetto Sicurezza e Integrazione sul lavoro degli immigrati. http://prevenzione.ulss20.verona.it;
8) International Labour Office. Emerging risks and new patterns of prevention in a changing world of work. 28 april 2010, World Day for
Safety and Health at Work. http://www.ilo.org
21
LA SICUREZZA E LA SALUTE INDIVIDUAZIONE DI PROTOCOLLI
SANITARI DI AREA INDUSTRIALE
C. Nicolì, V. Caiolo, L. Convertini
Asl Brindisi Piazza A. Di Summa, 1 - 72100 Brindisi (Br), Dipartimento
di Prevenzione, Direttore Dr. Vito Martucci, SPeSAL (Servizio di
Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro), [email protected]
161
trebbe rilevarsi utile ai fini dell’individuazione di protocolli sanitari minimi di area industriale con la possibilità di effettuare prevenzione e promozione della salute in ciascuna azienda in aggiunta agli accertamenti relativi ai rischi specifici.
MATERIALI E METODI
Attraverso un questionario strutturato si sono analizzate 12 aziende
più rappresentative dell’area industriale. Con la proficua collaborazione
delle Direzioni Aziendali ispezionate, degli RSPP- ASPP e dei Medici
Competenti si sono acquisite informazioni sulla composizione delle maestranze, sull’esposizione e la valutazione dei fattori di rischio; i protocolli
sanitari adottati e la sorveglianza sanitaria effettuata. Gli infortuni e le
malattie professionali denunciate e la formazione effettuata. Interessante
è l’entità della forza lavoro delle aziende terze di supporto alle predette
aziende.
RISULTATI
Le 12 aziende hanno circa 2.200 dipendenti distribuiti su 2/3 turni di
lavoro e hanno fornito circa 104.000 ore di formazione con una media di
47 ore/anno per dipendente. La forza lavoro delle aziende terze è risultata di circa 1.200 unità. Si è analizzata l’attività di sorveglianza sanitaria
svolta, tralasciando quella nelle aziende terze; i lavoratori sottoposti a
sorveglianza sanitaria risultano essere 1.667 (78% della forza lavoro) di
cui rispettivamente per esposizione a sostanze cancerogene 368, ad
agenti chimici 489, ad agenti biologici 60 e ad altri fattori (es. polveri)
260. La verifica della corrispondenza dei protocolli sanitari adottati ai rischi presenti nei DVR aziendali è risultata coerente; in più occasioni
emerge una sovrastima dei rischi nell’indicazione degli accertamenti sanitari e della loro periodicità. Per il rischio chimico previsti esami ematici (emocromo, piastrine, colesterolo, GOT/GPT, bilirubinemia, azotemia, fosfatasi alcalina) e monitoraggio biologico (Al, Cr, Ni, Mg, Va,
benzene e cromo). In particolare si segnala l’esecuzione di esami radiografici del torace e del rachide.
Corrispondenza: Dr. Luca Convertini, [email protected]
Parole chiave: prevenzione, protocolli, industria
THE SAFETY AND HEALTH IDENTIFIED BY HEALTH
PROTOCOLS OF INDUSTRIAL AREA
ABSTRACT. The industrial area of Brindisi consists of numerous
companies. The integrated risk assessment within the industrial cluster is
essential for directing safety activities, first of all inspection controls of
public departments. The prevention of accidents and occupational
diseases is achieved through health controls of workers, taking into
consideration the technological cycle, the work organization, quality and
quantity aspects of exposure to specific risks. The competent medical
doctor shall be responsible to plan and carry out health surveillance
defined in relation to specific risks. To combine prevention activities and
“health promotion”, it is necessary to improve and implement
environmental monitoring in search of a residual and underestimate risk
arising even by uncontrolled or abnormal operating conditions of
industrial plants. The identification of an “area”, as the whole industrial
area of Brindisi, by responsible authorities with the involvement of
employers, prevention and protection services and district competent
medical doctors, can contribute to the acquisition of new data for the
formulation of operational proposals, such as the creation of a
“minimum health protocol” of area that can be shared.
INTRODUZIONE
Il polo industriale di Brindisi è costituito da numerose imprese, piccole e medie, sviluppate nell’area fra la città ed il porto; nello stesso contesto è situato il più grande insediamento produttivo “ex Montedison” attualmente suddiviso in società. La valutazione integrata dei rischi all’interno del cluster industriale è indispensabile per indirizzare le attività
svolte per la sicurezza, primi fra tutti i controlli ispettivi degli enti pubblici. Il Servizio di Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro
(S.P.e.S.A.L.) della ASL di Brindisi partecipa al progetto strategico P7
“Rischio individuale e collettivo, derivante da condizioni di esercizio incontrollate o anomale degli impianti industriali” occupandosi, tra l’altro,
della sezione 5 “Sorveglianza Sanitaria” del questionario utilizzato per la
rilevazione dei dati utili al progetto. Le informazioni acquisite riguardo
l’esposizione e la valutazione dei fattori di rischi di ciascuna azienda po-
DISCUSSIONE
Le leggi italiane in materia di salute e sicurezza sul lavoro, recepimento di direttive europee, definiscono con chiarezza le funzioni del
medico competente e le finalità della sorveglianza sanitaria. La prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali si realizza attraverso il controllo sanitario del lavoratore, conoscendo il ciclo tecnologico, l’organizzazione del lavoro, gli aspetti quali-quantitativi dell’esposizione ai rischi specifici dell’azienda in cui si opera e dell’area industriale dove queste aziende sono localizzate. L’art.2 comma 1 lettera
m. del D. Lgs 81/08 definisce la “sorveglianza sanitaria” come l’insieme degli atti medici, finalizzati alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di
rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa. Il medico competente (art.25 comma 1 lettera b.) ha il compito di
programmare ed effettuare la sorveglianza sanitaria di cui all’art. 41 attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici più avanzati (violazione sanzionata al medico competente con l’arresto fino a due mesi o
con l’ammenda da 300 a 1.200 euro). L’attività del medico competente
(art.39 comma 1) deve essere svolta secondo i principi della medicina
del lavoro e del codice etico della Commissione internazionale di salute ed occupazione (ICOH). L’art. 41 comma 2 lettera b. 3° capoverso
prevede l’intervento nel merito da parte dell’organo di vigilanza, che
con provvedimento motivato, può disporre contenuti e periodicità della
sorveglianza sanitaria differenti rispetto a quelli indicati dal medico
competente. L’attività di controllo si realizza sia implementando che
eliminando accertamenti ritenuti non adeguati ai rischi e non rispondenti ai dettati dell’art.41 comma 4 ovvero visite mediche (comprendenti esami clinici e biologici e indagini diagnostiche) mirate al rischio,
ritenute necessarie alla valutazione dello stato e della funzionalità degli
organi bersaglio che devono far esprimere il giudizio di idoneità e monitorare nel tempo lo stato di salute dei lavoratori. I medici competenti
hanno giustificato la ridondanza degli accertamenti come attività di
“Health promotion”. Tali accertamenti, non giustificati nella sorveglianza sanitaria sono in conflitto con l’art.5 della Legge 300/70, per
cui è necessario acquisire, prima della loro esecuzione, il consenso del
lavoratore e andranno distinti dal protocollo sanitario adottato. I codici
etici possano aiutare i medici competenti a svolgere la loro attività con
162
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correttezza e imparzialità in tutte le situazioni in cui sono in gioco diritti ed interessi contrastanti quali i diritti alla salute e al lavoro o interessi da parte dell’azienda o del lavoratore. Per poter coniugare l’attività di prevenzione e di “health promotion”, è necessario migliorare e
implementare i monitoraggi ambientali alla ricerca di un rischio residuale misconosciuto derivante anche da condizioni di esercizio incontrollato o anomalo degli impianti industriali. L’individuazione di una
“zona” quale l’intera area industriale di Brindisi, da parte degli enti deputati al controllo con il coinvolgimento dei datori di lavoro, dei servizi di prevenzione e protezione e dei medici competenti dell’area,
potrà contribuire all’acquisizione di nuovi dati per la formulazione di
proposte operative, quali ad esempio la realizzazione di un “protocollo
sanitario minimo” d’area che possa essere condiviso. Disporre di tale
protocollo sanitario unificato ed armonizzato consentirà un efficace
controllo delle patologie derivanti non solo dall’esposizione lavorativa
ai rischi propri del ciclo produttivo aziendale ma anche di quelli derivanti dalla ubicazione di tale attività in un area o comparto industriale
interessato sia in passato che nel presente da altre condizioni di rischi
residuali per la sicurezza e la salute dei lavoratori.
BIBLIOGRAFIA
1) Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008: “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”. G.U. n. 101 del
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MODELLO SEMPLIFICATO DI SISTEMA DI GESTIONE DELLA
SICUREZZA SUL LAVORO PER PICCOLE IMPRESE: VERIFICA
DI EFFICACIA DOPO DUE ANNI DI UTILIZZO
L. Veneri, P. Ghini, M.A. Caso, G. Baldassarri,
F. Renzetti1, R. Santarelli1
Dipartimento di Sanità Pubblica, AUSL di Forlì- Unità Operativa
Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro (UOPSAL), via della Rocca
19, 47121 Forlì
1 INAIL, Direzione Regionale Emilia-Romagna, Contarp, Galleria 2
Agosto 1980 5/A, 40121 Bologna (BO)
Corrispondenza: Dott. Lamberto Veneri, Unità Operativa Prevenzione
e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro, Dipartimento di Sanità Pubblica Azienda USL di Forlì, via della Rocca 19, 47121 Forlì, e-mail:
[email protected], Tel.: diretto 0543 733504; segreteria 0543 733544;
cell. 335 5830090; Fax: 0543 733501
Parole chiave: SGSL, piccole imprese, efficacia
A SIMPLIFIED MODEL OF OCCUPATIONAL HEALTH AND
SAFETY MANAGEMENT SYSTEM DESIGNED FOR SMALL
ENTERPRISES: STUDY OF EFFECTIVENESS TWO YEARS
AFTER IMPLEMENTATION
ABSTRACT. Background: A model of Occupational Health and Safety Management Systems (OHSMS) for small businesses has been developed and tested in 15 voluntary companies during 2007. First results
shown improvement in participation for prevention. Objectives: to investigate how many firms use the Model after two years and to check the
effectiveness in decreasing injuries. Methods: we analysed the use of Model in years 2008-2009 and compared the incidence index I.I. (accidents
every one hundred employees) and frequency index I.F. (accidents every
million of worked hours) of the period 2008-2009 vs period 2004-2006.
Results: all the firms less one were using model during 2008 and 2009.
In 2008 only 2 companies were using all procedures and 1 in 2009. Use
of operative forms was 70% during 2007, 78% during 2008 and decreases to 73% in 2009. From period 2004-2006 to period 2008-2009 I.I. decreases from 9.2% to 6.2%, and I.F. from 57 to 38; on the contrary I.I.
and I.F. of serious injuries, respectively 1.3% and 8, are unmodified. The
Model needs to be simplified to facilitate the use and has to be analyzed
to understand if the stationarity in serious injuries arises from a deficiency in assessing the greater risks.
Key words: OHSMS, small enterprise, effectiveness
INTRODUZIONE
Nella letteratura scientifica cominciano ad essere presenti studi
sugli effetti positivi dell’implementazione di Sistemi di Gestione della
Sicurezza sul Lavoro (SGSL) sia sull’andamento infortunistico sia su
altri parametri quali la partecipazione dei lavoratori, il clima di sicurezza, la competitività e le performance economico finanziarie (1 - 3).
Purtroppo i modelli esistenti (OHSAS 18001, Linee Guida Uni-InailIspesl 2001, ecc.) sono percepiti come troppo complessi e costosi dalle
imprese medio-piccole e ciò ne ostacola la diffusione. Per questo motivo l’Unità Operativa Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro
(UOPSAL) del Dipartimento di Sanità Pubblica di Forlì ed il CONTARP dell’INAIL Regionale Emilia-Romagna, assieme alle parti sociali, hanno sviluppato nel 2006 un modello semplificato di SGSL
composto da 7 procedure e 36 moduli operativi, che da marzo 2007 per
un anno è stato sperimentato in 15 aziende volontarie; per i dettagli si
rimanda alla comunicazione presentata al 71° Congresso Nazionale
SIMLII (4). La sperimentazione ha mostrato che nelle ditte aderenti è
assai aumentata la sensibilità verso la sicurezza e la partecipazione attiva al processo di prevenzione in particolare di lavoratori e preposti
(5); d’altro canto il modello è stato giudicato in alcune parti ancora
troppo complesso(4). Col presente lavoro si intende: a) verificare, a due
anni dalla sperimentazione, se il modello semplificato di SGSL è ancora utilizzato dalle aziende; b) tentare una prima valutazione sull’andamento degli infortuni nel gruppo di aziende prima e dopo l’implementazione del SGSL.
MATERIALI E METODI
Alle 15 aziende aderenti alla sperimentazione nel 2009 e nel 2010,
tramite questionari, sono state chieste informazioni sulla continuità
nell’utilizzo delle procedure e dei relativi moduli operativi del modello
sperimentato. Inoltre è stata chiesta copia del registro infortuni, il numero di ore lavorate ed il numero medio di addetti nell’anno precedente, relativamente ai soli lavoratori dipendenti, compresi gli apprendisti ed esclusi gli impiegati e gli “atipici”. Parimenti sono stati esclusi
dal conteggio degli infortuni quelli degli impiegati, dei lavoratori “interinali”, perché spesso vengono registrati solo dall’agenzia di somministrazione e quelli dei “lavoratori a progetto”, per i quali non vengono
registrate le ore lavorate; inoltre sono stati esclusi tutti gli infortuni
stradali. I dati su infortuni e ore lavorate negli anni 2004-05-06 erano
stati già chiesti in precedenza. Gli indici di incidenza (I.I.), numero
infortuni su numero addetti, e di frequenza (I.F.), numero infortuni su
milione di ore lavorate, complessivi del periodo 2008-09 sono stati
confrontati con quelli del periodo 2004-06. Gli stessi confronti sono
stati fatti per i soli infortuni “gravi”, cioè con durata superiore a 40
giorni o con esiti permanenti. La significatività statistica è stata valutata con il χ2 per l’I.I. e calcolando i limiti di confidenza secondo la distribuzione di Poisson per l’I.F. (6).
RISULTATI
Ai questionari hanno risposto 12 aziende nel 2009 e 14 nel 2010;
una azienda aveva interrotto l’uso del SGSL nel 2008 per riprenderlo
nel 2009 usando solo tre procedure; nel 2009 ha interrotto una seconda
azienda. Solo due aziende nel 2008 e una nel 2009 hanno utilizzato
tutte le 7 procedure; le altre hanno escluso la procedura “appalti” per
sopravvenute modifiche legislative che l’hanno resa non del tutto adeguata. La media di utilizzo dei moduli operativi, che durante l’anno di
sperimentazione era stata del 70%, è risultata del 78% nel 2008 e del
73% nel 2009, ciò per effetto di una drastica diminuzione di utilizzo da
parte di tre aziende soprattutto dei moduli collegati con le procedure di
sistema e di valutazione del rischio. La Tabella I riporta il confronto fra
l’andamento infortunistico complessivo e dei soli infortuni gravi nei
periodi 2004-06 e 2008-09, rispettivamente prima e dopo l’implementazione del SGSL.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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Tabella I. Andamento infortunistico prima e dopo
l’implementazione del SGSL
Più analiticamente l’I.I. è 7,4% nel 2008 (N.S.) e 4,8% nel 2009 (p
= 0,01); l’I.F. è 42 nel 2008 (p=0,05) e 33 nel 2009 (p=0,01). La durata
media degli infortuni è stata 16,2 giorni nel primo periodo e 24,3 giorni
nel secondo.
DISCUSSIONE
La verifica effettuata conferma la necessità di semplificare ulteriormente il modello di SGSL, cosa che è già stata parzialmente fatta, ma
non ancora divulgata. Per altro al modello è stata aggiunta la procedura
di vigilanza per renderlo conforme ai requisiti richiesti dall’art. 30 del D.
Lgs 81/08 per i modelli di organizzazione e gestione. L’analisi dell’andamento infortunistico nelle aziende utilizzatrici, pur con i limiti del confronto “prima-dopo” utilizzato, mostra una significativa diminuzione
degli infortuni totali, ma non di quelli gravi; ciò fa pensare che per ora il
progetto abbia inciso solo sugli aspetti più evidenti e facilmente aggredibili della sicurezza, mentre non ha influenzato significativamente la capacità di valutare i rischi gravi e programmare le relative misure di prevenzione e protezione. Di ciò si dovrà tener conto nel prosieguo del progetto, che nel frattempo verrà esteso ad un maggior numero di aziende.
BIBLIOGRAFIA
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and safety management system interventions: a systematic review.
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semplificato di Sistema di Gestione della Sicurezza sul Lavoro
(SGSL) per piccole imprese. G Ital Med Lav Erg 2008; 30: 3 Suppl
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5) Bacchi R, Veneri L et al. Modello semplificato di sistema di gestione
della sicurezza sul lavoro per piccole imprese. Primi risultati della
sperimentazione. Med Lav 2009; 100 (Suppl 1): 52-54;
6) Armitage P, Berry G. Statistica Medica - metodi statistici per la ricerca in medicina Milano, McGraw-Hill Libri Italia. 1996.
23
UN MODELLO DI CARTELLA SANITARIA INFORMATIZZATA
COME STRUMENTO STRUMENTO DI FEEDBACK
ALLA VALUTAZIONE DEL RISCHIO
163
A MODEL OF COMPUTERIZED MEDICAL RECORDS AS A
MEAN OF FEEDBACK TOOL TO ASSESS THE RISK
ABSTRACT. Occupational physicians have always played a major
role in the observation of symptoms and illnesses in exposed groups and
in the consequent identification of risk factors. National legislation has
recognized this role attributes precise obligations to the occupational
physician in assessing risk. The instruments available to the
Occupational physician are many, but primary importance has to be
given to the health surveillance of workers that is able to provide
essential feedback to risk assessment. Data processing of the
informations obtained from health surveillance activities requires the
introduction of appropriate tools. Features and functions of a software
relative to the workers’ health surveillance in the banking sector have
been suggested. The medical record software has been aimed to possible
health effects associated to the use of VDU. Attention was given to the
identification of objective indicators of strain and to the identification of
indicators useful in defining priorities in health promotion activities.
Features and functions of the software relative to the workers’ health
surveillance have been reviewed and a tool was designed. A number of
items useful in giving a feedback in the risk assessment in the banking
sector and in setting priorities for action were studied and turned into
processable fields.
Key words: occupational medicine software, statistical and
epidemiological processing
Il Medico Competente ha da sempre avuto un ruolo di rilievo nello
studio dei sintomi e delle patologie in gruppi di esposti e nella conseguente identificazione dei possibili fattori di rischio. La legislazione nazionale ha riconosciuto tale ruolo e previsto nel D.Lgs 81/08 obblighi
precisi a carico del Medico Competente nell’ambito della valutazione del
rischio negli ambienti di lavoro. Gli strumenti a disposizione del Medico
Competente sono molteplici (si ricorda ad esempio il sopralluogo degli
ambienti di lavoro o la contribuzione nella valutazione dell’esposizione
attraverso procedure di monitoraggio biologico) ma primaria importanza
deve essere attribuita alla sorveglianza sanitaria sui lavoratori, intesa
come attività finalizzata ad evidenziare quanto più precocemente possibile alterazioni dello stato di salute che possono essere posti in relazione
all’esposizione a fattori di rischio nell’ambiente di lavoro. Lo strumento
della sorveglianza sanitaria può fornire un feed-back essenziale alla valutazione del rischio (figura 1): in presenza di rischi valutati come contenuti la non significatività derivante dall’elaborazione di gruppo di indicatori di rilievo raccolti nel corso della sorveglianza sanitaria potrà portare ad una conferma della correttezza delle procedure utilizzate nella valutazione dei rischi. Al contrario l’evidenza di una positività degli indicatori dovrà necessariamente condurre a una rivalutazione delle procedure utilizzate nella valutazione dei rischi e ad una eventuale revisione
delle misure preventive adottate.
L’utilizzo dei dati sanitari richiede l’introduzione di strumenti informatici idonei a consentire una semplice, rapida ed attendibile elaborazione a livello di gruppo di una notevole quantità di informazioni raccolte nel corso della sorveglianza sanitaria. Alla luce di tali considerazioni è stato progettato un modello di cartella sanitaria nel settore creditizio mirato alla possibilità di garantire un utile contributo nella valutazione dei rischi propri di tale settore e nell’evidenziazione di indicatori
D. Bosio1, M. Coggiola1, M. Musti2, P. Carrer3,
D. Russignaga1,3, D. Gatti1,4
1 ASO CTO-Maria Adelaide, Dipartimento di Medicina del Lavoro
dell’Università degli Studi di Torino
2 Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica - Univeristà di
Bari
3 Ospedale Sacco - Dipartimento di Medicina del Lavoro - Università
degli Studi di Milano
4 Tutela Aziendale - Prevenzione e Protezione - Intesa Sanpaolo S.p.A.
4 COM Metodi S.p.A.
Corrispondenza: Dott. Maurizio Coggiola, ASO CTO-Maria Adelaide,
Dipartimento di Medicina del Lavoro dell’Università degli Studi di Torino,
Via Zuretti 29 - 10126 Torino, tel: 011-6933466, fax: 011-6963662, e-mail:
[email protected]
Figura 1. Feedback sorveglianza sanitaria - valutazione dei rischi
164
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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degli stessi parametri in soggetti o in gruppi con lo stesso profilo di rischio (es. VDT) ma operanti in aree e sedi diverse.
L’elaborabilità di una serie di item predefiniti permetterà, inoltre, di
verificare la reale prevalenza di alcuni indicatori di criticità (distribuzione nella popolazione in esame di parametri quali l’abitudine al fumo,
l’assunzione di psicofarmaci, il BMI, o di patologie quali l’obesità o il
diabete) e fornirà le necessarie indicazioni per la definizione di priorità
nell’ambito di progetti di promozione della salute che il D.Lgs 81/08 all’art. 25 attribuisce al medico competente; consentirà inoltre il follow-up
dell’efficacia nel tempo di tali progetti. L’analisi complessiva dei dati derivanti dalla sorveglianza sanitaria elaborata a livello di gruppo garantirà
infine un prezioso e necessario feedback alla valutazione del rischio.
BIBLIOGRAFIA
1) Brunetti A: Riflessioni e proposte sulle caratteristiche dei sistemi
informatici dedicati alla sorveglianza sanitaria Ex D.Lgs 626/94. G
Ital Med Lav Erg 2008; 30:1, 41-48
24
UN ESEMPIO DI PROMOZIONE DELLA SALUTE FRUTTO
DELLA COLLABORAZIONE DI UN SERVIZIO PISLL
CON MEDICI COMPETENTI
D. Sallese, R. Anulli, G.N. Bauleo
1
U.O.Igiene e Salute Luoghi di Lavoro ASL 8 Arezzo, Az. USL 8 di
Arezzo v. P. Nenni 20 52100 Arezzo Dipartimento Prevenzione c/o
Ospedale S. Donato
Corrispondenza: Dr. D. Sallese U.O. ISLL v. P. Nenni 20 52100 Arezzo,
Dipartimento Prevenzione c/o Ospedale S. Donato
Parole chiave: polveri di legno, fumo, promozione della salute
Figura 2. Maschera di registrazione dei dati di astenopia, diagnosi
e giudizi di idoneità.
di priorità per pianificare misure di prevenzione e protezione a livello di
gruppo. Sono state studiate le proprietà fondamentali di una cartella sanitaria peculiare del settore creditizio ed è stata progettata l’architettura
del sistema informatizzato, sviluppando le principali indicazioni di letteratura in argomento (1). La cartella sanitaria è stata strutturata per fornire
indicazioni sui possibili effetti sulla salute legati all’utilizzo di VDT
(esame dell’apparato oculovisivo, osteomuscolare, con calcoli automatizzati degli indici di rilevo), o all’esposizione ad altri fattori di rischio
presenti in azienda (turno notturno, movimentazione manuale di carichi,
uso di cuffie telefoniche negli addetti al call-center). È stata posta attenzione all’identificazione di indicatori di strain oggettivi identificabili nel
corso della sorveglianza sanitaria quali, ad esempio, sintomi o segni specifici a carico del sistema nervoso, cardiovascolare o gastroenterico, tegumentario, locomotore. Sono stati inoltre identificati indicatori utili a
definire priorità nell’ambito delle attività di promozione della salute (es.
educazione alimentare, controllo dell’obesità, prevenzione malattie cardiovascolari, prevenzione del diabete, supporto alla cessazione dell’abitudine al fumo di sigaretta e assunzione sostanze alcoliche) ed è stata studiata una struttura di rapida registrazione codificata delle diagnosi secondo il sistema ICD-9. In figura 2 sono riportate due schermate di
esempio.
È stata garantita la possibilità di correlare tutti i dati sanitari elaborabili con dati relativi alla mansione, gruppo omogeneo, area di lavoro,
sede di lavoro, unità organizzativa al fine di consentire l’analisi non solo
per gruppi omogenei ma per ulteriori variabili di raggruppamento (es. all’interno dell’ampio gruppo omogeneo dei videoterminalisti è possibile
procedere ad una analisi di sottoinsiemi, ad es. per sedi di lavoro, che
permetterà di verificare l’eventuale influenza di diverse caratteristiche
ambientali sullo stato di salute dei lavoratori).
Questo sistema consentirà, pertanto, da un lato di effettuare una analisi descrittiva dei parametri ricercati (diagnosi di malattia, astenopia e
score, distribuzione della sintomatologia osteomuscolare nei diversi
gruppi omogenei), ma anche una valutazione comparata dell’andamento
AN EXAMPLE OF WEALTH PROMOTION DUE TO THE
PARTNERSHIP BETWEEN A PISLL SERVICE AND COMPETENT
DOCTORS
ABSTRACT. Hard wood dust has been classified from IARC as a
cancer-producing agent for the sufficient evidence of the causal
connection with the arising of nasal end paranasal sinus tumor, but it
could also be liable of other effects on health such as irritant and allergic
disturbs of the skin (hand dermatitis) and/or of eye’s membranes and of
breathing
ways
(bronchial
asthma,
chronic
obstructive
bronchopneumopathia, enphytematous chronic bronchitis). The
pathologies are charged with concomitant voluptuary exposure to
cigarette smoke that is significant in adult working population
(according to DOXA 2004 data, 40-50% of men and 30-40% of women
are smokers).
Starting from this consideration the U.F.PISLL of Arezzo has
realized a research in a group of factories of the wood compartment in
the territory of Arezzo, in order to detect rino-sinusal and breathing
disturbs in wood-dust exposed worker, pointed out by standard
questionnaires. The breathing disturbs valuation involved also the
analysis of smoke addiction in the examined workers; also breathing
functional tests, executed by competent doctors, and the case-history and
of working risk, have been examined. Basing on these verifications it has
been evaluated the appearance of breathing disturbs, with or without
alteration of PFR, following an exposure to wood dust associated, or not,
to cigarette smoke.
Results demonstrate the existence of this correlation, consequently
will be promoted interventions of health promotion in working places for
the abandonment of cigarette smoke by workers.
INTRODUZIONE
L’articolo 25 del D.Lgs 81/2008 pone tra gli obblighi del medico
competente quello di collaborare alla attuazione e valorizzazione di programmi volontari di promozione della salute, obbligo ribadito anche dall’art.39; obiettivo primario della medicina del lavoro infatti è non solo la
protezione ma anche la promozione della salute dei lavoratori.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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165
Il fumo attivo rappresenta in Italia come in altri paesi occidentali la
principale causa prevenibile di malattia e di morteo è in aumento, secondo dati ISTAT 2009, i fumatori in Italia sono il 23% della popolazione
(maschi 29.5 e femmine 17%) e l’aumento maggiore è stato osservato tra
i giovani adulti, che rappresentano i soggetti attivi dal punto di vista lavorativo, di età compresa tra i 25-34 anni dove è stata raggiunta la percentuale del 31.4% (40,2% maschi e 22,2% femmine). Molte patologie
cronico degenerative quali malattie cardio-vascolari, neoplasie, broncopneumopatie cronico ostruttive avendo una etiologia multifattoriale riconoscono come fattori di rischio sia le esposizioni professionale ed ambientali sia gli stili di vita individuali tra cui l’abitutdine al fumo di sigaretta
Partendo da tutte queste considerazioni l’U.F. PISLL di Arezzo ha
condotto, nel corso di una indagine sanitaria sui rischi per la salute da
esposizione a polvere di legno duro, una attività di promozione della salute dei lavoratori riguardo l’abitudine al fumo di tabacco in collaborazione con i medici competenti aziendali.
DISCUSSIONE
Questi dati confermano l’importanza del rischio fumo di sigaretta nei
lavoratori e di conseguenza la necessità di una azione sanitaria per la disassuefazione al fumo di tabacco, che non può essere effettutata solamente, per
ovvie ragioni di disponibilità di tempo e personale,dal servizio pubblico.
Pertanto, si è ritenuto opportuno sviluppare una collaborazione con i
medici competenti aziendali per attuare in associazione alla prevenzione dei
rischi occupazionali, una azione di promozione della salute effettuata negli
ambienti di lavoro. Infatti, il medico competente è l’unico sanitario che visita le persone in una fascia di età che va dalla giovinezza alla piena maturità, le quali in quanto godono di uno stato di apparente buona salute, non
si rivolgono al Medico di Medicina Generale o altro sanitario. Effettuando
la sorveglianza sanitaria periodicamente, può intervenire nei diversi momenti delle fasi di cambiamento rispetto all’abitudine al fumo (voglia di iniziare,desiderio di smettere,ricaduta) rafforzando le motivazioni di chi ha deciso di smettere o sostenendo chi ha avuto una ricaduta e sostenere coloro
che intendono abbandonare il fumo, fornendo il supporto più adeguato.
MATERIALE E METODI
Sono state controllate 15 ditte del comparto legno, nell’ambito delle
quali è stata programmata una indagine sanitaria. ai lavoratori individuati
come esposti al rischio polvere di legno, finalizzata all’individuazione,
nei lavoratori esposti a povere di legno, di disturbi rino-sinusali e respiratori.
Nel corso dell’indagine è stata effettuata informazione riguardo i rischi per la salute per esposizione a polvere di legno, da fumo di tabacco,
le possibili interazioni ed utilizzando le tecniche di counselling, sono
state fornite raccomandazioni per indirizzare i lavoratori all’abbandono
dell’abitudine al fumo di tabacco. Per rafforzare il messaggio informativo è stato appositamente redatto e distribuito anche un opuscolo dal titolo “Sono Falegname … Smetto di fumare!”. Nell’opuscolo sono stati
descritti, in modo comprensibile, con messaggi semplici e sintetici i rischi per la salute dovuti all’esposizione a polveri di legno, all’abitudine
al fumo di sigaretta e le possibili interazioni tra i due fattori di rischio; le
malattie che possono causare, i benefici per la salute derivanti dalla cessazione dall’abitudine al fumo ed inseriti numeri ed indirizzi telefonici a
cui i lavoratori possono rivolgersi per un sostegno.
Successivamente sono stati somministrati, individualmente, questionari per la rilevazione dei disturbi rino-sinusali e respiratori ed analizzata
l’abitudine al fumo di tabacco e rafforzato i messaggi di counselling.
In questo percorso sono stati coinvolti anche i medici competenti
aziendali ed è stato realizzato un’altro opuscolo informativo dal titolo
“Fumo e lavoro… L’impegno del Medico Competente.”
In questo opuscolo si è inteso ribadire preliminarment i compiti del
medico del lavoro nella lotta al tabagismo ed inoltre è stato fornito al
medico competente uno strumento di supporto da utilizzare durante le visite di sorveglianza sanitaria per un intervento clinico minimo con breve
counselling anti-fumo. È stato, infatti descritto il counselling antifumo
che si articola classicamente in 5 fasi (definite dagli autori anglosassoni
le “5 A”) ASK- Chiedere, ADVISE- Raccomandare di smettere, ASSES
- Identificare i fumatori motivati a smettere, ASSIST- Aiutare a smettere,
ARRANG- Pianificare follow-up; ai medici competenti viene raccomandato di effettuare almeno le prime quattro fasi. Nella fase ASK, per valutare nei fumatori il grado di dipendenza nicotinica, viene fornito il Test
di Fargeström (da inserire eventualmente nella cartella sanitaria e di rischio).
BIBLIOGRAFIA
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RISULTATI
Il nostro intervento è stato effettuato in 15 aziende del comparto
legno, sono stati inviduati 160 lavoratori esposti al rischio polvere di
legno, tutti di sesso maschile, con una età media di 39,7 anni e di questi
sono risultati 60 fumatori,20 ex-fumatori e 80 non fumatori, con una prevalenza al fumo di sigaretta del 37,5%. Tutti questi lavoratori hanno ricevuto counselling anti-fumo da parte dei medici di lavoro della USL impiegando anche un opuscolo informativo appositamente elaborato.
Anche i medici competenti delle aziende esaminate hanno ricevuto
un opuscolo informativo e di supporto da utilizzare nel corso della sorveglianza sanitaria, al fine di assicurare continuità alle raccomandazioni
per corrette abitudini di vita ai lavoratori controllati. Saranno oggetto di
successive analisi i risultati circa l’efficacia degli strumenti impiegati,
valutando il numero di lavoratori che hanno abbandonato l’abitudine del
fumo, avvalendoci della collaborazione dei medici competenti.
25
IL MEDICO DEL LAVORO E LA PREVENZIONE NEL SETTORE
DEI TRASPORTI: LA CARTA DI QUALIFICAZIONE
DEL CONDUCENTE (CQC)
L. Isolani
ASUR MARCHE ZT9 Macerata, Servizio Prevenzione Sicurezza
Ambienti di Lavoro, Belvedere R Sanzio 1, 62100 Macerata
Corrispondenza: Lucia Isolani, ASUR MARCHE ZT9 Macerata, Servizio
Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro, Belvedere R Sanzio 1, 62100
Macerata, [email protected]; [email protected]
PREVENTING ROAD ACCIDENTS: THE ROLE OF THE
OCCUPATIONAL HEALTH PHYSICIAN IN THE COMPULSORY
TRAINING OF PROFESSIONAL DRIVERS
ABSTRACT. Road traffic accidents are a major public health issue
considering the very high human, social and economic costs. Recently
European Directives on driver training came into force in Italy with the aim
166
to provide a better training for professional drivers, compulsory to obtain
the new driving license called Carta di Qualificazione del Conducente. Now
Professional drivers in categories C, C+E, D, D+E, must pass an initial
qualification and undergo hours of periodic training about, among others,
ergonomic principles, physical fitness, effects of alcohol, drug or any other
substance likely to affect behavior. The Occupational Health Physician will
provide this training with the aim to improve the health and the well - being
of these employers. And this can play a significant role in reducing road
risk, representing a very good example of health promotion.
Key words: road accidents, training, health promotion
INTRODUZIONE
Nel 2004 la WHO definiva gli incidenti stradali come un problema
prioritario per la sanità pubblica, provocando nel mondo, ogni anno,
1.200.000 decessi e circa 50.000.000 feriti (1). Il trend relativo ai morti
e ai feriti a seguito di incidente stradale, pur restando elevato negli anni,
indica una riduzione nei Paesi anglosassoni ed europei in genere. Al contrario, nei Paesi in cui l’economia sta prendendo ampio sviluppo (Asia ed
Africa), il tasso anzidetto risulta aumentato nello stesso periodo, ad
esempio del 44% in Malesia e del 243% in Cina. Considerando l’impatto
degli incidenti stradali sulla salute espresso in anni di vita persi a causa
della disabilità provocata (DALY: Disability Adjusted Life Year), risulta
in maniera predittiva che nel 2020 saranno proprio gli incidenti stradali
la terza causa di disabilità e patologia nel mondo (1).
Dall’analisi delle cause di morte per classe di età, gli incidenti stradali
sono la principale causa di morte per giovani tra i 5 e i 29 anni: questo stesso
gruppo costituisce il 30% delle vittime totali e l’80% dei giovani appartenenti a questa classe di età muore in conseguenza di incidente stradale.
Agli enormi costi sociali ed umani si aggiungono anche elevati costi
economici. È stato calcolato infatti che la perdita economica causata
dagli incidenti stradali ammonterebbe in maniera variabile da 1% a 2%
del prodotto interno lordo (PIL): negli Stati Uniti il costo è di circa 230,6
miliardi di dollari/anno (2,3% del PIL), in Europa di 180 miliardi di
euro/anno e secondo alcune stime, i Paesi dell’Europa centrale ed orientale sono ancora più severamente colpiti rispetto all’Europa occidentale
(2). Per contro, le risorse economiche investite nella prevenzione degli
incidenti stradali sono decisamente basse se confrontate con quelle impegnate per altre problematiche come ad esempio la malaria o l’AIDS.
Ogni giorno in Italia si verificano in media 652 incidenti stradali che
provocano la morte di 16 persone e il ferimento di altre 912 (3). L’analisi dell’incidentalità nel lungo termine (1991 - 2006) mostra una costante riduzione della gravità degli incidenti, evidenziata dall’indice di
mortalità (numero di morti ogni 100 incidenti) che si attesta al 2,4% nel
2006 contro il 2,8% del 2000 e dall’indice di gravità, che passa da 1,9 a
1,7 decessi ogni 100 infortunati.
In Italia, nel periodo 2000 - 2006 gli incidenti stradali sono numericamente calati da 256.546 a 238.124, così come peraltro i morti (da 7.061
a 5.669) e i feriti (da 360.013 a 332.955), venendo registrato complessivamente un decremento del 7,2% degli incidenti, del 19,7% dei morti e
del 7,5% dei feriti.
Va sottolineato che, nello stesso periodo, il parco veicolare è cresciuto del 13,7%, mentre il volume della circolazione, valutato sulle percorrenze autostradali, è aumentato del 19,9%.
LA PREVENZIONE DEGLI INCIDENTI STRADALI: LA CARTA DI QUALIFICAZIONE
DEL CONDUCENTE (CQC)
La sicurezza sulle strade diventa un aspetto inevitabile del trasporto
sostenibile ed un argomento centrale per i Sistemi Sanitari di tutti i Paesi.
In Europa, la Commissione europea per la sicurezza stradale promuoveva un programma che prevedeva di dimezzare le vittime degli incidenti stradali nel decennio 2001 - 2010. Il programma mostrava nel 2005
un bilancio intermedio con una riduzione del numero dei morti per incidente stradale del 25% solamente in pochi Paesi dell’Unione europea.
Pur nel mancato rispetto della tabella di marcia, il trend è stato decrescente e la lettura dei dati consolidati dovrebbe mostrare per l’anno 2010
una diminuzione delle vittime di incidenti stradali del 30% rispetto al
2001. Di grande rilievo a livello legislativo europeo, è stata poi l’attenzione rivolta alla sicurezza del trasporto professionale di merci e di passeggeri finalizzata alla riduzione del numero d’incidenti dovuti agli automezzi pesanti e a disciplinare la formazione di conducenti professionisti. Tenuto conto che il settore trasporti esprime uno dei più alti tassi di
incidenza di infortuni sul lavoro, nonostante l’incidentalità dei veicoli
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pesanti costituisca in media circa il 13% sul totale, il legislatore europeo
confermando che la mansione di addetto alla guida di automezzi pesanti
resta una delle più pericolose, ribadendo il diritto ad una completa tutela
della salute e della sicurezza propria (dell’autotrasportatore) e di terzi, ha
ritenuto di dover rafforzare la normativa sulle condizioni di lavoro dei
conducenti professionisti. A tal fine ha previsto di rendere i veicoli più sicuri e di migliorare le infrastrutture stradali della rete transeuropea. In
particolare, il legislatore europeo, a favore della sicurezza sociale, nell’ottica dell’Unione Europea di professionalizzare ogni attività, istituisce
la Carta di Qualificazione del Conducente (CQC) per i conducenti di veicoli adibiti ad uso professionale, individuando percorsi di formazione obbligatoria. La CQC, introdotta dalla Direttiva 2003/59/CE, recepita nel
nostro ordinamento con il D.Lgs 286/2005 e resa di fatto operativa con il
DM 16.10.2009 del Ministero Infrastrutture e Trasporti, prevede che per
la guida di veicoli adibiti al trasporto professionale di merci e/o persone
(autobus, scuolabus…) su strada (patente C, C + E, D e D + E) il conducente sia titolare anche della CQC. Per ottenere la CQC è obbligatorio
sostenere un esame presso l’Ufficio della Motorizzazione, a seguito di un
corso svolto presso un’autoscuola o una struttura abilitata.
L’OPPORTUNITÀ PER IL MEDICO DEL LAVORO: LA CQC E LA PROMOZIONE
DELLA SALUTE
I corsi per il conseguimento della CQC prevedono una parte teorica
e da una parte pratica. Le lezioni teoriche in forma ordinaria e accelerata,
rispettivamente di 75 e 37 ore, sono affidate ad un Medico specialista in
Medicina Sociale, Medicina Legale o Medicina del Lavoro. Il programma
del corso affronta un’ampia gamma di argomenti come ad esempio statistica ed epidemiologia degli infortuni nel settore dei trasporti, principi di
ergonomia alla guida, pronto soccorso, prevenzione dei rischi lavorativi,
promozione della salute. Il Medico del Lavoro ha l’opportunità di contribuire fattivamente alla prevenzione - peraltro di tipo primario - e quindi,
nel senso più ampio del termine, non più e non solo riferita al lavoratore,
ma in primis alla persona. Importante per il singolo professionista e per la
disciplina di Medicina del Lavoro è la possibilità di partecipare ad un’attività di sanità pubblica che esula dal perimetro classico predefinito e preconfigurato del Medico Competente. La CQC rappresenta una forma effettiva di promozione della salute in quanto il Medico del Lavoro è chiamato all’educazione in tema di ergonomia della postura alla guida, alimentazione, fumo, ritmi e bioritmi fisiologici, assunzione di farmaci, sostanze stupefacenti, alcool. Il legislatore nel riservare al Medico del Lavoro questa attribuzione gli conferisce un grande riconoscimento in termini di professionalità e responsabilità, ricordando che come professionista egli può e deve imparare a guardare lontano, oltre le attribuzioni specifiche della norma per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, attribuzione limitate, ma non per questo limitative.
BIBLIOGRAFIA
1) Peden M. et al., World report on road traffic injury prevention. Geneva, WHO. 2004
2) Racioppi F, Eriksson L, Tingvall C, Villaveces A. Preventing road traffic
injury: a public health perspective for Europe. Geneva, WHO. 2004
3) ISTAT. Incidenti stradali. Anno 2006. www.istat.it
Si ringrazia il Sig. Giuseppe Concetti - Autoscuola Marche per la
collaborazione ed il prezioso supporto professionale.
26
L’AMBULATORIO DI TRAVEL MEDICINE COME MODELLO
ORGANIZZATIVO NELLA PREVENZIONE DEI RISCHI CORRELATI
ALLA TRASFERTA/VIAGGIO, AL SOGGIORNO ED AL RIENTRO
DEL LAVORATORE DA UN PAESE ESTERO
R. Morreale, M. Scaringella, M. Femia, B. Bregoli
IFM Ferrara Scarl - Piazzale Donegani 12, 44100 Ferrara
Corrispondenza: Rosalba Morreale, IFM Ferrara Scarl - Servizio
Sanitario - piazzale Donegani 12, 44100 Ferrara, tel: 0532-598240,
fax: 0532-597833, e-mail: [email protected]
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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THE TRAVEL MEDICINE CLINIC: HOW TO ACCESS PRE-TRIP
HEALTH AND MEDICAL INFORMATION AND SERVICES
ABSTRACT. Business travellers are exposed to a variety of health
risks in unfamiliar environments. Most of these risks, however, can be
minimized by suitable precautions taken before, during and after travel.
According to the HSE and HR department’s of Basell Poliolefine Italia
Srl (located at Ferrara Site and Technical Center), a LyondellBasell
company and the local medical service, the purpose of this general
overview is to provide guidance on measures that can be taken to prevent
or reduce any adverse health consequences for LyondellBasell
employees by:
• Implementing standard methods for assessment of travel-related
health risks, such as those posed by the destination country, length
of stay, availability of medical facilities, infectious disease, jobrelated stress associated with maintaining tight schedules and
impact of foreign culture and language;
• Adopting shared recommendations and health precautions (Health
Card, Medical Advice, First-Aid Travel kit);
• encouraging a health and safety task force to collect data to give
guidance on the full range of significant travel-related health issues
(Travel Medicine Guideline).
Key words: travel medicine, health risks travel-related, first-aid
travel kit
INTRODUZIONE
La crescente dimensione internazionale del mondo del lavoro rende
sempre più dinamici il tasso di innovazione e il flusso di competenze
umane al di fuori dei confini aziendali; di conseguenza, un numero significativo di lavoratori viaggia in Paesi esteri dove trascorre periodi di
tempo, più o meno lunghi, svolgendo attività lavorative in contesti sociopolitici, geografici ed igienico-sanitari diversi da quelli usuali.
L’esperienza operativa, oggetto del nostro studio, è parte integrante
di un’efficace politica di tutela della salute della popolazione lavorativa
di una grande azienda multinazionale, grazie a una stretta collaborazione
multidisciplinare tra Risorse Umane, HSE e Servizio Sanitario/ Medico
Competente.
Obiettivi del progetto Travel Medicine sono:
– Attivare metodologie standardizzate per la valutazione dei rischi
specifici del Paese estero presso il quale il lavoratore effettuerà la
missione/trasferta.
– Adottare raccomandazioni condivise e finalizzate a garantire un
adeguato standard di sicurezza e salute nel Paese di destinazione.
– Promuovere l’attitudine dei gruppi di lavoro al confronto sulla
raccolta e sull’analisi dei dati e sulla valutazione dei risultati per
orientare efficacemente le iniziative di prevenzione.
MATERIALI E METODI
Il Progetto Travel Medicine è inserito nelle attività di prevenzione e
protezione della salute dei lavoratori della Società Basell Poliolefine
Italia Srl (BPI) di Ferrara, posseduta dalla Multinazionale Lyondellbasell, terzo gruppo mondiale nel settore chimico (polimeri, prodotti petrolchimici e combustibili, tecnologia), con più di 14.000 dipendenti dislocati in 18 Paesi dei 5 continenti. Il Sito BPI di Ferrara, con circa 1000
dipendenti, comprende sia attività produttive che di Ricerca e Sviluppo:
Centro Ricerche G. Natta dedicato alla ricerca di laboratorio e
impianti pilota per sviluppo di Catalizzatori e Polimeri
Polymer Manufacturing Impianti per la produzione di
Polipropilene
Catalyst Manufacturing Impianti di produzione Catalizzatori per
la produzione poliolefine
Inoltre BPI fornisce i servizi di assistenza tecnologica e di ingegneria sia alle altre Società del gruppo sia ai clienti licenziatari.
L’ambulatorio di Travel Medicine prende in carico la fascia di lavoratori costituita da manager, tecnici e operatori, in tutti i casi in cui siano designati ad attività lavorative “di supporto” presso clienti e società terze situate in un Paese estero. Per la pianificazione e la messa in atto delle misure
finalizzate a garantire loro un adeguato standard di sicurezza e salute nel
Paese di destinazione, è stato necessario dotarsi di adeguati strumenti di tipo
tecnico-organizzativo, di cui diamo, in elenco, un sintetico riferimento:
Valutazione Rischi mansione/attività: in questa scheda sono individuati il nominativo del lavoratore, il Paese di destinazione, la sede e la
durata della trasferta, i rischi specifici (chimici-fisici-biologici etc.),
167
propri della mansione/attività che il lavoratore andrà a svolgere nel Paese
di destinazione.
Valutazione Rischio Paese: in questo documento sono espresse valutazioni relative ai rischi specifici del Paese di destinazione: per
esempio, le condizioni climatiche (climi caldi/freddi, altitudine), le infezioni endemiche, le condizioni logistiche disagiate, le possibili situazioni
socio-politiche instabili (vedi Tabella I).
Health Card e Medical Advice: in un file elettronico bilingue sono
raccolti la storia sanitaria del lavoratore (allergie, terapie, gruppo sanguigno, esami di laboratorio…) e i consigli/info di natura igienico-sanitaria relativi al Paese di destinazione.
First-Aid Travel Kit: si tratta di una piccola farmacia di automedicazione e di dispositivi per il primo soccorso, corredati di indicazioni per
l’uso e accessibili in un apposito contenitore, di cui viene dotato il lavoratore che si reca in trasferta in aree geografiche a rischio.
Il flusso delle attività operative è il seguente:
HR segnala, con anticipo di almeno 4-8 settimane, al Servizio Sanitario aziendale i nominativi dei lavoratori interessati, l’attività lavorativa
prevista ed i rischi specifici ad essa connessi, il Paese di destinazione, la
sede e la durata della trasferta, la modalità dell’espatrio.
Sulla base delle evidenze fornite dalla Valutazione Rischi Mansione/attività e dalla Valutazione Rischio Paese, il Medico Competente
sottopone il lavoratore trasfertista a un protocollo di controlli sanitari, finalizzati alla valutazione di compatibilità con i rischi professionali e del
Paese di destinazione.
Il Servizio Sanitario provvede alle eventuali profilassi, all’informazione del lavoratore sulle misure preventive da attuare e alla dotazione
del First Aid Travel Kit.
Il Servizio Sanitario raccoglie in un file elettronico - bilingue - la
storia sanitaria (allergie, terapie in atto, gruppo sanguigno, esami di laboratorio…) e i consigli/info di natura igienico-sanitaria relativi al Paese
di destinazione, consegnandone una copia al lavoratore perché, in qualunque momento e in qualunque parte del mondo, si possa accedere a
questi dati, anche da parte di altri medici, senza errori, dimenticanze o
imprecisioni linguistiche.
Il Medico Competente comunica ad HR e al lavoratore gli esiti della
valutazione/il giudizio di idoneità, prescrivendo una visita al rientro in
patria o comunque con frequenza ritenuta necessaria, nel caso, per
esempio, di lavoratori con patologie e/o di età > 50 anni.
Tabella I. Valutazione del Rischio Paese
Tabella II. N° lavoratori per fascia d’età
168
RISULTATI E DISCUSSIONE
Dall’inizio del nostro progetto, presso l’ambulatorio di Travel Medicine sono stati valutati n° 20 lavoratori, temporaneamente designati a
svolgere attività lavorativa presso clienti e società terze situate in un
Paese estero, valutato come area geografica a rischio.
I lavoratori esaminati, tutti di sesso maschile, appartengono prevalentemente alla fascia di età compresa tra i 40 e i 44 anni (vedi Tabella II).
I controlli sanitari effettuati (Visita medica, Esami ematochimici,
ECG, più eventuale esame audiometrico e spirometrico) non hanno fatto
apprezzare evidenze in grado di controindicare l’idoneità psico-fisica
alla trasferta.
BIBLIOGRAFIA/INTERNET LINKS:
www.viaggiaresicuri.it www.simvim.it www.who.int/ith/
www.cdc.gov/travel/reference.htm
27
FASCE ORARIE DI REPERIBILITÀ ED ESCLUSIONE DELL’OBBLIGO
DI RISPETTARLE PER DETERMINATE PATOLOGIE: VIOLAZIONE
DELLA PRIVACY?
A. Ossicini1 L. Isolani2, A. Miccio1
1 Dirigente
Medico della SMG Inail Roma
Medico ASUR ZT9 Macerata Servizio Prevenzione Sicurezza
Ambienti di Lavoro
2 Dirigente
EMPLOYERS AND ACCESS TO THE ILL WORKERS’ HEALTH
INFORMATION: AN ISSUE OF DATA PRIVACY?
ABSTRACT. Employers need access to the health information of ill
workers to assess if they are staying at home in a legally defined range
of hours. Authors assess risk resulting from disclosure of these personal
informations and health data discussing the issue of data privacy,
considering that data privacy and data access are objectives that have to
be balanced.
Key words: Data privacy, access to the health information, employer
Il controllo delle assenza dei lavoratori è stato, da sempre, un problema di difficile soluzione cui si era cercato alla fine degli anni sessanta
- art.5 dello Statuto dei lavoratori Legge n.300/1970 - di porvi rimedio in
qualche maniera dando le giuste garanzie ad entrambi le parti in causa;
da una parte si dava la possibilità al datore di lavoro di effettuare il controllo (visita fiscale) sull’assenza del proprio dipendente e dall’altra al lavoratore che tale controllo fosse affidato ad un organo pubblico (Istituto
Previdenziale); tralasceremo di soffermarci sulle modifiche intervenute a
seguito della L. n. 833/1978 (Riforma sanitaria) e s.m.i delle modalità attuative con il passaggio di competenze INPS/ASL/INPS in quanto non
rileva per le nostre considerazioni.
L’applicazione dell’art.5 da subito, però, offriva il fianco a diverse
interpretazioni in quanto, per esempio, non vi era alcuna fascia obbligatoria di reperibilità.
Alla problematica delle fasce orarie di controllo nel periodo 1983-1985
si cercò di porvi rimedio con accordo Governo e Parti Sociali - gennaio 1983
- accordo siglato al fine, espresso, di “combattere l’assenteismo che assumeva dimensioni sempre più grandi”; per la prima volta prevedeva fasce di
reperibilità ed una miglior definizione delle sanzioni. Detto accordo venne
trasformato dapprima in Disegno di legge n.463/1983 poi nella Legge
n.683/1983, che subiva modifiche non significative con i successivi D.M.
25.2.1984 e D.M. 8.1.1985; in concreto nel primo decreto venne fissata una
fascia di reperibilità di sei ore (9-12 e 16-19) passata poi nell’approvazione
definitiva a 4 ore 10-12 e 17-19 (Circ. INPS n.52 del 28.2.1985).
Le fasce, al contrario di essere un obbligo ingiustificato, venivano
definite da più sentenze, anche della Corte Costituzionale, una forma di
garanzia e tutela del lavoratore stesso in quanto se “limitate nella loro
estensione” non riducevano la liberta di movimento dei cittadini garantito dalla Costituzione, ed offrivano un periodo certo per il controllo; tali
fasce riguardavano sia i lavoratori pubblici che privati.
Fino ai primi anni duemila non vi erano state vere problematiche
collegate al controllo dei lavoratori assenti per infortuni sul lavoro ma
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sono di quegli anni due sentenze della Cassazione in parte divergenti la
n.1247/2002 e la 15773/2002; la prima fa un distinguo sul controllo per
assenze per malattia ed infortunio sul lavoro, ma solo ai fini di sanzione
del D.L asserendo che non vi era alcun obbligo di reperibilità del lavoratore infortunato sul lavoro perché non a lui si riferisce la legge sulla sanzione, la seconda le equiparava tout court.
Nel successivo quinquennio nulla di rilevante è stato portato all’attenzione dei media sino al Disegno di legge del 2008 (D.L n.112/2008)
che ha comportato forti inasprimenti nei controlli di malattia solo per i
dipendenti pubblici definiti dal Ministro Brunetta “Fannulloni!”.
L’art.71 della decreto legge di cui sopra stabiliva da una parte la
previsione di un controllo in ordine alla “…sussistenza della malattia
del dipendente anche nel caso di assenza di un solo giorno” e dall’altra
che le fasce orarie di reperibilità del lavoratore erano estese ad un
ampio lasso di tempo andando dalle ore 8.00 alle ore 13.00 e dalle ore
14 alle ore 20.00.
Di fatto 55 ore alla settimana di possibilità di controllo - qualcuno
ha chiosato la situazione come “arresti domiciliari” - creandosi una
notevole disparità tra lavoratore pubblico e privato; veniva sottolineato
da alcuni giuristi che tutto ciò appariva in contrasto con il principio costituzionale della liberta di movimento dei cittadini garantito dalla Costituzione.
Nella conversione in legge (L. n.113 del 6 agosto 2008) veniva soppresso integralmente il comma riguardante le nuove fasce orarie, risolvendo la “querelle” alla radice.
Nel dicembre, però, del 2009 con Decreto Legge n. 206 rivenivano
modulati, solo per i dipendenti pubblici, le fasce orarie che passavo da
quattro a sette ore, estendendo la fascia mattutina da 10-12 a 9 alle 13 (da
3 a 4 h.) e la pomeridiana da 17-19 a 15 alle 18 (da 2 a 3h).
Le fasce orarie nel tempo hanno avuto un andamento a fisarmonica,
ma la parte interessante del decreto non è tanto questa, quanto piuttosto
quella rappresentata dalla previsione di esclusione degli articoli 2 e 3.
Ci si riferisce (art2) all’esclusione dell’obbligo di reperibilità per alcune situazioni particolari, mai disciplinate prima e molte volte lasciate
alle decisioni delle aule giudiziarie, e come (art.3) all’esclusione di un
nuovo controllo allorché la vista fiscale sia stata già effettuata confermando la prognosi.
L’art. 2 del citato decreto prevede l’esclusione dell’obbligo di rispetto delle fasce per i soggetti con: “a) patologie gravi che richiedono
terapie salvavita; b) infortuni sul lavoro; c) malattie per le quali è stata
riconosciuta la causa di servizio; d) stati patologici sottesi o connessi
alla situazione di invalidità riconosciuta” e l’art. 3 recita che sono altresì
“esclusi i dipendenti nei cui confronti è stata già effettuata la vista fiscale
per il periodo prognosi indicati nel certificato”.
Diciamo subito che una recente sentenza della Cassazione
n.5718/2010, ha stabilito che non sono solo le cause di forza maggiore o normate - a permettere al lavoratore, assente dal servizio per malattia,
di allontanarsi da casa durante le fasce di reperibilità, ma esistono anche
altri motivi, non inevitabili ma comunque necessari a tutelare interessi
primari, che consentono di mancare l’appuntamento con la visita fiscale.
Tornando alle modifiche segnalate evidenziamo che le seconda disposizione (art.3) non merita specificazione essendo chiaro l’intendimento di evitare controlli superflui. In precedenza non essendo previsto
un limite alle visite, ci poteva essere, se richiesto, anche un controllo ravvicinato, ma già sentenze della Cassazione le avevano ritenute una “vessazione inutile” a fronte di un precedente controllo che copriva il periodo; invece la prima disposizione (art.2) è assai più interessante ed
offre il fianco a diverse considerazioni. La prima, stando al significato
letterale, in detti casi sono escluse le fasce, ma non sembrerebbero
esclusi gli eventuali controlli, la seconda che l’attuazione in concreto di
detto articolato mostra non poche difficoltà applicative a secondo della
fattispecie considerata.
Se analizziamo le quattro voci, la prima “patologie gravi che richiedono terapia salvavita” era già prevista in alcuni CCNL, e la sua normazione non può che essere ben vista, ma ciò comporta che il lavoratore deve
espressamente segnalare al Datore di lavoro la patologia di cui è affetto altrimenti non può beneficare dell’esenzione, la seconda “infortuni sul lavoro” è una novità assoluta che in parte può sanare le problematiche più e
più volte sollevate sul dovere di rispettare o meno le fasce da parte dei soggetti infortunati sul lavoro, la terza “malattie per le quali è stata riconosciuta la causa di servizio” e la quarta “stati patologici sottesi o connessi
alla situazione di invalidità riconosciuta” si riverberano sulla “privacy”.
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Come è noto è il Datore di lavoro (DL) che può richiedere una visita
fiscale, ma la certificazione che a lui perviene NON è detto che riporti
esplicitamente tali dati; la Circolare recentissima dell’INPS n.60/2010 al
punto 2.1 lett a) afferma che “l’attestato di malattia per il datore di lavoro deve essere privo di diagnosi.”, su quali basi quindi chiedere o non
chiedere la visita fiscale? Ci si domanda, peraltro, in presenza di una diagnosi sindromica il D.L. pubblico potrà essere in grado di stabilire se la
stessa è ricollegabile a “malattie per le quali è stata riconosciuta la
causa di servizio” ed ancora di più come potrebbe stabilire se “malattia”
che determina l’assenza sia “…sottesa o meno situazione di invalidità riconosciuta.”
Inoltre, dando per scontato, che il riferimento dell’invalidità riconosciuta è all’invalidità civile o all’invalidità quale esito di infortunio sul
lavoro o malattia professionale, ci si domanda come mai non vi sia alcun
riferimento non solo al punteggio di detta invalidità, e a quale tipo di patologia ci si riferisca. Non crediamo che tutte le invalidità siano uguali
anche al fuori del punteggio e messe sullo stesso piano.
L’intento, forse, era lodevole ma è stato sicuramente mal affrontato.
Ad avviso degli scriventi è stata fatta, inopinatamente, un’analogia
con l’esclusione dai controlli da parte delle Commissioni di verifica dell’invalidità civile di talune patologie croniche e/o specifiche, dimenticando che in quest’ultime situazioni chi richiedeva il controllo non poteva non essere in possesso di tutti i dati per potere decidere correttamente se chiamare o meno a visita il soggetto, mentre nella situazioni
sopra rappresentate questi dati non sono, o non dovrebbero essere assolutamente in possesso da parte di chi richiede la visita.
Si obbliga così il lavoratore a “rivelarli” al fine di potere usufruire di
tale esclusione e questa non rappresenta certamente la migliore delle soluzioni possibili.
28
SERVIZI SANITARI INAIL E SODDISFAZIONE DELL’UTENZA
(CUSTOMER SATISFACTION)
L. Calandriello, L. Bindi, S. Naldini, A. Miccio
Dirigenti Medici della Sovrintendenza Medica Generale Inail Roma
Corrispondenza: Luigi Calandriello Insil SMG P.le G. Pastore n. 6
0144 Roma
169
propria utenza riguardo ai servizi offerti, al fine di poter individuare
eventuali criticità, pianificare le azioni di miglioramento e stabilire i futuri obiettivi in maniera più mirata alle proprie esigenze.
Per verificare l’efficacia delle azioni di miglioramento messe in atto
a fronte delle criticità emerse nelle indagini degli anni precedenti, la rilevazione effettuata nel 2009, presso un campione, rappresentativo di
tutte le Direzioni Regionali, ed in modo proporzionale per le Sedi di tipo
A, B, C, ha riguardato 32 Sedi dell’Istituto, con inclusione anche di due
Sedi che avevano riportato negli anni precedenti le valutazioni medie
complessive meno positive.
MATERIALI E METODI
La rilevazione si è svolta anche quest’anno secondo il modello organizzativo e la metodologia progettati nel 2002-2003, mediante la autosomministrazione e la somministrazione di due questionari -uno nell’area Aziende ed uno nell’area Lavoratori e nel Centro Medico Legale
(CML)- così strutturati:
• una parte generale, comune ai due questionari, comprendente le domande relative ai dati socio-demografici ed alla valutazione degli
aspetti generali del servizio
• una parte specifica per ciascun questionario (questionario Aziende:
domande inerenti il relativo Processo e l’utilizzo dei sevizi offerti
on-line; questionario Lavoratori: domande inerenti il relativo Processo, il CML e l’utilizzo dei servizi offerti on-line).
Le domande delle suddette due parti sono riconducibili a fattori determinanti per la qualità del servizio, individuati dalla normativa e adottati dall’Istituto (si ricorda: comunicazione, distinta in informazione e accoglienza; affidabilità; tempestività; trasparenza).
Le valutazioni sono state espresse attraverso la seguente scala di giudizi: per niente soddisfatto/poco soddisfatto/abbastanza soddisfatto/
molto soddisfatto, cui è stato attribuito, nell’elaborazione statistica, un
valore numerico da un minimo di 1 ad un massimo di 4; ed inoltre non
so, nei casi in cui l’utente riteneva di non avere informazioni sufficienti
per esprimere una valutazione; anche i “non so” sono stati comunque tenuti in debito conto ed analizzati.
L’elaborazione dei dati di Customer Satisfaction è stata effettuata
dalla C.S.A. attraverso il software “SPSS”.Nel periodo oggetto di indagine sono affluiti nelle Sedi 9.865 utenti, di questi 7.739 hanno compilato il questionario. La percentuale di partecipazione è stata quindi molto
elevata.
Per quanto riguarda il numero di questionari compilati nei singoli
settori, la tabella sottostante evidenzia come quasi il 50% del totale sono
stati compilati presso il CML.
Parole chiave: Customer satisfaction, servizi, qualità
SANITARY SERVICES INAIL AND CUSTOMER SATISFACTION
ABSTRACT. Since 2002 INAIL periodically conducts customer
satisfaction surveys designed to meet the assessment and thus the degree
of satisfaction of its users about services offered, in order to identify
potential problems, plan actions for improvement and set future goals in
a more targeted to their needs.
The survey conducted in May 2009, involved some 32 seats of the
Institute, even with inclusion of locations that had reported in previous
years the overall averages less positive evaluations.
The survey was carried out as in previous years, by distributing two
questionnaires - one for area companies and one for area workers and
Legal Medicine Center (LMC). The assessments were expressed using
the following grading scale: not at all satisfied / dissatisfied / fairly
satisfied / very satisfied I do not know. During the period surveyed 9,865
people flocked to the seats, 7,739 of these completed the questionnaire.
Workers users were asked to express an opinion even on services of Legal
Medicine in the health Area, specific indicators of quality of service. The
average rating obtained value of the indicators of quality of service was
higher than the overall average rating recorded in all other areas of the
Institute. The investigation ultimately found clear improvements in the
years of user satisfaction Area Health.
INTRODUZIONE
Sin dal 2002 l’INAIL periodicamente conduce indagini di Customer
Satisfation dirette a conoscere, nella maniera più oggettiva e rappresentativa possibile, la valutazione e quindi il grado di soddisfazione della
Tale percentuale è in aumento non solo rispetto allo sportello
aziende ma anche rispetto allo sportello lavoratori, il che può significare
che l’afflusso di utenza in sede è legato in misura sempre più prevalente
alle visite sanitarie.
RISULTATI
Il giudizio medio complessivo espresso dall’utenza a livello di Istituto è pari a 3,22, riprendendo così il trend positivo delle precedenti rilevazioni, interrotto, sia pure di poco, nel 2008 (3,17 contro 3,18 del 2006).
È da rilevare che il giudizio complessivo, ottenuto invece dalla elaborazione delle medie di tutti i giudizi espressi in risposta alle singole domande, è leggermente superiore, e pari a 3,25.
I dati aggregati per le tre aree geografiche del Nord, Centro e
Sud/isole evidenziano, come risulta dal grafico successivo, che il Nord,
con 3,32, si attesta su un giudizio medio complessivo superiore, il Centro
sostanzialmente pari (3,21) e il Sud/Isole (3,10) inferiore al valore medio
di Istituto:
Analizzando il dato delle singole Sedi, il giudizio medio complessivo delle otto Sedi che avevano già effettuato la rilevazione negli anni
precedenti, è aumentato in 7 di esse ed in una sola Sede, pur in crescita
(da 2,82 a 2,97), è rimasto al di sotto del valore-obiettivo.
170
Il grado di soddisfazione rispetto agli aspetti generali del servizio,
relativi a tutte le categorie di utenti Inail, è stato misurato attraverso gli
indicatori riportati nella tabella sottostante.
In linea generale va sottolineato che le valutazioni ottenute sono positive ed in crescita rispetto agli anni precedenti, pur persistendo alcuni
spunti di miglioramento.
All’utenza Lavoratori è stato chiesto di esprimere un giudizio anche
sui servizi medico-legali ad essa forniti, attraverso gli indicatori riportati
nella tabella sottostante.
Prima di analizzare i giudizi espressi per questo settore, va evidenziato che, come per le prestazioni economiche, in quasi tutte le domande
si è registrata un’alta percentuale di non risposto e “non so” (da 17,5%
a 20,3% dei 5813 utenti), imputabile soprattutto a quella parte di utenza
infortunati e affetti da malattia professionale che si recava in Sede per la
prima volta (in totale 2822), e ha ritenuto quindi di non avere ancora
elementi sufficienti per esprimere un giudizio in merito ad alcuni aspetti.
Il numero dei rispondenti è tuttavia stato anche per questa sezione
più che sufficiente a garantire la rappresentatività del campione.
Il giudizio medio ottenuto sul totale dei suddetti indicatori della qualità del servizio è di 3,32, superiore pertanto al giudizio medio complessivo (3,22) emerso nelle altre aree.
Analizzando le valutazioni registrate per ciascun indicatore:
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gerimenti migliorativi proposti nei questionari vertono spesso su interventi a livello locale, per cui vanno analizzati e considerati soprattutto in
fase di individuazione ed approvazione delle iniziative di miglioramento
di competenza delle Strutture Territoriali.
CONCLUSIONI
Il sistema di Customer Satisfaction, rilevazione periodica del grado
di soddisfazione dell’utenza in merito ai servizi erogati, è stato progettato e gestito dalla DCPOC INAIL sin dagli anni 2002-2003 e seguito da
rilevazione periodica negli anni successivi. Nasce per il miglioramento
continuo dei “servizi”, nell’ottica della soddisfazione delle aspettative ed
esigenze esplicite ed implicite dei clienti, e della ricerca dell’efficienza
ed efficacia. Le valutazioni espresse costituiscono oggetto di un attento
esame, al fine di poter individuare eventuali punti critici, pianificare le
azioni di miglioramento e stabilire i futuri obiettivi in maniera più mirata
alle esigenze degli utenti. Nell’area sanitaria INAIL tale sistema ha
messo in luce, negli anni, eventuali punti critici nel servizio offerto. Tali
criticità sono state analizzate e risolte nell’ottica del sistema messo in
atto ed, infatti, nella rilevazione effettuata nell’anno 2009 ha registrato il
migliore giudizio medio complessivo di tutte le Aree dell’Istituto, pur
evidenziando ulteriori margini di miglioramento.
29
si evidenzia che sono tutte positive ed in lieve aumento rispetto allo
scorso anno ed agli anni precedenti; in particolare l’organizzazione e
puntualità delle visite mediche, pur riportando ancora la valutazione più
bassa, supera con 3,05 il valore medio - soglia (si ricorda, 3) sebbene accompagnato da un’alta percentuale di “per niente-poco soddisfatto”, comunque in miglioramento dal 25,6% al 21,7%. La riservatezza della visita medica con 3,45 si conferma l’aspetto più apprezzato di questo servizio.
L’analisi dei giudizi rapportati alle aree geografiche:
evidenzia ancora i giudizi più alti al Nord e i giudizi più bassi al
Sud/isole. Si può poi notare come, in tutte e tre le aree, la valutazione più
alta (tutela della riservatezza della visita medica) e la valutazione più
bassa (organizzazione e puntualità delle visite mediche) sono state ottenute negli stessi aspetti dei dati aggregati a livello nazionale. Rispetto ai
risultati dell’indagine precedente, si rileva inoltre che i giudizi, in generale, sono migliorati al Nord ed al Centro, mentre sono diminuiti nel
Sud/isole, dove in particolare si è registrato il solo valore medio al di
sotto della soglia, con un 2,87 riportato dall’organizzazione delle visite
mediche, che registra anche in questo caso una percentuale di giudizi negativi superiore al 15% (15,8%).
Rapportando le valutazioni espresse con le categorie di utenza:
si può osservare innanzitutto come tra le diverse categorie vi sia una sostanziale omogeneità di giudizio; in particolare coincidono la valutazione
più alta, per la tutela della riservatezza, e più bassa, per l’organizzazione
e puntualità delle visite mediche, che registra anche una percentuale di
giudizi negativi superiore al 15% in tutte le categorie. Gli eventuali sug-
PROGETTO INTERPHONE PER LO STUDIO DI “DANNI”
DALL’USO DI CELLULARI … TANTO RUMORE PER NULLA?
A. Ossicini, G. Todaro, A. Miccio
Dirigenti Medici della Sovrintendenza Medica Generale Inail
Corrispondenza: A. Ossicini Inail SMG P.le G.Pastore n.6 00144 Roma
Parole chiave: Cellulari, tumori, Interphone
INTERPHONE PLANA N RISK OF CEREBRAL TUMOR: THE
RESULS HAVE NOT BEEN CONCLUSIVE
ABSTRACT. INTERPHONE plan, promoted and coordinated from
the International Agency for research on Cancer (IARC),drafted in 1999,
was carried on from 2000 to 2004 in 13 Countries, among which Italy is
considered the greatest case-control study in the last ten year. It was
based on interviews to estimate the correlation between use of mobile
phone and risk of cerebral tumors (gliomi and meningiomi) and some
other neoplasms as acoustic nerve neurinomi and salivary glands
tumors.
The results published in May 2010 on the International Journal of
Epidemiology, have not been conclusive.
Also if there is not evidence of increased risk of meningioma among
mobile phone users, the authors state other studies are necessary.
As a matter of fact studies about acoustic nerve neurinima are not
complete.
Il progetto INTERPHONE, promosso e coordinato dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) (Agenzia dell’OMS), con
un protocollo stilato nel 1999, e realizzato tra il 2000 e il 2004 in 13
Paesi, tra i quali l’Italia, è considerato il più grande studio caso-controllo
nell’ultimo decennio incentrato sulla possibile correlazione tra utilizzo di
telefoni cellulari e il rischio di contrarre tumori al capo; basato su interviste, era finalizzato a valutare la relazione tra uso del telefono cellulare
e rischio di insorgenza di gliomi, meningiomi, neurinomi del nervo acustico e di neoplasie della parotideNonostante l’immensa portata dello studio i risultati, pubblicati con
notevole ritardo sul rivista International Journal of Epidemiology a del
maggio 2010, sono stati in realtà assai poco concludenti e significativi
per diversi ordini di motivi che evidenzieremo; lo studio è,altresì, incompleto in quanto i dati relativi al neurinoma del nervo acustico e al tumore della parotide non sono ancora resi noti.
Nello specifico, fermo restando che molte delle aspettative vertevano sull’attesa di una risposta concreta sull’esistenza di una correlazione tra esposizione ai C.E.M. ed insorgenza di neurinomi dell’acustico
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in quanto per diversi anni, sugli organi di stampa, nella prima metà degli
anni novanta, venivano segnalate problematiche in tal senso con allarmismi che non trovavano, in quel momento storico, alcun fondato e serio
motivo scientifico.
Anche per questo che venne messo in cantiere alla fine degli anni
novanta il progetto INTERPHONE e, come detto, proprio su questa fattispecie non si è arrivati ad una elaborazione definitiva - il lavoro pubblicato si conclude con l’affermazione “…non si rilevano segni di un aumentato rischio di meningioma tra gli utenti di telefoni cellulari” che
sembrerebbe tranquillizzante ma una disamina completa della pubblicazione, soprattutto in merito ai criteri di inclusione e delle regole di validazione inficiate da non pochi errori di merito e di metodo (inclusioni di
soli soggetti tra i 30 e 59 anni, è noto oggi che la fascia di utilizzo si è
notevolmente spostata sotto i 25 anni ed i giovanissimi sono i massimi
utilizzatori, il concetto di “utilizzatori regolari” che come da protocollo
venivano individuate come quelle persone che telefonavano almeno una
volta alla settimana per un periodo di almeno sei mesi per una telefonata
di circa 3 minuti, tempistica del tutto fuori luogo allorché, oggi, per motivi di lavoro ma non solo l’utilizzo è di ore giornaliere, il fatto che la
stragrande maggioranza poi degli intervistati usava il telefono da meno
di dieci anni, e sappiamo quanto è lungo è il tempo di latenza per una manifestazione tumorale etc…) e le affermazioni giustamente prudenti di alcuni componenti stessi del gruppo di lavoro che in interviste autonome
hanno affermato, a fronte delle conclusioni rassicuranti che “e necessaria
una maggiore ricerca con diversa criteriologia” e che “le osservazioni
relative al più alto livello di tempo complessivo e ai mutamenti nei modelli d’uso del telefono cellulare dal periodo di studio di INTERPHONE,
in particolare nei giovani, indicano che sono necessarie ulteriori indagini sull’uso del telefono cellulare e il rischio di cancro al cervello” propendono per un nulla di fatto.
Prima di questa pubblicazione completa le precedenti si limitavano
ad affermare che al massimo ragionevolmente, la correlazione tra cancerogenicità e le radiofrequenze poteva essere definita, secondo i vigenti dettami dell’epidemiologia, solo possibile non, quindi, probabile
né tanto meno certa, e giustamente concludevano che gli studi sull’uomo erano insufficienti per qualità, consistenza o potere statistico per
permettere una conclusione riguardo la presenza o assenza di un’associazione causale.
Anche le anticipazioni dei vari paesi su il progetto INTERPHONE
andavano in questa direzione, citiamo per esempio:
Schoemaker M. et al “Mobile phone use and risk of acoustic neuroma:
results of the Intherphone case-control study in five Nortth European
countries” Br. J Cancer 2005 Oct3,93(7):842-8, affermano che gli
studi suggeriscono non esservi un sostanziale rischio di neurinoma
dell’acustico per un uso di 10 anni; per periodi più lunghi l’incremento di rischio può non essere escluso
Schlehofer B. et al. “Environmental risk factors for sporadic acoustic
neuroma (Interphone Study Group, Germany)” Eur J Cancer. 2007
Jul;43(11):1741-7, sostengono non sussistere alcun incremento di rischio per insorgenza di neurinoma dell’acustico da uso “regolare” di
“cellulare”
Hours M. et al. “Cell phone and Risk of brain and acoustic nerve tumours: The French INTERPHONE case-control study” Rev Epidemiol Sante Publique 2007 Oct;55(5):321-32, confermano l’assenza
di associazione tra uso “regolare” del telefono cellulare e il rischio
di contrarre il neurinoma del n. acustico, affermano, altresì, la possibilità di un aumento di rischio nei soggetti che usano pesantemente
(heaviest) il “cellulare” per periodi prolungati dati, quest’ultimi, da
verificare.
L’attesa quindi sul report i finale era quindi grande, è sufficiente andare in rete e si trovano numerosi articoli in cui si segnalava da una parte
il ritardo della pubblicazione di un lavoro terminato nel 2004 ma dall’altra che il ritardo poteva essere giustificato in quanto una volta per
tutte dopo questo studio si sarebbero avute notizie chiare in tal senso, e
la stessa Commissione europea del W.H.O (/World Health Organization)
aveva ritenuto di far presente in maniera perentoria che “…fino a quando
lo studio Interphone non sarà ufficialmente reso pubblico, qualsiasi conclusione sui rischi derivanti dall’uso del telefonino non potrà essere considerata attendibile.”
A maggio di questo anno è avvenuta la pubblicazione che ha destato
non poche perplessità negli addetti ai lavori, però alla fine tutti, o quasi
tutti hanno concluso che le risultanze del l poderoso studio non era asso-
171
lutamente definitivo, come a dire si sono spesi milioni di euro inutilmente in quanto nulla di definitivo è stato detto.
Non ci preoccupiamo delle polemiche collegate al finanziamento
perché da una parte le conclusioni non sono definitive e perché dall’altro
leggiamo nel Commento allo studio Interphone del gennaio 2009 (lega
svizzera contro il cancro) la dichiarazione di G. Durrenberger et al. che
”Il budget di ricerca di oltre 7 milioni di Euro. Nell’ambito del 5° programma di ricerca, la UE ha partecipato al progetto con 3,85 milioni di
Euro. La somma restante è stata fornita dall’industria (3.5 mil. di Euro)
e da enti nazionali dei paesi partecipanti Il finanziamento fornito dall’industria è stato consegnato ai ricercatori tramite la “Union Internationale Contre le Cancer” (UICC) con sede a Ginevra. La UICC ha così
svolto una funzione di firewall nei confronti dei finanziatori Mobile Manufactures Forum (MMF) e GSM Association (GSMA). Nei contratti, la
UICC concedeva ai team di Interphone piena autonomia della ricerca”
che dovrebbe sgombrare il campo da polemiche sterili, ci preoccupiamo
invece di come è stata data la notizia da alcuni media che hanno alta “penetrabilità”.
Infatti nel maggio del c.a il TG1 ha dato la notizia della pubblicazione del resoconto completo del progetto INTERPHONE ed il servizio
sulla questione iniziava con un affermazione perentoria che non trova alcuna giustificazione “Uno studio assolve i cellulari” e crediamo che una
informazione così distorta non sia assolutamente utile.
In conclusione se le aspettative con la pubblicazione completa della
prima parte dello studio completo relativo al rischio di tumori cerebrali
(gliomi e meningiomi) è stata, per molti addetti ai lavori è andata delusa,
per gli stessi motivi dapprima rappresentati anche dalla pubblicazione
definitiva relative alle altre neoplasie (neurinomi del nervo acustico e tumori delle ghiandole salivari non crediamo che ci si debbano aspettare
grosse novità in considerazione che i parametri che hanno inficiato il
primo rapporto sono gli stessi.
Probabilmente dati più interessanti e significativi potranno arrivare
dal nuovo progetto intitolato MOBI-KIDS, finanziato dall’Unione Europea, proprio per indagare quella fascia di età che non era coperta da INTERPHONE ben tenendo presente che nell’ultimo decennio si è avuto
un rapidissimo incremento dell’uso del cellulare e che i tempi di “conversazione/ascolto” sono aumentati in modo esponenziale tanto che i
tempi previsti nell’originario progetto Interphone ci appaiono lontani
anni luce e comunque, allo stato non si ha ancora alcuna certezza sul fatto
se le onde elettromagnetiche siano o meno nocive.
30
PREVALENZA DELLA SINDROME METABOLICA
IN UNA POPOLAZIONE DI LAVORATORI EDILI
A. Lepidi, G. Piscina, F. Della Betta, L. Tobia, A. Paoletti
Chair and School of Occupational Medicine, University of Study of
L’Aquila, Department of Internal Medicine, Regional Hospital, Coppito,
67010, L’Aquila, Italy
Corrispondenza: [email protected]; Phone number: +390862434645
OCCURRENCE OF METABOLIC SYNDROME IN A GROUP OF
BUILDING WORKERS
ABSTRACT. Introduction: Metabolic syndrome is defined as the
simultaneous presence of different cardiovascular risk factors that
increase probability of strokes. The aim of this study was to assess the
frequency of metabolic syndrome and related risks in a group of
construction workers. Subjects, materials and methods: the sample
examined consists of 690 male workers divided into 2 groups: italian
(aged between 20 and 74 years) and foreigners (aged between 18 and 68
years). The sample was subjected to clinical investigation, blood
examination (in particular CBC with formula, glucose, transaminases,
triglycerides, cholesterol, creatinine, BUN) and urinalysis. Results: In
agreement with previous studies, the survey revealed prevalence of
metabolic syndrome in Italian population to be higher than in foreign
workers. Furthermore builder and the laborer resulted to be the most
affected group for both populations examined with a correlation between
172
the occurrence of metabolic syndrome and alcohol consumption. In
addiction among the Italian group, a good correlation between the
metabolic syndrome and BMI (body mass index) was found. Discussion:
Occupational physician’s management of building workers affected by
this syndrome is a complex task that requires an integrated approach
involving all the subjects of prevention. In this occupational sector
medical surveillance assumes even more a basic role for prevention and
promotion of safety and health.
Key words: Metabolic syndrome, alcohol consumption, building
workers
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Tabella I. Correlazione tra la percentuale dei casi di sindrome
metabolica e BMI dei lavoratori nella popolazione italiana
INTRODUZIONE
La sindrome metabolica viene definita come la concomitante presenza nello stesso soggetto di una serie di fattori di rischio cardiovascolare che determinano un netto aumento della probabilità di eventi ischemici su base aterosclerotica (1, 2). Lo scopo del presente studio è la valutazione della prevalenza della sindrome metabolica in una popolazione
di lavoratori edili.
SOGGETTI, MATERIALI E METODI
L’indagine, condotta tra aprile 2009 e marzo 2010, è stata effettuata
su una popolazione di 690 lavoratori, suddivisi in 489 italiani e 201 stranieri, tutti di sesso maschile reclutati presso diverse imprese edili operanti nelle regioni del Centro Italia, in particolare nel Lazio, Abruzzo e
Molise. La sottopopolazione di nazionalità italiana aveva un’età compresa tra i 20 e 74 anni (età media 45 ± 10,5; anzianità lavorativa 20,3 ±
11,3), la sottopopolazione di nazionalità diverse aveva un’età compresa
tra i 18 e i 68 anni (età media 38,8 ± 10,4; anzianità lavorativa specifica13,6 ± 8,6). Tutti i soggetti reclutati sono stati sottoposti, come da
protocollo sanitario, ad accertamenti clinico- strumentali di I livello, in
particolare: visita medica con misurazione dei valori pressori,calcolo del
BMI, misurazione della circonferenza addominale, somministrazione del
CAGE test per verificare il grado di consumo alcolico (3), questionario
apparato respiratorio, questionario anamnestico delle patologie degli arti
superiori e del rachide, esami ematochimici di screening, esame urine,
elettrocardiogramma basale, spirometria ed esame audiometrico. Per alcuni lavoratori è stato necessario eseguire accertamenti specialistici di II
livello in base ai risultati degli esami di screening, alla valutazione della
sintomatologia, alla storia clinica ed all’impegno cardiovascolare richiesto dalla mansione specifica. Gli esami di II livello hanno compreso
l’esecuzione di visita specialistica cardiologica ed eco-colordoppler carotideo. Dalla popolazione generale costituita da 690 lavoratori, ai fini
del nostro studio, sono stati selezionati i lavoratori che svolgevano le
mansioni più rappresentate numericamente e a maggior impegno energetico, quest’ultimo valutato mediante la presa visione del DVR (Documento di Valutazione dei Rischi) di ogni singola impresa edile coinvolta
nello studio, in modo particolare studiando la valutazione della movimentazione manuale dei carichi. Non essendo stata condotta una valutazione della movimentazione manuale dei carichi specifica per mansione
in ogni singolo DVR analizzato (solo in alcuni era riportata la suddivisione per mansione), si è potuto classificare l’impegno fisico complessivo dei lavoratori esaminati suddividendo il campione in relazione agli
indici di movimentazione secondo il metodo NIOSH (4, 5). Sulla base
dei dati in possesso è risultato che per la quasi totalità della popolazione
esaminata, l’indice di sollevamento era compreso tra 1.25 e 3.0, una situazione quindi al di sopra del livello di rischio.
RISULTATI
Dalla nostra indagine emerge che la prevalenza della sindrome metabolica differisce nelle due sottopopolazioni studiate: in particolare,
nella sottopopolazione italiana la prevalenza totale è del 17%; nella sottopopolazione di etnie straniere la prevalenza totale è del 9%. Andando
ad esaminare le singole categorie, le mansioni muratore e manovale
hanno registrato il maggior numero di casi di sindrome metabolica, sia
nella popolazione italiana che in quella di etnie diverse; in particolare 6
casi (età media 48.8) per la mansione muratore e 5 casi (età media 40.2)
per la mansione manovale nella sottopopolazione italiana e 3 casi (età
media 44.9) per la mansione muratore e 4 casi (età media 35.7) per la
mansione manovale nella sottopopolazione costituita da etnie straniere.
Ponendo in correlazione la prevalenza dei casi di sindrome metabolica e
la percentuale di consumatori abituali di alcol, sia nella popolazione italiana come anche in quella di etnie diverse si rileva una maggiore asso-
Tabella II. Correlazione tra la percentuale dei casi di sindrome
metabolica e BMI dei lavoratori nella popolazione di etnie diverse
ciazione del consumo di alcol con la prevalenza dei casi di sindrome metabolica per le mansioni di muratore e manovale. Dal confronto invece
con il BMI si evince una buona correlazione tra questo parametro ed i
casi di sindrome metabolica (R2= 0,74) nella popolazione italiana,
mentre non si ha una correlazione altrettanto significativa nella popolazione costituita da etnie diverse.(tab. I, II).
DISCUSSIONE
Il nostro studio risulta essere in accordo per molti aspetti con studi
di letteratura condotti nel Sud- Est asiatico e con lo studio europeo DECODE (6, 7). Dai risultati si potrebbe dedurre una correlazione positiva
tra consumo di alcol e casi di sindrome metabolica. Dal confronto con il
BMI invece, non si ha una correlazione altrettanto significativa tra questo
parametro e la prevalenza di sindrome metabolica nella popolazione costituita da etnie diverse. Questo risultato è probabilmente legato ad un diverso regime alimentare, più ricco di lipidi negli italiani e più controllato
nelle altre etnie. Le alterazioni dei parametri che definiscono la sindrome
metabolica sono dunque facilmente evidenziabili contemporaneamente
nel corso della visita aziendale; da qui nasce la difficoltà da parte del Medico Competente a gestire le idoneità dei lavoratori affetti, in un settore,
quello dell’edilizia, considerato proibitivo rispetto al grado di impegno
fisico richiesto. Il Medico Competente deve assumere pertanto un nuovo
ruolo, maggiormente integrato nel contesto aziendale e con un raggio di
azione più ampio. La sorveglianza sanitaria strumento principe a disposizione del Medico Competente, deve essere intesa quindi non come sistematico vestificio, ma come un processo complesso e articolato finalizzato alla prevenzione, alla sicurezza e alla promozione della salute dei
lavoratori.
BIBLIOGRAFIA
1) Morgagni GB: The seats and causes of diseases investigated by anatomy (De sedibus et causis morborum per anatomen indagata). Remondini, Padova, 1975.
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and cardiovascular disease mortality in middle-aged man. JAMA
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risk in South Asians. Lancet 337:382- 386, 1991.
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K; DECODE Study Group of the metabolic syndrome and its relation to all-cause and cardiovascular mortality in non diabetic European men and women. Arch Intern Med 2004;164:1066-76.
cardiovascolari (cardiovascular disease, CVD) rappresentano una tra le
principali cause di morte e di disabilità nei paesi industrializzati e in
Italia rappresentano la causa del 39% di tutte le morti nella popolazione
generale e del 19% nella fascia d’età lavorativa (ISTAT 2007). L’interesse per l’idoneità lavorativa specifica di un lavoratore cardiopatico addetto a turni è determinato sia dall’aumento dell’incidenza/prevalenza
della patologia nella popolazione in età lavorativa, legata anche al progressivo incremento dell’età pensionabile sia all’evidenza in letteratura
di un possibile rapporto tra lavoro a turni e insorgenza/aggravamento di
tali patologie, in particolare cardiopatia ischemica (1-2), eventi ischemici
cerebrali (3) e ipertensione arteriosa (4).
31
RISULTATI
Lo studio ha riguardato 2787 lavoratori. Le mansioni maggiormente
rappresentate erano infermieri (50%), medici (25%) e OSS/OTA (15%);
l’età media (DS; min-max) era di 37(10; 18-70) anni e il sesso femminile
era prevalente (rapporto di mascolinità 0,5) (Tabella I). 288/2787 (10%)
avevano una diagnosi di CVD. Le patologie cardiovascolari maggiormente osservate erano l’ipertensione arteriosa (23%), le patologie cerebrovascolari (16%) e delle valvole cardiache (12%) e la cardiopatia
ischemica (8%) (dati non mostrati).
Nei lavoratori portatori di patologia CV il rapporto di mascolinità
era 0,8 e l’età media era di 45(9; 20-64) anni. La frequenza di CVD si attestava attorno al 10% in tutte le mansioni esaminate, ad eccezione dei
lavoratori dell’area tecnica in cui si osservava una prevalenza del 23%
(Tabella II). Per 40/288 (14%) lavoratori portatori di CVD tale patologia
ha determinato l’emissione di un giudizio di idoneità lavorativa con una
limitazione delle attività lavorative assegnate.
La distribuzione per mansioni di questi 40 soggetti è riportata in Tabella II: i medici, gli OSS/OTA e i tecnici sanitari risultavano limitati in
1/5 dei casi, mentre tale rapporto si riduceva a 1/10 negli infermieri e nei
PATOLOGIA CARDIOVASCOLARE E IDONEITÀ PER LAVORO
A TURNI NEGLI OPERATORI SANITARI: L’ESPERIENZA
DEL SERVIZIO MEDICO COMPETENTE DELL’A.O.
LUIGI SACCO DI MILANO
S. Fossati1,2, M. Ronchin1, R. Zingoni1, I. Cucchi1, A. D’Alcamo1,
T. Macario2, E. Omeri1, C. Piretti1, F. Tonelli1, P. Carrer1,2
1 U.O. Medicina del Lavoro, A.O. “Luigi Sacco”, Milano, via G.B. Grassi
74, 20157 Milano
di Medicina del Lavoro, Sezione Ospedale Universitario
“Luigi Sacco”, Università degli Studi di Milano, via G.B. Grassi 74,
20157 Milano
2 Dipartimento
Corrispondenza: [email protected]
CARDIOVASCULAR DISEASE AND FITNESS TO SHIFT WORK
IN HEALTH CARE WORKERS IN AN IMPORTANT ITALIAN
HOSPITAL
ABSTRACT. The interest for fitness at shift work in subjects
suffering from cardiovascular disease, CVD, is due to both the increased
incidence/prevalence of this disease in the working population, and the
evidence in the scientific literature of a correlation between shift work
and the onset/worsening of CVD.
A descriptive analysis of the health surveillance (January 2003 July 2010) of workers from “Luigi Sacco” University Hospital (Milan,
Italy) has been performed, in particular in physicians and surgeons
(MDs), nurses, technicians, other health workers and maintenance
workers. 2787 workers have been studied (50% were nurses, 25% MDs):
mean(SD) age 37(10) yy and masculine ratio 0.5. 288/2787 (10%) of
workers was suffering from CVD, in particular arterial hypertension and
cerebrovascular disease: mean(SD) age 45(9) and masculine ratio 0.8.
In the maintenance workers the prevalence of CVD was higher (23%).
40/288 workers were not completely fitted to work, and 26 out of these
40 (14%) were unsuitable for shift work.
In conclusion, a small percentage of workers suffering from CVD
has been considered unsuitable for shift work, probably due to strict
assessment criteria.
Key words: Cardiovascular disease, shift work, health care workers
INTRODUZIONE
L’interesse per le patologie correlate al lavoro a turni è andato crescendo negli ultimi decenni. In Europa e in Italia il 17,8% ed il 18,8%
della popolazione lavorativa svolge lavoro a turni (EUROSTAT 2007). In
Europa il 35,5% dei lavoratori a turni e notturni sono impiegati nel settore sanitario (Fondazione Europea di Dublino del 2005). Le patologie
MATERIALI E METODI
Analisi descrittiva della Sorveglianza Sanitaria dell’Azienda Ospedaliera - Polo Universitario “Luigi Sacco” di Milano riguardante medici,
infermieri, OSS/OTA, tecnici di laboratorio/radiologia, area tecnica.
Sono state considerate le visite effettuate dal Servizio del Medico Competente nel periodo 01/01/2003 - 31/04/2010, e identificati i lavoratori
portatori di una condizione clinica riconducibile ad uno dei seguenti
gruppi di patologia CV: disturbi del ritmo cardiaco, patologie valvolari
cardiache, cardiomiopatia, cardiopatia ischemica, patologia cardiovascolare ipertensiva, patologie aortiche, patologie vascolari delle estremità,
vasculopatia cerebrale e altre patologie cardiovascolari.
Tabella I. Caratteristiche del campione in studio
Tabella II. Distribuzione per mansioni dei 2787 lavoratori indagati,
suddivisi per portatori e non portatori di patologia cardiovascolare
174
lavoratori dell’area tecnica. Nel 65% dei lavoratori limitati la limitazione
riguardava il lavoro a turni, ossia nella totalità dei medici e dei tecnici sanitari limitati, e nel 50% e 22% degli infermieri e degli OSS/OTA limitati rispettivamente.
DISCUSSIONE
In questo studio condotto sui lavoratori dell’A.O. “Luigi Sacco” di
Milano le caratteristiche come sesso ed età appaiono dipendenti dalla
mansione. La prevalenza del genere femminile è dovuta alla netta preponderanza di tale genere negli infermieri, che costituiscono più della
metà della popolazione studiata, e il lieve sbilanciamento verso il sesso
femminile nei lavoratori affetti da CVD è verosimilmente da imputare
alla popolazione di partenza. La differenza nell’età media osservata negli
infermieri, più bassa di circa 5-10 anni rispetto agli altri lavoratori, è verosimilmente dovuta all’inclusione degli studenti del Corso di Laurea in
Infermieristica. Nei lavoratori dell’area tecnica (es. manutentori, elettricisti, ecc.) si osservava una prevalenza della patologia CV doppia rispetto a quella osservata nella restante popolazione lavorativa. Questa
evidenza potrebbe in parte essere dovuta all’età media più alta e alla
quasi assoluta prevalenza del sesso maschile in tale sottogruppo (entrambi predittori indipendenti di rischio CV), nonché a stili di vita particolari (es. abitudine al fumo di sigaretta). A fronte di una prevalenza della
patologia cardiovascolare doppia, in questi lavoratori si osservava una
percentuale assai ridotta di soggetti con limitazione. Tale riscontro potrebbe essere dovuto sia alle caratteristiche che alla gravità delle patologie presenti in tale gruppo, seppur le caratteristiche di questi lavoratori
(età media e prevalenza del genere maschile) non depongano a favore di
tale ipotesi. È interessante notare come la totalità dei medici limitati
perché affetti da CVD siano limitati rispetto ai turni, costituendo la metà
dei limitati per tale motivo.
In conclusione, il servizio del medico competente ha emesso un giudizio di limitazione dei compiti lavorativi in una percentuale ridotta dei
lavoratori affetti da patologia cardiovascolare. Questo andamento potrebbe essere giustificato dai criteri adottati per esprimere una limitazione: recente insorgenza della patologia, andamento arresto-ripresa (es.
crisi ipertensive durante l’attività lavorativa), esigenza di un periodo per
instaurare e stabilizzare la terapia farmacologica, scarsa risposta alla terapia farmacologica. Appare comunque necessaria nel prossimo futuro
un’analisi approfondita delle caratteristiche e della gravità delle patologie osservate, perfezionando inoltre la valutazione dei rischi connessi
al lavoro a turni, anche considerando i fattori di rischio individuali e legati allo stile di vita.
BIBLIOGRAFIA
1) Tenkanen L., Sjoblom T., Kalimo R., Alikoski T. and Harma M.
Shift work and coronary heart disease over 6 years follow-up in the
Helsinki Heart Study. Scan J Work Environ Health 1997;23:257-65.
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Cohort Study. Hypertension 2008;52;581-586
32
ACCERTAMENTO DI ASSENZA DI TOSSICODIPENDENZE
ED USO/ABUSO DI ALCOL NEI LUOGHI DI LAVORO.
ESPERIENZE SUL CAMPO
F. Spagnoli, S. Di Lorenzo, G. Michetti, L. Tobia, A. Paoletti
Chair and school of Occupational Medicine, University of Study of
L’Aquila, Department of Internal Medicine, Regional Hospital, Coppito,
67010, L’Aquila, Italy.
Corrispondenza: [email protected]; Phone number: +390862434645.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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DRUG ADDICTION AND ALCOHOL USE/ABUSE ASSESSMENT
IN THE WORKPLACE. EXPERIENCE IN THE FIELD
ABSTRACT. Introduction: The aim of our survey was to verify, in a
group of urban and extra urban transport workers, alcohol use\abuse
and drug addiction.
Subjects materials and methods: 511 bus drivers participated to our
study (mean age 41,6 years 10,01, mean working-age 14 years ± 10,31).
CAGE test and a blood sample (CDT, γGT, MCV, ALT, AST) were used in
order to evaluate alcohol use\abuse. The sample was divided into 5 age
classes and 4 categories of alcohol consumption (teetotaler, occasional,
moderate and habitual consumer). For drug addiction, first level medical
assessments were made: physical examination and toxicological-analytic
test on an extemporaneous urine sample in agreement with guidelines.
Results and discussion: 3 workers (2 to metabolites of THC and 1 to
cocaine) were positive to the first level toxicological test. The
confirmatory test reduced the positivity to 2. Correlation between MCV
and the attitude to drink appeared significant (R2=0,79). CDT is the
parameter with the most sensitivity and specificity that alters the value
also in the occasional consumers.
Then it can be stated that MCV is the more useful in a moderate
consumers population and CDT in a non moderate one. CDT has been
correlate also to other parameters: AST and ALT (R2=0,83) and γGT
(R2=0,62).
Key words: drug-addiction, alcohol consumption, carbohydratedeficient-transferrin (CDT)
INTRODUZIONE
L’uso di bevande alcoliche rappresenta un’abitudine alimentare e
culturale diffusa nel mondo occidentale. L’abuso alcolico è la compromissione dell’esistenza correlata all’alcol che interferisce con le normali
funzioni dell’individuo, mentre la dipendenza alcolica è la necessità di
assunzione di alcol, accompagnata da un’aumentata tolleranza all’etanolo o a segni fisici di astinenza. Le bevande alcoliche possono influenzare il comportamento dell’uomo al lavoro, agendo come concausa di
danno e creando fattori di confondimento nella diagnosi differenziale
delle malattie professionali (1). Per droga si intende una sostanza psicoattiva che agisce sul SNC e altera l’equilibrio psicofisico dell’organismo. L’abuso è l’uso voluttuario e non terapeutico delle sostanze psicoattive che porta a menomazione, a disagio clinicamente significativo o
a incapacità di adempiere a compiti lavorativi; la tossicodipendenza è
l’incapacità di mantenere uno stato di benessere fisico e mentale senza il
ricorso alla droga (2). L’obiettivo dello studio è stato quello di verificare,
in un gruppo di lavoratori addetti al trasporto urbano ed extraurbano,
l’uso cronico di alcol etilico e l’uso\abuso di sostanze stupefacenti.
MATERIALI E METODI
La popolazione arruolata è composta da 511 conducenti di autobus
addetti al trasporto pubblico, con età media di 41,6 anni (ds=10,01) ed
una anzianità lavorativa media specifica di 14 anni (ds=10,31). Ai soggetti arruolati, previo consenso al trattamento dei dati personali, è stato
somministrato il questionario CAGE (Cut down, Annoyed by criticism,
Guilty about drinkers, Eye opened drinkers). Per la verifica
dell’uso\abuso di alcol è stato effettuato un prelievo di sangue venoso
con valutazione dei seguenti parametri laboratoristici: CDT (transferrina
decarboidrata), γGT, MCV, AST, ALT. La popolazione è stata suddivisa
in 5 classi di età ed in 4 categorie di consumo di alcol (astemi, consumatori occasionali, consumatori moderati, consumatori abituali). A ciascuna
delle categorie di consumo di alcol e classi di età ottenute sono stati associati i valori medi dei parametri ematici analizzati. Per la verifica dell’uso\abuso di sostanze psicotrope e stupefacenti i lavoratori sono stati
sottoposti ad accertamenti di I livello: visita medica e test tossicologicoanalitico su un campione di urine raccolto estemporaneamente. I campioni prelevati sono stati stoccati in tre appositi contenitori monouso
come previsto dalla normativa: 1\3 aliquota A per test anti-adulterazione
e test immunologico rapido con “Triage TOX Drug Screen” ed analizzatore “Triage Meter Plus”, 1\3 aliquota B per l’eventuale test di conferma
in cromatografia accoppiata a spettrometria di massa, 1\3 aliquota C per
l’eventuale test di revisione in cromatografia e spettrometria di massa.
RISULTATI
L’obiettivo dell’analisi dei dati è stato di evidenziare la correlazione
tra le “categorie di bevitori” ed i valori medi analitici ottenuti dal prelievo
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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ematologico. Di rilievo è apparsa la correlazione tra MCV ed attitudine al
bere (R2 = 0,79); debole invece quella tra CDT ed attitudine al bere
(R2=0,01). La CDT viene considerata dalla comunità internazionale il parametro con maggiore sensibilità e specificità riguardo l’assunzione cronica di alcol, la cui accuratezza altera i valori di CDT anche per bevitori
non moderati (3). Ciò spiega ragionevolmente la non correlazione tra
CDT ed attitudine al bere. Si può, di conseguenza, affermare che l’MCV
è più utile in una popolazione di consumatori moderati\abituali di alcol
mentre la CDT lo è per le categorie di minor consumo. In seconda analisi
la CDT è stata correlata con gli altri parametri studiati, evidenziando una
discreta dipendenza lineare con AST e ALT (R2=0,83) e gamma GT
(R2=0,62). È stata inoltre evidenziata una proporzionalità diretta tra età
anagrafica e consumo di alcol (R2=0,75), CDT(R2=0,65) ed MCV
(R2=0,90). Abbiamo osservato un’ottima correlazione lineare tra MCV e
CDT ed età anagrafica così come tra l’attitudine al bere e l’età anagrafica.
Per quanto concerne il protocollo droghe, al test tossicologico di
primo livello, su 511 soggetti analizzati, sono stati riscontrati 3 casi di
positività, 2 al metabolita THC ed uno alla cocaina. Al test di conferma,
effettuato con cromatografia accoppiata a spettrometria di massa sull’aliquota B del campione raccolto, ha ridotto il numero dei positivi a 2 casi,
in quanto uno dei positivi al THC è poi risultato negativo. Non è stato
possibile effettuare analisi statistiche significative a causa del numero ridotto di positività.
DISCUSSIONE
La diagnosi e la prevenzione dell’alcol-dipendenza si basano oggi
sull’utilizzo di strumenti di consolidata efficacia quali GGT, MCV, AST,
ALT ai quali si affianca la recente introduzione nella pratica di laboratorio del dosaggio della CDT per l’individuazione dell’abuso cronico (4,
5). I nostri risultati avvalorano questa tesi, in quanto in ambito lavorativo, la CDT è il parametro più importante per la diagnosi dell’abuso
cronico di bevande alcoliche; tale parametro mostra un’utilità maggiore
se integrato da dati anamnestici e dall’utilizzo di specifici questionari
validati quali il CAGE, MAST, MALT 1 e 2, AUDIT (5, 7).A nostro parere, la problematica legata all’assunzione di alcol deve entrare a far
parte del processo di valutazione dei rischi non solo in relazione al semplice uso\abuso ma anche agli eventi infortunistici e ai loro possibili determinanti.
Per quanto riguarda la diagnosi e la prevenzione delle condotte di
uso\abuso di sostanze stupefacenti, disponiamo di test tossicologici per
valutare la positività nei confronti di una sostanza; in aggiunta il medico
del lavoro può avvalersi, attraverso la sorveglianza sanitaria, dei propri
strumenti quali l’esame obiettivo e l’anamnesi professionale (6, 7). Per
ridurre il consumo di sostanze stupefacenti assunte anche in maniera occasionale, oltre alle sanzioni di inidoneità temporanea alla mansione, è
opportuno sviluppare, in collaborazione con le varie figure aziendali
(DDL, RSPP, RLS) un programma di counselling aziendale specifico mirato a formare ed informare i lavoratori sui rischi e le conseguenze anche
del solo consumo occasionale (8, 9).
BIBLIOGRAFIA
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Felice: Scientific Press 1995;
2) Gagliano-Candela R. Tossicologia forense in schemi tabelle e testo.
Giuffrè editore, 2001; cap IV, 123-133;
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nell’Unione Europea. 2001;
9) Prevention source BC. Promoting prevention in the workplace. Drug
use in the workplace.1999
175
33
ESPOSIZIONE DEI CARRELLISTI A VIBRAZIONI TRASMESSE
AL CORPO INTERO
A. Peretti1, F. Bonomini2, F. Pedrielli3, A. Pasqua di Bisceglie4
1
Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università di
Padova, via Giustiniani 2, 35128 Padova
2 Peretti e e Associati srl, via Ivrea 1/4, 35142 Padova
3 IMAMOTER - CNR, via Canal Bianco 28, 44124 Cassana (Ferrara)
4 Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica, Università di
Padova, via Giustiniani 2, 35128 Padova
Corrispondenza: [email protected]
Parole chiave: Vibrazioni, Carrelli elevatori, Sedili
EXPOSURE TO WHOLE-BODY VIBRATION FOR FORKLIFT
TRUCKS OPERATORS
ABSTRACT. Vibration data were collected for 131 forklift trucks.
The frequency-weighted acceleration values allowing the risk assessment
as defined by Italian law range from 0.2 and 0.5 m/s2 (56% of trucks),
from 0.5 and 1.0 m/s2 (42%), from 1.0 and 1.3 m/s2 (2%). In the
hypothesis of a 6 hour working shift, the operator exposure is lower than
0.5 m/s2 (for 70% of trucks), between 0.5 and 1.0 m/s2 (29%), higher
than 1.0 m/s2 (1%). In conclusion, vibrations emitted by forklift trucks
may constitute a risk for operators, in certain working conditions.
This investigation indicated also that vibration exposure is
influenced by many different aspects, especially travelling speed, terrain
conditions, impacts with materials or pallets, and seats and wheels
characteristics. Actions taken on these parameters will be effective for
reducing the vibration exposure.
Key words: Vibration, Forklift trucks, Seats
INTRODUZIONE
I carrelli a motore elettrico o a combustione interna sono ampiamente utilizzati negli stabilimenti e nei magazzini per la movimentazione
dei materiali. In genere i lavoratori addetti a tali mezzi svolgono esclusivamente la mansione di carrellista, risultando così esposti a vibrazioni
trasmesse al corpo intero in misura spesso quasi continua per l’intero
turno di lavoro. Dalla letteratura emerge che questi lavoratori accusano
disturbi a carico del rachide quali la lombalgia o la lombosciatalgia. È
stata quindi svolta una ricerca mirata alla valutazione delle vibrazioni
presenti su una quantità elevata di tali mezzi e finalizzata all’individuazione dei fattori che determinano il rischio e degli interventi in grado di
ridurlo.
MATERIALI E METODI
Presso 14 aziende sono stati esaminati 131 carrelli: 97 del tipo più
diffuso (carrelli elevatori frontali controbilanciati) e 34 di altre tipologie
(carrelli commissionatori, a montante retrattile, stoccatori, transpallet,
trattori da traino). Dei 131 carrelli considerati, 114 sono dotati di sedile,
17 di pedana per la guida in piedi. Ciascun carrello è stato esaminato durante le normali attività per circa 10 minuti.
Le vibrazioni sono state rilevate mediante due accelerometri triassiali. Nel caso del sedile, il primo trasduttore (inserito all’interno di un
piatto di gomma) è stato collocato sul piano del sedile, mentre il secondo
è stato vincolato al basamento dello stesso sedile mediante magnete. Nel
caso della pedana, i due accelerometri sono stati fissati tramite magnete
sulla medesima pedana a sinistra e a destra dei piedi. Gli accelerometri
sono stati collegati ad un dispositivo di misura multicanale posto a bordo
del carrello, controllato da un PC collocato a terra e connesso al dispositivo in modalità wireless.
RISULTATI
Dalla figura 1, in cui è riportata la distribuzione dei valori delle vibrazioni rilevate sui tre assi, emerge che le vibrazioni maggiori si presentano sull’asse verticale a causa dei sobbalzi e delle oscillazioni del
carrello in traslazione su una superficie non uniforme; minori le vibrazioni sull’asse longitudinale dovute anche agli urti con i materiali e i pallets; ancora minori le vibrazioni sull’asse trasversale. La figura evidenzia
176
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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Hoy J, Mubarak N, Nelson S, Sweerts de Landas M, Magnusson M,
Okunribido O, Pope M. Whole body vibration and posture as risk
factors for low back pain among forklift truck drivers. Journal of
Sound and Vibration 2005; 284: 933-46.
Schwarze S, Notbohm G, Dupuis H, Hartung E. Dose-response relationship between whole body vibration and lumbar disk disease - a field
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Shinozaki T, Yano E, Murata K. Intervention for prevention of low back
pain in Japanese forklift workers. Am J Ind Med. 2001; 40(2): 141-4.
Figura 1. Distribuzione all’interno di intervalli di 0.1 m/s2 dei valori
delle accelerazioni equivalenti ponderate in frequenza rilevate sul
piano del sedile o sulla pedana dei carrelli lungo gli assi
longitudinale, trasversale e verticale
la rilevante variabilità dei valori delle vibrazioni in particolare verticali,
determinata non tanto dalla marca e dal modello del singolo carrello,
quanto dalle sue condizioni e dalle modalità di utilizzo.
34
STUDIO LONGITUDINALE DELLA FUNZIONE VASCOLARE
PERIFERICA IN LAVORATORI ESPOSTI A VIBRAZIONI
MANO-BRACCIO NELL’INDUSTRIA DEI MOTORI NAVALI
F. Ronchese, M. Mauro, M. Bovenzi
DISCUSSIONE
Ai sensi del D.Lgs. 81/2008 per la valutazione del rischio si considera il valore massimo della terna dei valori riscontrati sui tre assi, previa
moltiplicazione dei valori delle vibrazioni orizzontali per il fattore 1.4.
Facendo riferimento ai valori di azione (0.5 m/s2) e limite (1.0 m/s2) stabiliti dal decreto, emerge che i valori delle vibrazioni determinanti il rischio risultano compresi tra 0.2 e 0.5 m/s2 (56% dei carrelli), tra 0.5 e 1.0
m/s2 (42%), tra 1.0 e 1.3 m/s2 (2%). Le esposizioni dei carrellisti si distribuiscono quindi nelle tre fasce sopra indicate qualora l’attività dei
medesimi sia di 8 ore/giorno. Nell’ipotesi di un impiego dei carrelli di 6
ore/giorno, le esposizioni risultano inferiori a 0.5 m/s2 (70% dei carrelli),
comprese tra 0.5 e 1.0 m/s2 (29%), superiori a 1.0 m/s2 (1%). Si può
quindi concludere che le vibrazioni dei carrelli possono costituire un rischio per gli addetti.
Dalla ricerca è emerso che gli spettri delle accelerazioni verticali
sono in genere caratterizzate da un picco a 5 o a 6.3 Hz (frequenza di risonanza dei carrelli). Le vibrazioni dipendono da diversi fattori quali la
velocità di marcia, le condizioni superficiali della pavimentazione, gli
urti con i materiali o i pallets, le caratteristiche del sedile e delle ruote.
Gli interventi di contenimento del rischio richiedono quindi:
1) la riduzione della velocità mediante imposizione sulla centralina
della velocità massima (ad esempio: 8 km/h all’interno del capannone e 12 km/h all’esterno nel caso di addetto seduto, 5 km/h nel
caso di addetto in piedi);
2) l’ottimizzazione della superficie mediante rifacimento o riparazione
della pavimentazione del capannone (generalmente in lastre di calcestruzzo con fessure tra una lastra e l’altra che tendono a sbrecciarsi) e/o del piazzale (in genere asfaltata); a proposito dei capannoni si sottolinea la validità dei pavimenti costituiti dai seguenti
strati: ghiaione di sottofondo, inerti stabilizzati e compressi, foglio
protettivo di materiale plastico, rete elettrosaldata, platea in calcestruzzo, vernice epossidica;
3) congrue modalità di lavorazione; vanno evitati urti violenti tra
forche e pallets nonché frenate brusche che elevano le vibrazioni
longitudinali;
4) sedili maggiormente adeguati; i sedili esaminati attenuano le vibrazioni nel 71% dei casi (SEAT < 1), mentre le amplificano (SEAT >
1) nel 29%;
5) ruote con copertura in gomma di congrua altezza (spesso la copertura è molto usurata); da osservare che i carrelli commissionatori e i
trattori da traino, caratterizzati da ruote di piccolo diametro con copertura rigida, sono contraddistinti da elevate vibrazioni verticali.
BIBLIOGRAFIA
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fork-lift truck and freight-container tractor drivers exposed to
whole-body vibration. Spine 1992; 17(1): 59-65.
Bovenzi M, Pinto I, Stacchini N. Low back pain in port machinery operators. Journal of Sound and Vibration 2002; 253 (1): 3-20.
Brendstrup T, Biering-Sørensen F. Effect of fork-lift truck driving on
low-back trouble. Scand J Work Environ Health 1987;13(5): 445-52.
Unità Clinica Operativa di Medicina del Lavoro, Dipartimento di
Scienze della Riproduzione e dello Sviluppo e Scienze di Medicina
Pubblica, Università degli Studi di Trieste, Via della Pietà 19, 34129
Trieste
Corrispondenza: Prof. Massimo Bovenzi, UCO Medicina del Lavoro,
Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali Riuniti di Trieste”, Via
della Pietà 19, 34129 Trieste
A LONGITUDINAL STUDY OF PERIPHERAL VASCULAR
FUNCTION IN NAVAL ENGINE WORKERS EXPOSED TO HANDTRANSMITTED VIBRATION
ABSTRACT. Finger systolic blood pressures (FSBP) during a cold
test were measured in 133 healthy male controls and 68 naval engine
workers exposed to hand-transmitted vibration (HTV) during a follow-up
period of 2 to 8 years. The prevalence of vibration-induced white finger
(VWF) at baseline was 10.3% in the HTV workers, and the cumulative
incidence of VWF was 8.2% over the follow-up period. At baseline, the
HTV workers showed a significantly stronger cold-induced
vasoconstriction of the digital arteries than the controls. After adjustment
for confounders, data analysis with the generalised estimating equations
(GEE) method showed that the changes over time in FSBP at 10°C were
significantly associated with both a positive history of VWF and a
measure of daily vibration exposure expressed in terms of frequencyweighted acceleration normalised to a period of 8 h, A(8) in ms-2 r.m.s.
No significant relations were observed between FSBP at 10°C and
individual characteristics such as age, body mass index, and alcohol and
tobacco consumption in either the controls or the HTV workers. The
findings of this longitudinal study suggest that the mesurement of FSBP
during local cooling is a useful testing method to assess the deterioration
of peripheral vascular function over time in HTV workers.
Key words: cold test - finger systolic blood pressure - vibrationinduced white finger
INTRODUZIONE
Numerosi studi clinici ed epidemiologici, sia di tipo trasversale che
longitudinale, hanno evidenziato che l’esposizione a vibrazioni manobraccio (hand-transmitted vibration, HTV) generate da utensili portatili è
associata ad un aumentato rischio di insorgenza di lesioni vascolari, neurologiche e muscolo - scheletriche. L’insieme di tali lesioni viene definito sindrome da vibrazioni mano-braccio. La componente vascolare
della sindrome è rappresentata da una forma secondaria di fenomeno di
Raynaud definita “vibration-induced white syndrome” (VWF), ed è caratterizzata da episodi di vasospasmo digitale a carico delle dita più frequentemente a contatto con l’impugnatura dell’utensile vibrante. Vi sono
sufficienti dati epidemiologici che indicano un significativo aumento
dell’occorrenza di fenomeno di Raynaud con l’aumentare dell’intensità e
della durata dell’esposizione a HTV (1).
Scopo di questo studio longitudinale è stato valutare mediante un
cold test standardizzato il deterioramento nel tempo della funzione vascolare periferica in lavoratori esposti a vibrazioni mano-braccio.
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MATERIALI E METODI
Sono stati esaminati 68 operatori di sesso maschile addetti alla costruzione di motori navali ed esposti a HTV generate da utensili a movimento rotatorio (smerigliatrici), percussorio (martelli) o misto (avvitatori, trapani). Il gruppo di controllo era costituito da 133 soggetti di sesso
maschile, non esposti ad agenti fisici o chimici con potenziale angiotossico.
Entrambi i gruppi sono stati indagati mediante questionario standardizzato ed esame clinico obiettivo in accordo con il protocollo del Progetto Europeo VIBRISKS (2). Le pressioni sistoliche digitali (PSD) dopo
cold test sono state misurate mediante metodo pletismografico straingauge utilizzando un HVLab multi-channel plethysmograph (HFRU,
ISVR, University of Southampton, UK). I risultati sono stati espressi in
termini di variazioni percentuali di PSD a 10°C in un dito test (PSD10°,t
in mmHg) rispetto a PSD a 30°C nel medesimo dito (PSD30°,t in mmHg),
corrette per le variazioni di PSD a 30°C e 10°C in un dito di controllo
(PSD30°,c e PSD10°,c in mmHg, rispettivamente) (3):
PSD%10° = (PSD10°,t X 100)/[PSD30°,t - (PSD30°,c - PSD10°,c)] (%)
Nei lavoratori esposti a HTV, il cold test è stato ripetuto in due
(n=41), tre (n=23), o quattro (n=4) occasioni durante un periodo di
follow up di durata media di 4 anni (range 2-8 anni). Nel gruppo di controllo, il cold test è stato effettuato in due occasioni a distanza di un anno.
Le vibrazioni degli utensili sono state misurate secondo le procedure
dello standard ISO 5349-1:2001 (4) e l’esposizione giornaliera è stata stimata in termini di accelerazione ponderata in frequenza normalizzata ad
un periodo di lavoro di 8 ore (A(8) in ms-2 r.m.s.). La relazione tra le variazioni di PSD%10° nel corso del follow-up e l’esposizione a vibrazioni
mano-braccio è stata valutata con il metodo delle equazioni generalizzate
di stima (GEE) utilizzando un modello time-lag (variabili indipendenti
rilevate al tempo t-1) che consente di “estrarre” la parte longitudinale
della relazione esposizione-risposta (software Stata v.11).
RISULTATI
Allo studio trasversale, VWF è stato riferito da 7 operatori esposti a
HTV (10.3%). Durante il periodo di follow-up sono emersi 5 nuovi casi
di VWF negli esposti, dando luogo ad una incidenza cumulativa del 8.2%
(5/61) e una prevalenza di periodo del 17.6% (12/68).
Nessuno dei controlli presentava fenomeno di Raynaud né all’inizio
né alla fine dello studio.
Sia allo studio trasversale che al termine del follow-up, il cold test
ha rilevato una maggiore vasocostrizione digitale (ovvero riduzione di
PSD%10°) negli esposti a HTV rispetto ai controlli (p<0.001, Tabella I).
Dopo correzione per i possibili fattori confondenti, l’analisi GEE dei
dati di follow up ha evidenziato una significativa associazione tra deterioramento della funzione vascolare dopo cold test ed esposizione giornaliera a vibrazioni mano-braccio espressa in termini di A(8), (Tabella II).
In particolare, il decremento di PSD%10° durante il periodo di follow-up
Tabella I. Valori medi (deviazioni standard) delle variazioni
percentuali di PSD a 10°C (PSD%10°) allo studio trasversale
(Tinizio) e al termine del follow-up (Tfine) nei controlli
e nei lavoratori esposti a HTV
Tabella II. Relazione tra variazioni delle pressioni sistoliche digitali
dopo cold test a 10°C (PSD%10°) durante il follow-up e possibili
predittori nei controlli e negli esposti a HTV.
I coefficienti di regressione e gli intervalli di confidenza
al 95% (IC 95%) sono stati stimati mediante il metodo GEE
applicando un modello time-lag (predittori al tempo t-1)
177
è risultato mediamente pari al 4% per unità di incremento di A(8),
(p=0.033). Un’anamnesi positiva per VWF è risultata un predittore altamente significativo della riduzione di PSD%10° durante il follow-up
(p<0.001). Nessuna associazione significativa è stata riscontrata tra
PSD%10° e caratteristiche individuali (età alla prima indagine, body mass
index, consumo di alcool e tabacco) sia nei controlli che nei lavoratori
esposti a HTV.
DISCUSSIONE
I risultati di questo studio longitudinale hanno evidenziato che il deterioramento della funzione vascolare periferica dopo cold test è associato in modo significativo sia con l’esposizione giornaliera a vibrazioni
mano-braccio sia con il riscontro anamnestico di fenomeno di Raynaud.
Le caratteristiche individuali non sembrano giocare un ruolo determinate nella risposta vascolare al freddo sia negli esposti a HTV che nei
controlli.
Tali dati confermano che la misura delle pressioni sistoliche digitali
dopo cold test standardizzato è un utile metodo di laboratorio per valutare nel tempo il deterioramento della funzione vascolare periferica nei
lavoratori esposti a HTV.
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UTILIZZO DELLA FOTOPLETISMOGRAFIA NELLA DIAGNOSI
DI SINDROME DA VIBRAZIONI MANO-BRACCIO NELLA
CASISTICA DI UN AMBULATORIO DI MEDICINA DEL LAVORO
S. Simonini, M. Iuzzolini, A. Papa, R. Foddis, A. Baggiani,
A. Cristaudo
Ambulatorio di Medicina del Lavoro, Azienda Ospedaliero-Universitaria
Pisana, Scuola di Specializzazione di Medicina del Lavoro, Università di
Pisa
Corrispondenza: Silvia Simonini, Ambulatorio di Medicina del Lavoro,
Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Via Boschi 37, Pisa.
Telefono: 050/993809. E-mail: [email protected]
PLETHYSMOGRAPHIC COLD TEST FOR DIAGNOSIS OF
HAND-ARM VIBRATION SYNDROME IN A GROUP OF
PATIENTS FROM AN OCCUPATIONAL MEDICINE UNIT
ABSTRACT. Occupational exposure to hand-trasmitted vibration
results in various disorders collectively known as the “hand-arm
vibration syndrome” (HAVS). Cold provocation photocell
plethysmography is a commonly used objective test for the vascular
component of HAVS. The study population consisted of 176 patients
referred to the Occupational Medicine Unit of Pisa for assessment of
HAVS. Each patient was subjected to the same protocol consisting of a
standardized questionnaire, clinical assessment and plethysmography
testing. All patients had a history of hand-arm vibration exposure.
The results of plethysmography significantly correlate with a
positive history of white finger syndrome (WFS) (p=0,01) but were not
significantly affected by any of the potential confounding factors such
as age, smoking habits, diabetes or hypertension. A long-term
178
occupational exposure is significantly associated with recovery
tracing abnormalities (p=0,07). There were no significant
associations between the kind of job and the cold test results. Only
patients with a history of metal working showed a significant
association with a WFS (p=0.03).
In conclusion, in order to diagnose occupational HAVS both a wellconducted and standardized disease/job history and an objective and
reliable test like the cold provocation plethysmography are needed.
Further investigations are recommended to standardize the testing
techniques and results interpretation.
Key words: plethysmographic cold test, hand-arm vibration
syndrome, occupational exposure
INTRODUZIONE
L’esposizione occupazionale a vibrazioni trasmesse al sistema
mano-braccio è associata ad un aumentato rischio di insorgenza di lesioni
vascolari, neurologiche e muscolo scheletriche a carico dell’arto superiore. L’insieme di tali lesioni è definito Sindrome da Vibrazioni ManoBraccio. La componente vascolare della sindrome è rappresentata da una
forma secondaria di fenomeno di Raynaud comunemente denominata
“sindrome del dito bianco”. Il rilievo anamnestico di episodi di pallore
ben demarcato ad uno o più dita delle mani provocati dall’esposizione a
microclima freddo, rappresenta tuttora il “gold-standard” per la diagnosi
di Fenomeno di Raynaud. La fotopletismografia è uno dei test strumentali utilizzati nella diagnosi di Sindrome da vibrazioni mano-braccio. (13) Scopo del nostro studio è stato quello di verificare la performance del
test fotopletismografico nello studio delle patologie da strumenti vibranti
e di evidenziare un’eventuale associazione tra i risultati del test e i dati
anamnestici e clinici.
MATERIALI E METODI
Sono stati studiati 176 pazienti che si sono presentati presso
l’Ambulatorio di Medicina del Lavoro dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana nel periodo compreso tra il 2006 e il 2009 per effettuare accertamenti relativi a sospetta patologia da strumenti vibranti.
Tali soggetti sono stati sottoposti ad un protocollo che consisteva
nella somministrazione di un questionario predisposto sulla base delle
indicazioni del Stockholm Workshop 94, nell’esecuzione di esame
obiettivo mirato per l’arto superiore e di un test fotopletismografico.
I 176 pazienti esaminati erano di sesso maschile con un’età media di
55,67 anni (range 28-78, D.S. 10,13). Di questi 59 soggetti non avevano mai fumato, mentre 65 erano ex-fumatori, 51 attuali fumatori e
1 sconosciuto. Tutti i soggetti erano stati occupazionalmente esposti a
vibrazioni trasmesse al sistema mano-braccio. La media degli anni di
esposizione era di 26,56 anni, la mediana di 28 anni (range 1-54, D.S.
11,60). Le mansioni più frequentemente riportate sono state: addetto
lavorazione lapidei (19%), carpentiere (10%) e saldatore (9%). 151
pazienti riferivano episodi di pallore intenso alle dita delle mani
(86%). Le informazioni raccolte sono state correlate con i parametri
ottenuti dai tracciati fotopletismografici tramite Termoflow Microlab
Elettronica. Tale sistema consente la rilevazione fotopletismografica
in contemporanea su dieci dita in un box termico a temperatura variabile da 0° a 40°C. Dopo la registrazione del tracciato fotopletismografico basale, le mani vengono inserite all’interno del box termico e
mantenute per circa 5 minuti ad una temperatura tra 0° e 5°C. Le
curve fotopletismografiche sono state valutate secondo il metodo proposto da Copello e coll. (4) basato sui seguenti parametri: ampiezza
delle onde nel tracciato basale e dopo stimolazione, tempo di cresta
basale e presenza o meno di recupero dopo 15 minuti. 19 pazienti presentavano un tracciato basale alterato (11%), mentre 67 un recupero
alterato (38%).
RISULTATI
Come mostrato in tabella I, dall’analisi statistica effettuata con il
test della regressione logistica tra le variabili anamnestiche e cliniche
ed i risultati dei tracciati fotopletismografici in condizioni basali e di
recupero non è risultata nessuna associazione statisticamente significativa se non tra il riscontro anamnestico di episodi di pallore intenso alle
dita ed il recupero alterato (p=0,01). Una prevalenza del 94% dei pazienti con recupero alterato riferivano episodi di pallore. Una correlazione vicina alla significatività statistica è stata evidenziata tra l’abitudine tabagica (attuali fumatori) e il tracciato basale (p=0,06). Infine,
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suddividendo in pazienti in due gruppi rispetto alla mediana degli anni
di esposizione a vibrazioni, con il test del chi-quadrato è risultata una
associazione prossima alla significatività statistica tra i soggetti che
presentavano un’esposizione superiore alla mediana e il recupero alterato (p=0,07) (tabella II). Analizzando i gruppi di pazienti suddivisi per
mansione, come mostrato in tabella III e in figura 1, si evidenzia come
coloro che svolgevano l’attività di carpentiere presentano un’associazione statisticamente significativa con gli episodi di pallore (p=0,033).
Tutti i sabbiatori e i montatori che si sono presentati riferivano un’anamnesi positiva per pallore, ma su questi gruppi non è stato possibile
effettuare un’analisi statistica per lo scarso numero della popolazione.
Nessuna associazione è stata riscontrata tra i gruppi di mansioni e il
tracciato di recupero alterato, anche se il 100% dei giardinieri presentava tale alterazione strumentale.
DISCUSSIONE
I principali settori produttivi che possono comportare un aumentato rischio di insorgenza di disturbi e patologie da uso prolungato di
utensili vibranti a movimento percussorio, rotatorio o misto sono l’industria manifatturiera, delle miniere e delle cave, delle costruzioni, il
settore dell’agricoltura e foreste e alcuni servizi di pubblica utilità. La
casistica analizzata in questo studio è quella relativa al bacino d’utenza dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, che raccoglie
pazienti occupati prevalentemente nel settore metalmeccanico, nella
cantieristica navale e nella estrazione e lavorazione dei materiali lapidei. Dal nostro studio non è emersa nessuna correlazione tra il numero di anni di esposizione lavorativa e i risultati del test fotopletismografico. Mentre risulta dalla stratificazione dell’anzianità di lavoro a rischio come la presenza di alterazioni del tracciato di recupero
sia maggiore in coloro che avevano avuto un’esposizione di lunga durata (superiore a 28 anni). Per quanto riguarda invece l’analisi delle
mansioni, l’attività di carpentiere è risultata quella a maggiore probabilità di sviluppo di angiopatia da strumenti vibranti. Tale dato è da
mettere in correlazione con l’importante utilizzo di strumenti vibranti
quali smerigliatrici, fresatrici e strumenti pneumatici. Da evidenziare
inoltre che la totalità degli operai che svolgevano manutenzione agricola, utilizzando prevalentemente decespugliatori e motoseghe, hanno
Tabella I. Correlazione tra i dati anamnestici e clinici
raccolti al momento della visita medica e i referti del tracciato
basale e di racupero. I dati sono rappresentati sotto forma
di numero (%) e di significatività statistica (p)
Tabella II. Tabulazione del confronto fra gli anni di esposizione
a vibrazioni e i risultati del tracciato di recupero
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Tabella III. - Figura 1. distribuzione per mansione della
popolazione in studio in termini di numero assoluto. Per ogni
mansione sono riportati i valori percentuali di soggetti che
riferivano pallore o che presentavano tracciato di recupero alterato
e le relative significatività statistiche (p). Nella figura viene
rappresentata graficamente tale distribuzione in termini percentuali
179
36
QUANTIFICAZIONE DEL RUOLO EZIOLOGICO DELL’ESPOSIZIONE
PROFESSIONALE NEI TUMORI NASOSINUSALI. PRIMI RISULTATI
DI UN’AMPIA CASISTICA OSPEDALIERA
M. Bonzini1, M. Casà1, D. Parassoni1, R. Borchini1, P. Battaglia2,
P. Castelnuovo2, M.M. Ferrario1
1
Medicina del Lavoro e Preventiva, Ospedale di Circolo di Varese e
Università degli studi dell’Insubria, Varese
2 Clinica Otorinolaringoiatrica, Ospedale di Circolo di Varese e
Università degli studi dell’Insubria, Varese
Corrispondenza: Matteo Bonzini, Dip. di Scienze Sperimentali,
Università degli studi dell’Insubria,, viale Borri 57, 21100 Varese, mail:
[email protected]
presentato un tracciato di recupero alterato. Tuttavia il dato statisticamente più importante è risultato quello dell’associazione tra il riscontro anamnestico di episodi di pallore intenso a uno o più dita delle
mani e l’alterazione del tracciato di recupero. Dai risultati di questo
studio risulta come l’esame fotopletismografico rimanga ad oggi un
esame fondamentale nella valutazione clinica della angiopatia da strumenti vibranti, ma scarsamente correlato con l’esposizione occupazionale. Per una corretta valutazione del rapporto tra angiopatia ed esposizione professionale appare necessario effettuare una raccolta anamnestica patologica e lavorativa approfondita e standardizzata insieme
allo studio dei fattori di confondimento quali l’abitudine tabagica. In
conclusione occorre continuare ad effettuare studi epidemiologici che
rendano standardizzata e validata l’esecuzione e l’interpretazione di
questo importante esame diagnostico.
BIBLIOGRAFIA
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3) Bovenzi M et al. Linee guida per la prevenzione dei disturbi e delle
patologie da esposizione a vibrazioni meccaniche negli ambienti di
lavoro. 1° Ed. 2003 e Rev. 2007.
4) Copello F et al. Metodo di standardizzazione analitica dei tracciati
fotopletismografici. Atti delle XII Giornate Mediterranee Internazionali di Medicina del Lavoro. S. Margherita Ligure, 1983.
EVALUATION OF THE ATTRIBUTABLE FRACTION OF
OCCUPATIONAL EXPOSURES IN THE DEVELOPMENT OF THE
NASOSINUSAL CANCERS. RESULTS FROM AN HOSPITALBASED STUDY
ABSTRACT. Epitelial nasosinusal cancers are rare diseases with a
relevant proportion of cases caused by occupational exposures. In fact,
leather and wood dust, nickel and chromium are well established risk
factors for nasal cancer. We implemented a study with a sino-nasal
surgery unit, with an outstanding experience in endoscopic surgery in
order to quantify the proportion of cases related to previous
occupational exposures. All cases were systematically investigated by
an occupational physician with no selection based on histotype or
occupational history.
We evaluated 30 cases of epithelial cancers and detected previous
occupational exposure in 21 cases (70%). Occupational cancers were
mainly adenocarcinoma, often arisen from the ethmoidal epithelium. The
most frequently revealed occupational factor was leather dust (n=11),
followed by wood dust (n=6). We also evaluated 6 squamous-cells
cancer, one exposed to wood dust and one adenoid-cystic carcinoma with
occupational exposure to leather.
Our collaboration allows us to reveal a high proportion of cases
with documented occupational exposure (70% for all epithelial case).
The proportion was even higher for ethmoidal adenocarcinomas
(>90%). All occupational cancers were signalled to the public health
institutions for preventive and medico-legal measures. Active research of
occupational is a crucial activity of the hospital-based occupational
medicine units.
Key words: occupational cancers, attributable fraction, hospitalbased studies
INTRODUZIONE
I tumori nasosinusali epiteliali sono neoplasie rare a prognosi spesso
infausta per la diagnosi spesso tardiva a causa di sintomi di esordio
spesso aspecifici 1. Una quota significativa di tali tumori riconosce una
eziologia professionale 2. Diversi studi hanno infatti documentato un incremento di rischio tra gli esposti a polveri di legno duro 3, cuoio 4,
cromo 5 e nichel 6. Inoltre da studi recenti sta emergendo una specifica
relazione tra agente causale e istotipo/sede della neoplasia (forte relazione legno/cuoio e adenocarcinomi di tipo intestinale a partenza etmoidale) 7. Il ruolo di altri agenti di rischio (tra cui formaldeide, asbesto, solventi) è stato indagato in alcuni studi che hanno mostrato risultati discordanti 8 9 e richiede una valutazione.
Presupposto per un corretta quantificazione del ruolo del lavoro
nella patogenesi tumorale è il sistematico riconoscimento dei casi. Per
questo motivo abbiamo sviluppato un sistema di valutazione sistematica
di tutti i casi afferenti ad un centro ospedaliero di eccellenza nella chirurgia endoscopica nasale.
MATERIALI E METODI
Lo studio indaga i pazienti con diagnosi istologica di tumore nasosinusale epiteliale, segnalati della Clinica Otorinolaringoiatria dell’Università dell’Insubria, Ospedale di Circolo (Varese) dal Gennaio al
Maggio 2010. La popolazione allo studio è composta da tutti i soggetti di
180
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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nazionalità italiana viventi al 1/1/2010 operati presso la Clinica Otorinolaringoiatria dell’università dell’Insubria per un totale di 76 soggetti.
La valutazione della storia clinica, professionale e abitativa dei soggetti è stata effettuata da specialisti in Medicina del Lavoro anche attraverso questionario ReNaTuNS 2. La scelta dei casi da valutare è avvenuta
in cieco rispetto all’attività lavorativa. Nei casi in cui sia emerso un probabile ruolo causale dell’attività lavorativa si è provveduto alla denuncia
di malattia professionale e agli altri adempimenti medico-legali.
RISULTATI
A maggio 2010 è stata effettuata la valutazione completa di 30 casi
di TuNS, rappresentanti il 39% della casistica eleggibile.
Il 27% della casistica finora raccolta non risiede in Lombardia. L’età
media alla diagnosi è risultata di 57 anni per le donne (n=9) e 65 anni per
gli uomini (n=21). I casi con esposizione professionale probabile/possibile sono risultati 21 (70%), per il 27% dei soggetti (n=8) non è stato possibile individuare esposizione a cancerogeni noti, mentre in un paziente
è stata evidenziata una esposizione extra-professionale a polveri di cuoio
(vedere Tabella I).
Il fattore di rischio professionale più frequentemente riscontrato è la
polvere di cuoio (60% dei casi), mentre il 21% dei casi sono risultati
esposti a polveri di differenti legni duri. Infine un paziente è risultato
esposto a attività di concia ed uno a fumi di saldatura. La latenza media
è risultata di 53 anni (minimo=30 anni), la durata di esposizione media
25 anni (minimo=4).
Dei 18 casi di adenocarcinoma (tutti di tipo intestinale) risultati di
origine professionale, 6 soggetti sono risultati esposti a polveri di legno,
11 hanno rilevato una pregressa esposizione a polveri di cuoio, 1 è stato
addetto alla attività di concia del cuoio. Il 94% degli adenocarcinomi
professionali sono risultati a sede di partenza etmoidale.
Degno di nota è il dato che per tutti i 2 casi di adenocarcinoma di
tipo non intestinale è stato possibile ricostruire una esposizione a cancerogeni noti.
Il 20% (n=6) della nostra casistica è costituito da carcinomi squamocellulari, uno solo di questi è risultato di natura professionale (polveri
di legno con concomitante possibile esposizione a solventi e IPA). Infine
un paziente è risultato affetto da carcinoma adenoido-cistico con documentata esposizione a polveri di cuoio.
DISCUSSIONE
La collaborazione tra la nostra unità e la Clinica Otorinolaringoiatrica ha permesso una valutazione tempestiva e sistematica dei tumori
naso sinusali (TuNS) riconoscendo il possibile ruolo dell’attività lavorativa in una larga quota di soggetti (specialmente adenocarcinomi a partenza etmoidale). Dal presente lavoro emerge infatti come la frazione attribuibile all’esposizione a fattori professionali nei TuNS maligni di tipo
epiteliale sia del 71%. Di particolare suscettibilità per l’esposizione lavorativa si conferma l’adenocarcinoma intestinale (ITAC) a partenza etmoidale (FAE=90%).
È stato possibile stimare il numero di casi professionali attesi ogni
anno in Italia e in Lombardia: rispettivamente 85 casi/anno e 17
casi/anno. Questo fa ritenere la casistica qui presentata di rilevanza nazionale. Si confermano le esposizioni professionali più importanti nel nostro Paese: polveri di cuoio e polveri di legno duro ma il nostro studio
suggerisce anche un possibile ruolo eziologico di altri agenti nocivi,
quali: formaldeide, fumi di saldatura, solventi e IPA, con particolare riferimento alle neoplasie etmoidali diverse dall’adenocarcinoma (i.e. carcinoma squamocellulare). La nostra attività ha inoltre permesso di garantire l’adempimento degli obbligo di denuncia di malattia professionale quando ne è emersa la necessità. La ricerca attiva dei casi in ambito
ospedaliero si conferma strumento efficace e imprescindibile per una
corretta identificazione dei tumori professionali, che nel nostro Paese si
considera essere sottodenunciati.
Tabella I. TuNS valutati suddivisi per tipo istologico,
sede di partenza e eziologia professionale (n=31)
BIBLIOGRAFIA
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9) Demers PA, Kogevinas M, Moffetta P, Leclerc A, Luce D, Gérin M,
Battista G, Belli S, Bolm-Audorf U, Brinton LA, et al. Wood dust
and sino-nasal cancer: pooled reanalysis of twelve case-control studies. Am J Ind Med. 1995 Aug;28(2):151-66.
37
IL REGISTRO TUMORI DEI SENI NASALI E PARANASALI
DELLA LOMBARDIA: RISULTATI DEI PRIMI ANNI DI ATTIVITÀ
C. Mensi1,2, C. Sieno1, L. Bordini1, D. Consonni1, L. Riboldi1,2
1 Dipartimento
di Medicina Preventiva, Fondazione IRCCS Ca’ Granda
- Ospedale Maggiore Policlinico, Clinica del Lavoro “L. Devoto”,
Milano (MI)
2 Centro Effetti Biologici Polveri Inalate, Dipartimento di Medicina del
Lavoro, Università degli Studi di Milano
Corrispondenza: Carolina Mensi, Clinica del Lavoro “L. Devoto”,
via S. Barnaba, 8; 20122 Milano. Tel. +39 0255032595; Fax. +39
0250320139; [email protected]
THE SINONASAL CANCER REGISTRY IN THE LOMBARDY
REGION: RESULTS OF THE FIRST YEARS OF ACTIVITY
ABSTRACT. We present the findings of the first years of activity of
the Lombardy registry of sinonasal cancers (SNC), which was started at
the end of 2007. The registry collects all potential cases of primary
malignant epithelial neoplasm of the nasal cavity and accessory sinuses,
verifies clinical records, and interviews the patients or their next-of-kin
to investigate exposures to known SNC carcinogens. Case ascertainment
is complete for the year 2008: we recorded 31 verified cases among men
and 24 among women. The age-standardized regional incidence rates
were 0.8 and 0.5 × 100,000 in men and women, respectively. For 87
cases diagnosed in 2008-2010 period we obtained an interview. In 34
cases (32 M and 2 F), we documented occupational exposure to wood
dust (61.8%), leather dust (29.4%), bitumen fumes (5.9%), and
hexavalent chromium compounds (2.9%). For these subjects
compensation claims were undertaken. In 4 cases we found leisure-time
exposures. In 49 cases (56.3%) no evidence of exposure to known SNC
carcinogens was found.
Key words: sinonasal cancer, occupational exposure, cancer
registry
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
181
INTRODUZIONE
A fine 2007 in Lombardia è stato istituito il Registro regionale dei
Tumori dei Seni Nasali e Paranasali (TuNS), rendendo sistematica la ricerca e l’approfondimento di queste neoplasie rare e ad elevata frazione
eziologica professionale nei residenti (3).
Il Registro regionale è gestito secondo le indicazioni delle Linee
Guida Nazionali (2) e raccoglie tutti i casi di TuNS epiteliali incidenti a
partire dal 01.01.2008.
2 donne. Le latenze mediane sono risultate rispettivamente 51.6 anni
(min 18.2, max 73.5) e 44.6 anni (min 29.6, max 57.7).
Si sono evidenziati anche 4 casi (4.6%) con esposizioni avvenute nel
tempo libero (3 a polveri di legno ed 1 a polveri cuoio), mentre in 49 casi
(56.3%) non si è riconosciuta una esposizione ad agenti cancerogeni noti
per TuNS.
I soggetti fumatori ed ex-fumatori al momento della diagnosi erano
34 (38.6%) e 26 (29.6%), rispettivamente.
MATERIALI E METODI
Nel Registro sono inclusi tutti i casi di tumori maligni primitivi delle
cavità nasali (cod. 160.0 ICD IX) e dei seni paranasali (cod. 160.2-160.9)
con istotipo epiteliale, che si verificano in soggetti residenti, al momento
della prima diagnosi, in Lombardia (9.1 milioni di abitanti).
I casi sono segnalati dai reparti di diagnosi e cura dei TuNS degli
Ospedali regionali, in particolare quelli di otorinolaringoiatria, chirurgia
maxillofacciale, radioterapia e anatomia patologica.
Inoltre sono effettuate verifiche di completezza dell’incidenza mediante confronti sistematici con gli archivi dei servizi di anatomia patologica, le Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO), i registri di mortalità presso le ASL, i registri tumori di popolazione presenti in Lombardia
ed infine l’INAIL per la quota di casi ad eziologia professionale. Per ciascun caso segnalato, oltre alla documentazione clinica, è acquisito un
questionario per verificare l’esposizione a sostanze cancerogene, somministrato dal personale dei Servizi di Medicina del Lavoro ospedalieri
(UOOML) o territoriali (SPSAL). La documentazione clinica ed espositiva di ciascun caso è sottoposta ad un Gruppo di Valutazione composto
da 6 componenti specialisti in anatomia patologica, oncologia, otorinolaringoiatria, medicina del lavoro, epidemiologia ed igiene e tecnologia industriale. In relazione ai casi in discussione possono essere coinvolti colleghi con particolare competenza ed esperienza a riguardo delle problematiche in esame, ivi compreso personale delle ASL o delle UOOML direttamente coinvolte, al fine di poter raggiungere il massimo di approfondimento e concordanza nel giudizio finale.
DISCUSSIONE
I risultati di questi primi anni di attività dimostrano l’efficacia della
struttura organizzativa del Registro. La distribuzione dei casi con esposizione lavorativa a cancerogeni noti per TuNS, oltre a confermare la
dominanza del genere maschile, ha riguardato soprattutto esposizioni a
polveri di legno e di cuoio, riflettendo la pregressa realtà produttiva regionale con industrie di produzione di mobili e di calzature. La quota di
casi con esposizione lavorativa è stata pari al 40% e per ciascun caso
sono state avviate le procedure medico-legali finalizzate al riconoscimento assicurativo. Tale risultato evidenzia la necessità della ricerca attiva e sistematica di queste neoplasie, soprattutto se si considera che sull’intero territorio nazionale nel 2007 (ultimo dato INAIL disponibile)
sono stati rilevati 17 casi di TuNS da polveri di legno ed 8 da polveri di
cuoio. L’istotipo maggiormente rappresentato fra i casi esposti si conferma essere l’adenocarcinoma, anche se non è trascurabile la proporzione degli altri istotipi epiteliali, in particolare il carcinoma squamocellulare (1).
È da notare come la latenza media dei casi con esposizione professionale superi i 40 anni, sottolineando l’importanza di un’accurata raccolta anamnestica che consideri ed approfondisca tutti i periodi lavorativi. L’avvio soddisfacente di questo nuovo Registro deriva dalla collaborazione sinergica con vari enti coinvolti nella rete di sorveglianza, in
particolare ASL, Ospedali, Regione, Registro Nazionale ed INAIL.
RISULTATI
Al 30.07.2010 sono pervenute al Registro 679 segnalazioni di casi
sospetti dei quali 105 (15.5%) sono finora risultati incidenti secondo i
criteri di inclusione del Registro; in particolare 54 casi nel 2008, 44 nel
2009 e 7 nel 2010. Il tasso di incidenza regionale, standardizzato per età,
nell’anno 2008 (unico finora completo) è risultato 0.8 e 0.5 per 100.0000,
rispettivamente negli uomini e nelle donne.
I casi per i quali si è concluso l’iter di valutazione sia della documentazione clinica che di quella espositiva sono attualmente 88 (57
uomini e 31 donne) con età mediana di 66 anni (range 21-88). La sede
di insorgenza ha interessato le cavità nasali in 34 casi (38.6%), il seno
etmoidale in 20 casi (22.7%) quello mascellare in 16 (18.2%) e quello
sfenoidale in 3 (3.4%); per 15 casi (17%) non è stato possibile individuare la sede primitiva in quanto, al momento della prima diagnosi, la
neoplasia era estesa a più sedi. Un solo caso non disponeva di accertamenti bioptici ed è stato concluso come TuNS probabile, mentre gli
altri 87 sono TuNS certi. Nel 33.3% dei casi l’istotipo è Adenocarcinoma (di tipo intestinale in 21 casi) e in oltre il 66% dei casi Carcinoma con una dominanza dello squamocellulare (32 casi). L’anamnesi
espositiva è disponibile per 87 soggetti ed il questionario è stato somministrato direttamente al paziente in 61 casi (70%), mentre nel rimanente 30% a familiari. In 34 casi (32 M e 2 F) (39%) è emersa una
esposizione in ambito lavorativo. Le esposizioni professionali sono
state in 21 casi (61.8%) a polveri di legno ed hanno riguardato soprattutto la produzione di mobili e serramenti, in 10 casi (29.4%) a polveri
di cuoio ed ha riguardato esclusivamente la produzione di calzature, in
2 casi (5.9%) a fumi di catrame utilizzato da asfaltatori e in 1 caso
(2.9%) a composti del cromo esavalente in tipografia. In 3 soggetti
oltre all’esposizione professionale si è evidenziata anche un’esposizione allo stesso cancerogeno che è avvenuta nel tempo libero (2 casi
a legno e 1 a cuoio).
L’istotipo maggiormente associato alle esposizioni professionali è risultato essere l’adenocarcinoma (24 casi esposti su 29 pari all’82.3%); la
proporzione di esposti era comunque elevata anche tra i soggetti con carcinoma squamocellulare (9/32=28.1%) e con altri istotipi (5/27=18.5%).
La durata mediana dell’esposizione nei casi professionali è risultata 27.5
anni (min 2.0, max 54) nei 32 uomini e 11.0 anni (min 2.0, max 20) nelle
BIBLIOGRAFIA
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19-25
38
CANCRO CUTANEO NON MELANOMA DI ORIGINE
OCCUPAZIONALE NEI LAVORATORI OUTDOOR
A.G. Sisinni, S. Rendo, F. Peccianti, M. Biagioli1, C. Miracco2,
M.G. Mastrogiulio2, M. Roggi3, P. Sartorelli
Sezione di Medicina del Lavoro e Tossicologia occupazionale,
Università degli Studi di Siena, (Viale Bracci 16, 53100 Siena)
1 Sezione di Dermatologia, Università degli Studi di Siena
2 Sezione di Anatomia Patologica, Università degli Studi di Siena
3 INAIL Toscana
Corrispondenza: Antonietta Gerardina Sisinni ([email protected])
OCCUPATIONAL NON MELANOMA SKIN CANCER IN
OUTDOOR WORKERS
ABSTRACT. Non melanoma skin cancer (NMSC) is more common
then melanoma and represents about 90% of skin cancers. The most
common NMSC are basal cell carcinoma (BCC) and squamous cell
carcinoma (SCC). A population of 70 outpatients suffering from NMSC
was studied. The aim of the study was to characterize the prevalence of
182
subjects being occupationally exposed to UV radiation. Among the 70
patients, 35 had an occupational exposure to UV radiation (21 farmers,
2 building worker, 6 both farmers and building workers, 6 with other
occupation). In addition, NMSC diagnosed by the Patological Anatomy
Department of Siena University and occupational NMSC reported to
INAIL in 2009 were taken under analysis too. From the first source a
total number of 709 BCC and 309 SCC were found. Among SCC cases,
48 were selected for occupational exposure to UV radiation and
localization of skin cancer on photoexposed areas (32 farmers, 11
building workers, 5 with other occupations). From the second source a
total number of 2447 occupational tumours were reported in Italy.
Among them 22 (0,97%) were NMSC (11 cases working in agriculture
and 11 in industry). In conclusion most of patients with NMSC in Siena
were farmers, probably due to the prevalence of this activity in the Siena
area. The INAIL data seems underestimate the real number of
occupational NMSC.
Key words: Non melanoma skin cancer; outdoor workers
INTRODUZIONE
I cancri cutanei non melanoma (non-melanoma skin cancer NMSC) sono una patologia assai più comune del melanoma (1) rappresentando circa il 90% delle neoplasie cutanee.
I due tipi più comuni di tumori cutanei epiteliali sono costituiti dall’epitelioma basocellulare e spinocellulare.
L’esposizione a radiazioni solari ultraviolette rappresenta il principale fattore di rischio nella cancerogenesi cutanea.
L’incidenza dei NMSC è legata a fattori noti quali età, razza, fototipo ovvero soggettiva modalità di reazione cutanea al sole, latitudine del
paese di appartenenza, malattie ereditarie, utilizzo di farmaci fototossici,
ustioni solari in età infantile o adolescenziale e lavoro svolto.
Per l’epitelioma basocellulare l’incremento del rischio sembra essere dovuto principalmente a esposizioni cumulative basse o intermedie
(2, 3). Quest’ultime non aumenterebbero il rischio di epitelioma spinocellulare, la cui incidenza sembrerebbe crescere esponenzialmente a dosi
molto alte cumulabili con una esposizione all’aperto per la durata dell’intera vita lavorativa (2-5).
L’incidenza di questi tumori a livello mondiale aumenta del 4-6%
ogni anno. Nel 2002, negli Stati Uniti, sono stati diagnosticati più di
un milione di nuovi casi di tumori cutanei melanocitari e non melanocitari. Questo significa che ogni anno c’è un nuovo caso su 285 persone (6).
I tumori cutanei da radiazioni solari sono attualmente riconosciuti
come malattie professionali ed inseriti nelle Nuove Tabelle delle Malattie
Professionali (D. M. 9 aprile 2008) alla voce 84 (settore dell’industria)
“Malattie causate dalle radiazioni UV comprese le radiazioni solari” e
alla voce 19 (settore dell’agricoltura) “Malattie causate da radiazioni solari”, con periodo massimo di indennizzabilità dalla cessazione della lavorazione illimitato in caso di malattie neoplastiche.
MATERIALI E METODI
L’indagine è stata condotta dalla Sezione di Medicina del Lavoro e
Tossicologia Occupazionale in collaborazione con la Sezione di Dermatologia, entrambe afferenti al Dipartimento di Medicina Clinica e
Scienze Immunologiche dell’Università degli Studi di Siena.
Scopo dello studio era quello di individuare su una popolazione afferente all’ambulatorio per esterni dell’U.O. Dermatologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese (AOUS) per l’insorgenza di
NMSC la prevalenza di soggetti professionalmente esposti a radiazioni
UV solari.
L’indagine è stata svolta analizzando 70 pazienti afferenti all’ambulatorio nel periodo compreso tra gennaio e settembre 2008.
È stato somministrato loro un apposito questionario contenente domande sulla presenza di fattori predisponenti la comparsa di neoplasie
(precedenti ustioni solari in età infantile/adolescenziale), condizioni di
ipersuscettibilità (utilizzo di particolari farmaci e presenza di patologie
cutanee come lupus eritematoso sistemico, vitiligine, porfiria cutanea
tarda), esposizioni extraprofessionali alle radiazioni UV e fattori professionali (anzianità lavorativa e compiti specifici). Inoltre è stato indagato
l’eventuale utilizzo di dispositivi di protezione individuale (DPI) nei pazienti con esposizione professionale a UV.
I pazienti sono stati sottoposti ad esame obiettivo cutaneo con valutazione del fototipo secondo Fitzpatrick (Leffell e Brash, 1996).
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
Sono stati inoltre esaminati i NMSC diagnosticati dalla Sezione di
Anatomia Patologica dell’Università di Siena nel corso dell’anno 2009
e i dati statistici INAIL riguardanti i NMSC professionali denunciati
nel 2009.
RISULTATI
I pazienti trattati chirurgicamente per epitelioma presso la U.O. Dermatologia dell’AOUS nel 2008 sono risultati 70. Di essi 35 pari al 50%
dell’intera casistica erano o erano stati in passato lavoratori outdoor.
L’età media era di 78,68 ± 10,04 (range 49-95).
In 16 pazienti erano presenti epiteliomi multipli, di cui 7 casi erano
costituiti dall’associazione tra epiteliomi squamo e basocellulari.
Le localizzazioni più frequenti sono state al volto e alla testa (orecchio, labbro, naso, cuoio capelluto, palpebra).
Per quanto riguarda i settori lavorativi la maggioranza dei lavoratori
outdoor operati per epiteliomi era rappresentata da agricoltori (21 casi),
mentre 6 pazienti avevano duplice esposizione in quanto agricoltori ed
addetti all’edilizia. Due pazienti avevano lavorato esclusivamente nel
settore edile. Da segnalare inoltre 6 casi con altre esposizioni lavorative
(vigile urbano, autista di macchine movimentazione terra, vigile del
fuoco, ingegnere civile, militare, titolare ditta di infissi).
Il periodo medio di esposizione professionale alla radiazione solare
ultravioletta era di 35,28 ± 16,6 anni (range 3-70 anni). La media delle
ore lavorative giornaliere trascorse dai pazienti all’aperto durante l’anno
era di 7,72 ± 2,94 (range 1-13).
Per quanto riguarda il fototipo, 16 pazienti presentavano un fototipo
II, 11 un fototipo I, 8 un fototipo III.
Dalla revisione della casistica di NMSC diagnosticati istologicamente presso la Sezione di Anatomia Patologica dell’Università di Siena
è emerso che nel 2009 sono stati diagnosticati in totale 709 basaliomi e
309 epiteliomi spinocellulari afferenti da diverse strutture ospedaliereambulatoriali del territorio senese. Sono stati selezionati i casi di epiteliomi spinocellulari localizzati nelle sedi fotoesposte, escludendo quelli
insorti sulle mucose e nelle zone non fotoesposte. I pazienti selezionati
in tal modo risultavano in totale 173, in molti casi affetti da epiteliomi
multipli. Di questi è stato possibile contattarne 124 di cui 48 sono risultati professionalmente esposti radiazioni UV (32 agricoltori, 2 operai dell’edilizia stradale, 9 operai dell’edilizia abitativa, un boscaiolo, un autista
di macchine movimentazione terra, un collaudatore di aerei, un operatore
ecologico, un manutentore linee ferroviarie).
Per gli operai agricoli e dell’edilizia stradale è stato redatto primo
certificato di Malattia Professionale, mentre negli altri casi di esposizione professionale a radiazione ultravioletta solare si è soprasseduto in
quanto trattasi di lavorazioni non ancora tabellate e quindi con scarse
possibilità di riconoscimento ed indennizzo per l’impossibilità di dimostrare il nesso causale mediante una stima quantitativa dell’esposizione
stessa.
Secondo quanto riportato nella banca dati INAIL in tutta Italia nel
2009 sono stati denunciati 2447 tumori professionali di cui 22 NMSC
(0,97%), 4 melanomi maligni e 5 tumori benigni della pelle.
Dei 22 casi denunciati di tumori cutanei non melanocitici, 11 avevano lavorato nel settore dell’industria e 11 nel settore dell’agricoltura.
DISCUSSIONE
La maggioranza dei pazienti trattati chirurgicamente per NMSC
presso la U.O. Dermatologia, così come i casi selezionati di epiteliomi
spinocellulari afferenti all’Anatomia Patologica nel 2009, era costituita da agricoltori. Questo risultato non può consentire di stimare un
eccesso di casi di NMSC nei lavoratori agricoli perché a tale scopo si
renderebbero necessari studi epidemiologici ad hoc. I dati potrebbero
essere infatti condizionati dalla caratteristica impronta economica
della provincia senese, prevalentemente agricola. L’obiettivo dell’indagine era tuttavia dimostrare l’esistenza di casi di epiteliomi riferibili
all’esposizione professionale a radiazione solare UV nella nostra Regione ed in particolare nella Provincia di Siena. Alla luce dei risultati
il dato nazionale relativo ai NMSC professionali denunciati all’INAIL
appare decisamente sottostimato rispetto alla frequenza di tale tipo di
patologia.
BIBLIOGRAFIA
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a comportamenti corretti, inclusi quelli relativi ad una sana alimentazione e ad uno stile di vita più attivo. La letteratura scientifica si è interessata all’argomento fin dagli anni ’30, ma inizialmente l’interesse principale era assicurare una corretta nutrizione ed un peso ottimale al fine di
garantire un buon rendimento lavorativo (1). Oggi, in cui il sovrappeso,
l’obesità e le patologie ad esse correlate sono tra le malattie più diffuse e
di sempre maggior costo sociale ed economico, è necessario educare il
lavoratore ad un corretto stile di vita ed in particolare renderlo consapevole del valore di una corretta alimentazione e di una regolare attività fisica. Dal momento che l’articolo 25 del D.Lgs 81/2008 e s.m.i. (2) individua nel Medico del Lavoro la figura principale che tutela e promuove
il concetto di salute nel luogo di lavoro è necessario che costui conosca
l’associazione tra rischi lavorativi ed eccesso ponderale. Obiettivo del
nostro studio è stato ricercare i fattori e/o le situazioni lavorative in grado
di rappresentare una concausa nell’insorgenza dell’obesità o di aumentare il rischio di malattie lavoro-correlate, in presenza di una condizione
di sovrappeso od obesità.
39
MATERIALI E METODI
La ricerca bibliografica è stata condotta utilizzando come termini di
ricerca le parole chiave “BMI or obesity and work”. Gli articoli sono stati
selezionati sulla base della loro validità scientifica, dell’importanza e
della rilevanza. Sono stati individuati più di 500 articoli pubblicati negli
ultimi dieci anni e di questi sono stati inclusi nella valutazione quelli attinenti ed in particolare quelli dai quali emergessero le possibili interrelazioni tra rischi occupazionali ed obesità.
NUTRIZIONE E LAVORO: L’IMPEGNO DEL MEDICO DEL LAVORO
A TUTELA DELLA SALUTE DEI LAVORATORI
G. Tomei2, T. Caciari, S. De Sio1, N. Nardone1, M. Ciarrocca1,
G. Andreozzi1, L. Scimitto1, Z. Tasciotti1, B.G. Ponticiello1,
D.C. Maurizi1, Fabio Tomei1, V. Di Giorgio1, F. Umani Ronchi3,
F. Tomei1, A. Sancini1
1
“Sapienza” Università di Roma; Unità Operativa di Medicina del
Lavoro; Dipartimento di Scienze Anatomiche, Istologiche, MedicoLegali e dell’Apparato Locomotore; viale Regina Elena n. 336 - 00161
Roma.
2 “Sapienza” Università di Roma. Dipartimento di Scienze Psichiatriche
e Psicologia Clinica, Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma, Italia.
3 “Sapienza” Università di Roma; Dipartimento Medicina Legale
1 “Sapienza” Università di Roma, Dipartimento di Medicina del Lavoro,
(Dir: Prof. F. Tomei), Viale Regina Elena 336, Roma, 00161 Italia
RIASSUNTO. Il medico del lavoro ha tra i suoi compiti quello di
tutelare la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, ma anche quello di
promuovere la salute, educando il lavoratore a stili di vita corretti che
ne salvaguardino il benessere psicofisico. L’incremento dell’obesità tra
la popolazione attiva e le sue conseguenze sulla salute devono aumentare la consapevolezza del valore di una corretta alimentazione, associata ad una regolare attività fisica. Per il medico del lavoro è prioritario conoscere le possibili associazioni tra rischi lavorativi ed eccesso
ponderale. A tal fine abbiamo analizzato i dati della letteratura scientifica che confermano la relazione tra esposizione occupazionale ed obesità ed abbiamo così individuato una serie di fattori e di situazioni lavorative che o possono essere una concausa per l’insorgenza di obesità
o che aumentano il rischio di malattie lavoro-correlate se è presente una
condizione di obesità.
Parola chiave: BMI, obesità, lavoro
NUTRITION AND WORK: THE DUTY OF OCCUPATIONAL
MEDICINE FOR SAFEGUARD WORKERS’ HEALTH
ABSTRACT. The duty of occupational medicine is mainly to
safeguard workers’ health, but also to promote the acquirement of an
healthy and psychophysically protecting lifestyle. Growth and
consequences of obesity in active population should increase the
awareness that a correct diet, together with a regular exercise, is
valuable. Occupational medicine should be familiar with all the possible
associations between working risk and excess weight. For this purpose,
we analyzed several data in scientific literature and noticed recurring
factors and working habits, that could be either a joint cause of obesity
or a contribute to obesity-related working disease.
Key word: BMI, obesity, work
INTRODUZIONE
Il luogo di lavoro è il posto dove l’uomo trascorre mediamente un
quarto della propria giornata. È quindi naturale pensare che esso sia la
sede più opportuna dove promuovere la salute del lavoratore, educandolo
RISULTATI
I risultati sono illustrati nella tabella che segue.
Fattori/Situazioni lavorative per i quali è dimostrata una possibile
correlazione con il rischio di sviluppare sovrappeso od obesità
Sedentarietà: aumentata computerizzazione, meccanizzazione e
robotizzazione, riduzione dell’esercizio fisico (ridotta disponibilità di tempo
e maggior stanchezza) (3-4).
Esposizione ad obesogeni - molecole che, regolando in modo
inappropriato il metabolismo lipidico e l’adipogenesi, promuovono
l’obesità: carburanti, solventi/lubrificanti e loro metaboliti, sostanze
plastiche e loro derivati, pesticidi, fungicidi, organofosfati, metalli pesanti,
etc. (5).
Lunghi orari di lavoro - Breve durata di sonno: alterazione del
metabolismo del glucosio, alterazione dei livelli di leptina e grelina, con
conseguente disregolazione dell’appetito, ridotta concentrazione di TSH,
aumentata concentrazione di cortisolo serale, incremento dell’attività
simpatica, alterazioni a carico di melatonina, prolattina ed ormone della
crescita (6).
Lavoro a turni: disregolazione del sistema circadiano con alterazioni del
metabolismo e della regolazione del peso corporeo, azione sul comportamento
alimentare e sul metabolismo lipidico e glucidico; ridotta attività fisica;
tendenza ad assumere cibi ad alto contenuto energetico; alterata distribuzione
dei pasti; debito di sonno ed insufficiente tempo per ristorarsi; stress
psicosociale (7-8).
Stress lavorativo. aumentata produzione di cortisone, stress-induced eating
con una suggestiva predisposizione ad assumere cibi ad alta densità
energetica (9).
Situazioni lavorative a rischio. Mansioni che prevedono posture
protratte e/o incongrue, movimenti ripetitivi AASS, movimentazione
manuale dei carichi e vibrazioni provocano patologie muscoloscheletriche lavoro-correlate con una maggior incidenza nei soggetti
sovrappeso/obesi (10).
Obesità e ricadute in azienda
Infortuni: maggior stanchezza; coesistenza patologie croniche ed utilizzo
farmaci spesso non privi di effetti collaterali; disturbi dell’andatura e
limitazioni fisiche od ergonomiche; impossibilità o restrizione all’uso di
equipaggiamenti protettivi e DPI (11-12-13).
Assenteismo: l’obesità e le patologie ad essa correlata aumentano in modo
lineare il rischio di assenze per malattia sia per brevi sia per lunghi periodi
(13-14-15).
Ridotta produttività: il BMI è inversamente correlato alla performance,
intesa come l’inverso del tempo che il lavoratore impiega per portare a
termine un compito (16-17-18)
184
DISCUSSIONE
Il tema dell’obesità è oggetto di particolare interesse da parte della
comunità scientifica, che riconosce nell’eccesso di grasso corporeo una
fattore di rischio per la salute.
Gli studi finora condotti sulla relazione obesità-lavoro necessitano di
ulteriori approfondimenti ma sono concordi nel consigliare un atteggiamento precauzionale nei confronti dei fattori e delle situazioni lavorative
considerate a rischio.
In particolare è auspicabile promuovere programmi di intervento nutrizionale sul luogo di lavoro, che comportano vantaggi sia per il Datore
di lavoro, in termini di aumentata produttività e ridotto assenteismo e
costi economici, sia per il lavoratore in termini di aumentato benessere
psicofisico. In particolare ruolo del Medico competente “garante della
salute e della sicurezza del lavoratore” è sensibilizzare i lavoratori sui rischi per la salute conseguenti all’eccesso di peso anche promuovendo la
realizzazione di una “rete” di interlocutori (medici curanti, nutrizionisti,
medico competente) a cui i lavoratori possono rivolgersi al fine di ricevere informazioni ed assistenza in accordo agli standard diagnostici e terapeutici stabiliti dalla Comunità Scientifica.
BIBLIOGRAFIA
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http://gimle.fsm.it
40
SCREENING VESTIBOLARE IN MEDICINA DEL LAVORO
CON IL TEST VIBRATORIO MASTOIDEO
S. Bucolo, F. Beatrice, A. Montemagno, A. Palermo1
S.C. Otorinolaringoiatria, Ospedale San Giovanni Bosco Torino, Piazza
Donatori Di Sangue 3, 10154 Torino
1 Medico Competente, Thales Alenia Space Italia S.P.A.
Corrispondenza: Antonietta Palermo, Medico Competente, Thales
Alenia Space Italia S.P.A. Strada Antica Di Collegno 253, 10146 Torino
VESTIBULAR SCREENING IN WORK MEDICINE USING
MASTOID VIBRATION TEST
ABSTRACT. Objectives: To establish the validity criteria of the
mastoid vibration induced nystagmus test in work medicine screening.
Patients and methods: The mastoid vibration test results were
compared to the results of Veit’s caloric test in 87 healthy workers. To
determine the safety of the two procedures a questionnaire containing 4
Likert-type items (0-3) was administrated to each patient about the
following symptoms: nausea, vomiting, sweating and asthenia.
Results: The caloric test was normal in each worker, even in one,
who had a partial unilateral vestibular dysfunction related to trauma and
was positive to the mastoid vibration test. The mean duration of the
procedure was 15’ for Veit’s caloric test and 1’ for mastoid vibratory test.
Side effects like nausea, vomiting, sweating and asthenia were present
only in one patient after mastoid vibration, whereas a variable amount
of side effects was present in the workers following Veit’s test.
Conclusion: Mastoid vibration test is a valid, low cost clinical
screening test and does not cause patient discomfort. It is suggested this
test for the diagnostic screening of worker’s vestibular dysfunction,
together with sensitized Romberg test, tandem walk slow test, head
shaking test, Dix-Hallpike manoeuvre and Pagnini-Mc Clure manoeuvre.
Key words: Mastoid Vibration Test, Work Medicine, Vestibular
Screening
INTRODUZIONE
questione dell’idoneità vestibolare è complessa a causa dei limiti legati alla complessità delle manovre specialistiche ed alla esigenza della
Medicina del Lavoro di poter disporre di esami rapidi, efficaci nella interpretazione del dato, ripetibili, a bassi costi. Il problema degli incidenti
stradali e da caduta è attuale (42.088 cadute dall’alto su 193.208 infortuni per cadute nel settore industriale - 2007, INAIL). Di recente sono
state segnalate in letteratura indicazioni sull’impiego del test vibratorio
mastoideo nella valutazione della patologia vestibolare. Scopo del presente lavoro è quello di chiarirne l’utilità ed il significato clinico, proponendolo nello screening in Medicina del Lavoro.
MATERIALI E METODI
Sono stati reclutati per lo studio 87 operai presso un’azienda metalmeccanica (79 maschi e 8 femmine, età 20- 37 anni) esenti da patologie
di rilievo all’anamnesi generale ed otorinolaringoiatrica specifica, annualmente sottoposti, tra l’altro, a screening vestibolare con prova calorica fredda secondo la tecnica di Veits2, in quanto lavoratori in quota o
addetti alla guida professionale. Abbiamo valutato tutti i soggetti nel
marzo 2010 con esame vestibolare con prova calorica fredda secondo
Veits e con test vibratorio mastoideo, al fine di differenziare le due metodologie di valutazione vestibolare. Per l’esame con tecnica di Veits, i
soggetti, seduti con testa inizialmente flessa in avanti di 30°, subivano
una irrigazione dell’orecchio con 10cc di acqua a 20°C in 10 secondi.
Dopo un minuto dalla stimolazione si faceva piegare la testa in dietro di
60° e si contava il nistagmo considerando il numero di scosse nel minuto
successivo. Dopo 5 minuti l’esame veniva ripetuto dall’altro lato. Per l’esame con vibratore mastoideo abbiamo utilizzato un apparecchio
VVSED500 della Euroclinic, fornito di una superficie di contatto circolare di 4 cm di diametro, che veniva applicata con frequenza di 100 Hz
perpendicolarmente alla cute della regione mastoidea di entrambi i lati
per 10 secondi. Al termine dei due tests i pazienti sono stati sottoposti ad
un questionario di valutazione basato sulla sintomatologia neurovegetativa correlata all’esecuzione dell’esame, valutando con scala di Likert a
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
4 punti (0: assente, 1: lieve, 2: moderato, 3: grave; 4 sintomi: nausea, vomito, sudorazione, astenia (limiti: 0-12).
RISULTATI
Tutti i pazienti hanno presentato una riflettività vestibolare simmetrica alla prova di Veits, con valori di nistagmo provocato oscillanti tra le
60 e le 90 scosse al minuto. La durata media dei tests è stata 15 minuti.
18 pazienti di sesso maschile hanno presentato un’intensa sintomatologia
neurovegetativa, con valori al questionario variabili tra 6 e 12. Altri 42
pazienti (40 maschi e 2 femmine) hanno presentato una sintomatologia
neurovegetativa modesta (tra 3 e 5); i rimanenti 27 pazienti (21 maschi e
6 femmine) hanno mostrato sintomatologia neurovegetativa quasi assente (tra 0 e 2). Con il test vibratorio mastoideo, solo 1 paziente di sesso
maschile ha manifestato la comparsa di nistagmo orizzontale-rotatorio rivolto a destra alla stimolazione di entrambe le mastoidi riferendo al questionario una sintomatologia neurovegetativa modesta conseguente all’esame (6). Un approfondimento successivo ha rivelato una asimmetria labirintica attribuibile a pregresso trauma distorsivo del rachide cervicale
occorso sei mesi prima e non riferito all’anamnesi. La durata media degli
esami è stata di 1 minuto.
DISCUSSIONE
Lo screening vestibolare in Medicina del Lavoro è indicato nella
formulazione del giudizio di idoneità specifica a due mansioni: lavoro
in quota e guida professionale, attività comportanti rispettivamente un
elevato rischio di infortunio per sé e per gli altri e soggette a due normative: L. 30 Marzo 2001 n. 125, art. 15 e D.L. n. 81/2008. Il medico
competente può prevedere l’utilità di un esame vestibolare da inserire
nel protocollo di sorveglianza sanitaria, al fine di prevenire un eventuale evento infortunistico, che può comportare severe conseguenze sia
per il lavoratore che per i “terzi”. Le linee guida ISPESL prevedono periodica valutazione ORL comprensiva di esame audiometrico e prove
vestibolari (non specificate). L’esame vestibolare calorico monotermico freddo con tecnica di Veits è stato largamente impiegato in passato per la semplicità di esecuzione (basta una siringa, dell’acqua e
degli occhiali di Frenzel) anche in ambito clinico ed ancora oggi è ampiamente utilizzato nella valutazione medico-legale. La sensibilità e
specificità di questo test non sono elevate, come documentato in letteratura3-4, ed inoltre il test presenta numerosi svantaggi: lo stimolo non
è fisiologico, studia solo il canale semicircolare laterale e le risposte a
bassa frequenza, non è praticabile in caso di perforazione timpanica, è
discretamente “fastidioso” e necessita di tempi di esecuzione abbastanza rilevanti in Medicina del Lavoro. Al contrario, i risultati del nostro studio confermano l’assoluta tollerabilità del test vibratorio mastoideo, che presenta peraltro in letteratura caratteristiche di sensibilità
e specificità superiori. La vibrazione genera un nistagmo che non ha latenza e si esaurisce appena cessata la vibrazione (durata non superiore
a 10 secondi). Il nistagmo non è affaticabile e quindi il test è ripetibile
“a piacere”, è molto specifico in quanto è negativo nelle patologie centrali mentre è positivo nei deficit periferici anche così ben compensati
da essere negativi alle prove caloriche ed all’head shaking test. Inoltre
non necessita dell’integrità timpanica. Gli svantaggi derivano dal fatto
che è positivo solo in caso di lesione, negativo nelle disfunzioni come
la vertigine parossistica benigna e non indica il lato leso. Sulla base
della nostra esperienza si suggerisce l’inserimento nello screening vestibolare in Medicina del Lavoro del test vibratorio mastoideo, associato a: test di Romberg sensibilizzato, tandem walk slow test, head
shaking test e manovre di Dix-Hallpike e Pagnini-McClure, in sostituzione del classico test monotermico freddo.
BIBLIOGRAFIA
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185
41
ASMA AGGRAVATA DAL LAVORO IN UN’ADDETTA ALLE PULIZIE
- RISULTATO DELLA TERAPIA CON OMALIZUMAB
I. Folletti, A. Bussetti 1, F. Verginelli 2, A. Calcioli, A. Siracusa
Dip. di Medicina Clinica e Sperimentale, Sez. di Allergologia
Professionale e Ambientale, Università degli Studi di Perugia
1 Medico Competente Narni
2 Studente, Università degli Studi di Perugia
Corrispondenza: Alessandro Bussetti [email protected]
Parole chiave: Asma professionale. Omalizumab, AQLQ
TREATMENT WITH OMALIZUMAB IN A CLEANER WITH
WORK-EXACERBATED ASTHMA
ABSTRACT. Background. Work-exacerbated asthma and
occupational asthma may cause work loss. Asthma treatment with
omalizumab may be helpful for patients with work-related asthma and
potential applications in the occupational setting have not been reported
so far. We describe a case of work-exacerbated asthma in a cleaner
treated with omalizumab.
Case report. A 43-year-old woman, smoker. She has been working as
a cleaner in the past 7 years. She referred to our unit because of severe
persistent asthma. Skin prick tests were positive for house dust mite. Work
exposure to disinfectants and bleach exacerbated asthma symptoms and
caused absence from work. Despite pharmacologic therapy for severe
persistent asthma as indicated by GINA guidelines and the suggestion to
avoid exposure to disinfectants and bleach, asthma symptoms were not
controlled. She started the treatment with omalizumab (225 mg every two
weeks). Each time the patient returned to receive the dose of omalizumab,
we recorded asthma related quality of life questionnaire (AQLQ), asthma
control questionnaire (ACQ) and spirometric parameters. After 10 doses
the patient’s clinical condition improved, asthma symptoms were well
controlled and she was able to work as cleaner avoiding disinfectants and
bleach exposure. AQLQ overall score showed an improvement that was
significant for emotions domain.
Conclusion. Omalizumab is an effective therapy for workexacerbated allergic asthma. The treatment with omalizumab and the
reduction of work exposure to disinfectants and bleach improved asthma
control. The patient continued to work while receiving the treatment with
omalizumab.
Key words: Work related asthma, Omalizumab, AQLQ
INTRODUZIONE
L’asma professionale e l’asma aggravata dal lavoro pongono importanti problemi di gestione dell’idoneità lavorativa. Le misure di prevenzione
ambientali e personali per ridurre/eliminare l’esposizione e la terapia farmacologia devono essere entrambe assicurate al lavoratore affetto da asma
correlata con il lavoro. Talvolta nel caso di asma grave correlata con il lavoro può essere necessario l’allontanamento definitivo dal proprio lavoro.
Negli ultimi anni sono stati individuati nuovi agenti causali per
l’asma professionale e fra questi hanno molta importanza i prodotti per
le pulizie. Recenti pubblicazioni hanno dimostrato che l’esposizione a
prodotti per le pulizie non ha solo un ruolo causale ma può anche aggravare l’asma preesistente. Pochi studi sono stati fatti per valutare l’andamento dell’asma correlata con il lavoro in corso di terapia. Negli ultimi
anni sono state messe a punto nuove strategie terapeutiche per l’asma
grave persistente. Descriviamo un caso di asma grave persistente in
un’addetta alle pulizie trattata con omalizumab.
CASO CLINICO
Paziente di 43 anni, fumatrice, che da 7 anni lavora come addetta alle
pulizie di ospedali e uffici. Da circa 5 anni è affetta da asma bronchiale e
rinocongiuntivite. Presenta un chiaro fenomeno arresto-ripresa dei sintomi
respiratori correlati con l’esposizione a ipoclorito di sodio e a disinfettanti
contenenti composti quaternari dell’ammonio in ambito lavorativo. La paziente è giunta alla nostra osservazione circa 4 anni fa riferendo, in seguito
all’esposizione a ipoclorito di sodio e disinfettanti per i bagni, sintomi
d’asma e di rinocongiuntivite che si attenuavano fuori dal lavoro. I prick
186
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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42
AUMENTO DEI LIVELLI PLASMATICI DI MOLECOLE HLA-G
SOLUBILI DOPO ESPOSIZIONE ACUTA A TRAFFICO URBANO
IN SOGGETTI PROFESSIONALMENTE ESPOSTI
G. Guarnieri1, R. Rizzo2, M. Stignani2, P. Maestrelli1
1
Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica - Università di
Padova, Via Giustiniani 2 - 35128 Padova
2 Dipartimento di Medicina Sperimentale e Diagnostica, Sezione di
Genetica Medica- Università di Ferrara, Via L. Borsari 46 - 44121
Figura 1
Figura 2
test sono risultati positivi per gli acari della polvere. Il valore di IgE totali
era di 411 KUA/l. I sintomi erano persistenti nonostante la terapia inalatoria con steroidi e broncodilatatori a lunga durata d’azione, la terapia con
antileucotrieni, antistaminici e cicli di corticosteroidi per via orale, e la prevenzione individuale e ambientale, per quanto possibile, sul luogo di lavoro. Nel mese di Aprile 2010, mentre la paziente era fuori dal lavoro a
causa dell’asma, è stata iniziata la terapia con omalizumab 225 mg SC ogni
2 settimane. La paziente è stata monitorata a ogni somministrazione mediante spirometria e questionario sulla qualità della vita degli asmatici
(AQLQS (S)) e questionario sul controllo dell’asma (ACQ). Dopo 4 somministrazioni la paziente ha ripreso il lavoro di addetta alle pulizie di uffici
e scuole, evitando l’esposizione a ipoclorito e a disinfettanti e facendo uso
di mascherina. Tuttavia i sintomi dell’asma si sono riacutizzati. Ha iniziato
un ciclo di corticosteroidi per os ed è stata costretta di nuovo abbandonare
il lavoro per circa 4 settimane. In seguito ha ripreso il lavoro di addetta alle
pulizie civili con una ridotta esposizione a ipoclorito e disinfettanti. Attualmente i sintomi d’asma sono ben controllati. La valutazione dopo 10
somministrazioni di omalizumab mediante il questionario sulla qualità
della vita ha evidenziato complessivamente un punteggio con tendenza al
miglioramento (fig. 1), che è risultato significativo soltanto per quanto riguardava le funzioni emotive (fig. 2). Durante la terapia con omalizumab
il valore del FEV1 non si è modificato.
CONCLUSIONI
L’omalizumab è una terapia efficace nell’asma allergico aggravato
dall’attività lavorativa. Nel caso descritto si è evidenziata l’utilità nel
controllo dei sintomi respiratori. La paziente presentava una componente
di aggravamento lavorativo dell’asma che, essendo dovuta all’esposizione a sostanze chimiche multiple e a ipoclorito di sodio, ha trovato notevole giovamento anche dalla prevenzione ambientale associata alla terapia con omalizumab, consentendone il reinserimento lavorativo.
BIBLIOGRAFIA
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With Occupational Asthma. JInvestig Allergol Clin Immunol 2008;
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17:62-72
Corrispondenza: Dr.ssa Gabriella Guarnieri, Dipartimento di Medicina
Ambientale e Sanità Pubblica - Università di Padova, U.O. Medicina del
Lavoro, Via Giustiniani 2 - 35128 Padova, Tel. +39 049 8212563-25632567, Fax +39 049 8212566, e-mail [email protected]
INCREASED PLASMATIC LEVELS OF SOLUBLE HLA-G
MOLECULES AFTER SHORT-TERM EXPOSURE TO TRAFFIC
POLLUTION IN OCCUPATIONAL EXPOSED SUBJECTS
ABSTRACT. The aim of this study is to investigate the effect of
short-term exposure to traffic pollution on plasmatic soluble(s)HLA-G
and IL-10 levels in healthy subjects.
We recruited 44 healthy non-smoking policemen, divided in exposed
to traffic and controls (office workers). Before and after the first weekly
shift, plasmatic sHLA-G and IL-10, and lung volumes were measured in
each subject. sHLA-G and IL-10 levels were analyzed by ELISA.
Individual pollution exposure was estimated by airborne particulate
matter (PM2.5 and PM10) concentrations.
Pre-shift sHLA-G levels were similar in both groups and increased
after shift in the subjects exposed to traffic only (before 10.5±1.6 vs after
29.7±4.5 ng/ml, p<0.0001). After shift IL-10 exhibited an opposite trend
in the two groups: no changes were observed in the exposed subjects,
whereas IL-10 levels decreased in the non exposed group (before 0.7±0.5
vs after 0.5±0.4 pg/ml, p=0.03). sHLA-G cross-shift changes were
positively correlated with PM2.5 levels (rho=0.51, p<0.05).
In conclusion, short-term exposure to traffic pollution have immunemodulatory effects on HLA-G system, which is independent from IL-10.
It remains to be determined whether it is due to spill of inflammatory
mediators from the lung or to direct effects of ultrafine particles passed
into the blood stream.
Key words: inflammation, air pollution, MHC molecule
INTRODUZIONE
Nelle aeree urbane rialzi estemporanei di polveri fini (PM) risultano
correlati ad esacerbazioni di patologie cardiorespiratorie (1, 2). Vi sono
limitate evidenze a sostegno dell’ipotesi che tali patologie siano da imputarsi al rilascio di mediatori pro-infiammatori di origine polmonare. In
un nostro precedente studio abbiamo evidenziato, in vigili urbani esposti
a PM, segni subclinici di infiammazione delle vie aeree (aumento di ossido nitrico esalato, FeNO) e riduzione della funzionalità dell’epitelio
bronchiale (riduzione di CC16 plasmatica) (3). Altri autori hanno rilevato
segni di infiammazione sistemica in vigili del fuoco dopo inalazione di
fumo di combustione (4). Recentemente è stato evidenziato che la regolazione di HLA-G, antigene HLA di classe I atipico con proprietà antiinfiammatorie e immunomodulanti, è alterato nell’asma bronchiale e in
esposti a prodotti chimici, come gli isocianati (5, 6). Nel sangue periferico i maggiori produttori di HLA-G solubile (sHLA-G) sono i monociti
a seguito di stimolazione indotta da IL-10 o INF-γ (5). L’espressione di
HLA-G è stata dimostrata in alcuni tumori solidi, in corso di infezioni virali, in malattie infiammatorie ed autoimmuni (6). Lo scopo dello studio
è quello di studiare i livelli di sHLA-G e di IL-10 nel plasma di soggetti
sani esposti a particolato urbano.
MATERIALI E METODI
Sono stati reclutati vigili urbani, sani, non fumatori, con test spirometrici nella norma, suddivisi in esposti (addetti a controllo del traffico)
e non esposti (addetti ad attività impiegatizia). I criteri di esclusione considerati sono stati: trattamento con antibiotici o corticosteroidi sistemici/inalatori nell’ultimo mese, esecuzione regolare, o nell’ultima settimana, di attività fisica all’aperto. Ciascun soggetto è stato sottoposto al-
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l’inizio e alla fine del primo turno di lavoro, dopo 24 ore di non esposizione lavorativa, a dosaggio di HLA-G ed IL-10 nel plasma, ed esame
spirometrico. I dati di inquinamento atmosferico da PM2,5 e PM10, nelle
specifiche giornate di campionamento sono stati ricavati dal bollettino
ufficiale on-line dell’ARPAV. I volumi polmonari mobilizzabili (FEV1 e
CV) sono stati misurati con spirometro a campana. I livelli di HLA-G solubile sono stati analizzati tramite metodica ELISA utilizzando come anticorpo di cattura MEM-G9 (Exbio, Praga), specifico per le molecole
HLA-G, e come anticorpo di rilevazione anti-beta2 microglobulina perossidasi (Dako, Glostrup, DK). I livelli di interleuchina 10 sono stati
analizzati tramite il kit commerciale Human IL-10 BioSource Immunoassay Kit (Human IL-10 US; BioSource, Camarillo, CA, USA) seguendo le indicazioni del produttore. Il confronto dei risultati è stato eseguito utilizzando test non parametrici Mann-Whitney U test o il Wilcoxon’s rank sum test. Le relazioni tra gli inquinanti ambientali e gli indicatori biologici di infiammazione sono state effettuate usando il coefficiente di correlazione Spearman rank. I dati sono espressi come media
± errore standard (SE) e per tutte le analisi statistiche sono stati considerati statisticamente significativi valori di p < 0.05.
RISULTATI
Sono stati reclutati 44 vigili, 27 esposti e 17 non esposti con caratteristiche antropometriche tra loro comparabili (tabella I).
Non è stata osservata nessuna variazione significativa degli indici
spirometrici. I livelli pre-turno di sHLA-G sono risultati simili nei due
gruppi, ma aumentavano in maniera statisticamente significativa dopo
esposizione nel gruppo degli esposti (tabella II) Le concentrazioni di IL10, più basse negli esposti pre-turno, hanno presentato un andamento diverso nei due gruppi dopo esposizione, rimanendo mediamente stabili
negli esposti e riducendosi nei non esposti.
Le concentrazioni medie degli inquinanti ambientali sono state
PM2,5 24.2 μg/m3 (range 18-32) e PM10 32.8 μg/m3 (range 20-44). Negli
esposti le variazioni dei livelli di sHLA-G sono risultate positivamente
correlate con i livelli ambientali di PM2,5 (rho = 0.51; p < 0.05). Non
sono state apprezzate correlazioni con gli indici di funzionalità respiratoria né con gli altri inquinanti.
DISCUSSIONE
Il nostro studio ha evidenziato che in un gruppo di vigili urbani, sani
e non fumatori, l’esposizione acuta a inquinanti ambientali è associata a
modulazione del sistema HLA-G. Infatti nel personale addetto ad attività
all’aperto abbiamo osservato un incremento significativo dopo turno lavorativo dei livelli di sHLA-G, che è risultato positivamente correlato ai
livelli ambientali di PM2,5. La produzione di HLA-G è regolata fisiologicamente dall’IL-10. Nel nostro caso non abbiamo osservato variazioni dei
livelli di questa interleuchina. Quindi il meccanismo di azione degli inquinanti legati al traffico è indipendente dall’IL-10. Alterazioni dei livello
di IL-10 è stato documentato in altri studi per esposizione ad allergeni, siTabella I. Caratteristiche dei soggetti
Tabella II. Confronto delle variabili analizzate
in relazione al turno lavorativo
* p < 0.0001 HLA-G (ng/ml) post-turno vs pre-turno
$ p = 0.03 IL-10 (ng/ml) pre-turno esposti vs non esposti
∇ p = 0.03 IL-10 (ng/ml) post-turno vs pre-turno
187
lice o endotossine di origine organica (7,8). Si può ipotizzare che l’esposizione acuta a traffico urbano sia in grado di svolgere un’azione diretta a
livello polmonare determinando degli eventi infiammatori locali (3), che
potrebbero indurre effetti sistemici, mediati dall’attivazione di citokine
come IL-6 o TNF-alfa, responsabili della modulazione del sistema HLAG. In alternativa si può ipotizzare un effetto sistemico diretto della componente ultrafine del PM, ammesso che questa sia in grado di penetrare
nella circolazione. La correlazione delle variazioni di sHLA-G con la
componente più fine del particolato (PM2,5) è in linea con tale ipotesi.
BIBLIOGRAFIA
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43
STRESS LAVORO CORRELATO E BENESSERE ORGANIZZATIVO:
ESPERIENZA DELLA ASL ROMA E
M. Quintili1, S. Baldecchi1, M. Vescia1, E. Cordaro2,
D. Di Nicola2, R. Nardella1
1 UOC
2 UOS
Sicurezza Prevenzione e Risk Management ASL Roma E,
Psicologia del Lavoro ASL Roma D.
WORK-RELATED STRESS AND ORGANIZATIONAL WELLBEING: EXPERIENCE OF THE ASL ROMA E
ABSTRACT. Preventing the onset of disease-related stress means to
analyze and evaluate the organizational process fashioned default is not
appropriate to the capabilities of relational life of individuals. In Italy
the Legislative Decree no. 81/08 has imposed the construction, even for
the psychological security of workers, of a system capable of measuring
and evaluating the elements that affect the business and organizational
processes that can cause discomfort in people a full-blown work and / or
work-related stress disorders.
In 2009, the UOC Prevention and Security Risk Management, has
initiated a research project characterized by the analysis of
organizational processes. The survey covered 1100 workers who were
evaluated by the ROAQr (Risk Assessment Questionnaire Organization
Dr. E. Cordaro and Dr. D. Di Nicola.).The survey was conducted to
identify the critical organizational groups, in order to finalize the health
surveillance on the problems highlighted, but also identify and measure
the areas on which to plan and carry out interventions of “reclamation”
necessary to re-establish a relational life better and at lower risk of
developing diseases related job stress.
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni il mondo del lavoro è andato incontro a profondi
cambiamenti legati al progresso tecnologico-scientifico e a cambiamenti
188
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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sociali, politici e normativi. Fattori questi che hanno “complicato” l’attività lavorativa, esponendo i lavoratori a nuovi rischi meno quantificabili
e visibili rispetto ai più tradizionali, quali il rischio chimico o biologico,
ma più subdoli e a lungo andare molto più pericolosi come lo stress LC.
Prevenire l’insorgenza delle patologie stress correlato significa
quindi riuscire ad analizzare e valutare come le caratteristiche organizzative si articolino nella vita sociale del gruppo, e come possano influenzare il contesto dove si svolge la vita lavorativa, ovvero comprendere
quando il processo organizzativo predefinito non sia adeguato alle capacità di vita relazionale delle persone.
In Italia il D.lgs. 81 del 2008 ha reso urgente costruire, anche per la
dimensione della sicurezza psicologica dei lavoratori, un sistema in
grado di misurare e valutare gli elementi che incidono sui processi organizzativi delle aziende e che possono determinare una condizione psicosociale in grado di attivare nelle persone un conclamato disagio da lavoro
e/o patologie stress lavoro correlate.
Nel corso del 2009 la UOC Sicurezza Prevenzione e Risk Management, accanto alla ricognizione dei dati oggettivi mediante indicatori di
rischio, risultato/manifestazione e di contrasto, ha attivato un progetto di
ricerca caratterizzato dall’analisi dei processi organizzativi. L’indagine è
stata condotta con strumenti e procedure adeguate e validate statisticamente, per identificare le componenti organizzative critiche per la vita
sociale dei gruppi, poter finalizzare la sorveglianza sanitaria sulle problematiche evidenziate, ma soprattutto identificare e misurare le aree
sulle quali progettare e realizzare gli interventi di “bonifica” necessari a
ristabilire una vita relazionale di minore impatto conflittuale e a minor rischio d’insorgenza di patologie stress lavoro correlate.
Tabella I
MATERIALI E METODI
L’indagine è stata condotta sulla popolazione lavorativa dei due ospedali a gestione diretta, con il coinvolgimento di circa 1100 operatori, attraverso tre diversi momenti rivolti a tutto il personale dipendente per la
presentazione dell’intero progetto, con particolare riguardo alle finalità
dello stesso, della tempistica e dei materiali che sarebbero stati utilizzati.
La metodologia adottata ha previsto nel dettaglio un’intervista ai direttori delle diverse UOC del polo ospedaliero; interviste semistrutturate
ai Responsabili di struttura semplice e di comparto; la somministrazione
del questionario R.O.A.Q. (Risk Organization Assessment Questionnaire
del Dott. E. Cordaro e della Dott.ssa D. Di Nicola.) a tutto il resto del personale dipendente per la rilevazione di tipologie, qualità e quantità delle
costrittività organizzative. L’intervista e la somministrazione del questionario è fatta da due rappresentanti della UOCC Sicurezza Prevenzione e
Risk Management. La somministrazione del questionario e la compilazione è stata programmata per piccoli gruppi, in occasione delle riunioni
di meeting quindicinale dei reparti, ottenendo così una partecipazione capillare e facilitando la possibilità di spiegare ulteriormente lo scopo dell’indagine e rassicurare le persone della totale riservatezza dell’indagine.
L’intervista semistrutturata, articolata in diverse aree, ha consentito,
per ciascuna delle micro realtà organizzative (UOC/UOS) di individuare
gli aspetti problematici, identificare i modi usuali di affrontarli, evidenziare le dimensioni culturali presenti.
Esse, inoltre, hanno reso possibile un successivo riscontro incrociato
con le informazione rilevate dal personale dipendente con i questionari.
Il questionario, organizzato anch’esso su cinque fattori, ha consentito la
misurazione del livello di salute del servizio e dell’azienda relativamente alle
macro aree della comunicazione (Fattore 1), del clima organizzativo (Fattori
2 e 5), della bontà del servizio (Fattore 3) del clima relazionale, (Fattore 4).
I dati così ottenuti sono stati successivamente elaborati secondo uno
specifico albero decisionale che ha consentito l’attribuzione dei codici di
rischio, rappresentati efficacemente con il modello triage - rosso, giallo
e verde- sulla base del numero e tipologia di costrittività organizzative riscontrate, mettendo in relazione le dinamiche sociali con le difficoltà di
gestione organizzative del gruppo. Nello specifico l’alto rischio o codice
rosso è assegnato a tutti quei servizi che presentano una media inferiore
a quella generale dell’Azienda anche in presenza di un solo fattore critico; il medio rischio o codice giallo è assegnato a tutti quei servizi che
presentano una media superiore a quella generale dell’Azienda, ma che
presentano almeno una criticità; oppure a quei servizi senza criticità, ma
con una media inferiore a quella di un altro servizio che contiene una o
più criticità; il basso rischio o codice verde è assegnato a tutti quei servizi che presentano una media generale superiore a quella dell’Azienda
e che non presentano alcuna criticità.
Tabella II. Profilo generale
Tabella III. Codici di rischio
RISULTATI
Sono state effettuate 85 interviste semi-strutturate ai direttori di
UOC e dirigenti che hanno responsabilità di budget e di personale, su
un totale di 111 dirigenti con un ritorno pari all’80% del personale
raggiunto.
Il questionario è stato somministrato a 1100 dipendenti e abbiamo
avuto un ritorno di 910 questionari, con un ritorno pari all’80% del
personale raggiunto.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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Il dato medio di salute generale dell’Azienda si è assestato su un valore
medio di 2,83, indicativo di una salute organizzativa complessivamente
buona, con aspetti di criticità, ma con situazioni organizzative di eccellenza.
Nell’attribuzione poi dei codici di rischio, è stata individuata la frequenza con cui i cinque fattori nei diversi reparti si presentavano con un
valore inferiore rispetto alla media aziendale e contemporaneamente al
valore ritenuto critico, stabilito dal questionario in 2,59.
In questo modo è stato possibile evidenziare che i pareri negativi e
il vissuto insoddisfacente dei lavoratori riguarda prioritariamente il fattore F3 (orario di lavoro/vita privata) e secondariamente il fattore F4
(F3= 45,8%, F4 29,2%, F1 16,7%, F5 8,3%), mentre al contrario gli
aspetti positivi riguardano il fattore F2, che compare come una risorsa
capace di attivare le energie individuali e il fattore F5 che, con il suo valore largamente basso testiomonia l’assenza da parte dell’organizzazione
di comportamenti atti a determinare conflitti.
CONCLUSIONI
La rilevazione dello stress lavoro correlato ha rappresentato un’importante opportunità gestionale che può consentire l’attivazione di percorsi
virtuosi finalizzati al miglioramento del processo produttivo attraverso il
monitoraggio di quelle variabili psicosociali che possono produrre nel “sistema” uno sviluppo e crescita, e limitare gli antagonismi individuali o di
gruppo, sempre generatori di tendenze regressive nell’organizzazione. L’utilizzo quindi di uno strumento facile, rapido e capace di fornire indicazioni
specifiche sulle variabili esplorate, come nel caso del ROAQr consente al
Datore di Lavoro di disporre di una lettura complessiva della propria
azienda e al tempo stesso di disporre di un gradiente di priorità d’intervento
utile a cadenzare in modo efficace ed efficiente le attività di bonifica.
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44
ESPOSIZIONE OSPEDALIERA A FARMACI ANTITUMORALI:
EVOLUZIONE DEGLI SCENARI A 10 ANNI DAL DOCUMENTO
DI LINEE GUIDA PER LA SICUREZZA E LA SALUTE DEI
LAVORATORI ESPOSTI A CHEMIOTERAPICI ANTIBLASTICI
IN AMBIENTE SANITARIO G.U. N° 236 DEL 7 OTTOBRE 1999
F.M. Rubino1, M. Pitton2, D. Di Fabio2, M. Fugnoli3, A. Colombi2
1
LaTMA - Laboratorio di Tossicologia e Metabolomica Analitica,
Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria, Università degli
Studi di Milano @ ‘Ospedale San Paolo’, v. Antonio di Rudinì 8, Milano,
Italia, I-20142.
2 LaTMA - Laboratorio di Tossicologia e Metabolomica Analitica,
Dipartimento di Medicina del Lavoro, Clinica L.Devoto, Università
degli Studi di Milano - sezione Ospedale San Paolo
3 Scuola di Dottorato in Medicina del Lavoro, Università degli Studi di
Milano.
189
CONTAMINATION OF HOSPITAL ONCOLOGIC PHARMACY BY
CANCER DRUGS: REDUCTION OF LEVELS TEN YEARS AFTER
THE ISSUE OF NATIONAL GUIDELINES
ABSTRACT. The occupational hazard deriving from manipulation
of cancer drugs by pharmacy technicians and oncologic ward nurses has
been a concern for the last thirty years and specific guidelines for the
protection of hospital workers have been issued in Italy in 1999.
Appropriate preventive measures have been mandated, including
preparation in restricted-access wards equipped with laminar-flow
safety cabinets by fully trained personnel and the use of specific personal
protection devices in all phases of health-care of cancer patients,
starting from preparation to administration of individual chemotherapy
to disposal of drug-contaminated patient waste. Workplace monitoring of
contamination on the surfaces of drug preparation rooms allows to
estimate the level of potential exposure of hospital workers due to
dispersion of traces of cancer drugs occurring during preparation and
administration. A comparison of the mean contamination levels in
hospitals in Lombardy measured between 1995 and 2007 shows a 100fold or better reduction of drug dispersion outside the preparation
cabinet, now corresponding to a few milligrams per kilogram of
manipulated drugs. Workplace monitoring has thus proven cost-effective
to assess on a rational basis the improvement of occupational risk by
compliance of hospital management and staff to the guidelines.
INTRODUZIONE
L’impiego dei farmaci antineoplastici da parte degli operatori ospedalieri coinvolti nella preparazione e somministrazione dei farmaci chemioterapici (tecnici di farmacia, infermieri, personale medico) può comportare l’indebita esposizione professionale a sostanze chimiche con proprietà tossiche e cancerogene. Questo problema è avvertito da circa
trenta anni in ambito internazionale e, in Italia, da dieci anni il ‘Documento di linee guida per la sicurezza e la salute dei lavoratori esposti a
chemioterapici antiblastici in ambiente sanitario’ (G.U. n° 236 del 7 ottobre 1999) specifica le procedure e i protocolli di prevenzione dell’esposizione e di tutela della salute dei lavoratori coinvolti in questo settore di nicchia dell’attività ospedaliera che coinvolge, in Italia, circa
5000 lavoratori inoltre 1000 stabilimenti sanitari in cui la complessità organizzativa e la specificità del servizio sanitario offerto varia da piccole
realtà locali a grandi ospedali specialistici che curano ogni anno decine
di migliaia di pazienti spesso provenienti dall’ambito nazionale e dall’Estero e svolgono attività di ricerca clinica di rinomanza internazionale.
Il nostro laboratorio ha intrapreso da tempo un’attività di verifica
dell’applicazione e dell’efficacia delle linee guida messe in atto da diverse strutture ospedaliere specializzate attraverso il monitoraggio ambientale della contaminazione da farmaci chemioterapici antiblastici
(FCA) (1-3) e attraverso il monitoraggio biologico dell’esposizione individuale (4) in caso di incidente con possibile esposizione dei lavoratori
coinvolti. In particolare, attraverso la misura della contaminazione da
FCA sulle superfici di lavoro dei locali di preparazione e di somministrazione dei farmaci viene valutata l’entità della possibile esposizione
degli operatori. A tal fine il nostro laboratorio ha messo a punto un protocollo standardizzato di verifica che comprende la strategia di campionamento, i metodi analitici e i criteri per l’interpretazione dei risultati
delle indagini (1-3).
MATERIALI E METODI
Per la misura della contaminazione da farmaci chemioterapici antiblastici sulle superfici di lavoro sono stati sviluppati metodi cromatografici per la rilevazione dei principali FCA, tra cui il 5-fluorouracile, la citarabina, la gemcitabina (5), il metotrexato (6), l’epirubicina, la dacarbazina, l’ifosfamide. Tutti i metodi analitici impiegati sono procedure originali del laboratorio, messe a punto sperimentalmente, validate e pubblicate, o in corso di pubblicazione, nella letteratura scientifica internazionale.
RISULTATI
La Figura 1 mostra i valori medi di contaminazione da farmaci chemioterapici misurati in numerose strutture ospedaliere lombarde pubbliche e accreditate nel corso di oltre un decennio di attività del nostro
Laboratorio volta alla consulenza e alla formazione.
Le strutture ospedaliere esaminate sono tra loro eterogenee per numero di pazienti trattati (e pertanto di quantità di farmaci utilizzati), per
190
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
4)
5)
6)
Figura 1. Valori medi di contaminazione da farmaci chemioterapici
misurato nelle Unità di Manipolazione di Farmaci Antineoplatici
(UMaCA) di strutture ospedaliere lombarde
7)
natura delle patologie oncologiche trattate (che condiziona la natura dei
farmaci utilizzati con maggior frequenza) e per le caratteristiche specifiche dei locali che, in ciascuna di esse sono adibiti alla preparazione e
alla somministrazione dei trattamenti farmacologici. Di conseguenza, per
poter confrontare tra loro i risultati del monitoraggio della contaminazione i dati grezzi di contaminazione che emergono dalle misure di monitoraggio ambientale vengono convertite per render conto in termini
quantitativi delle differenze esistenti tra le diverse strutture e vengono
pertanto espressi come microgrammi di farmaci dispersi per metro quadrato di superficie dell’ambiente ospedaliero considerato e per grammo
di farmaci preparati nella settimana antecedente il campionamento (parti
per milione per metro quadrato).
Dall’esame dei valori riportati nel grafico emerge con evidenza che
i livelli di contaminazione mediamente presenti negli spazi ospedalieri
risultano ora ridotti in un decennio di oltre due ordini di grandezza rispetto al periodo immediatamente precedente l’emanazione della norma
tecnica [anni 1995-99 (7, 8)] e corrispondono alla dispersione di pochi
microgrammi di farmaci per chilogrammo di farmaci manipolati. Dato
ormai per acquisito l’impiego generalizzato dei DPI specifici per la manipolazione dei FCA, l’esposizione a dosi di farmaci di interesse tossicologico risulta limitata ai soli casi di incidente (4, 9).
CONCLUSIONI
Il risultato di oltre dieci anni di monitoraggio dimostra che nella
maggior parte delle strutture ospedaliere della Regione Lombardia i processi di riorganizzazione logistica (centralizzazione) e di riqualificazione
del personale risultano ormai acquisiti (anno 2007) e che l’implementazione delle procedure e dei protocolli di buona pratica definiti dalla normativa ha comportato un miglioramento generalizzato della tutela dei lavoratori ospedalieri da questo rischio professionale.
BIBLIOGRAFIA
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del rischio espositivo da chemioterapici antiblastici. Atti del Convegno Nazionale “Progressi nella valutazione del rischio espositivo
a chemioterapici antiblastici” Pavia, 14-15 Ottobre 1999 vol. 5, 3950 (2000).
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8)
9)
nella valutazione del rischio espositivo a chemioterapici antiblastici”
Pavia, 14-15 Ottobre 1999 vol. 5, 177-86 (2000).
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45
VALUTAZIONE DEI DATI SULLA SORVEGLIANZA SANITARIA
TRASMESSI IN VENETO AI SENSI DELL’ART. 40 D.LGS. 81/08
L. Marchiori
Servizio Sicurezza e tutela del lavoro, Direzione Prevenzione, Regione
Veneto
RIASSUNTO. La comunicazione presenta i dati trasmessi dai medici competenti ai servizi delle Ulss ai sensi dell’art. 40 del D.Lgs.81/08.
Sono stati raccolti i dati relativi ad oltre 9.000 relazioni, elaborabili in
Excell, su un totale di 19.000 relazioni. I dati sono significativi di una popolazione occupata di circa 300.000 lavoratori, circa un sesto dalla totalità degli assicurati INAIL in Veneto.
L’esame dei dati permette valutazioni su tre diversi piani.
– Dei dati aggregati con l’evidenza dei rischi per la salute prevalenti
(ergonomici, fisici, chimici, ecc.) e la percentuale dei lavoratori inidonei,
temporanei o permanenti, delle giornate di assenza dal lavoro per malattia. Tale approccio permette di evidenziare la distribuzione dei rischi
in ambito regionale e locale con tipologia del rischio (ad es: rischio cancerogeno), in sostanza di realizzare le “mitiche” mappe di rischio.
– Dei dati specifici per azienda, individuando profili di rischio e dei
danni (malattie professionali ed infortuni);
– Dei dati aggregati relativi ai carichi di lavoro dei medici e dei protocolli sanitari adottati.
Le informazioni che i servizi delle Ulss possono trarre dal flusso
informativo artt. 40, analogamente a quanto sperimentato con i flussi
informativi INAIL - ISPESL - Regioni relativamente agli infortuni, possono permettere lo sviluppo di politiche di prevenzione mirate i rischi pù
gravi o più diffusi per la salute dei lavoratori, indirizzate nelle aziende
target. Concorrendo così allo sviluppo del SINP (Sistema Informativo
Nazionale della Prevenzione) attraverso il contributo dei medici competenti.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
Allo stesso tempo, si profilano nuove opportunità per i medici competenti nell’attuazione dei flussi informativi pubblici, che dispongono di
uno standard utilizzabile ai fini della comunicazione in azienda diretta al
datore di lavoro ed ai lavoratori.
Indubbio è quindi il miglioramento qualitativo della prevenzione che
sarà possibile attraverso la messa a sistema dei contenuti di cui all’art. 40.
46
STRINGHE DI RICERCA PER LO STUDIO DI DETERMINANTI
PROFESSIONALI DI MALATTIA: UN ESEMPIO DI UTILIZZO
PRATICO
S. Mattioli1, F. Zanardi1, P. Apostoli2, F. Semeraro3, S. Curti1,
A. Farioli1, A. Baldasseroni4, F.S. Violante1
1 Sezione di Medicina del Lavoro, Dipartimento di Medicina Interna,
dell’Invecchiamento e Malattie Nefrologiche, Università di Bologna,
via Massarenti 9, 40138 Bologna
2 Dipartimento di Medicina Sperimentale e Applicata, Sezione di
Medicina del Lavoro e Igiene Industriale, Università degli Studi di
Brescia, Via Cantore 20, 25123 Brescia
3 Clinica Oculistica, Università degli Studi di Brescia, P.le Spedali Civili
1, 25123 Brescia
4 CeRIMP - Centro Regionale Infortuni e Malattie Professionali, Regione
Toscana, v.le Michelangelo, 41 - 50125 Firenze
EARCH STRINGS FOR STUDY OF PUTATIVE OCCUPATIONAL
DETERMINANTS OF DISEASE: AN EXAMPLE FOR PRACTICE
ABSTRACT. Background. Recently, two PubMed search strings
have been proposed to retrieve articles regarding putative occupational
determinants of conditions not generally considered to be work-related.
These search strings have been applied to a practical case.
Methods. The two strategies (one more specific, the other more
sensitive) have been used in PubMed to retrieve information on the
possible association between occupational risk factors and chorioretinitis
or chorioretinopathy.
Results. The more specific string was capable of retrieving a high
proportion of potentially pertinent abstracts, 7/9 (78%). 11/27 (41%)
abstracts retrieved by the more sensitive strategy could be considered
pertinent (4 were not retrieved by the specific string). The numbers of
abstracts read in order to find one potentially pertinent article were: 1.3
for the specific string and 2.5 for the sensitive one.
Discussion. Many of the pertinent abstracts were allied to biological
risk factors of the disease. On the other hand, as regards a supposed
occupational psychosocial risk, none of the study was analytical, thus
preventing any inference on this putative association.
Key words: Bibliometrics; Chorioretinitis; Evidence-Based Practice
INTRODUZIONE
Alcune malattie possono avere determinanti occupazionali poco o
nulla conosciuti, come nel caso della maggiore suscettibilità per la polmonite infettiva tra i lavoratori esposti a fumi di metalli (1). Strategie di
ricerca ben definite su PubMed, possono fornire strumenti efficienti ed
efficaci per rispondere a domande “evidence-based” nel campo della medicina del lavoro, compresa l’eventuale eziologia correlata al lavoro di
certe malattie. Tale conoscenza può fornire un importante presupposto
per “evidence-based medicine (EBM)” ed “evidence-based prevention
(EBP)” in medicina del lavoro. Una serie di strategie razionali di ricerca
di PubMed è stata sviluppata per le patologie già studiate come correlate
al lavoro (2-6). Mattioli e coll. (7) hanno definito strategie di ricerca su
PubMed per condizioni di malattia non frequentemente correlate al lavoro ma che plausibilmente potrebbero avere dei determinati occupazionali.
L’obiettivo di questo studio è quello di mostrare l’uso razionale di
queste stringhe (7) attraverso l’esempio della ricerca in letteratura di
informazioni relative ad patologia non ritenuta solitamente di origine
professionale come la corioretinite sierosa centrale.
MATERIALE E METODI
Le due stringhe di ricerca proposte (7) sono le seguenti:
191
1.
Strategia di ricerca più specifica:
(occupational diseases[MH] OR occupational exposure[MH] OR
occupational medicine[MH] OR occupational risk [TW] OR occupational hazard [TW] OR( industry [MeSH Terms] mortality [SH])OR occupational group*[TW] OR work-related OR occupational air pollutants
[MH] OR working environment [TW]) AND nome(i) della malattia
2.
Strategia di ricerca più sensibile:
(occupational diseases [MH] OR occupational exposure [MH] OR
occupational exposure* [TW] OR “occupational health” OR “occupational medicine” OR work-related OR working environment [TW]OR at
work [TW] OR work environment [TW] OR occupations [MH] OR
work[MH] OR workplace*[TW] OR workload OR occupation* OR
worke* OR work place* [TW] OR work site*[TW] OR job*[TW] OR occupational groups [MH] OR employment OR worksite* OR industry)
AND nome(i) della malattia
Due URL (7), una per la strategia più specifica ed una per quella più
sensibile, permettono di accedere ad una pagina di PubMed con la stringa
già inserita nel box di ricerca, ove aggiungere solo il nome della patologia di interesse:
http://tinyurl.com/mattioli-et-al-specific
http://tinyurl.com/mattioli-et-al-sensitive
Nella finestra di ricerca di PubMed, oltre alla stringa, va inserito il
nome della malattia, senza alcun “tag”. I nomi delle patologie che presentano più di una denominazione, devono essere inseriti tra parentesi,
assieme agli operatori booleani (esempio: … AND (epicondylitis OR
tennis elbow)).
Esempio di utilizzo delle strategie di ricerca proposte
Si è ipotizzata la richiesta di un parere relativo alla possibile origine
occupazionale di una patologia generalmente non ritenuta di origine professionale come la corioretinite sierosa centrale. In particolare si è supposto di valutare se la patologia potesse essere legata a fattori psicosociali.
Sono state applicate le due strategie di ricerca descritte (7), con lo
scopo di identificare l’esistenza di possibili fattori eziologici (anche psicosociali) occupazionali per la corioretinite sierosa centrale. A tal fine,
sono state inserite nella casella di ricerca di PubMed le stringhe proposte
seguite dall’operatore AND e dal nome della malattia, utilizzando i termini in lingua inglese indicati per definire la corioretinite sierosa centrale, collegati con l’operatore OR (Chorioretinitis OR Central Serous
Chorioretinopathy).
Gli abstract ottenuti da PubMed, tramite le due strategie di ricerca,
sono stati esaminati, al fine di attribuirne la pertinenza ad una possibile
etiologia professionale. Successivamente, è stato calcolato il “Number
Needed to Read” (NNR, numero di abstract che devono essere letti per
trovarne uno pertinente) come rapporto tra abstract ottenuti e abstract
pertinenti.
RISULTATI
In Tabella I vengono riportati il numero di abstract individuati dalla
ricerca, le percentuali di abstract che sono stati ritenuti pertinenti ed i valori di NNR. Per la corioretinite sierosa centrale, questi valori sono risultati essere più bassi per la strategia “più specifica” (“prima stringa”) e
più alti per quella “più sensibile”(“seconda stringa”).
Tabella I. Risultati della ricerca su PubMed, con le due stringhe
di ricerca proposte, per la Corioretinite sierosa centrale
DISCUSSIONE
Questo studio bibliometrico propone un esempio di utilizzo pratico
di due stringhe di ricerca di PubMed (una più specifica, l’altra più sensibile) utili a chi fosse interessato ad esaminare possibili fattori eziologici
professionali di patologie che non sono generalmente correlate al lavoro.
192
Si è ipotizzata la richiesta di un parere relativo alla possibile origine
occupazionale di una patologia comunemente non ritenuta di origine professionale come la corioretinite sierosa centrale.
Nell’esempio riportato, la maggior parte degli articoli individuati
con la stringa specifica risultavano essere potenzialmente pertinenti ad
una possibile esposizione professionale a determinanti biologici della
malattia. Inoltre, nessuno dei lavori individuati era di tipo analitico per
cui non è stato possibile formulare alcuna inferenza relativa all’associazione tra determinanti professionali, anche psicosociali, e corioretinite
sierosa centrale.
I risultati relativi all’NNR, ci suggeriscono che la stringa più specifica sia uno strumento più pratico per chi deve affrontare problemi quotidiani. Il 78% degli abstract individuati dalla stringa specifica, era pertinente all’eziologia professionale della corioretinite sierosa centrale. Invece, utilizzando la stringa sensibile per identificare un abstract potenzialmente pertinente è stato necessario leggerne 2,5. Quindi, mentre proporzionalmente la stringa più specifica si conferma capace di estrarre un
maggior numero di abstract pertinenti, la stringa più sensibile permette
di ottenere qualche informazione aggiuntiva, al costo di una maggior
quantità di tempo da dedicare alla lettura.
L’esperienza di ricerca ci suggerisce di impiegare la prima stringa (più
specifica) per un approccio più efficace da parte degli operatori sanitari che
hanno la necessità di studiare rapidamente l’eziologia professionale (circostanze che spaziano dalla medicina generale alla pratica medico-legale).
La stringa sensibile potrebbe essere adottata per valutare sia le malattie
circa le quali in letteratura scientifica esista un numero esiguo di articoli di
eziologia professionale, sia per approfondire studi di patologie minori.
Inoltre, questa modalità di ricerca appare un utile punto di partenza per indagini più esaustive, come revisioni sistematiche della letteratura condotte
per scopi di ricerca o nel caso di valutazioni medico-legali.
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47
COR CAMPANIA: DA REGISTRO DEI MESOTELIOMI A REGISTRO
DEI TUMORI OCCUPAZIONALI
S. Menegozzo1, F. Izzo1, M. Santoro1, F. Viscardi1, E. Oddone2,
S. Massari3, M. Menegozzo1, P. Crosignani2
1
Registro Mesoteliomi della Campania - Centro Operativo Regionale
del Registro Nazionale dei casi di neoplasia di sospetta origine
professionale - Dipartimento di Medicina Sperimentale - Seconda
Università degli Studi di Napoli. Piazza Miraglia 2, 80138 Napoli
2 Unità Operativa Complessa Registro Tumori e Epidemiologia
Ambientale - Fondazione IRCCS Istituto dei Tumori. Via Venezian 1,
20133 Milano
3 Dipartimento di Medicina del Lavoro, INAIL - Area ex ISPESL. Via
Alessandria 220/E, 00198 Roma
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
Corrispondenza: Dott.ssa Simona Menegozzo - Registro Mesoteliomi
della Campania - Centro Operativo Regionale del Registro Nazionale dei
casi di neoplasia di sospetta origine professionale - Dipartimento di Medicina Sperimentale - Seconda Università degli Studi di Napoli. Piazza
Miraglia 2, 80138 Napoli - e-mail: [email protected]
Parole chiave: OCCAM, tumori occupazionali, eccesso di rischio
COR CAMPANIA: FROM MESOTHELIOMA REGISTER TO
OCCUPATIONAL CANCER REGISTER
ABSTRACT. Pursuant to the Regional Committee resolution n°
2156/2008 Campania Mesothelioma Register became the Regional Operative Center (COR) of Suspected Occupational Cancer Cases National
Register.
COR Campania started using OCCAM (Occupational Cancer Monitoring) System.
Cases: the incident cases for the study were extracted by the
OCCAM methodology, from hospital discharge records relating to suspected occupational cancer, considering admissions between 1996 and
2007.
Controls: for the study is used a sample of randomly extracted
people from the population at risk of neoplastic diseases living in Campania Region, divided into age and sex groups, aged between 35 and 69
years.
Exposed people: cases who have worked in an industry for at least
one year
Unexposed: individuals employed in the tertiary sector.
Odds ratio sorted by cancer, by the productive sector and by province, during 2002-2007, have been identified.
Data on excess risk for the productive sector for the province of the
Campania region can be useful both in carrying out activities of prevention of carcinogenic risk in the workplace or to activate systems for insurance compensation for the damage.
Key words: OCCAM, occupational cancers, excess risk
INTRODUZIONE
Con Delibera 2156/2008 la Giunta Regionale della Campania in data
31.12.2008, ha attribuito al Registro Mesoteliomi della Campania i più
estesi compiti di Centro Operativo Regionale (COR) del Registro Nazionale dei Casi di Neoplasia di Sospetta Origine Professionale. Al fine di
sviluppare un sistema di monitoraggio sia dei tumori professionali ad
elevata frazione eziologica (mesotelioma, tumori naso sinusali) sia a
bassa frazione eziologica (polmone, laringe, vescica, leucemie, linfomi,
tessuti molli), il C.O.R. Campania ha deciso di valersi della metodologia
fornita dal sistema OCCAM (Occupational Cancer Monitoring) già sperimentata in altre regioni (1-3).
METODI
Il sistema OCCAM è basato su uno studio di tipo caso - controllo di
popolazione.
Base dello studio: popolazione residente in regione Campania.
Definizione dei casi: tutti i soggetti affetti da neoplasie maligne a
possibile origine professionale in età compresa tra 35 e 69 anni, incidenti
tra i residenti nella Regione Campania dal 2002 al 2007, per i quali è rintracciabile l’attività lavorativa ed il periodo di lavoro dal database INPS.
I casi incidenti sono stati estratti, attraverso la metodologia OCCAM, a
partire dalle Schede di Dimissione Ospedaliera relative ai tumori a sospetta origine professionale, dei ricoveri 1996-2007 dentro e fuori regione.
Definizione dei controlli: campione di soggetti estratti in maniera
random dalla popolazione a rischio di contrarre le patologie neoplastiche
oggetto dell’indagine, residente nella Regione Campania, stratificati per
sesso ed età, in età compresa tra 35 e 69 anni, per i quali è rintracciabile
l’attività lavorativa ed il periodo di lavoro dal database INPS.
Esposti: individui che hanno lavorato in un settore industriale per almeno un anno.
Non esposti: individui impiegati nel settore terziario.
L’analisi dei rischi è stata effettuata attraverso la regressione logistica non condizionata con il programma SAS.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
Tabella I. Situazioni di rischio da approfondire con priorità nella provincia di Avellino
Tabella II. Situazioni di rischio da approfondire con priorità nella provincia di Benevento
Tabella III. Situazioni di rischio da approfondire con priorità nella provincia di Caserta
Tabella IV. Situazioni di rischio da approfondire con priorità nella provincia di Napoli
Tabella V. Situazioni di rischio da approfondire con priorità nella provincia di Salerno
193
RISULTATI
Sono stati identificati gli Odds Ratio (OR)
per neoplasie (polmone, laringe, pleura, naso-sinusali, vescica, leucemie, linfomi, tessuti molli),
per settore produttivo, per provincia nel periodo
2002-2007. Nelle tabelle vengono riportati, per
provincia, i risultati dell’analisi che hanno evidenziato: situazioni nelle quali la ricerca attiva
dei casi e delle esposizioni pregresse è obbligatoria, in quanto si tratta di condizioni di rischio
ben noto e documentato; altre situazioni meritevoli di approfondimento perché in grado di fornire spunti per ricerche più approfondite.
DISCUSSIONE
I dati relativi agli eccessi di rischio per settore produttivo per provincia della Regione Campania, da approfondire con la collaborazione dei
Servizi di Igiene e Medicina del Lavoro delle
ASL, sono coerenti con le attuali conoscenze di
cancerogenesi occupazionale. Possono essere
estremamente utili sia per effettuare attività di
prevenzione del rischio cancerogeno negli ambienti di lavoro, sia nei casi accertati per attivare
sistemi di risarcimento assicurativo del danno.
BIBLIOGRAFIA
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194
RISCHIO BIOLOGICO
01
LA VACCINAZIONE ANTITUBERCOLARE PER GLI STUDENTI
DI MEDICINA E CHIRURGIA DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI
DI ROMA “LA SAPIENZA”: ESPERIENZA DEL CENTRO
DI MEDICINA OCCUPAZIONALE
S. Sernia1, B. Rori1, T. Antoniozzi1, A. Calvani2, M. Ortis1
1
Centro di Medicina Occupazionale, Università degli Studi di Roma
“La Sapienza”, P.le A. Moro, 5 - 00185 Roma
2 Agenzia di Sanità Pubblica - Regione Lazio - Via di Santa Costanza,
53 - 00198 Roma
Corrispondenza: [email protected]
TUBERCOLOSIS VACCINATION FOR STUDENTS OF
MEDICINE AND SURGERY OF UNIVERSITY OF ROME
“SAPIENZA”:THE EXPERIENCE OF THE OCCUPATIONAL
MEDICINE CENTER
ABSTRACT. Since early 80’s, tubercolosis cases has present a
gradual increase in all industrial countries.
This study, is being carried out on 4180 vaccination certificates of
nursing students being evaluated by the Occupational Medical Center
(OMC) of the University of Rome “La Sapienza”. From the analysis of
the study, we realize that Tine test is the main screening test, but the lecture time is not respected (48-72 h) in the public and private structures,
despite informations provide by DPR 456/01 and that there are low percentage of subjects cuti-positive performing the chest X-ray.
It’s auspicable that the institutions intervene to ensure the standard
time for tuberculin test lecture in all italian center, encouraging the use
of new test blood. The OMC from 2007 to 2008 on a portal designed
biohazard (www.rischiobiologico.org) that contains the registry of occupationally exposed students designed to be shared by public bodies. This
allows optimization of the cost-benefit balance avoiding the repetition of
clinical screening. The design of educational campaigns and (e-learning) could be used by students and employers to receive correct information on how to minimize the risk of exposure and for proper post-exposure prophylaxis.
Key words: tubercolosis, vaccination, students.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
Regioni) e dal D.P.R. n. 465/01(2). Le certificazioni vaccinali debbono
essere trasmesse per posta a:Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Centro di Medicina Occupazionale.
La certificazione, giunta al CMO, è stata classificata come congrua
(3547/4180, pari all’84,8%) o non congrua (392/4180, pari al 9,4%); la
rimanente (241/4180, pari al 5,8%) non è stata classificata (Figura 1).
RISULTATI
L’analisi è stata effettuata sui dati congrui (3547 record). Nel
92,53% (3282/3547) dei certificati vaccinali lo screening per la tubercolosi (Tine Test o Mantoux) è negativo, mentre nel 6,29% (223/3547) è
positivo; il 1,18% (42/3547) presenta un’incongruenza del dato specifico. Lo screening per la tubercolosi è stato effettuato con il Tine Test dal
30,42% (1079/3547) degli studenti, mentre il 68,4% (2426/3547) si è sottoposto all’intradermoreazione di Mantoux; nell’1,18% (42/3547) dei record viene indicata l’effettuazione di entrambi i test o di nessuno dei due.
Al Tine Test è risultato positivo il 10,8% degli studenti (117/1079), all’intradermoreazione di Mantoux è risultato positivo il 4,4% degli studenti (106/2426) (Figura 2).
Dei 106 studenti risultati positivi all’intradermoreazione di Mantoux
solo 25 hanno effettuato l’esame radiografico del torace (23,6%), 8 di
loro hanno inviato copia del referto radiografico di cui 1 solo è risultato
positivo all’RX del torace.
Per quanto riguarda la vaccinazione antitubercolare dal campione in
esame (3547 certificati vaccinali) solo l’1.86% (66/3547) ha effettuato la
vaccinazione.
DISCUSSIONE
Lo studio del campione dei certificati vaccinali esaminati (4180) ha
messo a fuoco alcune criticità: 1) L’utilizzo del Tine Test, come esame di
screening, invece dell’intradermoreazione di Mantoux come previsto dal
D.P.R. 465/01; 2) Le strutture sanitarie sia pubbliche che private non rispettano le indicazioni della normativa riguardo al tempo di lettura del
test di screening (48-72 ore); 3) La bassa percentuale di soggetti cutipositivi alla prova di Mantoux che esegue l’esame radiografico del torace
(3); 4) La necessità di elaborare una strategia che consenta la tracciabilità del percorso assistenziale del paziente con tubercolosi MDR (multidrug resistant), in modo da individuare i soggetti da sottoporre eventualmente a misure di profilassi pre-esposizione e/o post-esposizione.
Sarebbe auspicabile:
– un tavolo tecnico istituzionale che coinvolga le componenti interessate, per garantire uno standard nazionale sulle modalità di effettuazione dell’accertamento tubercolinico nei vari centri vaccinali
italiani;
– l’incentivazione dell’uso dei nuovi test diagnostici su sangue;
INTRODUZIONE
Dalla seconda metà degli anni ’80 l’infezione tubercolare, fino a
quel momento in costante riduzione, ha presentato un nuovo e progressivo incremento in tutti i Paesi industrializzati. Le cause di questa recrudescenza sono: infezione da HIV, flussi migratori da aree ad alta endemia
tubercolare, aumento di alcune categorie a rischio, progressivo abbandono dei programmi sanitari di controllo e prevenzione dell’infezione
tubercolare (1).
MATERIALI E METODI
Dall’Anno Accademico 2003/2004, presso il Centro di Medicina
Occupazionale (CMO) della Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, sono pervenuti circa 18000 certificati vaccinali di studenti immatricolati in Corsi di Laurea in Professioni Sanitarie e ad oggi ne sono
stati analizzati 4180. È stato utilizzato come software specifico per le
operazioni di “data entry” Microsoft Access 2007 e per l’analisi statistica il software specifico Microsoft Excel 2007. Il bando di accesso per
gli studenti alla Facoltà di Medicina e Chirurgia della Università degli
Studi di Roma “La Sapienza”, prevede che “lo studente vincitore, all’atto
dell’immatricolazione ai Corsi di Laurea in Professioni Sanitarie, dichiarerà il proprio impegno a sottoporsi, entro 60 giorni dall’immatricolazione stessa, alla prova tubercolinica da eseguirsi con tecnica di Mantoux, secondo quanto previsto dalle linee guida per il controllo della malattia tubercolare (provvedimento 17.12.1998 della Conferenza Stato-
Figura 1. Classificazione documentazione
Figura 2. Test di screening a confronto
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–
la promozione dell’attività di ricerca finalizzata alla messa a punto
di un vaccino più efficace come quella che si sta attualmente svolgendo presso vari Enti di Ricerca.
Per far fronte all’esigenza di informazione e formazione del personale esposto a rischio biologico, il CMO, nell’ambito di un progetto
finanziato dalla Regione Lazio, presentato a luglio del 2007, aveva
progettato la creazione di un portale dell’ Università degli Studi di
Roma “La Sapienza”, registrato come www.rischiobiologico.org, attivo fino a luglio 2008. Questo sito web, contenente l’anagrafica vaccinale dei professionalmente esposti a rischio biologico, permetterebbe l’ottimizzazione della bilancia costo beneficio in quanto è predisposto per essere condiviso dai medici competenti e dai medici delle
strutture pubbliche/private, che potrebbero accedere alle informazioni
degli screening di malattia e della profilassi vaccinale. Il sito permetterebbe in prospettiva la progettazione di campagne formative ed
informative attraverso l’utilizzazione di metodologie formative “a distanza” (e-learning) mirate al contenimento del rischio biologico.
Inoltre, il portale potrebbe essere utilizzato dallo studente e dal Datore
di Lavoro per ricevere corrette informazioni su come minimizzare il
rischio di esposizione ad agenti biologici e per una corretta profilassi
post-esposizione.
BIBLIOGRAFIA
1) Jensen PA, Lambert LA, Iademarco MF, Ridzon R, CDC. Guidelines
for preventing the transmission of Mycobacterium tuberculosis in
health-care settings. MMWR Recomm Rep. 2005 Dec 30; 54 (RR17):1-141.
2) D.P.R. 7 novembre 2001, n. 465, in materia di “vaccinazione antitubercolare a norma dell’articolo 93, comma 2, della legge 23 dicembre 2000 n. 388”.
3) D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, in materia di “Linee-guida per il controllo della malattia tubercolare, su proposta del Ministero della Sanità, ai sensi art.115, comma 1, lettera b, Titolo IV”.
02
UN ASPETTO DEL RISCHIO BIOLOGICO: LA PREVENZIONE
DELLA MALARIA NEI LAVORATORI IN ZONE ENDEMICHE
V. Nicosia, G. Marrapodi, A. Sguera, M. Consentino, C. Gialdi,
S. De Sanctis
Medicina del Lavoro, Saipem SpA, Via Martiri di Cefalonia 67, 20097
San Donato Milanese (MI)
Corrispondenza: Dr. Giovanni Marrapodi, Via Carambolo 7, 89036
Brancaleone (RC)
UN ASPECT OF BIOLOGICAL RISK: MALARIA PREVENTION
FOR WORKERS IN ENDEMIC AREAS
ABSTRACT. Malaria is caused by one of protozoan species of the
genus Plasmodium: Falciparum, Vivax, Ovale, Malariae and Knowlesi.
All species are transmitted by a bite of an infected female Anopheles
mosquito.
Each year malaria causes 350-500 million infections worldwide and
approximately 1,5 million deaths.
International travellers from non endemic areas are at high risk of
contracting malaria due to their lack of immunity. Prevention is therefore
of outmost importance and is achieved through effective and safe chemoprophylaxis, which reduces the risk of fatal disease.
Among the various antimalarial drugs available, Mefloquine has
proven a valuable options in terms of effective protection against clorquine and multi-drug resistant falciparum malaria, safety, tolerability,
and easy of use, thus favouring compliance. The purpose of the present
study was to assess a better coverage with the treatment with Mefloquine,
instead of the previous one with Cloroquine plus Proguanile in a population of employees of the oil and gas industry bound to malarious areas.
The results are discussed and take in consideration the period
between 2007-2008.
Key words: Malaria, Mefloquine, Prevention
195
INTRODUZIONE
Nel mondo ogni anno si verificano 300-500 milioni di casi con circa
1,5 milioni di decessi.
La malaria è una malattia tropicale causata da protozoi del genere
Plasmodium (Falciparum, Vivax, Ovale, Malariae e ultimamente il
knowlesi) che sono trasmessi attraverso la puntura di zanzare femmine
del genere Anopheles.
L’infezione da Plasmodium Falciparum è sicuramente la più grave.
Il segno clinico più frequente è in assoluto la febbre accompagnata
almeno da altri sintomi (malessere generale, cefalea, disturbi muscolari o
intestinali, etc.).
Un messaggio importante: in assenza di inequivocabili segnali cardini, qualsiasi febbre in un soggetto rientrato da un paese endemico per
la malattia, è una malaria fino a dimostrazione contraria.
La profilassi antimalarica per chi viaggia all’estero, in zone a rischio, deve per forza adattarsi ai cambiamenti che si sono verificati nell’epidemiologia della malaria stessa, nelle abitudini di viaggio e nella resistenza ai farmaci da parte del parassita.
Al riguardo, infatti, è ben documentato che negli ultimi anni la resistenza (vale a dire la capacità del parassita di resistere all’azione di un
farmaco) del Plasmodium Falciparum verso la clorochina è aumentata in
molte zone geografiche. Quasi tutte le regioni sub Sahariane sono oramai
clorochina resistenti ed il fenomeno sta divenendo un grosso problema
sia nell’Africa Occidentale così come in quella Centrale ed Orientale.
Casi di resistenza del Plasmodium Vivax allo stesso farmaco sono
poi descritti in Oceania, mentre resistenza alla meflochina è presente in
parti della Cambogia e della Thailandia.
Tuttavia, nonostante questi dati sconfortanti, è ancora possibile garantire a chi viaggia la sicurezza di proteggersi dalla malaria, purché
siano scrupolosamente seguiti i principi di prevenzione.
Due punti rimangono fondamentali per difenderci dalla malaria.
1. Evitare le punture di zanzara.
2. Adottare un’adeguata chemioprofilassi.
Le zanzare
Per prevenire le punture di zanzara bisognerebbe, se possibile, evitare
di uscire tra il tramonto e l’alba quando le zanzare anofele di solito pungono. Quando si esce di notte indossare sempre abiti con maniche lunghe
e pantaloni lunghi ed evitare i colori scuri che attraggono le zanzare.
Applicare repellenti sulla cute esposta (es. DEET 35% ogni 4/6 ore),
usare zanzariere alle porte ed alle finestre, se le zanzariere non fossero
disponibili, porte e finestre devono essere ben chiuse durante la notte.
Qualora le zanzare riuscissero ad entrare nelle camere, usare zanzariere sopra il letto, rimboccandone i margini sotto il materasso ed assicurandosi che la rete non sia bucata e che nessuna zanzara sia stata rinchiusa all’interno. Per una migliore protezione si può impregnare la zanzariera stessa di permetrina o deltametrina: 0,2 gr. di permetrina per
metro quadro di rete ogni sei mesi.
La chemioprofilassi
Le raccomandazioni specifiche per area geografica sono fornite con
il massimo dettaglio all’interno dei siti Internet del WHO
(www.who.int), del CDC di Atlanta-Georgia (www.cdc.gov) e sul sito
della Simvim (www.simvim.it).
È importante sottolineare come la collaborazione di chi viaggia sia
fondamentale per l’efficacia della chemioprofilassi stessa.
Spesso molti problemi insorgono perché il viaggiatore non si attiene a
quelle norme elementari, ma essenziali, legate all’assunzione del medicinale.
I farmaci attualmente in uso sono: proguanil, clorochina, meflochina, doxiciclina e associazione atovaquone + proguanil.
MATERIALI E METODI
Prima del nostro studio, fino all’anno 2006, il protocollo di profilassi
farmacologica, adottato per i lavoratori operanti in Nigeria, esposti al rischio Malaria, prevedeva la somministrazione di una associazione di farmaci: Clorochina e Proguanile. L’assunzione di tali farmaci è avvenuta
secondo con lo schema sotto riportato:
Principio Attivo: Clorochina bifosfato 250 mg (pari a 155 mg di Clorochina base).
Principio Attivo: Proguanile Cloridrato 100 mg.
Schema di profilassi adottato:
Clorochina 2cp 155 mg/week + Proguanile 1cp 100 mg/die
196
Il nostro studio, è stato condotto su un campione di lavoratori della
Saipem Spa, operanti nel settore petrolifero in Nigeria nel triennio 20062008 con la mansione “di supervisore lavori”.
Il campione oggetto del nostro studio è stato rappresentato da 133 lavoratori nel 2007 e da 152 lavoratori nel 2008. Tutti i soggetti sono stati
regolarmente sottoposti a protocollo di sorveglianza sanitaria, ai sensi
della normativa vigente.
Il campione selezionato è risultato: omogeneo per sesso (maschile),
omogeneo per fascia d’età (35-45). Il metodo di analisi utilizzato è stato
quello analitico descrittivo.
Indicatori utilizzati: la media aritmetica e l’incidenza percentuale.
Campione medio ottenuto è stato rappresentato da 137 lavoratori.
Nuovo Protocollo di profilassi antimalarica adottato.
Il nostro studio, ha previsto nel biennio 2007-08 l’adozione di un
nuovo modello farmacologico così costituito: Principio Attivo: Meflochina cloridrato 274,09 mg (pari a Meflochina base 250 mg).
RISULTATI
Dal confronto, su un campione medio ottenuto di 137 lavoratori, è
emersa negli anni 2007 e 2008, rispetto al 2006, una significativa riduzione dei casi diagnosticati di Malaria da P. falciparum, con una percentuale di incidenza del 18% nel 2006, del 3% nel 2007 e del 2% nel 2008.
È stato ipotizzato che la significativa riduzione di incidenza della
malattia, poteva essere ricondotta all’adozione del nostro nuovo protocollo di profilassi farmacologica adottato nel biennio 2007-2008.
Dall’analisi dei dati, possiamo affermare che i risultati da noi ottenuti evidenziano l’efficacia del nuovo protocollo di profilassi antimalarica (con l’adozione del farmaco Meflochina), rispetto al vecchio protocollo adottato fino al 2006.
DISCUSSIONE
Nello studio è dimostrata l’efficacia della profilassi farmacologica
per la prevenzione della malaria.
L’adozione di un nuovo protocollo ha permesso la riduzione dei casi
di malaria tra i dipendenti. Per questa patologia bisogna costantemente
tenersi aggiornati, poiché il problema delle resistenze del Plasmodio è in
continua evoluzione.
Molto importante è il momento formativo prima della partenza. Al dipendente sono fornite tutte le informazioni (art. 279, D. lgs. 81/08), per l’utilizzo corretto dei repellenti cutanei e della corretta assunzione dei farmaci
a scopo profilattico. Questo percorso formativo continua anche all’estero, attraverso specifici corsi di formazione obbligatori (Malaria Control Program).
BIBLIOGRAFIA
1) Linee guida per la profilassi antimalarica. Z. Bisoffi, G. Napoletano,
F. Castelli, R. Romi. Giornale Italiano di Medicina Tropicale. Volume 8, N. 1-4, 2003.
2) V. Nicosia. Prevention of Infectious Diseases in Saipem: The strategic role of Counseling Program. 29th ICOH, International Congress on Occupational Health. Cape Town-South Africa 22-27
March 2009. Abstract Book. Pag. 335.
3) V. Nicosia, M. Consentino, C. Gialdi, S. De Sanctis. Il Viaggiatore
internazionale: quale prevenzione? Atti del XXI Congresso Interregionale Siculo-Calabro di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica. Pagg. 49-57.
4) V. Nicosia. Prevenzione del rischio biologico:ruolo del medico competente. Libro per il medico del lavoro, Seconda edizione.
03
VALUTAZIONE SPERIMENTALE DEL RISCHIO DI INFEZIONI
CROCIATE IN SPIROMETRIA DERIVATO DALL’UTILIZZO
DI DIVERSI TIPI DI BOCCAGLIO
M. Bracci1, E. Strafella1, S. Staffolani1, M. Valentino1, G.L. Ceccarelli2,
L. Santarelli1, N. Croce1
1
Medicina del Lavoro, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università
Politecnica delle Marche, Ancona
2 Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. - Direzione Sanità, U.S.T. Ancona
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
Corrispondenza: Dr. Massimo Bracci, Medicina del Lavoro, Facoltà di
Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche, Via Tronto
10/A, 60020 Ancona, Italy, E-mail: [email protected]
EXPERIMENTAL EVALUATION OF CROSS-INFECTION RISK
DURING SPIROMETRIC TESTS USING DIFFERENT TYPES OF
MOUTHPIECES
ABSTRACT. Inspiration through a contaminated spirometer is a
potential source of cross-infection. Use of in-line bacterial/viral filters,
devised to minimize the risk of cross-infection is hampered by cost, by the
fact that they may affect measurements, and by conflicting evidence
regarding their effectiveness.
Microbial mobilization during inspiration through two artificial
contaminated spirometers was evaluated. Use of in-line filters or simple
cardboard mouthpieces was compared.
Two type of portable spirometer were artificial contaminated with
bacterial spores of Bacillus subtilis. After contamination an inspiration
was artificially produced through each instrument fitted with in-line filters or simple cardboard mouthpieces. The growth of bacterial spores
impacted on an agar plate was evaluated.
Significant spore mobilization was found on both spirometers using
simple cardboard mouthpieces. No bacterial growth was seen in samples
obtained using in-line filters.
Bacteria can be detached during an inspiration through a contaminated portable instrument; use of simple cardboard mouthpieces should
not be used without disinfection of the instrument between patients.
Key words: spirometry, cross infections; respiratory function tests
INTRODUZIONE
L’esecuzione delle prove spirometriche può essere potenziale fonte
di infezioni crociate tra pazienti (1) come dimostrano casi, seppur isolati,
di insorgenza di patologie in soggetti precedentemente sottoposti a tali
indagini (2, 3). I boccagli monouso in cartone non offrono nessuna barriera nei confronti dei microrganismi e sono potenzialmente rischiosi se
non associati ad una disinfezione/sterilizzazione dello strumento eseguita
dopo gli esami di ciascun paziente (4). D’altra parte i boccagli muniti di
filtro non vengono sistematicamente utilizzati a causa dell’elevato costo
(5), dell’influenza che possono avere sui valori misurati (6) e da un’evidenza non ancora accertata della loro reale efficacia (7).
Scopo dello studio è stato quello di valutare la possibilità che si verifichino infezioni crociate durante l’esecuzione di esami effettuati con
spirometri non sottoposti a disinfezione, stimando le differenze date dall’utilizzo di boccagli monouso in cartone o di boccagli muniti di filtro.
Sono stati perciò allestiti esperimenti di contaminazione artificiale dello
strumento e di misurazione dell’eventuale movimentazione batterica a
seguito di un’inspirazione simulata.
MATERIALI E METODI
Le contaminazioni artificiali sono state eseguite in ambiente sterile
su due comuni strumenti portatili: uno spirometro a turbina (Spirolab,
MIR - Medical International Research, Roma) ed uno pneumotacografo
tipo Fleisch (Vitalograph 2120, Vitalograph Ltd., Maids Moreton,
Buckingham, Inghilterra). Gli strumenti, prima di ogni contaminazione,
sono stati sottoposti ad una disinfezione ad alto livello con acido peracetico allo 0,15%. Per la contaminazione degli spirometri sono stati aerosolizzati 20 μl di acqua distillata contenenti concentrazioni scalari
(103, 105 e 107) di spore di Bacillus subtilis; aerosolizzazioni di sola
acqua distillata sono state utilizzate come controllo. Immediatamente
dopo ogni contaminazione gli spirometri sono stati muniti di un boccaglio in cartone o, alternativamente, di un boccaglio con filtro (Microgard, SensorMedics Corp., Yorba Linda, CA, USA). A distanza di 5 minuti dalla contaminazione, ciascuno spirometro dotato di boccaglio è
stato collegato ad un dispositivo in grado di simulare un’inspirazione e
di ospitare una piastra di Plate Count Agar (PCA) per valutare la crescita
delle eventuali spore mobilizzate. Dopo ogni inspirazione simulata il dispositivo veniva disinfettato con acido peracetico allo 0,15% ed i boccagli venivano cambiati. La mobilizzazione batterica è stata valutata
contando le unità formanti colonie (UFC) dopo 48 ore di incubazione
delle piastre PCA a 37°C.
Ogni test è stato ripetuto dieci volte, sono stati calcolati il range dei
valori ottenuti e la mediana. Il confronto della mobilitazione batterica ottenuta alle varie contaminazioni utilizzando boccagli monouso in cartone
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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o boccagli con filtro e le difformità fra i due strumenti sono state analizzate mediante i test statistici di Kruskal-Wallis e di Mann-Whitney. Valori di p<0,05 sono stati considerati come statisticamente significativi,
per il test di Mann-Whitney il valore di p è stato corretto secondo il metodo di Bonferroni.
RISULTATI
La crescita batterica, nelle prove eseguite con boccagli in cartone, è
risultata di tale entità da non riuscire a contare, in alcuni casi, il numero
di UFC presenti sulle piastre per la loro numerosità e confluenza (Tabella
I). Se comparata con il controllo negativo la mobilizzazione ottenuta con
l’uso di boccagli in cartone è risultata significativa sullo spirometro a turbina già dopo la contaminazione con 103 spore (p<0,01) mentre per il
pneumotacografo essa raggiunge la significatività solo dopo la contaminazione con 107 spore (p<0,01). La mobilizzazione ottenuta utilizzando
il boccaglio in cartone è risultata significativamente maggiore con lo spirometro a turbina (p<0,01).
Le prove eseguite con boccagli con filtro non hanno mai mostrato
una mobilizzazione batterica.
DISCUSSIONE
La presente valutazione sperimentale conferma i precedenti risultati ottenuti nel nostro laboratorio (4) che avevano evidenziato una potenziale pericolosità dell’esame spirometrico se condotto con boccagli
in cartone senza eseguire una metodica disinfezione/sterilizzazione
dopo ciascun paziente. L’uso di boccagli con filtro è risultato in grado
di controllare efficacemente il possibile passaggio di batteri legato ad
un’inspirazione eseguita attraverso uno strumento precedentemente
contaminato, anche in presenza di un’elevata carica batterica. Pertanto
l’uso dei boccagli con filtro si è dimostrato un buon ausilio nella prevenzione delle cross-infezioni batteriche. Sebbene i diversi boccagli
con filtro abbiano una dichiarata efficacia anche nei confronti dei virus,
ad oggi non esistono evidenze scientifiche al riguardo; pertanto l’uso
dei boccagli con filtro non deve sostituirsi ad una regolare disinfezione/sterilizzazione degli apparati. L’esecuzione della sola espirazione
forzata durante i testi per la determinazione della capacità vitale forzata
(FVC), pratica fortemente diffusa tra i medici competenti, non giustifica l’uso dei boccagli in cartone senza disinfezione/sterilizzazione
dello strumento. Non è infatti raro che il lavoratore, nonostante sia
stato ben istruito su come debba effettuare il test, esegua un’inspirazione accidentale attraverso lo strumento esponendosi ad un rischio di
contrarre cross-infezioni. Esistono in commercio boccagli in cartone
muniti di una piccola valvola che potrebbero rappresentare un buon
compromesso fra basso costo del dispositivo e garanzia di sicurezza del
test. Una innovazione per gli strumenti a turbina sono i sensori “usa e
getta” che andrebbero tenuti in considerazione, quando tecnicamente
supportati dallo spirometro.
Alla luce dei risultati ottenuti, i boccagli in cartone, vista la potenziale pericolosità e la disponibilità commerciale di valide alternative, non
dovrebbero essere utilizzati per gli esami spirometrici se non abbinati ad
una disinfezione/sterilizzazione degli strumenti portatili eseguita con accuratezza e scrupolosità fra paziente e paziente.
Tabella I. Mobilizzazione batterica espressa come unità formanti
colonie (UFC) sulle piastre analizzate dopo un’ispirazione simulata
eseguita con boccaglio in cartone o con boccaglio con filtro
attraverso spirometri contaminati con spore di Bacillus subtilis.
Nc= numero di colonie non contabili. * p<0,01 se comparato con
il relativo controllo negativo; †p<0,01 se comparato con valore
ottenuto alla stessa contaminazione con il pneumotacografo
197
BIBLIOGRAFIA
1) Clausen JL. Lung volume equipment and infection control.
ERS/ATS Workshop Report Series. European Respiratory Society/American Thoracic Society. Eur Respir J 1997; 10: 1928-1932.
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3) Hazaleus RE, Cole J, Berdischewsky M. Tuberculin skin test conversion from exposure to contaminated pulmonary function testing
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4) Bracci M, Croce N, Strafella E, Ceccarelli G, Santarelli L. Spirometric tests using disposable cardboard mouthpieces: experimental evaluation of the risk of cross-infection. G Ital Med Lav Erg 2008; 30:
3, Suppl 2 147-148.
5) Side EA, Harrington G, Thien F, Walters EH, Johns DP. A costanalysis of two approaches to infection control in a lung function laboratory. Aust N Z J Med 1999; 29: 9-14.
6) Johns DP, Ingram C, Booth H, Williams TJ, Walters EH. Effect of a
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Chest. 1995; 107: 1045-1048.
7) Kamps AW, Vermeer K, Roorda RJ, Brand PL. Effect of bacterial
filters on spirometry measurements. Arch Dis Child 2001; 85:
346-347.
04
L’IMPIEGO DEL TEST QUANTIFERON TB-GOLD E DEL TEST
CUTANEO TUBERCOLINICO NELLA DIAGNOSI DI INFEZIONE
TUBERCOLARE LATENTE: AGGIORNAMENTO DEI DATI DI
UN’ESPERIENZA IN UNA POPOLAZIONE UNIVERSITARIA
M.A. Riva1, R. Latocca2, G. De Vito1,2, U. Galiano2, C. Rodella1,
L. D’Apolito2, F. Ciullo1, M.I. D’Orso1, G.C. Cesana1
1 Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione, Università degli
Studi di Milano Bicocca, via Cadore 48, 20052 Monza
2 Unità di Medicina Occupazionale ed Ambientale, Azienda Ospedaliera
San Gerardo di Monza, via Pergolesi 33, 20052 Monza
Corrispondenza: Michele Augusto Riva - Centro di Studio e Ricerca
sulla Sanità Pubblica, Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione,
Università degli Studi di Milano Bicocca. Villa Serena, Ospedale San
Gerardo di Monza, via Pergolesi, 33, 20052 Monza, Italia - e-mail:
[email protected], telefono: 039.2333098, fax: 039.365378
QuantiFERON-TB Gold AND TUBERCULIN SKIN TEST FOR
THE DIAGNOSIS LATENT TUBERCULOSIS INFECTION: AN
UPDATE OF AN ANALYSIS AMONG HEALTHCARE STUDENTS
ABSTRACT. The health surveillance is a helpful tool for controlling
the transmission of tuberculosis in healthcare workers. Early detection
and treatment of Latent TB Infection (LTBI) are essential in the
prevention of the spread of this disease. The most diffuse screening test
for tuberculosis, the Tuberculin Skin Test (TST) has many limitations,
including being confounded by previous Bacillus Calmette-Guérin
vaccination or exposure to non-tuberculous mycobacteria. In recent
years, new in vitro assays, such as Quantiferon TB-Gold (QFT-G), seem
to have higher specificity than TST, but their elevated costs limit
adoption. This analysis, conducted among 1,299 healthcare students,
before clinical training in a hospital, showed a “two-step strategy” (TST
followed by a QFT-G, only if TST is positive). As expected, only 8
students tested positive for both tests, confirming the low prevalence of
this condition in young people (mean age: 24,26 ± 4,42 years). An early
treatment of LTBI was allowed by its early detection during the screening
before training. Finally, according to recent scientific literature on this
subject, when using a two-step screening strategy, QFT-G should ideally
be performed at no more than 3 days after a TST, because this approach
may be limited by TST-mediated boosting of subsequent QFT-G
responses.
Key words: Latent TB Infection, two-step screening strategy, healthcare students
198
INTRODUZIONE
Negli ultimi decenni, la riduzione dell’incidenza del numero dei casi
di tubercolosi (TB) ha determinato, nei paesi occidentali, una sottovalutazione del rischio di contrarre questa patologia da parte degli operatori
sanitari. In realtà, la possibilità di sviluppare un’infezione tubercolare latente (ITL) è ancora elevata nei lavoratori di questo settore, in particolare
laddove non vengono adeguatamente utilizzati gli opportuni dispositivi
di protezione individuale (1). Tra i soggetti immunocompetenti, nel corso
di tutta la vita, il rischio di una riattivazione di un’ITL è pari al 5-10%,
soprattutto nei primi due anni dall’infezione (2). Per questa ragione è
fondamentale diagnosticare precocemente questa condizione e procedere
al suo trattamento con un’opportuna terapia farmacologica (3).
Il test cutaneo tubercolinico (TCT) rappresenta ancora oggi l’esame
standard per la diagnosi precoce di ITL, nonostante la sua scarsa sensibilità,
la bassa specificità e la complessità gestionale dovuta alla necessità di effettuare la lettura dei risultati a 72 ore. In particolare, risultati falso-positivi
al TCT possono essere causati da pregresse infezioni dovute a micobatteri
non tubercolotici, precedenti vaccinazioni con il bacillo di Calmette-Guérin
(BCG) o erronea esecuzione/lettura del test (2). Per ridurre le problematiche
connesse all’impiego del TCT nella sorveglianza del personale sanitario
esposto alla tubercolosi, da alcuni anni sono state introdotte nuove metodiche analitiche che quantificano, in un campione di sangue del soggetto, il
rilascio di interferone gamma (IFN-γ) da parte di linfociti T “di memoria”
in risposta agli antigeni specifici del M. tubercolosis. Il QuantiFERON-TB
Gold (QTF-G), attualmente in commercio in Italia, presenta, come gli altri
test in vitro, alcuni vantaggi rispetto al TCT: elevata specificità, assenza dell’effetto booster, maggiore standardizzazione, minore variabilità di lettura
dei risultati, buona concordanza con il TCT nei soggetti immunocompetenti, rapida disponibilità dei risultati, nessuna necessità di ritorno del lavoratore a 72 ore per la lettura del test (4). Tuttavia, il costo elevato della metodica (circa 10 volte superiore al costo del test tubercolinico) limita ancora
il suo impiego nella sorveglianza del personale sanitario.
Scopo della presente indagine è quello di presentare i dati di un’esperienza di utilizzo integrato del TCT e del QTF-G nella diagnosi di ITL
in una popolazione giovanile, composta da studenti universitari e medici
specializzandi, prima dell’inizio della loro frequenza all’interno di una
grande azienda ospedaliera lombarda.
MATERIALI E METODI
L’indagine è stata condotta su 1026 studenti afferenti a tutti i corsi di
laurea (magistrali e triennali) della Facoltà di Medicina e Chirurgia e su
273 medici specializzandi, visitati tra il 01/01/2008 e il 30/04/2010,
prima dell’inizio della frequenza nella struttura ospedaliera. Tutti i soggetti sono stati indagati per eventuali contatti con TB, precedente diagnosi di TB, sintomatologia specifica e stato di vaccinazione con BCG.
Il TCT è stato eseguito mediante iniezione intradermica di una soluzione contenente derivanti della proteina tubercolinica purificata (PPD),
con lettura dei risultati effettuata a 72 ore. Il QTF-G, eseguito solo negli
studenti con una positività ≥10 mm al TCT, ha previsto la raccolta di
campioni di sangue intero, incubati per 18 ore a 37°C con proteine tubercoliniche e con antigeni di controllo, secondo le indicazioni fornite
dalla casa produttrice. Nei campioni è stato poi successivamente misurato, mediante test ELISA, i livelli di IFN-γ. In presenza di una positività
al QTF-G, i soggetti sono stati sottoposti a radiografia del torace e inviati
allo specialista pneumotisiologo per la diagnosi di ITL e l’eventuale prescrizione di un trattamento farmacologico specifico.
RISULTATI
Gli studenti e i medici specializzandi reclutati sono stati complessivamente 1299 (850 donne, 65,43%) con un’età media di 24,26 ± 4,42 anni.
La lettura del TCT effettuata a 72 ore ha evidenziato una positività
≥10 mm in 33 studenti (18 di nazionalità straniera), pari al 2,54% della
popolazione indagata. L’indagine anamnestica approfondita e la valutazione dei certificati vaccinali messi a disposizione hanno permesso di
stabilire che 8 di questi soggetti, tutti di nazionalità straniera, erano stati
sottoposti a vaccinazione con BCG in età infantile. Nessuno dei 33 studenti ha dichiarato di aver avuto, in passato, un contatto stretto con casi
di TB attiva né in ambito familiare né lavorativo/scolastico.
L’introduzione del QTF-G, acquisito dal laboratorio di analisi dell’azienda ospedaliera solo nel corso del 2009, ha consentito l’effettuazione
del test in vitro su 17 dei 33 soggetti positivi al TCT. Complessivamente,
solo 8 studenti (quattro italiani, un albanese e tre camerunesi) sono risul-
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http://gimle.fsm.it
tati positivi sia al TCT che al QTF-G. Questi soggetti sono stati successivamente sottoposti ad indagine radiologica (risultata negativa in tutti i
casi) ed inviati allo specialista pneumotisiologo che ha posto diagnosi di
ITL ed ha proposto il trattamento farmacologico con isoniazide (3).
DISCUSSIONE
I risultati ottenuti nella presente analisi mostrano una prevalenza
molto bassa di ITL tra gli studenti e i medici specializzandi, come peraltro
atteso in una popolazione giovanile. L’indagine è stata effettuata prima
dell’inizio della frequenza presso l’azienda ospedaliera e, quindi, prima di
una potenziale esposizione professionale. La diagnosi di ITL, in un seppur
limitato numero di casi, risulta essere probabilmente precoce, in considerazione della giovane età degli otto soggetti in cui è stata effettuata (24,37
± 3,70 anni). Questo dato, in particolare, dimostra l’utilità dello screening
prima dell’inizio del tirocinio, che permette di conoscere la pregressa
esposizione dello studente e il valore del TCT prima dell’ingresso in ospedale, e, nel contempo, di trattare precocemente un’eventuale ITL.
Le linee guida statunitensi sull’impiego dei test in vitro nella diagnosi
di infezione tubercolare, aggiornate nel giugno 2010, prevedono che questi
esami possano essere utilizzati in alternativa al TCT nello screening periodico dei lavoratori esposti alla tubercolosi (5). Occorrono, però, ulteriori approfondimenti per proporre il loro impiego su vasta scala, anche in considerazione dei costi elevati delle metodiche. La strategia da noi adottata, che
prevede l’utilizzo del QTF-G solo per confermare una positività ≥ 10 mm
al TCT (two-step strategy) viene giustificata, anche sul piano economico,
dalle linee guida inglesi NICE (6). Per migliorare la specificità di questa
metodica, sarebbe comunque opportuno effettuare il QTF-G entro i primi
tre giorni dalla somministrazione del TCT, evitando così che il test tubercolinico possa influenzare, con un effetto booster, gli esiti del test in vitro (7).
BIBLIOGRAFIA
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3) Hauck FR, Neese BH, Panchal AS, El-Amin W. Identification and
management of latent tuberculosis infection. Am Fam Physician
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tubercolin skin test: preliminary results. G Ital Med Lav Erg 2009;
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5) Mazurek GH, Jereb J, Vernon A, et al. IGRA Export Committee;
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2010. MMWR Recomm Rep 2010; 59 (RR-5): 1-25.
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7) van Zyl-Smit RN, Pai M, Peprah K, et al. Within-subject variability
and boosting of T-cell interferon-gamma responses after tuberculin
skin testing. Am J Respir Crit Care Med 2009; 180: 49-58.
05
INFLUENZA AVIARIA E RISCHIO OCCUPAZIONALE:
RISULTATI PRELIMINARI DI UN’INDAGINE
NEGLI ALLEVAMENTI AVICOLI E SUINICOLI
S. Porru1, J. Fostinelli3, A. Scotto di Carlo1, C. Arici1, M. Campagna1,
P. Tomao2, N. Vonesch2
1 Dipartimento Di Medicina Sperimentale ed Applicata - Sezione di
Medicina del Lavoro - Università degli Studi di Brescia
2 Dipartimento di Medicina del Lavoro - Istituto per la Prevenzione e la
Sicurezza del Lavoro (ISPESL)
3 Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro - Università degli
Studi di Brescia
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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Corrispondenza: Prof. Stefano Porru, Dipartimento di Medicina
Sperimentale ed Applicata, Sezione di Medicina del Lavoro ed Igiene
Industriale, Università di Brescia, Unità Operativa Medicina del Lavoro,
Spedali Civili di Brescia, P.le Spedali Civili 1, 25123 Brescia, Italia, Tel.
+ 39 030 3995 735, fax + 39 030 394902, e-mail: [email protected]
199
Tabella I. Sinopsi delle tematiche salute e sicurezza
del comparto avicolo/suinicolo
Parole chiave: influenza aviaria, rischio biologico, esposizione occupazionale
AVIAN INFLUENZA AND OCCUPATIONAL RISK: PRELIMINARY
DATA FROM A SURVEY IN POULTRY AND SWINE WORKERS
ABSTRACT. Zoonotic diseases caused by certain avian influenza
viruses are of increasing occupational health importance, considering
the large number of poultry and swine workers potentially at risk of
becoming infected, outbreaks of avian influenza in poultry and pig
farms, genetic instability and possible reassortment between avian and
human strains during mixed infections, underreporting of occupational
diseases in these sectors, general lack of preventive measures and
scientific literature data. The main aim of this study was to assess the
health and safety in farms and evaluate the potential for avian and
swine viruses to infect humans. An occupational medicine survey was
conducted in 102 settings involving 123 swine and 189 poultry workers
by means of workplace inspections, specific questionnaire to evaluate
biological risk assessment, health status and sociodemographic
variables; 379 non-exposed controls were also recruited. For all
partecipants, seroprevalence was determined of antibodies against low
and highly pathogenic avian influenza viruses. The results showed many
deficiencies in occupational health and safety and need for health
surveillance for exposed workers. Hence, preventive strategies, good
hygiene and medical practices and the role of occupational physicians
should be enforced in order to reduce the potential for avian influenza
to infect workers.
Key words: avian influenza, biological risk, occupational exposure
INTRODUZIONE
L’influenza da virus aviari e suini appartiene alle zoonosi emergenti, negli ultimi anni di particolare rilevanza in Medicina del Lavoro
(ML) (5). Vi è infatti un significativo numero di lavoratori potenzialmente esposti, appartenenti ad aziende di piccole dimensioni, dove in
generale è dedicata scarsa attenzione a salute e sicurezza sul lavoro.
Recenti studi scientifici hanno inoltre evidenziato significativi livelli
di sieropositività per anticorpi contro virus ad alta e bassa patogenicità
nei lavoratori del comparto avicolo (1) ed un incremento del rischio di
infezione nei lavoratori del comparto suinicolo (2), suggerendo, oltre
al rischio per lavoratori esposti, anche il rischio di trasmissione dai lavoratori alla popolazione generale non professionalmente esposta (3),
ed evidenziando, nel complesso, una sottostima del problema. Non va
poi dimenticato il tema della percezione del rischio e del dibattito
scientifico in corso. Scopo del lavoro è descrivere risultati preliminari
e settoriali di un Progetto del Ministero della Salute, dal titolo “Valutazione della prevalenza della circolazione di virus influenzali aviari e
suini in allevatori e in animali”, coordinato dall’ISPESL, cui partecipano le Sezioni di Medicina del Lavoro e di Statistica dell’Università
di Brescia, l’Istituto Superiore di Sanità e gli Istituti Zooprofilattici di
Brescia e Padova.
METODI
Lo studio è prevalentemente osservazionale. Dopo randomizzazione, sono stati effettuati sopralluoghi in aziende colpite da focolai di
influenza aviaria e suina. È stato raccolto consenso informato da lavoratori e controlli. Ai soggetti è stato somministrato questionario appositamente predisposto (33 domande). La raccolta di informazioni ha riguardato valutazione del rischio (VDR), considerando tipologia dei cicli lavorativi, singole mansioni, procedure di lavoro e di sicurezza, utilizzo di
dispositivi di protezione individuale (DPI) e collettiva, modalità di contatto lavoratore-animale, stato di salute generale dei singoli lavoratori
(anamnesi patologica remota generale e relativa al periodo del focolaio
con particolare riferimento alla sintomatologia simil-influenzale), variabili socio-demografiche, esposizione occupazionale ed extraoccupazionale, fattori di rischio individuali e ambientali, storia vaccinale e clinica.
Sono stati inoltre reclutati controlli, non professionalmente esposti a rischio biologico (RB), da altre aziende industriali e del terziario. Per tutti
i soggetti, è stato raccolto un campione ematico per valutare la sieroprevalenza degli anticorpi verso i ceppi H7N1, H7N3, H5N1, H5N2 per le
specie aviarie e H3N2, H1N2, H1N1 pandemico umano e suino (test di
micro neutralizzazione, ELISA, test di inibizione dell’emoagglutinazione, modificati).
RISULTATI
Dal dicembre 2008 al luglio 2010, sono stati effettuati sopralluoghi presso 102 aziende: 81 avicole (34 in provincia di Verona, 33
Brescia, 7 Mantova, 3 Bergamo, 4 Vicenza) per un totale di 189 lavoratori (in media 2,3 per azienda; 14% immigrati, 140 maschi di età
media 48,6 anni e 49 femmine di età media 49,4 anni,) e 21 suinicole
(19 in provincia di Brescia, 1 Bergamo, 1 Cremona) per un totale di
123 lavoratori (in media 5,8 per azienda; 19% immigrati, 118 maschi
di età media 46,1 anni e 5 femmine di età media 48,8 anni). Dall’indagine è emersa in generale la carenza/assenza di VDR, in particolare
del RB, nonché di Sorveglianza Sanitaria (SS), procedure di sicurezza/igiene e per la profilassi post-esposizione a seguito di focolaio,
informazione/formazione (IF) ai lavoratori riguardo igiene/sanità. È
stata rilevata una bassa adesione alla vaccinazione contro l’influenza
stagionale e nessuna diagnosi di malattia infettiva di origine occupazionale (Tabella I). Anamnesticamente, sono state riscontrate significative prevalenze di patologie cardiovascolari, respiratorie, epatiche,
meritevoli di attenzione da parte del medico competente. Sono stati
inoltre sottoposti ad indagine 379 controlli (6,1% immigrati, 289 maschi età media 42,4 anni, 90 femmine età media 34,7 anni). I dati di
sieroprevalenza di esposti e controlli, attualmente in corso di elaborazione, sembrano testimoniare negli esposti una maggiore positività per
ceppi sia a bassa che alta patogenicità e, nei suinicoli, maggiore positività per H1N1.
DISCUSSIONE
I dati raccolti dallo studio hanno evidenziato numerose criticità,
derivanti verosimilmente dalle caratteristiche del comparto zootecnico,
quali frammentazione nel territorio, multiproprietà o conduzione famigliare, filiere articolate, scarso numero di lavoratori, che rendono difficile sia l’effettuazione delle attività di tutela della salute e sicurezza dei
luoghi di lavoro, sia il loro controllo. Di assoluto rilievo per la ML l’assenza, nella quasi totalità delle aziende, di: VDR e del RB in particolare, che dovrebbe essere effettuata considerando le diverse vie e modalità di trasmissione da animale a uomo; procedure di SS, che dovrebbe essere disposta tenendo conto dei dati di sieroprevalenza e finalizzata in particolare sia all’identificazione di fattori di suscettibilità
(affezioni respiratorie, immunodeficit, epatopatie, patologie delle barriere cutaneo-mucose) la cui presenza evidenzia necessità di formulazione di appropriati giudizi di idoneità, sia alla programmazione ed effettuazione di campagne vaccinali specifiche contro il virus influenzale
stagionale, al fine di ridurre le possibilità di doppia virosi e riassortimento genetico; IF dei lavoratori, che dovrebbe porsi l’obiettivo di
diffondere la consapevolezza sul RB occupazionale e sulla possibilità
di trasmissione dell’infezione anche a conviventi e popolazione generale, incrementando l’adesione a buone prassi di igiene del lavoro. Alla
luce dei dati rilevati, appare necessario uno sforzo significativo in
questo comparto, che include realizzazione/implementazione di procedure di lavoro sicure, scelta di presidi e DPI, VDR, SS, IF, in considerazione anche dei significativi dati di sieroprevalenza. È necessario
quindi che l’esperienza dei Medici del Lavoro, tenendo conto delle responsabilità previste dalle norme per essi e per tutti i Datori di lavoro,
sia messa a disposizione per la prevenzione ed il controllo dell’influenza aviaria (4, 5).
200
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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BIBLIOGRAFIA
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2008-2009. J Med Virol. 2010; 82: 1617-25.
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5) Di Lorenzo L, Soleo L. Il ruolo del medico del lavoro competente
nella prevenzione della diffusione dell’influenza aviaria da virus
H5N1 nei lavoratori esposti. Med Lav. 2006; 97: 63-9.
06
LA PROFILASSI VACCINALE ANTITETANICA. LO STATO
DELLA COPERTURA DEI LAVORATORI IN LOMBARDIA
IN DIVERSI COMPARTI LAVORATIVI
M.I. D’Orso1, P. Colombo2, A. Mentasti2, D. Grosso3, G. Cesana1
1 Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione - Università di
Milano Bicocca - Via Cadore 48 - 20052 Monza (MB)
2 Consorzio per lo Sviluppo della Medicina Occupazionale ed
Ambientale - Monza - Viale Brianza 21 - 20052 Monza (MB)
3 CAM - Centro Analisi Monza - Via Missori 9 - 20052 Monza (MB)
Corrispondenza: Dott. Paolo Colombo - Viale Brianza 21 - 20052
Monza (Mi) - Tel 039-2397449, Fax 039-2397421, mail to: marco
[email protected]
Parole chiave: rischio biologico, vaccinazioni, infezione tetanica
ANTI TETANUS VACCINAL PROPHYLAXIS. THE ANTICORPAL
WORKERS’ PROTECTION IN LOMBARDY IN DIFFERENT
WORK SECTORS
ABSTRACT. Anti tetanus vaccination is compulsory in many work
activities in Italy since about fifty years ago. Necessity of periodical
injections to maintain vaccinal protection and the increasing number of
workers coming from abroad from countries where anti tetanus
vaccination is not currently applied, have frequently caused a not
complete respect of the law.
To verify the effective anti tetanus antibody level in working population in Lombardy we tested 4628 workers of 67 private firms and public
institution operating in several different working sectors. We also verify
the eventual presence of a coordinate control program, activated in every
firm/institution, to follow in the years for every worker necessity of periodical new injections.
The research has shown that only 78% of workers is sufficiently protected against tetanus.
The data have evidenced relevant differences among work sectors
with lower antibody levels in workers of building work sector and public
services.
Not well protected workers were almost always women born before
1968 or foreign workers. On the contrary 23,0% of workers have shown
an hyper-protection that could cause an increase of negative side effects
during further future injections.
Only in 64,2% of firms/institutions we found an organized system of
recording workers’ anti tetanus vaccinations.
Key words: biological work risk, vaccination, tetanus infection
INTRODUZIONE
La vaccinazione antitetanica è stata resa obbligatoria da successivi
atti normativi per i lavoratori occupati in differenti comparti lavorativi da
quasi cinquant’anni (1). Tale obbligo è stato poi esteso e generalizzato a
vantaggio di tutti i lavoratori a rischio di contrarre l’infezione tetanica, a
prescindere dal rispettivo loro settore di lavoro, con ulteriori atti normativi l’ultimo dei quali è stato il Titolo X del D.Lgs. 81/08 (2). La posologia di copertura del vaccino oggi disponibile prevede la necessità di
procedere a regolari richiami, almeno ogni dieci anni, per poter mantenere sufficientemente elevato il titolo anticorpale. Tale necessità, associata al crescente flusso di lavoratori provenienti da paesi ove la profilasi
antitetanica non è diffusa, ha reso aleatoria l’effettiva realizzazione di
una protezione generalizzata, oggi invece tecnicamente possibile. A
queste oggettive difficoltà organizzative deve essere aggiunto il fatto che
la consapevolezza dell’entità del rischio di contrarre una infezione da
Clostridium Tetani è oggi contenuta, nel mondo del lavoro e nella popolazione generale.
MATERIALI E METODI
Al fine di verificare in Lombardia la situazione della copertura vaccinale antitetanica, si è effettuata una indagine su 4628 lavoratori esposti
al rischio di contrarre l’infezione tetanica per le attività professionali
svolte in 67 tra Enti Pubblici ed Imprese private, operanti in Lombardia
in settori e comparti tra loro differenti. Gli Enti e le Imprese inseriti nella
ricerca sono stati: 21 appartenenti al settore terziario pubblico o privato,
18 al settore metalmeccanico, 17 al settore edile, 11 al settore della lavorazione del legno.
A tutti i lavoratori si è effettuata una valutazione quantitativa sierologica del titolo anticorpale antitetanico. Per ogni lavoratore inserito
nella ricerca si sono verificate la presenza di un valido cartellino vaccinale e la data dell’ultimo richiamo antitetanico effettuato. I dati ottenuti
sono stati suddivisi per fasce di età anagrafica, genere e settore lavorativo. Negli Enti ed Imprese inseriti nella ricerca si è verificata la presenza
di un sistema di pianificazione aziendale dei richiami vaccinali nei lavoratori a rischio. Infine si è proceduto alla comparazione dei dati ottenuti
dalla ricerca con quelli emersi in una simile ricerca svolta nel medesimo
ambito territoriale nove anni or sono, in imprese in parte diverse.
RISULTATI
La valutazione sierologica del titolo anticorpale antitetanico nei lavoratori inseriti nella ricerca si è rivelato essere sufficientemente elevato
nel 68,2% dei lavoratori. Il dato medio ottenuto però è il risultato di valutazioni che hanno evidenziato rilevanti variazioni tra i diversi settori
produttivi. Analoghe differenze si sono riscontrate anche nelle diverse
fasce di età anagrafica considerate e tra i due generi. Mentre infatti la percentuale di copertura anticorpale efficace in alcune imprese del settore
metalmeccanico ha superato il 95% dei lavoratori a rischio, ci sono stati
dei settori lavorativi, come quello edile, ove la percentuale di lavoratori
a rischio riscontrati idoneamente coperti dalle vaccinazioni antitetaniche
effettuate non ha superato il 40%. Tra questi settori a bassa copertura
vaccinale deve essere evidenziato quello del settore dei servizi, pubblici
o privati che siano.Del 31,8% dei lavoratori che hanno evidenziato un titolo anticorpale non sufficiente a garantire una adeguata copertura, il
24,3% ha dimostrato o riferito di aver effettuato in passato vaccinazioni
antitetaniche presso strutture sanitarie. Al contrario il 7,5% dei lavoratori
valutati non è stato in grado di certificare o ricordare alcun inoculo di
vaccino antitetanico nel corso della propria esistenza.
Quest’ultimo gruppo di lavoratori è risultato composto praticamente
nella sua totalità da lavoratori di origine straniera o da lavoratrici italiane,
nate prima del 1968.
In tale anno infatti, come è noto, è stato attivato per tutta la popolazione del nostro paese, l’obbligo della vaccinazione antitetanica, inserita
tra le vaccinazioni obbligatorie dell’infanzia. Il 23,9% dei lavoratori che
hanno evidenziato livelli anticorpali sufficienti per garantire una valida
copertura sotto il profilo vaccinale hanno presentato una protezione eccessiva, indice o di troppi richiami effettuati nel tempo o della ripetizione
inutile di più cicli di base. La comparazione dei dati di copertura vaccinale antitetanica tra la popolazione complessiva inserita nello studio e
quelli della simile ricerca effettuata nove anni or sono nella medesima
area geografica anche se in popolazioni lavorative solo in parte sovrapponibili, pur nella sua limitata rappresentatività statistica, ha evidenziato
un incremento solo del 7,3% nella copertura vaccinale della popolazione
dello studio più recente. Ancor oggi si è dovuto constatare che solo in 43
(64,2%) degli Enti/Imprese considerati si è rilevata l’esistenza di un sistema aziendale organizzato di verifica, controllo e programmazione
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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della copertura vaccinale dei lavoratori a rischio. Ove presente tale sistema è stato trovato agganciato alternativamente alla operatività o del
servizio del personale o del servizio sanitario aziendale
Ove il sistema aziendale era assente, la protezione anticorpale dei lavoratori, ove riscontrata, era da addebitarsi ad inoculi effettuati su iniziativa spontanea di quei singoli, evidentemente sensibili al problema specifico, che si erano protetti tramite il loro medico di famiglia o per eventuali
passaggi per incidenti o traumi nei reparti ospedalieri di pronto soccorso.
DISCUSSIONE
La ricerca effettuata ha dimostrato come ancor oggi il livello di protezione anticorpale nella popolazione di lavoratori esposti a rischio di
contrarre l’infezione tetanica in Lombardia sia ben lontano da essere accettabile. Tale situazione, valida nel complesso della popolazione valutata in quasi tutti i settori produttivi, è particolarmente problematica in
settori che tradizionalmente rappresentano purtroppo situazioni di problematicità nella gestione della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori come il settore edile, caratterizzato da elevato ricambio dei lavoratori, bassa qualificazione tecnica e culturale del personale, elevato
numero di lavoratori proveniente da paesi esteri privi di valido sistema
sanitario.
Tra tali settori deve essere inserito anche il settore dei servizi in
senso lato, comprendente tra l’altro gli Enti Pubblici e le imprese/cooperative private di servizi con particolare riferimento alla assistenza alla
persona. Ciò è particolarmente preoccupante ove si consideri come tale
settore rappresenti nel mondo del lavoro una sempre più rilevante percentuale del numero dei lavoratori complessivamente occupati. In controtendenza devono essere citati i dati relativi al settore metalmeccanico
ove, probabilmente per la più antica tradizione di attenzione alle problematiche inerenti la salute e la sicurezza dei lavoratori, i livelli di protezione anticorpale antitetanica possono dirsi nel loro complesso abbastanza soddisfacenti, anche se pur ancora migliorabili. Rilevante è stato
il numero dei lavoratori che si sono rivelati essere caratterizzati da un livello anticorpale eccedente la effettiva necessità di protezione. Tale riscontro, oltre a costituire un segno di evidente spreco di risorse, è preoccupante in considerazione del fatto che una iperprotezione può aumentare il rischio di effetti collaterali in caso di nuovi inoculi. Risulta evidente come l’impegno dei Medici del Lavoro nella promozione e realizzazione di una valida profilassi antitetanica tra i lavoratori a rischio non
abbia ancora conseguito i risultati auspicati, nonostante gli anni trascorsi
dalla emanazione delle norme inerenti la definizione del sistema prevenzionistico sui luoghi di lavoro. Si ritiene importante che di ciò tutti gli
operatori della prevenzione prendano atto, concentrando i necessari interventi di formazione, sorveglianza sanitaria e vigilanza su quei settori
ove particolarmente si è verificata la carenza di attenzione nella gestione
del rischio biologico.
BIBLIOGRAFIA
1) Legge 292/1963, G. Uff. n. 83 del 27 Marzo 1963.
2) Decreto Legislativo 81/08 Titolo X, G. Uff. n. 101 del 30 Aprile
2008, Supp. Ord. n. 108.
07
IL RISCHIO BIOLOGICO E LA PROFILASSI VACCINALE.
LA SITUAZIONE DEL SETTORE DELLE PULIZIE PROFESSIONALI
NEL NORD ITALIA
M.I. D’Orso1, M. Riva1, E. Gallo2, P. Fabretto3, G. Cesana1
1 Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione - Università di
Milano Bicocca - Via Cadore 48 - 20052 Monza (MB)
2 Consorzio per lo Sviluppo della Medicina Occupazionale ed
Ambientale - Monza - Viale Brianza 21 - 20052 Monza (MB)
3 CAM - Centro Analisi Monza - Via Missori 9 - 20052 Monza (MB)
Corrispondenza: Dott. Marco Italo D’Orso - Viale Brianza 21 - 20052 Monza
(Mi) - Tel 039-2397449, Fax 039-2397421, [email protected]
Parole chiave: rischio biologico, vaccinazioni, pulizie professionali
201
BIOLOGICAL WORK RISK AND VACCINAL PROPHYLAXIS. THE
SITUATION IN PROFESSIONAL CLEANING SECTOR IN
NORTHERN ITALY
ABSTRACT. Protection and promotion of health are surely
problematic in workers engaged in professional cleaning sector.
Biological work risk is widely present in many technical tasks which
are typical of this work sector.
Vaccinal prophylaxis is therefore a preventive action that has to be
planned for all workers of the sector. We describe the effective status of
vaccinal prevention against infection from hepatitis B and tetanus in 35
firms operating in Northern Italy in which 3912 workers were engaged
in work tasks with biological work risks.
67,1% of workers were female coming from 57 different countries.
44,2% of workers had less than three years of work activity in professional cleaning sector.
Personal preventive devices resulted non suitable in 78% of
workers.
Only 40,9% of workers had a proper anti tetanus protection, only
46,1% of workers had an anti hepatitis B protection. Results obtained
have shown that occupational health doctors have wide space to improve
preventive organization of health surveillance in firms of professional
cleaning sector. Workers’ formation concerning biological work risk
must surely be improved even if the origin of workers from so many countries having so many languages and the relevant turn over make formation activities very complicate.
Key words: biological work risk, vaccinal prophylaxis, professional
cleaning
INTRODUZIONE
Il settore delle pulizie professionali è storicamente sempre stato particolarmente problematico per quanto concerne la gestione della tutela
della salute e della sicurezza dei lavoratori. Le principali motivazioni di
tale situazione sono principalmente il rilevante turn-over che caratterizza
tutte le imprese del settore, un elevato frazionamento del settore in molte
piccole imprese ed un usualmente basso livello di formazione caratteristico del personale del settore. A tale situazione si è recentemente aggiunto il fatto che buona parte del personale di nuova assunzione nelle
imprese del comparto è costituita da lavoratori stranieri provenienti da un
numero assai elevato di diversi paesi.
Il rischio per i lavoratori di contrarre infezioni durante le attività lavorative è presente in molti dei compiti e delle fasi di lavoro tipiche del comparto, si pensi alle pulizie dei servizi igienici dei diversi ambienti lavorativi od alle pulizie effettuate in ambienti intrinsecamente caratterizzati
dalla presenza di rilevante rischio biologico come i complessi ospedalieri.
MATERIALI E METODI
Al fine di verificare le attuali modalità di gestione del rischio biologico nel settore delle pulizie professionali nel Nord Italia si sono valutate
35 imprese operanti prevalentemente in tale area geografica. Nelle imprese considerate erano occupati 3912 lavoratori adibiti ad attività nelle
quali era intrinseca la potenziale esposizione a rischio biologico. Per ciascuna impresa si sono valutati l’età, il sesso e l’anzianità lavorativa nel
settore dei singoli lavoratori, la loro nazionalità e l’anzianità di residenza
in Italia. Si sono inoltre valutati il numero e la tipologia dei siti ove operavano i lavoratori considerati nello studio, le eventuali attività di formazione effettuate nelle imprese sul rischio biologico, la tipologia dei dispositivi di protezione individuale assegnati ai lavoratori e la loro correlazione con l’entità del rischio biologico, come descritto nei Documenti
di Valutazione dei Rischi aziendali. Per ogni impresa si sono valutati poi
gli indici infortunistici nell’ultimo triennio con particolare riguardo a
quegli infortuni comportanti una potenziale esposizione a rischio biologico. Per ogni lavoratore si sono considerati i dati sul rischio biologico
desumibili dalla sorveglianza sanitaria con particolare riguardo alle prevalenze anticorpali per le epatiti virali di tipo B e C. Si è poi valutato infine, tramite la verifica sierologica individuale, l’effettivo livello di copertura anticorpale dei lavoratori contro il Clostridium Tetani ed il virus
dell’epatite B.
RISULTATI
La ricerca ha evidenziato come la gestione del rischio biologico
nelle diverse imprese sia assolutamente eterogenea per quanto riguarda
praticamente tutti i parametri considerati.
202
A livelli di rischio praticamente equivalenti infatti i diversi sistemi
prevenzionistici aziendali in maniera indifferenziata avevano valutato il
rischio biologico inesistente, rilevante od elevato, tarando di conseguenza i loro interventi di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. I lavoratori delle imprese coinvolte nello studio erano occupati in
138 diversi siti di lavoro. Di tali siti ben 64 erano appartenenti al settore
sanitario pubblico o privato, 43 siti erano appartenenti ad altre attività del
settore dei servizi mentre 31 siti erano di imprese del settore industriale,
prevalentemente del comparto metalmeccanico. I dispositivi di protezione individuale assegnati ai lavoratori (si sono considerati i guanti, le
scarpe antinfortunistiche e le tute da lavoro) sono risultati non idonei
nelle loro caratteristiche di protezione dal rischio biologico in 28 imprese
su 35. Risultava pertanto non idoneamente protetto il 78,1% dei lavoratori considerati nello studio. Nel triennio 2007-2009 gli indici infortunistici del complesso delle imprese considerate non hanno evidenziato significative variazioni, nonostante tutte le imprese fossero dotate di sistema prevenzionistico, rimanendo nelle medie peraltro elevate degli indici specifici di comparto sia per quanto concerne la frequenza che per la
gravità degli episodi denunziati. I lavoratori inseriti nella ricerca sono risultati provenire da 57 paesi differenti. I lavoratori di nazionalità italiana
sono risultati costituire solo il 38,5% del totale dei lavoratori valutati. Si
segnala come in alcune singole imprese si sono incontrati lavoratori provenienti da più di 30 stati diversi. Il 67,1% dei lavoratori inclusi nello
studio era di sesso femminile. L’età media dei lavoratori valutati era di
42,5 anni senza sostanziali differenze tra maschi e femmine. L’anzianità
lavorativa aziendale nel 59,2% dei lavoratori è risultata essere inferiore
ai 3 anni. Il 23,0% dei lavoratori inclusi nello studio ha presentato una
positività anticorpale al virus della epatite C. Tale percentuale era pari al
14,4% tra i lavoratori di nazionalità italiana. Solo il 40,9% dei lavoratori
è risultato protetto da una corretta posologia vaccinale antitetanica, tale
percentuale scendeva al 21,6% tra i lavoratori stranieri. Il 46,1% dei lavoratori è risultato aver effettuato una profilassi vaccinale anti epatite B
documentata. Tale percentuale arrivava al 61,8% tra i lavoratori di italiani con più di 10 anni di anzianità nel settore.
DISCUSSIONE
La ricerca effettuata ha confermato come il settore delle pulizie industriali sia ancor oggi particolarmente problematico per quanto concerne la prevenzione degli infortuni e delle malattie conseguenti all’esposizione a rischio biologico. Tale situazione si concretizza in una quasi
generalizzata mal gestione per quanto riguarda i DPI assegnati ai lavoratori ed in una evidente scarsa attenzione nei confronti dell’effettiva copertura vaccinale antitetanica. Se ciò da un lato evidenzia una costante
sottovalutazione delle strutture aziendali a tutti i livelli della entità del rischio biologico, è purtroppo anche indice dello scarso ruolo che nella
procedura di valutazione dei rischi aziendali hanno avuto i Medici Competenti almeno sino al recente passato. In tal senso deve anche leggersi il
riscontro degli insufficienti livelli di copertura vaccinale antitetanica tra
i lavoratori, soprattutto per quanto riguarda i mancati richiami periodici
decennali. Tale situazione, sia pur in modo meno grave, si riscontra
anche per la copertura vaccinale antiepatite B, per la quale peraltro la situazione è in miglioramento in considerazione della mancanza di necessità di richiami periodici e per l’obbligo di vaccinazione nell’infanzia introdotto per tale agente infettivo nella popolazione generale italiana. Le
caratteristiche della popolazione lavorativa del comparto sono limite rilevante alle attività di formazione ed informazione del personale per
quanto riguarda la pluralità di nazionalità presenti negli organici della
singola impresa. Tale pluralità ovviamente complica di molto la comprensione effettiva degli eventuali momenti di aggiornamento e qualificazione professionale che vengano organizzati, rendendo talvolta addirittura necessaria la predisposizione di supporti informativi e formativi in
lingua straniera.
Problema ulteriore è costituito anche dall’elevato continuo ricambio
del personale che, al di là di un gruppo di lavoratori stabile che omogeneamente nelle varie aziende costituisce circa un terzo del totale dei lavoratori, interessa la maggioranza degli occupati del settore.
Una simile situazione rende necessario ripetere periodicamente la
formazione del personale.
Si ritiene che i Medici Competenti nelle imprese del settore abbiano
ampi spazi per ottenere una più incisiva promozione della salute e della
sicurezza dei lavoratori con particolare riguardo ai tassi di copertura vaccinale dei lavoratori.
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Tale risultato però potrà essere raggiunto solo con una più stretta collaborazione con la direzione delle imprese del settore che veda i Medici
Competenti impegnati anche nelle attività di programmazione complessiva del sistema prevenzionistico e non solo nella effettuazione degli
stretti obblighi di sorveglianza sanitaria ricompresi nel D.Lgs. 81/08.
BIBLIOGRAFIA
Decreto Legislativo 81/08 Titolo X, G. Uff. n. 101 del 30 Aprile 2008,
Supp. Ord.
08
VALUTAZIONE E MISURE DI CONTROLLO DEL RISCHIO
BIOLOGICO IN UNA STRUTTURA COMPLESSA DI RIANIMAZIONE
G. Simonini1, S. Simonini1, C. Amodeo2, G. De Carli3
1
Medicina Preventiva, ASL 5 Spezzino
S.C. Anestesia e Rianimazione, ASL 5 Spezzino
3 UOC Infezioni Emergenti e CRAIDS INMI Spallanzani, Roma Coordinamento SIROH
2
Corrispondenza: Gianmarco Simonini, Medicina Preventiva ASL 5
Spezzino, Via Vittorio Veneto 197, 19124 La Spezia, tel. 01875330030187533217, [email protected]
EVALUATION OF THE BIOLOGICAL RISK AND PREVENTIVE
INTERVENTIONS IN AN INTENSIVE UNIT CARE
ABSTRACT. We investigated occupational exposures to biological
material potentially infected by blood-borne viruses in workers of
S.Andrea Hospital, La Spezia. In 1995 the Preventive Medicine Unit of
ASL 5 Spezzino began to record biological accident according to the
SIROH (Italian Study on Occupational Risk of HIV Infection) protocol
with the scope of identifying high-risk areas, jobs and devices in the
healthcare setting. Since 1995 to June 2010, 1214 percutaneous (PE)
and 394 mucocutaneous exposures (ME) had been filed up from all the
hospital wards. During this 15 years-period we observed a decrease of
the PE while the ME were quite constant in number. From the analysis of
the recorded accidents resulted that the area with the highest biological
risk was the Intensive Care Unit (ICU). In particular, highest ME rate
was observed in ICU nurses. The needle cannulas resulted to be the
devices mostly involved in PE. These results prompted us to put in place
targeted preventive interventions and control measures specifically in the
ICU. After the application of these preventive measures in ICU we
observed a decrease in ME rates over the period 2008-2009 as well as a
reduction of nosocomial infections within patients. In conclusion the
identification of areas and job categories and devices at higher risk for
biological exposure allowed us to carry out a global preventive strategy
which in turn resulted a significant benefit both for healthcare operators
and patients.
Key words: biological risk, healthcare workers, prevention
INTRODUZIONE
L’esposizione occupazionale a rischio biologico negli operatori sanitari rappresenta un serio e, a volte, sottostimato problema di sicurezza
nei luoghi di lavoro. Tale categoria di lavoratori infatti risulta ad alto rischio di acquisire infezioni a trasmissione ematica, in particolare quelle
da virus dell’epatite B (HBV), dell’epatite C (HCV) e dell’immunodeficienza umana (HIV). Uno dei principali indicatori della qualità della prevenzione in ambito ospedaliero è rappresentato dalla registrazione degli
eventi accidentali che pongono l’operatore a rischio di infezioni a trasmissione ematica. Per tale motivo, nel 1995 l’Ospedale Sant’Andrea di
La Spezia è rientrato tra gli ospedali di riferimento del gruppo SIROH
(Studio Italiano Rischio Occupazionale da HIV), un programma di ricerca finanziato dal Progetto AIDS-ISS e finalizzato allo studio, gestione
e prevenzione delle esposizioni a rischio biologico negli operatori sanitari coordinato dall’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro
Spallanzani di Roma. Il tasso di esposizione nelle diverse aree e categorie professionali ottenuto tramite la registrazione degli incidenti e la
raccolta dei relativi denominatori di risorse e attività ha consentito di di-
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203
segnare una mappa del rischio utile per programmare e valutare l’efficacia di interventi di formazione e prevenzione mirati. Dall’analisi del rischio così ottenuta è stata evidenziata la necessità di intervenire in modo
specifico all’interno della Struttura Complessa (S.C.) di Rianimazione
dell’Ospedale Sant’Andrea di La Spezia.
MATERIALI E METODI
In accordo col protocollo SIROH, a partire dal 1995 la Medicina
Preventiva dell’Azienda Usl 5 Spezzino raccoglie in modo standardizzato e su supporto informatico dati dettagliati su tutte le esposizioni occupazionali (percutanee: puntura con ago o lesione da tagliente; mucocutanee: liquidi biologici che contaminano mucose o cute, integra o non)
potenzialmente a rischio biologico che si verificano nel corso dell’attività assistenziale dell’Ospedale Sant’Andrea di La Spezia, nonché i relativi denominatori di attività e risorse. L’Ospedale Sant’Andrea occupa
1212 dipendenti esposti a rischio biologico, di cui 189 medici e 638 infermieri. Le aree a rischio vengono individuate tramite lo studio delle
frequenze di esposizione; per la quantificazione del rischio, viene calcolato il tasso di esposizione per 1000 operatori (rapporto tra il numero totale degli infortuni avvenuti nel periodo in esame e il numero totale dei
dipendenti in servizio attivo in tale periodo moltiplicato per 1000) per
area e per qualifica professionale, che può essere confrontato con la
media ospedaliera e nazionale.
RISULTATI
Dal gennaio 1995 al 30 giugno 2010 sono state registrate 1214 esposizioni percutanee e 394 mucocutanee. In termini assoluti l’andamento
infortunistico nel tempo è risultato in riduzione per quanto concerne le
esposizioni percutanee, praticamente costante per le mucocutanee (figura
1A). Il rapporto fra modalità di esposizione per area ha evidenziato la rilevanza delle contaminazioni mucocutanee presso la Rianimazione (figura 1B). Il confronto dei tassi di esposizione per area ha mostrato una
frequenza di contaminazione doppia rispetto alla media ospedaliera e
quasi tripla rispetto alla medicina, comunque più elevata rispetto alle
altre specialità mediche (fig. 2A); questo aumento è risultato soprattutto
a carico della categoria degli infermieri (fig. 2B).
Per quanto riguarda invece le esposizioni percutanee, sono stati presi
in esame soprattutto gli infortuni con aghi cavi pieni di sangue più frequentemente in causa nel determinare infezioni a trasmissione ematica
(ago cannula, siringa per emogas e sistema per prelievo a vuoto con ago
a farfalla), che rappresentano circa un quinto di tutte le esposizioni percutanee presso l’Ospedale S. Andrea. Dal confronto delle frequenze percentuali di incidente (tabella I) per tipo di dispositivo fra S.C. di Rianimazione e tutti gli altri reparti, emerge una frequenza significativamente
più elevata di esposizioni con agocannula, con una probabilità di infortunio, valutata attraverso il calcolo dell’Odds Ratio (OR), più che doppia
Figura 2A. Tasso di esposizioni mucocutanee per 1000 operatori:
distribuzione per area e confronto con la media ospedaliera
Figura 2B. Tasso di esposizioni mucocutanee per 1000 operatori
suddivisi per qualifica: confronto fra Rianimazione e media
ospedaliera
Tabella I. Frequenza percentuale di infortuni percutanei suddivisi per
presidio e per area nell’Ospedale S. Andrea e nel gruppo SIROH
rispetto alle altre aree dell’Ospedale; la frequenza di incidenti con siringa
da emogas è abbastanza bassa, ma comunque rappresenta un rischio tre
volte maggiore rispetto alle altre aree dell’ospedale. Tali dati sono sostanzialmente in accordo con quelli dello studio SIROH.
Figura 1A. Andamento degli infortuni percutanei e mucocutanei dal
1995 al I semestre 2010
Figura 1B. Infortuni percutanei e mucocutanei suddivisi per area dal
1995 al I semestre 2010
DISCUSSIONE
L’analisi statistico-epidemiologica dei dati ottenuti dalla registrazione degli infortuni biologici ha permesso alla Medicina Preventiva
dell’Azienda USL 5 Spezzino di valutare le aree ospedaliere a maggior
rischio, di programmare interventi di prevenzione mirati e di verificarne infine l’efficacia. La riduzione degli infortuni percutanei a partire dal 2003 può essere da collegare alla messa in atto di interventi di
formazione-informazione del personale, all’introduzione dei contenitori rigidi per aghi e taglienti, e dei dispositivi medici di sicurezza per
204
la prevenzione della puntura accidentale (needlestick-prevention devices, NPD). Per quanto riguarda le contaminazioni mucocutanee, che
risultano costanti nel tempo, va ipotizzata una distorsione legata ad una
notifica “parziale”, cioè l’operatore sanitario segnala l’evento soprattutto quando il paziente fonte risulta affetto da una patologia a trasmissione ematica. L’evidenziazione di un maggior rischio di infortuni
biologici nell’area di Rianimazione, e relativamente agli infortuni percutanei, di un più elevato rischio di incidenti con agocannula in quest’area rispetto agli altri reparti (in analogia con il dato nazionale derivato dal SIROH) ha condotto all’individuazione di tale reparto per avviare l’introduzione sperimentale dell’agocannula di sicurezza negli
anni 2005-2006. Anche l’analisi dei tassi degli infortuni mucocutanei
ha evidenziato un rischio aumentato all’interno della S.C. di Rianimazione, parallelamente ad un picco di infezioni nosocomiali dei pazienti
ricoverati. A questo proposito l’intervento di prevenzione, avvenuto
nel corso del 2008, si è basato sulla distribuzione di occhiali di protezione personalizzati, sull’attivazione della campagna di sensibilizzazione “Mani pulite” per l’igiene delle mani negli operatori sanitari,
condotta parallelamente all’attività di formazione del personale infermieristico sulla disinfezione dell’unità paziente, e sulla crescente attività del Comitato per il Controllo delle Infezioni Ospedaliere. Il successo di tali interventi è stato verificato sulla base dei dati epidemiologici relativi ai germi isolati su emocolture di pazienti ricoverati nella
S.C. di Rianimazione negli anni 2007-2008-2009 e sulla base della riduzione del numero di infortuni mucocutanei segnalati nel 2008 e nel
2009. In conclusione, l’individuazione delle aree a rischio attraverso la
sorveglianza delle esposizioni professionali porta alla possibilità di attuare una strategia preventiva globale della quale beneficiano sia gli
operatori che i pazienti.
BIBLIOGRAFIA
“Rischio biologico e punture accidentali negli operatori sanitari. Un approccio organizzativo e gestionale alla prevenzione in ambito sanitario-ospedaliero a cura del gruppo di studio PHASE”. Lauri edizioni, 2001.
09
VALIDITÀ DEI BIOMARCATORI DI ESPOSIZIONE A BENZENE
NEL MONITORAGGIO BIOLOGICO DELL’ESPOSIZIONE A BASSI
LIVELLI AMBIENTALI
G. Satta1, P. Cocco1, L. Campo2, S. Fustinoni2, S. Atzeri1, G. Avataneo1,
M. Campagna1, A. Ibba1, M. Meloni1, M.G. Tocco1, C. Flore1
1
Università di Cagliari, Dipartimento di Sanità Pubblica - Sezione di
Medicina del Lavoro, Asse didattico della Facoltà di Medicina, SS 554
km 4.5 09042 Monserrato.8cagliari)
2 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano
e Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Via S.
Barnaba 8 - 20122 Milano
Corrispondenza: Pierluigi Cocco, Università di Cagliari, Dipartimento di
Sanità Pubblica - Sezione di Medicina del Lavoro, Asse didattico della
Facoltà di Medicina, SS 554 km 4.500, 09042 Monserrato (Cagliari). Tel.
+39 070 6754438, fax: +39 070 6754728; e-mail: [email protected]
VALIDITY OF BIOMARKERS IN BIOMONITORING LOW
ENVIRONMENTAL BENZENE EXPOSURE
ABSTRACT. Introduction. Due to its hematological effects at low
exposure levels, biomonitoring environmental exposure to benzene is
warranted. However, how reliably the available biomarkers of exposure
reflect low-level environmental exposure represents a critical aspect.
Methods. We used SPMEC/GC-MS and HPLC to assess benzene
exposure biomarkers in spot urine samples, collected at 8 am and 8 pm,
in 110 subjects resident in Cagliari, non occupationally exposed to
benzene. Biomarkers included urinary benzene (UB), trans,trans
muconic acid (t,t-MA), and phenylmercapturic acid (SPMA), as well as
urinary cotinine (UC) as a biomarker of current tobacco smoking. We
tested the correlation between the log-transformed concentration of
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biomarkers by linear regression analysis. Results. Overall, SPMA
correlated well with UB (N=88, r=0.381, p=0.0003), while t,t-MA did
not (N=88, r=0.039, p=0.718). In 8 pm samples, all benzene biomarkers
correlated with UC, with UB showing the strongest (N=55, r=0.634,
p<0.0001), SPMA a medium (N=33, r=0.418, p=0.015), and t,t-MA a
weak (N=55, r=0.365, p=0.006) correlation. Discussion. We confirm
SPMA as a valid biomarker of low-level benzene exposure. t,t-MA is
apparently a less reliable biomarker of low-level benzene exposure.
Key words: benzene, biomarkers, low-level environmental exposure
INTRODUZIONE
L’interpretazione delle concentrazioni dei biomarcatori di esposizione a basse concentrazioni di benzene, quali quelle derivanti dal fumo
di sigaretta, dai gas di scarico delle autovetture e dalla residenza in prossimità ad impianti industriali o rilevabili in alcuni ambienti di lavoro, è
resa problematica dalla loro limitata o assente correlazione con quelle
basse concentrazioni ambientali. La presenza di effetti ematologici e la
possibile azione leucemogena del benzene anche a tali basse dosi (1)
rende tuttavia importante lo studio della relazione reciproca tra i biomarcatori di benzene di uso corrente anche a questi livelli.
Il monitoraggio biologico dell’esposizione ambientale a benzene si
basa principalmente sull’escrezione urinaria dello stesso benzene (BU) e
dei suoi metaboliti, l’acido trans,trans muconico (t,t-MA) e l’acido S-fenilmercapturico (S-PMA). L’uso della determinazione del BU, come indicatore biologico d’esposizione professionale a concentrazioni ambientali di benzene aerodisperso inferiori a 6 µg/m3, è attualmente limitato
dalla sua elevata sensibilità nei confronti di fonti di esposizione extraprofessionale, quali il fumo di tabacco (2). L’escrezione urinaria di t,tMA è molto utilizzata quale biomarcatore di esposizione professionale a
benzene, anche se, a bassi livelli di esposizione, appare anch’essa influenzata da fattori extra-professionali, quali il consumo di alimenti trattati con acido sorbico, e lo stesso fumo di tabacco (3, 4). D’altra parte, la
determinazione dell’escrezione urinaria di S-PMA non è sempre apparsa
correlata a quella di BU (5).
MATERIALI E METODI
Nel corso del 2006-2007, un campione casuale di 110 soggetti di
entrambe i sessi, residenti nella città di Cagliari e dintorni, di età compresa tra 27 e 78 anni, è stato sottoposto a monitoraggio biologico dell’esposizione a benzene. In tutti i soggetti è stato raccolto un campione
estemporaneo di urine alle ore 8:00 ed alle ore 20:00 ed è stato compilato un questionario semi-strutturato, che raccoglieva oltre che i dati
anagrafici e biometrici, informazioni sulle abitudini individuali, quali il
fumo di sigaretta, consumo di alcolici ed analcolici, esposizione a fumo
passivo, dieta, e sulla storia lavorativa. I campioni appena raccolti,
sono stati trasferiti in apposite provette in polipropilene con tappo a
vite per la separazione nelle diverse aliquote analitiche. La separazione
dell’aliquota per la determinazione del BU è stata effettuata in vials
muniti di tappo a tenuta di vapori, con guarnizione sottotappo in politetrafluoroetilene. I campioni sono stati conservati a -20°C, fino al momento dell’analisi di laboratorio. La determinazione del BU è stata effettuata mediante gas cromatografia-spettrometria di massa con miscroestrazione in fase solida. La concentrazione urinaria di benzene è
stata espressa per volume (ng/l), in considerazione della modalità di
escrezione per via diffusiva. L’analisi del t,t-MA è stata determinata
mediante HPLC dotato di rilevatore UV-VIS previa estrazione SPE con
colonnina tipo SAX. La determinazione del SPMA è stata effettuata
mediante cromatografia liquida accoppiata a spettrometria di massa
(LC/MS/MS) e la sua concentrazione è stata rilevata su campione raccolto a fine turno ed espresso in µg/L. Al fine di quantificare il ruolo
dell’esposizione, attiva e passiva, a fumo di sigaretta è stata inoltre determinata, su campione raccolto al mattino tramite HPLC/UV (limite di
sensibilità 100 µg/L.), la concentrazione della cotinina urinaria, metabolita della nicotina. Le concentrazioni di t,t-MA, SPMA e cotinina urinaria sono state rapportate alla creatininuria rilevata nel medesimo
campione. I valori misurati sono stati trasformati nei rispettivi logaritmi per lo studio della loro reciproca correlazione mediante regressione semplice.
RISULTATI
L’escrezione di benzene non ha mostrato alcuna variazione in funzione del genere, né alcuna correlazione con l’età. Nei campioni raccolti
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205
2)
3)
4)
5)
Figura 1. Correlazione tra acido S-fenilmercapturico e benzene
urinario (prelievo serale)
Figura 2. Correlazione tra logaritmo della concentrazione urinaria
di benzene nelle ore serali e logaritmo del valore di cotininuria
corretto per creatininuria
al mattino, l’escrezione urinaria di SPMA è apparsa ben correlata con
quella di BU (N=88, r=0.381, p=0.0003), contrariamente a quanto osservato per il t,t-MA (N=88, r=0.039, p=0.718). L’escrezione serale di t,tMA ha invece mostrato una discreta correlazione con quella di BU
(N=88, r=0.331, p=0.01), anche se la correlazione del SPMA si è dimostrata migliore (r=0.575, p < 0.0001) (fig. 1). Nei campioni raccolti nelle
ore serali tra i soggetti con valori dosabili di cotininuria, il logaritmo dell’escrezione urinaria di benzene ha dimostrato un’ottima correlazione
con il logaritmo di quei valori (N=55, r=0.634, p<0.0001) (fig. 2),
mentre coefficienti di correlazione inferiori sono stati rilevati per il
SPMA (N=33, r=0.418, p=0.015) ed il t,t-MA (N=55, r=0.365, p=0.006).
DISCUSSIONE
La più volte riportata assenza di correlazione tra BU e basse concentrazioni ambientali di benzene appare verosimilmente riferibile alla
sua estrema sensibilità, rilevata nel nostro studio attraverso la sua ottima
correlazione con i valori di cotininuria, la cui utilità nell’interpretazione
dei valori di benzene urinario, quale indicatore di esposizione attiva o
passiva a fumo di tabacco, risulta confermata. Per quanto riguarda gli
altri biomarcatori, a bassi livelli di esposizione ambientale, la limitata
specificità del t,t-MA alle basse dosi è verosimilmente da porre in relazione alla nota interferenza da parte dell’assunzione di acido sorbico con
la dieta. Infatti, attraverso la via metabolica della omega-ossidazione, l’acido sorbico è metabolizzato a t,t-MA, elevandone pertanto i livelli di
escrezione urinaria. Contrariamente ad altri risultati riportati in letteratura (5), nel nostro studio, l’escrezione urinaria di SPMA sembra meglio
correlata a quella di BU, rispetto al t,t-MA.
BIBLIOGRAFIA
1) Lan Q, Zhang L, Li G, Vermeulen R, Weinberg RS, Dosemeci M,
Rappaport SM, Shen M, Alter BP, Wu Y, Kopp W, Waidyanatha S,
Rabkin C, Guo W, Chanock S, Hayes RB, Linet M, Kim S, Yin S,
Rothman N, Smith MT. Hematotoxicity in workers exposed to low
levels of benzene. Science 2004; 306: 1774-6.
Fustinoni S, Giampiccolo R, Pulvirenti S, Buratti M, Colombi A.
Headspace solid-phase microextraction for the determination of benzene, toluene, ethylbenzene and xylenes in urine. Journal of Chromatography B 1999; 723: 105-15.
Ruppert T, Scherer G, Tricker AR, Adlkofer F. Trans,trans-muconic
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benzene. Int Arch Occup Environ Health 1997; 69: 247-51.
Pezzagno G, Maestri L, Fiorentino ML. Trans, trans-muconic acid, a
biological indicator to low levels of environmental benzene: some
aspects of its specificity. Am J Ind Med 1999; 35: 511-8.
Barbieri A, Violante FS, Sabatini L, Graziosi F, Mattioli S. Urinary
biomarkers and low-level environmental benzene concentration:
assessing occupational and general exposure. Chemosphere. 2008;
74: 64-9.
206
RISCHIO AMIANTO
01
ESPOSIZIONE AMBIENTALE ED OCCUPAZIONALE A TREMOLITE:
PREVALENZA DI PATOLOGIE ASBESTO CORRELATE NELLE
POPOLAZIONI ESPOSTE AL CONFINE CALABRO-LUCANO
T. Massaro1, A. Baldassarre1, A. Caputo2, D. Cavone1, M.C. Grimaldi1,
G.L.M. Martina1, V. Palo2, A. Pinca1, G. Salsano2, B. Schettino1,
G. Cauzillo3, M. Musti1
1
Dipartimento Medicina Interna e Medicina Pubblica Sezione Medicina
Lavoro Ramazzini Università Bari
2 ASP Potenza
3 Dipartimento Salute Regione Basilicata
Corrispondenza: Dr Tommaso Massaro, Università degli Studi di Bari
“A. Moro”, Dipartimento di Medicina Interna e Medicina Pubblica,
Sezione di Medicina del Lavoro “B. Ramazzini”, p.zza G. Cesare n° 11,
70124 Bari (BA) Italia, E-mail: [email protected]
ENVIRONMENTAL AND OCCUPATIONAL TREMOLITE
EXPOSURE: PREVALENCE OF ASBESTOS DISEASES AMONG
RESIDENT POPULATION ON CALABRIA-LUCANIA LINE
ABSTRACT. It’s been documented natural outcrops of rocks
containing tremolite for the presence of cases of mesothelioma in
resident population of Basilicata with unknown asbestos exposure.
Afterwards, it was undertaken an epidemiological-health surveillance for resident population in these areas aimed at the valuation of occupational and environmental asbestos exposure, of the prevalence of
asbestos related diseases, of the communication of the risks due to tremolite exposure and the containment measures. 699 resident subjects,
voluntarily recruited, were submitted to a protocol of health surveillance
which plans a specialized occupational medicine physical examination.
Moreover, for the all resident adult people, an exam of respiratory functionality was required, while, for people resident in the area from more
than 20 years, a chest X-ray in double projection with ILO-BIT reading
in double blind test and a lung speciality visit were specified.
Preliminary results of health surveillance highlighted the presence
of benign and malignant asbestos correlated diseases of pleura and lung
in people resident in these areas. For these patients asbestos exposure
occurs both in working environment (construction or agricultural sectors) and environmental one.
Key words: environmental and occupational asbestos exposure
INTRODUZIONE
Il ReNaM-COR Basilicata ha rilevato tre casi di mesotelioma pleurico
con esposizione ignota ad amianto occorsi nel periodo 2000-2003 in aree
della Basilicata al confine calabro-lucano. Successivamente sono stati documentati e mappati affioramenti naturali di rocce contenti tremolite, un
tipo di amianto anfibolo (1). In tali aree l’azione di disturbo del suolo determina un’esposizione a tremolite fino a 5 ff/l. Un gruppo di lavoro multidisciplinare in una Consensus Conference ha programmato specifici interventi di comunicazione ed un’azione di sorveglianza epidemiologico-sanitaria sulla popolazione interessata da attuarsi nell’arco di un triennio (2).
OBIETTIVI
Sorveglianza epidemiologico-sanitaria per la valutazione della prevalenza di patologie respiratorie correlate con l’esposizione occupazionale ed ambientale ad asbesto.
Comunicazione dei livelli di rischio per la salute della popolazione
esposta e delle misure di contenimento.
METODI
L’azione ha riguardato, in questa prima fase, le popolazioni residenti
nei comuni di Lauria e Castelluccio Superiore reclutate su base volontaria.
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Il protocollo di sorveglianza sanitaria prevede una visita medica specialistica di medicina del lavoro ed esame di funzionalità respiratoria a
tutti i residenti maggiorenni, una radiografia del torace in doppia proiezione con lettura ILO-BIT in doppio cieco e visita pneumologica per i residenti da almeno vent’anni.
Il processo di comunicazione è stato basato sia sul modello partecipativo attraverso la promozione di incontri con la popolazione residente,
sia su attività di councelling effettuata dal personale sanitario in occasione della visita medica.
RISULTATI
699 residenti nei comuni di Lauria e Castelluccio Superiore (332 uomini e 367 donne) hanno aderito all’azione di sorveglianza sanitaria intrapresa. Dall’anamnesi lavorativa è emerso che circa il 62% ha una
storia attuale o pregressa di occupazione in edilizia e/o agricoltura in
zona.
63 soggetti pari al 9% del totale dei visitati fra Aprile 2008 e Marzo
2009 sono risultati affetti da patologie asbesto correlate.
La prevalenza delle placche e/o ispessimenti pleurici diffusi è pari al
5% della popolazione visitata (24 uomini, 11 donne). Tali alterazioni
sono state documentate a partire dalla 4a decade di età coerentemente con
la latenza media. La frequenza delle placche nella popolazione di età superiore a 30 anni è pari al 5.9%. Esse riguardano il 7.2% degli uomini
(8.3 % oltre la terza decade di età) ed il 3 % delle donne (3.6% oltre la
terza decade).
Sono emersi 13 casi di pneumopatia interstiziale con prevalenza pari
a 1.9% nella popolazione, 2.7% negli uomini ed 1.1% nelle donne.
Sono stati evidenziati 13 casi di pneumopatia interstiziale con
placche e/o ispessimenti pleurici pari a 1.9 % dei visitati (3% degli uomini, 0.8 % delle donne).
Si segnalano due casi di pneumopatia interstiziale con placche ed
atelettasia rotonda in due uomini, un ex fumatore di 67 anni ed un nonfumatore di 82.
È stata fatta diagnosi di mesotelioma pleurico in due soggetti ultrasettantenni con storia di esposizione ad amianto lavorativa probabile nell’industria ed in agricoltura avendo entrambi svolto lavori agricoli in aree
contaminate da fibre di tremolite (0.29% della popolazione visitata).
È stato individuato un caso di carcinoma polmonare in un soggetto
con placche pleuriche ex-fumatore con storia di esposizione ambientale
ed occupazionale ad asbesto.
Inoltre l’attività di sorveglianza sanitaria ha evidenziato patologie
respiratorie non asbesto-correlate: 16 casi di asma bronchiale (2.3%) e 60
casi di BPCO (8.6 % della popolazione, 13,2 % degli uomini dei quali il
68% è stato o è fumatore, e 4,3 % delle donne delle quali solo il 13% ha
una storia di abitudine al fumo).
In due incontri con la popolazione, rispettivamente precedente e successivo al primo anno di attività sanitaria, è stato illustrato il progetto, effettuata comunicazione sui rischi per la salute derivanti dall’esposizione
a tremolite, sulle misure di contenimento e sui primi risultati.
DISCUSSIONE
Sono note altre realtà di esposizione ambientale a fibre asbestiformi
derivanti da affioramenti naturali (Biancavilla, Grecia, Turchia, Nuova
Caledonia, Cappadocia)(1) tuttavia non sono riportati in letteratura interventi di sorveglianza epidemiologico-sanitaria per le popolazioni
esposte. Unica iniziativa assimilabile a quella intrapresa per i residenti al
confine calabro-lucano è documentata per la località di Libby in Montana (USA), sede di una miniera di vermiculite (contamita da fibre asbestiformi) attiva fino al 1990, dove ex-lavoratori della miniera e residenti
in zona sono stati sottoposti a radiografia del torace, spirometria e questionario per la valutazione dell’esposizione nel periodo novembre 2000
settembre 2001(3).
Nella nostra casistica il totale dei soggetti con placche pleuriche (con
o senza interessamento del parenchima polmonare) rappresenta il 7.1%
della popolazione in sorveglianza sanitaria, 10.8% dei maschi e 3,8%
delle donne, dato inferiore a quello riscontrato a Libby dove le anomalie
pleuriche riguardano il 17.8% dei reclutati soprattutto ex-lavoratori della
miniera.
Le pneumopatie interstiziali (con o senza placche pleuriche o altre
alterazioni) riguardano il 4% della popolazione lucana visitata, 6,3% dei
maschi e 1,9 % delle donne; in contrasto con i dati di Libby dove la frequenza di anomalie del parenchima è inferiore a 1%.
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Dall’anamnesi lavorativa è emersa una probabile esposizione occupazionale ad asbesto nell’industria per 15 dei 21 soggetti maschi affetti
da pneumopatie interstiziali (fra cui 12 con placche pleuriche di cui 2 con
atelettasia rotonda), mentre per 5 di questi è stata evidenziata una esposizione occupazionale in agricoltura avendo coltivato terreni contaminati
da tremolite. Le donne affette da pneumopatia interstiziale (7 in totale, 3
con placche) non hanno mai fumato ed hanno svolto attività agricole in
aree contaminate da tremolite mentre in anamnesi non sono emerse patologie responsabili di interstiziopatia polmonare. Alla luce di tali analisi
è ragionevole ritenere che l’esposizione occupazionale in agricoltura
abbia svolto un ruolo preponderante nel determinismo delle pneumopatie
interstiziali nelle donne ed in parte dei casi occorsi negli uomini di cui 15
sono o sono stati fumatori.
Nel primo anno di attività sanitaria sono stati identificati due casi di
mesotelioma pleurico su 699 soggetti visitati pari a circa 3 casi su 1000,
valore superiore al tasso grezzo di mesotelioma pleurico certo per il sesso
maschile in Italia riportato dal ReNaM, riferito all’anno 2001, pari a 2.74
per 100.000 uomini (4).
Gli accertamenti sanitari effettuati sui 699 residenti hanno evidenziato patologie asbesto correlate sia benigne sia maligne. Nonostante l’esposizione ambientale a tremolite in tali aree riguardi l’intera popolazione residente, le patologie riscontrate interessano soggetti con storia di
occupazione in edilizia o in agricoltura che hanno svolto attività implicanti azioni di disturbo del suolo con esposizione a dosi di tremolite superiori a quelle ambientali.
BIBLIOGRAFIA
1) Pasetto R et al. Pleural mesothelioma and environmental exposure to
mineral fibres: the case of a rural area in the Basilicata region, Italy
Ann Ist Super Sanita. 2004; 40 (2): 251-65. Review. Italian.
2) Musti M. et al. Consensus Conference “Sorveglianza sanitaria delle
popolazioni esposte a fibre di tremolite nel territorio della ASL 3 Lagonegro (PZ)”. Roma 22 - 23 febbraio 2005. Ann Ist Super Sanità
2006, Vol. 42, No. 4: 469-476
3) Peipins et al. Radiographic abnormalities and exposure to asbestoscontaminated vermiculite in the community of Libby, Montana,
USA. Environmental Health Prespectivies, Vol 111, No 14, November 2003, 1753-59.
4) ISPESL, Il Registro Nazionale Dei Mesoteliomi, Secondo Rapporto,
2006. Available from: http://www.ispesl.it/renam/Report.asp.
02
ANALISI DELLE ATTIVITÀ E DELL’ESPOSIZIONE AD ASBESTI
NEI CASI DI MESOTELIOMA MALIGNO INDAGATI DALL’UNITÀ
OPERATIVA OSPEDALIERA DI MEDICINA DEL LAVORO (UOOML)
DI CREMONA DAL 1988 AL MAGGIO 2010
V. Somenzi
Unità Ospedaliera di Medicina del Lavoro - Istituti Ospitalieri di
Cremona - Viale Concordia, 1 - 26100 Cremona
Corrispondenza: Dott. Virginio Somenzi - Unità Operativa di Medicina
del Lavoro (UOOML) - Istituti Ospitalieri di Cremona - Viale Concordia
1 - 26100 Cremona - Tel. 0372-405433, Fax 0372405656, e-mail:
[email protected]
Parole chiave: Mesotelioma, Asbesto, Agricoltura
ANALYSIS OF WORKING ACTIVITIES AND EXPOSITION TO
ASBESTOS IN THE MALIGNANT MESOTHELIOMA CASES,
EVALUATED IN ITALY BY THE OCCUPATIONAL HEALTH
HOSPITAL UNIT OF CREMONA (UOOML) FROM 1988 TO 2010
ABSTRACT. In this work we analyze 152 cases of malignant
mesothelioma that were observed in the Hospital Unit of Occupational
Medicine (UOOML) of Istituti Ospitalieri of Cremona - Italy from 1988
up to 2010. Recruitment of cases from 1988 up to 1999 has been based
on the few requests of in-depth examination made spontaneously by
practitioners, hospital units, organizations of workers, etc. In 2000 a
207
register of mesotheliomas was created by Lombardy region (Registro
Mesoteliomi Lombardo) and the UOOML of Cremona became
responsible for it in the Cremona district. Since that year all new cases
(incidental cases) of mesothelioma that had been diagnosed in provincial
hospitals, were analyzed searching a possible exposition to asbestos and
valuating their causal rapport with asbestos.
In this work we also describe and analyze: incidence of mesotheliomas, working divisions and productive activities involved with them,
common and unusual (both professional or not) way of exposition, minimum and maximum latency period. We also make some remarks about
Occupational Medicine public hospital units. In our experience they
have a determinant role in the evaluation of professional causal rapport,
in the accomplishment of medical-legal duty and in creating a flow of
information to realize pathology registers.
Key words: Mesothelioma, Asbestos, Agriculture
INTRODUZIONE
Il mesotelioma maligno è una rara e infausta neoplasia di pleura,
peritoneo, pericardio, tunica vaginale del testicolo, strettamente correlabile all’esposizione ad asbesti, professionale e/o ambientale, che si
manifesta solo in una piccola percentuale dei soggetti esposti, dopo latenza che va da alcuni lustri a diversi decenni. Per il mesotelioma non
è documentata una soglia di esposizione al di sotto della quale l’effetto
non compaia; neppure sono note condizioni individuali predisponenti
o protettive, genetiche o fisiologiche. L’indagine causale etiologica
quando effettuata acquisendo direttamente dal paziente in vita accurate informazioni sul suo vissuto professionale ed extraprofessionale,
permette di individuare o escludere con buona approssimazione occasioni d’esposizione ad asbesti nella maggior parte dei casi, talvolta
anche scoprire modalità espositive inedite o misconosciute. La raccolta e l’analisi epidemiologica dei dati consente inoltre di attribuire a
determinate lavorazioni, settori di attività o comparti produttivi il corrispondente generico rischio relativo e di pianificare le opportune iniziative prevenzionistiche. Il risultato dell’indagine individuale non
modifica il trattamento del paziente, tuttavia oltre a promuovere le formalità medico legali di legge, sviluppa conoscenze su particolari occasioni d’esposizione e, attraverso una specifica valutazione dei casi e
del rischio ad essi associabile, permette di promuovere ed intraprendere quando opportuno, iniziative preventive professionali e/o ambientali in generale e/o di sorveglianza sanitaria per gli ex esposti. Per
analizzare con sufficiente accuratezza le condizioni espositive dei
“nuovi casi” di mesotelioma devono privilegiarsi approcci organizzativi che permettano di acquisire direttamente dal paziente in vita le
specifiche condizioni operative professionali ed extra professionali,
quindi data la breve sopravvivenza dopo la diagnosi, si deve contattare
il paziente ad opera di medici del lavoro, subito dopo la stessa, anche
durante i ricoveri. In Lombardia l’approccio è facilitato dalle Unità
Operative Ospedaliere di Medicina del Lavoro (UOOML) allocate nei
maggiori gli ospedali provinciali.
MATERIALI E METODI
Si analizzano 152 casi di mesotelioma maligno (MM), valutati in
merito al rapporto causale dall’Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro (UOOML) degli Istituti Ospitalieri di Cremona nel periodo 1988-maggio 2010. Il criterio di reclutamento dei casi sino al
1999 fu strettamente correlato alle richieste di approfondimento spontaneamente formulate dal territorio servito dalla UOOML (reparti
ospedalieri, medici di famiglia, organizzazione dei lavoratori, etc),
mentre dal 2000 essendosi attivato il Registro Mesoteliomi Lombardo
ed assumendo la UOOML di Cremona il ruolo di referente provinciale
per tale Registro, tutti i casi incidenti diagnosticati o trattati negli
ospedali della provincia sono stati considerati con approccio sistematico e standardizzato concordato con il Registro Lombardo, approfondendosi in particolare la correlazione all’esposizione ad asbesti ed al
rapporto di causa professionale. Il monitoraggio dei casi incidenti fu
pianificata in modo da favorire la tempestività dell’indagine etiologica; in particolare a livello locale, costante riferimento furono i reparti di Pneumologia ed Anatomia Patologica e gli Uffici Epidemiologici degli ospedali pubblici della Provincia di Cremona e, a livello regionale, il Registro Mesoteliomi al quale peraltro afferiscono sistematicamente da altre fonti i dati di mortalità e SDO provinciali che pertanto permettono di incrociare i dati.
208
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Tabella I. Accuratezza diagnostica
RISULTATI
Nel periodo considerato afferirono alla UOOML segnalazioni di 152
casi, 100 maschi e 52 femmine, dei quali 125 residenti in provincia di
Cremona e 27 altrove; in relazione ai soli residenti cremonesi le percentuali di genere furono rispettivamente 67% maschi e 33% femmine. L’accuratezza diagnostica in relazione alla classificazione ReNaM è riportata
nella Tab. I. L’età minima d’insorgenza fu di 32 anni, la massima di 93.
Le decadi di vita più colpite furono la 6a e la 7a rispettivamente con 61
e 50 casi, mentre le altre furono rappresentate rispettivamente: la 3a da 2
casi, la 4a da 6, la 5a da 16, la 8a da 14, e la 9a da 3. In riferimento al
solo periodo 2000-2009, caratterizzato dalla completa registrazione dei
casi incidenti della provincia di CR (362.0000 abitanti), il numero medio
annuo di nuovi casi fu pari a 11, con una incidenza complessiva nel periodo considerato di 3,1 ogni 105 abitanti (2,1 per i soli maschi e 1,0 per
le sole femmine).
Analizzando l’esposizione nei soli casi cremonesi, per 20 su 125 pazienti (16%) le informazioni raccolte o il livello delle conoscenze disponibili furono incomplete o insufficienti e non hanno consentito di indagare
adeguatamente le eventuali occasioni di esposizione professionali ed extra-
professionali e pertanto fu loro assegnata la categoria di esposizione
“ignota”. Considerando poi l’intero gruppo dei 117 con informazioni sufficienti (105 cremonesi), lo studio e la classificazione dell’esposizione ad
asbesto adottando i criteri ReNaM, ha fornito i seguenti risultati: esp.prof.
certa 56 (47,9%); esp.prof. probabile 26 (22,2%); esp.prof. possibile 12
(10,3%); esp. non prof ambientale 9 (7,7%); esp. non prof familiare 12
(10,3%); esp. improbabile (informazioni sufficienti) 2 (1,7%). Dei 125 casi
cremonesi: 84 di loro, individuandosi esposizione professionale, furono
considerati professionali (67,2%); per gli stessi i vari comparti produttivi
con esposizioni documentate furono rappresentati nelle percentuali evidenziate nella fig. 1; mentre i settori di attività ricorrenti sono descritti da fig. 2.
Vettori di polveri nelle esposizione documentate furono: coibenti o
pannelli nel 41% dei casi, cemento amianto nel 22%, filati di amianto nel
7%, filati o tessuti rigenerati nel 7%, sacchi di juta impolverati di
amianto nel 6%, ferodi di freni o frizioni nel 5%, guarnizioni ignifughe
nel 4%, DPI nel 4%, filtri per alimenti nel 2%.
DISCUSSIONE
I settori più coinvolti dal rischio di esposizione, in accordo con altri
autori,sono stati: a) quello metal-elettro-meccanico e termotecnica; in tale
ambito vettori della polvere di amianto furono i coibenti ed in minor misura i materiali da attrito tipo “ferodi”; b) quello delle costruzioni edili
dove in gioco fu ovviamente il cemento-amianto esponendo direttamente
o indirettamente gli operatori presenti nei cantieri. Relativamente ai sacchi
di juta riciclati e contaminati con polvere di amianto si sono riscontrati due
casi in differenti saccherie, un caso in ditta che commercializzava cereali
per mangimi insaccandoli in tali sacchi, un caso al Consorzio Agrario in
magazziniera che li vendeva, 4 casi fra soggetti attivi in agricoltura che li
utilizzavano con varia frequenza. Per il comparto dell’agricoltura oltre ai
sacchi ad ai coibenti degli essiccatoi del grano, sono risultate fonte significativa di esposizione sia vaste tettoie in cemento amianto, quando installate nelle aziende agricole per riparare mezzi animali, sia talvolta, la cucina
economica che in un caso fu trasformata in elettrica, installando tra l’altro
uno spesso coibente di amianto, e che in altri fu dotata di un bruciatore a
gasolio con serpentina di amianto quale stoppino per la fiamma. Fra i 9 casi
cremonesi con esposizione ambientale: 1 caso abitò a Casale Monferrato
in vicinanza dello stabilimento Eternit e 2 casi in vicinanza di un cantiere
di demolizione di carri ferroviari. Nei 10 casi con esposizione familiare
vettori di polvere furono gli abiti da lavoro.
Ringraziamenti: Si ringrazia la Ass. San. dr. sa M. Lattarini della
UOOML, per il valido aiuto proferito alla raccolta dei dati anamnestici.
Figura 1. Comparti con esposizione documentata
BIBLIOGRAFIA
Mensi C. et al. Reg. Mesoteliomi Reg. Lombardia, 6° Rapporto attività.
MI luglio 2007.
Barbieri P.G. et al. La sorveglianza epidemiologica del mesotelioma maligno nel basso lago d’Iseo. Epidemiologia e Prevenzione - 31 supplemento (4) luglio-agosto 2007.
Nesti M. et al. Linee guida per la rilevazione e la definizione dei casi di
mesotelioma maligno … 2003; ISPESL seconda edizione.
Somenzi V. et al. Due casi di patologia polmonare asbestosica in giovani
lavoratrici di vaccheria che riciclava sacchi di iuta. 1988, atti 51°
Cong. Med. del Lavoro, Firenze. vol. 2, 1961-1164.
03
EPIGENETICA NELL’IDENTIFICAZIONE PRECOCE DEI TUMORI
ASSOCIATI ALL’ESPOSIZIONE OCCUPAZIONALE: MIR-126
E MESOTELINA COME BIOMARCATORI DEL MESOTELIOMA
MALIGNO DELLA PLEURA
L. Santarelli1, M. Amati1, S. Staffolani1, E. Strafella1, D. Carbonari1,2,
M. Bracci1, P. Mazzanti3, M. Tomasetti1
Figura 2. Settori di attività con esposizione documentata
1 Dipartimento di Patologia Molecolare e Terapie Innovative, Medicina
del Lavoro, Università Politecnica delle Marche, Ancona
2 Dipartimento di Igiene Occupazionale, Istituto Nazionale per la
Sicurezza e Prevenzione Occupazionale (ISPESL), Roma
3 Clinica di Oncologia Medica e Divisione, Ospedali Riuniti, Ancona
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Corrispondenza: Prof. Lory Santarelli, Medicina del Lavoro, Facoltà di
Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche, Via Tronto
10/A, 60020 Ancona, Italy, Email: [email protected]
EPIGENIC IN THE EARLY DETECTION OF TUMOURS
ASSOCIATED WITH OCCUPATIONAL EXPOSURE: MIR-126 AND
MESOTHELIN AS BIOMARKERS OF THE MALIGNANT
PLEURAL MESOTHELIOMA
ABSTRACT. Although it is well established that asbestos is the
major causative agent in the development of Malignant Mesothelioma
(MM), the incidence of cases involving individuals with low levels of
asbestos exposure is increasing. There are emerging evidence for the role
of molecular changes in lung cancer and MM as response to
environmental exposures. Insight into epigenomics will lead to the
development of novel biomarkers and treatment targets in tumour
diseases. It is known that epigenetic mechanisms are involved in the
regulation of microRNAs (miRNAs), a class of non-coding RNAs.
Recently, finding miRNA in the blood has suggested the potential for
miRNA-based blood biomarkers in cancer detection. Evaluating miRNA
levels in the serum of a population of asbestos-exposed subjects, MM
patients and healthy controls, we observed that low levels of miR-126
were found in the blood of MM patients and high-risk subjects when
compared with controls. The levels of miR-126 in serum in association
with a specific marker of malignant mesothelioma, soluble mesothelin
related-peptides, can be used to identify subjects with high risk to
develop the disease. The identification of tumor biomarkers alone or in
combination could greatly facilitate the surveillance procedure for
cohorts of subjects exposed to asbestos, a relatively common
phenomenon in different areas of industrialized countries.
Key words: microRNA, biomarkers, malignant mesothelioma
INTRODUZIONE
L’incidenza dei casi di MM è oggi progressivamente in aumento ed incorpora una buona percentuale di individui con bassa esposizione lavorativa ed ambientale ad asbesto suggerendo la centralità delle lesioni a livello
genetico e/o epigenetico nell’insorgenza del tumore (1). Recentemente, in
casi di tumore polmonare e di mesotelioma maligno della pleura (MMP)
sono state osservate numerose alterazioni molecolari delle cellule maligne
riconducibili all’esposizione ambientale/occupazionale all’asbesto (2). È
noto che un’alterata regolazione del controllo epigenetico trascrizionale
(metilazione-acetilazione) è coinvolta nella carcinogenesi: l’ipermetilazione localizzata dei geni onco-soppessori può infatti determinar il silenzia
mento degli stessi. L’identificazione e la quantificazione del fenomeno di
ipermetilazione potrebbe costituire un marcatore molecolare di neoplasia
asbesto-correlata. Recenti studi hanno stabilito che meccanismi epigenetici
di ipermetilazione sono coinvolti anche nella funzione dei micro-RNA
(miRNA), una classe di piccoli RNA a singolo filamento non codificanti
che regolano bloccandola l’espressione genica (3). In uno studio precedente, analizzando l’espressione di un pannello di miRNA in biopsie di
MM e comparandola con biopsie di tessuto non patologico abbiamo identificato il miR-126 come fattore significativamente sotto-espresso nel tessuto patologico. Allo scopo di valutarne il possibile valore clinico come
biomarcatore precoce di malattia, l’espressione del miR-126 è stata analizzata in campioni di siero di pazienti affetti da MMP, di soggetti con documentata esposizione all’asbesto e confrontati con una popolazione di controllo. L’espressione del miR-126 è stata inoltre associata ai livelli sierici
di mesotelina (Solubile Mesothelin-Related Peptides, SMRP), un marcatore specifico del MMP al fine di ottenere una migliore specificità.
MATERIALI E METODI
Soggetti esposti all’asbesto: 196 soggetti (188 maschi e 8 femmine,
età media 60±9.6 anni) con una storia certa di esposizione all’asbesto sono
stati arruolati presso la Clinica di Medicina del Lavoro dell’Università Politecnica delle Marche. Mediante questionario sono stati raccolti dati sulla
durata dell’esposizione all’asbesto, sull’abitudine tabagica e sulla mansione svolta. Tutti i soggetti sono stati sottoposti a prove di funzionalità respiratoria e a tomografia assiale computerizzata del torace ad alta risoluzione secondo il protocollo adottato nella prima visita per gli ex esposti ad
amianto presso la nostra struttura. In base alla mansione svolta è stata calcolata per ogni individuo la dose cumulativa di esposizione ad asbesto (Cf)
espressa come fibre (ff)/cm3 x anno (4). Il 44% del campione è risultato costituito da fumatori, il 40% da non fumatori ed il 16% da ex-fumatori.
209
Pazienti con MMP: 44 pazienti affetti da MMP (37 maschi e 7 femmine, età media 63±10 anni) sono stati arruolati nello studio con la collaborazione della Clinica Oncologica dell’Università Politecnica delle
Marche. Il 41% erano fumatori, 43% non fumatori ed il 16% ex-fumatori. I tumori sono stati classificati come di tipo epiteliale (n=30), misto
(n=8) e sarcomatoide (n=6).
Controlli: 50 soggetti di controllo (40 maschi e 10 femmine, età
media 68±8 anni) sono stati reclutati con la collaborazione della Clinica
Pneumologica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ancona. Il
54% erano fumatori, il 38% non fumatori ed l’8% ex-fumatori. Nessuno
dei soggetti arruolati avevano una storia di esposizione all’asbesto.
Campionamento e determinazione sierica del miR-126 e SMRP: Da
ciascuno soggetto è stato effettuato un prelievo venoso dal quale è stato
separato il siero. Analisi miR-126: L’RNA circolante è stato isolato da
250µl di siero mediante Tri-Reagent BD (Sigma, St Louis, MO). Dall’RNA totale sono stati isolati i miRNA mediante miRNA isolation Kit
(SABiosciences) e successivamente il miR-126 è stato retro-trascritto a
cDNA mediante uno specifico TaqMan MicroRNA assay e infine quantizzato mediante qRT-PCR ed espresso come valore di CT normalizzato
sul CT di U6 (ΔCT). Determinazione SMRP: I livelli di SMRP sono stati
determinati su siero attraverso ELISA assay (Mesomark, Schering, Milano) seguendo le istruzioni dalla casa produttrice. I valori di SMRP sono
stati espressi in nmol/l.
Analisi statistica: I risultati sono stati espressi come media±dev.st.
Le differenze statistiche tra due gruppi sono state valutate mediante il test
t-Student, mentre comparazioni multiple sono state valutate mediante
l’analisi della varianza (ANOVA) seguito dal test LSD. L’analisi di regressione multipla è stata effettuata per stimare l’influenza dei parametri
di esposizione ed i livelli di SMRP sull’espressione del miR-126. Differenze con p<0.05 sono state considerate statisticamente significanti. I
dati sono stati analizzati con il programma statistico SPSS versione 15
(Chicago, IL, USA).
RISULTATI
Il miR-126 è risultato espresso in modo diverso tra le popolazioni analizzate con il seguente andamento MMP<Esposti<Controlli. I soggetti ex
esposti all’asbesto avevano avuto una esposizione di 23.3±10.7 anni con una
Cf di 28.8±50.4 ff/cm3 x anno. Evidenze di malattie correlate con l’asbesto
(fibrosi, placche pleuriche) sono state osservate in 56/196 soggetti (29%).
Dall’analisi della regressione multipla si è osservato che l’espressione del
miR-126 non è influenzato da nessuno dei fattori di esposizione analizzati.
Mediante analisi dei percentili, sono stati stabiliti due cut-off: uno di –4.5 è
in grado di discriminare i soggetti sani dai pazienti con MMP, mentre una so-
Figura 1. Distribuzione dei livelli sierici di miR-126 e SMRP e loro
associazione in soggetti esposti all’asbesto (Exp), pazienti con MMP
e controlli (Ctrl)
210
glia di –3.4 è in grado di separare i soggetti esposti all’asbesto dai soggetti
patologici. Il valore del miR-126 è stato poi confrontato con i livelli serici di
mesotelina, marcatore specifico di MMP. Questa associazione, il cui cut-off
è stato stabilito nel valore di 1 nmol/L, è risultata in grado di identificare alcuni soggetti che in base al rapporto tra i valori alterati di mesotelina e miR126 incorrono in un elevato rischio di sviluppare la patologia tumorale.
CONCLUSIONI
I risultati indicano l’utilità della individuazione di fattori epigenetici da
utilizzare come marcatori di fase precoce di insorgenza della neoplasia in
associazione con il marcatore specifico di patologia. La eventuale introduzione nella pratica clinica della valutazione correlata dei biomarcatori studiati, richiede una conferma dei risultati dall’ampliamento del campione. La
valutazione potrebbe comunque fornire un valido aiuto nella scelta delle
procedure di sorveglianza sanitaria dei soggetti ex-esposti ad asbesto. È
nota infatti la difficoltà del medico impegnato nella prevenzione di questa
terribile patologia dei lavoratori, nella individuazione di una tempistica per
l’esecuzione di validi esami che siano risolutivi del sospetto di comparsa di
un mesotelioma con l’avvio di ulteriori procedure diagnostiche molto invasive. In particolare sarebbe utile ottenere indicazioni efficaci per la scelta
dei tempi di intervallo tra l’esecuzione di TAC spirali ad alta risoluzione essendo il rapporto costo/beneficio di questo esame ancora troppo sfavorevole
in termini economici ma soprattutto in termini di lesività nei confronti della
salute psico-fisica di soggetti sostanzialmente sani.
BIBLIOGRAFIA
1) Sahin U, Ozturk O, Songur N, Bircan A, Akkaya A. Observations on
environmental asbestos exposure in a high risk area. Respirology.
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and controls. N Engl J Med 1971; 285: 1271.
04
REGISTRO MESOTELIOMI LOMBARDIA: CASISTICA 2000-2009
C. Mensi1,2, C. Sieno1, D. Consonni1, A.C. Pesatori3, L. Riboldi1,2
1
Dipartimento di Medicina Preventiva, Fondazione IRCCS Ca’ Granda
- Ospedale Maggiore Policlinico, Clinica del Lavoro “L. Devoto”,
Milano (MI)
2 Centro Effetti Biologici Polveri Inalate, Dipartimento di Medicina del
Lavoro, Università degli Studi di Milano
3 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano
Corrispondenza: Luciano Riboldi, Clinica del Lavoro “L. Devoto”, via S.
Barnaba, 8; 20122 Milano. Tel. +39 0255032595; Fax. +39 0250320139;
[email protected]
THE LOMBARDY MESOTHELIOMA REGISTRY, 2000-2009
ABSTRACT. The Lombardy mesothelioma register, established in
2000, collects all new incident cases of malignant mesothelioma (MM) of
pleura, peritoneum, pericardium, and tunica vaginalis of the testis
occurring in residents (9.1 million). For each case a standardized
questionnaire is administered to the patient or his/her next-of-kin to
verify possible asbestos exposure.
In the period 2000-2009 we collected 3,108 incident cases of MM.
The age-standardized incidence rates from the period 2000-2005 were
5.2 and 2.0 ×100.000 respectively for males and females.
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Diagnostic confirmation and exposure evaluation was completed for
2,467 (79.4%) of potential incident cases. Occupational exposure to
asbestos has been found for about 67% of the cases, whereas 6% of cases
had an environmental or familial or leisure-time asbestos exposure. Most
occupational exposures occurred in building trades, metal manufacture,
and textile sectors. For recognized occupational cases compensation
claims were undertaken.
Key words: mesothelioma, asbestos, cancer registry
INTRODUZIONE
Il Mesotelioma Maligno (MM) è una neoplasia rara che insorge dal
rivestimento sieroso della cavità pleurica, peritoneale, pericardica e vaginale testicolare, nella cui genesi è ormai da anni riconosciuto il ruolo
della pregressa esposizione ad amianto. A livello nazionale esiste un Registro (ReNaM) (2, 4) che si avvale di registri regionali così come previsto dal DPCM n. 308 del 31/12/2002 e ribadito dall’art. 244 del Decreto Legislativo 81/2008. In Lombardia la sorveglianza è attiva dal 2000
ed il Registro ha sede presso la Clinica del Lavoro di Milano ed ha come
obiettivo, oltre alla rilevazione dell’incidenza del MM, anche l’approfondimento del ruolo eziologico della pregressa esposizione ad
amianto in ciascun caso (3). Sono di seguito descritti i risultati dei primi
dieci anni di sorveglianza.
MATERIALI E METODI
Nel Registro sono inclusi tutti i casi di mesotelioma maligno della
pleura, del peritoneo, del pericardio e della tunica vaginale del testicolo,
che si verificano in soggetti residenti, al momento della prima diagnosi,
in Lombardia (9.1 milioni di abitanti).
I casi sono segnalati dai reparti di diagnosi e cura dei MM degli
Ospedali regionali, in particolare quelli di chirurgia toracica, pneumologia
e anatomia patologica. Inoltre sono effettuate verifiche di completezza
dell’incidenza mediante confronti sistematici con gli archivi dei servizi di
anatomia patologica, le Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO), i registri di mortalità presso le ASL, i registri tumori di popolazione presenti in
Lombardia ed infine l’INAIL per la quota di casi ad eziologia professionale. Per ciascun caso segnalato, oltre alla documentazione clinica, è acquisito un questionario per verificare l’esposizione ad amianto, somministrato dal personale dei Servizi di Medicina del Lavoro ospedalieri
(UOOML) o territoriali (SPSAL). La documentazione clinica ed espositiva di ciascun caso è sottoposta ad un Gruppo di Valutazione composto
da 6 specialisti in anatomia patologica, oncologia, pneumologia, medicina
del lavoro, epidemiologia ed igiene e tecnologia industriale.
RISULTATI
Nel periodo 2000-2009 sono stati segnalati al RML 5.866 casi sospetti
dei quali 3.108 (53%) sono risultati incidenti in questo arco temporale. Il
tasso di incidenza standardizzato per età per il periodo 2000-2005 (in cui la
valutazione della casistica è completa) è 5.2 [IC95% 4.9-5.5] e 2.0 [IC95%
1.9-2.2] per 100.000/anno, rispettivamente negli uomini e nelle donne.
Per 2.467 (79.4%) dei casi incidenti nel periodo 2000-2009 si sono
concluse le procedure di approfondimento e valutazione: sono 1.914 MM
Certi, 304 Probabili e 249 Possibili.
I 2.218 MM ad elevato grado di certezza diagnostica (MM
Certi+Probabili) sono nel 67% (1.481 casi) uomini, e l’età mediana è di
69 anni (range 22-95). La sede maggiormente colpita è la pleura (2.066
casi pari al 93%) seguita da peritoneo (135 casi), tunica vaginale del testicolo (10 casi) e pericardio (7 casi).
Il questionario sull’esposizione è disponibile in 2.107 casi, nel 61%
dei quali il colloquio è avvenuto direttamente col paziente. L’individuazione di una pregressa esposizione ad amianto è più probabile in caso di
intervista diretta (p<0.001). In 1.538 casi (1.142 M e 396 F) (73%) si è
dimostrata una pregressa esposizione ad amianto; in particolare in 1.412
casi (1.103 M e 309 F) il contatto con il minerale è avvenuto in ambito
lavorativo, in 64 casi (22 M e 42 F) per cause ambientali, in 30 casi (9 M
e 21 F) per aver vissuto con un soggetto professionalmente esposto e in
altri 32 casi (8 M e 24 F) per attività domestiche o hobbistiche. Le modalità di esposizione ad amianto sono risultate differenti nei due generi
(p<0.001), con una maggior frequenza delle esposizioni non-occupazionali fra le donne e di quelle professionali negli uomini.
I settori lavorativi maggiormente coinvolti nelle esposizioni professionali sono l’edilizia (26.5%), la lavorazione dei metalli (21.4%) e l’industria tessile (16.1%).
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La durata mediana dell’esposizione ad amianto è risultata 27.0 anni
(min 0.5, max 68) e 16.0 anni (min 0.5, max 79) rispettivamente negli
uomini e nelle donne.
La latenza mediana è risultata 46.9 anni (min 14.6, max 81.9) e 53.2
anni (min 17.3, max 88.1) rispettivamente negli uomini e nelle donne,
con una differenza significativa di genere (p<0.0001). Tale differenza
tuttavia scompariva (0.2 anni, p=0.19) correggendo per anno di prima
esposizione in un modello di regressione multipla.
Tra gli uomini le latenze medie più brevi sono state osservate per
esposizioni hobbistiche (35.2 anni) e lavorative (46.8 anni) contro gli
oltre 50 anni per le esposizioni ambientali e familiari. Tra le donne le latenze medie sono risultate inferiori ai 50 anni nel caso di esposizioni extraprofessionali rispetto a una media di 53.0 anni in ambito professionale. Anche in questo caso aggiustando per anno di prima esposizione e
genere non si rilevavano differenze degne di nota.
DISCUSSIONE
La Lombardia è la Regione italiana con il maggior numero assoluto
di casi di MM/anno ed il tasso di incidenza è fra i maggiori a livello nazionale (2). I dati presentati confermano che questa patologia colpisce
preferenzialmente il genere maschile e che la sede maggiormente interessata è la pleura. Nel 67% del totale dei casi con colloquio anamnestico
si è dimostrata una pregressa esposizione ad amianto in ambito lavorativo con conseguente avvio delle pratiche medico legali ed assicurative.
In una ulteriore 6% l’esposizione ad amianto si è invece verificata in ambito extra-occupazionale e tale quota riguarda soprattutto le donne. L’individuazione di una pregressa esposizione ad amianto è più probabile in
caso di intervista somministrata al paziente, pertanto è importante proseguire negli sforzi organizzativi per abbreviare i tempi che intercorrono
fra il momento di prima segnalazione del caso ed il colloquio anamnestico, anche alla luce del ridotto tempo di sopravvivenza che caratterizza
questo tumore. La durata di esposizione varia da meno di un anno ai 79
anni di soggetti con esposizioni ambientali (residenza vicino a siti inquinati). La latenza media è di quasi 50 anni e ribadisce l’importanza di
un’accurata e completa raccolta anamnestica. Le differenze di genere
sono scomparse correggendo per anno di prima esposizione ad amianto
e non si sono riscontrati particolari trend che confermino le ipotesi di una
correlazione inversa fra latenza e dose cumulativa di esposizione (1).
I risultati presentati sono il frutto di una stretta collaborazione che il
RML ha instaurato con il Servizio Sanitario Regionale ed in particolare
con i Servizi ospedalieri e territoriali di Medicina del Lavoro.
BIBLIOGRAFIA
1) Marinaccio A, Binazzi A, Cauzillo G, et al. Analysis of latency time
and its determinants in asbestos related malignant mesothelioma
cases of the Italian register. Eur J Cancer 2007; 2722-2728.
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3) Mensi C, Termine L, Canti Z, et al. Il Registro Mesoteliomi Lombardia, Centro Operativo Regionale (COR) del Registro Nazionale
Mesoteliomi: aspetti organizzativi. Epidemiol Prev 2007; 31 (5):
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4) Nesti M, Adamoli S, Ammirabile F, et al. Linee Guida per la rilevazione e la definizione dei casi di mesotelioma maligno e la trasmissione delle informazioni all’ISPESL da parte dei Centri Operativi
Regionali, Seconda Edizione. Roma: ISPESL 2003.
[http://www.ispesl.it/renam/download/RenamLineeGuida.pdf].
05
LA SORVEGLIANZA SANITARIA DEI LAVORATORI EX ESPOSTI
AD AMIANTO: L’ESPERIENZA DELLA UOOML DELL’AZIENDA
OSPEDALIERA “G. SALVINI”
M.L. Canfora, D. di Carlo, L. Scano, V. Bernabei, G. Tangredi
UOOML - Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro A.O. “G. Salvini” - viale Forlanini n. 121 - 20024 Garbagnate Milanese
Corrispondenza: [email protected]
211
Parole chiave: sorveglianza sanitaria, lavoratori ex esposti ad amianto,
centrale termoelettrica
SANITARY SURVEILLANCE OF EX WORKERS EXPOSED TO
ASBESTOS: THE EXPERIENCE OF “G. SALVINI” HOSPITAL
UOOML
ABSTRACT. Sanitary surveillance of ex workers exposed to
asbestos represents a former institutional obligation as well as a major
public health problem, owing to strong social demand. This work shows
the experience of Garbagnate Milanese UOOML Hospital on a group of
workers assigned to the maintenance of a thermoelectric plant and
exposed to asbestos.
Key words: sanitary surveillance, asbestos workers, thermoelectric
plant
INTRODUZIONE
La Regione Lombardia da oltre un ventennio è impegnata nella prevenzione sanitaria dei rischi legati alla esposizione ad amianto attraverso
l’emanazione di specifici provvedimenti, i più recenti dei quali sono:
l’approvazione del Piano Regionale Amianto nel 2005; l’istituzione
presso le ASL del Registro dei lavoratori ex esposti all’amianto nel 2007,
l’aggiornamento delle “Linee guida per la gestione del rischio amianto”
nel 2008. Il piano della sorveglianza sanitaria dei lavoratori ex esposti
vede impegnati in maniera integrata i servizi delle ASL e delle UOOML.
Alle prime è affidata la ricerca attiva dei casi che, attraverso una dettagliata ricostruzione dell’esposizione, vengono distintiti in classe ad alta
e bassa esposizione. I lavoratori ritenuti esposti, previo consenso, vengono inscritti nel Registro ASL ed indirizzati alla UOOML di riferimento, per l’avvio della sorveglianza sanitaria.
MATERIALI E METODI
Tra le priorità di intervento indicate per l’anno 2008 dalla Regione
Lombardia figurano gli addetti alla manutenzione delle centrali elettriche. Tale priorità è stata recepita dalla ASLMI1 che, al giugno 2009,
ha esaminato 332 richieste di iscrizione nel registro da parte di:149 lavoratori che riferiscono una esposizione professionale presso una centrale termoelettrica nel territorio di sua competenza e 183 soggetti che riferiscono una esposizione in quanto familiari di soggetti professionalmente esposti. Del gruppo dei 149 lavoratori con riferita pregressa esposizione all’amianto, 101 sono stati classificati “ad alta esposizione”. Di
essi 82, in quanto residenti nel territorio della ASL MI1, sono stati contattati dagli operatori della ASL al fine di essere inseriti nel programma
di sorveglianza sanitaria. Ad oggi hanno aderito all’invito 54 lavoratori
ex esposti, i quali sono stati indirizzati alla nostra UOOML. Tutti i soggetti, rientrando nella classe “alta esposizione”, sono stati sottoposti a
visita medica specialistica e ad indagini clinico-strumentali, comprendenti Rx torace (OAD - OAS secondo BIT ’80) (1) e PFR con studio
della diffusione alveolo-capillare dei gas.
RISULTATI
Dei 54 lavoratori ex esposti inviati alla nostra UOOML, sono risultati affetti da patologie asbesto correlate 22 soggetti. Le patologie più frequentemente riscontrate sono le patologie flogistico-degenerative a localizzazione pleurica: placche pleuriche bilaterali (n. 2), ispessimenti pleurici bilaterali (n. 6) e monolaterali (n. 8) con o senza calcificazioni. Nodulazioni polmonari sono state riscontrate in 4 casi. Relativamente alle
patologie neoplastiche asbesto correlate è stato riscontrato un caso di
cancro laringeo (2). Non sono stati osservati casi di mesotelioma maligno
né di tumore polmonare, anche se a codesta UO sono noti ad oggi almeno
6 casi di MM della pleura e 1 caso di neoplasia polmonare in lavoratori
ex dipendenti della centrale termoelettrica in questione. Relativamente
alle prove di funzionalità respiratoria, in un solo soggetto è stata osservata una significativa riduzione della diffusione alveolo capillare dei gas
in assenza di immagini radiologiche di interstiziopatia. Frequente è
inoltre il riscontro di una riduzione dei flussi delle piccole vie aeree, la
quale potrebbe essere ricondotta ad una fibrosi delle pareti indotta dall’inalazione delle polveri di amianto.
DISCUSSIONE
I primi risultati della nostra attività di monitoraggio, mostrano
come nel gruppo in esame, a fronte di una pregressa “alta esposizione”,
non siano stati osservati quadri conclamati di asbestosi polmonare, ti-
212
pica patologia da asbesto dose-dipendente che di norma si realizza a seguito di una significativa esposizione cumulativa a fibre di amianto(3).
Frequente è invece il riscontro di placche e/o ispessimenti pleurici, che
con caratteristiche di bilateralità e calcificazione, sono indicativi di una
pregressa, ma non necessariamente alta, esposizione ad amianto (4). È
possibile che in questa prima fase di osservazione, non essendo stata
operata una ricerca attiva dei casi, ma piuttosto la gestione di un flusso
passivo di richieste provenienti da associazioni di ex esposti, sia sfuggita una quota rilevante di casi di asbestosi e/o neoplasie amianto correlate, per i quali il danno da patologia asbesto correlata è già stato riconosciuto in sede medico-legale. Per valutare correttamente l’andamento nel tempo del rapporto tra esposizione e danno, la sorveglianza
sanitaria va promossa come attività che valuta complessivamente la popolazione lavorativa esposta, indipendentemente dalla facoltà di accesso dei singoli ai programmi sanitari proposti; ciò è possibile recuperando i dati di esposizione e di patologia dell’intero gruppo di lavoratori esposti (ricerca attiva). Ad esito di questa prima fase di attività,
la UOOML intende restituire alla ASLMI1 una dettagliata relazione
circa l’esito degli accertamenti praticati, al fine di verificare in maniera
organica l’efficacia di attuazione del piano, sia in termini di adesione
dei lavoratori, sia in termini di riscontro di effetti sulla salute e relative
possibilità di intervento. È in programma un incontro con l’inero
gruppo degli ex esposti oggetto della sorveglianza, al fine di rendere
loro i risultati anonimi e collettivi delle indagini praticate e di esplicitare le modalità e gli strumenti con i quali si intende seguire il loro stato
di salute nel tempo. Il programma di sorveglianza sanitaria, coerentemente agli indirizzi regionali, prevede l’esecuzione, per i soggetti risultati positivi allo screening iniziale, di una Tc torace di base, integrata
con la tecnica della alta risoluzione per lo studio selettivo dell’interstizio polmonare. La nostra UO sta valutando l’opportunità di integrare
il programma di sorveglianza sanitaria con la determinazione dei biomarcatori sierici precoci (mesotelina ed osteopontina), da qualche anno
proposti in letteratura per una diagnosi preclinica dei mesoteliomi (57). I dubbi sono relativi alla reale utilità di una diagnosi precoce di MM
in termini di allungamento e/o qualità della vita. Studi recenti, inoltre,
mettono in evidenza la bassa specificità del sistema di rilevazione e la
presenza di fattori di confondimento (8, 9). È auspicabile la costituzione di un gruppo multidisciplinare (medici del lavoro, anatomopatologi, oncologi, chirurghi toraci) al fine di garantire percorsi privilegiati
di diagnosi e terapia. Nonostante le prospettive non particolarmente favorevoli sulla reale possibilità e utilità di una diagnosi precoce e le problematiche psicologiche correlate alla paura del rischio (elevato numero di falsi positivi e pleuropatie benigne), la sorveglianza sanitaria
degli ex esposti permette, come unico elemento di certezza, di avviare
percorsi medico-legali per il riconoscimento di patologia professionale
e di promuovere l’adozione di stili di vita sani, in particolare la cessazione della abitudine al fumo.
BIBLIOGRAFIA
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Radiographs of Pneumoconiosis (1980). Revised edition 1980. International Labour Office, Geneva (Occupational Safety and Health
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06
DOSAGGIO DELLA MESOTELINA SERICA IN UNA COORTE
DI LAVORATORI CON PREGRESSA ESPOSIZIONE AD ASBESTO:
CORRELAZIONE TRA MARCATORE E LIVELLI DI ESPOSIZIONE
PROFESSIONALE
L. Michelazzi, A. Cioè, S. Bertamini, M. Cartosio, A. Finidis,
R. Galli, F. Spigno
Sezione di Medicina del Lavoro - DIMEL, Università degli studi di
Genova
Corrispondenza: Dott. Luigi Michelazzi, Sezione di Medicina del Lavoro
- DIMEL, Azienda Ospedale Università San Martino, Largo R. Benzi, 10
- 16132 Genova (Italy), E mail: [email protected]
SMRPS SERUM DOSAGE IN A COHORT OF PAST ASBESTOS
EXPOSED WORKERS: CORRELATION BETWEEN THE MARKER
AND OCCUPATIONAL EXPOSURE LEVELS
ABSTRACT. Our report is aimed to find out whether the test of
soluble mesothelin related proteins (SMRP) in serum of formerly
asbestos exposed workers may be helpful or not to medical-legal
purposes.
We have taken into consideration a cohort of ex asbestos workers
from shipyards, steelworks and docks; cumulative exposure (fibres/
cc/years) has been assessed for each individual by using a standardized
questionnaires and then a mathematical formula, while SMRPs serum levels have been evaluated through ELISA test.
According to cumulative exposure we have classified the cohort
under examination as follows: risk level 3 (<14 ff/cc-years), risk level 2
(14-22 ff/cc-years) and risk level 1 (>22 ff/cc-years). Significant increase
of SMRPs serum levels correlates with high cumulative exposure. Yet, we
couldn’t find a reliable cut-off enabling the extent of past asbestos exposure.
Key words: mesotelina, asbesto, mesotelioma pleurico maligno
INTRODUZIONE
La mesotelina (soluble mesothelin related proteins - SMRP) è una
glicoproteina presente sulle normali cellule mesoteliali (1-2) implicata
nei meccanismi di adesione cellulare, oltre che nel riconoscimento e
nella trasmissione dei segnali intercellulari, (3) e overespressa in varie
neoplasie come il mesotelioma pleurico maligno e il carcinoma ovarico
(2-4). Il nostro lavoro si propone di valutare il possibile impiego dell’SMRP ai fini medico-legali, ricercando un’eventuale correlazione tra i
valori serici del marcatore e la dose cumulativa di fibre stimata per ogni
singolo lavoratore ex-esposto ad amianto.
MATERIALI E METODI
È stato selezionato un gruppo di soggetti sicuramente esposti per
motivi lavorativi a fibre di amianto (ex lavoratori della cantieristica navale e di grandi stabilimenti siderurgici, oltre ad ex operatori portuali addetti al carico e scarico di merci varie, tra cui amianto). L’esposizione è
stata valutata mediante somministrazione di un questionario standardizzato che ha tenuto conto dei dati personali fisiologici, patologici e di
esposizione lavorativa o extralavorativa all’amianto; l’obiettivo era di
suddividere la popolazione oggetto dello studio in diverse classi di rischio a seconda dell’entità della esposizione. Nel passato sono stati proposti diversi metodi per la definizione della pregressa esposizione ad
amianto, in genere con la finalità pratica di fornire schemi per l’attribuzione causale di una specifica malattia all’esposizione occupazionale al
minerale (5-7). Un approccio di tipo quantitativo è stato recepito anche
nel nostro Paese dall’INAIL (8, 9), che ha mutuato il criterio messo a
punto dall’Hauptverbandes der gewerbliche Berufsgenossenschaften, in
particolare attraverso l’impiego della formula utilizzata dall’ente tedesco: C = F x t x g x k dove: F = concentrazione delle fibre aerodisperse
nello specifico ambiente di lavoro; t = tempo di esposizione giornaliera
in ore nello specifico ambiente di lavoro; g = tempo di esposizione annuale in giorni nello specifico ambiente di lavoro; k = 5,21 x 10-4, è una
costante e rappresenta il numero totale delle ore lavorative in un anno (1
/ (8 ore/die x 240 gg/anno) = 1 / 1920 = 5,21 x 10-4). C = rappresenta il
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carico di fibre anno per cm3. Moltiplicando il carico di fibre anno per il
numero di anni di esposizione avremo la dose cumulativa totale espressa
in fibre/cm3 - anni (per es. se un soggetto è stato esposto a 2 fibre/cc/anno
per 25 anni avremo una dose cumulativa pari a 50 fibre/cc/anni). Abbiamo fatto ricorso ai database presenti in letteratura relativi a rilievi ambientali effettuati in situazioni lavorative analoghe, in ambienti di lavoro
simili e in periodi storici confrontabili, tra cui quello dell’INAIL (8, 9) e
quello proposto in Francia dall’INSR (10). La procedura quantitativa è
stata effettuata nei singoli casi applicando la formula ora esplicitata, assegnando a ogni ex lavoratore la corrispondente dose cumulata di
fibre/anni. Il dosaggio del marcatore serico SMRP è stato effettuato tramite il test ELISA. Si è in seguito proceduto a valutare l’eventuale correlazione tra i valori di mesotelina serica e l’esposizione espressa come
dose cumulata.
RISULTATI
Sono stati analizzati 1680 soggetti (1678 maschi e 2 femmine) con
età media 62.2±6.8 anni (range 41-82). Il valore medio di SMRP era
0.55±0.6 nmol/l (range 0-4.45) ed era simile nei due sessi. Una leggera
correlazione è stata osservata fra i valori di SMRP e l’età (r=0.12). I
soggetti in studio erano stati esposti all’asbesto per un periodo medio
di 29.1±7.5 anni, con una media di 40.5±7.8 anni dal momento della
prima esposizione alla data di arruolamento nello studio (tempo di latenza). I soggetti con una latenza >=35 anni presentavano valori di
SMRP maggiori rispetto ai soggetti con minore durata (0.56±0.4 vs
0.48±0.3, p<0.001), ma la differenza non era più significativa se corretta per l’età dei soggetti in studio. Nel totale dei soggetti la dose cumulata media di fibre inalate era di 22.4±24.6 fibre/cc/anni (range 0.5368). Una correlazione tra SMRP e dose cumulativa di fibre inalate è
stata evidenziata anche considerando l’età come fattore confondente
(p=0.003). In base alla distribuzione del numero di fibre calcolate per
ogni singolo ex lavoratore abbiamo suddiviso la popolazione esaminata
in tre classi di esposizione in ordine crescente: classe 3 (<14
fibre/cc/anni), classe 2 (14-22 fibre/cc/anni) e classe 1 (>22
fibre/cc/anni). Sono stati riscontrati valori significativamente più elevati di SMRP (0.58±0.4) per un’esposizione maggiore a 22
fibre/cc/anni rispetto a concentrazioni più basse (0.52±0.4 per <22
fibre/cc/anni, p=0.02). Solo il 55% dei soggetti con esposizione più elevata presentava valori del marcatore maggiori di 0.45 nmol/l, utilizzando quest’ultimo come cut-off in quanto corrispondente al valore
mediano del marcatore nella popolazione in studio.
DISCUSSIONE
Alcuni studi (11-12) hanno evidenziato una maggiore concentrazione di SMRP nel siero di soggetti esposti ad asbesto rispetto ai non
esposti. Recentemente, è stata valutata la possibilità di usare l’SMRP per
determinare l’esposizione ad asbesto in soggetti con pregressa esposizione lavorativa (13). Abbiamo correlato la dose cumulata di fibre di
asbesto inalate con la concentrazione serica di SMRP in una grossa
coorte di lavoratori con differenti livelli di esposizione. Le dosi di
asbesto stimate nel nostro studio erano inferiori rispetto a quelle riportate
da Amati e coll.; in analogia a questi autori, il nostro studio ha evidenziato un aumento dell’SMRP in soggetti con maggiore esposizione. Tuttavia non è stato possibile trovare dei valori di SMRP da utilizzare come
cut-off al fine di quantificare i livelli di esposizione ad asbesto.
BIBLIOGRAFIA
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07
PROGRAMMA DI ASSISTENZA A SOGGETTI CON ESPOSIZIONE
SOSPETTA AD AMIANTO: ESPERIENZE E PROPOSTE DELLA
ASL RME
G. Manzari, M. Mondello Malvestiti, A. Palmeri, A. Pecora, C. Verri,
D. Gamberale
Dipartimento di Prevenzione ASL RME, U.O.C. SPreSAL Via Fornovo
12 - 00192 Roma
Corrispondenza: Giovanna Manzari ASL RME U.O.S. SPreSAL
Distretto 20 Piazza S. Maria della Pietà 5 pad. 15 - 00135 Roma
HEALTH SURVEILLANCE OF WORKERS POSSIBILY EXEXPOSED TO ASBESTOS: THE ASL RME EXPERIENCE AND
PROJECT
ABSTRACT. The ASL RME Department of Prevention has designed
a Programme of health surveillance of asbestos ex-exposed workers
agreed with Department of Epidemiology and Lazio Region.
The Programme included the selection of cohorts of probably ex-exposed workers and the activation of preferential access to information
and clinical trials aim to search early evidence of occupational asbestosrelated disease. It also includes smoke counselling and actions to remove
nicotine addiction. The radiological surveillance of a maintenance men
cohort, probably ex-exposed to asbestos dust, were classified by Breader physicians according to ILO 2000 guide lines in order to assure
the most appropriate and scientific method.
Key words: asbestos health surveillance workers
INTRODUZIONE
I dati del Registro nazionale dei mesoteliomi (ReNaM) evidenziano in Italia un’incidenza di 3,42 casi per 100.000 negli uomini e di
1,09 nelle donne. Nel Lazio le stime d’incidenza prodotte del Centro
214
Operativo Regionale, periodo 2001-2008, evidenziano valori inferiori
alla metà del dato nazionale. Nell’ultimo decennio il numero dei casi
di tumori professionali da amianto riconosciuti dall’INAIL è in costante crescita: sopra i 500 casi l’anno in Italia. Lo studio CAREX
(1990-4) assegnava all’Italia 680.000 esposti ad amianto e i dati
INAIL rilevavano nel 2004 254.703 richieste di benefici previdenziali
di cui alla Legge 257/92 art. 13, per 121.674 dei quali era stata riconosciuta l’esposizione. Risulta tuttavia difficile stimare il numero dei
soggetti che hanno subito una esposizione professionale, che con grossolana approssimazione, riferendo alla Regione Lazio il 10% circa sul
totale nazionale, potrebbe aggirarsi sui 25.000 (12.000-68.000), dei
quali almeno 5000 (20% degli ex esposti) potrebbero aver avuto una
esposizione elevata. Per questi lavoratori con sospetta pregressa esposizione ad amianto è necessario conoscere il grado della esposizione
pregressa, informarli sui diritti previdenziali e sul riconoscimento
delle patologie professionali, farli accedere a programmi di promozione della salute e di presa in carico da parte del SSR per i sintomatici. In molte Regioni si è predisposto un Piano Amianto con un sistema di sorveglianza sanitaria per gli ex esposti (Umbria, Liguria,
Lombardia, Veneto).
MATERIALI E METODI
La messa in opera di un Programma regionale di assistenza sociosanitaria alle persone con esposizione sospetta ad amianto ed ex ha lo
scopo di informare i soggetti con sospetta esposizione sui rischi connessi
all’amianto e sugli accertamenti sanitari da effettuare; promuovere la
cessazione dell’abitudine al fumo e l’identificazione di patologie da pregressa esposizione lavorativa ad amianto, favorirne il riconoscimento
previdenziale. Nell’ambito del Programma regionale, il Servizio PreSAL
della ASL RM E ha contribuito alla individuazione della popolazione sia
dei soggetti esposti o ex esposti o con esposizione sospetta, predisponendo percorsi diagnostici assistiti.
Nel registro regionale degli esposti o ex esposti ad amianto sono
inserite le coorti di lavoratori o ex lavoratori delle ditte con sede legale
nel territorio di questa ASL iscritte nell’“Albo nazionale gestori ambientali” del Ministero della Tutela del Territorio e del Mare, addetti
alla bonifica di amianto friabile (categoria 10 B) ed in via cautelativa
anche quelli addetti alla bonifica di amianto compatto (categoria 10 A)
in quanto fino al giugno 2004 le due categorie non erano distinte.
Inoltre sono stati individuati i lavoratori addetti in passato alla manutenzione degli impianti e delle strutture presso un’Azienda avente sede
in un edificio coibentato con amianto friabile, attualmente adibiti ad
altra attività lavorativa (12 soggetti).
Il Servizio PreSAL ha acquisito la documentazione di concerto con
il Dipartimento di Epidemiologia della ASL Roma E COR Lazio. Gli
scopi del Programma prevedono l’apertura di uno “sportello amianto”
presso il quale è possibile avere informazioni corrette sulla problematica;
i lavoratori saranno assistiti nella individuazione dei percorsi diagnostico-terapeutici dedicati, con possibilità di accedere ad una sorveglianza
sanitaria di I livello finalizzata alla promozione della salute o di II livello
finalizzata alla diagnosi, cura e riconoscimento di “malattia professionale”. L’attivazione dello sportello amianto ha previsto da parte del Servizio Pre.S.A.L. della ASL RM E i seguenti passaggi operativi: 1) stesura
di protocolli condivisi volti a stabilire il grado di esposizione 2) partecipazione a momenti informativi e formativi del personale 3) contatti con
Medici di Medicina Generale 4) contatti con Patronati, Parti sociali per
l’acquisizione e diffusione di materiali informativi 5) ore ambulatoriali
dedicate (Medico di Medicina dei Servizi, infermiera professionale, psicologo) 6) percorsi sanitari di primo e secondo livello con riferimento a
strutture ASL e altre di alta specializzazione 7) definizione delle modalità di pagamento/esenzione delle prestazioni.
RISULTATI
L’Attivazione dello sportello amianto presso il Servizio PreSAL
della ASL RM E è stata preceduta dall’elaborazione condivisa degli
strumenti di lavoro. Per i lavoratori ex addetti a manutenzioni sono
state acquisite e valutate le cartelle sanitarie e di rischio e gli accertamenti radiologici mirati all’individuazione di patologie dell’apparato
respiratorio asbesto-correlate con valutazione degli stessi da parte di
lettori B-reader certificati. È stata avviata l’attività di counselling e terapia antitabagica per gli ex esposti fumatori tramite l’ambulatorio
Fumo aziendale.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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DISCUSSIONE
L’art. 29 comma 4 del D. Lgs 277/91 indica la necessità di sottoporsi
ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell’attività che comporta esposizione ad amianto. L’art. 259 comma 2 del D Lgs 81/2008 ribadisce che il medico competente all’atto della cessazione del rapporto
di lavoro “deve fornire al lavoratore le indicazioni relative alle prescrizioni mediche da osservare ed all’opportunità di sottoporsi a successivi
accertamenti sanitari”. Questi criteri si applicano soltanto ai soggetti
professionalmente esposti. Non esistono le condizioni tecnico-scientifiche per attuare programmi di screening attivi volti ad effettuare una
diagnosi precoce per mesotelioma e tumore polmonare. Riteniamo che
l’attivazione di un percorso di assistenza ad ex-esposti o a sospetti
esposti rappresenti lo strumento più efficace per una corretta informazione e per avviare a percorsi diagnostico-terapeutici assistiti.
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08
EFFETTO ANGIOGENICO INDOTTO DA FIBRE MINERALI
M. Amati1, D. Carbonari1,2, A. Campopiano2, D. Ramires2, E. Strafella1,
S. Staffolani1, M. Tomasetti 1, R. Curini2, L. Santarelli1
1
Dipartimento di Patologia Molecolare e Terapie Innovative, Clinica
Medicina del Lavoro, Universtità Politecnica delle Marche, Ancona
2 Dipartimento di Igiene del Lavoro, Istituto Superiore per la
Prevenzione E la Sicurezza del Lavoro, ISPESL, Roma
Corrispondenza: Dott.ssa Monica Amati, Università Politecnica delle
Marche, Facoltà di Medicina e Chirurgia - Polo Eustachio, Clinica di
Medicina del Lavoro, Via Tronto 10/A, 60020 Torrette Ancona - Italy, tel.
071-2206064, fax 071-2206062, e-mail: [email protected]
ANGIOGENIC EFFECT INDUCED BY MAN-MADE MINERAL
FIBERS
ABSTRACT. Due to the toxic effect of asbestos, other materials with
similar chemical-physical characteristics have been introduced in
substitution of asbestos. We evaluate the angiogenic effect of glass fibers
(GF), ceramic fibers (CF) and wollastonite fibers (WF) in an in vitro
model using blood vessel development assay, Angio-Kit and cultured
endothelial cells in comparison with crocidolite asbestos fibers (AF).
The release of IL-6, sIL-R6, IL-8, VEGF-A and their soluble receptors,
sVEGF-R1, sVEGF-R2, were determined over time in the conditioning
medium of Angio-Kit system after 0.25 and 0.50 cm2/cm2 fiber treatment.
ROS formation and cell viability were evaluated in cultured endothelial
cells (HUVEC). Among fiber tested, WF markedly induce blood vessel
formation which was associated with release of IL-6, sIL-R6, IL-8,
VEGF-A and their soluble receptors. ROS production was observed in
HUVEC cells after WF treatment which was associated with a slight cell
cytotoxicity. To evaluate the involvement of intracellular mechanisms,
EGFR pathways and ROS formation were inhibited by incubating
HUVEC cells with AG1478 and NAC (N-acetylcysteine) respectively, and
the cytokine growth factor release was analysed in the culture medium
after days 3 of fibers incubation. Both fiber-receptor interaction and
intracellular ROS formation were involved in the cytokine release and
angiogenesis induction.
Key words: man-made mineral fibers, angiogenic effect, asbestos fibers
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215
RISULTATI
INTRODUZIONE
I nostri risultati dimostrano che, tra le fibre testate, le WF inducono
L’esposizione alle fibre di asbesto è stata da tempo riconosciuta
una marcata formazione di vasi sanguigni che è stata associata al rilascio
come causa di malattie sia benigne (asbestosi, placche pleuriche) che madi IL-6, sIL-R6, IL-8, VEGF-A e suoi recettori solubili (Fig. 1). Un auligne (carcinoma polmonare, mesotelioma). L’effetto genotossico dell’amento di VEGF-A e dei suoi recettori solubili è stato osservato anche con
sbesto, può essere attribuito a numerosi meccanismi che coinvolgono la
le GF e CF in maniera comparabile alle fibre di crocidolite. Le WF, come
formazione di specie reattive dell’ossigeno e dell’ossido nitrico
le fibre di asbesto, sono in grado di indurre la formazione delle ROS
(ROS/RNS). In seguito all’inalazione delle fibre, le ROS e le RNS posnelle cellule HUVEC e una minima citotossicità. La produzione di IL-6
sono essere generate a livello polmonare mediante la reazione di Fenton
indotta dalle WF veniva significativamente ridotta in presenza di NAC,
catalizzata dalla presenza di ferro presente sulla superficie delle fibre di
mentre i livelli di IL-8, VEGF-A ed i suoi recettori solubili erano ridotti
asbesto e/o dall’infiammazione cronica indotta dalla prolungata attività
quando la via recettoriale veniva inibita (AG1478) (Fig. 2).
fagocitaria dei macrofagi verso le fibre bio-persistenti (1). Pertanto, materiali fibrosi con caratteristiche chimico-fisiche simili all’asbesto, ma riCONCLUSIONI
tenuti meno patogeni, sono stati introdotti ed usati in sostituzione ad
È ben noto che le fibre di asbesto sono causa di trasformazione maesso. Da alcuni anni, numerose fibre minerali artificiali (MMMF) come
ligna e che la lesione preneoplastica e neoplastica, per poter crescere e
la lana di vetro, la lana di roccia, la lana di scorie vengono usate negli
svilupparsi, necessita della neoformazione di vasi sanguigni. Diversi fatisolamenti acustici e termici, e in altri prodotti industriali. Sebbene un eftori pro-angiogenici sono rilasciati dalle cellule tumorali e dalle cellule
fetto citotossico sia stato dimostrato in vitro per alcune di queste fibre
infiammatorie come le cito-chemochine e i fattori di crescita. In questo
(lana di vetro e lana di roccia) (2), non esistono dati riguardanti la loro
studio è stato osservato che, tra le fibre minerali artificiali analizzate, la
capacità di indurre angiogenesi. La dimensione, la forma, la composizione chimica delle fibre e la loro bio-persistenza sono fattori importanti per lo sviluppo tumorale e per l’induzione del rilascio di fattori angiogenici dai macrofagi attivati che stimolano la proliferazione dei
vasi sanguigni (3). È stato osservato che la
forma e la dimensione delle fibre influiscono sulla risposta angiogenica; fibre di
crocidolite corte e particelle di biossido di
titanio e silice sono meno responsive rispetto a fibre di crocidolite o di vetro
lunghe (4). In questo studio ci siamo proposti di valutare l’effetto angiogenico di
fibre di vetro (GF), fibre ceramiche (CF) e
fibre di wollastonite (WF), in un sistema in
vitro costituito da cellule endoteliali coltivate in una matrice di fibroblasti (AngioKit) e su cellule endoteliali isolate
Figura 1. Angiogenesi e rilascio dei fattori angiogenici dopo trattamento con le fibre
(HUVEC), confrontandolo con fibre di
asbesto crocidolite (AF).
MATERIALI E METODI
Le cellule coltivate nel sistema AngioKit sono state trattate con 0.25 e 0.50
cm2/cm2 di AF, GF, CF e WF ed è stata valutata la neoformazione dei vasi sanguigni
ed il rilascio nel medium dei fattori che regolano l’angiogenesi quali IL-6, e il suo recettore solubile (sIL-R6), IL-8, VEGF-A e
i suoi recettori solubili (sVEGF-R1,
sVEGF-R2) ai tempi di 4-7-14 giorni dall’esposizione. Sulle cellule endoteliali
HUVEC è stata testata la capacità delle
fibre (0.25 cm2/cm2) di produrre le ROS e
di indurre un effetto citotossico (vitalità
cellulare). Inoltre, per valutare se la produzione dei mediatori dell’angiogenesi sia regolata dall’interazione della fibra con il recettore di membrana EGFR (epithelial
growth factor receptor) oppure dalla formazione delle ROS, le cellule sono state incubate con un inibitore della via recettoriale
EGFR (AG1478) o con un inibitore della
formazione delle ROS (N-acetylcysteine,
NAC) e, dopo incubazione di 3 gg, i fattori
angiogenici sono stati analizzati nel terreno
di coltura. Le differenze statistiche sono
state valutate con il test di Kruskal-Wallis
per comparazioni multiple e il MannWhitney-U-test per le differenze tra due
gruppi, p<0.05. I dati sono stati analizzati
mediante il software statistico SPSS versione 15 (SPSS Inc, Chicago, IL).
Figura 2. Rilascio dei fattori angiogenici dopo trattamento con le fibre in assenza o presenza
degli inibitori
216
wollastonite era in grado di indurre formazione di vasi sanguigni da cellule endoteliali coltivate in una matrice di fibroblasti utilizzando due vie
di segnale, una che sfrutta le ROS e l’altra che passa attraverso i recettori di membrana. Tale comportamento, che è in parte simile a quello dell’asbesto, pone la wollastonite tra le fibre da studiare ulteriormente.
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09
UN MODELLO DI ASSISTENZA PER LAVORATORI EX-ESPOSTI
AD AMIANTO REALIZZATO DALLA U.O ISLL DELLA USL 8
DI AREZZO
C. Palumbo, D.Sallese, R. Anulli, S. Fani, M. Rossi
U.O. Igiene e salute luoghi di lavoro AUSL 8 Arezzo - Az. USL 8 di
Arezzo v. P. Nenni 20 52100 Arezzo Dipartimento Prevenzione c/o
Ospedale S. Donato
Corrispondenza: Dr. C. Palumbo U.O. ISLL v. P. Nenni 20 52100
Arezzo, Dipartimento Prevenzione c/o Ospedale S. Donato
PROTOCOL OF CARE FOR WORKERS EX EXPOSED TO
ASBESTOS DEVELOPED BY U.O ISLL OF USL 8 - AREZZO
ABSTRACT. A sanitary survey of workers exposed to asbesto in
production sectors (construction and rapairing of train coaches and
industrial prefabrication) has been performed in Azienda - USL 8 Arezzo, according to regional guidelines (“Linee Guida”, published by
Regione Toscana, with regard to workers exposed to occupational
carcinogen). In those sectors the asbestos related morbility/mortality
rates result significantly high.
The workers have been submitted to sanitary survey, by the PISLL
service, and then underwent x-ray and pneumologia examinations, by the
UU.OO of Radiology and Pneumology; they have also been informed
about risks and exposure related patologies, the legal medicine point of
view and counseling about correct life styles.
The study led to the diagnosis of 3 cases of lung cancer, 32 of asbestosis and 6 of pleurical plaques for the industrial prefabrication sector;
2 lung cancer, 23 asbestosis and 47 pleurical plaques for the train coaches workers. It made possible to give precise answers about the informative, welfare, insurance/legal-medicine, wealth promotion and socialethic aspects.
Key words: amianto, sorveglianza sanitaria, counselling
INTRODUZIONE
In linea con gli indirizzi Regionali ed aziendali (“Linee Guida”
emanate dalla Regione Toscana, in merito ai lavoratori ex-esposti a cancerogeni occupazionali)i e su sollecitazione delle organizzazioni sindacali ed associazione di lavoratori ex-esposti, è stata attivata dalla
Azienda - USL 8 di Arezzo una indagine di sorveglianza sanitaria sui lavoratori ex-esposti ad amianto nelle zone di Arezzo e Casentino, in settori e realtà produttive significative per rilevanza territoriale ed entità
dell’esposizione.
In particolare, ad Arezzo l’indagine sanitaria ha interessato i lavoratori di una Ditta di costruzione e riparazione di materiale rotabile e fisso
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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per ferrovie e tranvie in cui l’amianto era utilizzato per la coibentazione
delle carrozze ferroviarie.
La coibentazione era effettuata sia con amianto in forma di pannelli
e fasce (crisotilo) sia con amianto spruzzato con aerografo (crocidolite).
I lavoratori esposti erano principalmente quelli addetti al montaggio e
alla riparazione delle carrozze (coibentatori, falegnami, idraulici, elettricisti, tappezzieri); nello studio sono stati inseriti anche altri lavoratori,
con mansioni diverse, ma che prestavano la loro opera negli stessi reparti
o in reparti attigui.
Nella zona Casentino l’indagine ha interessato inizialmente i lavoratori che afferivano al settore della prefabbricazione industriale coinvolgendo non solo quelli addetti alla produzione delle lastre in cementoamianto (eternit) ma anche gli addetti al montaggio, nei cantieri esterni,
delle stesse per i quali tale rischio risultava pressoché misconosciuto.
Sempre in Casentino, nel 2003, la sorveglianza sanitaria è stata estesa ad
altri settori produttivi, quali una ditta di manutenzione di macchinari ed
impianti per il prefabbricato industriale, una ditta di riparazione di carri
e vagoni ferroviari per il trasporto merci includendo, su richiesta specifica, alcune autofficine meccaniche.
MATERIALE E METODI
La maggior parte dei lavoratori afferiti agli ambulatori era collocata
a riposo da tempo ad eccezione dei montatori dei prefabbricati che sono
ancora in sevizio attivo.
L’organizzazione di questo progetto ha previsto nella prima fase
l’individuazione ed il reclutamento dei soggetti esposti con il coinvolgimento di associazioni di lavoratori ex-esposti, associazioni Datoriali,
Medici di Medicina Generale sotto il cordinamento della Unità Funzionali di Prevenzione Igiene e Salute nei Luoghi di Lavoro (PISLL).
La seconda fase di Sorveglianza Sanitaria, ha previsto la collaborazione di Strutture Specialistiche (Diagnostica per immagine, Broncopneumologia, Comitato Etico) Istituto Superiore Prevenzione Oncologica, Istituto di Medicina del Lavoro dell’Università di Siena ed è stata
condotta secondo il seguente schema: acquisizione di consenso informato, prime informazioni sui corretti stili di vita, compilazione di questionario individuale specifico mirato alla valutazione della pregressa
esposizione lavorativa, visita medica, invio alle stutture specialistiche
per gli accertamenti diagnostici, raccolta complessiva dei dati sanitari,
informazione individuale sui risultati degli accertamenti, relazione per
i Medici di Medicina Generale (MMG), ed eventuali adempimenti di
natura medico-legale e assicurativi. Gli accertamenti diagnostici hanno
compreso l’esecuzione di una spirometria completa con pletismografia
e diffusione alveolo-capillare, RX del torace in proiezione AP e LL e
lettura standard e secondo classificazione ILO-BIT; eventuale approfondimento diagnostico con TC del Torace ad alta risoluzione
(HRCT).
In tutto questo percorso, dall’informazione alla gestione dei risultati,
è stato particolarmente rilevante il rapporto con i MMG non solo per gli
scambi informativi, ma anche per una loro partecipazione attiva al fine di
sorvegliare nel tempo lo stato di salute dei lavoratori da loro assistiti, e
per la partecipazione al programma di counselling.
RISULTATI
Sono stati visitati 197 lavoratori nella zona Aretina e 270 nella zona
Casentino e sono diagnosticate rispettivamente : 2 k polmonare, 23 asbestosi, 47 placche pleuriche e 3 casi di K polmonare, 32 di Asbestosi, e 67
placche pleuriche. Tutte sono state considerate malattie professionali e
sono stato oggetto di denuncia all’Inail per il riconoscimento assicurativo
che è ancora in corso.
I risultati dettagliati sono riportati in altri contributi scientifici.
DISCUSSIONE
Il percorso illustrato ci ha permesso di garantire la “presa in carico a
tutto campo” della totalità dei lavoratori che hanno aderito a questo progetto. Naturalmente l’obiettivo principale era ed è mirato al riscontro diagnostico, al mantenimento di un adeguato Stato di Salute e alla risposta
alle aspettative di questa popolazione lavorativa, rivolte non solo ad una
corretta diagnosi ma anche a un riconoscimento medico-legale ed assicurativo.
La rete che abbiamo attivato ci ha permesso anche di raggiungere e
consolidare un altro obiettivo di non secondaria importanza, siamo riusciti infatti a “mettere la Persona al centro delle cure”.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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Tutti gli operatori sanitari coinvolti nel progetto (Medici, Infermieri,
Assistenti sanitarie) si sono adoperati per la cura della relazione a partire
dall’accoglienza, curando la funzione di ascolto e di interazione con i lavoratori, quale supporto ad individui che vivono con preoccupazione il
fatto di essere stati esposti a tale rischio e le conseguenze che può comportare per la propria vita.
Possiamo quindi affermare(suffragati anche dai risultati dei questionari di “soddisfazione dell’utenza”) di aver stabilito un rapporto di reciproca fiducia tra Servizio pubblico e cittadini/lavoratori che si sono sentiti presi in carico nel loro complesso sia da un punto di vista sanitario
che da un punto di vista umano in assenza di un chiaro riferimento normativo ed istituzionale.
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217
MONITORAGGIO AMBIENTALE E BIOLOGICO
01
ASMA E RINITE DA FARINA DI FRUMENTO. POLIMORFISMI
GENETICI E NUOVI MARKER PER IL MONITORAGGIO
DELL’ESPOSIZIONE
P. Marraccini, L. Cantone1, F.M. Elli2, M. Minini, P. Leghissa3,
G. Mosconi3, N. Di Credico, M. Santini3, C. Bancone3, E. Pedrazzini,
F. Barbic4, M. Previdi
U.O. di Allergologia Ambientale ed Occupazionale - CEMOC. IRCCS
Fondazione Ca’ Granda Policlinico - Via San Barnaba, 8 20122 Milano
1 Center of Molecular and Genetic Epidemiology Department of
Environmental and Occupational Health Fondazione IRCCS Ca’ Granda
Ospedale Maggiore Policlinico and Università degli Studi di Milano
2 Dipartimento di Scienze Mediche, Unità di Endocrinologia e
Diabetologia - Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore
Policlinico e Università degli Studi di Milano
3 Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro - Azienda
Ospedaliera Ospedali Riuniti, Largo Barozzi 1, 24128 Bergamo.
4 Medicina Interna, Ospedale “Bolognini”, Seriate (BG); Servizio
Sanitario Aziendale Milano Ristorazione SPA, Milano
Corrispondenza: Paolo Marraccini - U.O. Allergologia Ambientale e
Occupazionale, Clinica del Lavoro “L. Devoto” Via San Barnaba 8, 20122
Milano, tel. 02.55032692, E-mail [email protected]
BAKER’S ASTHMA AND RHINITIS: GENETIC POLYMORPHISMS
AND NEW MARKERS FOR MONITORING EXPOSURE TO FLOUR
DUST
ABSTRACT. Baker’s asthma is a common occupational disease.
Flour dust is pro-inflammatory, and endotoxin may play a relevant role.
105 bakery workers (31 healthy subjects, 31 atopics and 43 subjects with
occupational asthma) have been submitted to clinical investigation.
FeNO and serum cytokines, such as IL-6, TNF-α and IL-8 were
performed. IL-6 and IL-8 increased both in healthy and atopic subjects
compared to the workers with occupational allergy (respectively p <
0.001 and p < 0.02). FeNO significantly increased in subjects with
occupational asthma and atopic workers (p < 0.007). In addition, a
statistically significant correlation was observed between level of IL-8
and nitric oxide (p < 0.05). Cytokines increase is probably due to a
defense response in atopic and healthy workers, suggesting that they can
be a marker of exposure. FeNO, used as a monitoring parameter of
inflammation, seems to be related to IL-8. Moreover, genetic
polymorphism CD 14 e TLR4 showed a different distribution in the
examined groups. Genotypes CC and TT for CD 14 were more frequent
in occupational patients with lower production of cytokines (p < 0.03),
while a protective role of endotoxin in atopic subjects is suggestive for
the AA genotype in TLR 4.
Key words: Baker’s asthma. Flour dust. Cytokines
INTRODUZIONE
L’asma e la rinite del panificatore sono tra le più comuni forme di allergia respiratoria professionale (1). È noto sperimentalmente che la farina stimola sia la flogosi delle vie aeree sia gioca un ruolo nella risposta
IgE mediata nelle vie aeree (3). Come per altre forme allergiche un ruolo
sembra svolto dalle endotossine (7). È evidente che la capacità di produrre citochine, in particolare IL-6 ed IL-8, è in relazione allo stimolo infiammatorio, mentre differenti genotipi in modelli animali sembrano favorire l’insorgenza della patologia respiratoria (2, 6). Scopo dello studio
è di valutare la risposta infiammatoria alla farina di frumento e le differenze di genotipo nei lavoratori esposti.
MATERIALI E METODI
Sono stati inseriti nello studio 105 lavoratori maschi del settore panificazione, cosi suddivisi: a) 43 affetti da asma/rinite da farine di fru-
218
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
mento; b) 31 lavoratori atopici (affetti da patologia allergica stagionale,
non correlata con l’attività professionale, o sensibilizzati ad allergeni comuni ed asintomatici); c) 31 lavoratori sani, non atopici. L’età media
della popolazione esaminata è di 40.9 ± 10.9 anni e l’anzianità lavorativa
media è di 18.7 ± 12.21 anni. I tre gruppi, omogenei per età, sesso ed anzianità lavorativa, sono stati oggetto di un’analisi clinica che ha previsto
l’esecuzione di test cutanei per i comuni inalanti respiratori, per gli allergeni di uso professionale (farine di frumento, α-amilasi), IgE specifiche, spirometria, test con metacolina e test di provocazione bronchiale
specifico, ove indicato. I lavoratori, nel controllo sanitario periodico,
hanno effettuato una valutazione dell’ossido nitrico nell’espirato
(FeNO), e la determinazione delle citochine IL 6, IL8 e TNF-α. Le misurazioni di FeNO sono state effettuate utilizzando la strumentazione
portatile messa a punto dalla ditta NIOXMINO Aerocrine AB Sweeden.
Il range di normalità è compreso tra 0 e 35 ppb. IL-6, IL- 8 e TNF-α sono
state determinate mediante test ELISA (R&D Systems - USA). Sono stati
effettuati anche prelievi ematici per la determinazione del polimorfismo
TLR-4/+896 G allele e CD14-59, correlati all’espressione dell’infiammazione in soggetti esposti a polveri organiche. In sintesi per l’analisi del
polimorfismo si è provveduto all’estrazione del DNA che è stato amplificato utilizzando una coppia di primers per i due loci contenenti il polimorfismo genetico (TLR4 +896) rs4986790 ed il polimorfismo CD14
gene (-159) rs2569190. Un gel di agarosio 1% è stato utilizzato per valutare la bontà della coppia di primers, scegliendo le condizioni ottimali
per la PCR. Il sequenziamento diretto dei frammenti amplificati mediante BigDye Terminator v3.1 Cycle Sequencing Kit e 310 Genetic
Analyzer Applied Biosystems, Foster City, CA) è stato importante per
poi validare i risultati della successiva analisi dei polimorfismi mediante
Real time-PCR, usando il programma SDS 2.3 (7900 Fast-Applied Biosystem, Foster City, CA). L’analisi statistica è stata condotta mediante
test ANOVA ad una via per le concentrazioni di interleuchine nei tre
gruppi. La frequenza di positività al test del FeNO è stata analizzata mediante test non parametrico del χ2. La correlazione tra valori di FeNO ed
interleuchine è stata valutata mediante ranghi di Spearman. Le differenze
di frequenza per i polimorfismi nei tre gruppi di lavoratori è stata eseguita sia mediante test del χ 2 sia mediante test esatto di Fisher.
RISULTATI
I dati relativi alle citochine, al momento su un campione di 84 lavoratori, hanno evidenziato un incremento di IL-6 ed IL-8, significativamente più elevato negli atopici e nei lavoratori sani rispetto ai lavoratori
affetti da patologia professionale. Il TNF-α è risultato, invece, moderatamente incrementato in tutti i 3 gruppi (Tabella I).
I valori di FeNO sono risultati aumentati (> 35 ppb) nel 75% dei lavoratori affetti da asma bronchiale e rinite da farina di frumento, nel 46%
degli atopici e nell’8% dei lavoratori sani (p < 0.007). Una significativa
correlazione è stata osservata tra FeNO e IL -8 (p < 0.05). I polimorfismi
nei tre gruppi oggetto di indagine hanno evidenziato una differente distribuzione per il marker CD 14 con prevalenza di TT/CT rispetto al polimorfismo CC nei lavoratori con patologia occupazionale rispetto ai sani
e agli atopici (p < 0.0001).
In merito ai polimorfismi del TLR4 AA è predominante nella popolazione generale con l’85%, AG costituisce il 14%, mentre GG costituisce solo l’1%. Il genotipo AA risulta più rappresentato negli atopici
con una minor frequenza di AG rispetto ai lavoratori affetti da patologia
respiratoria professionale (p< 0.03).
DISCUSSIONE
L’incremento di IL-6 ed IL-8 nei soggetti atopici e nei lavoratori sani
rispetto ai lavoratori affetti da patologia professionale fa ipotizzare che
ciò sia dovuto all’azione flogogena delle farine di frumento che attivano
Tabella I. Valori medi ± deviazione standard (pg/ml)
nei tre gruppi di lavoratori esaminati (affetti da patologia
occupazionale, atopici e sani) delle citochine determinate
il sistema immunitario, interessando la risposta Th1 e Th2, entrambe
coinvolte nell’asma (5, 8). L’attivazione delle citochine, interpretabile
come risposta difensiva, suggerisce che possono essere utilizzate come
marker di esposizione. Il monitoraggio del FeNO, di cui è auspicabile
un’applicazione routinaria in medicina del lavoro, sembra ben correlare
con alcuni parametri sierologici e clinici, tra cui, nel nostro studio, l’IL8, implicata nel reclutamento dei neutrofili.
Il comportamento delle interleuchine è stato posto in relazione ai diversi polimorfismi CD14 e TLR4 (6). Per il CD14 sembrano giocare un
ruolo i polimorfismi TT e CT, maggiormente presenti nei lavoratori affetti da patologia professionale, mentre un ruolo protettivo potrebbe essere svolto dal genotipo CC, che si trova con maggiore frequenza nei lavoratori sani. In merito ai recettori per le endotossine, è noto che la variante AG ha una diversa risposta in termini di richiamo di cellule infiammatorie, produzione di interleuchine e responsività bronchiale allo
stimolo con LPS (14). Nel gruppo esaminato tale carattere è presente con
minore frequenza negli atopici, facendo ipotizzare un ruolo protettivo
delle endotossine in esposizioni prolungate a farine di frumento.
BIBLIOGRAFIA
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8) Weiss S, Raby B, Rogers A. Asthma Genetics and Genomics. Cur
Opin Genetics 2009; 19: 279-282.
02
ESPOSIZIONE PUNTUALE IN AMBIENTE MEDICO:
UN DOSIMETRO PERSONALE ALLO STATO SOLIDO
J. Uva1, R. Dario2, A. Galeone1, A. Mundo2, A. Leaci3, V. Di Lecce4
1
SINCON srl Via Lacaita 31, Taranto, 74121, Italy
D.M.P.O
3 Direttore Medico, PO San Paolo, ASL BARI, Via Caposcardicchio,
70100, Bari, Italy
4 Politecnico di Bari, II Facoltà di Ingegneria di Taranto D.I.A.S.S.,
Viale del turismo 8, 74126, Taranto, Italy
2
Corrispondenza: Rita Dario: [email protected]
MEDICAL ENVIRONMENT SPOT EXPOSURE: A SOLIDE STATE
PERSONAL DOSIMETER
ABSTRACT. In hospital, especially within the operating rooms the
presence of pollutants is almost completely regulated; in fact the
operating room security depends on various factors related to both
environmental and specific operational procedures. Generally we may
consider: quantity of gas emission, concentration of anesthetic gas,
operating room dimension, number of air exchange rates per hour and
of course the number of operators being present. In this work a device
for monitoring indoor air quality was tested; Firstly the laboratory test
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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219
results with ethanol (ethyl alcohol) and trichloroethylene (TCE), and
three tests performed directly within the operating room of a hospital in
Bari were taken into account; secondly the air quality inside a hospital
office area was evaluated. The data from all tests clearly demonstrate the
ability of the device to operate properly within the standards of
sensitivity, accuracy and precision since it can detect the
presence/absence of pollutants in a given location.
Key words: Air Quality Index, dosimeter, hospital
INTRODUZIONE
L’esposizione personale alle sostanze aereodisperse in ambienti confinati è caratterizzata complessivamente dall’IAQ (Air Qualità Index)
(D.P.R. 37/87) (4). Il monitoraggio della qualità dell’aria, con particolare
riferimento ai soggetti suscettibili come avviene negli ospedali, è oggetto
di particolare attenzione. I parametri microclimatici e la presenza di inquinanti in una sala operatoria sono regolamentati da specifica normativa
dell’Accordo Stato-Regioni 27 settembre 2001 e D.G.R. Puglia
n.135/2000. Il presente lavoro intende definire una tecnica innovativa per
la valutazione in continuo dell’IAQ indoor secondo indicatori validi sia
per l’utenza che per i lavoratori esposti (2) ottenendo dati utili ai soggetti
responsabili della salute nei luoghi di lavoro, agli organi di verifica ed all’utente. Un dispositivo simile a quello da noi proposto, il naso elettronico, è da tempo utilizzato in campo alimentare (anti frode), industriale
(sminamento) e sanitario (3).
MATERIALI E METODI
Nel presente lavoro si descrivono due tipologie di prove sperimentali: una in laboratorio che consta di due test rispettivamente per l’esposizione all’etanolo ed al tricloroetilene (TCE), effettuati utilizzando un
sistema di diffusione di 2 ml della sostanza, in una stanza chiusa e sistema di ricircolo dell’aria spento. La successiva in tre sale operatorie ed
in un ufficio amministrativo aperto al pubblico, di un Presidio Ospedaliero barese. Nelle prove in Ospedale il dispositivo è sempre stato posizionato come descritto nella Fig. 1; in ogni test è stata compilata una
check-list contenente items quali l’orario dell’evento, l’identificazione
dell’ambiente, gli odori soggettivi percepiti, le possibili emissioni di sostanze note. Le prove in Ospedale sono state effettuate durante una colecistectomia, una lobectomia polmonare e un intervento di chirurgia plastica; sono stati utilizzati Sevorane, Untiva, Propoform, Betadine,
nonché comuni disinfettanti. Il numero di operatori sanitari in ogni ambiente è cambiato in funzione della tipologia di intervento, così come la
durata degli interventi e la conseguente apertura e chiusura delle porte secondarie. Tutte le sale sono dotate di un sistema aeraulico con il condizionamento dell’aria mediante filtri HEPA e di un sistema di monitoraggio fisso per sala dei principali parametri microclimatici e dei gas anestetici. Tali centraline effettuano misurazioni accurate e precise ma caratterizzate da una dinamica lenta e, come noto, da un costo di gestione
elevato, per l’acquisto, per l’esercizio e per la manutenzione periodica.
Abbiamo quindi confrontato il sistema di rilevazione puntuale con quello
già presente nell’Ospedale; un metodo simile a quello da noi proposto è
già stato oggetto di divulgazione scientifica per l’inquinamento outdoor
(2). Il dosimetro personale è un dispositivo di valutazione della qualità
dell’aria indoor costituito da un modulo di acquisizione implementato
con Taguchi Gas Sensor (TGS), da circuiti di condizionamento del segnale e da un data logger che salva i dati campionati in una memoria SD;
l’apparecchio dispone di 8 ingressi analogici e di connessione USB. Il
Figura 1. Posizionamento del dosimetro nella sala operatoria su di un
cavalletto porta-sonde a distanza di 1 mt dalla parete, 1,5 mt dal
pavimento e adiacente la centralina fissa di monitoraggio ambientale
Figura 2. Grafico relativo al sensore TGS2620 durante il test in
laboratorio con TCE
Figura 3. Grafico relativo al sensore TGS2620 per la CO
criterio con cui sono stati scelti i sensori è stato quello di coprire il maggior numero di inquinanti da osservare in ambito ospedaliero: TGS2180
per l’umidità relativa, TGS2620-TGS2602-TGS2629 per monitorare
l’IAQ ed in particolare VOC (TCE, CO, etanolo ecc.) TGS2201 per i gas
esausti, TGS4161per la CO2 e TGS2444 per l’NH3. Il dispositivo ha sensori multipli e dedicati, variabili a seconda delle esigenze di rilevamento,
il tutto caratterizzato da economicità, praticità, convenienza, dati continui in tempo reale con un buon grado di affidabilità e sensibilità.
RISULTATI
Nella Fig. 2 è riportato il grafico corrispondente alla prova con TCE
in laboratorio: è ben evidente l’inizio della rilevazione esattamente corrispondente all’evaporazione del solvente e la fine con la pulizia della
stanza, l’accensione dei ventilatori e l’apertura delle finestre.
Nelle prove in Ospedale si è osservato come ad ogni variazione dell’emissione in aria di sostanze e/o del tipo di attività svolta è stata prontamente rilevata, come riportato nella Fig. 3 per la presenza di monossido
di carbonio generato dall’uso dell’elettrobisturi per una mastectomia.
Nella prova condotta in un ufficio direzionale dell’ Ospedale, i dati mostrano un andamento crescente della curva relativa alla concentrazione di
CO2 così come correlato all’aumento del numero di persone presenti che
da 2 è passato a 5. I nostri dati si mostrano concordare con quelli derivati
dalle centraline di monitoraggio: la caratterizzazione delle sale operatorie per il tipo di attività dedicato e per le caratteristiche microclimatiche
è quasi del tutto sovrapponibile. Per ciò che concerne la sensazione soggettiva e la risposta dei sensori al rischio olfattivo c’è stata assoluta rispondenza temporale e fisica nell’esposizione (es. odore di disinfettante
ambientale e percezione maleodorante da cauterizzazione della cute).
DISCUSSIONE
L’uso sperimentale di tecniche di monitoraggio di inquinanti tipici di
ambienti medicali mediante il dispositivo portatile personale si è mostrato efficace e sensibile a determinate sostanze aereodisperse (5, 8). Ci
proponiamo di applicare in futuro il dispositivo in attività routinarie quali
nelle sale diagnostiche (es. endoscopie) e di terapia (es. medicazioni). Il
nostro naso è già stato testato, in diverso allestimento, per il rilevamento
della presenza o assenza di inquinanti in un determinato ambiente
esterno (6, 7). Si ribadisce la differenza dalle tecniche tradizionali perché
il monitoraggio dinamico della qualità dell’aria indoor riferito a brevi periodi di misura fornisce informazioni indicative real time relative all’e-
220
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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sposizione agli inquinanti delle persone presenti nell’ambiente durante
l’attività. Si ipotizza anche una segnalazione di allarme in seguito al superamento di determinati limiti soglia degli inquinanti al fine di rendere
consapevoli gli operatori e consentire azioni correttive da parte della direzione sanitaria dell’Ospedale.
herbicide, the total TBA applied during the season, and the age of the
farmers. In conclusion, these results suggest that the measurement of TBA
in hair can be used as an index of cumulative exposure.
Key words: Terbutylazine, hair, biological monitoring, agricolture
exposure
BIBLIOGRAFIA
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Bari, Med Lav 2009; 100, 6: 426-437.
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Conference IOHA 2010, Roma, Italy, September 28/October 02,
2010.
8) R. Dario, A. Mundo, A. Leaci, V. Di Lecce, J. Uva, G. Bianco, Medical Environment Spot Exposure: a Solid State Personal Dosimeter,
accepted 2010 IEEE Workshop on Environmental, Energy, and
Structural Monitoring Systems Taranto, Italy, 9 September 2010
consultabile www.aeflab.net
INTRODUZIONE
La terbutilazina (TBA) è un erbicida largamente utilizzato nella coltivazione del mais, che è la principale coltura del nord Italia (238 mila ettari coltivati solo in Lombardia) (1). Questo erbicida è dotato di grande
persistenza, sia nel suolo, dove ha un tempo di dimezzamento t1/2 di 55.5
giorni, che nelle acque, t1/2 maggiore di un anno (2). Gli agricoltori presentano particolari condizioni d’esposizione: applicazioni intermittenti,
differenti vie espositive (dermica, inalatoria), uso di dispositivi di sicurezza sporadico e/o non sempre appropriato, dipendenza dell’esposizione
dai fattori atmosferici, dalla tipologia della coltura e dalle tecnologie applicative. Anche la popolazione residente nelle campagne è potenzialmente esposta, data la vicinanza alle colture. La valutazione dell’esposizione a pesticidi utilizzando le tradizionali tecniche di monitoraggio
della concentrazione aerodispersa è poco significativa, data l’importanza
dell’esposizione dermica in agricoltura. Anche il monitoraggio biologico
può fornire dati poco rappresentativi, in quanto la determinazione degli
indicatori biologici (spesso metaboliti dei pesticidi) viene generalmente
effettuata su campioni estemporanei raccolti al termine di una singola applicazione e non tiene perciò conto dell’intera stagione di utilizzo (3).
Il capello è una matrice biologica correntemente impiegata per la determinazione delle droghe d’abuso. Il capello cresce alla velocità di circa
1 cm/mese e tende ad incorporare sostanze lipofile non ionizzate, con
particolare affinità per quelle a carattere basico (ad esempio la cocaina)
(4). Anche se il meccanismo con cui questa incorporazione avviene non è
completamente noto, un ruolo di rilievo è giocato dalla scambio tra il
sangue e le cellule del capello immature presenti nel follicolo, prima che
si completi il processo che porta alla loro cheratinizzazione (5). Dato il
carattere basico della TBA è stato ipotizzato che questa sostanza potesse
accumularsi nel capello, e che questo potesse perciò rappresentare una
matrice ideale per il monitoraggio dell’esposizione cumulativa.
03
DETERMINAZIONE DELL’ERBICIDA TERBUTILAZINA NEI CAPELLI
COME INDICATORE DI ESPOSIZIONE CUMULATIVA
E. Polledri, R. Mercadante, P.A. Bertazzi, S. Fustinoni
Dipartimento di Medicina Lavoro, Università degli Studi e Dipartimento
di Medicina Preventiva, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale
Maggiore Policlinico, Via S. Barnaba, 8, 20122 Milano
Corrispondenza: Silvia Fustinoni - Via S. Barnaba, 8 - 20122 Milano,
Italy - e-mail: [email protected] - phone: +39 02 503 20116 - fax: +
39 02 503 20111
DETERMINATION OF THE HERBICIDE TERBUTHYLAZINE IN
THE HAIR AS AN INDICATOR OF CUMULATIVE EXPOSURE
ABSTRACT. Terbuthylazine (TBA) is a herbicide widely used in corn
cultivation, one of northern Italy’s major crop. Farmers and residents of
rural area are potentially exposed to this herbicide. Aim of this work was
to evaluate human exposure to TBA using hair as a biological matrix. An
assay based on solvent extraction and liquid chromatography triple
quadrupole mass spectrometry was developed. Hair samples (~3 cm
length) from corn farmers (10 subjects), rural residents (9 subjects), and
urban residents (6 subjects) were obtained from the occipital region of the
head, close to the root, at the end of the application season. TBA was
quantify in all farmers (median 0.67 ng/mg hair), in 75% of rural
residents (median 0.01 ng/mg hair) and in none of the urban residents (all
below 0.01 ng/mg hair). A multiple linear regression model correlated
positively and significantly hair TBA with the manual application of the
MATERIALI E METODI
Soggetti indagati
Sono stati indagati 25 soggetti divisi in tre gruppi: 10 agricoltori
lombardi esposti a TBA durante il diserbo del mais, 9 soggetti residenti
in area rurale, circondata da coltivi di mais, e 6 soggetti residenti nell’area urbana di Milano. Al termine della stagione applicativa, a ciascun
soggetto è stata tagliata una ciocca di capelli adiacente alla radice, nella
zona occipitale della testa; i primi 3 cm sono stati analizzati per la determinazione di TBA. Ad ogni soggetto è stato somministrato un questionario per raccogliere informazioni personali e, per gli agricoltori, dati
sull’impiego di TBA.
Metodo analitico
La determinazione della TBA è stata effettuata su un campione di 50
mg di capelli, che sono stati estratti con metanolo e analizzati in cromatografia liquida con rivelatore di massa a triplo quadrupolo, in presenza
di TBA d5 come standard interno deuterato. Il metodo ha una precisione,
valutata come coefficiente di variazione percentuale, inferiore al 10%,
una accuratezza compresa tra 91 e 107% e un limite di quantificazione
(LOQ) di 0.01 ng/mg capello.
Analisi statistica
La analisi statistica è stata effettuate utilizzando il programma SPSS
15.0 per Windows (SPSS Inc., Chicago, Il, U.S.A). I dati sono stati trasformati in logaritmi per assicurare una distribuzione normale e poter
analizzare le correlazioni. Ai valori inferiori al LOD è stato assegnato un
valore pari alla metà dello stesso. Per testare le associazioni tra le variabili sono state utilizzate le correlazioni di Pearson. Considerando i soli
agricoltori, è stata effettuata una analisi di regressione lineare multipla,
dove la concentrazione di TBA nei capelli è stata considerata quale variabile dipendente e la quantità di TBA utilizzata nella stagione, la tipologia di carico del pesticida nel serbatoio (manuale o automatico), l’età
del soggetto e l’utilizzo di mezzi di protezione individuale come variabili indipendenti. È stato considerato significativo un valore di p<0.05.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
RISULTATI
La TBA è risultata quantificabile in tutti i campioni di capelli provenienti degli agricoltori, nel 75% dei soggetti residenti in area rurale e in
nessuno dei soggetti residenti in area urbana (p<0.001). La TBA mediana
è risultata 0.61 (da 0.07 a 4.60) ng/mg capello per gli agricoltori, 0.01 (da
<0.01 a 0.04) ng/mg capello per i residenti rurali, e sempre <0.01 ng/mg
capello per i residenti urbani con una concentrazione maggiore negli
agricoltori rispetto agli altri due gruppi (p<0.001).
Considerando gli agricoltori, è stata effettuata una analisi di regressione multipla. Ponendo la TBA nei capelli come variabile dipendente e
la quantità di TBA utilizzata nella stagione, la tipologia di preparazione
e caricamento del pesticida, e l’età come variabili indipendenti, il modello ottenuto è risultato significativo (R2 0.851, p 0.007); la TBA è positivamente associata a queste variabili, ma non è influenzata dell’uso dei
mezzi di protezione individuale.
DISCUSSIONE
I risultati ottenuti suggeriscono che la determinazione della TBA nel
capello possa essere impiegata per il monitoraggio biologico dell’esposizione cumulativa a TBA. La presenza di TBA nei soggetti residenti in
area agricola conferma la mobilità e la elevata persistenza ambientale di
questo erbicida.
BIBLIOGRAFIA
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04
VALUTAZIONE DELL’ESPOSIZIONE A CANCEROGENI NEGLI
ADDETTI ALLA LAVORAZIONE DI LEGHE BASSOFONDENTI
N. Scifo, G. Longo, A. Marconi, B. Puglisi, L. Proietti
Università degli Studi di Catania - Dip.to di Medicina Interna e
Patologie Sistemiche, Sezione Medicina del Lavoro
Corrispondenza: Dott. Andrea Marconi - email: [email protected]
tel: 3356666281
EVALUATION OF OCCUPATIONAL EXPOSURE TO CARCINOGENIC SUBSTANCES IN WORKERS OF LOW MELTING POINT
ALLOYS
ABSTRACT. The objective in our study was to evaluate the
occupational exposition to lead and cadmium in 32 radiology
technicians in an eastern Sicily hospital in workers of low melting point
alloy of lead, tin, cadmium and bismuth (league that can be melted at
73°C as CERROBEND). The parameters taken into consideration for
this study were sex, age and smoking habits. Cadmium is a substance
considered by IARC to be cancerous and can be found in both work and
living environments, therefore it is often difficult to establish rather its
presence in the organism is due to working activities and/or the living
environment. In these cases it is necessary to evaluate whether the work
represents an added risk to develop neoplasia, compared to the
consequences due to normal environmental exposure. We performed a
biological monitoring for lead and cadmium on the workers examined.
The results show that in no case the levels of lead in the bloodstream
(PbB) were above the reference value and BEI. The levels of cadmium
urine (CdU) weren’t above the reference level and the BEI, while the
haematic levels of cadmium (CdB) were higher than the reference value
221
in 8 subjects, each long time smokers, each of about 20 cigarettes a day.
This data shows how, in the evaluation of exposition to cadmium, aside
from the exam of data pertaining to work, the study of ways of absorption
and the interpretation of the results of environmental and biological
monitoring, it is important to consider the possibility of intoxication
outside of the workplace.
Key words: Cadmium, Low melting point alloy, Cigarette smoke
INTRODUZIONE
Nell’attività di radioterapia oncologica, per evitare danni ai tessuti
sani, vengono utilizzate delle schermature che sono generalmente realizzate o con il Multileaf Collimator (MLC), sistema formato da 26 coppie
di lamelle di tungsteno presenti nella testata del CLINAC, o con schermi
sagomati costituiti da lega bassofondente che, personalizzati, seguono sia
la forma dell’area da schermare che la “divergenza” del fascio. Per la
produzione di questi schermi, presso i laboratori di Radioterapia delle
Aziende Ospedaliere, viene svolta dai Tecnici di Radiologia un’attività di
fusione di leghe bassofondenti contenenti Cadmio, Piombo, Stagno e Bismuto. Tale procedimento viene svolto utilizzando i dispositivi di protezione collettiva.
Si definiscono “ bassofondenti “ quelle leghe che fondono a temperature inferiori ai 150° C. Esiste un enorme numero di leghe composte da metalli aventi questa caratteristica del basso punto di fusione.
Conosciute da tempi antichi come leghe di Lipowiz, di Wood ed altri,
sono oggi sostituite da leghe aventi composizioni leggermente differenti al fine di migliorare ulteriormente le loro caratteristiche. Il
campo di applicazione è tra i più eterogenei: realizzazione di schermi
protettivi per la radioterapia, riproduzione di modelli, misurazione del
calibro di canna, colate di prova, matrici e stampi, saldature a basse
temperature (1-3).
Obiettivo del nostro studio è stato quello di valutare l’esposizione
professionale a Piombo e Cadmio in tecnici di Radiologia addetti alla lavorazione di lega a bassofondente di Piombo, Stagno, Cadmio e Bismuto
(Lega fusibile 73° tipo CERROBEND). Tale lega contenente 26.7% Pb,
13.3% Sn, 10% Cd, 50% Bi, è utilizzata per la fabbricazione di manufatti
per la protezione personalizzata dei pazienti oncologici sottoposti a trattamento con alte energie. Nella forma in cui la sostanza è fornita (massiva) non esistono pericoli se non per assorbimento attraverso l’apparato
digerente (difficile) o percutaneo (minimo), possibile in caso di lesioni
cutanee. Nel caso in cui la lega sia sottoposta a processi termici o meccanici si formano fumi o polveri che possono essere assorbiti soprattutto
per via inalatoria.
POPOLAZIONE STUDIATA E METODI
Il nostro studio ha interessato 32 Tecnici di Radiologia addetti alla
fabbricazione di manufatti per la protezione personalizzata dei pazienti
sottoposti a trattamento con alte energie. Abbiamo preso in considerazione il sesso, l’età e l’abitudine al fumo (Tabella I).
Nel ciclo lavorativo dei soggetti presi in esame nel nostro studio si
formano fumi contenenti Piombo, Stagno, Bismuto e Cadmio. La IARC
ha classificato il Cadmio come cancerogeno certo per l’uomo (gruppo I)
quindi la possibilità di un’esposizione a tale sostanza ha reso necessaria
la valutazione del rischio cancerogeno: individuazione degli esposti e
delle vie di esposizione; misura dell’esposizione; confronto con il Valore Limite (VL) qualora presente; confronto con i Valori di Riferimento
(VR). Il Cd è tra le sostanze cancerogene presenti ubiquitariamente
negli ambienti di vita e di lavoro, quindi è spesso difficile stabilire se la
Tabella I. Caratteristiche della popolazione studiata
222
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Tabella II. Cadmio: Classificazione ACGHI e Valore Limite
negli Ambienti di vita
sua presenza nell’organismo sia dovuta all’attività lavorativa e/o all’ambiente di vita e se quindi il lavoro comporti o meno un rischio aggiuntivo di sviluppare una neoplasia. Il rischio aggiuntivo addebitabile
al lavoro viene valutato confrontando le concentrazioni di tossico presenti negli ambienti di vita (Valore di Riferimento Ambientale - VRA)
con quelle di tossico e/o metabolita presenti negli ambienti di lavoro, e
confrontando i reperti biologici della popolazione non professionalmente esposta (Valore di Riferimento Biologico VRB) con quelli degli
esposti. Nei casi in cui non siano noti né il VRA né il VRB, si fa ricorso
a stime effettuate misurando la concentrazione di cancerogeno/mutageno aerodisperso in diversi ambienti di vita e/o misurando la concentrazione del tossico o dei suoi metaboliti nei liquidi biologici di un campione di popolazione generale non professionalmente esposta. Per la Valutazione del Rischio, si può parlare di esposizione lavorativa alla sostanza cancerogena presa in esame se le concentrazioni riscontrate nell’ambiente di lavoro e nei liquidi biologici degli addetti differiscono significativamente dai VRA e VRB.
Nei sopracitati lavoratori abbiamo effettuato il monitoraggio biologico del Piombo e del Cadmio. A differenza del Pb e di alcuni altri agenti
chimici e fisici, la Legislazione Italiana non ha ancora emanato delle direttive in relazione all’esposizione professionale a Cd quindi è d’obbligo
far riferimento alle tabelle degli Igienisti Americani sia per l’esposizione
ambientale (TLVs) sia per il monitoraggio biologico (BEI) (Tab. II).
Il monitoraggio biologico è stato effettuato mediante il dosaggio del
Piombo e del Cadmio nel sangue totale (PbB e CdB) e del Cd nelle urine
(CdU). La valutazione statistica dei dati è stata effettuata mediante il test
del Chi-quadrato per testare la correlazione tra fumo e valori di Cadmio
categorizzati inferiori o superiori al Valore Limite. Ugualmente le medie
dei 2 gruppi sono state confrontate col test di Wilcoxon per 2 campioni
indipendenti.
RISULTATI
Il monitoraggio biologico ha asserito che in nessun caso i valori del
PbB hanno superato il VR ed il BEI. I valori del CdU non hanno superato il VR ed il BEI, mentre i valori del CdB sono risultati superiori al
VR per 8 soggetti tutti fumatori da parecchi anni di circa 20 sigarette/die.
Questa associazione era statisticamente significativa (p<0.001); in particolare, la media di Cadmio nel gruppo dei fumatori era uguale a 4.2
mentre era solamente pari a 2.0 nel gruppo dei non fumatori (p<0.001).
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
I risultati ottenuti dal nostro studio evidenziano come, nella valutazione dell’esposizione a Cadmio, oltre all’esame dei dati relativi all’attività lavorativa, allo studio delle vie di assorbimento, all’interpretazione
dei risultati del monitoraggio ambientale e biologico, sia altresì importante la valutazione del possibile inquinamento extraprofessionale. Quest’ultimo può essere evidenziato attraverso un’attenta anamnesi volta ad
evidenziare l’abitudine al fumo, l’utilizzo di preparati erboristici, la residenza in zone industriali/artigiane dedite alla metallurgia del Cd. I nostri
dati confermano quanto già dimostrato da studi di altri Autori i quali
hanno riscontrato nei fumatori valori di Cadmio sensibilmente più elevati
rispetto a quelli riscontrati nella popolazione generale (4, 5). Il fumo di
sigaretta si conferma quindi una delle maggiori fonti non professionali di
Cadmio inalato.
BIBLIOGRAFIA
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review. Med Dosim. 1991 Mar; 16 (1): 13-8.
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(Lipowitz’s metal) for use in radiotherapy. Radiol Med. 1991 Nov;
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Br J Ind Med. 1990 Jul; 47 (7): 442-7.
05
OSSERVAZIONI SU DATI CLINICO-DIAGNOSTICI
IN UNA POPOLAZIONE DI OPERAI DEL SETTORE
LAPIDEO DELLA ZONA APUO-VERSILIESE
L.P. Bellucci1, A. Mignani, F. Bacciola, S. Simonini, A. Bonotti,
R. Foddis, A. Baggiani, A. Cristaudo
1
Medico Competente
U.O. Medicina Preventiva del Lavoro, Azienda OspedalieroUniversitaria Pisana/Scuola di Specializzazione di Medicina del Lavoro,
Università di Pisa
Corrispondenza: Bellucci Pier Luigi, Via V. Veneto 34, Forte dei Marmi
(LU) - Tel. 348/3825067 - e-mail: [email protected]
ANALYSIS OF CLINICAL AND DIAGNOSTIC DATA IN A GROUP
OF MARBLE WORKERS FROM THE APUAN-VERSILIAN AREA
ABSTRACT. This study analysed clinical and diagnostic data
obtained from 793 people employed in some “second phase of
marbleworking” setting in the Apuan-Versilian area, who underwent a
preventive medical program during the period from January 2005 to June
2010. According to medical literature, most analyzed parameters such as
the results of some clinical exams, kind of job-tasks, duration of exposure
and specific occupational risks exposure were found to be significantly
associations. On the contrary, although noise is a main and traditional risk
for the marble-working sector, the prevalence of noise-induced audiometric
alterations within the population under investigation was lower than what
reported in medical literature. In conclusion, we demonstrated the efficacy
of preventive strategies in the studied population.
Key word: healthy surveillance, risk factor, headstone
INTRODUZIONE
Le attività lavorative del settore lapideo comprendono due principali
settori che presentano caratteristiche ben distinte: l’attività estrattiva primaria e il ciclo produttivo al piano, cosiddetta “seconda lavorazione dei
lapidei”. Il ciclo produttivo al piano è caratterizzato dai numerosi trasferimenti che i materiali lapidei subiscono dal momento dell’arrivo in
azienda, direttamente dalla cava estrattrice, fino alla spedizione del prodotto finito alla clientela. La lavorazione al piano è caratterizzata da due
tipi principali di lavorazioni: lavorazione dei blocchi (squadratura e segagione) e lavorazione delle lastre che consiste in trattamenti superficiali
di raffilatura, resinatura, stuccatura, levigatura-lucidatura, taglio, fresatura, rifinitura (1-2). Data l’omogeneità dei cicli lavorativi, dall’analisi
della letteratura scientifica a riguardo e dei documenti di valutazione del
rischio delle singole aziende in studio è emersa l’esposizione professionale dei lavoratori addetti alla seconda lavorazione del marmo ai seguenti fattori di rischio: rumore, vibrazioni al sistema mano-braccio e
corpo intero, frazioni inalabili e respirabili di polveri (carbonato di
calcio, quarzi con varie percentuali di biossido di silicio presenti nelle lavorazioni di graniti e pietre), microclima, rischio chimico (resine,
stucchi, solventi, prodotti per la lucidatura), movimentazione manuale
dei carichi. Scopo dello studio è stato quello di valutare un’eventuale
correlazione tra i dati anamnestici, clinici, strumentali e specialistici raccolti nel corso della sorveglianza sanitaria di un medico competente con
gli specifici fattori di rischio al fine di ricavare dati statistico-epidemio-
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logico da cui si potrebbe dedurre la necessità di una eventuale predisposizione di misure preventive più efficaci.
MATERIALI E METODI
Nel periodo compreso tra gennaio 2005 e giugno 2010, sono stati sottoposti ad un programma di sorveglianza sanitaria sulla base dei rischi specifici valutati nella “seconda lavorazione lapidea” 793 operai del settore lapideo dell’area geografica zona Apuo-Versiliese. Tali lavoratori erano impiegati nelle mansioni rappresentate in figura 1. Nella denominazione
“Altri” sono incluse le seguenti mansioni: masticiatori, carrellisti, addetti al
controllo qualità, addetti a macchine CNC, armatori, fiammatori, gruisti,
imbragatori e molatori. Il protocollo sanitario, differenziato sulla base delle
mansioni specifiche e attualmente in uso prevede: a) Visita medica preventiva e periodica con raccolta dei dati anamnestici, esame obiettivo e somministrazione di questionari sulla base del rischio: CECA semplificato, audiologico, angioneurosi. b) Esami strumentali: spirometria basale, audiometria tonale. Per la valutazione e la classificazione dei tracciati audiometrici è stato utilizzato il metodo Merluzzi. c) Per i lavoratori esposti a rischio
chimico ed in particolare a solventi organici: esami ematochimici e Indicatori Biologici di Esposizione (IBE) in ragione dei solventi a cui erano
esposti. d) Accertamenti strumentali integrativi nei casi in cui si rendevano
necessari approfondimenti: radiografia rachide lombo/sacrale, TC/RM rachide, radiografia torace, fotopletismografia, velocità di conduzione sensitiva e motoria. Per quanto concerne il rischio rumore, per uniformare i dati
tra i vari anni presi in esame, sono state considerate le classi di esposizione
relative alla normativa precedente al D.Lgs 195/06. L’età media dei lavoratori è risultata di 41.4 ± 10.8 anni, con una mediana di 42.5. La media dell’anzianità lavorativa è di 12,16 ± 7,9 anni, con mediana 11.
RISULTATI
I principali fattori di rischio ai quali sono esposti i lavoratori del nostro studio sono riportati nella tabella I.
La distribuzione sintetica dei risultati degli esami effettuati e dei
questionari somministrati è riportata nella tabella II. In tabella III è riportata la distribuzione dei lavoratori per classi di esposizione a rumore
e per tipologia di danno uditivo.
Figura 1. Distribuzione dei lavoratori per mansione
Tabella I e II Distribuzione dei fattori di rischio
e degli accertamenti clinici e strumentali
223
Correlazioni statisticamente significative sono state rilevate fra le alterazioni riscontrate all’esame obiettivo del polmone ed il questionario
CECA (p<0.0001), e i deficit emersi dalle prove spirometriche
(p=0.015), e fra il questionario CECA e le alterazioni spirometriche
(p<0.0001). Non emerge correlazione tra l’esposizione a polveri e le alterazioni spirometriche (p=0,391). Una correlazione statisticamente significativa (p=0.001) è stata trovata inoltre fra il questionario dell’udito
e le tre classi di esposizione al rumore (<80 db(A), fra 80 e 85 db(A) e
fra 85 e 90 db(A)), fra l’anzianità lavorativa e le ipoacusie rilevate con
l’audiometria (p<0.0001), e con la spirometria (p=0.002). In ultimo
esiste anche una correlazione statisticamente significativa tra anzianità
lavorativa e le alterazioni all’esame obiettivo del rachide (p=0.046).
DISCUSSIONE
Dall’analisi dei dati della popolazione esaminata, con i limiti legati
alla tipologia di raccolta dei dati finalizzata alla sorveglianza sanitaria piuttosto che all’indagine epidemiologica, emerge che l’esposizione ai rischi
dei lavoratori impiegati nella seconda lavorazione del marmo corrisponde
a quanto già descritto in letteratura. Le correlazioni statistiche significative
tra le alterazioni riscontrate all’esame obiettivo del polmone e le alterazioni
della spirometria e del questionario CECA e tra quest’ultimo e la spirometria confermano che la sorveglianza sanitaria è stata condotta in modo adeguato. Come si poteva presumere è emersa anche una correlazione statisticamente significativa tra l’anzianità lavorativa e le alterazioni audiometriche e spirometriche, nonché alterazioni all’esame obiettivo del rachide.
Per quanto concerne i risultati degli accertamenti integrativi alla visita merita sottolineare come non siano emersi particolari problemi a carico dei
vari distretti indagati, tranne che per l’apparato uditivo, dove si è riscontrata la maggioranza di audiometrie alterate. Pur essendo l’esposizione a
rumore uno dei principali fattori di rischio dei lavoratori del settore, le alterazioni audiometriche con caratteristiche di ipoacusia da rumore sono risultate in percentuale inferiori ai dati presenti in letteratura (4-5). Si può
quindi concludere che nella popolazione esaminata le misure di prevenzione adottate sono risultate efficaci nel ridurre le patologie legate all’esposizione ai rischi lavorativi, presumibilmente per la capacità di adeguamento alle normative vigenti da parte delle aziende del settore, che nella
zona Apuo-versiliese, essendo le lavorazioni concentrate in un unico bacino produttivo, hanno adottato uno schema di sviluppo più omogeneo, caratterizzato da operazioni di dimensioni confrontabili e da scelte tecniche
praticamente coincidenti per quanto riguarda il metodo di lavorazione, le
attrezzature impiegate e il modello organizzativo.
BIBLIOGRAFIA
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Modena 1987.
2) Sartorelli E, Franzinelli A “Lavorazione dei materiali lapidei: rischi,
patologie e prevenzione”. Atti Conv. Naz., Rapolano 1990.
3) Harger MR “Effects on hearing due to the occupational noise exposure of marble industry workers in the Federal District, Brazil” Rev
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Braz J Otorhinolaryngol. 2009 May-Jun; 75 (3): 328-34.
06
VALIDITÀ DEI BIOMARCATORI DI ESPOSIZIONE A BENZENE
NEL MONITORAGGIO BIOLOGICO DELL’ESPOSIZIONE A BASSI
LIVELLI AMBIENTALI
Tabella III. Distribuzione dei lavoratori per classi di esposizione a
rumore e per danno uditivo
G. Satta1, P. Cocco1, L. Campo2, S. Fustinoni2, S. Atzeri1, G. Avataneo1,
M. Campagna1, A. Ibba1, M. Meloni1, M.G. Tocco1, C. Flore1
1 Università di Cagliari, Dipartimento di Sanità Pubblica - Sezione di
Medicina del Lavoro, Asse didattico della Facoltà di Medicina, SS 554
km 4.5 09042 Monserrato.8cagliari)
2 Dipartimento di Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Milano
e Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Via S.
Barnaba 8 - 20122 Milano
224
Corrispondenza: Pierluigi Cocco, Università di Cagliari, Dipartimento di
Sanità Pubblica - Sezione di Medicina del Lavoro, Asse didattico della
Facoltà di Medicina, SS 554 km 4.500, 09042 Monserrato (Cagliari). Tel.
+39 070 6754438, fax: +39 070 6754728; e-mail: [email protected]
RIASSUNTO. Introduzione. Il monitoraggio biologico dell’esposizione ambientale a benzene è giustificato dalla dimostrazione di effetti
ematologici anche a bassi livelli di esposizione. Un aspetto critico è, tuttavia, rappresentato dalla misura in cui i biomarcatori di esposizione attualmente disponibili riflettano effettivamente i bassi livelli di esposizione rilevabili nell’ambiente generale. Metodi. Mediante SPMEC/GCMS ed HPLC, abbiamo determinato la concentrazione di biomarcatori
di esposizione a benzene in campioni estemporanei di urine, raccolti alle
ore 8:00 e 20:00, in 110 residenti nell’area urbana di Cagliari, non
esposti a benzene durante il loro lavoro. I biomarcatori misurati comprendevano: benzene urinario (UB), acido trans,trans muconico (t,tMA) ed acido, and fenilmercapturico (SPMA). È stata inoltre determinata la concentrazione della cotonina urinaria (UC), quale biomarcatore
del consumo di sigarette. La correlazione tra i logaritmi delle concentrazioni urinarie dei vari biomarcatori è stata calcolata mediante analisi
della regressione semplice. Risultati. Una buona correlazione è stata osservata tra SPMA ed UB (N=88, r= 0.381, p=0.0003), ma non tra t,t-MA
ed UB (N=88, r= 0.039, p=0.718), sul totale della popolazione studiata.
Nei campioni raccolti alle ore 20:00, tutti i biomarcatori del benzene
hanno manifestato una buona correlazione con UC, (UB: N= 55,
r=0.634, p<0.0001; SPMA: N=33, r= 0.418, p = 0.015; t,t-MA: N= 55,
r= 0.365, p = 0.006). Discussione. I nostri risultati confermano la validità del SPMA quale biomarcatori di esposizione a basse concentrazioni
ambientali di benzene. A tali livelli di esposizione, il t,t-MA appare un
indicatore meno affidabile.
VALIDITY OF BIOMARKERS IN BIOMONITORING LOW ENVIRONMENTAL BENZENE EXPOSURE
ABSTRACT. Introduction. Due to its hematological effects at low
exposure levels, biomonitoring environmental exposure to benzene is
warranted. However, how reliably the available biomarkers of
exposure reflect low-level environmental exposure represents a critical
aspect. Methods. We used SPMEC/GC-MS and HPLC to assess
benzene exposure biomarkers in spot urine samples, collected at 8 am
and 8 pm, in 110 subjects resident in Cagliari, non occupationally
exposed to benzene. Biomarkers included urinary benzene (UB),
trans,trans muconic acid (t,t-MA), and phenylmercapturic acid
(SPMA), as well as urinary cotinine (UC) as a biomarker of current
tobacco smoking. We tested the correlation between the logtransformed concentration of biomarkers by linear regression analysis.
Results. Overall, SPMA correlated well with UB (N=88, r= 0.381,
p=0.0003), while t,t-MA did not (N=88, r= 0.039, p=0.718). In 8 pm
samples, all benzene biomarkers correlated with UC, with UB showing
the strongest (N= 55, r=0.634, p<0.0001), SPMA a medium (N=33, r=
0.418, p = 0.015), and t,t-MA a weak (N= 55, r= 0.365, p = 0.006)
correlation. Discussion. We confirm SPMA as a valid biomarker of
low-level benzene exposure. t,t-MA is apparently a less reliable
biomarker of low-level benzene exposure.
Key words: benzene, biomarkers, low-level environmental exposure
INTRODUZIONE
L’interpretazione delle concentrazioni dei biomarcatori di esposizione a basse concentrazioni di benzene, quali quelle derivanti dal fumo
di sigaretta, dai gas di scarico delle autovetture e dalla residenza in prossimità ad impianti industriali o rilevabili in alcuni ambienti di lavoro, è
resa problematica dalla loro limitata o assente correlazione con quelle
basse concentrazioni ambientali. La presenza di effetti ematologici e la
possibile azione leucemogena del benzene anche a tali basse dosi (1)
rende tuttavia importante lo studio della relazione reciproca tra i biomarcatori di benzene di uso corrente anche a questi livelli.
Il monitoraggio biologico dell’esposizione ambientale a benzene si
basa principalmente sull’escrezione urinaria dello stesso benzene (BU) e
dei suoi metaboliti, l’acido trans,trans muconico (t,t-MA) e l’acido S-fenilmercapturico (S-PMA). L’uso della determinazione del BU, come indicatore biologico d’esposizione professionale a concentrazioni ambientali di benzene aerodisperso inferiori a 6 µg/m3, è attualmente limitato
dalla sua elevata sensibilità nei confronti di fonti di esposizione extra-
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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professionale, quali il fumo di tabacco (2). L’escrezione urinaria di t,tMA è molto utilizzata quale biomarcatore di esposizione professionale a
benzene, anche se, a bassi livelli di esposizione, appare anch’essa influenzata da fattori extra-professionali, quali il consumo di alimenti trattati con acido sorbico, e lo stesso fumo di tabacco (3, 4). D’altra parte, la
determinazione dell’escrezione urinaria di S-PMA non è sempre apparsa
correlata a quella di BU (5).
MATERIALI E METODI
Nel corso del 2006-2007, un campione casuale di 110 soggetti di entrambe i sessi, residenti nella città di Cagliari e dintorni, di età compresa
tra 27 e 78 anni, è stato sottoposto a monitoraggio biologico dell’esposizione a benzene. In tutti i soggetti è stato raccolto un campione estemporaneo di urine alle ore 8:00 ed alle ore 20:00 ed è stato compilato un
questionario semi-strutturato, che raccoglieva oltre che i dati anagrafici e
biometrici, informazioni sulle abitudini individuali, quali il fumo di sigaretta, consumo di alcolici ed analcolici, esposizione a fumo passivo,
dieta, e sulla storia lavorativa. I campioni appena raccolti, sono stati trasferiti in apposite provette in polipropilene con tappo a vite per la separazione nelle diverse aliquote analitiche. La separazione dell’aliquota per
la determinazione del BU è stata effettuata in vials muniti di tappo a tenuta di vapori, con guarnizione sottotappo in politetrafluoroetilene. I
campioni sono stati conservati a -20°C, fino al momento dell’analisi di
laboratorio. La determinazione del BU è stata effettuata mediante gas
cromatografia-spettrometria di massa con miscroestrazione in fase solida. La concentrazione urinaria di benzene è stata espressa per volume
(ng/l), in considerazione della modalità di escrezione per via diffusiva.
L’analisi del t,t-MA è stata determinata mediante HPLC dotato di rilevatore UV-VIS previa estrazione SPE con colonnina tipo SAX. La determinazione del SPMA è stata effettuata mediante cromatografia liquida
accoppiata a spettrometria di massa (LC/MS/MS) e la sua concentrazione è stata rilevata su campione raccolto a fine turno ed espresso in
µg/L. Al fine di quantificare il ruolo dell’esposizione, attiva e passiva, a
fumo di sigaretta è stata inoltre determinata, su campione raccolto al mattino tramite HPLC/UV (limite di sensibilità 100 µg/L), la concentrazione
della cotinina urinaria, metabolita della nicotina. Le concentrazioni di t,tMA, SPMA e cotinina urinaria sono state rapportate alla creatininuria rilevata nel medesimo campione. I valori misurati sono stati trasformati
nei rispettivi logaritmi per lo studio della loro reciproca correlazione mediante regressione semplice.
RISULTATI
L’escrezione di benzene non ha mostrato alcuna variazione in funzione del genere, né alcuna correlazione con l’età. Nei campioni raccolti
al mattino, l’escrezione urinaria di SPMA è apparsa ben correlata con
quella di BU (N=88, r= 0.381, p=0.0003), contrariamente a quanto osservato per il t,t-MA (N=88, r= 0.039, p=0.718). L’escrezione serale di
t,t-MA ha invece mostrato una discreta correlazione con quella di BU
(N= 88, r = 0.331, p = 0.01), anche se la correlazione del SPMA si è dimostrata migliore (r = 0.575, p < 0.0001) (fig. 1). Nei campioni raccolti
nelle ore serali tra i soggetti con valori dosabili di cotininuria, il logaritmo dell’escrezione urinaria di benzene ha dimostrato un’ottima correlazione con il logaritmo di quei valori (N= 55, r=0.634, p<0.0001) (fig.
2), mentre coefficienti di correlazione inferiori sono stati rilevati per il
SPMA (N=33, r= 0.418, p = 0.015) ed il t,t-MA (N = 55, r= 0.365, p =
0.006).
DISCUSSIONE
La più volte riportata assenza di correlazione tra BU e basse concentrazioni ambientali di benzene appare verosimilmente riferibile alla
sua estrema sensibilità, rilevata nel nostro studio attraverso la sua ottima
correlazione con i valori di cotininuria, la cui utilità nell’interpretazione
dei valori di benzene urinario, quale indicatore di esposizione attiva o
passiva a fumo di tabacco, risulta confermata. Per quanto riguarda gli
altri biomarcatori, a bassi livelli di esposizione ambientale, la limitata
specificità del t,t-MA alle basse dosi è verosimilmente da porre in relazione alla nota interferenza da parte dell’assunzione di acido sorbico con
la dieta. Infatti, attraverso la via metabolica della omega-ossidazione, l’acido sorbico è metabolizzato a t,t-MA, elevandone pertanto i livelli di
escrezione urinaria. Contrariamente ad altri risultati riportati in letteratura (5), nel nostro studio, l’escrezione urinaria di SPMA sembra meglio
correlata a quella di BU, rispetto al t,t-MA.
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225
ALCOL E TOSSICODIPENDENZE
01
VALUTAZIONE DEI FATTORI DI CONFONDIMENTO
NELL’UTILIZZO DELL’ETILOMETRO
M. Bellia1, A. Scaltrito1,V. Costanzo1, F. Milana1,
G. Bellofiore2, S. Bellia1
Figura 1. Correlazione tra acido S-fenilmercapturico e benzene
urinario (prelievo serale)
1
Dipartimento di Medicina Interna e Patologie Sistemiche, Sezione di
Medicina del Lavoro, Università degli Studi di Catania, Via Plebiscito,
628 - 95124 Catania
2 INAIL - Sede di Catania
Corrispondenza: Prof. Marcello Bellia - Tel. 095 312417 - Fax: 095 320463
- Cell. 335 423935 - e-mail: [email protected]
Figura 2. Correlazione tra logaritmo della concentrazione urinaria
di benzene nelle ore serali e logaritmo del valore di cotininuria
corretto per creatininuria
BIBLIOGRAFIA
1) Lan Q, Zhang L, Li G, Vermeulen R, Weinberg RS, Dosemeci M,
Rappaport SM, Shen M, Alter BP, Wu Y, Kopp W, Waidyanatha S,
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benzene. Int Arch Occup Environ Health 1997; 69: 247-51.
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biomarkers and low-level environmental benzene concentration: assessing occupational and general exposure. Chemosphere. 2008;
74: 64-9.
EVALUATION OF INTERFERENCE FACTORS IN THE USE OF
ALCOHOL BREATH TEST
ABSTRACT. Ethyl alcohol, in case of excessive use, is a cause of
anti-social behaviour and for this reason the OMS added it to the
substance abuse list. The relationship between alcohol and work is
codified by the 125/2001 law that prohibits the administration of
alcoholic beverages in places of work. Today, according to paragraph 4
of article 41 of D.Lgs 81/08, the appropriate doctor is entrusted to verify
that workers are not addicted to alcohol. A Breathalyzer is the instrument
used to check alcohol levels within work places.
Some internal and external factors to the body, could interfere with
the metabolism of the ethanol changing the actual level; other factors
could give incorrect indications, especially false positive results, interfering with the instrumentation.
The awareness of these potential problems lies with the relevant
doctor, who must avoid unjustly penalizing workers. Therefore, the various factors that interfere with the pharmacokinetics of alcohol in the
phases of absorption, metabolisation and elimination of alcohol are examined. The factors that could interfere with the measures, such as exposure to industrial solvents and/or substances with absorption in the infrared range of the spectrum, similar to those of ethyl alcohol, are described.
Key words: Alcohol breath test, Interference factors, Alcohol metabolism
INTRODUZIONE
L’alcol etilico rappresenta una delle più antiche e diffuse sostanze
voluttuarie. Tra il 1998 e il 2008, la quota di consumatori di bevande alcoliche in Italia rimane sostanzialmente stabile intorno al 70% (1) anche
se nel 2006, rispetto al 2000, si è notato un incremento dal 77 al 79 % tra
i consumatori occasionali di giovane età (2).
Nel 1988 viene fissato un tasso alcolemico massimo per la guida e
due anni dopo viene introdotto l’etilometro per l’accertamento dello stato
di ebbrezza. In ambito lavorativo il D.P.R. 303/56 vieta la somministrazione di alcolici in azienda mentre la legge 300/70 introduce l’inidoneità
in caso di alcolismo. La Legge quadro sui problemi alcool correlati (3),
125/2001, vede interventi mirati anche in tema di prevenzione nel mondo
del lavoro. Infine il D.Lgs 81/08 coinvolge il Medico Competente nell’accertamento di alcoldipendenza dei lavoratori. Il nostro lavoro vuole
dare un contributo per una maggiore comprensione delle possibili interferenze di fattori lavorativi ed extralavorativi sulla correttezza delle misure.
METABOLISMO
L’etanolo, dopo essere stato ingerito, viene rapidamente assorbito
dallo stomaco e dall’intestino tenue e dopo 15-40 minuti passa in circolo
e viene distribuito in tutto l’organismo; il picco di assorbimento si ha
entro 30-90 min (4). Una piccola quota (3-10%) sarà eliminata tramite i
polmoni e i reni, la restante (circa il 90%) viene metabolizzata dalla mucosa gastrica e dal fegato in acetaldeide (4).
226
Le principali vie di metabolizzazione sono rappresentate dalla mucosa del primo tratto dell’apparato digerente dove è presente, particolarmente a livello gastrico, una alcol deidrogenasi del tutto simile a quella
epatica, e successivamente dal fegato, principale organo deputato al suo
metabolismo. Il metabolismo dell’alcol dipende da diversi fattori:
– Tipo di bevanda alcolica: alta o bassa gradazione;
– Modalità di assunzione: in un’unica dose o in dosi frazionate;
– Presenza di cibo nello stomaco: a stomaco vuoto l’assorbimento è
più rapido;
– Tipo di cibo: alimenti contenenti grassi rallentano l’assorbimento;
– Condizioni della mucosa gastrointestinale: processi infiammatori
accelerano l’assorbimento;
– Poliformismo genetico.
Le principali vie di eliminazione dell’alcol etilico sono la via renale
e polmonare. Per la determinazione dell’alcolemia viene utilizzato il
breath test perché l’apparato respiratorio espelle una quota di alcol
sempre proporzionale alla quantità presente nel circolo ematico.
L’ETILOMETRO
Gli etilometri ad infrarossi sono considerati i più precisi specialmente quelli che utilizzano contemporaneamente una doppia banda di assorbimento nelle frequenze di 3,4 e 9,4 µm, corrispondondenti alla frequenza di vibrazione dei due gruppi chimici dell’alcol etilico, gruppo
metile (CH3) e gruppo alcolico (C–O). Tali etilometri operano sul fatto
che le molecole di etanolo assorbono la luce ad infrarossi a queste specifiche lunghezze d’onda e quindi la quantità di radiazione assorbita dipende dalla concentrazione di etanolo.
L’etilometro ad infrarossi è un analizzatore a flusso continuo e può
monitorare la curva di concentrazione alcoolica continua durante l’espirazione, ciò consente al dispositivo di accettare la lettura del respiro polmonare profondo. Il requisito fondamentale per una corretta effettuazione del test è che il volume di aria espirata sia superiore a 1,5 litri e che
l’espirazione sia effettuata per almeno 4-5 secondi (5). Il passaggio attraverso le vie aeree trasferisce dalla mucosa all’aria inspirata tutte le sostanze volatili solubili in acqua presenti nel sangue in special modo l’etanolo che ha una maggiore solubilità in acqua.
FATTORI DI CONFONDIMENTO
Esistono numerosi fattori, detti “di confondimento”, in grado di alterare il rapporto alcol/aria espirata determinando una non corretta corrispondenza dei due valori. Così come nel respiro possono essere presenti
altre sostanze, endogene o esogene, in grado di interferire con il risultato
del test.
Tutte quelle patologie che riducono la compliance polmonare possono impedire una corretta esecuzione del breath test. Broncopneumopatie restrittive o fibrosi polmonare diminuiscono il rapporto etanolo
espirato/etanolo ematico condizionando il risultato (5). Anche alcune
condizioni metaboliche, quali il diabete e il digiuno, possono determinare falsi positivi (6).
Molte sostanze presenti soprattutto in ambienti di lavoro, lacche,
vernici, benzina, celluloide ed alcuni detergenti, possono generare false
positività. L’iperventilazione o l’esercizio fisico svolti subito prima di
eseguire un test alcolimetrico, potrebbero invece abbassare i livelli di
alcol nell’aria espirata (7).
L’assorbimento alla frequenza di 3,4 µm e di 9,4 µm corrisponde ad
una vibrazione asimmetrica di stretching del gruppo metile (C-H3) e del
gruppo alcolico (C-O-H) (Fig. 1).
Gli etilometri ad infrarossi con lettura a doppia banda di assorbimento hanno minori possibilità di errore in quanto possono interferire
nella misura solo quelle sostanze in possesso di ambedue i gruppi funzionali. Tra le sostanze in grado di amplificare i risultati dei test alcoli-
Figura 1. Gruppi metilico e alcolico
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Figura 2. Gruppi funzionali di eteri ed esteri
metrici troviamo il Metil-t-butil etere (MTBE), additivo dei carburanti
per autoveicoli, la cui esposizione a valori compresi fra compresi tra 36
e 72 mg/l può determinare un falso positivo per gli etilometri ad infrarossi in presenza di etanolo (8). Altra sostanza in grado di determinare un
falso positivo è il Dimetilsolfossido (DMSO), solvente usato in chimica
organica ed in farmaceutica per le sue capacità di carrier.
Altri composti che possono interferire col test alcolimetrico sono gli
eteri e gli esteri che posseggono entrambi i gruppi funzionali valutati dall’infrarosso. Tra questi troviamo diversi aromatizzanti utilizzati nell’industria alimentari e molto diffusi, quali ad esempio: etile formiato (rum),
metil butanoato (mela), propil acetato (pera) e pentil acetato (banana)
(Fig. 2). Infine va ricordato che anche l’etere dietilico, in atto utilizzato
come anestetico in veterinaria e come solvente, interferisce anch’esso
con il test alcolimetrico alterandone il risultato in quanto anch’esso in
possesso dei due gruppi funzionali.
CONCLUSIONI
L’obbligo di verificare l’assenza di alcol-dipendenza nei lavoratori
introdotto dal D.Lgs. 81/08, comporta la necessità di ottenere valori di alcolemia affidabili oltre alla necessità di eseguire il test con metodiche
non invasive. Altrettanto importante è la rapidità del test e la possibilità
di eseguirlo presso i normali ambienti di lavoro per avere dati certi in
tempi reali,. Il Breath test con sensori ad infrarossi, pertanto, è l’esame
di elezione. Esistono però dei fattori di confondimento per la presenza di
patologie che possono alterare la compliance polmonare o per la contemporanea esposizione ad agenti chimici professionali che possono dare
false positività o incrementare i valori dell’esame alterandone il risultato.
La conoscenza di tali fattori è importante e va considerata al momento del test per non incorrere in errori di valutazione che in caso di positività prevede sanzioni per i lavoratori.
BIBLIOGRAFIA
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testointegrale20090423.pdf
2) Allamani A., Anav S., Cipriani F., Rossi D., Voller F. “Italy and alcohol: a country profile”. Osservatorio permanente sui giovani e
l’alcool. Quaderno 19 - Ed. Litos, 2007.
3) LEGGE 30 marzo 2001, n. 125. “Legge quadro in materia di alcol e
di problemi alcol correlati”. GURI n. 90 del 18-04-2001.
4) Holford N.H.G. “Clinical pharmacokinetics of ethanol”. Clin Pharmacokinet 13: 273-292; 1987.
5) Jones AJ. Ultra-rapid rate of ethanol elimination from blood in
druken drivers with extremely high blood.alcohol concentrations. Int
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8) Buckley T.J., Plel J.D., Bowyer J.R., Davis J.M. “Evaluation of
methyl tert-butyl ether.
9) (MTBE) as an interference on commercial breath-alcohol analyzers.” Forensics Science.
10) International. 123 (2): 111-118; 2001.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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02
È POSSIBILE INVALIDARE IL CAMPIONE URINARIO PER LA
DETERMINAZIONE DI SOSTANZE D’ABUSO INGERENDO
FORZATAMENTE LIQUIDI IN UN BREVE INTERVALLO DI TEMPO?
S. Fustinoni, L. Bordini, E. Polledri, C. Valla, L. Campo
Dipartimento di Medicina Lavoro, Università degli Studi e Dipartimento
di Medicina Preventiva, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale
Maggiore Policlinico, Via S. Barnaba, 8, 20122 Milano
Corrispondenza: Silvia Fustinoni - Via S. Barnaba, 8 - 20122 Milano,
Italy - e-mail: [email protected] - phone: +39 02 503 20116 fax: + 39 02 503 20111
IS IT POSSIBLE TO INVALIDATE THE URINE SAMPLE FOR
DETERMINATION OF DRUGS OF ABUSE FORCING THE
INGESTION OF LIQUID OVER A SHORT TIME?
ABSTRACT. This study tested whether the forced assumption of
liquid over a short period of time (1 hour) by a subject who wants to
invalidate the urine sample for the determination of drugs of abuse, can
lower the level of urinary creatinine below the limit set for acceptability
of the sample (0.2 g/L). Thirteen healthy subjects collected urine spot
samples before and after the forced assumption of 500-1000 ml of water
or tea within one hour. Some subjects repeated the protocol up to 3 times
in different days for a total of 29 complete experiments. Creatinine was
assessed using the test of Jaffè. Median creatinine was 1.27 (from 0.1 to
3.18) g/L in samples before the drink and 0.52 (0.1-2.56) g/L in samples
after the drink. The decrease in creatinine concentration was statistically
significant, however only in 4 out of 29 experiments the urine
concentration after the drink was below 0.2 g/L. In conclusion drinking
water was effective in diluting urine samples, but, within the investigated
time frame, this was of limited efficacy for the invalidation of sample.
Key words: drugs of abuse, urinary creatinine, invalidation of
sample
INTRODUZIONE
La Regione Lombardia, nell’accertamento dell’abuso di sostanze
stupefacenti e psicotrope da parte di lavoratori addetti a mansioni che
comportano particolari rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di
terzi applicative del provvedimento n. 99/cu 30 ottobre 2007 (G.U. n.
266 del 15 novembre 2007) impone la valutazione della creatinina urinaria per verificare l’autenticità del campione (1-3). La normativa prevede, inoltre, che la comunicazione al lavoratore della data e del luogo in
cui verranno effettuati tali accertamenti avvenga con un preavviso massimo non superiore alle 24 ore. Nella applicazione di quanto previsto
dalla vigente normativa da parte di una grande azienda di trasporti milanese, è stato introdotto un protocollo di convocazione del lavoratore con
un preavviso di solo un’ora. Dopo due mesi di applicazione di questo
protocollo è stato valutato che una percentuale cospicua dei campioni
aveva un valore di creatinina inferiore al limite minimo previsto per l’accettabilità del campione di urina, che è pari a 0.2 g/L.
Scopo di questo studio è stato quello di verificare se l’assunzione forzata di liquidi nell’arco di un periodo ristretto di tempo da parte di un soggetto che voglia invalidare il campione urinario, possa abbassare il livello
di creatinina urinaria sotto il limite previsto per l’accettabilità del campione.
MATERIALI E METODI
Tredici soggetti sani, 6 femmine e 7 maschi (età compresa tra 17 e
58 anni) si sono offerti come volontari per questo studio. I partecipanti
hanno svuotato la vescica e ingerito da 500 a 1000 ml di acqua o the in
un periodo di tempo di circa 30 min. Dopo 1 ora dallo svuotamento della
vescica hanno raccolto un secondo campione di urina. I soggetti hanno
ripetuto l’esperimento in giorni diversi da una a tre volte, per un totale di
29 esperimenti totali. In tutti i campioni di urina è stata valutata la concentrazione di creatinina, utilizzando il saggio di Jaffè.
RISULTATI
Prima dell’ingestione di liquidi la mediana della creatinina è risultata 1.27 (compresa nell’intervallo 0.1-3.18) g/L, mentre dopo l’inge-
227
stione di liquidi la mediana è risultata 0.52 (da 0.1 a 2.56) g/L, con un decremento medio di circa il 40%, che è risultato altamente significativo (ttest per dati accoppiati). Nonostante la diminuzione i campioni di urina
che presentavano un valore di creatinina inferiore al valore di accettabilità di 0.2 g/L erano solo 4, che corrispondevano al 14% degli esperimenti effettuati. Una analisi di correlazione non ha mostrato associazione
tra la diminuzione della creatinina e l’età dei soggetti, il loro peso e il
loro sesso; la concentrazione iniziale di creatinina è risultata invece positivamente associata alla percentuale di diminuzione.
DISCUSSIONE
I risultati dell’indagine hanno mostrato che l’assunzione forzata di
liquidi in un breve intervallo di tempo porta alla diminuzione significativa di creatinina urinaria. Questa diminuzione è soggetto-dipendente e la
probabilità che possa risultate inferiore al 0.2 g/L è piccola. Si può concludere che il protocollo di convocazione del lavoratore con un preavviso
di solo un’ora è efficace per evitare l’adulterazione del campione attraverso l’ingestione forzata di liquidi.
BIBLIOGRAFIA
1) Provvedimento Nazionale 30/10/2007. Intesa, ai sensi dell’articolo
8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, in materia di accertamento di assenza di tossicodipendenza.
2) Accordo Governo, Regioni e Province Autonome n° 178 del 18/09/2008.
Procedure per gli accertamenti sanitari di assenza di uso di sostanze
stupefacenti o psicotrope nei lavoratori con mansioni che comportano
particolari rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute di terzi.
3) Regione Lombardia. Circolare Giunta Regionale Direzione Generale Sanità 22.01.09.
4) Regione Lombardia deliberazione N. VIII/9097 del 13.03.2009. Determinazioni in merito alla ricerca di sostanze stupefacenti e psicotrope nei materiali biologici e al dosaggio dell’etanolo.
03
ATTUAZIONE DEL PROGRAMMA DI CONTROLLO
PER LE TOSSICODIPENDENZE NEI LAVORATORI
ADDETTI AD ATTIVITÀ AEROPORTUALI
F. Solari, M.G. De Amici, G. Di Carlo, A. Guerri, A. Todaro1
Servizio di Medicina del Lavoro SEA - Aeroporti di Milano
1 U.O. Medicina del Lavoro 1, Dipartimento di Medicina Preventiva, del
Lavoro e dell’Ambiente “Clinica del Lavoro L. Devoto”, Fondazione
IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico - Milano
Corrispondenza: Aldo Todaro - U.O. Medicina del Lavoro 1,
Dipartimento di Medicina Preventiva, del Lavoro e dell’Ambiente
“Clinica del Lavoro L. Devoto”, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale
Maggiore Policlinico - Milano - Via San Barnaba 8 - 20122 Milano 0255032611 - e-mail: [email protected]
PERFORMANCE OF THE CHECK PROGRAM FOR WORKPLACE
DRUGS TESTING IN THE AIRPORT WORKERS
ABSTRACT. The recent laws that dispose the obligatory workplace
drugs test in different categories of workers, have forced the Occupational
Doctor to face new thematic for himself and the relatives legal problems.
We want to introduce the experience of the workplace drugs testing in the
two main airports of Lombardia. Here the controls as the legislative
directives, joined to a campaign of sensitization on the problem of the
drug addictions, have carried to the surveillance about thousand workers,
all employees in activity of driving of different motor vehicle, on the large
square aircrafts. Only six workers was positives in urinanalisis, five for
cannabis, one for cocaine and all they were removed by the guide. The
experience has demonstrated or as such type of control can become part
of the activity of sanitary surveillance of the Competent Doctor, or, seen
the result, as at least in such type of workplace the problem of illegal
drugs does not represent a real risk for the workers.
Key words: workplace drugs test, sanitary surveillance, airport
workers
228
INTRODUZIONE
Un notevole impegno nell’attività del Medico Competente negli ultimi due anni è stato dedicato all’applicazione del Provvedimento del
30.10.2007 “Intesa ai sensi dell’art. 8 comma 6 della legge 5 giugno 2003
n. 131 in materia di accertamento di assenza di tossicodipendenza” e delle
relative disposizioni attuative secondo la cu 178/CSR del 18.09.08.
Ora dopo più di un anno dalla sua applicazione è giunto il momento
di valutare i risultati di tale attività. Saranno qui illustrate le modalità di
attuazione di questo programma ed i risultati ottenuti tra i lavoratori dei
due principali aeroporti lombardi.
MATERIALI E METODI
Una iniziale stretta collaborazione tra i Medici Competenti ed il Servizio di Prevenzione e Protezione aziendale ha portato, all’individuazione
all’interno della popolazione lavorativa di attività contemplate nell’allegato
1 dell’Intesa. Queste sono state riconosciute nelle mansioni di autista, addetti alla guida di mezzi sulle piste di decollo e atterraggio degli aeromobili.
Tra questi possiamo elencare gli autisti dei bus passeggeri, gli autisti di
mezzi speciali per il trasporto di passeggeri invalidi o barellati, autisti che
conducono mezzi speciali quali il push-back, il mezzo che traina l’aeromobile sulla pista o i cargoloader, i mezzi per il trasporto nelle stive dei pallet
contenenti i bagagli. Vi sono inoltre gli addetti alla guida di trattorini per il
trasporto dei bagagli e delle merci, oltre ai lavoratori addetti alla guida dei
mezzi di servizio per l’attività di manutenzione e controllo delle piste.
Sono stati così stimati sui due aeroporti un totale di circa 1000 dipendenti da sottoporre a controlli. Tutti questi lavoratori, dotati di patente
B, hanno anche acquisito una certificazione specifica necessaria per la
guida sulla pista. Il traffico sulla pista aeromobili, infatti, è spesso particolarmente intenso per la moltitudine di mezzi che vi circolano, mezzi
appartenenti anche ad altre realtà aziendali o ad altri Enti e deve pertanto
essere regolato da particolari segnaletiche e norme verso cui i lavoratori
devono rivolgere un notevole grado di attenzione.
Dopo l’individuazione delle figure lavorative da sottoporre a controlli, è stato preparato un opuscolo informativo che partendo dalla illustrazione della nuova legge rappresentasse un momento di informazione
ai dipendenti sugli effetti delle sostanze stupefacenti, la loro possibile interferenza con l’attività lavorativa e sulle modalità di realizzazione dei
controlli. Tale opuscolo è stato distribuito a tutti i dipendenti, indipendentemente dalla mansione svolta.
Contemporaneamente sono state organizzate anche riunioni con i
Rappresentanti del Lavoratori per la Sicurezza (RLS) aziendali per illustrare le modalità attuative.
RISULTATI
Nell’arco di dieci mesi è stato condotto a termine il primo ciclo di
controlli che ha interessato 988 lavoratori sui due aeroporti.
Nella tabella di seguito vediamo la suddivisione della popolazione
sottoposta ad accertamento in varie fasce di età e le positività ottenute.
Sul totale dei lavoratori testati, sono stati individuati quattro casi di
positività al test di screening e di conferma verso cannabinoidi ed uno
verso cocaina. Per due dei soggetti positivi a cannabinoidi, dopo l’invio
al Sert di competenza e l’effettuazione del test di secondo livello, è stata
rilevata positività per cocaina. Tutti sono stati esonerati dall’attività di
guida ed inseriti nel monitoraggio cautelativo.
Tabella I. Popolazione lavorativa suddivisa in base all’età
e numero di soggetti positivi (un soggetto non è stato sottoposto
a test di 2° livello poiché già in cura presso SERT)
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Tabella II. Positività riscontrate ai test di screening e di 2° livello
(un soggetto non è stato sottoposto a test di 2° livello
poiché già in cura presso SERT)
In un sesto caso il lavoratore ha presentato una certificazione che attestava una situazione di tossicodipendenza già nota rilasciata da SERT
con inserimento già avviato in un percorso di recupero. In questo caso è
stata rilevata una positività anche a metadone.
In altri due casi è stata segnalata una positività ai test di screening
verso derivati della morfina che ai test di conferma ha mostrato la presenza di codeina in assunzione terapeutica, dichiarata in anticipo dai lavoratori durante la visita.
Infine in 20 casi circa il test è stato ripetuto poiché non attendibile
per la bassa concentrazione di creatinina urinaria.
DISCUSSIONE
Per quanto riguarda infine i risultati ottenuti, possiamo affermare che
una positività di circa lo 0,6%, si dimostra di molto più bassa dell’atteso.
Alcune indagini effettuate dai Sert o l’esperienza della ASL Città di Milano riferita al 2007 (1) mostravano infatti prevalenze annuali o mensili di
uso di sostanze stupefacenti ben maggiori. Anche il confronto con alcune
indagini condotte in altri paesi quali Nuova Zelanda (2), Francia (3) Gran
Bretagna (4) e Norvegia (5) su alcune realtà lavorative, anche se con normative e regole diverse dalle nostre, prospettavano comunque percentuali
di soggetti positivi nettamente superiori. D’altra parte l’unica indagine disponibile su realtà lavorativa italiana con l’attuale normativa (6) mostra
invece valori sovrapponibili a quelli qua riportati.
Alcune ipotesi che possono essere avanzate per spiegare questi risultati con bassa positività, portano ad ipotizzare prima di tutto un effetto
deterrente che il controllo può avere avuto, magari su utilizzatori saltuari,
che hanno pertanto deciso di non esporsi, almeno in questa prima fase di
applicazione della legge. Altra motivazione può essere legata all’età, solo
un 1% è sotto i 30 anni, mentre la maggior parte della nostra popolazione
si colloca nelle fasce superiori a 40 anni, nelle quali forse l’assunzione di
sostanze stupefacenti diventa meno diffuso.
Difficile infine, anche se non impossibile, pensare che da parte di
qualche lavoratore possano essere stati usati particolari accorgimenti, peraltro presenti sul mercato, per falsificare la raccolta delle urine. Per
questo sarà comunque necessario potere conoscere i risultati di altre realtà
lavorative, così da potere confermare l’andamento dei risultati ottenuti.
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tossicodipendenza prima e dopo l’entrata in vigore della normativa:
cosa è cambiato? G Ital Med Lav Erg 2009; 31: 3 suppl 138.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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04
I MARCATORI GENETICI NELLE INDAGINI DIAGNOSTICHE
PER LA VERIFICA DI ASSENZA DI CONDIZIONI DI ALCOL
DIPENDENZA IN AMBIENTE DI LAVORO
L. Buscemi1, C. Turchi1, N. Onori1, A. Ulissi2, M. Baldassari2,
A. Tagliabracci1
1
Sezione Medicina Legale, Università Politecnica delle Marche, Via Conca
60126 Ancona
2 Ufficio del Medico Competente, Azienda Ospedaliero Universitaria,
Ospedali Riuniti, Via Conca 60126 Ancona
Corrispondenza: Buscemi Loredana, Sezione Medicina Legale Università
Politecnica delle Marche, Via Conca 60126 Ancona [email protected]
GENETIC SCREENING FOR THE EVALUATION OF SUSCEPTIBILITY OF ALCOHOL DEPENDENCE IN THE WORKPLACE
ABSTRACT. Alcoholism is a quantitative disorder with a combined
incidence of environmental and genetic factors. It is a major health and
social issue, with significant impact in the workplace, as it affects the
health of the worker, the reduced working capacity and the increased risk
of accidents. The Italian Law 81/08 incorporates provisions related to
medical surveillance of alcohol dependency at the workplace.
The traditional diagnostic approach of alcohol abuse/dependence is
based on anamnestic data, clinical examination, biochemical markers
and on the trustworthiness of interview questionnaires. Recent association studies have identified several genes as candidates for alcoholism,
including ADH4 and GABRA2, so 11 genetic markers of these two genes,
were analyzed in a sample of 95 workers related to the Office of the
“competent physician” of Hospital of Ancona. Genetic analysis showed
no association with the GABRA2 gene, probably for the minimal comorbidity of our sample suggesting that this gene is implicated in polysubstance dependence rather than in alcoholism alone. Protective ADH4 allele was frequently found in our sample, in agreement with the clinical
and laboratory data. There was, however, a 11.6% of subjects with the
presence of risk-diplotype; for this group a longitudinal clinical evaluation would be planned.
Key words: genetics, alcohol, workplace.
INTRODUZIONE
L’alcolismo è un fenomeno eterogeneo a genesi multifattoriale; è un
disordine quantitativo, in cui l’incidenza di fattori ambientali e di molteplici fattori genetici varia da un soggetto all’altro. Trattasi di un fenomeno di rilevante importanza socio-economica, con ripercussioni significative anche in ambito lavorativo, in quanto incide sulla salute del lavoratore, sulla diminuita capacità di lavoro e sul correlato aumento del
rischio di infortuni. Secondo l’OMS, circa il 10-30% degli infortuni sul
lavoro sarebbe alcol-correlato (http://www.who.int/substance_abuse/publications/globalstatusreportalcoholchapters/en/).
In Italia, il Decreto Legislativo n. 81/08, prevede disposizioni relative alla sorveglianza sanitaria della dipendenza da alcool sul posto di lavoro. La diagnosi deve basarsi su criteri di oggettività e scientificità, riducendo al minimo la soggettività di giudizio dell’operatore. L’approccio
diagnostico tradizionale è basato sulle notizie anamnestiche, sull’esame
clinico, sulla compilazione di questionari rimessi alla fiducia delle dichiarazioni del soggetto, nonché sull’impiego di marker biochimici di
abuso cronico.
Negli ultimi anni, con il completamento del Progetto Genoma
Umano, la ricerca scientifica si è orientata all’individuazione di marcatori genetici per la suscettibilità alcolica, dove la conoscenza di geni
coinvolti è indispensabile per l’identificazione di individui ad alto rischio
di malattia e per lo sviluppo di più efficaci trattamenti terapeutici. Gli
studi sinora hanno dimostrato una associazione tra la suscettibilità genetica all’alcolismo e varianti funzionali del gene dell’alcol deidrogenasi
(ADH) (Edenberg HJ, 2006) e varianti genetiche del gene GABRA2, che
codifica per la subunità α-2 del recettore GABAA (Edenberg HJ, 2004).
Il nostro studio si propone la tipizzazione, in un campione di lavoratori afferenti all’Ufficio del Medico Competende dell’Azienda Ospedali
Riuniti di Ancona, di un set di marcatori genetici che mappano all’interno dei geni ADH4 e GABRA2.
229
MATERIALI E METODI
Un totale di 95 lavoratori, afferenti all’Ufficio del Medico Competende dell’Azienda dell’Azienda Ospedaliero Universitaria degli Ospedali Riuniti di Ancona, sottoposti a visita medica per controllare lo stato
di salute ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica, non
imparentati tra loro, ed italiani da almeno 2 generazioni, sono stati inclusi
nello studio. A tutti era somministrato un questionario volto all’accertamento dello stato di abuso/dipendenza alcolica (bMAST-Brief Michigan
Alcohol Screening Test e AUDIT-Alcohol Use Disorders Identification
Test). Tutti i soggetti hanno acconsentito allo studio ed hanno autorizzato
il trattamento dei dati personali (D. Lgs. 196/2003).
Il campione era costituito da 49 maschi e 46 femmine, di cui 60 dipendenti dell’Azienda Ospedali Riuniti di Ancona (29: area sanitaria, 4:
settore amministrativo, addetti al servizio mensa: 26; altro: 1) e 35 appartenenti al corpo di Polizia Municipale di Ancona. L’età era compresa
fra i 24 e i 64 anni (età media 45 aa), con i seguenti anni di scolarizzazione: 6-8aa: 27.4%; 9-13aa: 58.9%; >13aa: 13.7%. Nel 54.8% si trattava
di soggetti coniugati/conviventi, nel 32.6% di single; nel 12.6% dei casi
non era noto lo stato civile.
Sono stati indagati: a) due SNPs del gene GABRA2: rs279845 ed
rs279871; b) nove SNPs del gene ADH4 (rs29001234, rs3762894,
rs6848576, rs29001208, rs4148886, rs29001203, rs29001226,
rs7689753 e rs10009145), tipizzati mediante minisequencing (Snapshot™ Multiplex Kit, AB) in elettroforesi capillare (3130 Genetic
Analyser, AB).
L’equilibrio di Hardy-Weinberg (HWE), le frequenze alleliche e genotipiche sono state calcolate mediante PowerMarker e confrontate con
le frequenze ottenute in uno studio di 412 individui, classificati secondo
i criteri del DSM IV in 86 alcool dipendenti, 50 alcool abusatori, 215 bevitori occasionali e 61 non bevitori (Onori N, 2010; Turchi C, in press).
PHASE v. 2.1, è stato utilizzato per determinare gli aplotipi a partire dai
dati genotipici.
RISULTATI
L’esame dei dati emersi all’osservazione clinica e dal questionario
compilato dai 95 lavoratori non rilevava soggetti con abuso/dipendenza
alcolica. L’analisi genetica rilevava una distribuzione delle frequenze genotipiche in equilibrio di Hardy-Weinberg. La comparazione della distribuzione delle frequenze alleliche e genotipiche dei 95 lavoratori con i
412 soggetti, classificati secondo i criteri del DSM IV, mostrava differenze significative per i due SNPs rs10009145 (p=0,0426 e p=0,0208) e
rs7689753 (p=0,0001 e p=0,0002) del gene ADH4, solo nel confronto
con i soggetti con diagnosi di alcool dipendenza. L’allele minore A di
rs10009145 era più frequente negli alcol-dipendenti che nei 95 lavoratori, mentre l’allele minore G rs7689753 era più frequente in quest’ultimi
che nei soggetti con diagnosi di alcol dipendenza. L’aplotipo GGGGAT,
che contiene l’allele maggiore G di rs10009145 e l’allele minore G di
rs7689753, era significativamente più comune nel campione in esame
che negli alcool dipendenti (p=0,0002). Non è stata rilevata alcuna differenza statisticamente significativa per quanto riguarda le frequenze del
gene GABRA2 tra il campione dei lavoratori ed il campione popolazionistico italiano già indagato per il suddetto gene.
DISCUSSIONE
Lo scopo dello studio era quello di indagare in un campione di 95 lavoratori afferenti all’Ufficio del Medico Competente dell’Ospedale di
Ancona, gli “aplotipi alcol-correlati”, con cui si intende la combinazione
di stati allelici di un set di marcatori polimorfici che si trovano su uno
stesso cromosoma indicativi della suscettibilità alcolica.
Nei 95 soggetti esaminati non è stata osservata associazione con il
gene GABRA2, come già rilevato in precedenti studi, da ricondurre probabilmente alla assenza di comorbilità nel campione in esame, confemando l’ipotesi che il gene sia implicato nell’addiction, vale a dire in una
poliassunzione di sostanze, piuttosto che nel solo consumo di alcol
(Onori N., 2010).
Per quanto attiene il gene ADH4, studi recenti (Turchi C., in press)
hanno osservato che l’allele minore A di rs10009145 rappresenta un fattore di rischio per l’alcool dipendenza e l’allele minore G di rs7689753
rappresenta invece un fattore di protezione nei confronti dell’alcool dipendenza. Nel nostro campione di lavoratori si riscontrava una frequenza
maggiore dell’allele protettivo. L’aplotipo GGGGAT, da considerare protettivo nei confronti dell’alcolismo, era più frequente nel campione in
230
esame piuttosto che negli alcool dipendenti. I dati, quindi, che emergevano dall’indagine genetica erano in linea con i dati rilevati all’esame clinico-laboratoristico. Vi era, tuttavia, un 11.6% di soggetti con la presenza
di un diplotipo considerato di rischio (ATAAT/ATAAT). Per tale gruppo
di soggetti sarebbe indicata una valutazione clinica longitudinale.
Trattasi di dati preliminari che richiedono un incremento del numero
di osservazioni per una maggiore significatività del dato statistico.
BIBLIOGRAFIA
Edenberg HJ, Dick DM, Xuei X, et al. Variations in GABRA2, encoding
the alpha 2 subunit of the GABA(A) receptor, are associated with alcohol dependence and with brain oscillations. Am J Hum Genet
2004: 74, 70-714.
Edenberg HJ, Xuei X, Chen HJ, et al. Association of alcohol dehydrogenase genes with alcohol dependence: a comprehensive analysis.
Hum Mol Genet 2006: 15, 1539-1549.
Onori N, Turchi C, Solito G, Gesuita R, Buscemi L, Tagliabracci A.
GABRA2 and Alcohol Use Disorders: No Evidence of an Association in an Italian Case-Control Study. Alcohol Clin Exp Res. 2010:
34, 659-668.
05
IL CONSUMO DI ALCOL IN AZIENDA TRA PROMOZIONE
DELLA SALUTE E TUTELA DEI TERZI: RISULTATI DEL FOLLOW-UP
EFFETTUATO IN CONDUCENTI DI MEZZI DI TRASPORTO TERRA
R. Donghi, G. Scoglio
H San Raffaele Resnati spa via S. Croce 10/a 20122 Milano
Corrispondenza: Rino Donghi e-mail [email protected] - tel.
+390258187652, cell. +393385081319 H San Raffaele Resnati spa
via S. Croce 10/a 20122 Milano
Parole chiave: alcol e lavoro, carbossiemoglobina desialata, promozione
della salute
ALCOHOL DRINKING AT WORK. THE OCCUPATIONAL
HEALTH BETWEEN SANITARY INSPECTION AND HEALTH
EDUCATION IN A GROUP OF DIGGER MEN
ABSTRACT. We studied twenty-six digger men to verify the absence
of alcohol drinking, on job. We made two same control among twelve
months. We taught the workers in alcohol laws, illness effects, health at
work for themselves and fellow-workers. They were also detected about
alcohol drinking, liver and blood function, CDT value. The men 24-63 year
old, 65,4% Italians, 34,6% foreigners, told us to drink 22 g/day. At the first
step six of them (23%) were positive for high alcohol drinking and CDT
upper than 2,6 U/L. Seven were positive for AST, ALT, GGT abnormal
values (27%). At the second step alcohol drinking was 37,6 g/day, AST,
ALT, GGT shown the same results, but the CDT of all of the workers, was
normal. The cholesterol values were the same during all the study. We think
that fear for health’s conseguence and for safety controls at work made the
difference. But also a very important role was played by the workers’
knowledge and their sharing at the health promotion program.
Key words: alcohol at work, CDT, health education
INTRODUZIONE
Compiti del medico competente, sono la verifica della non pericolosità dei lavoratori verso terzi, la “valorizzazione di programmi volontari
di promozione della salute” (1). Gestire i problemi alcol correlati esemplifica la difficile coniugazione di questi obblighi.
Si presentano i risultati di due controlli, ad un anno, su autisti di
mezzi di cantiere. Scopo del lavoro: informarli delle norme vigenti, ottemperare al divieto di assumere alcolici in lavoro, promuovere abitudini
corrette, verificare l’efficacia dell’intervento.
MATERIALI E METODI
Ventisei soggetti maschi, hanno aderito volontariamente allo studio
che prevedeva: corso su alcol e lavoro, effetti sulla salute dell’abuso al-
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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colico, divieti; visita medica con valutazione dei sintomi e segni alcolcorrelati, registrazione del consumo alcolico riferito, fumo, droghe, farmaci; determinazione dell’Emocromo, Transaminasi, Gamma-gt, Colesterolo, Glicemia. Previo consenso, determinazione della CDT (tranferrina-desialata).
Tutti i soggetti hanno ricevuto una copia dei risultati, la valutazione dell’adeguatezza delle proprie abitudini oppure le indicazioni
per un corretto consumo. Ai soggetti con CDT elevata sono state ricordate le possibili conseguenze sulla salute propria, su quella dei
terzi, sull’idoneità lavorativa. Il programma, escluso il corso, è stato
ripetuto un anno dopo.
RISULTATI
L’età media dei soggetti è di 44 anni (range 24-63), 65,4% Italiani,
34,6% dell’Est Europeo. Al primo accertamento l’assunzione media riferita di alcol era di 22 g/die. Sei soggetti avevano segni clinici compatibili
con una elevata assunzione (3). Transaminasi e Gamma-Gt erano alterate
contemporaneamente nel 27% dei casi, solo le Transaminasi nell’11,5%.
La CDT è risultata superiore alla norma in sei soggetti (23%).
Al secondo accertamento nessun lavoratore ha riferito modifiche
delle proprie abitudini. Anzi il consumo di alcol è risultato superiore:
37,6 g/die. Invece i valori della CDT sono risultati tutti nella norma. Al
controllo intraindividuale, le Transaminasi sono migliorate in sei soggetti, normali-invariate in diciannove, peggiorate in un solo caso. Le
Gamma-Gt sono risultate migliori in tre casi, peggiori in sette, normaliinvariate nei restanti casi.
Confrontando i valori di un altro indicatore dello stile di vita, il colesterolo totale, non si sono viste diminuzioni, anzi un lieve incremento.
Le tabelle I-II riportano i risultati complessivi e suddivisi nei parametri considerati.
DISCUSSIONE
Oggi dobbiamo esprimere il giudizio di idoneità, che tutela il lavoratore dagli effetti delle noxae professionali (1), salvaguardare l’incolumità dei terzi (2), collaborare al miglioramento della salute della popolazione (1).
Ciò obbliga a coniugare attività di controllo, che prevedono sanzioni, con attività di counseling, che presuppongono un rapporto fiduciario medico-lavoratore.
Quanto sia difficile per l’alcol, risulta già nella semplice registrazione del suo consumo, inattendibile confrontando i valori di CDT e
degli altri indicatori: gamma-gt, transaminasi, vgm, non univoci in
questa esperienza. Inoltre considerando il gruppo per età o per provenienza, emergono differenze nel consumo, quotidiano oppure concentrato nel week-end, che influenzano gli indicatori d’abuso (4). I dati mostrano consumi medi inferiori, comunque diversi, nei giovani e negli
stranieri, confermati dai risultati di laboratorio (CDT, Transaminasi,
Gamma-Gt).
Ciò considerato, il dato più rilevante è che tutti i soggetti con CDT
elevata al primo controllo, hanno mostrato valori normali al secondo.
Riteniamo che ciò sia dovuto: 1) all’informazione sui danni alla salute dell’alcol, 2) alla conoscenza delle normative su alcol e lavoro, 3) all’uso come indicatore di consumo alcolico della CDT, fatto dai lavoratori
stessi, 4) alla percezione del rischio per sé e gli altri. Il peso di ciascun
fattore va tuttavia approfondito. Quanto è dovuto al controllo ed alle sue
conseguenze, quanto alla percezione del danno alla salute?
Tabella I. Caratteristiche del campione
Tabella II. Risultati
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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È stata registrata una riduzione degli indici di abuso alcolico, ma non
del colesterolo, anch’esso oggetto di counseling.
La CDT è stata percepita come strumento di controllo per la sicurezza, ma anche dello stile di vita. Sembra questo l’elemento più rilevante dell’esperienza, alcune abitudini personali sono cambiate.
Questi risultati vanno verificati nel tempo, ma motivare i lavoratori
appare l’unico modo per passare dal controllo (subito), alla partecipazione (attiva), influenzando il contesto sociale che determina le abitudini,
evidente nelle differenze per età e provenienza.
I mezzi disponibili vanno utilizzati con limiti etici, non ideologici,
purché accettati da lavoratori consapevoli, non oggetto passivo di programmi preconfezionati.
BIBLIOGRAFIA
1) DLgs 81/08 GU 101/08, Suppl. Ord. n. 108/L e GU 180/09, Suppl.
Ord. n. 142/L.
2) Conferenza Unificata Seduta del 30 ottobre 2007 Intesa, ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, in materia
di accertamenti di assenza di tossicodipendenza.
3) Donghi R La verifica dell’assenza di condizioni di alcol dipendenza, in un gruppo di autisti addetti al trasporto e movimento terra:
art. 41 comma 4 del dlgs 81/08. Atti del Convegno Nazionale
ANMA 2009.
4) Verga A. La gestione, in azienda, del rischio da abuso di sostanze alcoliche. Atti del Convegno HSR Resnati 29 novembre 2008, 12-18.
06
ACCERTAMENTO ASSENZA TOSSICODIPENDENZA: MONITORAGGIO
IN ALCUNE PICCOLE AZIENDE. DATI ANNO 2009
F. Massironi
Medico del Lavoro Competente - Monza (MB)
Corrispondenza: Dr Franco Massironi Via Camperio, 8 20052 Monza
(MB) - e-mail [email protected]
DRUG ADDICTION ASSESSMENT: MONITORING STUDY IN
SOME SMALL BUSINESSES. DATA YEAR 2009
ABSTRACT. Recently Italian legislation extended the concept of
health in employment to others’ safety, giving the Occupational
Physician Responsible supervisory functions. The purpose of this study is
to monitor over the years the use of drugs in professional drivers of 31
small businesses.
153 consecutive workers of 31 companies have been informed and
trained about six months prior to their screening drug test; five workers
refused screening. Five of the 148 samples tested (3.4%) resulted positive: 2 for cannabis, 2 for cocaine and 1 for Bruprenorphine [used for
health reasons]. The percentage detected is higher than that reported
probably for the small sample presented. These findings confirm that the
most common drugs of abuse are cannabis and cocaine and that there
are unaware workers (1 in this case) assuming drugs.
Only a worker positive for cocaine consented to the recovery path
through SERT and was then reinstated, indicating that there is a real problem of privacy for the most of the positive workers. The presented study
constitutes the beginning of monitoring for these companies and will be
continued over the years to verify if the information and training of
workers can increase the self-exclusion from work at risk.
Key words: drug, screening test, professional drivers
INTRODUZIONE
La legislazione italiana ha in questi ultimi anni esteso il concetto di
salute in ambito occupazionale anche alle persone terze, assegnando al
medico competente (MC) compiti di vigilanza. Il rapporto di fiducia tra
MC e lavoratore rischia, almeno in alcuni casi, una evoluzione conflittuale con il lavoratore. Scopo del presente lavoro è monitorare negli anni
gli accertamenti di assenza di tossicodipendenza negli addetti a lavori
con rischio per terzi in 31 piccole aziende appartenenti ai settori edile,
metalmeccanico e trasporti.
231
MATERIALI E METODI
153 lavoratori consecutivi appartenenti a 31 aziende, suddivisi in
152 maschi e 1 femmina, di età compresa tra i 19 e i 59 anni con media
di età 42 anni, classi di età più rappresentate tra i 35 e i 50 anni suddivisi
per mansione in: 102 carrellisti/mulettisti; 33 autisti; 18 addetti a macchine di movimentazione terra, sono stati individuati come candidati per
essere sottoposti a indagine di accertamento di assenza di tossicodipendenza. Tutti i 153 lavoratori sono stati informati e formati, approssimativamente sei mesi prima dell’effettuazione della visita e del test di screening per accertamento di assenza di tossicodipendenza, mediante la somministrazione di materiale informativo e riunione con il MC. L’informativa, con caratteristica di questionario, comprendeva la domanda di uso
in passato, da più di un anno, e nell’ultimo anno di sostanze di abuso.
Tutti i questionari, dopo la riunione informativa, venivano riconsegnati
privatamente al MC che ne verificava contestualmente il contenuto e
l’avvenuto apprendimento con apposizione di doppia firma da parte del
lavoratore per esprimere rispettivamente la correttezza delle informazioni fornite sull’uso di sostanze stupefacenti e della coscienza di controindicazione dell’uso di sostanze di abuso durante il lavoro. Il lavoratore era informato dall’azienda, con documento scritto, 24 ore prima dell’effettuazione della visita e della contestuale raccolta del campione di
urine da esaminare. Nella stessa occasione al lavoratore veniva consegnato nuovamente il materiale informativo da consegnare al MC all’atto
della visita.
Il campione di urine è stato raccolto dai lavoratori sotto diretto controllo del MC verificando, nel rispetto del lavoratore, l’autenticità del
campione nelle modalità indicate nel protocollo adottato in Regione
Lombardia. Sotto diretto controllo del lavoratore il campione era suddiviso in tre quote e sigillato con sigilli appositi prestampati numerati e
controfirmati dal medico e dal lavoratore. Il lavoratore e il MC dovevano
firmare il documento di raccolta urine e consenso all’esame di screening
delle droghe in triplice copia uno per il lavoratore uno per il laboratorio
e uno da allegare alla cartella sanitaria e di rischio. Il campione veniva
poi esaminato da laboratorio autorizzato. Il test di conferma dei campioni
postivi con metodo cromatografico è stato effettuato in convenzione con
il laboratorio dell’A.O. Niguarda.
Subito dopo la consegna del campione di urine il lavoratore era sottoposto a visita per escludere evidenti stigmate di tossicodipendenza.
RISULTATI
Dei 153 lavoratori 4 hanno rifiutato lo screening per recente assunzione di droghe con dichiarazione di assunzione di Cannabis; 1 lavoratore ha consegnato un campione contraffatto e successivamente rifiutato
lo screening senza peraltro rivelare quale sostanza avesse assunto. In
tutte e cinque i casi i lavoratori (età compresa tra 19 e 30 anni) non hanno
più svolto la mansione a rischio. Dei 148 campioni esaminati 5 (3,4%)
hanno dato esito positivo 2 per Cannabis; 2 per Cocaina, 1 per Bruprenorfina, peraltro assunta per scopi sanitari. Tutte e cinque i test sono stati
confermati alla cromatografia. Tutti i lavoratori risultati positivi al test di
screening sono stati sospesi dal lavoro a rischio e convocati. Dopo l’esito
del test di conferma 3 lavoratori, nonostante le rassicurazioni, si sono dimessi, un lavoratore è stato reintegrato dopo chiarimenti e la sostituzione
di Bruprenorfina con FANS. Un lavoratore, risultato positivo a Cocaina,
ha acconsentito alla visita al SERT e successivamente è stato reintegrato
su indicazione del SERT, in quanto individuato come consumatore occasionale, con prescrizione di controlli random a cadenza uguale o inferiore
ai 30 giorni, per sei mesi.
DISCUSSIONE
I risultati della presente lavoro ci permettono di confermare che le
droghe di abuso più diffuse sono Cannabis e Cocaina. Sommando i dati
anamnestici ai risultati dello screening l’uso di Cannabis raggiunge le 7
unità pari al 4,6% di abuso di tale sostanza stupefacente nel gruppo totale
dei lavorati considerati. La alta percentuale della somma di soggetti autoesclusi e soggetti risultati positivi al test di screening (9, escludendo il
lavoratore che assumeva Bruprenorfina, su 153 pari al 5,9%) se confrontate con altre statistiche potrebbe essere dovuta alla esiguità del campione
e alla scarsa conoscenza, nel 2009, della normativa soprattutto nei lavoratori della piccola impresa. L’informazione e la formazione pur puntuale,
ha bisogno di tempo per far comprendere la serietà del problema. Molti
lavoratori infatti, non solo giovani, hanno scarsa percezione delle conseguenze sui terzi e penali verso se stessi dell’uso di tali sostanze.
232
Solo un lavoratore ha acconsentito al percorso di recupero accettando di rivolgersi al SERT. Questo evidenzia come ci siano, in particolare nelle piccole realtà, delle obiettive problematiche di privacy.
Il riscontro di positività alla Bruprenorfina ha evidenziato un problema non conosciuto dal curante del lavoratore che pretendeva l’assunzione del farmaco senza controindicare il lavoro di autista. Una lettura attenta del foglietto illustrativo avrebbe già escluso la possibilità di guida.
È da sottolineare come non solo si debba considerare l’assunzione di
droghe per abuso, ma anche a scopo terapeutico per affrontare problematiche di salute non connesse alla tossicodipendenza.
I dati presentati sono l’inizio di un monitoraggio di queste aziende
che sarà proseguito negli anni per verificare se l’informazione e formazione dei lavoratori è in grado di aumentare l’autoesclusione degli stessi
dal lavoro a rischio. I dati che stanno emergendo nel 2010 sembrano seguire questa linea. Ci si deve chiedere se lo spirito della legge venga rispettato in quanto oltre a tutelare i terzi occorre tentare il recupero dei
soggetti che fanno uso di sostanze di abuso come richiamato anche
dall’81/08.
BIBLIOGRAFIA
N. Magnavita et al. Med Lav 2008; 99 (Suppl 2) 10-16.
D. Bontaldi et al. Medico Competente Journal 2010; 1 6-15.
Conferenza Stato Regioni seduta del 30 ottobre 2007 e succ.
Art. 25, comma 1 lettera a D.Lgs. 81/2008.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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TUTELA DELLA DONNA
01
LA FLESSIBILITÀ DELLA ASTENSIONE OBBLIGATORIA
DAL LAVORO PER GRAVIDANZA: PROBLEMATICHE
E DIFFORMITÀ NELLA APPLICAZIONE DELLA NORMA
M.I. D’Orso1, M. Morfea2, A. Messa2, A. Zaniboni3, G. Cesana1
1 Dipartimento di Medicina Clinica e Prevenzione - Università di
Milano Bicocca - Via Cadore 48 - 20052 Monza (MB)
2 Consorzio per lo Sviluppo della Medicina Occupazionale ed
Ambientale - Monza - Viale Brianza 21 - 20052 Monza (MB)
3 CAM - Centro Analisi Monza - Via Missori 9 - 20052 Monza (MB)
Corrispondenza: Dott.ssa Alessandra Messa - Viale Brianza 21 - 20052
Monza (Mi) - Tel 039-2397449, Fax 039-2397421, [email protected]
Parole chiave: astensione dal lavoro, leggi, gravidanza
.
FLEXIBILITY OF COMPULSORY WORK ABSTENTION FOR
PREGNANCY: PROCEDURAL PROBLEMS AND DIFFERENCES
IN LAW APPLICATION
ABSTRACT. 151/2001 Decree allows pregnant workers to ask for
the posposing of the compulsory work abstention period from the end of
the seventh month of pregnancy to the end of the eighth month. Text of
the law is not simple and this has caused relevant differences in its
application in Italian Regions.
To verify the effective application of the law we evaluated the notification of pregnancy received in last five years by Occupational Doctors
working in 165 firms/public bodies where 12548 females were engaged.
Pregnancies signalled in firms/bodies in the period have been 3214.
32,5% of pregnant workers asked for an anticipated work abstention
mostly for gynaecological troubles.
834 pregnant workers asked for posposing the compulsory work abstention period.
82,1% of them were office workers.
Only 29 requests have been refused. 87 pregnant workers, allowed
to stay at work for their eighth month of pregnancy, have renounced
caused they have not been able to organize the travel from their home to
the work place, without driving directly their car.
Many certificates have been drown up by Occupational Doctors the
last possible day for the delay with which the workers have activated the
procedure for obtaining the authorization.
Key words: compulsory work abstention, law, pregnancy
INTRODUZIONE
Il Decreto Legislativo 151/2001 ha introdotto per tutte le lavoratrici
la possibilità di richiedere la posposizione dell’inizio della astensione obbligatoria per gravidanza dalla fine del settimo mese, previsto usualmente dalla norma, alla fine dell’ottavo mese gestazionale.
La concessione di tale deroga peraltro è subordinata ad una serie di
passaggi autorizzativi di non semplice applicazione. Tali procedure
hanno portato ad una variabile applicazione della norma che ha causato
con omogenei trattamenti delle lavoratrici nei diversi ambiti geografici
nazionali. Questa situazione, evidentemente non giustificabile in ogni
caso, verrebbe ad acquistare particolare evidenza in imprese che operano
in sedi su tutto l’ambito nazionale ed in cui, a parità di attività lavorativa,
le lavoratrici verrebbero trattate in modo difforme.
MATERIALI E METODI
Al fine di verificare la effettiva applicazione della norma che regola
la flessibilità della astensione obbligatoria dal lavoro per gravidanza, si
sono valutate le richieste pervenute nell’ultimo quinquennio ai Medici
del Lavoro di 165 tra Imprese ed Enti ubicati su tutto l’ambito nazionale
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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ove lavoravano complessivamente 12.548 femmine avente età anagrafica
compresa tra i 20 ed i 45 anni. Le Imprese e gli Enti facevano riferimento
al settore servizi/pubblica amministrazione in 98 casi, al settore metalmeccanico in 31 casi, al settore tessile in 24 casi. Le rimanenti 12 Imprese erano afferenti a diversi altri settori produttivi.
Nel quinquennio si sono raccolti i dati relativi:
– a tutti i nuovi stati di gravidanza segnalati complessivamente, suddividendoli per il settore produttivo delle Imprese e degli Enti a cui appartenevano le lavoratrici;
– alla numerosità delle astensioni anticipate richieste, sia che fossero
state richieste per problematiche correlate con la gestazione, sia che
la loro motivazione fosse correlata con i rischi professionali dell’attività lavorativa svolta dalla gestante;
– alla numerosità delle richieste di posposizione della astensione obbligatoria;
– alla numerosità delle richieste di posposizione della astensione dal
lavoro accettate dai servizi di Medicina del Lavoro aziendali.
Si sono inoltre registrati i contenziosi con le lavoratrici verificatisi a
seguito dei pareri formulati dai Medici del Lavoro ed infine si sono raccolte le difficoltà organizzative e procedurali incontrate nella applicazione pratica della norma.
RISULTATI
Le gravidanze che sono state segnalate ai servizi del personale delle
imprese o ai servizi di Medicina del Lavoro nel quinquennio dalle lavoratrici incluse nello studio sono state 3.214.
Tali gravidanze sono state segnalate soprattutto da lavoratrici del settore dei servizi.
La frequenza di gravidanze in tale settore è risultata essere doppia rispetto a quelle registrate nei settori metalmeccanico e tessile.
Delle gravidanze segnalate 127 risultano aver subito una interruzione anticipata spontanea prima dell’inizio della astensione obbligatoria dal lavoro. Delle lavoratrici gravide il 32,5% ha chiesto ed ottenuto
una astensione anticipata dal lavoro secondo le procedure previste dal
D.Lgs. 151/01. Di queste astensioni anticipate la assoluta maggioranza
(90,8%) è stata concessa per l’insorgenza di problematiche gestazionali.
Solo nel 9,2% dei casi esse sono state concesse per motivi correlati con
l’attività lavorativa svolta, definita a rischio per la gravidanza, peraltro
con variabilità estrema nei diversi ambiti regionali e nei diversi comparti produttivi valutati. Come noto infatti la norma prevede che la concessione di tali astensioni anticipate sia ufficializzata solo dopo la verifica della effettiva impossibilità di ricollocare transitoriamente la lavoratrice in attività presenti in impresa e non comportanti rischi per la gravidanza. I criteri per tale valutazione sono risultati evidentemente
difformi nei diversi ambiti regionali. In particolare in Lombardia e Piemonte gli Ispettorati del Lavoro tendono a ritenere possibile una ricollocazione in altro ruolo, anche non esattamente combaciante con i profili professionali delle lavoratrici, mentre ciò non viene ritenuto usualmente possibile dagli Ispettorati della Emilia Romagna e della Toscana
che hanno più frequentemente deciso di concedere la anticipazione della
astensione richiesta.
Le lavoratrici gravide che hanno ritenuto di richiedere la posposizione della astensione obbligatoria sono state nel complesso 834. Di
queste lavoratrici 82,1% erano occupate in lavoro di ufficio o ad esso assimilabile. Delle 834 posposizioni richieste 29 non sono state accolte per
incompatibilità del lavoro specifico con la avanzata gestazione. Di queste
non accettazioni, 11 sono state impugnate dalle lavoratrici presso gli organi di vigilanza competenti per territorio che le hanno sempre respinte
con varie motivazioni. Delle richieste accolte si segnala che ben 87 posposizioni non sono state poi attivate dalle lavoratrici in considerazione
del fatto che queste non sono state in grado di organizzarsi per raggiungere il posto di lavoro senza avere la necessità di guidare direttamente la
propria autovettura.
DISCUSSIONE
Dai risultati emerge come, dopo un iniziale periodo di solo parziale
applicazione, probabilmente a seguito di una maggiore informazione
delle lavoratrici, la posposizione della astensione obbligatoria dal lavoro
venga ormai regolarmente richiesta da un numero crescente di lavoratrici
in gravidanza. La richiesta del beneficio viene prevalentemente avanzata
dalle lavoratrici operanti in ambito di ufficio. Le lavoratrici operanti in
ambito produttivo infatti, a causa dei non irrilevanti sforzi fisici media-
233
mente richiesti dai loro usuali compiti lavorativi, pur magari desiderandolo, non hanno ritenuto di avere la possibilità fisica di sostenere una regolare attività lavorativa nell’ottavo mese gestazionale. La richiesta della
posposizione della astensione obbligatoria è risultata maggiormente utilizzata in quelle regioni ove, probabilmente per motivazioni anche culturali, maggiore è anche il numero delle lavoratrici gravide che permane al
lavoro fino alla fine del settimo mese. In merito si sono rilevate profonde
discrasie tra i comportamenti dei diversi Ispettorati del Lavoro risultando
evidente come, in alcune aree geografiche soprattutto del Centro Italia, si
tenda a definire lo stato di gravidanza in quanto tale incompatibile con
un elenco di attività francamente molto vasto. Ciò rende ovviamente
meno utilizzata nelle medesime aree geografiche la posposizione della
astensione obbligatoria. Problematica per molte lavoratrici è stata la gestione dello spostamento casa/lavoro che è stato addirittura frequentemente motivo di rinuncia alla posposizione anche quando eventualmente
concessa.
Si rileva infatti in merito che, pur se non espressamente previsto
dalla norma, molte sedi territoriali dell’Istituto previdenziale nell’ottavo mese gestazionale richiedono espressamente che sia specificato
sui certificati autorizzativi il divieto di guida diretta di veicoli da parte
delle lavoratrici nel percorso casa/lavoro. Si segnala che molti certificati sono stati redatti dai Medici del Lavoro nell’ultimo giorno utile
prima della scadenza del settimo mese gestazionale e con qualche affanno, per il ritardato inizio da parte della lavoratrice della pratica di
conseguimento della autorizzazione anche del Ginecologo curante.
Particolarmente difficile da gestire si è infine rivelata talvolta la richiesta di posposizione della astensione obbligatoria avanzata da lavoratrici operanti in reparti di aziende ove altre lavoratrici a parità di
mansione avevano ottenuto dalla sede dell’Ispettorato del Lavoro territoriale la astensione anticipata dal lavoro per motivi professionali. Si
ritiene che la concessione delle due diverse ed antitetiche autorizzazioni a lavoratrici impegnate nelle medesime attività debba essere assolutamente evitata. La normativa sulla posposizione della astensione
obbligatoria dal lavoro per gravidanza è ormai nota e correntemente
utilizzata da molte lavoratrici che dimostrano di apprezzare la flessibilità che la legge ha concesso.
Esistono però problematiche applicative che ancora ostacolano una
più diffusa applicazione della norma e tra queste deve essere evidenziata
la gestione eterogenea delle scelte inerenti al rapporto gravidanza/lavoro
a rischio che le sedi degli organi di vigilanza territoriali correntemente
assumono nei diversi sistemi sanitari regionali.
02
IL WORK ABILITY INDEX NELLE DONNE CHE LAVORANO:
LA PERCEZIONE DI CAPACITÀ LAVORATIVA DEL PERSONALE
INFERMIERISTICO
D. Camerino, M. Sandri, S. Sartori
Dipartimento di Medicina del Lavoro dell’Università degli Studi di
Milano - Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico
- Via San Barnaba 8, 20122 Milano
Corrispondenza: Donatella Camerino - Dipartimento di Medicina del Lavoro, Clinica del Lavoro “L. Devoto” - Via San Barnaba 8 - 20122 Milano
Parole chiave: capacità funzionale, lavoratrici, infermiere
THE WORK ABILITY INDEX OF WOMAN AT WORK:
THE NURSES’ SELF PERCEPTION OF WORK ABILITY
ABSTRACT. The Work Ability Index is a reliable tool to assess
subjective and objective issues of workers’functional capacity, which is
affected by adverse and frustrating working conditions. Moreover it is
generally lower in females than in males owing, probably, to lower
tolerance to physical and cognitive loads, higher family responsibilities
and less influence and support at work. Random Forest Analysis
demonstrated, in a population of 3449 italian female nurses, an
important adverse effect of Effort Reward Imbalance, Overcommitment,
Family/work conflict and Work/family conflict on Work ability.
234
Overcommitment and Work/family conflict distinguish women from men.
Considering the shortage of registered nurses and the extended years at
work before retirement age, healthcare organizations should enhance the
staff influence and adequately manage their work and leisure time.
INTRODUZIONE
Il work ability index (WAI) è una buona misura per valutare gli
aspetti soggettivi ed oggettivi della capacità funzionale dei lavoratori (Ilmarinen and Tempel 2002). La capacità funzionale, così come auto-percepita nell’esercizio della propria professione e come certificata da diagnosi mediche sui disturbi attuali, è risultata ridotta in presenza di situazioni lavorative frustranti (Tsutsumi and Kawakami 2004; van Vegchel et
al. 2005; Siegrist 2004).
Nelle popolazioni femminili, il WAI è generalmente più basso che
in quelle maschili (Sartori et al. 2007). L’analisi dettagliata delle risposte alle differenti voci del WAI ha dimostrato, tra le donne, un maggiore numero di disturbi attuali diagnosticati da un medico, una difficoltà maggiore a continuare il lavoro a causa dei suddetti disturbi e più
assenze (Sartori et al. 2007; Camerino et al. 2010). Il dato potrebbe essere spiegato con il fatto che le donne hanno: una minor tolleranza ai carichi fisici e cognitivi (Barbini et al. 2005), un aggravio di lavoro domestico, ed un impegno che raramente viene riconosciuto e valorizzato
ai fini delle decisioni organizzative e/o di avanzamento di carriera
(Zajczyk, 2007).
MATERIALI E METODI
Su i dati di 3949 infermiere impiegate in diverse strutture sanitarie
italiane (Camerino, 2010) è stata applicata la Random Forest Analysis
(Breiman 2001) per valutare, in ordine d’importanza, quali condizioni
compromettano maggiormente la capacità lavorativa (WAI). Sono state
introdotte le variabili: “squilibrio tra impegno lavorativo e riconoscimento” di Siegrist (ERI-Ratio), “difficoltà a staccare dai pensieri di lavoro durante il tempo libero” di Siegrist (ERI_Overcommitment), “conflitto casa/lavoro” (F/Wc) e “lavoro/casa” (W/Fc) di Netemeyer, turni,
età, stato civile, numero di figli e presenza di altre persone di cui prendersi cura. La stessa analisi è stata condotta con SPSS applicando i metodi parametrici su 1088 infermieri e 2935 infermiere della popolazione
NEXT (Nurses’Early Exit Study).
RISULTATI
Alla Random Forest Analysis, il WAI è risultato inversamente correlato, in ordine di importanza, a ERI-Ratio, ERI-overcommitment,
F/Wc e F/Wc. Le altre variabili sono risultate meno influenti.
Al modello di regressione lineare univariato (GLM), sia maschi che
femmine hanno presentato valori più bassi al WAI in associazione a
“squilibrio tra impegno lavorativo e ricompensa” e “interferenza degli
impegni di famiglia su quelli di lavoro; solo per le donne il WAI è risultato peggiore anche in associazione a “interferenza degli impegni di lavoro con quelli di famiglia” e a “impossibilità a liberarsi dai pensieri di
lavoro nel tempo libero” (Tab. I).
Tabella I. GLM univariate. Associazione tra condizioni di lavoro
e WAI, separatamente per donne e uomini, controllando
per turni, età, stato civile, numero di figli e presenza
di altre persone di cui prendersi cura
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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DISCUSSIONE
Questi risultati confermano che, per il personale infermieristico femminile, la mancanza di gratificazioni per l’impegno di lavoro, le difficoltà a rilassarsi e distrarsi durante il tempo libero e l’interferenza negativa degli impegni familiari sul lavoro e viceversa sono causa di effetti
negativi sulla salute ed il benessere di questo personale. Rispetto agli uomini, le donne sembrano risentire di più della pervasività del lavoro sulla
propria vita familiare per il ruolo principale che ancora svolgono nella
cura della famiglia e per maggiori preoccupazioni e coinvolgimento
emotivo che provano sul lavoro.
In considerazione della carenza di personale infermieristico e del
prolungarsi negli anni dell’impegno lavorativo prima dell’età pensionabile, sono auspicabili interventi mirati ad attribuire a questa figura professionale maggior influenza e prestigio ed a gestire in modo più equilibrato i tempi di lavoro e di vita, specialmente se l’infermiere è donna.
BIBLIOGRAFIA
Barbini N, Gorini G, Ferrucci L, Biggeri A. Analysis of arterial hypertension and work in the epidemiologic study “Aging, Health and
Work”. Epidemiol Prev 2005; 29:160-165.
Breiman L. Random Forests. Machine Learning 2001; 45 (1): 5-32.
Camerino D, Sandri M, Sartori S, Campanini P, Conway PM, Fichera G,
Costa G. Effort-reward imbalance and work ability index among italian female nurses: the role of family status and work-family conflict. 4th Symposium on Work Ability: Age Management during the
Life Course. Tampere (Finland) 2010.
Ilmarinen J, Tempel J. Work Ability 2010. What can we do so that you
remain well? Hamburg: VSA; 2002.
Sartori S, Dotti R, Conway PM, Costa G. Il Work ability Index (WAI)
come strumento per il monitoraggio della capacità funzionale di lavoro in relazione all’invecchiamento. Congresso annuale Associazione Italiana di Epidemiologia: L’epidemiologia dell’invecchiamento. Ostuni, 2007.
Siegrist J. Psychosocial work environment and health: new evidence. J
Epidemiol Community Health 2004; 58: 888.
Tsutsumi A, Kawakami N. A review of empirical studies on the model of
effort-reward imbalance at work: reducing occupational stress by
implementing a new theory. Soc Sci Med 2004; 59: 2335-2359.
van Vegchel N, de Jonge J, Bosma H, Schaufeli W. Reviewing the effortreward imbalance model: drawing up the balance of 45 empirical
studies. Soc Sci Med 2005; 60: 1117-1131.
Zajczyk F. La resistibile Ascesa delle donne in Italia. Milano, Il saggiatore Ed. 2007.
03
CARATTERISTICHE DI PERSONALITÀ IN SOGGETTI VITTIME
DI MOBBING: RISULTATI AL REATTIVO DI DISEGNO DI WARTEGG
S. Punzi1, G. Castellini2, P.M. Conway1, M.G. Cassitto2, G. Costa2
1 Dipartimento di Medicina del Lavoro “Clinica del Lavoro Luigi
Devoto”, Università degli Studi di Milano, via San Barnaba 8, 20122,
Milano
1 Servizio Stress e Disadattamento Lavorativo, Fondazione IRCCS “Ca’
Granda - Ospedale Maggiore Policlinico”, via Manfredo Fanti 6, 20122,
Milano
Corrispondenza: Silvia Punzi. Dipartimento di Medicina del Lavoro
“Clinica del Lavoro Luigi Devoto”, Università degli Studi di Milano. Via
San Barnaba, 8 - 20122, Milano. Tel: 02/50320153. Fax: 02/50320150.
E-mail: [email protected]
VICTIMS OF WORKPLACE BULLYING: CONSIDERATIONS
ABOUT PERSONAL CHARACTERISTICS USING THE WARTEGG
DRAWING COMPLETION TEST
ABSTRACT. Bullying at work has been described as a phenomenon
with a multi-factorial aetiology. Studies reported that personal
characteristics may play a role in the bullying process, although there is
no evidence of a general “victim personality”. The aim of the study is to
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evaluate personality characteristics of victims of workplace bullying
using the semi-structured projective technique Wartegg Drawing
Completion Test. We analysed 198 subjects who sought health care for
bullying-related complaints (51% women, 75.3% in the age group 35-54,
54.5% secondary school, 52.5% white-collars). A control group of 102
subjects was recruited. Concerning adaptation skills, no significant
differences were found between victims and the control group. However,
victims were significantly more likely to report a general depressive
status and introversion, interference of emotional-affective disturbances
with cognitive performance and an imbalance between affectivity and
rationality (resulting in an acting-out or an inhibition tendency). From
our study non definite causal conclusions can be drawn. However, as the
differences between victims and non victims relate more to the emotional
status than to adaptation skills, we may believe that these characteristics
are more of a reactive nature, even if we are aware that some personality
characteristics may play a role in predisposing such reactions.
Key words: workplace bullying; mobbing; personality
INTRODUZIONE
Il mobbing è un fenomeno ad eziologia multifattoriale in cui interagiscono fattori socio-economici, organizzativi, di gruppo ed individuali. Tenendo conto della complessità del fenomeno un modello esaustivo di mobbing dovrebbe includere quindi anche il ruolo dei fattori
individuali ed il loro contributo nell’insorgenza e nell’evoluzione della
situazione avversativa, nonché nelle conseguenze sulla salute (Zapf e
Einarsen, 2003). Numerosi studi descrivono alcune caratteristiche di
personalità delle vittime di mobbing prospettandone un ruolo: le vittime per esempio sono descritte come ansiose, carenti nelle abilità sociali e nell’autostima, eccessivamente scrupolose e coinvolte nell’attività lavorativa, ma non vi sono evidenze sull’esistenza di un profilo tipico di personalità (cft. Zapf e Einarsen, 2003). Glasø et al. (2007) ad
esempio hanno rilevato come, su un campione di 72 vittime di mobbing, solo un terzo dei soggetti tende ad essere significativamente più
ansioso e meno accomodante, coscienzioso ed estroverso, mentre la
maggior parte dei soggetti non differisce dal campione di controllo.
Altri autori (Leymann e Gustafsson, 1996) sottolineano invece come la
“personalità premorbosa” non giochi alcun ruolo nell’insorgenza del
mobbing che viceversa avrebbe la potenzialità di apportare cambiamenti permanenti sulla personalità attivando meccanismi ossessivi (es.
atteggiamento ostile e sospettoso, senso di pericolo imminente, ipersensibilità alle ingiustizie) e sintomi depressivi (sentimenti di sfiducia
e isolamento sociale). L’obiettivo dello studio è approfondire la tematica delle caratteristiche di personalità delle vittime di mobbing attraverso il Reattivo di Disegno di Wartegg. L’uso di un test proiettivo garantisce, rispetto agli strumenti self-report prevalentemente utilizzati in
letteratura, la possibilità di limitare la tendenza a fornire una particolare visione di sé da parte del soggetto.
MATERIALI E METODI
Il campione è composto da 198 soggetti vittime di mobbing (51%
donne, 75.3% età compresa tra 35 e 54 anni, 54.5% scuola media superiore, 52.5% impiegati), visitati presso il Centro Stress e Disadattamento
Lavorativo della “Clinica del Lavoro L. Devoto” di Milano. Il campione
di controllo, composto da 102 soggetti in visita periodica nell’ambito
della sorveglianza sanitaria e da volontari, non differisce dal campione
sperimentale per sesso ed età, ma presenta una scolarità significativamente più elevata. Il Reattivo di Disegno di Wartegg, parte integrante
del protocollo somministrato per gli accertamenti, è una tecnica proiettiva semi-strutturata contenente stimoli grafici che il soggetto è invitato
a completare con disegni spontanei. Gli stimoli grafici evocano risposte
che rivelano informazioni su differenti aree della personalità. I risultati
del test sono stati analizzati attraverso il sistema di codifica di Crisi
(1998), che prevede una quantificazione numerica su differenti parametri tra i quali sono stati considerati il “contenuto evocativo”, la “qualità affettiva” e la “qualità formale”. Il “contenuto evocativo” si riferisce
all’abilità simbolica di percepire e processare lo stimolo ed è indice
delle abilità soggettive di adattarsi ed interagire con l’ambiente. La
“qualità affettiva” si riferisce alla disposizione generale affettiva ed
emotiva del soggetto, indicando il grado di sintonia che può raggiungere
nelle relazioni interpersonali. La “qualità formale” si riferisce all’integrità cognitiva indicando l’adeguatezza dell’esame di realtà. Ogni parametro ottiene un punteggio finale con valori da 0 a 100. L’indice di sta-
235
bilizzazione affettiva infine, calcolato attraverso il confronto tra qualità
affettiva e formale, rivela il grado di stabilità emotiva, auto-controllo e
maturità affettiva. Il gruppo sperimentale e di controllo sono stati confrontati mediante regressione logistica multivariata, aggiustando per
sesso, età e scolarità.
RISULTATI
Per quanto riguarda il “contenuto evocativo”, il 42.4% dei soggetti
presenta adeguate capacità di adattamento, mentre il 43.4% mostra una
certa mancanza di flessibilità e il 14.1% eccessiva sensibilità all’ambiente, senza alcuna differenza significativa tra campione sperimentale e
di controllo. Per quanto riguarda la “qualità affettiva” il 31.8% delle vittime di mobbing presenta stabilità emotiva, mentre il 10.6% mostra eccessivo adattamento all’ambiente con compiacenza nelle relazioni interpersonali; il 57.6% presenta infine una tendenza depressiva all’introversione e al ritiro sociale con differenze significative rispetto al campione
di controllo (22.5%; O.R.=4.7 I.C. 2.5-8.6). Per quanto riguarda la “qualità formale” il 15.7% presenta un buon controllo intellettivo sulle manifestazioni emotivo-affettive, il 17.2% un eccessivo controllo intellettivo
e perfezionismo, il 14.1% presenta difficoltà cognitive. Nel 53% dei casi
si rileva invece un’interferenza dei disturbi emotivo-affettivi sulle prestazioni cognitive con differenze significative rispetto al campione di
controllo (21.6%; O.R.=2.6 I.C. 1.2-5.5). Le vittime di mobbing infine
sono risultate avere un maggior sbilanciamento tra emotività e razionalità rispetto al campione di controllo, con maggior tendenza all’aggressività (O.R.=2.6 I.C. 1.1-6.0) o all’inibizione (O.R.=2.9 I.C. 1.3-6.7).
DISCUSSIONE
Dai dati non emergono differenze significative tra le vittime di mobbing e il campione di controllo nelle abilità di adattamento e interazione
con l’ambiente: la presenza di rigidità adattiva o di eccessiva sensibilità
alle stimolazioni esterne sembrano rientrare nella normale variabilità interpersonale. Le vittime di mobbing differiscono invece dagli altri soggetti per una maggiore presenza di caratteristiche depressive e di chiusura e ritiro dalle relazioni sociali, come rilevato in altri studi (Glasø et
al., 2007; Leymann e Gustafsson, 1996; Matthiesen e Einarsen, 2001).
Le vittime di mobbing presentano inoltre una maggiore interferenza dell’emotività sulla sfera cognitiva, che può manifestarsi sia a livello delle
prestazioni, ad esempio con difficoltà attentive e di concentrazione, sia a
livello di valutazione razionale degli eventi, per esempio con tendenza
all’iper-suscettibilità, visione negativa sul futuro, sentimenti di inadeguatezza e colpa. Lo squilibrio tra razionalità ed emotività si può manifestare ora a vantaggio dell’una, con inibizione della sfera emotiva esitante in apatia, anedonia ma anche auto-aggressività, ora a vantaggio dell’altra con il prevalere di una tendenza all’acting-out e manifestazioni di
intolleranza e rabbia prevalentemente agita verso l’esterno. Il modello di
ricerca utilizzato non ci permette di definire una direzione causale tra le
caratteristiche di personalità rilevate e il processo di vittimizzazione. Tuttavia le differenze rilevate tra il campione sperimentale e il campione di
controllo riguardano più lo stato emotivo/affettivo che le capacità adattive, stato che può essere almeno in parte reattivo alla situazione avversativa, come ampliamente descritto in letteratura (cft. Zapf e Einarsen,
2003; Cassitto, 2001). Siamo tuttavia consapevoli del fatto che alcune
caratteristiche di personalità possano giocare un ruolo nel predisporre
alle specifiche reazioni stesse. La complessità della questione e l’esperienza clinica ci fanno propendere per un’ipotesi esplicativa che tenga
conto di un’interazione reciproca e circolare tra le caratteristiche di personalità e il processo di vittimizzazione, la cui entità e direzione è definibile, sul singolo caso, in sede clinica ed avrebbe l’utilità di apportare
interventi correttivi più mirati ed efficaci sul singolo e sull’organizzazione del lavoro.
BIBLIOGRAFIA
Cassitto M.G. Molestie morali nei luoghi di lavoro: nuovi aspetti di un
vecchio fenomeno. La Medicina del Lavoro 2001; 92 (1): 12-24.
Crisi A. Manuale del test di Wartegg. Roma, Magi 1998.
Glasø L., Matthiesen S.B., Nielsen M.B., Einarsen S. Do targets of workplace bullying portray a general victim personality profile? Scandinavian Journal of Psychology 2007; 48: 313-319.
Leymann H., Gustafsson A. Mobbing at work and the development of
post-traumatic stress disorders. European Journal of work and Organizational Psychology 1996; 5 (2): 251-275.
236
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Matthiesen S.B., Einarsen S. MMPI-2 configurations among victims of
bullying at work. European Journal of Work and Organizational
Psychology 2001; 10 (4): 467-484.
Zapf D., Einarsen S. Individual antecedents of bullying. Victims and perpetrators. In: Einarsen S., Hoel H., Zapf D. and Cooper C.L. (2003)
Bullying and emotional abuse in the workplace. International perspectives in research and practice. London/New York, Taylor and
Francis 2003.
04
RISULTATI DI UNA INDAGINE SULLE LAVORATRICI MADRI
CONDOTTA NELL’AREA VASTA TOSCANA NORD
L. Bramanti1, C. Di Pede2, G. Carra3, G. Trevisan3, M. Puccetti4,
M. Da Frè5
1 Unità Funzionale Prevenzione Luoghi di lavoro Azienda USL 12
Viareggio
2 Unità Funzionale Prevenzione Luoghi di lavoro Azienda USL 5 Pisa
3 Unità Funzionale Prevenzione Luoghi di lavoro Azienda USL 1 MassaCarrara
4 Unità Funzionale Prevenzione Luoghi di lavoro Azienda USL 2 Lucca
5 Agenzia Regionale di Sanità, Firenze
Corrispondenza: [email protected]
Parole chiave: esposizione lavorativa e gravidanza, lavoro e gravidanza
RESULT OF A QUESTIONNAIRE INTERVIEW IN PREGNANT
FEMALES WORKERS LIVING IN NORTHERN TUSCANY AREA
ABSTRACT. Aim: To study a group of female workers in order to
evaluate their occupational-exposure during pregnancy.
Methods: 5412 workers (mean-age 31,7d.s.4.4yrs) have been
interviewed by phone after the delivery by questionnaire (age, job,
occupational-field,work during pregnancy, return to work after the
delivery).
Results: 48% of agricoltural workers, 31% of sales women 40% of
hairdressers and beuticians was working during pregnancy.
Among women who did not work during pregnancy,in hairdressers
and beuticians 47% was because of diseases and 51% because of
occupational exposure, in sales women 47% because of diseases and
50% because of occupational exposure.
85,8% of women returned to work after the delivery, 6% of those
have later stop work: 2% because of a new pregnancy.
Medium age of the babies was 7 months when the mother was back
to work.
When back to work workers changed: 30,4% work schedule, 11,5%
contract, 10,6% task, 28,9% role. Only in 46,5%, such changes were
done for women decision.
While the mother was working the baby was:70% with
grandparents, 19% in public nursery and only in 0.3% in companynursery.
7,3% of fathers used paternity-leave,for a medium-period of 22
days.
Conclusions: Many pregnant-women with occupational-exposure
continue to work: educational-programs for workers and companies are
needed.
INTRODUZIONE
L’interesse per lo studio degli effetti avversi sulla salute della madre
e del nascituro è andato crescendo nell’ultimo decennio.
Nel 2004 L’International Labour Office (ILO), ha pubblicato un documento1 nel quale si afferma che la protezione della maternità salvaguarda la
donna, il suo lavoro, il nascituro ed il nostro futuro, e che pertanto la tutela
della salute durante la gravidanza deve essere considerata una priorità.
Nel Marzo 2006 il NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Health) ha pubblicato un rapporto2 sul Progetto NORA, nato nel
1996, che illustra i risultati di 10 anni di ricerca nel campo degli effetti
dell’esposizione lavorativa sugli output della gravidanza.
Negli ultimi anni in Italia è cresciuta l’occupazione femminile ed il
passaggio dalle attività artigianali-industriali a quelle dei servizi ha interessato maggiormente le donne, le quali sono anche più spesso lavoratrici
precarie. Le lavoratrici part-time nelle fasce 25-34 e 35-44 anni sono rispettivamente il 1,6% e 2% tra quelle senza figli ed il 12,6% e14,4% tra
quelle con figli (ISTAT2003). La legislazione italiana in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro prevede per le lavoratrici in gravidanza
e puerperio il diritto ad essere informate su operazioni o mansioni pericolose e obbliga i datori di lavoro a verificare la presenza di rischi per le
lavoratrici in età fertile e l’allontanamento dal rischio lavorativo o attraverso l’assegnazione a compiti non pericolosi o tramite l’allontanamento
anticipato dal lavoro.
In Toscana le Unità Funzionali di Prevenzione, Igiene e Sicurezza
nei Luoghi di Lavoro (PISLL) delle Aziende UUSSLL, sono chiamati ad
analizzare i fattori di nocività e le possibili soluzioni per consentire alle
donne di lavorare in condizioni di sicurezza durante il periodo della gravidanza e del puerperio e per favorirne l’accesso alle azioni di tutela.
Scopo del nostro progetto è quello di studiare le lavoratrici madri
nell’Area Vasta Toscana Nord e verificare le condizioni di svolgimento
della gravidanza in relazione al lavoro.
MATERIALI E METODI
In Toscana, presso i Distretti Sanitari ed i Consultori, all’inizio della
gravidanza viene consegnato a tutte le donne un libretto-ricettario con il
quale esse possono effettuare gratuitamente tutti gli accertamenti diagnostici.
In questa occasione, presso le strutture dell’area vasta Toscana nord,
a tutte le donne, per un periodo di 3 anni, sono stati somministrati questionari per la raccolta di informazioni anagrafiche, anamnestiche e lavorative (nome, cognome, residenza e domicilio, recapiti telefonici, codice fiscale, numero di figli (parità), precedenti abortivi, difficoltà nel
concepimento, epoca presunta del parto, stato civile, titolo di studio, professione, tipo di attività e settore produttivo (differenziando tra lavoratrici dipendenti, libere professioniste e socie di cooperative) tipo di contratto, orario di lavoro.
Le lavoratrici esposte a possibili fattori di nocività in ambiente di lavoro sono state informate sui rischi e sulle norme di tutela vigenti durante
la gravidanza, che prevedono l’allontanamento dal rischio lavorativo oppure l’allontanamento anticipato dal lavoro.
Le donne con lavoro dipendente e quelle con contratti atipici sono
state poi intervistate a distanza di un anno dal parto tramite un questionario telefonico.
Il questionario conteneva domande sui seguenti aspetti: settore e mansione lavorativi durante la gravidanza, eventuali modifiche della mansione,
allontanamento per rischio lavorativo o patologia della gravidanza, informazioni ricevute sulla tutela in gravidanza, rientro al lavoro dopo la maternità, durata dell’assenza dal lavoro, modifiche di mansione/orario/contratto/compiti/ruolo al rientro e loro motivazioni, difficoltà al momento
della ripresa del lavoro, organizzazione della custodia del bambino.
Alle donne che non avevano ripreso il lavoro dopo la maternità, venivano fatte domande su: motivazioni di tale scelta, intenzione di riprendere il lavoro in futuro, intenzione di scegliere il telelavoro.
Alle donne che avevano ripreso il lavoro e successivamente lo avevano abbandonato, venivano fatte domande su: motivazioni della cessazione, intenzione di riprendere il lavoro in futuro, intenzione di scegliere
il telelavoro.
RISULTATI
Sono state intervistate 17.826 donne in gravidanza, di queste 16.518
erano italiane e 1223 straniere e 10.097 erano lavoratrici dipendenti o
atipiche.
5412 donne (età media 31,7d.s.4.4 mediana 30 (26-34)) pari al 53,6%
del campione, hanno poi effettuato l’intervista telefonica post-partum.
Nel 67% dei casi l’età del bambino al momento dell’intervista era
18-29 mesi.
Il 56% delle donne non ha lavorato durante la gravidanza, il 20% ha
lavorato fino al 7° mese e il 25% fino all’8° mese.
Le donne hanno continuato a lavorare durante la gravidanza in alcuni settori a rischio: il 48% delle lavoratrici in agricoltura, il 31% delle
addette al commercio, il 40% delle addette ai servizi di estetica/acconciatura. Solo in una percentuale molto bassa di casi le lavoratrici di questi
settori hanno modificato la mansione.
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Tra le donne che non hanno lavorato durante la gravidanza, il numero delle allontanate per patologia rispetto alle allontanate per rischio
sono rispettivamente: 47% e 51% nelle parrucchiere, 47% e 50% nel
commercio, 26%e 72% nelle addette pulizie/colf-lavoratrici della sanitàbariste, cameriere, cuoche.
Le lavoratrici con mansioni a rischio nel 47% dei casi hanno riferito
di essere state allontanate dal lavoro per patologia.
Sul totale delle lavoratrici con mansioni a rischio, solo il 23,9% ha
ottenuto il cambio mansione.
Dopo la maternità, l’85,8% delle donne ha ripreso il lavoro, il 6%
di queste ha successivamente cessato, nel 2%dei casi per una nuova
gravidanza.
L’età media del bambino alla ripresa del lavoro è di 7 mesi.
Al rientro al lavoro le donne hanno cambiato rispettivamente: il
30,4% orario di lavoro, l’11,5 contratto, il 10,6 mansione, il 28,9% compiti o ruolo.
Solo nel 46,5% dei casi tali modifiche sono avvenute per decisione
della donna.
Al ritorno della madre al lavoro, la custodia del bambino è stata affidata: nel 70% dei casi a parenti, nel 19% al nido pubblico e nello 0.3%
al nido aziendale.
I padri hanno usufruito del congedo di paternità nel 7,3% dei casi e
per una media di 22 giorni.
CONCLUSIONI
Nonostante il lavoro di informazione delle lavoratrici in gravidanza
avvenuta nel corso dell’indagine, in alcuni settori lavorativi con presenza
di fattori di nocività, le donne hanno continuato a lavorare durante la
gravidanza.
Inoltre sono ancora alte le astensioni per patologia in presenza di lavoro a rischio.
È quindi necessario svolgere azioni mirate di informazione per migliorare la conoscenza delle normative e la consapevolezza del rischio
delle lavoratrici e dei datori di lavoro, in particolare in alcuni settori nei
quali i fenomeni di non corretta gestione del rischio professionale durante la gravidanza sono risultati più diffusi.
BIBLIOGRAFIA
1) Paul J.: “Healthy beginnings:Guidance on safe maternity at work”,
International Labour Organization, Geneva, 2004.
2) National Occupational Research Agenda, Reproductive Health Research Team (NORA, RHRT), NIOSH, 2006.
05
IL RUOLO DELLE DIVERSE FIGURE MEDICHE NELLA TUTELA
DELLA LAVORATRICE MADRE: L’ESPERIENZA DI PADOVA
I. Maccà1, S. Maso1, A. Agnello2, R. De Gobbi2, R. Bizzotto3,
E. Cestari4, G.B. Bartolucci1
1 Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica, Università di
Padova; Via Giustiniani, 2 - Padova
2 Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di
Padova;via S. Prosdocimo, 6 - Padova
3 Servizio di Prevenzione Igiene e Sicurezza Ambienti di Lavoro, AULSS
15 Camposampiero-Cittadella (PD); Via Cao del Mondo Camposampiero (PD)
4 Servizio di Prevenzione Igiene e Sicurezza Ambienti di Lavoro, AULSS
17 Conselve-Este (PD) piazza Cesare Battisti 11 - Conselve (PD)
Corrispondenza: Dott.ssa Isabella Maccà - Dipartimento di Medicina
Ambientale e Sanità Pubblica, Università di Padova - Via Giustiniani, 2
- 35128 - Padova - E mail: [email protected]
THE ROLE OF VARIOUS FIGURES IN THE MEDICAL
PROTECTION OF THE WORKING MOTHER: THE EXPERIENCE
OF PADUA
ABSTRACT. In January 2009, was published by the Order of
Physicians of the Province of Padua, a book entitled “Motherhood and
237
Work.” This initiative had the aim to inform all medical doctors in the
field of laws relating to protection of women, mother and worker, aware
of the risk assessment that work may result in a pregnancy; offer a way
to approach common issues and homogeneous forms in the province,
providing information on institutions contacts of prevention and
protection. The high-risk pregnancy, risk pregnant workers and health
care with procedures to be implemented in different cases, are presented.
The various figures in the medical maternity protection for working
women, are described: the general practitioner who knows history and
physical, psychological state of his patient; the gynecologist,
fundamental and indispensable professional who often complete the first
certification; the occupational physician, important figure between
worker and workplace, cooperating in the essential part of risk
assessment; the physician SPISAL, serving as the control and
collaboration; finally the pediatrician, who takes charged for a new born
and mother. Models of certificates by various figures and the list of work
hard, dangerous or unhealthy working conditions and staff forbidden to
pregnant workers, are shown.
Key words: pregnant worker, risk assessment, medical maternity
protection
INTRODUZIONE
Con la pubblicazione del D.Lgs 151/01 è stata conferita organicità e
sistematicità, nella forma di Testo Unico (TU) alla disciplina che riguarda la tutela ed il sostegno della maternità/paternità. Nella pubblicazione, intitolata “Maternità e lavoro”, dell’Ordine dei Medici della Provincia di Padova (1), vengono presentate le situazioni riscontrabili, dalla
gravidanza a rischio al rischio lavorativo in gravidanza e le relative tutele previste dal TU. Sono descritti i ruoli essenziali delle diverse figure
mediche nella tutela della maternità delle donne lavoratrici e riportati i
differenti modelli di certificati medici e l’elenco dei lavori faticosi, pericolosi e insalubri o di agenti e condizioni di lavoro interdetti alle lavoratici gestanti previsti dalla legislazione vigente.
MISURE DI TUTELA SANITARIA E NON
Oltre al congedo di maternità, periodo di astensione obbligatoria dal
lavoro eventualmente flessibile fino ad un mese prima del parto, il D.Lgs
151/01 prevede altre forme di tutela quali: l’astensione di maternità anticipata per gravi complicanze in gravidanza o malattie preesistenti;
cambio di mansione per condizioni di lavoro a rischio e/o astensione anticipata se non possibile; anticipo di 1 mese del congedo di maternità per
lavori gravosi o pregiudizievoli. Ci si può trovare di fronte ad una gravidanza a rischio, in cui esistono condizioni patologiche o fattori di rischio
che possono compromettere la salute della madre o del feto, presenti precedentemente o insorgenti nel corso della gravidanza, che richiedono un
monitoraggio costante e la valutazione della compatibilità della situazione lavorativa fino ad un’anticipazione del congedo di maternità. Per
quel che riguarda il rischio lavorativo in gravidanza, la donna durante la
gestazione e in alcune condizioni fino a 7 mesi dopo il parto, non può essere adibita a lavori pericolosi, faticosi, insalubri, il cui elenco è contenuto negli allegati A e B del TU; il datore di lavoro deve comunque valutare i rischi per la salute e la sicurezza delle lavoratrici, analizzando
processi, condizioni di lavoro ed eventuali esposizioni a fattori di rischio.
Tra i fattori di rischio per i quali vige lo spostamento ad altra mansione
o il congedo anticipato, vi sono i vari agenti chimici (ad es solventi) e fisici quali radiazioni ionizzanti, rumore, vibrazioni oltre alla movimentazione manuale dei carichi e l’assunzione di postura fissa prolungata; è infatti vietato adibire una lavoratrice gestante, in virtù dei cambiamenti fisiologici che la gravidanza comporta, ad un lavoro che necessiti uno stazionamento in piedi per più di metà dell’orario o che obblighi ad una posizione particolarmente affaticante. Nel TU sono inoltre previste misure
di carattere socio economico quali indennità di maternità, congedo parentale, divieto di licenziamento, riposi e permessi, adozioni e affidamenti e congedo per malattia del bambino.
RUOLI DELLE DIVERSE FIGURE MEDICHE
Il medico di medicina generale ha un ruolo importante nella tutela
della maternità delle donne lavoratrici, conoscendo anamnesi e peculiarità fisiche e psicologiche della sua assistita. Non è necessario che sia in
grado di valutare l’entità del rischio nell’attività lavorativa svolta dalla
paziente, né se il suo lavoro rientri tra quelli elencati nel TU, ma è sufficiente che sospetti la presenza di fattori di rischio conoscendo l’attività
238
lavorativa svolta dalla donna, invitandola a rapportarsi col medico competente aziendale se presente, o la invii allo SPISAL (Servizio di Prevenzione Igiene e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro) o alla Direzione
Provinciale del Lavoro con un certificato che indichi l’epoca di gestazione, la data del parto ed i fattori di rischio ipotizzati.
Il ginecologo rappresenta la figura professionale fondamentale per
una donna in gravidanza. Oltre a valutare in senso strettamente medico
gli aspetti clinico-anamnestici della lavoratrice gravida, deve anche considerare le sue condizioni lavorative, per escludere eventuali situazioni di
rischio. Si può trovare di fronte alle seguenti situazioni nelle quali dovrà
redigere i relativi certificati:
1. Attività lavorativa non a rischio e gravidanza non a rischio: certificato di gravidanza su carta intestata SSN.
2. Gravida che richiede di usufruire della flessibilità del congedo di
maternità ai sensi dell’art. 20 D.Lgs 81/08: certificato di gravidanza
su carta intestata SSN che attesti l’assenza di controindicazioni al
proseguimento dell’attività lavorativa fino a 8° mese.
3. Attività lavorativa a rischio (lavori pericolosi, faticosi o insalubri) e
gravidanza non a rischio: certificato su carta intestata SSN che la
gravida deve presentare allo SPISAL o alla Direzione Provinciale del
Lavoro competenti per territorio con riferimento alla sede di lavoro.
4. Gravida con patologie preesistenti alla gravidanza o con patologie
insorgenti in corso di gravidanza: certificato di gravidanza a rischio,
su carta intestata SSN, nel quale va precisata la patologia e il periodo
di astensione richiesto.
Le attuali differenze “burocratiche” tra il ginecologo SSN e il libero
professionista dovrebbero essere eliminate da una revisione legislativa in
via di recepimento.
Il medico competente aziendale, qualora presente, partecipa attivamente alla valutazione del rischio, collaborando con il datore di lavoro e
col servizio di prevenzione e protezione secondo quanto previsto dall’art.
25 D.Lgs 81/08; tale valutazione deve riguardare tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, compresi quelli delle lavoratrici in stato
di gravidanza. In tale valutazione il medico competente fornirà gli strumenti conoscitivi essenziali per individuare condizioni compatibili e/o
protocolli con mansioni alternative, considerando tutti i rischi per la salute riproduttiva, per la gravidanza e per l’allattamento; deve inoltre farsi
promotore di un’attività di informazione e formazione rivolta al datore di
lavoro ed alla lavoratrice, ed eseguire le visite mediche se la lavoratrice
lo richiede durante la gravidanza o al rientro dal parto, al fine di rivalutare le sue condizioni di salute suscettibili di peggioramento a causa dell’attività lavorativa svolta. Nel caso in cui la donna in gravidanza voglia
usufruire della flessibilità del congedo di maternità, deve presentare all’INPS il certificato del ginecologo e del medico competente secondo
quanto previsto dal art. 20 del D.Lgs 151/01.
Il medico del lavoro SPISAL, nell’ambito della vigilanza sulla tutela
della salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, accerta la corretta applicazione di questa normativa, verificando che la valutazione del rischio
aziendale venga fatta e corrisponda alle reali condizioni di lavoro presenti in azienda. Se riscontra carenze in merito all’identificazione dei rischi, alle misure di tutela, alle procedure di allontanamento dal rischio e
all’informazione da fornire alle lavoratrici, redige in qualità di UPG un
verbale con lo scopo di gestire correttamente anche i rischi per le lavoratrici in gravidanza.
Inoltre collabora con la Direzione Provinciale del Lavoro nell’adozione dei provvedimenti di competenza come anticipazione del congedo
di maternità o convalida del cambio mansione, anche attivando direttamente la procedura di tutela nel caso di lavoro a rischio; infine ha un ruolo
di informazione e assistenza nei confronti delle aziende, delle lavoratrici,
dei colleghi medici su rischi, quadro normativo e procedure da attuare.
Il medico pediatra accoglie e si prende carico del nuovo nato e della
madre, promuovendo l’allattamento materno e la creazione di nidi aziendali. È compito del medico pediatra redigere un certificato medico di documentata malattia del bambino che permette, alla madre o al padre, di
assentarsi dal lavoro per la sua assistenza, secondo quanto indicato dal
D.Lgs 151/01.
BIBLIOGRAFIA
1) Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di
Padova. (2009) I Quaderni dell’Ordine: N. 6 “Maternità e Lavoro.
Documento a cura del Gruppo di Lavoro per la tutela delle Lavoratrici Madri”. www.omco.pd.it/
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06
LA TUTELA DELLA GRAVIDANZA IN ATTIVITÀ SANITARIE
S. Ritzu, P. Boccalon, V. Cupelli
SOD Medicina del Lavoro Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi,
Firenze - Largo Palagi 1 50139 Firenze
Corrispondenza: [email protected]
PROTECTION OF THE PREGNANCY IN HEALTH CARE WORKERS
ABSTRACT. Pregnancy is not a disease, but sickness absence
during and after pregnancy has increased in the time. In facilities were
female are the majority of the working forces this may determinate some
problems in productivity. During pregnancy and in the first year after
delivery many women experience physical and mental health problems
that can lead to sick leave and long-term sickness absence from work.
Although the dimensions of the problem, few studies are published in
absence during and after pregnancy.
In Careggi hospital it is possible to mantain to work all pregnant
women until the beginning of compulsory absence, but workers are absent before delivery for average 148 days, for longer period (152 days)
in class <30 years; also absence for long period after delivery are utilized by the workers (average 122 days) with less differences due to age.
Key words: Health care workers, pregnancy, sik leave
La gravidanza non è una malattia ma un processo fisiologico, tuttavia le assenze dal lavoro durante e dopo la gravidanza sono aumentate
nel tempo. Durante la gravidanza e nel primo anno dopo il parto sono
comuni disturbi fisici e psichici nelle donne, che possono portare a
lunghi periodi di assenza dal lavoro Sebbene le dimensioni del problema
siano elevate, pochi studi sono stati pubblicati sulle assenze durante la
gravidanza. (1-8). L’assenteismo risente sia di fattori occupazionali che
di fattori socio demografici (9). La normativa nei paesi sviluppati prevede specifiche tutele che consentono alle donne di esercitare il loro diritto alla maternità; per questo motivo è prevista la possibilità di periodi
di assenza dal lavoro per le donne durante la gravidanza, e anche per gli
uomini dopo il parto, senza penalizzazioni di tipo economico. In Italia è
anche concessa la possibilità ai genitori di astenersi dal lavoro per
lunghi periodi dopo il parto, con penalizzazioni economiche progressivamente crescenti.
Nel tempo si è assistito ad un progressivo aumento dell’utilizzo dell’astensione dal lavoro sia durante che dopo la gravidanza e questo, in
particolare in attività lavorative caratterizzate dall’elevata presenza di
personale femminile, come nelle strutture sanitarie, ha evidenziato alcune criticità nella gestione delle risorse umane.
Al fine di verificare le dimensioni del problema all’interno dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze (AOUC), sono
state analizzate le assenze dal lavoro per gravidanza nel periodo
1/1/2003-31/12/2009.
Nel periodo l’AOUC ha occupato una media di 5665 dipendenti/anno per un totale di 39658 anni/persona, il 66,8% dei quali sono
di personale femminile. Nel periodo di osservazione sono stati assenti
per gravidanza o puerperio 1143 lavoratori per un totale di 1417 gravidanze; in 1032 casi (90,3%) si trattava di soggetti di sesso femminile in
111 (9,7%) di sesso maschile. L’età media dei soggetti coinvolti è risultata di 35,2 (±4,5) anni per le donne e di 38,1 (±5,8) per gli uomini. In
entrambi i sessi la qualifica maggiormente rappresentata è quella del
personale infermieristico/ostetrico (femmine 62,6%, maschi 42,1%);
piccole differenze si riscontrano tra il personale OTA, OSS (9,8% femmine, 14,0% maschi), maggiori tra il personale tecnico (1,4% femmine,
16,5% maschi).
In totale sono stati registrati 380455 giorni di assenza con una media
di 268,4 (d.s. 181,0, range 1-669) per gravidanza; presentano astensione
anticipata per la c.d. “gravidanza a rischio” 878 gravidanze (62,0%), che
hanno portato ad un’assenza media di 139,2 giorni (±49,6); periodi di
astensione facoltativa vengono utilizzati dopo 1226 gravidanze (86,5%),
in 1105 casi da soggetti di sesso femminile in 121 di sesso maschile, con
un’assenza assenza media di 108,5 giorni(±64,2, range 1-360) per le
donne, mentre per i maschi l’assenza media è di 32,1 giorni (±24,3 range
1-148). Per 260 lavoratrici (22,3%) viene registrato esclusivamente un
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Tabella I. Numero e durata delle assenze per qualifica
Tabella II. Tipologia di assenze per classi di età
periodo di astensione facoltativa in quanto si tratta di gravidanze iniziate
prima del periodo di osservazione o di lavoratrici che sono state assunte
a Careggi dopo il periodo di astensione obbligatoria.
Per 141 gravidanze (10,8%) il periodo di assenza cessa prima del periodo di interdizione obbligatoria, e si può presumere che la gravidanza
non sia stata portata a termine regolarmente; non si registrano differenze
per età e qualifica in funzione dell’esito della gravidanza; tra le gravidanze non portate a termine 47 (33,3%) si interrompono durante il periodo di interdizione obbligatoria e solo per 3 non viene registrato un periodo di astensione anticipata.
In tabella I sono riportati i giorni di astensione anticipata e facoltativa suddivisi per qualifica e relativi alle 849 gravidanza iniziate nel periodo e portate a termine regolarmente da 746 lavoratrici. Il ricorso all’astensione anticipata diminuisce in maniera marcata sia in frequenza
che in durata all’aumentare dell’età, mentre l’astensione facoltativa viene
utilizzata maggiormente nelle classi di età più elevate (tabella II).
Scarsissimo è il ricorso alla richiesta di posticipo del periodo di
astensione obbligatoria (qualche caso nel periodo).
CONCLUSIONI
L’attuale organizzazione del lavoro dell’AOUC permette un elevato livello di tutela della gravidanza delle lavoratrici per le quali è
possibile prevedere un’attività lavorativa personalizzata. Tuttavia la
grande maggioranza delle lavoratrici presenta, ai sensi dell’art 17,
comma 2 lettera a) del D.Lgs 151/2001, “gravi complicanze della gravidanza o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere
aggravate dallo stato di gravidanza”, pertanto vengono allontanate dal
lavoro dall’Ufficio Provinciale del Lavoro. Le dimensioni aziendali
permettono di mantenere al lavoro tutte le lavoratrici che non presentano particolari problematiche di salute, scarsissimo interesse è manifestato alla possibilità di posticipare all’ottavo mese l’inizio dell’interdizione obbligatoria.
La gravidanza non mostra esiti differenti in funzione delle mansioni
delle lavoratrici.
Il ricorso all’astensione anticipata è notevolmente maggiore tra le lavoratrici più giovani, mentre nelle classi di età più elevate si assiste ad un
maggiore utilizzo dell’astensione facoltativa dopo il parto, il nostro
studio non consente di accertare le ragioni di questo differente comportamento.
Il personale amministrativo, tecnico e medico ricorre in misura minore all’astensione anticipata rispetto all’altro personale.
BIBLIOGRAFIA
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http: //www.biomedcentral.com/1471-2458/7/43
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demographic and occupational factors. Br J Ind Med 1985; 42:
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240
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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MALATTIE PROFESSIONALI
01
PNEUMOCONIOSI DELL’ODONTOTECNICO: STORIA DELLA
MEDICINA O PROBLEMATICA ATTUALE?
N. Mucci, E. Atrei, L. Pristerà, M.A. Sanchez, V. Cupelli, G. Arcangeli
Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Sanità Pubblica Sezione di Medicina del Lavoro, Largo Piero Palagi, 1/23 - 50139
Firenze
Corrispondenza: Mucci Nicola, Università degli Studi di Firenze,
Dipartimento di Sanità Pubblica - Sezione di Medicina del Lavoro, Largo
Piero Palagi, 1/23 - 50139 Firenze [email protected]
Parole chiave: odontotecnico, pneumoconiosi, silicosi
DENTAL TECHNICIAN’S PNEUMOCONIOSIS: HISTORY OF
MEDICINE OR CURRENT OCCUPATIONAL DISEASE?
ABSTRACT. Interstitial diseases (silicosis and extrinsic allergic
alveolitis) caused by the exposure to airborne contaminants during the
manufacture of dental prostheses are classified as a special group called
dental technician’s pneumoconioses (DTP). The main respiratory toxics
in the production processes are plaster, refractory materials that contain
an high percentage of silica, wax, acrylic resin, ceramic, methyl
methacrylate and cobalt-chromium-molybdenum (CoCrMo) alloys. A
multidisciplinary working group on interstitial lung diseases (GIM) has
been established at the Careggi University Hospital in Florence in
November 2008. With this program we evaluated a never-smoker 58year-old man with a suspected diagnosis of silicosis. He has been
worked in a craft dental laboratory from 1967 to 2005, but he had not
respiratory symptoms until December 2009. Diffuse pulmonary
parenchymal infiltrates has been showed as the result of the HRCT
examination. Lung biopsy with the mineralogical analysis wasn’t
performed due to lack of patient consent. We believe, on the basis of our
experience, that a multidisciplinary approach in the study and in the
diagnosis of interstitial lung diseases is essential. The role of the
employment factors in the genesis of DTP and of all interstitial lung
diseases seems to be significantly undervalued nowadays.
Key words: dental technician, pneumoconiosis, silicosi
INTRODUZIONE
In Letteratura sono stati descritti, sin dal 1939, casi di patologie dell’apparato respiratorio – in particolare silicosi e alveolite allergica
estrinseca – nel personale odontotecnico. Le interstiziopatie correlate all’esposizione a sostanze utilizzate nei laboratori dentali sono inquadrate
in un gruppo nosologico speciale denominato pneumoconiosi dell’odontotecnico (dental technician’s pneumoconiosis, DTP) (1-3). Le principali noxae per l’apparato respiratorio in tali contesti occupazionali
sono: leghe metalliche, materiali refrattari con elevato tenore di silice,
gesso, cera, resine acriliche, liquidi elettrolitici, ceramica, liquidi chimici, nichel, metacrilato di metile. Le pubblicazioni più recenti hanno
focalizzato l’attenzione – oltre che sulla silice – sul ruolo eziopatogenetico delle polveri prodotte nella lavorazione di metalli non preziosi, in
particolare leghe di cobalto-cromo-molibdeno (CoCrMo). In passato,
per migliorare la durezza delle leghe CoCrMo, era utilizzato berillio in
percentuali variabili (4, 5).
MATERIALI E METODI
Presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze è
stato istituito, nel novembre 2008, il Gruppo Interstiziopatie polmonari Multidisciplinare (GIM), con l’obiettivo di approfondire lo studio
di tali entità nosologiche e promuoverne un management diagnostico
e terapeutico basato sulla sinergia tra le molteplici specialità mediche
e chirurgiche. Nell’ambito di tale programma sono stati, sino al luglio
2010, richiesti approfondimenti alla SODC Medicina del Lavoro, a di-
rezione universitaria, per 15 pazienti con documentata pneumopatia
interstiziale, in cui vi era il sospetto di una frazione eziologia di natura
occupazionale.
RISULTATI
Il caso da noi descritto riguarda un uomo di 58 anni, che aveva lavorato come odontotecnico in un laboratorio artigiano dai 15 ai 53, età
del pensionamento. Non fumatore e con anamnesi negativa per patologie
dell’apparato respiratorio, aveva effettuato nel 1999 un esame Rx torace
– a seguito di un intervento cardochirurgico – da cui era emersa una diffusa alterazione del disegno polmonare interstiziale di tipo reticolo-nodulare, ancorché in assenza di lesioni pleuro-parenchimali; non seguirono ulteriori approfondimenti. Nel dicembre 2009 aveva manifestato
due episodi di emoftoe associata ad epistassi. Esame Rx torace eseguito
alla presentazione in pronto soccorso evidenziava la presenza di un’opacità pseudonodulare in campo polmonare superiore a sinistra (Fig. 1).
Esami HRCT, eseguiti nel febbraio e nel giugno 2010, hanno rilevato la
presenza di numerosissimi micronoduli distribuiti ai campi polmonari
superiori e medi, noduli centimetrici a ridosso delle pleure margino-costali-laterali nei campi superiori e di linfoadenopatie multiple (di cui gran
parte con sfumate calcificazioni estrinseche) in sede ilo-mediastinica
(Fig. 2). In particolare, nell’esame più recente, è stato concluso per probabile silicosi. Attraverso il colloquio, durante il quale è stata raccolta
un’accurata anamnesi lavorativa, è emerso che il lavoratore era stato addetto a pressoché tutte le fasi necessarie per la realizzazione di una protesi dentaria, tra cui sabbiatura e molatura durante le quali ricordava una
consistente dispersione di polveri. I materiali utilizzati erano: leghe di
CoCrMo per protesi scheletrate, materiali refrattari, cera, resine acri-
Figura 1. Esame Rx del dicembre 2009: opacità pseudonodulare in campo polmonare superiore sinistro
Figura 2. Esame HRCT del giugno 2010: micronodularità
parenchimali
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liche, liquidi elettrolitici, paste abrasive, dischi abrasivi in ossido di alluminio, stampi in gesso e anelli per saldatura. Riferiva di aver utilizzato,
seppur non costantemente, mascherine prive di filtro quale unico dispositivo di protezione individuale; l’aerazione degli ambienti di lavoro sarebbe stata, inoltre, non soddisfacente. L’esame obiettivo del torace era
negativo e le prove di funzionalità respiratoria mostravano un quadro
funzionale ventilatorio ai limiti della norma.
DISCUSSIONE
Nella maggior parte dei casi riportati in Letteratura il sospetto diagnostico di DTP è stato confermato mediante analisi mineralogica di tessuto ottenuto mediante biopsia polmonare; tale indagine ha permesso di
evidenziare la presenza combinata di polveri silicee e metalli (silicio, alluminio, ferro, titanio, cromo, cobalto, molibdeno, etc.) (1-3). Nel caso in
esame non è stato possibile eseguire una biopsia polmonare e la conseguente analisi mineralogica per mancato consenso del paziente. Il caso descritto mostra l’importanza che può avere l’attività lavorativa di odontotecnico – con la conseguente esposizione a numerosi contaminanti presenti nell’aria – nell’indurre alterazioni a carico dell’interstizio polmonare
che possono sfociare in una vera e propria patologia. Le fasi di preparazione del materiale refrattario, rottura dello stampo, sabbiatura e lucidatura sono, infatti, a rischio di esposizione a silice mentre la fase finale di
finitura a mano presenta un rischio di esposizione a polveri metalliche e
resine. È ragionevole supporre che, nella maggior parte dei laboratori artigianali, non fossero presenti, soprattutto in passato, adeguati sistemi di
ventilazione e scarico; questo, unitamente all’assenza di idonee misure di
prevenzione individuali, ha determinato un consistente aumento del rischio. Dinnanzi ad un caso di sospetta DTP si sottolinea la necessità di un
approccio multidisciplinare – come quello del GIM fiorentino – per la formulazione della diagnosi e, qualora fossero presenti fattori di rischio concomitanti (fumo in primis), per un’accurata attribuzione eziopatogenetica
delle lesioni. Sulla base della nostra esperienza riteniamo che il ruolo del
fattore occupazionale nella genesi della DTP e delle interstiziopatie polmonari in genere sia, tutt’oggi, notevolmente sottostimato.
BIBLIOGRAFIA
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02
LE MALATTIE PROFESSIONALI IN UN CAMPIONE DI ARTIGIANI
DELLA PROVINCIA DI BERGAMO
G. Silva1, A Malgieri2, G Mosconi1
1
Unità Operativa Ospedaliera di Medicina del Lavoro - Azienda
Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo - L.go Barozzi, 1 - 24128
Bergamo
2 Responsabile Processo Prevenzione e Addetta alla Comunicazione INAIL di Bergamo, Via Matris Domini, 14 - 24121 Bergamo
Corrispondenza: Giulia Silva, Unità Operativa Ospedaliera di Medicina
del Lavoro - Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti di Bergamo - L.go
Barozzi, 1 - 24128 Bergamo, Fax: 035/266866, Tel.: 035/269199, email:[email protected]
Parole chiave: artigiano, malattia professionale, piccole imprese
241
WORK-RELATED DISEASES IN A SAMPLE OF CRAFTSMEN IN
PROVINCE OF BERGAMO
ABSTRACT. The prevalence of injuries and occupational diseases
in craftsmen and in small and medium-sized enterprises is very high.
Unfavourable occupational safety and health conditions in these
workers is due to their lack of knowledge and resources to manage their
working environment properly.
We have evaluated 70 work-related diseases found in craftsmen and
small businessmen by UOOML of Bergamo in 2009.
Then we have analysed results obtained from INAIL of Bergamo
about occupational diseases.
The study highlights the importance of carry out operative tools supporting craftsmen and small and medium enterprises, in order to apply
health surveillance programmes with the aim of early diagnosis of workrelated diseases and to put into practice a preventive plan at work.
Key words: craftsman, work-related disease, small enterprises
INTRODUZIONE
Come previsto dal D.Lgs. 81/08 (art. 21, comma 2, in seguito modificato dal D.Lgs n. 106/2009) anche i lavoratori autonomi e gli artigiani
hanno facoltà di beneficiare della sorveglianza sanitaria e partecipare a
corsi specifici di formazione e informazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
Gli artigiani ed in genere i lavoratori in proprio o i titolari di piccole
imprese, operano spesso in condizioni di precarietà, sono esposti a rischi
elevati, lavorano 10/12 ore al giorno. Si tratta inoltre di una popolazione
che è spesso disattenta alla tutela della propria salute. Per questi motivi
sono tra i lavoratori che subiscono gli effetti peggiori sulla propria salute
con un elevato numero di infortuni, anche mortali, e malattie occupazionali. L’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro (EUOSHA) ha evidenziato numerosi aspetti che rendono più difficile, nelle
piccole e medie imprese, attuare programmi di tutela della salute: ridotta
conoscenza di rischi e normative, insufficiente formazione professionale,
minor tempo e risorse dedicate, assenza di servizi interni, scarsa stima
dei costi diretti ed indiretti di infortuni e malattie professionali.
MATERIALI E METODI
Nell’anno 2009 sono state inoltrate alle Autorità Competenti dalla
UOOML di Bergamo una o più patologie professionali riscontrate in 484
soggetti, di cui 65 artigiani, principalmente inviati dal Medico Curante
per sospetta tecnopatia. Nel gruppo degli artigiani sono state segnalate 70
tecnopatie. Sono stati successivamente richiesti all’INAIL di Bergamo i
dati inerenti l’esito delle segnalazioni di malattia professionale inoltrate.
RISULTATI
I lavoratori artigiani in cui sono state riscontrate malattie di origine
professionale rappresentano il 13% circa di tutti i lavoratori a cui è stata
posta diagnosi di sospetta tecnopatia (65/484) da parte della UOOML di
Bergamo nel 2009. Gli artigiani a cui è stata riscontrata una malattia di
origine professionale avevano un’età media di 50.7 anni (Dev. Std.
10.55), anzianità lavorativa media 33.65 (Dev. Std 10.2).
I settori più rappresentati sono quello edile (38 soggetti) e della panificazione (6 soggetti). Gli altri lavoratori appartengono ai seguenti
comparti: metalmeccanico (5), meccanico (1), metallurgico (1), agricolo
e floricoltura (5), verniciatura (2), arredamento (1), tessile (1), sanità (1),
trasporti (1), lapidei (1), altro (2).
Nel 2009 sono state segnalate 70 malattie professionali, di cui la
maggior parte ipoacusie da rumore (36) e malattie muscoloscheletriche
(20), allergopatie respiratorie (6), placche pleuriche asbestosiche (3),
DAC (2) e tre casi di tumore professionale (2 mesoteliomi pleurici, 1
adenocarcinoma polmonare in soggetto affetto da silicosi).
Dai dati forniti dall’INAIL di Bergamo, escluse 10 pratiche non rinvenute, si evidenzia che più di un terzo delle tecnopatie segnalate sono
state riconosciute ed indennizzate (21/60).
L’INAIL ha definito negativamente il 53% dei casi segnalati cioè 32/60;
di questi, 15 per mancanza di consenso a procedere da parte dell’artigiano o
perché non si è presentato agli accertamenti di verifica programmati.
L’assenza di nesso eziologico e l’inidoneità del rischio rappresenta
in 10 casi il motivo della ricusazione da parte dell’INAIL. L’insufficiente
documentazione, le irregolarità contrattuali e la presentazione della domanda fuori termine, rappresentano altri motivi di definizione negativa
delle pratiche, rispettivamente nel 9.2%, 6.2%, 6.2% dei casi.
242
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
Tabella I. Definizione delle pratiche da parte dell’INAIL
03
FORMAZIONI CISTICHE SUBCONDRALI CARPO-METACARPICHE
IN UN’OPERAIA CALZATURIERA
S. Tonini1,2, S.M. Candura1,2, A. Lanfranco1,2, N.V. Mennoia1
Tabella II. Pratiche definite negativamente dall’INAIL
1 Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro, Università degli
Studi di Pavia
2 Unità Operativa di Medicina del Lavoro, Fondazione Salvatore
Maugeri, Clinica del Lavoro e della Riabilitazione, IRCCS, Istituto
Scientifico di Pavia
Corrispondenza: Dott. Stefano Tonini - U.O. di Medicina del Lavoro Fondazione Salvatore Maugeri, Via Maugeri 10 - 27100 Pavia - E-mail:
[email protected]
CONCLUSIONI
Questo studio descrittivo mette in evidenza il sempre più frequente
riscontro di malattie professionali nei lavoratori artigiani: sono infatti in
aumento i casi che vengono ad osservazione presso i nostri ambulatori.
La presenza di un numero elevato di edili e di panificatori è sicuramente correlata ad indagini di settore in corso presso la UOOML di Bergamo che ha comportato il coinvolgimento di molti titolari o di lavoratori autonomi attraverso iniziative di informazione mediate da CPT o da
associazioni di categoria (ASPAN).
La scarsa partecipazione da parte degli artigiani a completare l’iter
previsto per il riconoscimento delle patologie lavoro-correlate può avere
diverse ragioni. Probabile che valutazioni sui vantaggi o svantaggi economici legati all’indennizzo rispetto all’aumento del premio assicurativo
possano avere giocato un ruolo importante. La conferma viene in parte
dal completamento degli accertamenti in caso di malattie importanti (per
es.: tumori) rispetto a malattie di minor impatto sulla salute (vedi ipoacusie). È certo che la necessità di dovere “perdere” altre giornate di lavoro per completare l’iter diagnostico potrebbe avere disincentivato alcuni. La discreta presenza di casi di una certa gravità clinica ed invalidità
pone comunque il problema di promuovere iniziative finalizzate a sensibilizzare questi lavoratori ad avere maggiore attenzione ai problemi di
tutela della propria salute e, come nei casi sopra descritti, anche ad ottenere un giusto riconoscimento quando la malattia ha già fatto il suo decorso e determinato danni irreversibili.
Si sottolinea quindi la necessità di un impegno organizzativo e gestionale da parte soprattutto delle associazioni di categoria, così come indica la Agenzia Europea per la Prevenzione e Sicurezza nei Luoghi di
Lavoro, finalizzate a supportare le piccole imprese artigianali nelle attività di prevenzione, diffondendo una cultura della sicurezza e della salute
(in termini sia preventivi sia riabilitativi) anche con l’attuazione di programmi di sorveglianza sanitaria appropriati.
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http://www.inail.it
CARPOMETACARPAL SUBCHONDRAL CYSTS IN A SHOEMAKER
ABSTRACT. Subchondral carpometacarpal cysts are classic and
almost pathognomonic lesions found in workers using vibrating
instruments over prolonged periods of time. They have not yet been
described in repetitive manual tasks with non-vibrating tools. We present
the case of a 53 year-old-woman who worked for 30 years sewing shoe
uppers, a task which requires firmly grasping a pear-shaped handle awl
and pushing it through the leather upper and the sole of the shoe, with a
combined flexion and supination movement of the wrist. After
approximately 20 years of working, the patient noted gradual onset of
paresthesias in the dominant hand, with increasing difficulty in grasping
the awl. Subsequent diagnosis of carpal tunnel syndrome was confirmed
by electrophysiologic testing; its surgical release was performed one
month later. Nevertheless, hand pain, paresthesias and weakness
persisted. Ultrasound of the snuffbox tendons excluded DeQuervain
tenosynovitis. Radiographic imaging of the symptomatic hand showed
arthrosis at the carpometacarpal joint and degenerative carpal cystic
formations. In addition to demonstrating the usefulness of radiographic
imaging in patients with persistent hand pain post-carpal release, this
case is important in illustrating that repetitive movements with high
pressure over the palmar carpal area can cause cysts and rhizarthrosis,
even without using vibratory tools.
Key words: UE-WMSDs, shoe industry, wrist, radiography
INTRODUZIONE
Numerosi studi clinici ed epidemiologici hanno evidenziato un aumentato rischio di lesioni dell’arto superiore da sovraccarico biomeccanico secondarie ad ipersollecitazione funzionale, tipicamente movimenti
ripetitivi, e a vibrazioni generate da utensili portatili con conseguenti microtraumi reiterati (1, 2). L’insieme di queste lesioni che interessano le
strutture anatomo-funzionali degli arti superiori è definito sindrome da
vibrazioni mano-braccio, entità nosologica caratterizzata da: - una componente vascolare, rappresentata da una forma secondaria del fenomeno
di Raynaud definita “Vibration-induced White Finger” (VWF); - una
componente neurologica, costituita da una neuropatia periferica prevalentemente sensitiva con distribuzione multifocale oppure confinata alle
dita delle mani, i cui sintomi sono parestesie, riduzione della sensibilità
tattile e termica, limitazione dell’abilità manuale e della capacità di manipolazione fine (sindrome dello stretto toracico, sindrome del tunnel
carpale, sindrome del canale di Guyon); - una componente osteoarticolare, comprendente lesioni cronico-degenerative, prevalentemente
osteoartrosiche, e/o infiammatorie a carico dei segmenti ossei ed articolari (tendiniti, tenosinoviti, malattia di DeQuervain, dita a scatto, morbo
di Dupuytren, malattia di Kienbock, malattia di Kohler e cisti ossee) (3).
L’angiopatia e le osteoartropatie sono riconosciute come malattie professionali dalla Commissione dell’Unione Europea (2003/670/CE, Allegato
I, voci 505.01 e 505.02) e dalla legislazione del nostro Paese (D.lgs
81/2008, Capo III, Art.199 e seguenti).
Da studi condotti su operatori addetti alla macellazione, alla sartoria
e cucito, all’assemblaggio e al confezionamento sono emerse evidenze
biomeccaniche e cliniche di alterazioni cronico-degenerative a carico dei
segmenti ossei e delle articolazioni degli arti superiori, in particolare a livello del polso e del gomito, causate dall’impiego ripetuto di utensili portatili a movimento percussorio o percussorio-rotatorio e da vibrazioni a
bassa frequenza ed elevata ampiezza, in concorso con altri fattori di
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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stress ergonomico (4). Cisti subcondrali e vacuoli ossei a livello del
carpo sono lesioni anatomo-radiologiche classicamente riscontrate in lavoratori che hanno utilizzato strumenti vibranti per periodi prolungati;
tali alterazioni non sono mai state descritte a seguito di movimenti ripetitivi in assenza di vibrazioni.
DESCRIZIONE DEL CASO
Presentiamo il caso di una donna di 53 anni, cucitrice presso un
calzaturificio di Vigevano (PV), giunta alla nostra attenzione con brachiocervicalgia destra e con algie e parestesie ad entrambe le mani (in
anamnesi intervento per sindrome del tunnel carpale bilaterale in rizoartrosi), più accentuate a destra, dove riferiva anche ipoestesia al
palmo ed al 1°, 2° e 3° dito. All’esame obiettivo degli arti superiori si
rilevava ipotrofia delle eminenze tenar con tendenza all’appiattimento
delle ipotenar, spiccata dolenzia mediocarpica, deficit di forza nella
prensione e nei movimenti di opposizione del 1° dito, maggiormente a
destra. Tale quadro clinico, oltre ad inficiare l’attività lavorativa, determinava una notevole limitazione anche nello svolgimento delle normali attività quotidiane: la signora, infatti, non era più in grado di abbottonare indumenti, svitare tappi, effettuare le pulizie domestiche e
provvedere alla propria igiene personale. Per oltre 30 anni aveva
svolto la mansione di cucitrice di tomaie per calzature con l’uso di lesina, ovvero una sorta di trincetto dotato di impugnatura piriforme
sulla quale è infisso un punteruolo ricurvo con il quale si praticano i
fori su tomaie e suole (cuoio, pellame, gomma) per introdurvi il filo di
cucitura. Questa attività, svolta anche a domicilio, comportava il mantenimento di una postura assisa prolungata in posizione asimmetrica e
l’esecuzione di movimenti ripetitivi (in media 20 paia di scarpe/mocassini al giorno): con la mano destra impugnava la lesina ed esercitava pressione, facendo forza con la base del palmo ed aiutandosi con
il dito indice per dirigere la punta sul filo di cucitura attraverso il foro
praticato tra pellame e cuoio. La paziente negava di essere stata vittima di infortuni sul lavoro. L’iter diagnostico, successivamente ad
una accurata raccolta dell’anamnesi occupazionale ed ambientale e
alla visita medica, è proseguito con: - elettroneurografia/elettromiografia, che ha evidenziato una recidiva di tunnel carpale bilaterale; ecografia degli arti superiori, che ha permesso di escludere il morbo di
DeQuervain; - radiografia della mano destra, con riscontro di note artrosiche carpo-metacarpiche, rizoartrosi e formazioni pseudocistiche
degenerative subcondrali carpo-metacarpiche a livello del trapezio,
del semilunare, del capitato, dello scafoide e dell’uncinato (radiologicamente visibili come macchie ipertrasparenti, tondeggianti e a diametro ridotto) (Figura 1); - MOC, con rilievo di valori di densità ossea
ai limiti inferiori della norma; - visita fisiatrico-occupazionale, con
evidenza di forza muscolare e handgrip clinicamente diminuiti all’arto
superiore destro rispetto al controlaterale, che ha chiaramente indicato
come la menomazione della paziente si fosse sviluppata in seguito alla
mansione lavorativa.
Avendo riconosciuto un nesso causale tra manifestazioni cliniche
ed attività lavorativa, si è
provveduto alla segnalazione di malattia professionale alle Autorità competenti. Alla paziente è
stato raccomandato di
evitare qualsiasi mansione lavorativa che richiedesse movimenti manuali ripetitivi, posture
prolungate incongrue e
qualsivoglia movimentazione manuale di carichi
superiori a 5 Kg di peso.
Circa cinque mesi dopo la
visita, la paziente ha optato per il pensionamento.
Figura 1. Radiografia
della mano destra con
evidenza di multiple cisti
243
DISCUSSIONE
Questo è il primo report in cui viene descritto come movimenti ripetitivi di presso-rotazione ad alta pressione localizzata sulla regione carpale palmare, pur senza l’utilizzo di dispositivi vibranti, possano indurre
la formazione di cisti ossee e rizoartrosi. Alla luce dell’anamnesi lavorativa ed ambientale abbiamo individuato la natura dei principali fattori occupazionali che, variamente combinati tra loro, hanno concorso a determinare il quadro clinico presentato: ripetitività del gesto lavorativo, sovraccarico articolare, intenso sforzo muscolare, postura incongrua dei
segmenti articolari interessati (spalla, gomito, polso, mano) e inadeguati
periodi di recupero. Fattori di rischio complementari erano invece rappresentati dalla non corretta esecuzione del gesto tecnico, dalla compressione delle strutture anatomiche, dagli strumenti di lavoro non ergonomici, dai contraccolpi e/o dai movimenti bruschi, dalla richiesta di
estrema precisione e dall’attività a ritmi vincolati. Le mansioni più frequentemente implicate nel meccanismo eziopatogenetico sono pertanto
quelle essenzialmente manuali, svolte con l’ausilio di strumenti e che determinano sollecitazioni biomeccaniche secondarie a manipolazioni ripetitive, ripetute flesso-estensioni, deviazioni laterali del polso o sforzi durante la prensione (5).
Si può infine concludere che anche le formazioni cistiche o vacuoli
ossei carpo-metacarpici possono essere annoverati tra le patologie indicate con l’acronimo UE-WMSDs (Upper Extremity Work-related Musculo-Skeletal Disorders), che ne sottolinea la correlazione con l’attività
lavorativa.
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04
SINDROME DEL TUNNEL CARPALE IN UN GRUPPO
DI LAVORATORI ADDETTI ALLE CASSE
NELLA GRANDE DISTRIBUZIONE
C. Di Pede1, F. Dini1, M. Pinelli1, M. Mariani3, L. Turini1, G. Manuli2
1
UF PISLL Azienda USL 5 Pisa
Dipartimento Medicina del Lavoro Azienda-Ospedaliero-UniversitariaPisana
3 UF PISLL Azienda USL 12 Viareggio
2
Corrispondenza: [email protected]
Parole chiave: Tunnel carpale, movimenti ripetuti arti superiori, patologie muscolo scheletriche
CARPAL TUNNEL SYNDROME IN A GROUP OF SUPERMARKET
CASHIERS
ABSTRACT. Background. Among work-related diseases,
musculoskeletal disorders of the upper extremities and in particular
carpal tunnel syndrome have obtained increasing attention in last
decades. To evaluate carpal tunnel syndrome prevalence in a group of
supermarket cashiers in Pisa area is the aim of this study.
Methods. Standardized Questionnaire and clinical examination have
been performed in 56 supermarket cashiers. In subjects having hand-pa-
244
resthesias, Elettroneurography was performed. Median nerve impairment was classified by Padua et al criteria (grading from 1 to 4).
Results. 24 subjects (42,8%) had Paresthesias, 21 of them performed
elettroneurography and 18 had Median nerve impairment (13 subjects
grade 1, 1 grade 2, 3 grade 3 and 1 grade 4). In 14 cases the impairment
was bilateral (77,8%).
Conclusions. The percentage of Carpal tunnel syndrome subjects
(32,1%) is much more elevated than in general population, in addition
most of case are bilateral. Because of these results a clinical evaluation
of the workers and a strategy for primary prevention like improving
work-stations ergonomy and to give informations to the workers on correct ergonomic postures is needed.
INTRODUZIONE
Nei paesi industrializzati, nella seconda metà degli anni ’80 le richieste di riconoscimento per Work-related musculoskeletal disorders
(WMSDs) hanno avuto un notevole incremento (1).
Negli anni ’90 sono stati pubblicati circa 4000 articoli sulle WMSD
i cui risultati sono stati riassunti in vari articoli di revisione (2-5).
In una review di 600 studi epidemiologici del ’97, il NIOSH evidenziava una relazione causale tra il sovraccarico biomeccanico e i disordini degli arti superiori (6).
I compiti ripetitivi con uso di forza provocano microtraumi tissutali
e infiammazione locale e sistemica, seguite da fibrosi e cambiamenti
strutturali (1).
La definizione Cumulative Trauma Disorders (CTD)7 considera tutti
i fattori etiologici (lavoro ripetitivo, forza, vibrazioni e posture).
Tra le CTD degli arti superiori, la Sindrome del Tunnel Carpale
(CTS) è la neuropatia più frequentemente riportata, costituendo l’80%
del totale (8).
In uno studio su un campione di popolazione generale di 6254 soggetti recentemente pubblicato, la prevalenza di CTS è risultata del 2.1%
negli uomini e del 5.3% nelle donne (9).
Numerosi studi hanno dimostrato alte prevalenze di CTD di spalla e
polso nelle cassiere di supermercati (10-15).
In uno studio16 effettuato su una popolazione di montatori utilizzando il questionario anamnestico elaborato dall’Unità di Ricerca
EPM17 è stata riscontrata una concordanza del 93,1% tra presenza di parestesie e alterazioni della conduzione del nervo mediano al polso tramite
test elettroneurografico. Ciò indica che il questionario anamnestico è uno
strumento diagnostico dotato di alta specificità.
Lo scopo del nostro studio è quello di valutare la prevalenza di CTS
ed altri disordini muscoloscheletrici dell’arto superiore e di migliorare la
percezione del rischio in una popolazione lavorativa di cassieri in supermarket esposte a sovraccarico biomeccanico dell’arto superiore.
MATERIALI E METODI
In un’azienda della grande distribuzione della zona pisana, tutti i lavoratori addetti alla cassa, sono stati esaminati utilizzando il questionario
anamnestico sulle patologie degli arti superiori e la scheda di valutazione
clinica per l’effettuazione dell’esame obiettivo degli arti superiori elaborati dall’Unità di Ricerca EPM (17, 18).
Il questionario contiene domande su presenza e frequenza di dolore
e di parestesie notturne/diurne al polso e alla mano.
La scheda di valutazione clinica prevede l’effettuazione delle manovre di: palpazione dell’articolazione trapezio-metacarpale e dello stiloide radiale, Finkelstein-test, flesso-estensione del polso passiva e
contro-resistenza, Phalen-test e compressione volare del polso per 30 sec.
L’esame elettroneurografico è stato effettuato utilizzando l’apparecchio computerizzato portatile modello Synergy prodotto da
VIASYS.
Il grado di compromissione del nervo mediano è stato valutato applicando la classificazione di Padua19, che prevede una suddivisione in
gradi da 1 a 5; il grado 5 corrisponde a CTS Estrema (assenza di risposta
motoria e sensitiva del mediano), il 4 a Severa (assenza di risposta sensitiva e latenza motoria distale anormale del mediano), il 3 a Moderata
(Velocità di conduzione sensitiva anormale e latenza motoria distale
anormale del mediano), il 2 a Lieve (Velocità di conduzione sensitiva
anormale e latenza motoria distale normale del mediano), il grado 1 a
Minima (differenze tra i test comparativi segmentali).
Tutti i dati sono stati riportati in un data-base Excel per la loro elaborazione.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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RISULTATI
Tutti i 56 lavoratori addetti alle casse (53 donne e 3 uomini) sono
stati esaminati, 32 soggetti (57,1.%), sono risultati sintomatici (dolore
e/o parestesie notturne/diurne al polso e alla mano); i 24 soggetti positivi
alle parestesie notturne (42,8%) sono stati invitati ad effettuare esame
elettroneurografico; 3 soggetti non si sono presentati. Dei 21 soggetti che
hanno effettuato l’elettroneurografia, 20 femmine e 1 maschio, 18 (pari
al 32,1% della popolazione esaminata) hanno presentato reperti elettroneurografici indicativi di neuropatia del nervo mediano da intrappolamento al polso (CTS). In particolare in 13 soggetti il danno poteva essere
classificato di grado 1, in 1 soggetto di grado 2, in 3 soggetti di grado 3
e in 1 soggetto di grado 4.
È da segnalare inoltre che 14 soggetti, pari al 77,8% dei casi di CTS,
presentavano un quadro bilaterale.
CONCLUSIONI
La percentuale di soggetti sintomatici (57,1%) e quella di soggetti
affetti da CTS (32,1%) sono molto elevate rispetto a quelle della popolazione generale10, inoltre il 77,8% dei casi di CTS è bilaterale.
Occorre evidenziare che, tra coloro che hanno effettuato il test elettroneurografico, l’85,7% è risultato affetto da CTS. L’alta concordanza
tra la presenza di parestesie e la positività al test indica quindi che il
questionario anamnestico è uno strumento diagnostico dotato di alta
specificità.
L’alta prevalenza di CTS nella popolazione esaminata indica
inoltre l’urgenza di interventi di tipo preventivo primario, in particolare
il miglioramento ergonomico delle postazioni e la formazione del personale sulle corrette posizioni da assumere durante il lavoro. È inoltre
importante una corretta sorveglianza sanitaria mirata su questo tipo di
patologie.
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SIMLII 2009 Giornale Italiano Med Lav.
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18) Scheda di valutazione clinica degli arti superiori. Unità di Ricerca
EPM.
19) Padua L. et al.: “Neurophysiological classification and sensitivity in
500 carpal tunnel hands”. Acta Neurol Scand. 1997; 96: 211/17.
05
OCCUPAZIONE PATERNA CON SOCIAL MIXING
NELLA EZIOLOGIA DELLE LEUCEMIA INFANTILI
C. Guastadisegno 1, L. Macinagrossa1, N. Schiavulli1, E. Sinisi1,
M. Musti1,V. Cecinati2, N. Santoro2, D. De Mattia2, P. Corsi3,
E.V. Buononato1, G.M. Ferri 1
1
University of Bari. Department of Internal and Public Medicine
(DiMIMP). Section ”B. Ramazzini”. Regional Hospital “Azienda
Ospedaliera Universitaria Policlinico-Giovanni XXIII” of Bari. Unit of
Occupational Medicine. Policlinico. Piazza G. Cesare, 11. 70124 Bari
2 University of Bari. Department of Evolutive Age. Regional Hospital
“Azienda Ospedaliera Universitaria Policlinico-Giovanni XXIII” of
Bari. Unit ”F. Vecchio”
3 University of Bari. Department of Farmacology and Fisiology.
Regional Hospital “Azienda Ospedaliera Universitaria PoliclinicoGiovanni XXIII” of Bari
Corrispondenza: Dr. Ferri Giovanni M, M.D., PhD. - Address: University
of Bari. Department of Internal and Public Medicine (DIMIMP). Section
”B. Ramazzini”. Regional Hospital “Azienda Ospedaliera Universitaria
Policlinico-Giovanni XXIII” of Bari. Unit of Occupational Medicine.
Piazza G. Cesare, 11. 70124 Bari, Italy - Phone: 39-80-5478212 - E-mail:
[email protected]
The study was supported by the University of Bari.
Parole chiave: Leucemia infantile, occupazione paterna, pesticidi
PATERNAL OCCUPATION WITH SOCIAL MIXING’ IN THE
HAETIOLOGY OF CHILDHOOD LEUKEMIA
ABSTRACT. There are contradictory studies about the role of
paternal employment in jobs in which exchanges with other people
(“social mixing”) are frequent, such as policemen, military guards
and teachers in the etiology of childhood leukemia. We studied 84
incident cases of childhood leukemia and 162 nephrologic controls,
selected in University Hospital Policlinico of Bari”. Cases and
controls, recruited on the basis of precise criteria, were subjected to
blood sampling and administration of standardized questionnaire by
trained personnel. Genetic polymorphisms of CYP1A1 systems (m1m3 - m4) and CYP2D6 * 3 and CYP2D6 * 4 were determined using
PCR technique. Cases and controls differed significantly only for
province of residence that inserted a “selection bias”. Results show a
significant risk [OR = 3.77 (1.45 to 9.79)] of childhood leukemia
associated with fathers, who are employed as military and the
association, in multiple model we used, proved to be independent of
other factors, which had been made the necessary adjustment. In our
experience, we detected an increased risk of childhood leukaemia
related to maternal exposure to pesticides / rodenticides during
pregnancy. This could support the hypothesis an intrauterine, might
explain the second step of leukaemia development. Three case-control
studies show an increased risk of ALL in children whose father had an
high level of occupational contacts (1-3), supporting our finding. A
case-control study instead shows a decrease trend (4) and a study of
mortality shows no association (5). In Scotland the finding of a
negative trend with an increase of paternal occupational contact (4) in
cases of leukemia between 5 and 14 years and in rural areas with a
strong “population mixing” suggests a protective effect of older age
245
classes high due to acquired immunity or an immunizing effect of an
infectious agent at low doses in older ages.
INTRODUZIONE
Vi sono contraddittorie esperienze scientifiche che sottolineano
l’importanza, nella eziologia delle leucemie infantili, fra i diversi fattori
di origine individuale, ambientale e genetica, dell’occupazione paterna in
mansioni che sono oggetto di scambi frequenti con altre persone (“social
mixing”) ( Militari o Poliziotti, rappresentanti di commercio, insegnanti)
(1-3). Altri studi invece evidenziano associazioni negative (4) o non mostrano associazioni (5). In questo studio abbiamo voluto valutare l’influenza del “social mixing” della occupazione paterna come militare o
poliziotto nella eziologia delle leucemie infantili. Si è voluto inoltre dare
un contributo alla individuazione dei componenti di tale rischio valutandone la relazione diretta o indiretta con agenti infettivi e componenti genetiche ambientali.
MATERIALI E METODI
Sono stati studiati 84 casi incidenti di Leucemia infantile e 162
controlli di origine nefrologica selezionati presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria “Policlinico” di Bari. I casi ed i controlli sono stati
reclutati sulla base di criteri rigidi di inclusione ed esclusione e sono
stati sottoposti a prelievo ematico e somministrazione di questionario
standardizzato. Sia i casi che i controlli sono stati sottoposti ad un prelievo ematico previa sottoscrizione di consenso informato da parte dei
genitori. Sono stati determinati i polimorfismi genetici dei sistemi
CYP1A1 (m1-m3-m4) e CYP2D6*3 e CYP2D6*4 usando la tecnica
del PRC. Questionari strutturati precedentemente testati sono stati somministrati ad entrambi i genitori da personale sanitario precedentemente addestrato.
RISULTATI
I casi ed i controlli non differiscono significativamente per diversi
fattori (Età alla diagnosi, sesso). Una sola differenza si è verificata sulla
provincia di residenza che di fatto è stata considerata un “selection bias”
che pertanto in sede analitica è stato ritenuto, insieme ad altri confondenti o modificatori d’effetto uno dei fattori su cui necessariamente standardizzare. I risultati mostrano un significativo rischio [OR=3,24(1,268,31)] di leucemie infantili associato ai padri che svolgevano attività
come militari (Poliziotti, vigili urbani, soldati, vigili del fuoco) e, tale associazione, nel modello multiplo da noi usato, è risultata essere indipendente dai diversi fattori sui quali era stato effettuato il necessario aggiustamento. Sono state osservate anche associazioni significative con la
esposizione a pesticidi e con la variante omozigote del polimorfismo genetico del CYP2D6*4 (Tab. I).
Tabella I. Incremento del rischio di Leucemie infantili dovuto
alla occupazione paterna a pesticidi e polimorfismi genetici
246
DISCUSSIONE
Il Northern California Childhood Leukemia Study (NCCLS) ha
sostenuto la ipotesi che una serie di fattori legati al sistema immunitario ( Infezioni durante l’infanzia, contatti sociali dei parenti sul lavoro storia di vaccinazioni) possano avere un ruolo nella loro eziologia (6). Graves proponeva l’esistenza di due eventi genetici separati.
Il primo in utero mentre si verifica l’espansione di precursori delle B
cellule che porta alla determinazione di cloni pre-leucemici ed il secondo che avviene su questi precursori in seguito a stimoli anticorpali
precoci. I bambini che hanno una prolungata esposizione a fattori infettivi comuni sviluppano un sistema immunitario meno modulato che
può provocare una proliferazione cellulare più grande in seguito a malattie infettive e quindi avere un incremento del rischio di una seconda
mutazione (7). Le evidenze sull’influenza del “social mixing” sono
ancora non conclusive. Sul secondo evento risulterebbe critica l’influenza dei fattori genetico-ambientali (8). Non vi è ancora evidenza
certa ad oggi di un agente virale definitivamente legato alle leucemie
né la inclusione di specifici genomi virali all’interno delle cellule leucemiche anche se interessante riveste il riscontro persistente di una infezione da Parvovirus B19 in alcuni casi di leucemia è di interesse (9).
La infezione è associata ad una cascata di citochine seguita da un conseguente disturbo di funzioni midollari. La soppressione della normale
funzione midollare e/o la proliferazione di cloni maligni da parte di
questa cascata potrebbe stimolare lo sviluppo di una aperta leucemia.
L’allele di classe 2 HLA ( Human Leucocyte Antigen ) influenzano la
gestione di antigeni esterni. È stato riportato un incremento di suscettibilità nello sviluppo di precursori B-cellulari di ALL per i portatori
alleli di HLA dpb1*0201 (10). Nella nostra esperienza il riscontro di
un incrementato rischio dovuto alla esposizione ad insetticidi/rodenticidi materni durante la gravidanza ( potrebbe sostenere l’ipotesi di una
influenza in utero nella formazione di precursori leucemogeni ed in seguito il social mixing del lavoro del padre potrebbe spiegare la seconda fase della genesi della malattia. Tre studi caso controllo mostrano un incremento del rischio di LLA con un alto livello di contatto
paterno di natura occupazionale (1-3). Uno studio caso-controllo mostra un decremento del trend (4) Mentre uno studio di mortalità non
mostra alcuna associazione (5). Questi risultati sono interpretati come
la conseguenza di una mancanza di stimolazione immunitaria precoce.
L’idea è che l’isolamento immunitario precedente è un fattore di rischio nella leucemia infantile di soggetti intorno ai 5 anni. Il riscontro
in scozia di un trend negativo rispetto ad un incremento dei contatti
occupazionali paterni (4) in casi di leucemia fra i 5 e 14 anni ed in aree
rurali con un forte “population mixing” fa pensare ad un effetto protettivo dei soggetti di classi di età più elevate dovuto ad immunità acquisita o ad un effetto immunizzante di un agente infettivo a basse dosi
ad età più avanzate.
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06
APNEA OSTRUTTIVA DEL SONNO (OSAS) IN OPERATORI
SANITARI: CONSIDERAZIONI SU 10 CASI CLINICI
N. Scifo, G. Longo, A. Marconi, B. Puglisi, S. Strano, L. Proietti
Università degli Studi di Catania - Dip. to di Medicina Interna e
Patologie Sistemiche - Sezione Medicina del Lavoro
Corrispondenza: Dott.ssa Nicole Scifo - E-mail [email protected] Tel. 3384944757
OSTRUCTIVE SLEEP APNEA SYNDROME (OSAS) IN HEALTH
CARE WORKERS: CONSIDERATIONS ON 10 CLINICAL CASES
ABSTRACT. Nowadays sleeping disorders are a very interesting
topic in Occupational Medicine because they are involved in reduction
of working performances and increased risk of work accidents (in work
environment or while driving). Medical surveillance made from the
Occupational Health Physician can be very helpful in early diagnosis of
this kind of disease; during 2008-2009 we find out Obstructive Sleeping
Apnea Disease (OSAS) in some health care workers. We reported 10
clinical cases that show the role model of the Occupational Health
Physician in this kind of sickness. Our experience shows the duty of
Occupational Health Physician it’s not limited to medical surveillance,
but also to Health Promotion (as wrote in D.Lgs 81/08). This can be
obtained by clinical and occupational solutions, like correct work shift
planning and lifestyle changes; so the interest of the Occupational
Physician have to be focused on introducing in medical surveillance also
measures of health promotion regarding sleep disorders with the aim of
preserving health condition in workers.
Key words: ESD, OSAS, CPAP
INTRODUZIONE
Le patologie del sonno sono spesso responsabili di una progressiva
riduzione delle performance lavorative e conseguentemente di un aumentato rischio di infortuni sul lavoro. L’eccessiva sonnolenza diurna
(ESD) colpisce il 4-31 % della popolazione generale (1). Nella popolazione lavorativa la prevalenza dell’ESD è risultata essere pari al 7% negli
uomini e al 13% nelle donne (2). Tra le patologie del sonno, la Sindrome
delle Apnee Ostruttive nel Sonno (Obstructive Sleep Apnea Syndrome o
OSAS ) è quella più frequente con una prevalenza nella fascia d’età lavorativa del 2-4% nelle femmine e del 4-8% nei maschi (3). L’insorgenza
dell’OSAS è favorita soprattutto dall’obesità e da anomalie restrittive
delle vie respiratorie superiori (4, 5). Sono considerati fattori predisponenti anche l’ipotiroidismo e il diabete mellito di tipo 2, l’acromegalia
(caratterizzata da macroglossia e disordini del controllo ventilatorio), le
anomalie dello scheletro facciale e alcune abitudini voluttuarie (alcool e
fumo di sigaretta) (6, 8). È stata inoltre dimostrata una predisposizione
genetica in una percentuale del 35-40% dei casi (7). Clinicamente
l’OSAS si manifesta essenzialmente con russamento e ESD; possono associarsi astenia, deficit della memoria, cefalea al risveglio, disturbi dell’umore, difficoltà di concentrazione. Inoltre, circa la metà dei pazienti
affetti da OSAS presenta un’ipertensione arteriosa sistemica che accresce
sensibilmente il rischio di accidenti cardio- e cerebro-vascolari (9). Il
suddetto quadro clinico può provocare danni alla salute a breve (infortunio sul lavoro) ed a lungo termine (infarto, ictus, aritmie, ipertensione
arteriosa) (10, 11). Risulta quindi di fondamentale importanza diagnosti-
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
care precocemente la patologia ed avviare il paziente all’iter terapeutico
specifico. La diagnosi si basa essenzialmente su un’approfondita anamnesi mirata al rilevamento di sonnolenza diurna e russamento, e sull’esame obiettivo; il sospetto diagnostico è, inoltre, rafforzato dall’osservazione da parte del medico di sovrappeso/obesità e/o di un’ampia circonferenza del collo. La diagnosi di certezza si ottiene mediante l’esecuzione di un tracciato polisonnografico eventualmente integrato da un
esame otorinolaringoiatrico, una visita endocrinologica, una valutazione
spirometrica ed emogasanalitica, uno studio dell’assetto lipidico. La terapia della OSAS si basa, oltre che sulla riduzione del peso corporeo,
sulla ventilazione a pressione positiva continua (Continuos Positive
Airway Pressure - CPAP), applicata durante il sonno per via nasale. Quest’ultima sostiene meccanicamente le vie aeree superiori mantenendo al
loro interno una pressione positiva in grado di controbilanciare le forze
che tendono a farle collabire. Nei casi più gravi la CPAP deve essere associata ad ossigenoterapia. Se la terapia con CPAP associata a riduzione
del peso corporeo risulta adeguata, il soggetto recupera in breve tempo la
sua efficienza psicofisica. Particolarmente utile, ai fini di una diagnosi
precoce, si è rivelata l’attività di sorveglianza sanitaria effettuata dal Medico Competente (MC) in occasione della quale, durante il biennio 20082009, è stato possibile diagnosticare la OSAS in alcuni operatori sanitari
addetti alla assistenza.
CASI CLINICI
Nel corso della sorveglianza sanitaria effettuata in un’Azienda Ospedaliera della Sicilia Orientale durante il biennio 2008-2009 sono giunti
alla nostra osservazione 10 casi in cui era possibile sospettare la OSAS.
Si trattava di 5 medici e di 5 infermieri professionali, tutti maschi, con
un’età media di 53,4 anni (DS=6.32); tutti svolgevano turni notturni (28/mese) (Tabella I).
Sulla base dell’anamnesi abbiamo ritenuto opportuno somministrare
ai suddetti soggetti l’Epworth Sleepiness Scale (ESS), una scala di autovalutazione costituita 8 items che prendono in considerazione varie situazioni della vita quotidiana con diverso effetto soporifero e alle quali il
soggetto deve attribuire un punteggio compreso tra 0 e 4. Sulla base dell’anamnesi e del risultato della ESS, è stata richiesta una consulenza
pneumologica con esame polisonnografico che ha consentito di porre la
diagnosi di OSAS per tutti i suddetti casi clinici (12,13). Sono state
quindi prescritte agli interessati dieta e terapia con CPAP. Per tutti è stato
inoltre formulato un giudizio di idoneità con controindicazione al lavoro
notturno.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
La OSAS è una patologia invalidante che pone una duplice problematica sanitaria: quella diagnostico-clinica e quella lavorativa. La nostra
esperienza ha evidenziato un ruolo allargato del MC che non si limita, né
deve limitarsi, alla sola sorveglianza sanitaria, ma deve gravare anche
nell’ambito della promozione della salute, intervenendo precocemente e
con autorevolezza, sia in sede clinica nel proporre l’iter diagnostico e nel
verificare la compliance all’iter terapeutico, sia in sede lavorativa nel
pianificare i presidi di prevenzione dei rischi tramite la modifica dello
stile di vita personale e l’adeguamento ergonomico della condizione di
salute agli orari e ai turni di lavoro. Così operando il MC può dirsi sicuro
di ottemperare, pienamente al dettato del D.Lgs 81/08. Ovviamente, il
ruolo allargato del MC in caso di OSAS è da svolgere in stretto rapporto
Tabella I. Casi clinici
247
collaborativo sia con le altre figure mediche coinvolte nel processo di
diagnosi e cura (specialista del sonno, pneumologo, cardiologo, nutrizionista, neurologo, medico di famiglia) sia con le strutture lavorative
presso cui i pazienti OSAS esplicano la loro attività.
BIBLIOGRAFIA
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248
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
RADIAZIONI IONIZZANTI E NON
01
VALUTAZIONE DEL RISCHIO DA ESPOSIZIONE AD INFRAROSSI
E SORVEGLIANZA SANITARIA IN LAVORATORI ADDETTI
AL REPARTO FORNI DI UNA FONDERIA DI GHISA
L. Montomoli1, G. Coppola1, D. Sarrini1, P. Sartorelli1,
N. Stacchini2, I. Pinto2
1 Sezione di Medicina del Lavoro e Tossicologia Occupazionale
Università degli Studi di Siena, Viale M. Bracci n. 14, 53100 Siena
2 U.O Igiene Industriale Laboratorio Agenti Fisici ASL 7 Siena, Strada
del Ruffolo, 53100 Siena
Corrispondenza: Dott.ssa Loretta Montomoli - Sezione di Medicina del
Lavoro e tossicologia Occupazionale Università degli studi di Siena Viale Bracci n.1 - 453100 Siena - email: [email protected]
Parole chiave: Valutazione del rischio, radiazioni infrarosse, cataratta
INFRARED RADIATION RISK ASSESSMENT AND MEDICAL
SURVEILLANCE IN IRON FOUNDRY OWENS WORKERS
ABSTRACT. Since the early 1900’s many epidemiological studies
showed a significant increase in the incidence of cataracts among
workers engaged in processing of glass and metal. The so-called
“cataract of glass workers” was attributed to exposure to optical
radiation of high intensity, in particular infrared radiations (760 nm1400 nm). The Title VIII (Physical Agents) of D.L.gs 81/08 defines
optical radiation at wavelengths between 780 nm and 1 mm as infrared
radiation. The infrared region is divided into IRA (780-1400 nm), IRB
(1400-3000 nm) and IRC (3000 nm-1mm). In addition Annex XXXVII
Part I shows the exposure limit values. The aim of the study was to assess
exposure to infrared radiation and related effects in a population of
workers engaged in smelting furnaces of an iron foundry through
exposure measurements and medical surveillance.
Key words: risk assessment, infrared radiations, cataract
INTRODUZIONE
Fin dagli inizi del 1900 numerosi studi di rassegna ed epidemiologici hanno evidenziato un significativo incremento di incidenza di
cataratte tra lavoratori addetti a lavorazioni del vetro o di metalli alla
temperatura di fusione. A partire dai primi lavori pubblicati in letteratura fino agli anni ’80 la cosiddetta “cataratta dei vetrai” veniva attribuita all’esposizione a radiazione ottica di elevata intensità, in particolare nella regione del visibile o dell’infrarosso vicino (760 nm 1400 nm). Ciò in quanto si ipotizzava che tale radiazione fosse assorbita dall’iride con produzione di calore trasmesso per conduzione diretta al cristallino.
Il D. Lgs 81/2008 e s.m.i. al Titolo VIII (Agenti Fisici) riporta in 6
articoli al capo V la metodologia di protezione dei lavoratori dai rischi da
esposizione a radiazioni ottiche artificiali. In particolare definisce le radiazioni infrarosse (infrared radiations IR) come: radiazioni ottiche a
lunghezza d’onda compresa tra 780 nm e 1 mm. La regione degli infrarossi è suddivisa in IRA (780-1400 nm), IRB (1400-3000 nm) e IRC
(3000 nm- 1 mm). Inoltre all’allegato XXXVII parte I sono riportati i valori limite di esposizione.
L’eziologia della cataratta da IR e dei meccanismi di induzione di
lesioni termiche ai tessuti del cristallino ha rappresentato oggetto di
dibattito fino ai recenti studi sui meccanismi di trasferimento dell’energia radiante ai tessuti oculari (1, 2) che hanno portato alle seguenti
conclusioni: a) nel caso di esposizione a luce visibile o IR A la cataratta è associata all’assorbimento della radiazione nell’iride; b) nel
caso di esposizione a radiazione IR con componenti spettrali dominanti nelle regioni B e C la radiazione è assorbita dalla cornea; c) radiazione ottica e radiazione IR sono entrambe in grado di indurre ca-
taratta producendo anche se con meccanismi diversi un riscaldamento
del cristallino.
Scopo dello studio è stato quello di valutare l’esposizione a radiazione infrarossa ed i possibili danni in una popolazione di lavoratori addetti ai forni fusori di una fonderia di ghisa attraverso misure di esposizione e sorveglianza sanitaria.
MATERIALI E METODI
Le misure sono state effettuate durante le normali attività lavorative
di una fonderia di ghisa di seconda fusione in prossimità dei forni rotativi e nel trasferimento della ghisa fusa al carrello di colata e alle placche.
Le densità di potenza irradiata sono state rilevate mediante la seguente strumentazione: Fotometro Hagner S3 con sonde di misura negli
intervalli 390 nm - 770nm e 700 nm - 1150nm. La stima della irradianza
(W/m2) della radiazione infrarossa emessa nell’intero intervallo di interesse prescritto dalla normativa [770 nm - 3000 nm] è stata effettuata approssimando lo spettro di radiazione emesso dai forni con spettro di
corpo intero secondo metodiche di calcolo riportate in bibliografia.
Il protocollo di sorveglianza sanitaria prevedeva l’effettuazione
della visita oculistica annuale da parte dello specialista.
RISULTATI
Le IR cui sono risultati esposti i lavoratori hanno componenti spettrali dominanti nelle regioni IR-B e IR-C. L’eventuale danno termico al
cristallino sarebbe quindi attribuibile all’incremento di temperatura associato all’assorbimento degli IR a livello corneale ed alla propagazione
del calore al cristallino per conduzione termica attraverso i tessuti adiacenti. I valori di esposizione misurati sono risultati tutti al di sopra dei limiti stabiliti dalla normativa (D.L.gs 81/08 Titolo VIII V) che fissa 100
W/m2 (per una durata esposizione > 1000 s) come limite di esposizione
ad IR [770 nm - 3000 nm]:
Questo è il valore di esposizione al di sopra del quale il rischio è
inaccettabile per un lavoratore esposto per più di 1000s/die (circa
15’/die) per il rischio di ustione corneale e catarattogenesi. I risultati
delle misure effettuate sono riportate in tabella I.
I risultati della sorveglianza sanitaria, che ha interessato 9 lavoratori
nel corso di 8 anni, non hanno evidenziato nessun caso di cataratta da
raggi attribuibile all’esposizione professionale. Da segnalare che in un
caso l’applicazione del protocollo sanitario in visita preventiva in un
soggetto da adibire alla mansione a rischio ha evidenziato una cataratta
congenita con conseguente non idoneità alla mansione specifica.
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
I risultati dell’indagine ambientale hanno evidenziato alti valori di
esposizione per tutti gli addetti al reparto forni dell’azienda. Da segnalare anche che gli schermi di protezione di vetro installati presso la colata siviera-carrello e sullo stesso carrello di colata non sono risultati
idonei per la protezione da IR. I dispositivi di protezione individuali
(DPI) utilizzati dagli operatori (schermi e occhiali) avrebbero dovuto essere in grado di ridurre l’intensità degli IR-B di un fattore pari al 90-95%,
al fine di riportare i valori di esposizione dei lavoratori a valori inferiori
ai valori limite indicati dalla vigente normativa, mentre quelli utilizzati
non riportavano nessuna indicazione sui livelli di protezione. Allo stato
attuale non è generalmente reperibile idonea documentazione da parte
dei produttori sui livelli di protezione attesi per i DPI utilizzati come protezione da IR.
Anche se non sono stati diagnosticati casi di cataratta professionale,
anche per la limitatezza della casistica esaminata, la sorveglianza sanitaria con visita oculistica annuale appare uno strumento preventivo fondamentale per evidenziare eventuali danni precoci da IR ed ancor più
ipersuscettibilità individuali.
Tabella I. Sintesi dei risultati delle misure di IR effettuate
in una fonderia di ghisa di seconda fusione
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
BIBLIOGRAFIA
1) Scott J.A. The computation of temperature rises in the human eye induced by infrared radiation. Phys Med. Biol. 1988; 33: 243-257.
2) Okuno T. Thermal effect of visible light and infra-red radiation (IRA, IR-B and IR-C) on the eye: a study of infra-red cataract based on
a model. Ann Occup Hyg. 1994; 38: 351-9.
3) Sisto R, Pinto I, Stacchini N, Giuliani F. Infrared Radiation Exposure in Traditional Glass Factories. AIHAJ 2000; 61: 5-10.
02
UTILITÀ DELLA VIDEOCAPILLAROSCOPIA NEGLI ESPOSTI
A RADIAZIONI IONIZZANTI
A. Grillo, C. Ferrero, M. Filippousi, V. Cupelli, G. Arcangeli
Università degli Studi di Firenze - Dipartimento di Sanità Pubblica,
Sezione di Medicina del Lavoro, Largo Piero Palagi, 1/23 - 50139
Firenze
Corrispondenza: Grillo Annalisa - Università degli Studi di Firenze Dipartimento di Sanità Pubblica - Sezione di Medicina del Lavoro Largo Piero Palagi, 1/23 - 50139 Firenze - [email protected]
Parole chiave: capillaroscopia, microcircolo, radiazioni ionizzanti
ROLE OF CAPILLARY MICROSCOPY IN THE EVALUATION OF
WORKERS EXPOSED TO IONIZING RADIATION
ABSTRACT. Capillary microscopy of nailfold capillaries is an
effective diagnostic investigation for evaluation of the morphological
changes regarding the microcirculatory system.
The aim of the study was to investigate, with capillary microscopy,
the morphological and functional alterations of the dermal microcirculation in a population of healthcare workers exposed to ionizing radiation.
Twenty-nine workers, monitored with a personal dosimeter and submitted to clinical protocol were included in our study. The occupational
and personal medical history was collected; each individual exposure
was calculated as addition of all measurements (total body-dose and
hand-dose) during all working life. These data were compared with a
control group of 29 subjects of similar age not exposed to ionizing radiation or to other skin hazards.
Capillaroscopic alterations were more frequent in exposed subject
(58%) than in not exposed (31%). (p<0.05)
Our data confirm that capillary microscopy is an useful method of
prevention for workers exposed to ionizing radiation. We’ll provide to
enlarge the population of study to performing the evaluation of the association between early capillaroscopic abnormalities and occupational
ionizing radiation exposure.
Key words: capillary microscopy, microcirculatory system, ionizing
radiation
INTRODUZIONE
Il derma, costituito prevalentemente da tessuto connettivale e da sostanza fondamentale, sostiene ed è a sua volta irrorato da una estesa rete
vasale. Numerosi agenti fisici possono comportare effetti su cute e microcircolo per azione acuta, sub-acuta o cronica e con meccanismo diretto o indiretto. È proprio a livello del microcircolo cutaneo ed in particolare degli endoteli capillari che si evidenzia il primo danno da esposizione a radiazioni ionizzanti (1). Lo studio morfofunzionale del microcircolo cutaneo, effettuato mediante la capillaroscopia, è oggi ritenuto un
valido metodo per evidenziare eventuali danni da radio esposizione (2, 3,
5). Attraverso la registrazione, la digitalizzazione e l’analisi dell’immagine capillaroscopica, possiamo infatti documentare e quantificare il
danno e seguire nel tempo le varie fasi delle radio lesioni (4).
MATERIALI E METODI
Presso l’Istituto di Medicina del Lavoro dell’Università degli studi
di Firenze è stato avviato uno studio con indagine videocapillaroscopica
del microcircolo cutaneo, utilizzando un’apparecchiatura a sonda ottica
con ingrandimento 200x. Sono stati esaminati, al momento, 29 soggetti,
249
16 di sesso femminile e 13 di sesso maschile, di età media 46,3±8,3 anni,
operanti a vario titolo in ambito sanitario e sottoposti a sorveglianza sanitaria semestrale, per esposizione professionale a radiazioni ionizzanti
(categoria A). È stata raccolta un’accurata anamnesi lavorativa e patologica, con particolare attenzione a ipertensione e terapia antipertensiva,
diabete, disordini autoimmuni e sintomatologia per fenomeno di Raynaud. Sono state, inoltre, calcolate le dosi cumulative assorbite -dose
total body e dose alle mani- nell’arco della vita lavorativa per valutarne
l’eventuale relazione con i quadri capillaroscopici. Il campione esaminato è stato confrontato con un gruppo di controllo di 29 soggetti sani,
non esposti, 6 di sesso femminile, 23 di sesso maschile e di età media
50±9 anni. Lo studio del microcircolo è stato effettuato a livello della
cute periungueale del 2°, 3°, 4° e 5° dito di entrambe le mani, con analisi quantitativa e qualitativa dei parametri morfologici e funzionali della
rete capillare.
Parametri Morfologici
Caratteristiche delle anse: visibilità; morfologia; orientamento; densità; lunghezza
Presenza di: ectasie; tortuosità; aree vascolari; megacapillari; neoangiogenesi; microemorragie
Caratteristiche dello sfondo
Visibilità del plesso subpapillare
Parametri Funzionali
Caratteristiche del flusso: continuo; rallentato; granulare.
RISULTATI
Dei soggetti radioesposti sottoposti ad indagine capillaroscopica il
42% presenta quadri nella o ai limiti della norma; il 17% ai limiti della
norma con note di distonia vascolare; il 28% sindrome distonica di tipo
aspecifico; il 10% compatibile con Fenomeno di Raynaud; il 3% segni
aspecifici di connettivopatia. Nel gruppo di controllo il 69% dei soggetti
presenta un quadro capillaroscopico nella o ai limiti della norma. Nelle
successive tabelle vengono riportate le distribuzioni del quadro capillaroscopico in rapporto alle dosi di esposizione/vita total body (tabella I) e
mani (tabella II). In tabella III è riportato l’incrocio tra esposizione/vita
total body ed esposizione alle mani.
CONCLUSIONI
Si evidenzia come, in una popolazione di soggetti professionalmente esposti, ma asintomatici per quanto concerne vasculopatie del
microcircolo, ben il 58% dei soggetti presenti un quadro capillaroscopico con segni, seppur sfumati, di alterazione, a fronte del 31% del
gruppo di controllo (p<0.05). Al crescere dell’esposizione globale diminuiscono i quadri capillaroscopici nella o ai limiti della norma e auTabella I. Quadro capillaroscopico ed esposizione total body (µsv)
Tabella II. Quadro capillaroscopico ed esposizione mani (µsv)
Tabella III. Esposizione mani ed esposizione total body (µsv)
Tabella IV. Quadro anamnestico ed esposizione mani (µsv)
250
mentano le sindromi distoniche vascolari aspecifiche. Valutando l’esposizione alle mani nella fascia intermedia (1-10000 µSv) si trova la
percentuale maggiore di sindrome distonica vascolare di tipo aspecifico. Mettendo in relazione le dosi assorbite si può notare che la maggior parte dei soggetti appartenenti alla fascia con esposizione globale
maggiore abbia esposizione alle mani compresa tra 1 e 10000 µSv. Si
nota inoltre che tra i soggetti appartenenti alla fascia di esposizione
alle mani >10000 µSv, ci sia un’alta percentuale di soggetti con quadro
capillaroscopico nella o ai limiti della norma. Analizzando il quadro
anamnestico è possibile notare che a questa fascia di esposizione appartengano tutti i soggetti ipertesi in terapia con vasodilatatori sistemici. Come prospettiva futura, con il progredire dello studio e il conseguente ampliamento dei dati a disposizione, potrebbe essere utile
stabilire un profilo microvasale ed emoreologico utilizzando i parametri morfologici e funzionali descritti, al fine di permettere di evidenziare i casi con alterazione vasale, prima che si manifestino segni
clinici di radiodermiti, consentendo di operare le opportune scelte sul
personale da esporre allo specifico rischio e fornendo, dal punto di
vista medico-legale, una valida e coerente metodologia che permetta
di rilevare forme sub-cliniche o iniziali da esposizione professionale a
radiazioni ionizzanti. Dai dati in nostro possesso, pare emergere che la
non invasività, la notevole sensibilità, la facilità di esecuzione e il possibile valore predittivo sull’estensione ed evoluzione di eventuali
danni microcircolatori, rendano l’esame capillaroscopico una tecnica
di notevole utilità preventiva nei soggetti con esposizione lavorativa a
radiazioni ionizzanti.
BIBLIOGRAFIA
1) Frau P, Meloni M, Bario P, Usala A, Casula D. Quadro capillaroscopico in soggetti esposti a radiazioni ionizzanti. Riv Inf Mal Prof
1985; 52: 67-72.
2) PennarolaR. Capillary microscopy as preventive medicine in
subjects exposed to ionising radiation. British Journ Radiol 1986;
Suppl 19: 86-88.
3) Pennarola R. L’esame dei microvasi nella Medicina del Lavoro. Relazione al XIII Cong Naz Soc It. Microangiologia e Microcircolazione. Roma, 10-13/9/1987, Ed. Moduzzi, Bologna 1987; 311-324.
4) Pennarola R, D’Emilio M, Rossi L. L’esame della microcircolazione
finalizzato alla prevenzione e difesa della salute dei lavoratori
esposti a rischi tossici industriali e agenti fisici. Prevenzione Oggi
1991; 3: 21-61.
5) Pennarola R, Russo S, Quarto G, Borrelli D, Cavaliere L, Pennarola
E. Imaging capillaroscopico nella patologia professionale dell’arto
superiore. Atti 58° Cong Naz SIMLII, Bologna 11-14 ott. 1995, Ed.
Monduzzi, Bologna 1995; 155-160.
03
SOGGETTI SENSIBILI E ASPETTI DELLA SORVEGLIANZA
SANITARIA NELL’ESPOSIZIONE A RADIAZIONI OTTICHE
ARTIFICIALI
R. Pennarola1, R. Barletta, A. Lauritano, L. Quarto, A. Ruggieri,
E. Pennarola2, L. Cavaliere, G. Porzio1
Università di Napoli Federico II, Dipartimento Scienze Mediche
Preventive, Via S. Pansini 5, 80137 Napoli
1 Centro di Servizio per la Radioprotezione e la Fisica Sanitaria. Via
Cinthia. Parco S. Paolo, 80126 Napoli
2 ASL Avellino, Via degli Imbimbo 10-12, 83100 Avellino
Corrispondenza: Prof. Raffaele Pennarola, Piazza immacolata 26. 80129.
Napoli. Italy. Tel./Fax +39 081 556 3594, E-mail: [email protected]
PHOTOSENSITIVITY AND MEDICAL SURVEILLANCE IN
SUBJECTS EXPOSED TO ARTIFICIAL OPTIC RADIATION
ABSTRACT. Research on medical surveillance and photosensitivity
was carried out in twelve workers exposed to artificial optic radiation by
using laser during their medical and surgical activity. We made use of
risk-related questionnaires with reference to the workers’ photo-
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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sensitivity. Clinical examinations were integrated with special tests of the
target organs (eye and skin) particularly by utilizing biomicroscopic
examination of the skin, eye bottom and conjunctiva. No anatomical or
instrumental anomalies were detected in the subjects during their
medical examination contraindicating work exposure to artificial optic
radiation. In two cases the presence of albinism was regarded as a
condition of greater biologic risk. These two patients were warned
against prolonged exposure to artificial optic radiation and were advised
to take adequate protection. The computed monitoring of the ocular and
skin areas exposed to artificial optic radiation, particularly with opticprobe-video-capillaroscopy, provided useful indications for protecting
the health of the workers exposed. These biomicroscopic techniques with
recording, memorizing and comparing the images periodically seem to
effectively contribute to identify sensitive “subjects”. The same images of
the tissues are a clue of the biologic reponse to optic stimuli valuable in
the lung run.
Key words: Photosensitivity, Medical surveillance, Artificial optic
radiation
INTRODUZIONE
L’impatto delle onde elettromagnetiche non ionizzanti sull’apparato
visivo e cutaneo è rilevante nell’attuale società ad elevato sviluppo tecnologico in cui aumenta l’esposizione a sorgenti multiple di radiazioni
ottiche ambientali, occupazionali e domestiche. Il D.L.gs.81/08 integrato
dal D.L.gs.106/09 ha sottolineato l’importanza della salute visiva e cutanea nei lavoratori esposti a radiazioni ottiche artificiali mettendo in atto
un’analitica regolamentazione anche su effetti biologici tuttora oggetto
di indagini: soggetti sensibili, luce blu, ecc. (1-3, 6, 11). In tale contesto
il nostro gruppo di lavoro ha avviato delle indagini cliniche e strumentali
sulla sorveglianza medica dei lavoratori esposti con speciale riguardo ai
lavoratori “sensibili”.
MATERIALI E METODI
Sono stati esaminati 12 lavoratori di età compresa tra 28 e 69 anni,
di anzianità lavorativa compresa tra 2 e 26 anni esposti a radiazioni ottiche artificiali per uso di Laser di classe III e IV, in attività chirurgica,
oculistica, dermatologica e di medicina estetica. Sono stati utilizzati
questionari di rischio per la ricerca anamnestica di fotosensibilità.
Sono stati esaminati acuità visiva, campimetria, tonometria, sensibilità
cromatica e test di funzione pupillare. L’esame obiettivo è stato integrato da esami specialistici degli organi bersaglio con rilievo del fototipo e della biomicroscopia di cute, segmento anteriore e fondo oculare. È stata inoltre praticata la video-capillaroscopia digitale a sonda
ottica della congiuntiva bulbare e dei tessuti cutanei in condizioni di
base e dopo iperemia post-ischemica con registrazione delle immagini, valutazione fotometrica e classificazione dei profili microvasali
ed emoreologici con apposito software. Per l’esecuzione della metodica, descritta in precedenti lavori (7, 8, 10), è stato utilizzato l’apparecchio Video-Cap della D.S. Medica. La valutazione del rischio si è
avvalsa delle schede tecniche in dotazione delle apparecchiature laser
utilizzate.
RISULTATI
Alle visite e accertamenti praticati non si sono rilevate anomalie anatomiche e/o strumentali significative tali da controindicare l’esposizione
lavorativa. In due casi la presenza di fototipo chiaro è risultata associata
a reperto di edema fotopico alla congiuntiva bulbare e di edema pericapillare alla video-capillaroscopia cutanea dopo test post-ischemico. Tale
reperto è apparso integrare una condizione di maggior rischio oculare e
cutaneo e pertanto a questi lavoratori è stato prescritto di limitare l’esposizione alle radiazioni ottiche e di fare uso di opportune protezioni per gli
organi critici.
DISCUSSIONE
In Medicina del Lavoro la reazione irritativa e tossica oculare e cutanea agli agenti lesivi si può valutare in vivo secondo una graduazione
del comportamento della rete vascolare esposta in tabella I (4, 5). Tale
metodologia con aggiornamento tecnologico informatico è stata da noi
seguita nella ricerca sviluppata applicando alle zone esaminate la videocapillaroscopia digitale (tabella II), dimostratasi utile oltre che come indicazione dello stato di salute (9) anche nella valutazione della fotosensibilità individuale.
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
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Tabella I. Reazione vascolare di congiuntiva e cute
ad agenti lesivi professionali
Tabella II. Video Capillaroscopia digitale cutanea e congiuntivale
251
10) Pennarola R., Porzio G., Cavaliere L. Promozione della salute e applicazione informatica nella sorveglianza medica della radioprotezione. G. Ital. Med. Lav. Erg., 2007; 29: 3, 783-785.
11) Piccoli B., Orsini F., De Simone F. M., Bergamaschi A. La luce blu:
criteri per la valutazione del rischio. G. Ital. Med. Lav. Erg., 2009;
31: 3, Suppl. 216-219.
04
INTERFERENZA ELETTROMAGNETICA E IDONEITÀ
ALLA MANSIONE SPECIFICA
R. Martinelli1, M. Tarquini2, D. Cruciani2, A. Paoletti2
1 ASL 01 - Avezzano Sulmona L’Aquila - Servizio del Medico
Competente - Edificio L2/B - P.O. S.Salvatore - Coppito - L’Aquila 67020
2 Cattedra e Scuola di Medicina del Lavoro - UNIVAQ - Edificio Delta
6 - 1° piano - P.O. S.Salvatore - Coppito - L’Aquila
Questa metodica si avvale della informatizzazione dei dati con uso
di sistemi biometrici (10) e consente il controllo computerizzato delle
zone cutanee e oculari esposte, monitorate secondo il profilo microvasale ed emoreologico fornendo indicazioni utili a fini della prevenzione
e protezione dal rischio dell’esposizione alle radiazioni ottiche. Le tecniche utilizzate di monitoraggio con le indicazioni quantitative di perfusione e fotometria dei tessuti, la registrazione digitale delle immagini
confrontabili a distanza di tempo e il rilievo di aspetti specifici di fotosensibilità, come edema fotopico congiuntivale ed eritema o edema
reattivo pericapillare alla cute, danno un utile contributo nella identificazione di soggetti “sensibili” costituendo le immagini digitali una spia
importante della risposta biologica agli stimoli luminosi valutabile nel
tempo.
Le specifiche norme di legge del Testo Unico stimolano un approfondimento di studi e ricerche su effetti biologici delle radiazioni ottiche artificiali ancora oggetto di indagini di tipo clinico e sperimentale
che allo stato sembrano preliminari e necessari di ulteriori approfondimenti per le continue evoluzioni tecnologiche dei rischi. L’osservanza
della legge dovrebbe comportare un diffuso ricorso alla sorveglianza medica dei lavoratori secondo principi e metodologie proprie della Medicina del Lavoro e della Radioprotezione in un settore di grosso interesse
applicativo e scientifico.
BIBLIOGRAFIA
1) Bianchi N., Gobba F., Tafani M. Apparecchiature laser: aggiornamento delle conoscenze sui rischi professionali e la normativa per la
prevenzione. G. Ital. Med. Lav Erg, 2008; 30: 3, Suppl 2.
2) Campurra G. Manuale Medicina del Lavoro 2009. IPSOA. Milano.
2009.
3) Césarini J.P. Risques oculaires du rayonnement bleu. Radioprotection, 44, 463-478, 2009.
4) Draize J., Woodward G., Calvbry H.O. Methods for the study of irritation and toxicity of substances applied topically to the skin and
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5) Hobson D.W. Dermal and ocular toxicology. CRC Press, Boca
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6) Mariutti G.F. La radiazione UV. Impieghi, rischi e protezione, G.
Ital. Med. Lav. Erg., 2009; 31: 3, Suppl. 225-228.
7) Pennarola R. Lo studio dei microvasi della congiuntiva bulbare finalizzato all’orientamento clinico e diagnostico nella patologia oculare da radiazioni. Atti 4° Cong. Naz. AIRM. Montecatini 7-10 ott.
1982, pagg. 163-171, Ed. ENEA, Roma, 1983.
8) Pennarola R., Palmi S., Rossi L. Aspetti applicativi delle alterazioni
biomicroscopiche ed emoreologiche tissutali nei lavoratori, Prevenzione Oggi, 1999, 11, 27-48.
9) Pennarola R., Barletta R., Pennarola E., Cavaliere L., Bulgarelli G.,
Cordua F. Il rilievo dei parametri microvasali come indicatori dello
stato di salute dei lavoratori. Atti 68° Congr. Naz. SIMLII, Parma 58 ottobre 2005. Ed. MUP. Parma, 2005.
Corrispondenza: Dott.ssa Roberta Martinelli, ASL 01 - Avezzano
Sulmona L’Aquila - Servizio del Medico Competente - Edificio L2/B P.O. S.Salvatore - Coppito - L’Aquila - 67020
Parole chiave: interferenza elettromagnetica, idoneità, elettrobisturi
ELECTROMAGNETIC INTERFERENCE IN A SANITARY WORKER
ABSTRACT. This paper considered the electromagnetic
interference at work for a Medical Doctor, with activity in the operating
room and use of electrosurgery, suffering from carotid sinus syndrome,
carrying a dual-chamber pacemaker.
On that occasion we found that the operating room staff were not
able to consider the exposure to electromagnetic fields at work.
The specialist, in particular, said he had not any indication from the
cardiologist who performed the implant, which was nevertheless aware
of this specific activity.
So, we studied the occupational exposure to electromagnetic
radiation, reported in the Risk Assessment Document.
Frequencies detectable when using electrosurgical devices cover a
range from 30 to 65 KHz in the field of radio-frequencies. The measured
values were obtained both during in vivo measurements both in simulation.
Unlike other applications, with electrosurgical devices, the operator
presence is required with exposure particularly of the hands and chest,
where it was found a value of electric field close to the limit, but below.
Values are considered reassuring, given the fact that the measurements
were obtained in simulation, with application times of cutting and clot
current prolonged, for purposes of more careful evaluation.
There were no limitations or requirements raised in the job eligibility.
INTRODUZIONE
I pace-maker (PM) sono dispositivi elettronici che elaborano segnali
elettrici e per loro natura sono intrinsecamente sensibili alle interferenze
elettromagnetiche.
Le vie preferenziali di interferenza tra un dispositivo impiantato e
una sorgente elettromagnetica esterna sono costituite da tutti i componenti che in qualche modo comunicano con l’esterno (cateteri, antenne,
sensori, interruttori).
Il presente lavoro affronta la gestione della idoneità alla mansione
specifica tenuto conto della possibile interferenza elettromagnetica sul
luogo di lavoro per un medico chirurgo, affetto da sindrome del seno carotideo, portatore di un pacemaker bicamerale, con attività chirurgica in
sala operatoria ed utilizzo di elettrobisturi.
MATERIALI E METODI
Lo specialista è stato sottoposto a visita periodica dal medico competente e in tale occasione ha riferito dell’impianto di un PM, eseguito
circa due mesi prima: l’impianto si è reso necessario a causa di una sindrome del seno carotideo, manifestatasi con due episodi sincopali avvenuti a domicilio, il primo senza causa evidente, il secondo in rapporto a
involontaria stimolazione meccanica del seno carotideo.
252
G Ital Med Lav Erg 2010; 32:4, Suppl 2
http://gimle.fsm.it
La normativa attuale prevede che il lavoratore possa essere sottoposto a visita da parte del medico competente, sia sulla base di una periodicità prestabilita, sia su richiesta del lavoratore (visita straordinaria),
sia alla ripresa del lavoro, qualora assente per motivi di salute (malattia
o infortunio) per un periodo superiore ai 60 giorni continuativi, per la verifica dell’idoneità alla mansione (Articolo 41, comma 2, D.Lgs. 81/08):
nel caso in esame, il lavoratore, assente per meno di 60 giorni, non ha richiesto la visita straordinaria, in quanto ignaro della necessità di far valutare la possibile interferenza elettromagnetica tra il PM e l’elettrobisturi utilizzato nelle attività svolte in sala operatoria.
Lo specialista, in particolare, ha riferito di non aver avuto alcuna indicazione in merito da parte del collega cardiologo che aveva eseguito
l’impianto, il quale era comunque a conoscenza dell’attività svolta dal
paziente.
Nella successiva e immediata gestione del caso, sono stati acquisiti i
dati disponibili circa la valutazione della esposizione lavorativa a radiazioni
elettromagnetiche, riportato nel Documento di Valutazione dei Rischi.
RISULTATI
Le frequenze di campo rilevabili durante l’utilizzo dell’elettrobisturi
coprono un range da 30 a 65 KHz, nel campo delle radiofrequenze. I valori rilevati sono stati ottenuti sia in corso di misure in vivo che in corso
di simulazione.
Tabella I. Rilievo in simulazione in Blocco Operatorio
Tabella II. Rilievo in simulazione in Blocco Operatorio
Nella tabella seguente sono riportati i limiti previsti dalla vigente
normativa nel suddetto range di frequenze.
Tabella III. D Lgs 81/08 - Valori di azione per le frequenze
dell’elettrobisturi (30-65 KHz)
I valori rilevati sono considerati tranquillizzanti, anche alla luce del
fatto che i rilievi sono stati ottenuti in simulazione, con tempi di applicazione di corrente di taglio e coagulo prolungati, per fini di maggior cautela valutativa.
Dalla anamnesi lavorativa, raccolta in occasione della visita periodica, è emerso che lo specialista, per la tipologia della propria attività
chirurgica, fa un uso molto limitato dell’elettrobisturi, e che dal rientro
dopo l’impianto non ha mai rilevato interferenze nel suo funzionamento
durante il lavoro.
Non sono state espresse limitazioni o prescrizioni nel giudizio di idoneità: al lavoratore, reso edotto circa le criticità evidenziate, è stato raccomandato per iscritto di segnalare tempestivamente al medico competente
qualsiasi informazione utile alla futura migliore valutazione del caso.
DISCUSSIONE
Nell’uso di un elettrobisturi bipolare come quello utilizzato dallo
specialista, sono descritte in letteratura interferenze prodotte dai contatti
accidentali dell’elettrodo con il PM che consistono pressoché esclusivamente in inibizione momentanea o stimolazione asincrona. Al contrario
di altre applicazioni con esposizione professionale a sorgenti elettromagnetiche in ambito sanitario, per il funzionamento dell’elettrobisturi è richiesta la presenza dell’operatore, con l’esposizione di un distretto corporeo specifico, in particolare le mani e il torace, per i quali è stato rilevato un valore di campo elettrico in qualche caso prossimo al limite, ma
comunque al di sotto ed è esclusa la possibilità di un contatto con il PM
durante l’utilizzo dell’elettrobisturi.
Uno dei principali ostacoli riscontrati nella gestione del caso è venuto dalla difficoltà di reperire dati di letteratura riguardanti rilevazioni
nelle attività di sala operatoria connesse all’uso dell’elettrobisturi: gli addetti al Blocco Operatorio (chirurghi, strumentisti), pur capaci di gestire
in sicurezza le apparecchiature per la ottimizzazione dei risultati, non
sono risultati in possesso di idonee informazioni riguardanti l’esposizione a radiazioni elettromagnetiche durante il lavoro.
BIBLIOGRAFIA
Corbucci G, Riva U, Sciotto F, Venturini D. Gli stimolatori cardiaci impiantabili e le interferenze elettromagnetiche. G Ital Aritmol Cardiostim 2001; 1: 180-189.
Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 – Attuazione dell’articolo 1 della
legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della
sicurezza nei luoghi di lavoro – così come modificato dal Decreto
Legislativo 3 agosto 2009, n. 106 – Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

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