ESERCIZI DI AVVIAMENTO

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ESERCIZI DI AVVIAMENTO
ESERCIZI DI AVVIAMENTO
per i corsi di GEOMETRIA – dr. Vietri –
A
A1. Dimostrare che ∀X ∅ ⊆ X.
Soluzione a. Ragionando per assurdo, supponiamo che per un certo
insieme X si abbia ∅ 6⊆ X. Allora esisterebbe un elemento a ∈ ∅ \ X. In
particolare, a ∈ ∅, che è assurdo.
Soluzione b. Dobbiamo mostrare che b ∈ ∅ ⇒ b ∈ X per qualsiasi
elemento b. Ora l’antecedente di questa ⇒ è in ogni caso falsa, dato che
l’insieme vuoto non contiene alcun elemento; quindi l’implicazione totale è
vera, poiché sia “falso implica vero” che “falso implica falso” sono frasi vere.
Ad es. è vera l’affermazione: “se le mucche volano allora il prof. Vietri si
chiama Andrews”, a prescindere da come si chiama il professore. L’unica a
non essere vera è “vero implica falso” (“se il prof. Vietri è un essere umano
allora le mucche volano”).
A2. Dimostrare che ∀X, Y X∪Y ⊆ Y ∪X. Dedurre che ∀X, Y X∪Y = Y ∪X.
Soluzione. Per qualsiasi elemento a si ha che a ∈ X ∪ Y ⇒ a ∈ X ∨ a ∈
Y ⇒ a ∈ Y ∨ a ∈ X ⇒ a ∈ Y ∪ X (abbiamo semplicemente usato la
commutatività di “vel”). Scambiando ora i simboli X e Y si ottiene, senza
dover ripetere la dimostrazione, che Y ∪ X ⊆ X ∪ Y . La doppia inclusione
produce ora l’uguaglianza.
A3. Dimostrare che ∀X X ∪ X = X = X ∩ X.
Soluzione. Per dimostrare la prima uguaglianza basta mostrare che X ∪
X ⊆ X (infatti l’altra inclusione, X ⊆ X ∪ X, segue banalmente dalla
definizione di ∪, perché mediante l’unione o aggiungiamo qualcosa a X o
comunque non lo priviamo di alcun elemento; vedere anche l’es. A5). Dunque
si ha che a ∈ X ∪ X ⇒ a ∈ X ∨ a ∈ X ⇒ a ∈ X (usando la proprietà di
“idempotenza” di “vel”, che si apprezza bene ad es. nel dire “sappi che oggi
mangerò un gelato oppure mangerò un gelato”; in altri termini, affermare
una cosa oppure la stessa cosa, vuol dire affermare quella cosa).
Per dimostrare la seconda uguaglianza basta mostrare che X ⊆ X ∩ X
(infatti l’altra inclusione, X ∩ X ⊆ X, segue banalmente dalla definizione di
∩, perché mediante l’intersezione o togliamo qualcosa a X o comunque non
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gli aggiungiamo alcun elemento; vedere anche qui l’es. A5). Dunque si ha
che a ∈ X ⇒ a ∈ X ⇒ a ∈ X ∧ a ∈ X ⇒ a ∈ X ∩ X (usando la proprietà
di “idempotenza” di “et”, che si apprezza bene ad es. nel dire “sappi che
oggi mi sono svegliato alle sei e mi sono svegliato alle sei”). Notiamo che in
questo caso l’idempotenza è stata usata per raddoppiare la formula, mentre
nell’altro caso si era usata per dimezzarla, ma il principio è lo stesso.
A4. Studiare la relazione γ in Z × Z definita da m γ n ⇔ m − n è divisibile
per 7 (equivalentemente, m − n è un multiplo di 7).
Soluzione. Facciamo un esempio per “rompere il ghiaccio”: 1000 è in
relazione con 223 perché la loro differenza è uguale a 777, che è divisibile per
7. Ovviamente vale la stessa proprietà anche se scambiamo i due numeri.
Come altro esempio (che conviene fare sempre, almeno per avere le idee un
po’ piú chiare), due numeri uguali sono in ogni caso in relazione, poiché la
loro differenza è 0, che è divisibile per 7 (notiamo – a prescindere dal presente
esercizio – che invece 7 non è divisibile per 0; infatti non esiste alcun numero
che moltiplicato per 0 dia 7). Ora vediamo, più formalmente, quali proprietà
valgono in generale per γ: poiché ∀ x ∈ Z x − x = 0 = 7 · 0, si ha che γ è
riflessiva; poiché ∀ x, y ∈ Z (x − y = 7a (∃a ∈ Z) ⇒ y − x = 7(−a)), si ha
che γ è simmetrica; anche la transitività vale, ma dobbiamo faticare un po’
di più: se x − y = 7a e y − z = 7b , si ha che x − z = x − y + y − z =
(x − y) + (y − z) = 7a + 7b = 7(a + b). Abbiamo perciò scoperto che γ è
una relazione di equivalenza. Il relativo insieme quoziente consiste di 7 classi,
ognuna delle quali contiene tutti i numeri che danno un ben preciso resto se
divisi per 7. Ad esempio [4] = {4, 11, 18, 25, −3, −10, −17, ...} (ricordiamo
che, ad esempio, la divisione euclidea tra −17 e 7 dà −17 = 7 · (−3) + 4;
infatti il prodotto tra il quoziente (−3) e il divisore (7) non deve superare il
dividendo (−17), nemmeno nel caso di numeri negativi, e il quoziente deve
essere il massimo possibile). Le sette classi, in effetti, si ottengono prendendo
la classe [0], cioè i multipli di 7, e traslandola nei sei modi possibili lungo
l’asse dei numeri relativi.
A5. Dati due insiemi qualsiasi X, Y , dimostrare che X ∩Y ⊆ X, X ∪Y ⊇ X,
X ∩ Y = Y ∩ X.
Soluzione. Risolviamo questo esercizio utilizzando le proprietà che definiscono un insieme, anziché manipolare i connettivi logici. X ∩ Y consiste
degli elementi in comune a X ed Y , quindi ogni elemento di tale intersezione
appartiene in particolare a X. Invece X ∪ Y contiene sia gli elementi di X
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che quelli di Y , dunque contiene in particolare tutti gli elementi di X. Infine,
gli elementi in comune a X ed Y sono esattamente quelli in comune a Y ed
X (in effetti abbiamo dovuto invocare la proprietà commutativa di “et”).
A6. Dimostrare che ∀X, Y, Z X ∩ (Y ∩ Z) = (X ∩ Y ) ∩ Z.
Soluzione. Usiamo il consueto metodo della doppia inclusione. Per qualsiasi elemento a si ha che a ∈ X ∩ (Y ∩ Z) ⇒ a ∈ X ∧ a ∈ Y ∩ Z ⇒ a ∈
X ∧ (a ∈ Y ∧ a ∈ Z) ⇒ (a ∈ X ∧ a ∈ Y ) ∧ a ∈ Z per l’associatività di “et”,
che si apprezza bene quando ed es. si elencano tre o più persone presenti
in un dato posto, e si osserva che non contano le pause o le enfasi durante
l’elencazione. Avendo dunque dimostrato una delle due inclusioni, ora in
effetti è possibile invertire tutte le implicazioni, cosı̀ da ottenere la seconda
inclusione, cioè X ∩ (Y ∩ Z) ⊇ (X ∩ Y ) ∩ Z.
A7. Delle due leggi di distributività per gli insiemi, dimostrare la seguente:
∀X, Y, Z X ∩ (Y ∪ Z) = (X ∩ Y ) ∪ (X ∩ Z). Discutere poi un esempio reale
inerente a tale proprietà.
Soluzione. L’ingrediente fondamentale nella dimostrazione è la distributività sul fronte dei rispettivi connettivi logici. Riformuliamo perciò il
problema in termini logici, utilizziamo poi la proprietà distributiva, e torniamo infine alla simbologia degli insiemi. Lo sviluppo temporale della dimostrazione è scandito dai simboli ⇔, che accorpano i più deboli ⇐, ⇒, e
consentono di dimostrare le due inclusioni simultaneamente. (La proprietà
∗
distributiva “scatta” quando interviene ⇔) Per qualsiasi elemento a si ha
∗
dunque che a ∈ X ∩ (Y ∪ Z) ⇔ a ∈ X ∧ (a ∈ Y ∨ a ∈ Z) ⇔ (a ∈ X ∧ a ∈
Y ) ∨ (a ∈ X ∧ a ∈ Z) ⇔ a ∈ (X ∩ Y ) ∪ (X ∩ Z).
Il seguente esempio mostra come la distributività permetta di farsi capire
con poco sforzo. Anziché dire: “vorrei una pizza con i funghi oppure una
pizza con le melanzane” si può dire “vorrei una pizza, con i funghi o con le
melanzane”.
A8. Rivisitare tutti i precedenti esercizi sostitutendo ∅ a X o a Y o a Z, e
verificare che si ottengono delle proprietà ancora valide.
Soluzione. A1 diviene ∅ ⊆ ∅, che è banalmente vero per qualsiasi insieme. Anche A2 e A3 sono immediati, mentre in A5, ponendo Y = ∅, si
ottengono le formule – di immediata verifica – X ∩ ∅ = ∅ ⊆ X, X ∪ ∅ =
X ⊇ X, X ∩ ∅ = ∅ = ∅ ∩ X. In A6, ponendo ad es. Y = ∅, si ottiene
X ∩ (∅ ∩ Z) = X ∩ ∅ = ∅ = ∅ ∩ Z = (X ∩ ∅) ∩ Z. In A7, ponendo Z = ∅
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si ha che X ∩ (Y ) = (X ∩ Y ) ∪ ∅. Dunque in tutti i casi visti non occorre
fare dimostrazioni laboriose come nel caso generale, poiché le formule che si
ottengono sono sempre immediate da dimostrare.
A9. Delle due formule di De Morgan, dimostrare la seguente:
∀Y ⊆ X, Z ⊆ X CX (Y ∩ Z) = CX Y ∪ CX Z .
Fornire poi un esempio reale inerente a tale formula.
Soluzione. Per un qualsiasi elemento a ∈ X si ha che a ∈ CX (Y ∩ Z) ⇔
a ∈ X ∧ a 6∈ (Y ∩ Z) ⇔ a ∈ X ∧ ¬(a ∈ Y ∧ a ∈ Z) ⇔ a ∈ X ∧ (a 6∈ Y ∨ a 6∈
Z) ⇔ (a ∈ X ∧ a 6∈ Y ) ∨ (a ∈ X ∧ a 6∈ Z) ⇔ a ∈ CX Y ∨ a ∈ CX Z ⇔ a ∈
CX Y ∪CX Z (in effetti potevamo fare una dimostrazione più facile trascurando
l’appartenenza ad X, che è una sorta di insieme “universo”). Dunque gli
ingredienti fondamentali sono stati il “cambio” operato dalla negazione e la
distributività di “et” rispetto a “vel”.
Come esempio, sia X l’insieme degli studenti del presente corso. Sia poi Y
il sottoinsieme degli studenti disattenti e Z il sottoinsieme degli studenti che
parlano durante la lezione. Allora CX (Y ∩ Z) contiene ogni studente che non
sia [disattento e “chiacchierone”] al tempo stesso. Un qualsiasi suo elemento
è attento oppure quieto, e infatti appartiene a CX Y ∪ CX Z (ovviamente un
valore relativamente alto di |Y ∩ Z| non giova affatto alla riuscita del corso,
mentre Z \ Y contiene in genere studenti che stimolano la conversazione
costruttiva – ma non devono fare troppe domande agli studenti vicini o al
professore!).
A9bis. Dimostrare che ∀X ⊆ Y CY (CY X) = X.
Soluzione. Si tratta in effetti di un gioco di parole, riconducibile a frasi
del tipo “su questo tavolo non vedo un giornale che non sia vecchio” (cioè
tutti i giornali che vedo sul tavolo sono vecchi) oppure a proprietà algebriche
del tipo “meno per meno fa più ”. Dunque si ha che CY X consiste degli
elementi di Y che non appartengono ad X; invece il suo complementare in Y
consiste – com’è ovvio – degli altri elementi di Y , cioè precisamente di quelli
appartenenti ad X. Formalmente, tutto dipende dal fatto che ¬(¬P ) ⇔ P
per ogni proprietà P (diciamo che ¬ è un’involuzione).
A9ter. È possibile che, per un dato insieme A, si abbia A × A = A? Si può
avere invece |A × A| = |A|?
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Soluzione. Le coppie di un prodotto cartesiano sono, per loro natura,
diverse dai singoli componenti che appartengono ai due insiemi iniziali (in
questo esercizio, in effetti, i due insiemi coincidono, ma il concetto non cambia). Quindi l’unica situazione in cui la prima uguaglianza si verifica è quando
A = ∅, poiché il prodotto cartesiano di due insiemi vuoti è ancora l’insieme
vuoto (non ci sono coppie). Invece, nel secondo caso, l’uguaglianza è di tipo
numerico ed equivale ad |A|2 = |A|. Dunque essa ha luogo qualora |A| = 0
(cioè A = ∅) ma anche se |A| = 1 (cioè se A consiste di un solo elemento;
in simboli, A = {a} ∃a). Non vi sono altre soluzioni perché l’equazione è di
secondo grado, e abbiamo già due radici.
Notiamo che la seconda situazione è più “generale” della prima (cioè
ingloba la prima e contiene anche altri casi). Ad es. infatti se A = {3} si ha
{3} × {3} = {(3, 3)} =
6 {3} ma |{3} × {3}| = |{(3, 3)}| = 1 = |{3}|.
A10. Dimostrare che se ρ è una relazione binaria sia di ordine che di equivalenza, allora in effetti ρ è la relazione di uguaglianza.
Soluzione. Consideriamo l’insieme X su cui è definita ρ. Innanzitutto, a
causa della riflessività (che oltretutto vale sia per l’ordine che per l’equivalenza), si ha che ∀x ∈ X xρx. Poi, per ogni x, y ∈ X si ha che xρy ⇒ yρx a
causa della simmetria dell’equivalenza, ma ora l’antisimmetria dell’ordine
implica che y = x. Dunque al di fuori delle coppie {(x, x): x ∈ X} non ve ne
possono essere altre.
A11. Su un insieme X tale che |X| = 20 è definita una relazione ρ ⊆ X × X
tale che |ρ| = 21. È anche noto che ρ è riflessiva. Una tale relazione può
essere anche simmetrica, o transitiva, o antisimmetrica?
Soluzione. Le coppie in relazione sono quelle del tipo (x, x) per ogni
x ∈ X (a causa della riflessività) più una sola coppia, necessariamente del
tipo (x0 , x1 ) con x0 6= x1 . Dunque ρ non è simmetrica, poiché x0 ρx1 6⇒ x1 ρx0 .
Essa è invece transitiva, poiché se aρbρc allora o a = b = c, o a = x0 , b =
c = x1 , o infine a = b = x0 , c = x1 ; dunque in tutti e tre i casi si ha che aρc.
L’antisimmetria di una relazione è pregiudicata esclusivamente da situazioni
del tipo aρbρa con a 6= b. Ma nel nostro caso ciò non può verificarsi, poiché
gli unici due elementi distinti in relazione tra loro sono x0 e x1 , e non si ha
che x1 ρx0 . Dunque sussiste l’antisimmetria.
Notiamo che già nel caso in cui |X| = 22 non è più possibile dare risposte
certe alle tre domande. Ad es. si potrebbe dimostrare che a seconda della
scelta dell’ulteriore coppia di elementi in relazione (la 22-esima) ρ può essere
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una relazione di equivalenza, o di ordine, o può non avere alcuna delle due
proprietà.
A12. Studiare le relazioni xρy ⇔ x è amico di y, e xσy ⇔ x conosce il
nome di y, definite nell’insieme {abitanti coscienti dell 0 Italia}.
Soluzione. La relazione ρ può, tutto sommato, essere considerata riflessiva (ciascuno è amico di se stesso, passi pure) ed è ovviamente simmetrica,
ma certo non è transitiva (la non transitività di tale relazione è all’origine
di serate antipatiche trascorse in compagnia di gente con cui non c’è troppo
feeling).
La relazione σ è ovviamente riflessiva, mentre la simmetria non vale (si
pensi ad un personaggio famoso, sia egli p : un suo ammiratore a vorrebbe che
pσa, ma quand’anche fosse vero che aσpσa – gli spettacoli televisivi o radiofonici possono aiutare – ciò non basterebbe a causare la simmetria per tutte
le coppie in relazione. D’altra parte, se ci fosse simmetria non ci sarebbero
personaggi famosi – lo saremmo tutti e quindi nessuno lo sarebbe). Nemmeno
la transitività vale, come si potrebbe dimostrare con semplici esempi. Infine,
l’antisimmetria non vale perché sicuramente esistono coppie di individui che
si conoscono a vicenda (ne basterebbe una).
A13. Dare un esempio di funzione f : N → N suriettiva ma non iniettiva.
Soluzione a. Una funzione adatta è [n/2], come anche [n/3], [n/4], ecc.
([x] è la parte intera del numero reale x, cioè il più grande intero non maggiore
di x). Infatti, considerando solo il primo caso, non si ha iniettività perché
ad es. f (8) = f (9) = 4 e, per quanto riguarda la suriettività, f −1 (n) =
{2n, 2n + 1} ∀n ≥ 0, dunque la controimmagine di qualsiasi elemento non è
mai l’insieme vuoto.
Soluzione b. Anziché “contrarre” N possiamo “farlo scorrere” indietro
di 1, provocando cosı̀ una sovrapposizione di due immagini uguali allo zero.
In simboli, poniamo f (n) = n − 1 se n > 0, e poi f (0) = 0. La suriettività
segue infatti da f −1 (n) = n + 1 ∀n > 0 e f −1 (0) = {0, 1}. Inoltre non vale
l’iniettività perché le immagini di 0 e 1 coincidono (f (0) = f (1) = 0).
A14. Sia A un insieme tale che |A| = 12. Supponiamo che esista una funzione
f : A → B suriettiva. Cosa si può dire di |B|? E se invece esistesse una g
iniettiva ma non suriettiva?
Soluzione. Poiché B deve essere “ricoperto” da A, esso non deve essere
troppo grande. Più precisamente, dalla disuguaglianza generale (per insiemi
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finiti) |f (A)| ≤ |A| ∀f, A (infatti alcune immagini di una data funzione possono benissimo coincidere) e dall’uguaglianza caratteristica della suriettività,
cioè |f (A)| = |B|, si ha che |B| ≤ |A|. Dunque necessariamente |B| ≤ 12.
Nel secondo caso l’iniettività di g implica che |f (A)| = |A| (notiamo che
questa condizione è anche sufficiente). Dunque, poiché per impedire la suriettività deve essere |f (A)| < |B|, abbiamo che |A| < |B| e quindi che |B|
deve essere almeno 13.
A15. Dimostrare che la composizione di due funzioni biunivoche è ancora
una funzione biunivoca.
Soluzione. Siano date f : A → B e g : B → C biunivoche, e consideriamo g ◦ f : A → C. Intanto notiamo che tale composizione è ben definita,
poiché non c’è il rischio che la g “faccia un buco nell’acqua” pescando un
elemento di B non raggiunto da f ; in altre parole, la suriettività di f assicura
che l’immagine di f è tutto il dominio B. Ora, mostriamo che g◦f è iniettiva:
se x, y sono elementi distinti in A, allora per l’iniettività di f abbiamo che
f (x) 6= f (y). A sua volta, l’iniettività di g implica che g(f (x)) 6= g(f (y)).
Passiamo alla suriettività: preso x ∈ C, per la suriettività di g abbiamo che
∃x̄ ∈ B : g(x̄) = x. A sua volta, la suriettività di f implica che ∃x̂ ∈ A :
f (x̂) = x̄. Ma allora g(f (x̂)) = g(x̄) = x. Avendo stabilito sia l’iniettività
che la suriettività della composizione, otteniamo per definizione la biiettività.
A16. Descrivere esempi concreti o astratti che riguardino l’implicazione e la
doppia implicazione (equivalenza).
Soluzione. (Ho l’automobile) ⇒ (pago un’assicurazione). Ma non è vero
il viceversa; infatti se pago un’assicurazione potrebbe essere quella sugli infortuni, sulla salute, ecc. . Un’altro esempio: (n è un numero primo maggiore
di due) ⇒ (n è dispari), e nemmeno qui vale il viceversa.
Passiamo ora alla doppia implicazione. (Pago un’assicurazione) ⇔ (figuro nell’elenco dei clienti di qualche compagnia assicurativa). Tale esempio
è assai elementare, mentre il prossimo potrebbe essere considerato un vero
e proprio teorema, perché afferma qualcosa di interessante (molti teoremi
si enunciano usando appunto ⇔, e sono interessanti perché collegano due
“mondi lontani”): (Un sistema S di tre equazioni lineari in tre incognite ha
almeno due triple di soluzioni) ⇔ (S ha infinite triple di soluzioni). Infatti
è chiaro che le due frasi sono collegate da ⇐ (la seconda frase implica banalmente la prima), ma non è affatto ovvio che valga ⇒, cioè che un tale
sistema che ammetta almeno 2 soluzioni ne ammette, sicuramente, ad es. 53
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o di più, addirittura infinite! Quest’ultima implicazione ha un ruolo cruciale
in tutta la teoria dei sistemi lineari, e verrà dimostrata durante il corso.
A17. Quante funzioni suriettive esistono da un insieme X non vuoto a un
insieme {y} che consiste cioè di un punto solo? E quante funzioni iniettive
esistono da {y} a X?
Soluzione. L’unica funzione suriettiva da X a {y} è anche l’unica funzione in generale. Infatti l’immagine di un qualsiasi elemento di X deve appartenere a {y}, quindi deve essere necessariamente uguale a y, dunque per
costruire una funzione abbiamo soltanto una scelta, obbligata. Al contrario,
qualsiasi funzione f : {y} → X è iniettiva (è anche suriettiva se |X| = 1), ed
esistono tante funzioni quanti sono i modi di applicare y in X scegliendo un
elemento x ∈ X, cioè |X| modi.
A18. Data una relazione binaria R su un insieme A, è sempre possibile
definire una funzione f : A → A mediante: f (x) = y con y tale che xRy (per
qualsiasi x ∈ A)?
Soluzione. Una tale definizione è possibile soltanto quando per ciascun
x fissato esiste ed è unico l’elemento y ∈ A tale che xRy. Infatti affinché
una funzione sia correttamente definita, occorre che qualunque elemento del
dominio abbia un’immagine, e che tale immagine sia unica. Ad es. la relazione “amicizia” non permette di definire una funzione, perché – supponendo questa volta che non sia vero che chiunque è amico di se stesso – può
benissimo accadere che qualche elemento x non abbia amici (quindi ci sarebbero problemi col dominio), o ne abbia più di uno (problemi con l’immagine:
non sappiamo quale amico y dobbiamo associare all’elemento x). Un modo
per ottenere una funzione da tale relazione è quello di assegnare x all’amico
y conosciuto per ultimo oppure avente la minima età, ecc. . Si dovranno anche assegnare tutti gli eventuali “misantropi” (che non hanno amici) ad un
fissato y “di salvataggio”, es. y = prof. Vietri, cosı̀ da poter dare un senso a
f (x) in tutti i casi.
A19. Studiare le 4 seguenti relazioni ri , definite in R: x r1 y ⇔ x2 − y 2 = 0;
x r2 y ⇔ x3 − y 3 = 0; x r3 y ⇔ x2 − xy = 0; x r4 y ⇔ x2 − y = 0.
Soluzione. r1 equivale all’uguaglianza dei valori assoluti di x e y. Essa
è perciò una relazione di equivalenza (essenzialmente perché si riferisce all’uguaglianza di due grandezze), ed ha per quoziente una struttura “essenzialmente uguale” all’insieme dei numeri reali non negativi. La classe di equi8
valenza di 0, cioè [0], consiste di un solo elemento (ovviamente lo 0 stesso),
mentre tutte le altre consistono di due elementi (ad es. [π] = {π, −π} ).
r2 equivale invece all’uguaglianza vera e propria tra numeri reali (si noti
che ciò non sarebbe più vero nell’insieme C dei numeri complessi). L’insieme
quoziente di r2 è perciò, banalmente, R stesso, poiché ogni classe ha un solo
elemento.
Se x r3 y allora o x = 0 oppure x = y (ciò si vede facilmente scrivendo
x2 − xy come x(x − y) ). Mentre sarebbe facile dimostrare la riflessività e
la transitività di r3 (per quest’ultima occorrerebbe un’analisi per casi, come
nell’es. A11), soffermiamoci invece sulla mancanza di simmetria. Essa è
infatti causata da coppie in relazione come ad es. (0, 2) (precisamente, da
tutte e sole le coppie (0, y) con y 6= 0). In effetti si ha antisimmetria, e
dunque r3 è una relazione d’ordine. Il relativo diagramma di Hasse consiste
di un punto (lo 0) situato in basso e collegato con infiniti “raggi” a tutti gli
altri numeri reali posti al livello superiore.
L’ultima relazione non è riflessiva (ad es. 22 − 2 6= 0, perciò 2 6 r4 2), non è
simmetrica (ad es. 3 r4 9 6 r4 3) e nemmeno transitiva (3 r4 9 r4 81 ma 3 6 r4 81).
Infine, se le coppie in relazione r1 , ..., r4 vengono visualizzate sul piano
cartesiano, esse formano rispettivamente le rette bisettrici del I,III quadrante
e del II,IV q. , la bisettrice del I e III q. , due rette (l’asse y unita alla bisettrice
del I e III q.), e una parabola. Nel caso di r1 , il rispettivo insieme quoziente
ha una rappresentazione naturale come semiretta, più precisamente come la
semiretta non negativa reale; infatti lo 0 fa da “perno” e la retta reale si
piega su se stessa facendo coincidere i punti di segno opposto).
A20. Determinare sia il dominio che la controimmagine f −1 (−1) per le
seguenti funzioni reali f (x):
x2 , x3 , x4 , x , log10 x , ex , cos x , sin x , tg x , −x6 , −x7 , 1 , −1 , x|x|−1 .
Soluzione. Il dominio si restringe nel caso del logaritmo (solo numeri
positivi) e nel caso – l’ultimo – del valore assoluto al denominatore (si esclude
infatti lo 0). Le rispettive controimmagini sono (ricordiamo che, a rigore,
dovremmo usare le parentesi graffe per indicare gli insiemi, anche nel caso
di un singolo elemento nella controimmagine; ma in genere tale prassi può
essere evitata, senza che ciò si consideri un errore):
∅ , −1 , ∅ , −1 , 1/10 , ∅ , (2k + 1)π: k ∈ Z , (2k − 1/2)π: k ∈ Z ,
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(k − 1/4)π: k ∈ Z , {−1, +1} , 1 , ∅ , R , {s: s ∈ R ∧ s < 0} = (−∞, 0) .
(notare che ∅ indica l’insieme vuoto, non lo zero)
A21. Fornire un esempio di funzione suriettiva da Q+ (i numeri razionali
positivi) a Q .
Soluzione. Le risposte a questo esercizio possono differire tra loro di
molto. L’idea insita nella presente risposta è quella di estendere l’intervallo
razionale (0, 1)∩Q “tirandolo” dalla parte dello 0, fino a fargli coprire l’intero
semiasse negativo. I numeri da 1 in poi verranno invece lasciati inalterati.
Una funzione che fa il lavoro richiesto è ad es. un tratto di iperbole (in
genere la presenza di asintoti verticali permette di “allungare” una parte di
dominio). Ad es. possiamo considerare g(x) = (2x − 1)/x, la cui inversa è
g −1 (y) = 1/(2 − y). Si ha infatti che g(1) = 1, limx→0+ g(x) = −∞ e infine
g 0 (x) > 0 (cioè g cresce) in (0,1]. Ora, come detto prima, “incollando” questa
g alla funzione identità i : [1, +∞) → [1, +∞) si ottiene la funzione richiesta.
AA
AA1. Se per ipotesi ∃x: x ∈ Q \ N ∧ x 6∈ Z, è vero che x ∈ R \ Z, e che
x ∈ R \ Q, e infine che x ∈ Z ∪ Q?
Soluzione. Per ipotesi si ha che x è razionale ma non naturale, e in
effetti nemmeno intero. Quindi x può essere un qualsiasi numero razionale
non intero (essere naturale implica essere intero, dato che Z ⊃ N). La
prima risposta è affermativa, perché R ⊃ Q; la seconda risposta è negativa
e l’ultima è affermativa (notiamo che Z ∪ Q = Q).
AA2. Sia I un insieme tale che |I| = 3. Quanto vale |P(I)|? Quanto vale in
generale |P(J)| se |J| = n per un certo n?
Soluzione. Il numero dei sottoinsiemi di un insieme come ad es. {1, 2, 3}
è dato da tutte le possibilità di formare una stringa binaria di lunghezza 3
(l’i-esimo bit, se acceso, avviserà che il numero i è presente; ad esempio 110
è la stringa corrispondente al sottoinsieme {2, 3}, mentre 000 corrisponde
all’insieme vuoto). Poiché le stringhe di lunghezza 3 possono esprimere 8
valori (da 0 a 7), esse sono appunto 8. In generale, la stringa di lunghezza
n esprime 2n valori (tutte le possibilità di accendere o spegnere gli n bit: 2
possibilità per il primo; poi, per il secondo bit, 2 per ognuna delle 2 possibilità
precedenti, ecc.), che sono appunto tanti quanti i sottoinsiemi di un insieme
10
di cardinalità n. Ad es. se n = 12, la stringa 011101010010 corrisponde al
sottoinsieme {2, 5, 7, 9, 10, 11} di {1, 2, 3, ..., 11, 12}.
AA3. Una delle seguenti affermazioni è errata. Discuterne comunque ciascuna. 1) x ∈ X ∧ x ∈ Y ⇒ x ∈ X ∪ Y. 2) x 6∈ X ∧ x ∈ Y ⇒ x ∈ X ∪ Y.
3) x 6∈ X ∧ x ∈ Y ⇒ x ∈ X ∩ Y.
Soluzione. Nel primo caso x è un elemento dell’unione perché è vero che
esso appartiene ad almeno uno dei due insiemi che la formano. Per lo stesso
motivo, x riesce ancora a soddisfare la tesi nel secondo caso – grazie alla
sua appartenenza a Y . Invece nel terzo caso si richiede che x appartenga ad
entrambi gli insiemi. Dunque la tesi è errata.
AA4. Creare una catena di implicazioni r ⇒ s ⇒ t per dimostrare che se un
nuotatore vince una gara (ipotesi r) allora ottiene una delle tre medaglie per
i primi posti (tesi t). Fare in modo da non rendere invertibile alcuna delle 2
implicazioni.
Soluzione. Dobbiamo riuscire ad “allungare il discorso” inserendo un
evento che però non sia una deduzione banale, né dia luogo a deduzioni
banali (altrimenti una o entrambe le ⇒ si invertirebbero, come ad es. in “A
vince una gara ⇒ A non arriva secondo o dopo il secondo”, oppure in “A
arriva tra i primi tre ⇒ A ottiene una delle tre medaglie per i primi posti”;
tali implicazioni sono invertibili, cioè sono equivalenze). Dobbiamo in effetti
“allargare lo spazio degli eventi”, mediante successive inclusioni proprie, fino
a giungere all’evento dell’assegnazione della medaglia. Spezziamo dunque la
procedura di assegnazione della medaglia nei passaggi: A vince la gara ⇒ A
arriva primo o secondo ⇒ A ottiene una delle tre medaglie. Notiamo infatti
che t non implica s (se vale t allora A potrebbe essere arrivato anche terzo) e
che s non implica r (se vale s, A potrebbe essere arrivato soltanto secondo).
AA5. Sia X = {abitanti dell 0 Italia} e definiamo una relazione ρ su X, cosı̀:
xρy ⇔ x parla lo stesso dialetto di y. Dimostrare che ρ è di equivalenza.
Descrivere l’insieme quoziente X/ρ. Dire perché non è possibile definire una
funzione f : X/ρ → {regioni d 0 Italia} mediante f ([x]) = regione in cui si
parla il dialetto di x. Definire poi, invece, una qualsiasi funzione g : X/ρ →
{regioni d 0 Italia}.
Soluzione. Senza entrare nei dettagli, ricordiamo che laddove una relazione sia definita attraverso parole come “lo stesso” o “uguale a”, essa si
comporta come l’uguaglianza “=” e dunque è una relazione di equivalenza.
11
Il relativo insieme quoziente consiste di una classe, cioè di un punto, per ogni
dialetto (ogni classe è invece l’insieme di tutti coloro che parlano tale dialetto; essa viene contratta in un solo punto, nell’insieme quoziente). Quindi
la cardinalità di X/ρ, cioè |X/ρ|, è proprio il numero dei dialetti presenti in
Italia.
La corrispondenza f è certamente una relazione binaria (fra insiemi diversi); essa genera infatti ad es. la coppia ([prof.Vietri],Lazio) – perché [prof.
Vietri]={abitanti che parlano il romanesco} – oppure ([Massimo Troisi],
Campania). Ma nel caso in cui un dialetto si distribuisca tra due regioni
– come succede spesso in zone di confine regionale – tale relazione genera le
coppie ([x], y) e ([x], z) dove y e z sono due regioni distinte. Dunque f ([x])
in questi casi non è univoca, e ciò impedisce a f di essere globalmente una
funzione.
Una funzione g potrebbe essere quella che associa ogni punto dell’insieme quoziente (cioè ogni dialetto) alla regione Lazio, dunque lo associa ad
un punto fissato per tutti. Una tale funzione non sarà certo significativa dal
punto di vista glottologico, ma lo è formalmente, come funzione da un insieme
a un altro. Una funzione g 0 che invece abbia anche un riscontro applicativo
può essere la f di prima, modificata con la condizione di scegliere la regione
in cui il dialetto [x] è parlato da più individui (augurandoci che i numeri di
individui differiscano al variare delle eventuali regioni confinanti interessate).
Questo processo di selezione si rivela fondamentale in contesti di vario tipo
in cui, appunto, si debba assicurare l’unicità a partire da una corrispondenza
più generale (vedere anche l’es. A18).
AA6. Descrivere esempi concreti o astratti che riguardino i quantificatori
∃, ∀, e la negazione ¬ , mostrando anche il modo in cui quest’ultima interagisce con i quantificatori.
Soluzione. ∀ persona ∃ un unico codice fiscale. L’unicità dell’esistenza
si può esprimere sinteticamente col simbolo ∃!: ∀ persona ∃! nonno materno.
Questi primi due esempi permettono di costruire le rispettive funzioni f, g tali
che f (persona) = codice fiscale della persona, g(persona) = nonno materno
della persona.
Vediamo un nuovo esempio: ∃ una persona p tale che ∀ persona q 6= p si
ha che q si sente a proprio agio e si diverte in presenza di p (in altri termini,
p è una persona simpatica a tutti).
Passiamo ora alla negazione. ¬∀ ciambella essa viene col buco ⇔ ∃
ciambella che ¬ viene col buco. ¬∃ la mezza stagione ⇔ ∀ stagione ¬ è
12
vero che è mezza. Infatti in questi casi la negazione non è commutativa, anzi
“stravolge” i ruoli di ∀ o ∃, scambiandoli. La negazione è importante anche
nell’inversione di teoremi. Infatti un teorema in cui si usa ⇒ può essere letto
a ritroso, negando gli enunciati: ad es. il teorema: “∀ poligono P che è un
triangolo ⇒ ∃ un cerchio circoscritto a P ”, è equivalente al teorema cosiddetto contronominale: “¬∃ un cerchio circoscritto a un poligono P ⇒ P ¬ è
un triangolo”.
La proprietà appena vista è molto utile quando si vuole dimostrare un
teorema. Infatti anziché partire dall’ipotesi, si può partire dalla negazione
della tesi e arrivare alla negazione dell’ipotesi (si tratta della dimostrazione
“per assurdo”). Ad es. per dimostrare il teorema: Se ab > 16 allora o a > 4 o
b > 4 (con a e b positivi), si può supporre per assurdo che entrambi i numeri
non siano maggiori di 4, ottenendo ab ≤ 16 che è una contraddizione rispetto
all’ipotesi iniziale.
B
B1. L’insieme {(x, 0): x ∈ R} è un sottospazio di R2 ? E l’insieme {(x, 1): x ∈
R}?
Soluzione. Come di consueto si può eseguire il test di appartenenza.
Dunque, presi due elementi qualsiasi (x, 0), (y, 0) e due scalari qualsiasi r, s ∈
R, si ha che r(x, 0) + s(y, 0) = (rx, 0) + (sy, 0) = (rx + sy, 0) che è ancora
del tipo (z, 0), con z = rx + sy ∈ R. La prima risposta è perciò affermativa.
Al contrario, il medesimo test genera, nel secondo caso, r + s nella seconda
componente. Cosı̀, ad esempio, se r = s = 1 otteniamo r +s = 2 6= 1, dunque
siamo “usciti fuori” dall’insieme di partenza. Tale insieme non è perciò chiuso
rispetto alle operazioni previste e in definitiva non è un sottospazio.
Un modo più elegante e sbrigativo per mostrare che non abbiamo a che
fare con un sottospazio è quello di trovare un “difetto” che pregiudichi appunto l’essere sottospazio. Ad es. un tale difetto è la mancanza dello zero,
cioè di (0,0) – infatti la seconda componente deve essere sempre 1. In genere
quando si sospetta che una struttura non sia del tipo richiesto, per dimostrare
la propria idea basta trovare un controesempio, un difetto, un qualcosa che
“rovini tutto”, anche se è piccolo come la semplice mancanza dello zero. Invece se si pensa, e si vuole dimostrare, che una struttura sia ciò che viene
richiesto, allora bisogna davvero dimostrare tutte le proprietà che essa deve
avere (come nel primo caso, in cui abbiamo dovuto fare un test globale, anche
13
se in verità non cosı̀ complesso). La matematica è spesso cosı̀, ma anche... la
vita quotidiana: ad es. se tutto è in regola la macchina parte, ma basta che
si stacchi un filo perché essa ci “lasci a piedi”.
B2. Nel primo caso dell’es. B1 trovare un insieme di generatori del sottospazio. Trovare poi un insieme di due generatori per R2 e mostrare che in
generale non si può ridurre il numero di tali generatori. Verificare che i due
generatori trovati sono linearmente indipendenti. Mostrare infine che due
vettori lin. dipendenti non possono generare R2 .
Soluzione. A livello intuitivo, poiché tale sottospazio dipende solo da
una variabile, esso non ha “molta libertà di espressione”, e quindi basteranno
pochi vettori per generarlo tramite combinazioni lineari. Specializzando ad
es. la x con il valore 1, si ottiene (1,0) e si riesce conseguentemente ad esprimere ogni (x, 0) come x(1, 0). Dunque (1,0) è, da solo, un generatore
(infatti mediante le possibili combinazioni lineari, che sono semplicemente
quelle del tipo x(1, 0), si ottiene tutto il sottospazio h(1, 0)i ).
Un tipico esempio di generatori per R2 è {(1, 0), (0, 1)}. Infatti un vettore
qualsiasi, (a, b), si può esprimere come a(1, 0) + b(0, 1) (l’elementarità di tali
generatori ci consente, immediatamente, di trovare la combinazione lineare
adatta). È invece impossibile trovare un unico generatore per R2 . Infatti, se
ci fossimo riusciti usando un certo (u, v), non saremmo paradossalmente in
grado di generare ad es. (u, v + 1).
Torniamo ora sui due generatori di prima. Essi sono linearmente indipendenti perché se α(1, 0) + β(0, 1) = (0, 0) allora (α, β) = (0, 0) e dunque
α = β = 0. Per quanto riguarda l’ultima domanda, due vettori (a, b), (c, d)
linearmente dipendenti sono, equivalentemente, proporzionali (infatti abbiamo che h(a, b) + k(c, d) = 0 con h, k non entrambi nulli; perciò se h 6= 0
si ha che (a, b) = (k/h)(c, d), mentre se h = 0 sicuramente k 6= 0 e dunque
(c, d) = (h/k)(a, b) ). Ora due vettori proporzionali non hanno la forza di
generare tutto R2 , perché i loro lavori si “intralciano” e si “sovrappongono”.
In termini formali, se supponiamo ad es. k 6= 0 e quindi (c, d) = t(a, b),
tutti i vettori generabili sono del tipo α(a, b) + β(c, d) = α(a, b) + βt(a, b) =
(α + βt)(a, b) e cioè tutti e soli i vettori proporzionali ad (a, b).
B3. Mostrare che {(x, y, z) ∈ R3 : x = z} è un sottospazio (di R3 ). Trovarne
due generatori e mostrare che non si può trovare un solo generatore.
Soluzione. Anziché fare le verifiche di routine, potremmo brevemente
dire che un tale sottoinsieme è definito da un certo numero (uno, in questo
14
caso) di equazioni lineari (cioè di grado 1) omogenee (cioè con tutti i monomi
dello stesso grado e dunque senza il termine noto, che sarebbe infatti di grado
0) e quindi esso è, per un noto teorema, un sottospazio. Oppure, tralasciando
quel teorema ed eseguendo un test diretto, vediamo che per ogni a, b, x, y, u, v
si ha a(x, y, x)+b(u, v, u) = (ax+bu, ay +bv, ax+bu) che è ancora un vettore
con prima e ultima componente uguali. Ciò dimostra che siamo in presenza di
un sottospazio, perché c’è appunto chiusura rispetto alle operazioni. Inoltre
tale insieme non è vuoto.
Possiamo trovare due generatori col metodo della sostituzione di 1 in una
variabile e di 0 nell’altra, avendo riscritto le triple come (x, y, x) (notiamo che
tale scrittura rappresenta la soluzione generale del sistema omogeneo, molto
semplice, di 1 equazione in 3 variabili, dato da x = z). Dunque otteniamo
(1,0,1) e (0,1,0).
Similmente a quanto visto nell’esercizio B2, la presenza di vettori non
proporzionali come ad es. gli stessi (1,0,1) e (0,1,0), ma anche ad es. (1,1,1)
e (3, −5, 3), rende impossibile l’esistenza di un solo vettore che generi tutto
il sottospazio – infatti un tale vettore produrrebbe tutti vettori tra loro proporzionali.
B3bis. Mostrare che gli insiemi T = {(x1 , x2 , x3 , x4 ) ∈ R4 : x1 + x2 + x3 −
x4 = 0}, U = {(x1 , x2 ) ∈ R2 : x1 − 2x2 = 0} sono sottospazi, mentre V =
{(x1 , x2 , x3 , x4 ) ∈ R4 : x1 + x2 + x3 − x4 + 1 = 0} non lo è. Nei primi due casi,
trovare due rispettive basi.
Soluzione. Per un noto teorema, essendo i primi due insiemi caratterizzati da un sistema lineare omogeneo (formato da una sola equazione) a
differenza del terzo, abbiamo già le tre risposte. Ragionando invece con
il test di appartenenza, esaminiamo prima T : il suo generico elemento è
esprimibile come (a, b, c, a + b + c) con a, b, c ∈ R. Dunque svolgendo calcoli
elementari e “riorganizzando” infine l’ultima componente, si ha che, per ogni
scelta di r, r0 , a, b, c, a0 , b0 , c0 reali, r(a, b, c, a + b + c) + r0 (a0 , b0 , c0 , a0 + b0 + c0 ) =
... = (ra + r0 a0 , rb + r0 b0 , rc + r0 c0 , (ra + r0 a0 ) + (rb + r0 b0 ) + (rc + r0 c0 )) ∈ T .
Un ragionamento analogo, stavolta sulle coppie (2a, a), a ∈ R, conduce alla
risposta affermativa per U . Per V il test non funziona (...), e comunque
nell’equazione che definisce tale insieme notiamo la presenza di un termine
di grado 0 (un numero, cioè, che non è coefficiente di alcun monomio). Ciò
rende immediata la risposta negativa, poiché si può subito osservare che
0 6∈ V , in contraddizione con una nota proprietà dei sottospazi.
Nel primo esempio, sostituendo 1 ad una delle tre lettere a, b, c e 0 alle
15
altre due, otteniamo i tre generatori (1, 0, 0, 1), (0, 1, 0, 1), (0, 0, 1, 1). Affinché
essi formino una base, devono essere lin. indip. (oppure potremmo mostrare
che formano un insieme minimale di generatori – e dunque che non possiamo
rinunciare ad alcuno di loro – ma non percorriamo questa strada). L’indipendenza lineare si dimostra facilmente supponendo che per certi α, β, γ si abbia
α(1, 0, 0, 1) + β(0, 1, 0, 1) + γ(0, 0, 1, 1) = 0 (cioè (0,0,0,0) ). Si ha allora che
(α, β, γ, α + β + γ) = 0 da cui segue facilmente che i tre coefficienti devono
essere nulli. Dunque una base è quella formata dai tre generatori trovati e,
in particolare, dim(T ) = 3.
Nel secondo esempio, si arriva facilmente alla conclusione che una base è
{(2, 1)}, e che in particolare dim(U ) = 1.
B4. Dimostrare che il prodotto scalare, × , è associativo rispetto alla moltiplicazione con scalari, e distributivo rispetto alla somma di vettori. Mostrare
poi che esistono vettori di R2 non nulli ma il cui prodotto scalare è nullo.
Soluzione. Preso un numero reale λ e tre vettori u = (u1 , u2 , ..., un ), v =
(v1 , v2 , ..., vn ), w = (w1 , w2 , ..., wn ) ∈ Rn , si ha che
λ · (u × v) = λ ·
X
ui vi =
1≤i≤n
X
λ(ui vi ) =
1≤i≤n
X
(λui )vi = (λ · u) × v
1≤i≤n
e inoltre si ha che
u × (v + w) =
X
ui (vi + wi ) =
1≤i≤n
=
X
1≤i≤n
ui vi +
X
(ui vi + ui wi ) =
1≤i≤n
X
ui w i = u × v + u × w .
1≤i≤n
(essenzialmente, nel secondo calcolo abbiamo utilizzato la distributività dell’usuale prodotto · tra numeri, rispetto alla somma +) Per rispondere all’ultima domanda basta esibire due vettori come ad es. (1, 0) e (0, 1), ma anche ad
es. (30, 12) e (−2, 5). Notiamo, con l’occasione, che se tracciamo tali coppie su
un piano coordinato esse risultano ortogonali. Uno degli aspetti interessanti
di × è infatti il suo “reagire” all’ortogonalità mediante la risposta “zero”.
Tale proprietà è in effetti un caso particolare del bel teorema (un ponte,
possiamo dire, tra l’algebra e la geometria) secondo il quale il prodotto scalare
di due vettori del piano o dello spazio (dove le cose si fanno ancora più interessanti) è precisamente il coseno dell’angolo che essi formano, moltiplicato
per le due rispettive lunghezze dei vettori.
16
B5. (per ora manca)
B6. Impostare e risolvere un sistema di tre equazioni in due variabili per
trovare tutte le combinazioni lineari di v 1 = (1, 2, −3) e v 2 = (1, 3, −2) che
generano v 3 = (2, 5, −5). Utilizzare un metodo simile per mostrare che invece
non è possibile generare v 4 = (1, 0, 1). In quale dei due casi il terzo vettore,
aggiunto ai due iniziali, forma una base di R3 ?
Soluzione. Cerchiamo tutti i numeri reali x, y tali che xv 1 + yv 2 = v 3 .
Abbiamo che (x, 2x, −3x) + (y, 3y, −2y) = (x + y, 2x + 3y, −3x − 2y) =
(2, 5, −5) e dunque otteniamo il sistema



x+y =2
2x + 3y = 5
.


−3x − 2y = −5
Si ha: x = 2 − y da cui, sostituendo nella seconda equazione, y = 1. “Risalendo”, si ha che x = 1. Ora la terza equazione ci conferma che (1, 1) è
una coppia accettabile (infatti abbiamo l’identità −5 = −5). Notiamo che
tale conferma non era affatto scontata. Bastava infatti ad es. modificare
il termine noto della terza equazione (cioè la terza componente, −5, del
vettore da ottenere) per trovare un’assurdo, e dunque per avere un sistema
“impossibile”. Invece nel nostro caso il sistema è “possibile” ed ammette
precisamente una soluzione (ciò che sta accadendo sarà più chiaro una volta
appreso il teorema di Rouché-Capelli).
Passando ora al secondo caso, otteniamo



x+y =1
2x + 3y = 0


−3x − 2y = 1
e dunque x = 1 − y ⇒ y = −2 ⇒ x = 3, ma ora la terza equazione “pone il
suo veto” perché diviene −5 = 1. Abbiamo perciò un sistema impossibile.
Nel primo caso non ci troviamo di fronte ad una base, poiché il terzo
vettore è combinazione lineare dei primi due e dunque i tre vettori sono
linearmente dipendenti (numericamente si ha che v 3 = 1 · v 1 + 1 · v 2 ⇒
1 · v 1 + 1 · v 2 − 1 · v 3 = 0). Nel secondo caso, invece, i tre vettori v 1 , v 2 , v 4 sono
linearmente indipendenti (e quindi, essendo tre, formano una base). Infatti,
per prima cosa, l’impossibilità del sistema equivale all’impossibilità di trovare
una combinazione lineare non banale dei tre vettori che dia 0 e tale che il
17
terzo coefficiente non sia nullo (...). L’unica possibilità che resterebbe per
ottenere una combinazione lineare non banale sarebbe quella di generare 0
mediante αv 1 + βv 2 , con α 6= 0 oppure β 6= 0, ma si vede facilmente che
ciò non è possibile. Infatti i due vettori v 1 , v 2 non sono proporzionali, e
la proporzionalità è proprio equivalente alla dipendenza lineare, quando si
tratta di due soli vettori.
B7. Riconoscere se prima l’insieme {(1, 0, 0), (0, 1, 0), (1, 1, 0)}, e poi {(π, 3π,
2π), (6, 18, 11), (6, 18, 12)} sono basi di R3 .
Soluzione. Chiediamoci se i primi tre vettori sono linearmente dipendenti
(se non lo sono, essi formano infatti una base, poiché sono tanti quanto la
dimensione). Potremmo usare il rudimentale calcolo che conduce a un sistema, oppure potremmo cercare “a tentativi” una combinazione lineare che
non abbia tutti i coefficienti nulli – se siamo convinti, o almeno speriamo,
di trovare una risposta positiva. Invece, standardizziamo l’esercizio grazie al
calcolo del determinante della matrice ottenuta ponendo i tre vettori in riga.
Sviluppando lungo la prima riga si ha:
1 0 0 1 0
0 1 0 = 1 · 1 0
1 1 0 −0·
0 1
0 0 +0·
1 1
1 0 =0
(è inutile calcolare il secondo e terzo determinante di ordine 2, perché verranno moltiplicati per 0 – questo è uno degli aspetti piacevoli del primo
teorema di Laplace). Potevamo osservare, in alternativa, che una colonna
della matrice è nulla. Deduciamo insomma che non siamo in presenza di una
base. Nel secondo caso si ha:
π 3π 2π 18 11
6 18 11 = π · 18 12
6 18 12 − 3π
·
6 18
6 11 + 2π · 6 18
6 12 =
= π · 18 − 3π · 6 + 2π · 0 = 0 .
Dunque nemmeno in questo caso abbiamo una base. Anziché calcolare il determinante potevamo accorgerci che le prime due colonne sono proporzionali
e dunque dipendenti. Per “colpa loro” l’insieme dei tre vettori è linearmente
dipendente (infatti, a prescindere dalle caratteristiche di (2π, 11, 12), si ha
che 3(π, 6, 6) − 1(3π, 18, 18) + 0(2π, 11, 12) = 0 ). Notiamo che la proporzionalità tra colonne è “saltata all’occhio” solo dopo aver messo i vettori in riga
per formare una matrice quadrata.
18
B8. Dimostrare che
S = {(a + 2b, 2a + 4b): a, b ∈ R}
è un sottospazio di R2 . Definire tale sottospazio anche mediante un sistema
di 1 equazione in 2 incognite. Trovarne infine una base. Cosa cambia se
studiamo
S 0 = {(2b, 2b + 4): b ∈ R}
e infine
S 00 = {(a + 2b, 2a + 5b): a, b ∈ R} ?
Soluzione. Effettuando il test di chiusura si ha che ∀ h, k, a, b, a0 , b0 ∈ R
h(a + 2b, 2a + 4b) + k(a0 + 2b0 , 2a0 + 4b0 ) = (ha + 2hb + ka0 + 2kb0 , 2ha +
4hb + 2ka0 + 4kb0 ) = ((ha + ka0 ) + 2(hb + kb0 ), 2(ha + ka0 ) + 4(hb + kb0 )) ∈ S.
Rispondiamo ora alla seconda domanda. A tal fine notiamo che la seconda
componente è il doppio della prima. In altri termini, possiamo caratterizzare
S come l’insieme {(x, y) ∈ R2 : y = 2x}. Ecco dunque che abbiamo ottenuto
il sistema omogeneo richiesto. Esso è in effetti molto semplice, ma sempre
utile (lo vedremo in seguito):
{2x − y = 0 .
(la parentesi è superflua, ovviamente). Notiamo, a posteriori, che anziché
eseguire un noioso e rischioso (per i calcoli) test di chiusura, sarebbe più
sicuro lavorare in un’altra direzione cercando un possibile sistema associato
che sia omogeneo. Se infatti un tale sistema esiste, automaticamente (per un
noto teorema) ci troviamo di fronte a un sottospazio.
Per trovare una base di S poniamo prima a = 1, b = 0 ottenendo il
vettore (1, 2), poi a = 0, b = 1 ottenendo (2, 4). Notiamo che tali vettori sono
proporzionali e quindi lin. dip. . Per generare S ne basta dunque uno solo
(infatti la “dimensione” di S vale 1. Ciò sarà ancor più chiaro in seguito allo
studio del rango per i sistemi lineari – teor. di Rouché-Capelli). Possiamo cosı̀
dire che {(1, 2), (2, 4)} è sı̀ un insieme di generatori, ma che essi sono... troppi,
e una spia del loro soprannumero è che essi non sono lin. indip. . Notiamo che
il metodo degli 0 e dell’1 permette di dimostrare, in alternativa ai metodi
precedenti, che S è un sottospazio. Infatti risulta che a(1, 2) + b(2, 4) =
(a + 2b, 2a + 4b) e dunque che S = h(1, 2), (2, 4)i.
Nel secondo caso il test di appartenenza fallisce. Infatti si ha che h(2b, 2b+
4) + k(2b0 , 2b0 + 4) = ... = (2(hb + kb0 ), 2(hb + kb0 ) + 4h + 4k) 6∈ S 0 (in genere)
19
perché h e k sono liberi di variare e, ad es. possono generare 8,9,10..., cioè non
necessariamente 4. Dunque non si tratta di un sottospazio. Ragionando in un
altro modo, possiamo cercare un semplice “neo”, un qualcosa che pregiudichi
l’essere sottospazio. Ad es. ci accorgiamo che non è possibile ottenere (0, 0).
Infatti la seconda componente è sempre maggiore (di 4) della prima. Abbiamo fra l’altro scoperto, cosı̀, che il sistema associato non è omogeneo,
infatti esso è
{x − y + 4 = 0 .
Questa è un’ulteriore conferma che S 0 non è un sottospazio.
Il terzo caso sembra molto simile al primo, eppure le cose cambiano
sostanzialmente. Ora intanto il test “rifunziona”. Infatti si ha che h(a +
2b, 2a + 5b) + k(a0 + 2b0 , 2a0 + 5b0 ) = (ha + 2hb + ka0 + 2kb0 , 2ha + 5hb + 2ka0 +
5kb0 ) = ((ha + ka0 ) + 2(hb + kb0 ), 2(ha + ka0 ) + 5(hb + kb0 )) ∈ S 00 . Ne segue
che S 00 è un sottospazio. Se però cerchiamo un sistema omogeneo associato
(deve esistere, dato che abbiamo dimostrato che S 00 è un sottospazio) esso
non appare immediato da scrivere. Ponendo allora x = a + 2b, y = 2a + 5b
ci accorgiamo che non è possibile trovare relazioni fra x e y. Infatti si ha
ad es. che y = 2(x − 2b) + 5b = 2x + b, dunque non otteniamo una legge
“fissa” poiché c’è b che “dà fastidio”. Siamo in presenza di un sottospazio
uguale allo spazio stesso, R2 . Per vederlo, calcoliamo una base col solito
metodo, ponendo cioè prima a = 1, b = 0 e poi a = 0, b = 1. Otteniamo
i due vettori linearmente indipendenti (1, 2), (2, 5). Essi sono la prova che
S 00 ha dimensione 2, cioè necessita di non meno di 2 generatori (ovviamente
possiamo aggiungerne altri, inutili – basterà annullarli mediante il fattore 0
nella combinazione lineare – ma 2 resta il minimo) e dunque S 00 coincide con
lo spazio “ambiente” 2-dimensionale (vedere anche l’es. B9). A questo punto
ci “salviamo” dicendo (nulla di errato, sia ben chiaro) che il sistema associato
a S 00 esiste comunque, ed è quello formato dall’equazione 0=0 (ma anche, ad
es. , dalle 2 equazioni indeterminate “5x − 5x = 0” e “y + 2x = y + 2x” o solo
da una di esse). Osserviamo infine che per dimostrare che S 00 è un sottospazio
potevamo semplicemente notare che a(1, 2)+b(2, 5) = (a+2b, 2a+5b), anziché
eseguire il test di chiusura.
B9. Dimostrare che se S è un sottospazio di Rn tale che dim(S) = n, allora
S = Rn .
Soluzione. Sia {b1 , ..., bn } una base di S. Supponiamo per assurdo che
n
R \ S 6= ∅ e sia quindi m un vettore appartenente a tale differenza di insiemi
20
(dunque appartenente a Rn ma non ad S). Ora necessariamente m non può
essere generato dalla base di S; in altre parole non esiste alcuna combinazione
P
lineare 1≤i≤n αi bi (con αi ∈ R ∀i) che dia m. Ne segue (...) che gli n + 1
vettori b1 , ..., bn , m sono lin. indip. , ma ciò è assurdo perché un noto teorema
ci assicura che in Rn esistono al massimo n vettori lin. indip. (osserviamo
che tale teorema è fondamentale per i nostri scopi; esso discende facilmente
dal teorema che afferma che in un sottospazio non possono esistere più vettori
lin. indip. del numero di vettori di una qualunque base; tralasciamo, in una
prima fase, la dimostrazione di questo prezioso risultato).
B10. Senza usare il concetto di rango, dimostrare che il sottospazio generato
dai tre vettori u1 = (1, 0, 1), u2 = (2, 1, −1), u3 = (1, −1, 4) (cioè l’insieme
di tutte le loro combinazioni lineari) è strettamente contenuto in R3 (cioè
esistono vettori non esprimibili mediante combinazioni lineari siffatte). In
simboli: hu1 , u2 , u3 i ⊆6= R3 .
Soluzione. Dobbiamo accontentarci dei nostri mezzi ancora un po’ rudimentali, e trovare effettivamente un vettore che non venga generato da una
combinazione lineare del tipo xu1 + yu2 + zu3 (potremmo, in alternativa,
mostrare che tali vettori sono lin. dip. , mediante un sistema). Modelleremo,
dunque, un sistema generico in modo da renderlo impossibile. Sia infatti
(p, q, r) il vettore da trovare. Un’eventuale combinazione lineare dei nostri
tre vettori, con rispettivi coefficienti x, y, z, condurrebbe al seguente sistema:



x + 2y + z = p
y−z =q
.


x − y + 4z = r
Si avrebbe perciò y = z + q ⇒ x − z − q + 4z = r ⇒ x = −3z + q + r ⇒
−3z+q+r+2(z+q)+z = p ⇒ 3q+r = p. Dunque scopriamo che un qualsiasi
vettore che abbia 3q+r 6= p non potrà mai essere espresso come combinazione
lineare dei tre vettori iniziali, qualunque sia la scelta di x, y, z, perché ciò
porterebbe a un assurdo nel relativo sistema. Si prenda ad es. (1,0,0) e si provi
a riscrivere il sistema, che ora infatti risulterà impossibile. Abbiamo quindi
trovato un vettore, anzi infiniti vettori, che risolvono il nostro problema.
Notiamo che, escludendo i termini noti a destra degli “=”, non a caso la
prima somma è uguale a tre volte la seconda più la terza. La dipendenza
lineare delle tre equazioni tronche è legata al teorema di Rouché-Capelli.
Se conoscessimo il rango e sapessimo usarlo, impiegheremmo circa mezzo
minuto per risolvere lo stesso esercizio! Scopriremmo che la matrice quadrata
21
ottenuta mettendo in riga i tre vettori ha determinante nullo, e dunque,
per un noto teorema, che essa ha le righe (e anche le colonne, in effetti)
linearmente dipendenti. Più precisamente, il suo “rango” – e cioè il numero
massimo di righe lin. indip. – vale al massimo 2. I tre vettori sono perciò
lin. dip. e non possono pertanto costituire una base. Esisteranno cioè vettori
che non possono essere generati come combinazione lineare dei tre vettori
iniziali.
B11. Eseguire tutti i prodotti possibili tra coppie delle seguenti 9 matrici:
1 −2 −3
2 0 −2
A=

!
,B=

0 −2 3


1 −2

0 
,C= 2
,
−1 −1


1 −2 −3
1



0 −2 
D= 2
 , E =  2  , F = (π) ,
−1 −1 0
−1

G=




1
2
−3
4





−3
1
,H=
!
,I=
0 −2 3 2
.
Soluzione.
0 1
4 −2
AC =
!
0 1
1
4 −2 −6
, AD =
!
0
4
, AE =
!
, BC =

BD =
−7 −3 4

, BE =
−7
−7 −3





0
0
1
1
0
1






2
DC =  4 −2  , D =  4 −2 −6  , DE =  4  ,
−3
−3 2
−3 2
5






0 −2 3
π
0 −2 3
2




0
−4
6
2π
0
−4
6
4 
EB = 
,
EF
=
,
EI
=





,
0 2 −3
−π
0 2 −3 −2
FB =
0 −2π 3π
,F2 =
,

−3 −2 1
−5



, CA =  2 −4 −6  , CH =  −6 
 ,
−3 2
5
2


π2
22
,FI =
0 −2π 3π 2π
,
ecc. ecc. (GB è 4 × 3, GF è 4 × 1, GI è 4 × 4, HB è 2 × 3, HF è 2 × 1, HI
è 2 × 4, IG è 1 × 1).
B11bis. È vero che il prodotto tra matrici quadrate è commutativo?
Soluzione. In genere no. Ad esempio
1 3
2 4
!
·
1 1
2 0
!
=
7 1
10 2
!
ma
1 1
2 0
!
·
1 3
2 4
!
=
3 7
2 6
!
.
B12. Utilizzare la regola di Cramer in tre modi distinti per risolvere il
seguente sistema, “spostando” a destra del segno “=” tre distinte coppie
di variabili. Interpretare poi geometricamente le soluzioni.



x1 − 2x2 + 3x3 + x4 + x5 = 1
−x1 + x2 − x4 − x5 = 0


x1 + x3 + x4 + x5 + 7 = 0
.
Soluzione. La relativa matrice è


1 −2 3 1
1 k 1


A =  −1 1 0 −1 −1 k 0  .
1
0 1 1
1 k −7
Notiamo che tre colonne di Ainc coincidono. Dunque al fine di ottenere un
minore 3 × 3 con determinante non nullo, dobbiamo prenderne solo una (in
tre modi, quindi) e poi restano le altre due colonne obbligatorie (la seconda
e la terza, sperando che le tre colonne da esaminare siano lin. ind. e cioè
rendano il determinante non nullo). Il minore 3 × 3 estremo a sinistra ha
in effetti determinante non nullo (uguale a −4). Possiamo allora considerare
x4 , x5 come parametri e risolvere, con l’usuale regola di Cramer, il sistema



x1 − 2x2 + 3x3 = 1 − s − t
−x1 + x2 = s + t


x1 + x3 = −7 − s − t
.
Le ∞2 (cioè dipendenti da 2 parametri) soluzioni sono
11
3
11
− − s − t, − , − , s, t
2
2
2
∀ s, t ∈ R .
Notiamo che l’insieme delle soluzioni non è un sottospazio – ad es. esso non
contiene lo 0. Ciò era prevedibile, perché il sistema iniziale non era omogeneo.
23
Possiamo però “distillare” un sottospazio da tale insieme, scrivendo i suoi
elementi cosı̀:
−
11
3
11
, − , − , 0, 0
2
2
2
+ ( −s − t , 0 , 0 , s , t ) .
Si tratta dunque di un “piano” in R5 ottenuto da un sottospazio 2-dimensionale (a destra) la cui origine (0) è stata traslata e collocata sul punto a
sinistra, “portando con sé” tutto il piano che prima passava per 0. Il sottospazio corrisponde al sistema omogeneo associato al nostro sistema, cioè lo
stesso sistema ma con i termini noti nulli. Tale sottospazio è la “giacitura”
del nostro piano, cioè contiene precisamente l’informazione della “pendenza”,
e passa per l’origine. Per ottenere il “vero” piano bisogna traslare opportunamente la giacitura, facendola passare per un qualsiasi punto del “vero”
piano.
Si possono analogamente considerare come parametri le coppie (x1 , x4 ) e
(x1 , x5 ), ottenendo soluzioni apparentemente diverse da quelle trovate sopra,
ma a ben vedere (...) coincidenti.
B13. Dimostrare che
S = {(x, y, z, w) ∈ R4 : 2x − y − z = 0 ∧ 2x − z − 2w = 0 ∧ y − 2w = 0}
è un sottospazio (di R4 ) e trovarne due basi. Dimostrare poi che
T = {(x, y, z, w) ∈ R4 : 2x − y − z = 0 ∧ 2x − z − 2w = 0 ∧ y − w = 0}
è un altro sottospazio e trovarne una base.
Soluzione. Le tre condizioni in congiunzione logica, riguardanti S, costituiscono un sistema omogeneo lineare, da cui segue immediatamente che
S è un sottospazio. Per trovarne una base, scriviamo il sottospazio in forma
esplicita risolvendo il relativo sistema. [Condizione 3] ⇒ y = 2w e ora [Condizione 1] ⇒ z = 2x − 2w. Notiamo che la seconda condizione diviene superflua. La quadrupla generica di S è dunque (x, 2w, 2x − 2w, w) con x, w ∈ R.
Due generatori di S sono (sostituendo 1 e 0 alternativamente in x e w) i
vettori (1, 0, 2, 0) e (0, 2, −2, 1). Essi sono lin. indip. – poiché risultano non
proporzionali – e quindi formano una base di S.
Potremmo benissimo dire che un’altra base è la stessa di prima ma con
i vettori scambiati (infatti l’ordine conta – si pensi alle coordinate di un
vettore generico, che infatti vengono scambiate). Potremmo anche sforzarci
24
un minimo di più e dire che un’altra base si ottiene modificando di due
fattori qualsiasi (non 0) i due generatori. Oppure, agendo nel modo più
generale possibile, potremmo prelevare dalle ∞2 quadruple (x, 2w, 2x−2w, w)
del sottospazio due altri vettori che però non siano proporzionali (dunque
dovremmo sostituire a x e w valori diversi da 0 e 1, verificando poi la non
proporzionalità). Ad es. ponendo x = 2, w = 1 e poi x = 1, w = −1 otteniamo (2, 2, 2, 1) e (1, −2, 4, −1) che non sono proporzionali e dunque formano
una nuova base di S.
Per quanto riguarda T , la piccola modifica nella terza condizione provoca
un “cataclisma” a livello di dimensione. Questa passa infatti da 2 a 1, quindi
il sottospazio da “piatto” diventa “filiforme” (si avrà, come vedremo, un solo
generatore), all’interno di uno spazio ambiente 4-dimensionale. Più in dettaglio, nel relativo sistema ora non abbiamo condizioni superflue, e (dopo alcuni calcoli) troviamo quadruple del tipo (x, 0, 2x, 0) con x ∈ R. Sostituendo
1 alla x troviamo il generatore (1, 0, 2, 0) che determina la direzione lungo
la quale “vive” il sottospazio. Tale generatore è ovviamente, da solo, anche
base.
BB
BB1. Dimostrare che “due vettori di un qualsiasi sottospazio di Rn sono
proporzionali” ⇔ “essi sono linearmente dipendenti”. Se i vettori sono tre,
vale ⇒ oppure ⇐?
Soluzione. Siano u, v i due vettori in questione. Se essi sono proporzionali allora o u = hv ∃h ∈ R oppure v = hu ∃h ∈ R (spesso valgono entrambe
le proprietà, ma non nel caso speciale in cui u = 0 o (esclusivo) v = 0, dove
h = 0 e vale solo una delle due proprietà; ma la proporzionalità resta!). Per
semplicità supponiamo che valga la prima uguaglianza. Allora 1 · u − hv = 0
e dunque abbiamo trovato una combinazione lineare non banale che genera
0 (anche nel caso particolare in cui h = 0). Viceversa, se u, v sono lin. dip.
allora ∃α, β ∈ R: (α, β) 6= (0, 0) ∧ αu + βv = 0. Supponendo ora che α 6= 0,
si ha proporzionalità perché u = −(β/α)v. Se invece α = 0, siamo certi che
β 6= 0 e possiamo ragionare in modo simile.
Presi ora tre vettori proporzionali u, h1 u, h2 u, con un ragionamento analogo a quello di prima è facile mostrare che sussiste la dipendenza lineare,
dunque vale l’implicazione ⇒. Invece il viceversa è smentito da esempi elementari come quello di due vettori linearmente indipendenti, w1 , w2 insieme
25
al vettore nullo. Si ha infatti che π 2 0 + 0w1 + 0w2 = 0 (π 2 è ovviamente
un numero non nullo scritto a caso; con l’occasione, ricordiamo che esso
vale circa 9.87, e non 180 al quadrato!), eppure i due vettori indipendenti
non sono certo proporzionali, per quanto visto sopra nel caso di due vettori. Come altro esempio, un po’ meno banale, si scelgano due vettori della
base canonica, siano essi ei , ej (cioè i vettori con tutti zeri a parte un 1 nel
posto i, o nel posto j), e si aggiunga anche il loro vettore somma ei + ej
(notiamo che i tre vettori sono linearmente dipendenti perché, ovviamente,
1 · ei + 1 · ej − 1 · (ei + ej ) = 0). Come ultimo esempio, si considerino i vettori
(1, 2, 3, 5), (0, −1, 1, 3), (2, 3, 7, 13) (mostrare che sono lin. dip. , ecc.).
BB2. Risolvere un sistema di 3 equazioni in 3 incognite per dimostrare che
(1, 1, 0), (−2, 0, 1), (3, 5, 1) non generano v = (2, 1, 0) e dunque non sono una
base dello spazio vettoriale R3 . Utilizzare poi questo primo esercizio per
esibire una base di R3 .
Soluzione. Imponendo che per certi α, β, γ reali si abbia α(1, 1, 0) +
β(−2, 0, 1) + γ(3, 5, 1) = (2, 1, 0), otteniamo il sistema
(α − 2β + 3γ, α + 5γ, β + γ) = (2, 1, 0) ,
che scriviamo in forma verticale come



α − 2β + 3γ = 2
α + 5γ = 1


β+γ =0
.
Nel tentativo di risolverlo, si ha che β = −γ, poi che α = 1 − 5γ, e infine che
(1−5γ)−2(−γ)+3γ = 2, che è assurdo (γ si elimina e resta la contraddizione
“1=2”). Poiché, allora, i tre vettori dati non sono generatori di tutto R3 , essi
non sono una base.
Per quanto visto, v non è combinazione lineare dei tre vettori iniziali, e a
fortiori non lo è dei primi due, che sono però lin. indip. (non proporzionali).
Ne segue (...) che i primi due vettori insieme a v sono lin. indip. . Dunque
il primo vettore, il secondo e infine v formano una base perché forniscono il
numero massimo di vettori lin. indip. in R3 .
BB3. Risolvere un sistema di 1 equazione in 1 incognita per dimostrare
che il vettore 73 genera il vettore 43 nello spazio vettoriale R1 (cioè R).
Generalizzare la dimostrazione ad un sistema parametrico, sempre 1 × 1, per
provare che {73} è una base di R.
26
Soluzione. Il sistema richiesto è
{73x = 43
ed ammette x = 43/73 come soluzione. In altri termini, 43 si può esprimere
come combinazione lineare del solo 73, usando appunto il coefficiente 43/73.
In genere, il sistema “ {73x = k ” ammette sempre una (e una sola)
soluzione, cioè x = k/73 (possiamo anche applicare il teorema di Cramer,
avendo notato che il determinante di una matrice 1 × 1 è il numero stesso
presente nella matrice). Da ciò deduciamo in particolare che {73} è una
base di R1 = R, poiché 73 genera tutti i numeri reali mediante opportune
combinazioni lineari, e ovviamente non si può ridurre il numero di generatori
(otterremmo zero generatori).
Notiamo che, in alternativa al ragionamento appena fatto, si può affermare che 73 forma una base perché il numero massimo di vettori lin. indip.
in R1 è proprio 1. Quindi qualunque numero che non sia 0 va bene (0 è lin.
dip. perché ad es. 32 · 0 = 0, dunque ∃ una combinazione lineare “non con
tutti 0” che però dà 0). Infine, si può essere certi che 73 forma una base per
un altra ragione: tale vettore, da solo, “costituisce” un insieme di vettori lin.
indip. e che, al tempo stesso, generano R.
BB4. Fissato un intero positivo i, dimostrare che
∀r ∈ R, ∀v ∈ Ri (rv = 0 ⇒ r = 0 ∨ v = 0) .
Soluzione. Supponiamo, ragionando per assurdo, che non valga la tesi
(r = 0 oppure v = 0). Ciò equivale a supporre che ∃r, v tali che né r =
0 né v = 0 (infatti la negazione di una “disgiunzione” (∨) equivale alla
“congiunzione” (∧) delle singole negazioni). Da un lato si avrebbe allora
che vt 6= 0 almeno per una componente, sia essa la t-esima, del vettore v =
(v1 , ..., vi ). Di conseguenza la componente t-esima del prodotto rv sarebbe
uguale a rvt 6= 0 (perché, d’altra parte, r 6= 0), e dunque il vettore rv non
sarebbe il vettore nullo, contro l’ipotesi del testo.
BB5. Dimostrare che il sottospazio di R3 generato da (1, 0, −1) e (2, 1, −4)
coincide con quello generato da (5, −1, −3) e (1, −1, 1). In simboli,
h(1, 0, −1), (2, 1, −4)i = h(5, −1, −3), (1, −1, 1)i .
27
Soluzione. Poiché le due coppie di vettori non sono proporzionali, la
dimensione dei sottospazi che esse generano vale 2. Come prima risoluzione
mostriamo che ciascun vettore della seconda coppia è ottenibile mediante
una combinazione della prima coppia. Cosı̀ facendo, infatti, proveremmo
che il secondo sottospazio è contenuto nel primo (...), e l’uguaglianza delle
dimensioni porterebbe subito alla conclusione. Anziché cercare opportune
combinazioni lineari mediante sistemi, è sufficiente verificare che
1 0 −1 1 0 −1 2 1 −4 = 0 , 2 1 −4 = 0 .
1 −1 1 5 −1 −3 Due veloci calcoli danno risposte affermative.
Come seconda risoluzione, dimostriamo che il rango della matrice




A=
1 0 −1
2 1 −4 


5 −1 −3 
1 −1 1

è uguale a 2 (ciò implicherebbe che le due ultime righe si ottengono come
comb. lin. delle prime due, e seguirebbe la stessa conclusione di prima). A tal
fine possiamo applicare il teorema degli orlati al minore 2×2 in alto a sinistra
– svolgendo in realtà calcoli uguali ai precedenti – oppure possiamo ridurre
a scala per righe la trasposta di tale matrice (equivalentemente, riduciamo a
scala per colonne la matrice iniziale). Abbiamo dunque:




1
2
5
1
1 2
5
1



T
1 −1 −1  (r3 → r3 + r1 ) ⇒  0 1 −1 −1 
A = 0

−1 −4 −3 1
0 −2 2
2


1 2 5
1


(r3 → r3 + 2r2 ) ⇒  0 1 −1 −1  ,
0 0 0
0
e quindi il rango vale appunto 2. Potevamo anche ridurre a scala per righe,
dall’inizio.
BB6. Determinare un sistema di (una o più) equazioni che descriva il sottospazio dell’esercizio BB5. Svolgere lo stesso esercizio anche per il sottospazio h(1, 0, 1, 0), (0, 1, 1, 2)i. Descrivere infine entrambi i sottospazi mediante equazioni parametriche.
28
Soluzione. Si tratta di imporre che il generico vettore (x, y, z) sia combinazione lineare di (1, 0, −1) e (2, 1, −4), cioè che
x y z 0 = 1 0 −1 = 4y + z + x − 2y ⇒ x + 2y + z = 0 ,
2 1 −4 sviluppando il determinante lungo la seconda riga. Nel secondo caso, imporre
che il vettore (x, y, w, z) sia combinazione lineare dei due vettori dati significa
imporre che il rango dalla matrice 3 × 4 – che si ottiene nel modo consueto
– valga 2. E in effetti, anche nel caso precedente abbiamo imposto la stessa
condizione, giungendo poi all’equazione finale grazie al determinante. Qui,
invece, poiché la matrice è “un po’ più lunga” otterremo 2 equazioni ad es.
mediante il teorema degli orlati. Se orliamo il minore 2×2 in basso a sinistra,
abbiamo che


(
(
x y w z
−y + w − x = 0
x+y−w =0


rango  1 0 1 0  = 2 ⇔
⇔
−2y + z = 0
2y − z = 0
0 1 1 2
.
Trovare equazioni parametriche è immediato. Basta infatti “ancorare”
a ciascun vettore un parametro. Abbiamo cioè, rispettivamente, (x, y, z) =
α(1, 0, −1) + β(2, 1, −4), e (x, y, w, z) = α(1, 0, 1, 0) + β(0, 1, 1, 2). Con più
chiarezza,



x = α + 2β
y=β


z = −α − 4β
(∀ α, β ∈ R)
,









x=α
y=β
w =α+β
z = 2β
(∀ α, β ∈ R) .
C
C1. Risolvere il seguente sistema, interpretando poi le equazioni come entità
geometriche nel piano euclideo. La totalità delle soluzioni costituisce un
sottospazio di R2 ? Ripetere poi l’esercizio sostituendo 3 a ciascuno dei due
zeri:
(
x − 2y = 0
.
3x + y = 0
29
Soluzione. Trattandosi di un sistema omogeneo siamo certi che esso
ammette almeno una soluzione (quella nulla, (0,0) ) e che l’insieme delle
soluzioni forma un sottospazio. Il calcolo del rango della matrice incompleta
ci preciserà il “numero” esatto delle soluzioni, cioè il grado di libertà. Poiché
dunque
1 −2 = 7 6= 0,
3 1 tale rango vale 2. Avremo allora ∞2−2 soluzioni; quindi al di fuori della
soluzione nulla non abbiamo altre soluzioni (in altre parole, il sistema non
ammette autosoluzioni).
Dal punto di vista geometrico questo sistema esprime l’intersezione di due
rette r, s passanti per l’origine. Due rispettivi vettori direzionali di tali rette si
→
possono calcolare con la formula vq = (−b, a) dove la retta q è espressa tramite
→
l’equazione “ax + by + c = 0”. Nel nostro caso abbiamo perciò vr = (2, 1),
→
vs = (−1, 3) (equivalentemente, i due rispettivi coefficienti angolari valgono
1/2 e −3; notiamo però che la formula (−b, a) permette di coprire anche i
casi problematici in cui la retta è verticale, cioè i casi in cui b = 0, dove il
coeff. ang. non è definito).
La modifica dei termini noti, da 0 a 3, produce due nuove rette che sono
semplicemente traslate, dunque non ruotate, rispetto a quelle iniziali. Infatti ad es. la prima retta si trasforma da y = (1/2)x a y = (1/2)x − 3/2,
dunque si “abbassa” di 3/2 senza cambiare il proprio coefficiente angolare
(questo fenomeno avviene in generale, per qualunque entità geometrica la
cui equazione si perturbi solo nel termine noto; in particolare ciò vale per
rette – due variabili – e piani – tre variabili, ma anche rette nello spazio –
due equazioni, quindi). Le due nuove rette “si andranno a intersecare” in
un altro punto del piano, ma non potranno certo divenire parallele. In termini algebrici, il sistema associato è sempre risolubile col metodo di Cramer
(infatti la matrice incompleta resta quella di prima) e dunque otteniamo
un’unica soluzione.
C1bis. Risolvere il seguente sistema, interpretando poi le equazioni come
entità geometriche nel piano euclideo. La totalità delle soluzioni costituisce
un sottospazio di R2 ? Ripetere poi l’esercizio sostituendo 3 a ciascuno dei
due zeri:
(
x − 2y = 0
.
3x − 6y = 0
30
Soluzione. Trattandosi di un sistema omogeneo siamo certi che esso
ammette almeno una soluzione. Poiché
1 −2 = 0,
3 −6 il rango della matrice incompleta vale meno di 2 e precisamente 1 (infatti
nella matrice è presente almeno un numero diverso da 0). Avremo allora
∞2−1 soluzioni (quindi oltre a 0 abbiamo autosoluzioni). Eliminando ad es. la
seconda riga e scrivendo la x in funzione della y otteniamo le soluzioni (2y, y)
per ogni y reale. Potremmo anche esplicitare la y ottenendo le soluzioni
(x, x/2) con x ∈ R, che sono a ben vedere (e come è giusto che sia) le stesse
di prima.
Dal punto di vista geometrico si tratta di due rette passanti per l’origine
ma coincidenti. Ecco perché otteniamo una risposta parametrica: essa non è
altro che la medesima retta (stiamo cioè intersecando due insiemi coincidenti,
ottenendo X ∩ X = X).
Se ora sostituiamo 3 a ciascuno zero, otteniamo due rette parallele. Infatti
il rango della matrice completa sale a 2, causando l’assenza di soluzioni. Studiando le rispettive equazioni ridotte ci accorgiamo che i coefficienti angolari
sono uguali, ma le due quote no.
C2. Risolvere il seguente sistema, interpretando poi le equazioni come entità
geometriche nello spazio euclideo. La totalità delle soluzioni costituisce un
sottospazio di R3 ? Ripetere infine l’esercizio sostituendo 0 ai numeri 5 e 1:
(
x − 2y − z = 5
.
−2x + 4y + 3z = 1
Soluzione. La prima equazione implica che x = 2y + z + 5. Ora, usando
la seconda, si ha che −2(2y + z + 5) + 4y + 3z = 1 e dunque z = 11. Allora
x = 2y+16, e perciò la soluzione finale è parametrica: (2y+16, y, 11) ∀ y ∈ R.
(Alla luce del teorema di Rouché-Capelli diremmo che il rango della matrice
incompleta e di quella completa vale 2, da cui segue che le soluzioni sono
∞1 ; potevamo dunque usare fin dall’inizio la regola di Cramer generale, con
un parametro.) Abbiamo intersecato due piani nello spazio, trovando una
retta. Dunque tali piani non sono paralleli. Le soluzioni, cioè tutti i punti
di tale retta, non formano un sottospazio perché non comprendono lo zero,
cioè l’origine (0,0,0). D’altra parte ciò poteva dedursi dall’inizio, poiché il
sistema non è omogeneo.
31
Sostituendo gli zeri le cose cambiano. Ora abbiamo due piani passanti
per l’origine, ottenuti traslando i due piani precedenti fino appunto a far loro
attraversare lo zero. La retta che si ottiene passerà dunque per l’origine, ed è
un sottospazio (ad es. si può studiare la sua forma parametrica per scoprire
che tale scrittura verifica le proprietà di chiusura rispetto alla somma interna
e al prodotto con scalari).
C3. Illustrare la posizione dei seguenti enti geometrici – rappresentati da
singole equazioni – nel piano euclideo (i primi tre) e nello spazio euclideo (gli
altri sei). Scrivere anche le rispettive equazioni segmentarie – nei due soli
casi possibili.
(1) 3x − 2y + 1 = 0 , (2) 30x − 3 = 0 , (3) 30y − 3 = 0 ,
(4) x + y − 2z + 1 = 0 , (5) x + 2y = 4 , (6) y − 3 = 0 ,
(7) 7y + 7z + 1 = 0 , (8) 30x − 3 = 0 , (9) 30z − 3 = 0 .
Soluzione. (1) è una retta non passante per l’origine; più precisamente,
analizzando la forma segmentaria −3x + 2y = 1, deduciamo che tale retta
contiene i punti (−1/3, 0) e (0, 1/2). (2) è una retta un cui vettore direzionale
è (−b, a) = (0, 30). Dunque essa è verticale, e dovendo passare per (1/10, 0),
la sua posizione è completamente determinata. (3), similmente, è una retta
orizzontale. Potremmo trasformare l’equazione in y = 1/10 per accorgerci
che tale retta è l’insieme di tutti i punti la cui x è arbitraria e la cui y è uguale
a 1/10. (4) è un piano la cui equazione segmentaria è −x−y+2z = 1. Dunque
tre suoi punti che lo determinano sono (−1, 0, 0), (0, −1, 0), (0, 0, 1/2). In (5)
manca la z, dunque il piano è parallelo all’asse z (infatti non esiste alcuna
restrizione su tale coordinata). Il relativo sottospazio è {(x, y, z): x + 2y =
0}, e risolvendo il sistema omogeneo (che consiste di una sola equazione)
otteniamo la forma parametrica: {(−2y, y, z): y, z ∈ R}. Due generatori
indipendenti (dunque formanti una base) sono quindi (−2, 1, 0) e (0, 0, 1).
Essi descrivono la “pendenza” di questo piano. Un punto a caso, su cui
“appoggiare” la giacitura, è (4, 0, 0). Dobbiamo quindi traslare il sottospazio
di quattro unità lungo l’asse x. Possiamo notare, in alternativa, che la traccia
del nostro piano sul piano (x, y) – cioè sul “terreno” – è appunto la retta (non
pensando alla z) descritta dalla stessa equazione. Per tale retta dobbiamo far
passare un piano verticale, che è appunto il nostro oggetto. Ragionando in
modo analogo abbiamo che (6) è un piano verticale, ma parallelo sia all’asse
x che z, passante ad es. per (0, 3, 0) (pensiamo a una parete), (7) ricorda un
32
tetto inclinato, con traccia di equazione z = −y − 1/7 sul piano (y, z), infine
(8) è un’altra parete e (9) un tetto orizzontale.
C4. Utilizzando il metodo di Cramer – dunque considerando due variabili
opportune come parametri – risolvere il seguente sistema omogemeo:



x1 + x2 + x3 + x 4 + x5 = 0
x1 − x2 + x3 − x4 + x 5 = 0


x5 = 0
(xi ∈ R ∀i) .
Esplicitare poi una base del sottospazio delle soluzioni. Infine risolvere lo
stesso sistema col metodo di Gauss.
Soluzione. Una volta scritta la matrice associata al sistema, cioè


1 1 1 1 1 | 0


 1 −1 1 −1 1 | 0  ,
0 0 0 0 1 | 0
notiamo che il minore 3 × 3 formato dalla terza, quarta e quinta colonna ha
determinante non nullo. Dunque possiamo parametrizzare le variabili relative
alle prime due colonne, e utilizzare il metodo di Cramer. Abbiamo dunque
il nuovo sistema:


 x3 + x4 + x5 = −x1 − x2
x3 − x4 + x5 = −x1 + x2 .


x5 = 0
(avremmo potuto scegliere anche altre tre colonne; ad es. la prima, la seconda
e la quinta, quest’ultima necessaria in ogni caso) Abbiamo che
x3 =
−x1 − x2 1 1 −x1 + x2 −1 1 0
0 1 = −x1 , x4 =
−2
1 −x1 − x2 1 1 −x1 + x2 −1 0
0
1 = −x2 ,
−2
e anziché calcolare anche x5 notiamo che essa è uguale a zero già nel sistema iniziale (in effetti il corrispondente numeratore viene nullo perché è
il determinante di una matrice con una riga nulla). La soluzione è perciò
(x1 , −x1 , x2 , −x2 , 0) con x1 , x2 ∈ R.
Un noto teorema assicura che l’insieme delle soluzioni di un dato sistema
omogeneo (come questo) è un sottospazio. Nel nostro caso, sostituendo
33
come di consueto alle x1 , x2 prima 1,0 e poi 0,1 otteniamo i due generatori (1, −1, 0, 0, 0) e (0, 0, 1, −1, 0). Essi non sono proporzionali e dunque
sono lin. indip. . Formano pertanto una base del sottospazio delle soluzioni.
(continua)
C5. Mostrare che la relazione τ , definita in R3 da
uτ v ⇔ u − v ∈ S ,
essendo S un fissato sottospazio 2-dimensionale, è di equivalenza. Descrivere
poi le sue classi, cioè gli elementi del suo insieme quoziente.
Soluzione. τ è riflessiva perché u − u = 0 ∈ S ∀u. È simmetrica perché
se uτ v allora v − u = −(u − v) che è l’opposto di un elemento di S, cioè
u − v. Infine è transitiva perchè se uτ vτ z allora è vero che uτ z; infatti
u − z = (u − v) + (v − z) che, essendo la somma di due elementi di S,
appartiene ancora a S.
La classe di equivalenza [0] dell’elemento nullo, appunto 0, consiste di
tutti quei vettori v tali che v − 0 ∈ S, dunque consiste precisamente di
tutti gli elementi di S. Non sarebbe difficile mostrare che, in generale, [z] è
l’insieme di tutti i vettori ottenuti sommando z a un vettore qualunque di S.
Geometricamente, la classe [0] è un piano passante per l’origine (appunto,
il sottospazio S) mentre le altre classi sono i piani paralleli a S, ottenuti
traslando S di un certo vettore z. Possiamo pensare ad una risma infinita di
fogli infinitamente vasti, eventualmente inclinata rispetto agli assi (la pendenza è proprio quella dettata da S).
C6. Determinare tutti i valori reali del parametro k per i quali il seguente
sistema ammette un’unica soluzione. Come si comporta il sistema negli altri
casi?


 2x − y + z + 1 = 0
x + 2y − 3z = −3 .


3y − kz + 3 = 0
Soluzione. Imponendo che il determinante della matrice incompleta 3×3,
associata a tale sistema, non sia nullo, otteniamo la condizione k 6= 21/5.
(Osserviamo che tale valore di k è il solo a rendere le righe o le colonne della
matrice linearmente dipendenti, per un noto teorema sui determinanti e la
dipendenza lineare.)
Nel caso in cui k = 21/5 il rango della matrice incompleta scende a 2
(si consideri ad es. il minore 2 × 2 in alto a sinistra), ma anche quello della
34
matrice completa diventa 2 (quest’ultimo fatto si può dimostrare calcolando
i 4 determinanti di ordine 3 – non applicando ancora il teorema degli orlati
o la riduzione a scala – oppure notando che le tre righe sono vettori di R4
lin. dip. poiché ad es. r1 − 2r2 + (5/3)r3 = 0). Dunque per il teorema di
Rouché-Capelli esistono ∞1 soluzioni in questo caso, e il sistema ora descrive
tre piani che si intersecano in una retta (piani di un fascio proprio, dunque)
anziché tre piani che si intersecano in un punto. Al variare di k il terzo piano
viene traslato finché, per k = 21/5, esso si posiziona in modo da includere in
sé la retta nata dall’intersezione degli atri due piani fissi.
C7. Utilizzare il metodo di Cramer, e successivamente quello di Gauss, per
risolvere il seguente sistema. Descrivere lo spazio delle soluzioni, verificando
in particolare se si tratta di un sottospazio.
(
a + 2b + 3c − 4d − 5e − 6f = 0
a + 2b − 3c − 4d − 5e − 6f = 0
.
Soluzione. La matrice completa di tale sistema è
1 2 3 −4 −5 −6 k 0
1 2 −3 −4 −5 −6 k 0
!
.
Un suo minore 2 × 2 con determinante non nullo dovrà necessariamente contenere la terza colonna. Anzi, scegliendo la terza colonna e un’altra colonna
qualsiasi della matrice incompleta, otteniamo un determinante non nullo.
Possiamo perciò, ad es. , scegliere la prima e terza colonna e “parametrizzare” le quattro variabili non coinvolte, cioè b, d, e, f . Otteniamo dunque il
nuovo sistema (ora parametrico):
(
a + 3c = −2b + 4d + 5e + 6f
a − 3c = −2b + 4d + 5e + 6f
.
Risolvendolo con l’usuale metodo di Cramer (ci sarebbero certamente metodi
più efficaci, come quello della riduzione a scala, ma anche il metodo di
Cramer... ha il suo fascino) otteniamo le sestuple
(−2b + 4d + 5e + 6f, b, 0, d, e, f ) : b, d, e, f ∈ R
che costituiscono in effetti un sottospazio (ce lo dovevamo aspettare, visto
che il sistema era omogeneo). I generatori di tale sottospazio sono, ad es. ,
35
(−2, 1, 0, 0, 0, 0), (4, 0, 0, 1, 0, 0), (5, 0, 0, 0, 1, 0), (6, 0, 0, 0, 0, 1) (abbiamo applicato il consueto metodo degli 0 e dell’1) e si ha che b(−2, 1, 0, 0, 0, 0) +
d(4, 0, 0, 1, 0, 0)+e(5, 0, 0, 0, 1, 0)+f (6, 0, 0, 0, 0, 1) è proprio uguale alla generica sestupla descritta sopra (dunque siamo in presenza di un sottospazio –
comunque era già sufficiente rendersi conto che il sistema è omogeneo). Ora
non è difficile verificare, attraverso un sistema, che tali generatori sono lin.
indip. e dunque costituiscono una base. Più velocemente, potremmo verificare che il rango della matrice 4 × 6, che li ha per righe, vale 4 (si considerino
ad es. le colonne 2,4,5,6). La dimensione di tale sottospazio è perciò uguale
a 4.
C8. Utilizzare il metodo di Cramer, e poi invece la riduzione a scala, per
risolvere il seguente sistema descritto succintamente con la notazione matriciale.





1 0
1
0
x
2


 0 
 2 1
0
2 

 y 




=
 .
 1 −1 −1 0   z 
 2 
0 0
1 −1
w
1
Soluzione. Il metodo di Cramer, piuttosto lungo, è comunque applicabile
poiché il determinante non è nullo. Calcoliamo soltanto il valore della x, lasciando il resto al lettore. Sostituendo la colonna dei coefficienti al posto della
prima colonna, e sviluppando i due determinanti lungo la seconda colonna
(contiene infatti due zeri) si ha dunque:
x=
2 0
1
0
0 1
0
2
2 −1 −1 0
1 0
1 −1
1 0
1
0
2 1
0
2
1 −1 −1 0
0 0
1 −1
=
2 1
0 2
2 −1 0 + 0
1 1 −1 1
1 1
0 1
1 −1 0 + 2
0 1 −1 0
1 0 0 2 1 −1 2
= =1.
2
1 0 0 2 1 −1 La soluzione completa è (1, −2, 1, 0).
La riduzione a scala è molto più rapida e trasforma la matrice incompleta in una triangolare superiore con tutti numeri non nulli sulla diagonale
(dunque abbiamo 4 piloni e cioè rango 4, il massimo; otterremo infatti una
sola soluzione, dato che ∞4−4 = ∞0 ). Non dobbiamo creare parametri, e il
classico procedimento a ritroso permette poi di calcolare w, z, y, x.
36
C9. Come si modifica (se si modifica) il determinante di una matrice se ogni
sua riga viene moltiplicata per 5? E se solo una sua riga viene rimpiazzata
dal triplo di un’altra riga?
Soluzione. Per ogni riga modificata, il nuovo determinante si quintuplica.
Dunque se partiamo da una matrice n×n con determinante d, il determinante
finale è 5n d (notiamo che se d = 0 il determinante finale resta nullo). Un
modo “elegante” per dimostrare la stessa proprietà è quello di moltiplicare la
matrice iniziale, sia M , per la matrice R avente ogni elemento della diagonale
principale uguale a 5, e zeri altrove. Poiché det(R) è, per una nota proprietà
delle matrici triangolari, il prodotto degli elementi sulla diagonale, applicando
il teorema di Binet otteniamo:
det(M R) = det(M )det(R) = det(M ) · 5n .
Nel secondo caso il determinante è uguale a zero, perché la nuova matrice
ha almeno due righe linearmente dipendenti.
C10. Dimostrare, con un ragionamento per assurdo, che se un sistema lineare
omogeneo quadrato (cioè con matrice incompleta di tipo n × n) ammette
autosoluzioni allora il determinante della sua matrice incompleta vale 0.
Soluzione. Supponiamo per assurdo che, nelle date ipotesi, tale determinante non sia nullo. Allora applicando il teorema di Cramer deduciamo
che il sistema ammette un’unica soluzione. D’altra parte, la soluzione nulla
(cioè una n-upla di zeri) è una soluzione, dunque l’unica soluzione è proprio
quella. Non c’è posto, perciò, per altre soluzioni, cioè per autosoluzioni.
C11. Dimostrare che una matrice quadrata le cui righe sono linearmente
dipendenti, ha determinante nullo.
Soluzione. Considerando ciascuna riga come un vettore in Rt , esprimiamo una generica matrice t × t cosı̀:

M=








r1
r2
..
.
..
.
rt









.
Ora per l’ipotesi del testo (usando anche un noto teorema di equivalenza tra
due proprietà), una riga deve essere combinazione lineare delle altre. Senza
37
ledere la generalità (come sarà chiaro in seguito) possiamo supporre che tale
riga sia l’ultima. Avremo cioè
rt = β1 r1 + β2 r2 + ... + βt−1 rt−1
per certi coefficienti reali βi . Applicando ora una nota proprietà otteniamo:
r1
r2
..
.
..
.
β1 r1 + β2 r2 + ... + βt−1 rt−1
=
β1 r1
r2
..
.
..
.
r1
+ β2 r1
r2
..
.
..
.
r2
+
...
+ βt−1 r1
r2
..
.
..
.
rt−1
.
Per un altro noto teorema, ciascun determinante della somma a destra è nullo,
poiché ciascuna matrice coinvolta ha due righe uguali. Dunque l’esercizio è
concluso.
C12. Determinare il rango delle seguenti matrici, usando tre metodi: determinanti e teorema degli orlati, ricerca di combinazioni lineari tra righe o tra
colonne, riduzione a scala.





1 −3 0
2
−2 1
2
4
−1 −7 4
14
1
7 −4 −14







1 2 1 3 −1

, 
 1 3 1 4 −2  .
1 −4 1 −3 5
Soluzione. La riduzione a scala è un metodo veloce per individuare il
rango e anche per rintracciare eventuali righe che siano combinazione lineare
di altre righe. Partiamo dunque dal terzo metodo richiesto. Abbiamo:









⇒
1 −3 0
2
−2 1
2
4
−1 −7 4
14
1
7 −4 −14
1 −3 0 2
0 −5 2 8
0 −10 4 16
0 −10 4 16





(r2 → 2r1 + r2 )
(r3 → r1 + r3 ) ⇒
(r4 → r1 − r4 )







(r3 → 2r2 − r3 )

⇒

(r4 → 2r2 − r4 )
38
1 −3 0 2
0 −5 2 8
0 0 0 0
0 0 0 0





,
da cui deduciamo che il rango vale 2 e che ciascuna delle ultime due righe si
può ottenere come combinazione lineare delle prime due. Passiamo perciò al
secondo metodo. Lo 0 nella prima riga ci aiuta a capire che r3 = 2r2 + 3r1 ,
mentre r4 = −r3 e quindi possiamo usare la medesima combinazione lineare
ma con i segni cambiati. Infine, ora che conosciamo il rango e sappiamo che
le prime due righe non sono proporzionali, consideriamo il minore 2 × 2 in
alto a sinistra e orliamolo nei 4 modi possibili, scegliendo una riga tra la
terza e la quarta, e una colonna sempre tra la terza e la quarta. Otteniamo
4 determinanti uguali a zero, per cui siamo certi che il rango vale 2.
Un’osservazione: se non avessimo conosciuto il rango, avremmo fatto bene
a usare il metodo degli orlati nel medesimo modo, cioè partendo da un minore
2×2 e orlandolo. Se in uno dei 4 tentativi avessimo ottenuto un determinante
non nullo, pazienza: avremmo poi calcolato il “mega-determinante” 4 × 4,
per decidere se rango=3 o rango=4.
C13. Utilizzare il metodo di Gauss, cioè la riduzione a scala, per affrontare
il seguente sistema descritto succintamente con la notazione matriciale.

1 1 −1 1 −1
1 1 −1 1 −2
!






x1
x2
x3
x4
x5








=
1
1
!
.
Soluzione. Si ha:
1 1 −1 1 −1 | 1
1 1 −1 1 −2 | 1
!
(r2 → r2 − r1 ) ⇒
1 1 −1 1 −1 | 1
0 0 0 0 −1 | 0
!
.
Ne segue che i ranghi delle matrici incompleta e completa valgono entrambi
2 (si formano infatti due piloni in ciascuna matrice). Avremo dunque ∞3
soluzioni che calcoliamo parametrizzando le variabili non relative ai piloni,
cioè x2 , x3 , x4 . Il nuovo sistema, equivalente a quello iniziale, è
(
x1 − x5 = 1 − ξ2 + ξ3 − ξ4
−x5 = 0
.
La sua soluzione generale, calcolata a ritroso partendo dall’ultima equazione,
è (1 − ξ2 + ξ3 − ξ4 , ξ2 , ξ3 , ξ4 , 0), con ξi ∈ R ∀i.
39
C13bis. Utilizzare il metodo di Gauss per affrontare il seguente sistema
descritto succintamente con la notazione matriciale.

5 10 3 2 1
2 4 2 3 2
!






a
b
c
d
e








0
3
=
!
.
Soluzione. Si ha:
!
5 10 3 2 1 | 0
2 4 2 3 2 | 3
(r2 → 5r2 − 2r1 ) ⇒
5 10 3 2 1 | 0
0 0 4 11 8 | 15
!
.
Dunque il sistema ammette ∞3 soluzioni. Parametrizziamo le variabili non
relative ai piloni, cioè b, d, e. Il nuovo sistema, equivalente a quello iniziale, è
(
5a + 3c = −10B − 2D − E
4c = −11D − 8E + 15
.
La sua soluzione generale, calcolata a ritroso partendo dall’ultima equazione,
è (−2B + (5/4)D + E − 9/4, B, (−11/4)D − 2E + 15/4, D, E), per ogni scelta
dei numeri reali B, D, E.
C14. Utilizzare la riduzione a scala per risolvere il seguente sistema. Dimostrare poi che esso descrive tre rette formanti un triangolo nel piano.


1 1


 1 −1 
2 −1
x
y
!


1

=
 0  .
1
Soluzione. Si ha:




1 1 | 1
1 1 | 1




 1 −1 | 0  (r 2 → r 2 − r 1 ) ⇒  0 −2 | −1  (r 3 → r 3 − 2r 1 ) ⇒
2 −1 | 1
2 −1 | 1




1 1 | 1
1 1 | 1




 0 −2 | −1  (r 3 → r 3 − 3/2r 2 ) ⇒  0 −2 | −1  .
0 −3 | −1
0 0 | 1/2
40
Ne segue che il sistema non ammette soluzioni, poiché i piloni della matrice
incompleta sono 2 mentre quelli della completa sono 3. Ciascuna delle tre
equazioni descrive una retta nel piano, e i vettori direttori delle tre rette
(calcolabili ad es. come (−b, a)) sono a due a due non proporzionali. Siamo
dunque in presenza di rette a due a due non parallele, e quindi a due a due
incidenti, ma non incidenti in un punto comune a tutte e tre. I tre punti di
incidenza costituiscono il triangolo richiesto.
C15. Utilizzare la riduzione a scala per risolvere il seguente sistema. Notare
il “salto” di pilone dalla seconda alla quarta colonna.



3 0 1 0 


 2 1 0 2 

4 2 0 1
x
y
z
w







1


= 0  .
0
Soluzione. Utilizziamo una riduzione a scala più generale, ammettendo
anche sostituzioni con multipli della riga stessa (più le combinazioni lineari
delle restanti righe). Operando in questo modo perturbiamo i determinanti
dei minori ma preserviamo comunque l’informazione relativa ai ranghi (che
è ciò che ci occorre effettivamente). Si ha dunque:




3 0 1 0 | 1
3 0 1 0 | 1




 2 1 0 2 | 0  (r 2 → 3r2 −2r 1 ) ⇒  0 3 −2 6 | −2  (r 3 → 3r 3 −4r 1 )
4 2 0 1 | 0
4 2 0 1 | 0




3 0 1 0 | 1
3 0 1
0 | 1




⇒  0 3 −2 6 | −2  (r3 → r3 − 2r2 ) ⇒  0 3 −2 6 | −2  .
0 6 −4 3 | −4
0 0 0 −9 | 0
La variabile z corrisponde alla colonna senza pilone e dunque diviene parametro.
Il nuovo sistema è


 3x = 1 − t
3y + 6w = −2 + 2t .


−9w = 0
Ora la veloce risoluzione a ritroso dà w = 0 ⇒ y = −2/3 + (2/3)t e infine,
indipendentemente dai calcoli “a catena”, x = 1/3 − t/3. La quadrupla
generica è quindi
(1/3 − t/3, −2/3 + (2/3)t, t, 0) , t ∈ R .
41
CC
CC1. Determinare i valori del numero reale λ per i quali non è possibile
applicare il teorema di Cramer al seguente sistema.



x + λy − z − 1 = 0
2x + λz = 0


3x + y = 1
Discutere il sistema, per ciascun valore trovato. Successivamente, dopo aver
notato che λ = 0 non è uno dei valori ottenuti, risolvere tale sistema ponendo appunto λ = 0, e utilizzando la regola di Cramer. Descrivere infine il
significato geometrico delle entità rappresentate da ogni singola equazione, e
le loro mutue posizioni.
Soluzione. Dobbiamo trovare i valori eventuali di λ che annullano il
determinante della matrice incompleta del sistema. Sviluppando tale determinante lungo la seconda colonna abbiamo:
1 λ −1 0 = 2 0 λ = −2(λ·0−(−1·1))−λ(1·1−λ·3) = −2−λ(1−3λ) = 3λ2 −λ−2 .
3 1 0 Le radici di questa equazione di secondo grado rispondono alla prima domanda; esse sono 1 e −2/3.
Se λ = 1, utilizzando ad es. la riduzione a scala, otteniamo due piloni
sia per la matrice incompleta che per la completa, quindi il sistema ammette
∞1 soluzioni. Nel secondo caso, invece, compare un terzo pilone nell’ultima
colonna, per cui non abbiamo soluzioni.
Passiamo ora a risolvere il sistema ottenuto rimpiazzando λ con 0. Senza
scriverlo per intero, analizziamo subito la matrice completa (che, come sempre, include la matrice incompleta A). Essa è


1 0 −1 | 1


A0 =  2 0 0 | 0  .
3 1 0 | 1
Calcoliamo quindi i valori unici delle tre variabili, che formeranno un’unica
terna (un’unica soluzione). Come ingrediente, notiamo che det(A) = −2.
x=
1 0 −1
0 0 0
1 1 0
−2
=0, y=
1 1 −1
2 0 0
3 1 0
−2
42
=1, z=
1 0 1 2 0 0 3 1 1 = −1 .
−2
Se il tempo non ci manca possiamo verificare che la soluzione (0, 1, −1) soddisfa le tre equazioni. I calcoli sono lasciati al lettore.
Ciascuna delle tre equazioni descrive un piano nello spazio. Il primo è
parallelo all’asse delle y (tuttavia, a differenza di quanto avviene nel caso
2-dimensionale, tale informazione non ci consente di conoscere con esattezza
la sua pendenza). Similmente, possiamo dire con facilità che il terzo piano è
parallelo all’asse delle z (quindi, se tracciamo tale asse verticalmente, il piano
appare verticale, benché non parallelo agli altri due assi). Invece il secondo
piano è proprio parallelo al piano π passante per gli assi delle y e delle z, anzi,
poiché il termine noto è nullo tale piano è proprio π. L’esistenza e l’unicità
della soluzione si traducono nell’esistenza di un unico punto di intersezione
tra i tre piani. Infatti i primi due si intersecano in una retta che viene poi
attraversata dal terzo piano, intercettando cosı̀ un unico punto su tale retta.
Per λ = 1 otteniamo tre piani di un unico fascio proprio, mentre per
λ = −2/3 otteniamo due piani che si intersecano a in una retta, ma essa è
parallela al terzo piano.
CC2. Senza fare ricorso a calcoli con matrici dimostrare che, sotto l’ipotesi
del determinante della matrice incompleta non nullo, un dato sistema lineare
in due equazioni e due incognite ammette un’unica soluzione.
Soluzione. Consideriamo un sistema
(
ax + by = c
a0 x + b 0 y = c 0
.
Utilizziamo il metodo ingenuo della sostituzione (che nel caso 2 × 2 è spesso
preferibile al metodo di Cramer, tanto quanto è preferibile girare in città
con un’utilitaria piuttosto che con un fuoristrada. Ma davanti a una salita
in campagna, o presso un litorale sabbioso, cambia tutto: “Cramer” o altri
metodi possono dare il loro meglio, nei casi di sistemi più grandi e complicati).
Supponendo che a 6= 0 (se fosse zero, scegliendo un altro coefficiente il nostro
ragionamento non cambierebbe) abbiamo che x = c/a − (b/a)y e quindi
(a0 c)/a − (a0 b/a)y + b0 y = c0 . Dunque,
c0 −
y= 0
b −
a0 c
a
a0 b
a
e il denominatore della soluzione non è nullo perché, per ipotesi, ab0 −
a0 b 6= 0. Ecco dunque che questo strano oggetto chiamato determinante,
43
ottenuto a partire dalla matrice incompleta, ha un ruolo “determinante” per
la risoluzione del sistema. La y cosı̀ trovata è ovviamente unica, perchè il calcolo che abbiamo svolto la determina senza alternativa. Sostituendo poi tale
valore nella formula per la x, possiamo calcolare l’unico valore di quest’ultima
incognita.
CC3. Dimostrare che l’insieme delle combinazioni lineari di tre vettori fissati,
in R4 , è un sottospazio. La sua dimensione può essere predetta?
Soluzione. La prima parte di questo esercizio tratta un caso particolare
di un teorema generale che vale per qualunque numero di vettori e qualunque
spazio Rn (vedere l’es. D1). Siano v 1 , v 2 , v 3 tre vettori scelti arbitrariamente. La somma di due qualsiasi combinazioni lineari di questi vettori, cioè
(hv 1 + iv 2 + jv 3 ) + (kv 1 + lv 2 + mv 3 ) è ancora una combinazione lineare di
tali vettori, essendo uguale a (h + k)v 1 + (i + l)v 2 + (j + m)v 3 . Dunque il
primo test è stato superato con successo. Per quanto riguarda il prodotto
con scalari, scegliamo s ∈ R a piacere e notiamo che s(hv 1 + iv 2 + jv 3 ) =
(sh)v 1 + (si)v 2 + (sj)v 3 . Quindi anche il secondo test dà risposta affermativa: in definitiva, applicando le due operazioni a disposizione, siamo rimasti
all’interno dell’insieme in esame, per cui tale insieme è un sottospazio.
Per quanto riguarda la dimensione, possiamo senza dubbio dire che essa
non supera 3. Ma se i tre vettori iniziali sono linearmente dipendenti, magari
perfino proporzionali, allora il rango della matrice che li ha come righe (e
quindi la dimensione) scenderebbe a 2, magari perfino a 1.
CC4. Uno solo dei seguenti tre insiemi è costituito da vettori linearmente
indipendenti in R2 . Quale, e perché? Gli insiemi sono
{(0, 0)} , {(0, 0), (0, 1), (1, 2)} , {(0, 1)} .
Soluzione. Notiamo, con l’occasione, che gli insiemi possono contenere
anche un solo elemento (come l’insieme dei docenti di geometria per ing.
meccanica, primo anno, 2007, a Latina). Nel primo caso, una combinazione
lineare non con tutti zeri (cioè non con lo zero) che dimostra la dipendenza
lineare di 0 è ad es. 371 · 0. Nel secondo caso otteniamo, similmente, che
371 · (0, 0) + 0 · (0, 1) + 0 · (1, 2) = (0, 0). Dunque i poveri (0, 1) e (1, 2),
nonostante formino perfino una base, a causa dello 0 vengono coinvolti in
una dipendenza lineare non con tutti gli scalari nulli. Infine, (0, 1) è linearmente indipendente perché se vogliamo renderlo nullo con uno scalare, se cioè
vogliamo che s(0, 1) = (0, 0), l’unico s che possiamo usare è lo zero.
44
CC5. Data la retta r definita mediante la forma parametrica (x, y) = (3 +
5t, −2t), verificare che uno solo dei punti (−7, 4), (−6, 5) appartiene a r.
Soluzione. Non disponendo della forma cartesiana, non possiamo applicare il facile test della sostituzione. Riguardo al primo punto, affinché esso
appartenga a r è necessario che −7 = 3 + 5t, quindi che t = −2. Ora in effetti sostituendo tale valore nella seconda componente otteniamo 4; dunque
la risposta è affermativa. Il medesimo ragionamento dimostrerebbe che il
secondo punto è invece esterno a r. Alternativamente, potremmo dimostrare
la sua non appartenenza notando che il vettore (−6 + 7, 5 − 4) ( =(1,1) )
definito dai due punti non è proporzionale (dunque non è parallelo) a un
vettore direzionale di r, cioè (5, −2), facilmente calcolabile a partire dalla
forma parametrica.
CC6. (“viceversa” dell’es. C10) Dimostrare che un sistema lineare omogeneo
quadrato (cioè con matrice incompleta di tipo n × n) ammette autosoluzioni
se il determinante della sua matrice incompleta vale 0.
Soluzione. In qualunque sistema omogeneo la matrice incompleta ha lo
stesso rango, sia esso p, della completa, ad es. perché la presenza di una
colonna finale fatta di zeri non può certo aumentare il numero di colonne
linearmente indipendenti. Per il teorema di Rouché-Capelli, il sistema ammette ∞n−p soluzioni, e nel nostro caso p è minore di n per ipotesi, dunque
esistono infinite soluzioni diverse da quella nulla.
CC7. Calcolare, dove ciò sia possibile, le matrici inverse delle seguenti matrici:
1 2
0 −3
!
,
1
2
−5 −10
!

1 0 0
0
1 2 3
 0 −3 0
0



,  0 −3 1  , 
 0 0 5
0
1 1 1
0 0 0 1000







Soluzione. La seconda matrice non ammette inversa poiché il suo determinante è nullo. Per trovare l’inversa dell’ultima matrice possiamo evitare
la formula classica. Infatti le matrici diagonali generalizzano in modo elementare i numeri reali, poiché il prodotto tra due matrici diagonali è la
45
matrice diagonale che reca i rispettivi prodotti. Le tre matrici inverse sono:
1 23
0 − 13
!

, 

− 47
1
7
3
7
1
7
− 27
1
7
11
7
− 17
− 37






, 

1 0 0
0 − 13 0
0 0 15
0 0 0
0
0
0

1
1000




CC8. Calcolare equazioni cartesiane della retta passante per (8, 0, 6) e (1, −1, 6).
Soluzione. La matrice da cui “preleveremo” due minori opportuni è
x−8
y−0
z−6
8 − 1 0 − (−1) 6 − 6
!
=
x−8 y z−6
7
1
0
!
.
Poiché la seconda riga contiene uno zero, due dei tre minori daranno luogo a formule proporzionali, quindi non possiamo sceglierli simultaneamente.
Consideriamo perciò, ad es. , i due minori laterali. Otteniamo il sistema
x−8−7y = 0 ∧ −(z −6) = 0, cioè la retta di equazioni x−7y −8 = 0 = z −6.
CC9. Dire se un sistema lineare di tre equazioni in tre incognite può essere interpretato come l’intersezione di: tre rette; tre piani; due piani e una
retta; una retta e un piano. Un sistema di quattro equazioni in tre incognite
rappresenta l’intersezione di quattro rette?
Soluzione. Una sola equazione rappresenta un piano, due equazioni una
retta (purché i due relativi piani non siano paralleli o coincidenti, cioè le due
equazioni senza termini noti non siano proporzionali). Dunque nel primo
caso abbiamo tre piani, oppure abbiamo una retta e un piano (purché il
rango della matrice incompleta sia, appunto, almeno 2). Nel secondo caso le
rette in questione sono due, non quattro (oppure abbiamo quattro piani, o
infine una retta e due piani).
D - Esercizi con dimostrazione
D1. Dimostrare che, fissato un intero positivo n, l’insieme delle combinazioni
lineari di un dato insieme non vuoto S ⊆ Rn è un sottospazio.
Soluzione. Siano a1 v 1 + a2 v 2 + ... + ag v g e b1 w1 + b2 w2 + ... + bh wh
due elementi di hSi, cioè due combinazioni lineari ottenute con vettori {v i },
{wj } di S. Allora, ovviamente, la somma di questi due elementi è ancora
46
una combinazione lineare in S (quando si presentassero ripetizioni di vettori,
cioè se ∃i, j: v i = wj , sommeremmo i relativi coefficienti, ai e bj ). Poi,
moltiplicando il primo elemento per uno scalare qualsiasi, λ, otteniamo (distribuendo) λa1 v 1 + λa2 v 2 + ... + λag v g , che è di nuovo un elemento di hSi.
Dunque l’insieme richiesto è un sottospazio.
D2. Utilizzando il teorema secondo cui una matrice con due righe uguali ha
determinante nullo, e il teorema di multilinearità del determinante (vedere
anche l’es. C11), dimostrare che scambiando due righe di una data matrice, M , il determinante della matrice ottenuta, N , è l’opposto di det(M ).
Mostrare poi, con un controesempio, che il viceversa di questa proprietà non
vale.
Soluzione. Siano i e j gli indici delle righe in questione; indicheremo tali
righe con ri e rj . Sia ora R la matrice ottenuta rimpiazzando sia ri che rj con
ri +rj . Applicando il noto teorema, sopra ricordato, abbiamo che det(R) = 0.
Prima di procedere con i calcoli denotiamo con I la matrice ottenuta da M
rimpiazzando rj con ri + rj , e con J la matrice ottenuta ulteriormente da I
rimpiazzando ri con rj . Denotiamo infine con II e JJ le matrici che hanno
la i-esima e j-esima riga uguali rispettivamente a ri e rj . Applicando la
linearità di det su ogni riga fissata, abbiamo dunque che det(R) = det(I) +
det(J) = (det(II)+det(M ))+(det(N )+det(JJ)) = 0+det(M )+det(N )+0.
Ricordandoci che det(R) = 0 otteniamo che det(M ) = −det(N ).
Come controesempio possiamo scegliere una matrice M che abbia determinante non nullo, e costruiamo poi N semplicemente moltiplicando una riga
di M per −1. Il determinante infatti “si accorge” di questa modifica e diventa
di segno opposto per una nota proprietà – che è in effetti un caso particolare
della linearità. Ma N non si può ottenere scambiando alcuna coppia di righe
di M (notare che qualsiasi riga si scelga, non c’è il rischio che essa sia nulla...
perché?).
G - Altri esercizi
G1. Scrivere l’equazione canonica della circonferenza di centro A = (8, 5) e
di raggio 4. Scrivere poi la sua nuova equazione a seguito di una rotazione
(degli assi) di 60 gradi in senso antiorario.
Soluzione. Per la prima equazione otteniamo: (x − 8)2 + (y − 5)2 = 42 ,
cioè x2 + y 2 − 16x − 10y + 73 = 0. Per ricavare la seconda equazione ragioniamo in due modi. Primo modo: utilizziamo la matrice del cambiamento
47
√
√
di coordinate dai vettori (1/2, 3/2), (− 3/2, 1/2) ai vettori “canonici” i, j .
Abbiamo:
x
y
!
=
1
√2
3
2
√
3
2
−
1
2
!
X
Y
!
(
⇔
√
1
x=√
X − 23 Y
2
y = 23 X + 21 Y
Sostituendo tali relazioni nella vecchia equazione, otteniamo:
√ !2
√
√ !
√
!2
!
1
3
3
3
3
1
1
1
X−
Y +
X + Y −16
X−
Y −10
X + Y +73 = 0
2
2
2
2
2
2
2
2
La sistemazione di questa lunga equazione è certamente un’ottima palestra
dal punto di vista dei calcoli. Noi però passiamo al secondo modo, più diretto,
ma non senza qualche calcolo. È sufficiente conoscere le nuove coordinate del
centro; infatti da ciò seguirebbe la costruzione della nuova equazione, similmente a quanto fatto all’inizio. Tuttavia, la matrice a nostra disposizione
non è adatta al cambio di coordinate che desideriamo. Infatti vogliamo una
legge che trasformi le coordinate (x, y) nelle nuove coordinate (X, Y ), non il
contrario. Possiamo ora ragionare in due modi, anzi in tre: o costruiamo una
nuova matrice, ponendo in colonna le coordinate dei vettori canonici rispetto
ai nuovi vettori (qui dovremmo risolvere un sistema), oppure utilizziamo
un’importante proprietà: la matrice che cerchiamo è l’inversa di quella che
abbiamo calcolato prima (in effetti, poi, tale inversa coinciderà addirittura
con la trasposta, molto più facile da ottenere; ciò accade perché i due vettori sono sia ortogonali che di lunghezza 1 – cioè versori. Se i versori non
fossero ortogonali, o se non fossero versori, resterebbe comunque valido l’uso
dell’inversa); o infine, molto più semplicemente, risolviamo un sistema “ad
hoc” per trovare le nuove coordinate di A, senza passare per la matrice del
cambiamento di coordinate (se occorre soltanto un paio di lacci non conviene
comprare un paio di scarpe aventi quei lacci – anche se, in effetti, le nuove
scarpe potrebbero risultare utili in altre occasioni...):
√ !
√
!
3 1
1 3
+β −
,
,
,
(8, 5) = α
2 2
2 2
√
√
√
dunque α − √
β 3 = 16 e α 3 + β = 10, da cui segue che α = 4 + 5 3/2,
β = 5/2 − 4 3. L’equazione richiesta è dunque (X − α)2 + (Y − β)2 = 16,
ecc. .
48
Utilizzando la proprietà della trasposta avremmo ottenuto:
√ !
!
!
!
√
1
3
α
8
4
+
5
3/2
2
2
√
.
= −√
=
3
1
β
5
3
5/2
−
4
2
2
G2. Determinare il centro del fascio di rette di equazione (λ − 3µ)x − 3µy +
2λ − µ = 0, ed equazioni cartesiane dell’asse del fascio di piani di equazione
(λ − 3µ)x − 3µy + µz + 2λ − µ = 0.
Soluzione. Possiamo ad es. separare l’equazione “di pertinenza di λ”
da quella relativa a µ. Infatti tali equazioni rappresentano ciascuna una
precisa retta del fascio; quindi, nel primo caso, se troviamo la loro intersezione
abbiamo in effetti trovato il centro del fascio. Dunque, si ha:
(
λ(x + 2) + µ(−3x − 3y − 1) = 0 −→
x+2=0
−3x − 3y − 1 = 0
La soluzione di tale sistema è (−2, 5/3). Osserviamo che, giustamente, tale
coppia annulla qualsiasi equazione del fascio, a prescindere da λ e µ. Nel
secondo caso il lavoro è ancora più semplice: basta separare le due equazioni,
come prima, e... fermarsi lı̀. Infatti l’asse è una retta nello spazio, e per
descriverla non possiamo dire più di ciò che le due equazioni dicono. In
effetti, tuttavia, potremmo calcolare equazioni parametriche di tale asse –
risolvendo il sistema mediante un parametro.
G3. Data la retta r di equazioni x − y − 3 = x + 2z − 5 = 0, calcolare
le proiezioni ortogonali su r (secondo le x crescenti) dei vettori (1, 2, 5) e
(1, 1, 4).
Soluzione. Calcoliamo per prima cosa il versore di r avente prima componente positiva. Utilizzando la classica formula otteniamo il vettore (−2, −2, 1).
Cambiando segno e normalizzando, otteniamo il versore (2/3, 2/3, −1/3).
Ora le rispettive proiezioni sono (1, 2, 5) × (2/3, 2/3, −1/3) = 1/3 e (1, 1, 4) ×
(2/3, 2/3, −1/3) = 0. In particolare, il secondo vettore risulta perpendicolare
a r (questo potevamo capirlo anche senza normalizzare).
Notiamo che non abbiamo fatto uso dei termini noti delle due equazioni.
49