sotto il sole di satana

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sotto il sole di satana
SOTTO IL SOLE
DI SATANA
.. MODERNISSIMA „
MILANO
GEORGES BERNANOS
S o t t o il S o l e
di S a t a n a
Prefazione di TOMMASO G A L LA R M I SCOTTI
Traduzione di CESARE VICO LODOVICI
D isegno di
F
ra ncesco
C
h ia p p e l l i
“ MODERNISSIMA "
MILANO
INTRODUZIONE
Confesso che di Giorgio Bernanos nulla sapevo
prima della lettura del suo « Sous le soleil de Sa­
tan ». N on avevo notizie sulla sua vita nè sul suo
indirizzo d’arte e di pensiero. Non ho fatto inda­
gini sulla sua ortodossia. A n zi diffidavo del suo
romanzo come in genere diffido dei romanzi dei
letterati francesi dalle nuove tendenze religiose che
m i sembrano avere troppa fortuna mondana e poca
interiorità schietta. Il neo-cattolicismo d’oltralpe che
si vende sotto copertina gialla e fa buoni affari librari
mentre che il vento dura favorevole alle tendenze spiritualiste e la Chiesa e sentita più come rifugio
estetico di spiriti raffinati e stanchi o come pun­
tello di reazioni, che non « madre dei Santi » ; la
equivoca religiosità di chi accetta dogmi e riti
senza più discutere, alla superficie, e non scende
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alla radice e non vive i misteri divini, lascia esi­
tanti per la troppa facilità, i pensosi lettori che ri­
cordano i tormenti e le difficoltà di coscienza e
d’arte dei grandi scrittori cattolici: di un M anzoni
o di un Pascal.
Ma il romanzo di Bernanos, ha vinto in gran
parte le mie antipatie preconcette per la potenza
artistica del libro e per la profondità spirituale del­
la sua indagine della vita. Da molto tempo non
m i trovavo di fronte a un libro capace di turbare
le anime e di turbare il critico, ciò che a mio pa­
rere e un titolo di onore. Questa è infatti una di
quelle opere d’arte che possono riuscire ingrate a
moltissimi, specie a quei lettori che nel romanzo
come a teatro, non amano di dover troppo tor­
mentarsi sentendosi obbligati di guardar dentro di
loro stessi, e che i grossi problemi della dannazio­
ne e della salvezza relegano in sedi separate e ben
lontane dalla vita quotidiana, quasi come i morti
nel cimitero', ma per quanto ingrata bisogna pur
venire a cozzare con essa quando si fa tanto di
incominciarla e pur rifuggendo vi insegue, come
il protagonista del libro, l’abate Donissan, insegue
spiritualmente la povera Mouchette Malorthy che
lo fugge, lo teme e lo detesta.
Il nuovo turba sempre, e il romanzo di Berna-
nos è essenzialmente nuovo; diverso da quanto la
letteratura francese va ripetendo da molto tempo,
lontano da tutte le complicazioni erotiche e gli
estetismi morbidi sia pur truccati di misticismo.
Esso rompe anche con la tradizione di quella stuc­
chevole e perfetta composition, che era quasi
una conquista tecnica della letteratura narrativa
francese, per cui i romanzi che si ammucchiano
a dozzina belli o brutti, empi o pii, hanno uno
stampo comune di fattura, una formula di svolgi­
mento e di misura, quasi una marca di fabbrica. Que­
sto finalmente e un libro ribelle ai buoni precetti di
composizione di un romanzo, a cominciare dalla
sproporzione delle parti di cui la prima, che e la
fredda narrazione del delitto di Mouchette che uc­
cide l’uomo che amava e col quale aveva una re­
lazione, rimane nella sua crudità realistica di fat­
taccio di sangue, sospesa senza continuazione e
senza giustificazione fino a metà libro. Nulla in
esso è concesso all’artifìcio di intrecci o di situa­
zioni, alle comparse e presentazioni dei personag­
gi. Nulla alle ingombranti descrizioni di natura e
di ambienti. Chi scrive non sa guardare le cose dal
di fuori; vede poco i colori e le forme; è di una so­
brietà puritana. Il suo occhio guarda al di dentro
e dal di dentro, ed è troppo preoccupato del pro­
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blema centrale dell’anima, per perdersi in curiosità
laterali. Il verismo che si distendeva in superfìcie,
qui discende in profondità. Perche mai perdersi e ba­
loccarsi a riprodurre sensazioni, volti e abiti, pae­
saggi e case, mari e monti, quando sentiamo che
queste non sono che illusioni della ingannevole fi­
gura di questo mondo che passa? Quando sappia­
mo che non sono che sipari, tele, assiti e quinte di
un palcoscenico improvvisato per le marionette che
prendono sul serio la loro parte, come quell’accade­
mico di Trancia, gonfio come tutti gli accademici
della sua immortalità da burla, che chiude il libro?
Quando il vero dramma interessante è quello che si
combatte dentro il cuore umano tra Dio e Satana,
e l’uniche cose che valgano per chi sollevi il velo
della monotona stupidità degli uomini, si chiamano
salvezza e dannazione?
Lo stile del libro a me sembra derivare essenzial­
mente da questo suo spirito esclusivo, ribelle ugual­
mente al verismo materialistico come al dilettantismo estetico; dalla sua severità, anzi intolleranza
giansenistica, per lo spirito superficiale dell’arte
mondana che tutto vuol godere e tutto comprendere
senza credere in nulla; che va bevendo com ape il
miele a tutti i fiori senza lasciarsi mai afferrare dal­
la realtà suprema e nascosta, dalla cosa unica e
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necessaria per la quale vai la pena di soffrire e mo­
rire.
Bernanos afferra il lettore di colpo, il solito let­
tore ozioso che va ai concerti, alle conferenze e ai
cinematografi, forse anche alla messa della domeni­
ca, ma che dei novissima non vuol sentir troppo
parlare e rifugge dai misteri che dànno il bri­
vido; e lo mette di fronte a Satana in lotta con la
santità, oggi, nel nostro tempo, sotto i nostri occhi,
con quella stessa volontà di richiamo con cui in
piena peste, nel Lazzaretto di Milano, un grande
frate cappuccino, lanciava il cadavere di una vec­
chia tra le coppie danzanti che su l’orlo della mor­
te, tra le rovine della morte, tentavano dimenticare
la presenza della invisibile ospite. In una società che,
come osservava Gladstone, ha « perso il senso del
peccato » ; che lo riduce a una attività dello spirito,
e sorride dell’Inferno come di una fiaba buona per
far paura ai bambini o agli sciocchi; in m ezzo a
questa fiera delle vanità che è la letteratura, egli fa
sorgere la paurosa ombra dell’arcangelo ribelle, del
nemico di Dio, a cui egli crede appunto perchè cre­
de in Dio, come vi hanno creduto quanti sono
giunti, attraverso a una dolorosa esperienza del mon­
do delle anime, a scoprire la grandiosa lotta a cui
partecipano cielo e inferno intorno a ogni uomo]
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gelo ribelle, in questo dramma terrestre e celeste,
l’Autore ha sentito con pari intensità il sacer­
dozio mosso dalla volontà eroica e disperata di
salvare anime. Nella luce fredda e terribile che dif­
fonde dal suo cielo Lucifero, ha visto un piccolo
uomo nero, un povero prete di campagna, un roz­
zo vicario alquanto goffo, ignorante e anche ridico­
lo, che non osa attribuirsi delle grazie speciali pur
possedendole, ma che sa di avere una missione : quel­
la di perseguitare il Demonio nelle anime, e che per
questa missione sublime compromette il suo riposo
e quasi anche il suo onore sacerdotale.
L ’arte è stata spesso tentata di descrivere il pre­
te; di preti in arte ne conosciamo anche troppi, ma
se escludiamo i tipi immortali dei « Promessi Sposi »
da Don Abbondio al Cardinal Federico, ci sembra che
essi pecchino quasi tutti per le intenzioni polemi­
che o apologetiche dei loro autori. Troppo spesso noi
ci troviamo di fronte, nel romanzo, più che a figure
di sacerdote a idee vestite in veste talare, a stati di
animo esagerati nel bene o nel male, a ripetizioni
di modelli convenzionali, propri di chi non è mai
penetrato nel fondo dell’anima di un prete e del
clero conosce la maschera e non il volto. Il Berna­
nos ha scritto invece un romanzo di preti, ma di
preti veri, in carne e ossa, come chi li conosce be­
ne, senza cedere ai motivi comuni, senza ricorrere
ai tipi che possono piacere o « agli sciocchi incredu­
li » o ai troppo « creduli sciocchi », senza rimesta­
re fango di tentazioni erotiche da Santi A ntoni im ­
maginari stuzzicati dalle fantasie di una mal dige­
rita castità.
N on esistono tentazioni frivole in questo mondo
illuminato sinistramente da Satana. Il frutto proibi­
to dà nausea, l’amore dei sensi non può attrarre chi
dal confessionale ode salire la monotona litania del-
M
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come vi hanno creduto i grandi poeti e pensatori
cattolici a cominciare da Dante, che ha descritto
l’eterna contesa nell’episodio di Bonconte da Montefeltro.
Anche per il romanziere moderno c’è qualcuno
tra Dio e l’uomo, che non è un personaggio secon­
dario, che non è un m ito; c’è un essere incompara­
bilmente sottile, a cui nulla potrebbe essere compa­
rato se non l’atroce ironia e il riso crudele. A lui è
stato concesso per un tempo di essere l’oppositore di
Dio, il Principe del mondo, di vincere anche in
questa terribile monotonia del peccato, l’uom o: que­
sto grande fanciullo pieno di vizi e di noia. Ma
di fronte al « nemico che mai non dorme », come
lo chiama un nostro cronista antico, contro l’arcan­
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la colpa, il cattivo odore di questa umanità corrot­
ta, il gemito di infinita noia lasciato dal piacere.
Niente amore in questo dramma di preti, perchè al­
tre sono le passioni, altre le tentazioni più sottili
e terribili del confessore: tentazioni di orgoglio spi­
rituale, tentazioni di sfiducia in questo oscuro bran­
co cieco e sordo che è trascinato sulla terra dietro
piccole cose disgustose e immonde dal « nemico po­
tente e vile, magnifico e vile » ; tentazioni su Dio
che tace, su Dio che permette; tentazioni contro la
luce che par vinta dalle tenebre; senso di smarri­
mento, di angoscia mortale, di apparente abbando­
no al potere avverso; preghiera che rasenta la be­
stemmia, fede che tocca la disperazione.
L ’abate Donissan non è che uno dei tanti con­
fessori, dotato di speciali lumi, di poteri straordina­
ri non spiegabili umanamente. È una specie di cu­
rato d’Ars, la cui vita irradia sulla folla da un con­
fessionale. Più che romanzo, questo libro che ci
parla di lui vorrebbe essere dunque, soprattutto nel­
la seconda parte, una biografia nel senso nuovo, se­
condo le tendenze nuove dell’arte biografica che la
riavvicina alla poesia; interpretazione di uno spin­
to, scoprimento dell’essenziale di una esistenza, ana­
lisi interiore di una vita apparentemente chiusa
nella minuscola parrocchia di Lumbres e che pur
s apre sul mondo e sull’oltremondo, e che pur toc­
ca nella sua apparente umiltà e ignoranza, una sa­
pienza di divinazione e di penetrazione di questo
povero cuore umano che « la Sorbona ignora ». N oi
lo seguiamo, il singolare curato, attraverso le mani­
festazioni di una vita missionaria scomposta, ecces­
siva e talora quasi pericolosa per la troppa passione
religiosa, non in una trama organica di avventure
romanzesche, ma in uno svolgersi di episodi di vita
interiore e nei rapporti suoi con altri superiori e
confratelli, quali quel curato di Campagne, l’abate
Menou-Segrais, asmatico, nervoso, irascibile, sotti­
le, ma magistrale clinico delle anime, come ne sa
formare la Chiesa, e che scruta tra ostile e com­
mosso il mistero del suo vicario, finché gli sembra
di veder chiaro che le sue opere hanno il segno del­
la grazia e vengono da Dio.
Eppure in questa vita d’uomo la cui esperien­
za è tutta di anime, non manca il grande dram­
ma, non mancano le ore tragiche e turbinose, ap­
passionanti se anche discutibili, dal primo incon­
tro nella notte col gran nemico, dal primo en­
trare nella sua vita di colui che incontriamo ogni
giorno sul nostro cammino, non sempre ricono­
sciuto; fino all’altro incontro nel quale Dio gli
permette di vedere coi suoi occhi attraverso l’osta*7
Sotto il Sole di Satana.
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colo carnale l’anima di Mouchette Malorthy, que­
sta « piccola serva di Satana », per nulla simile alle
indemoniate di maniera : una « santa Brigida del
nulla », una ragazza comune, volgare eroina del
piccolo mondo borghese e provinciale — mirabil­
mente descritto — ricalcata sopra un personaggio
favorito e che il prete strappa da quella « pace m u­
ta, solitaria, glaciale » che è il « capolavoro » del
Diavolo. La strappa anche dalla disperazione finale
che l’ha indotta a afferrare un rasoio nella camera
di suo padre, immergendosi freddamente la lama
nel collo; trascinandola a morire in chiesa, ai piedi
dell’altare, tra lo scandalo e la riprovazione di tut­
ti, dal vescovo alle autorità civili e scientifiche che
lo giudicano pazzo. Poi viene la casa di salute,
poi la Trappa di Portefontaine. E poi Lumbres : il
luogo deserto dove egli par sepolto per sempre, al­
lontanato da tutti per sempre, e dove invece la gen­
te viene a cercare di lui e viene a cercarlo « la glo­
ria, di fronte alla quale ogni gloria umana impal­
lidisce ».
Ha voluto dunque il Bernanos, tentare anch’e­
gli dopo il Fogazzaro, sebbene con arte e con pen­
siero diversi, di proporre un esempio di santo imma­
ginario da seguire? Ha voluto forse creare artistica­
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mente un eroe della bontà da imitare? Nessun ar­
tista è tanto grande da piegare con le sue mani una
aureola per cingerne la testa di un uomo, e quan­
do l’arte vuol pronunziarsi su questo grande segre­
to di Dio, che solo la Chiesa scruta, l’arte si attri­
buisce poteri che non ha. Bernanos non ha voluto
esprimere troppo chiaramente il suo pensiero su la
canonizzazione possibile di un curato come quello
di Lumbres, e ha fatto bene. Egli si e accontentato
di descrivere da poeta, secondo documenti che di­
chiara autentici, anche se noi possiamo dubitare di
una autenticità dichiarata in un romanzo, la vita di
un uomo eccezionale, separato da ogni consolazione
umana, pressato giorno e notte dalla gente nel suo
confessionale; l’uomo di Dio disputato come una
preda, senza riposo, senza amici, coi più terri­
bili scrupoli che risorgono, con l’angoscia di do­
ver toccare le piaghe più oscure e la disperazione
delle anime dannate. Ma sui segni esteriori, sui mi­
racoli, sulle visioni, sui faccia a faccia col Demonio,
evidentemente studiati nelle vite di santi autentici,
anche tra i più moderni, il romanziere non si è pro­
nunziato. Quando il suo personaggio ha tentato il
prodigio, quando in un accesso di quasi follia ha
creduto di poter osare ciò che qualche santo era sta­
to chiamato ad osare: il risveglio di un fanciullo
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morto, egli e miseramente fallito, egli è stato con­
fuso in una volontà che credeva di Dio e che non
era. Invece il miracolo vero, il segno unico che le
sue opere venivano da Dio e non dal Demonio e par­
so allo scrittore il potere di questo prete, esterior­
mente inoffensivo e mediocre, di far piegare le gi­
nocchia ai peccatori.
Il
Bernanos non ha inteso di canonizzare il cu­
rato di Lumbres, ma solo di indagare l’affascinante
segreto della santità per concludere che tra gli in­
creduli che negano i santi e i troppo creduli che ri­
tengono la santità come un’erba che cresce nei cam­
pi, estremamente facile a cogliersi, e pei quali i san­
ti sono delle sorridenti immagini con un colpo di
pennello in tondo intorno al capo, buoni per otte­
ner grazie; pochi sanno che la santità è simile a un
albero « tanto più fragile quanto e di essenza più
rara », battuto da tutti i venti, minacciato da tutte
le tempeste; che essa è un dono pauroso, una ele­
zione piena di mistero a portare la croce di tutte le
miserie, a sopportare in se la guerra tra il cielo e
l’inferno, nella quale nessuno può mai dire di esse­
re riuscito vincitore fino al superamento dell’ultimo
pensiero e dell’ultima immagine; una fatica in cui
non è lecito all’uomo dir « basta ».
Così pure egli ha scrutato il mistero della Gra­
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zia, operante in un uomo di modesta levatura e di
nessuna coltura intellettuale; la trasformazione lu­
minosa di una natura greggia e non interessante,
sotto l’influsso dell’azione divina. Per questo ha ten­
tato sentieri scabrosi, esperienze rare; ha amato
scrutare le tenebre dì un universo sconosciuto, con­
teso da Satana. Ma in una simile analisi tormentosa
ha perduto talora il senso della verità umana che
persuade. Nella sua reazione contro l’intellettualismo
e contro il compromesso tra religione e scienza, rap­
presentato dall’ex professore curato di Luzarnes, non
ha visto che un lato del grande mondo della san­
tità c della grazia. Si è gettato con passione cieca
dalla parte della « santa follia » e della « beata igno­
ranza » ; si è compiaciuto di questa antitesi tra gra­
zia e intelligenza, che non risponde d’altronde alla
magnifica storia della santità cattolica, nè a quella
del sacerdozio cattolico, e che forse non risponde
nemmeno al modello reale da cui ha tratto la sua
creazione d ’arte: dai veri e grandi convertitori come
lo stesso curato D ’Ars, tanto diletto all’Autore; dai
sublimi apostoli di bene che ebbero interi i doni del­
lo Spirito Santo. Tra questi doni ricordo la Sapienza, l’Intelletto... la Scienza. Non so che vi sia
la semplicità degli sciocchi e la sia pur santa follia
degli squilibrati. Manca insomma qualcosa al « san­
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to » di Lumbres per essere un vero santo. Se quel­
lo del Fogazzaro ragionava forse troppo, questo del
Bernanos ragiona troppo poco per essere degno de­
gli altari.
E non sorride mai. N on si accorge nel suo cupo
terrore di Satana e nella sua visione apocalittica del
peccato, che un divino soffio di bontà passa sul
mondo e nelle anime, che l’alito creatore rinnova
perennemente l’umanità alle sue radici, che forze
nuove rigenerano il mondo cristiano a ogni aurora.
Non sente ciò che hanno sentito i veri santi, — e
oso dire che ne ho conosciuto qualcuno che m i ha
insegnato molte cose — la serenità dopo le tempe­
ste, la semplicità del fanciullo che sa guardare la
terra come illuminata dal sole di Dio • la preghiera
che canta col cuore mondo il canto di tutte le crea­
ture del nostro grande Santo italiano, piagato, tor­
mentato anche da Satana, ma che seppe sentir più
forte di tutte le tentazioni e della stessa morte la
« vera letizia ».
T
o m m aso
G
Questa traduzione l’ho fatta volentieri; m i è
piaciuto l’aver sottomano una materia non facile,
non comune, originale e ricca. Tanto ricca, da of­
frirm i spesso il m ezzo per farmi onore; che a ce­
dere alla lusinga di dare nel virtuosismo stilistico,
era un momento.
Ma, come il testo francese e ineguale, scorrendo
talvolta limpido, talvolta raggomitolandosi in dif­
ficili ghirigori; talvolta salendo a vera purezza di
canto lirico, tal’altra non rispettando neanche la
consecutio temporum, così ho voluto che fosse an­
che la mia traduzione; la quale, seguendo a pas­
so a passo anche lo stile dell’Autore, tenta di ri­
produrne il più esattamente possibile il carattere.
a l l a r a t i -S c o t t i .
Il T ra d u ttore.
Dicembre 1928.
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