dell`“internazionalizzazione”

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dell`“internazionalizzazione”
POLEMICHE CULTURALI
Le università e il ruolo
dell’“internazionalizzazione”

Hans
De Wit
L’internalizzazione dell’istruzione superiore contribuisce a valorizzare la qualità dell’istruzione stessa e della ricerca scientifica degli atenei. Senza dimenticare che studenti e docenti
vivono e lavorano in società sempre più multiculturali.
dedicata alla dimensio- Hans de Wit è direttore del
Centre for Higher Education
ne internazionale dell’istruzione superiore Internationalization (Chei) dell’UCattolica del Sacro Cuore.
è in forte crescita, a livello internazionale, niversità
Docente di Internazionalizzazione
nazionale e istituzionale. Una definizione dell’istruzione superiore all’AmUniversity of Applied
ampiamente accettata e molto diffusa di sterdam
Sciences e coeditor della rivista
internazionalizzazione è quella proposta da «Journal of Studies in International
Education», è coinvolto nella valuJane Knight come «processo di integrazio- tazione e nella consulenza dell’isuperiore internazionale
ne di una dimensione internazionale, inter- struzione
per la Commissione europea, l’Uculturale o globale nell’ambito delle fina- nesco, la Banca mondiale.
lità, delle funzioni o dell’erogazione dell’istruzione post-secondaria». Tale descrizione, considerata dall’autrice
pratica e intenzionalmente neutra, non include attività, fondamenti
logici o risultati. Essa si basa su una definizione precedente, di carattere più istituzionale, che risale al 1995 (J. Knight, Higher Education in
Turmoil, Sense Publishers, Rotterdam 2008, p. 21). È questo cambio
di mentalità, che privilegia l’idea di internazionalizzazione come processo rispetto alla nozione, rivolta invece al prodotto, di istruzione internazionale, prevalente sino agli anni Novanta del secolo scorso, che
spiega in larga misura la modifica terminologica, benché non abbia
necessariamente determinato un cambiamento pratico.
La nozione di international higher education (istruzione superiore internazionale) risale agli anni Novanta. In precedenza esistevano concetti tradizionali di “istruzione internazionale” (international
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L’attenzione
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education), che però solitamente si rifletteva in un’attività collegata
alla mobilità (per esempio lo studio all’estero, gli scambi, il reclutamento di studenti internazionali o la mobilità del corpo docente)
o alle aree dei corsi di studio (come l’istruzione multiculturale, gli
studi internazionali, l’educazione alla pace, gli studi interdisciplinari
sociologici e umanistici). Queste parole descrivevano le attività o le
discipline in quanto elementi di un’istruzione internazionale (e, più
tardi, dell’internazionalizzazione), e in molti casi erano impiegate, e
tuttora lo sono, come sinonimi del termine in generale. L’istruzione
internazionale si distingueva da quella comparata per il carattere applicativo. Sono precisamente questo carattere applicativo e le nozioni
correlate di uso e di adozione di politiche ad aver dominato la discussione sull’istruzione internazionale prima e persino durante gli anni
Novanta. I fattori che hanno contribuito al passaggio da una nozione
frammentata e marginale di “istruzione internazionale” a un concetto
maggiormente integrato, potremmo dire ampio, di internazionalizzazione, sono diversi: ad esempio, la caduta del muro di Berlino, il processo di unificazione dell’Europa, l’accresciuta globalizzazione delle
nostre economie e società.
Dall’inizio degli anni Novanta, dunque, le cose sono cambiate. Nel
saggio dal titolo provocatorio The End of Internationalization (2011),
da me scritto in collaborazione con Uwe Brandenburg, si afferma
che «negli ultimi due decenni, il concetto di internazionalizzazione
dell’istruzione superiore ha perso l’interesse istituzionale marginale
che suscitava un tempo ed è assurto a interesse primario. In generale,
dalla fine degli anni Settanta sino a metà del decennio seguente le
attività che possono essere considerate alla stregua di forme di internazionalizzazione non erano definite tali, né erano portatrici di grande
prestigio e, anzi, erano isolate e non correlate le une con le altre. […].
Negli ultimi due decenni al suo corpo multidimensionale si sono via
via aggiunte alcune componenti nuove e si è passati, così, dal semplice
scambio di studenti al grande business del reclutamento, e dalle attività che interessano una élite straordinariamente piccola a un fenomeno
di massa». È giunta l’ora, dunque, di condurre una riflessione di tipo
critico sul mutevole concetto di internazionalizzazione.
Un risultato della crescente attenzione rivolta all’internazionalizzazione è la ricerca di una definizione alternativa a quella della Knight
e di una terminologia diversa: internazionalizzazione in senso ampio,
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diffuso, inclusivo (comprehensive internationalization). Questi tentativi riflettono l’evoluzione del concetto. È in atto un processo attraverso cui «ripensare l’internazionalizzazione» come risposta a un settore, quello dell’istruzione superiore, che sta cambiando, e alle sue
dimensioni internazionali nell’ambito dell’economia globale della
conoscenza. In quest’ottica, in un altro articolo scritto da me e da
Brandenburg, pubblicato sul «Journal of the International Association
of Universities (Iau)» nel 2012, si sollecita «un riorientamento verso i
risultati e gli influssi, lontano da un approccio basato meramente sul
rapporto di causa ed effetto. Anziché perdersi in considerazioni volte
esclusivamente a enfatizzare il numero di studenti che vanno all’estero
e l’accoglienza degli studenti internazionali che pagano la retta, o il
numero di corsi di inglese e l’astratta dichiarazione di trasformare gli
studenti in cittadini del mondo, desideriamo concentrarci sui risultati
dell’apprendimento».
Aleggia nell’aria l’idea che sia giunto il momento di ripensare l’internazionalizzazione. L’Iau ha avviato precisamente questo ripensamento, dal punto di vista dei processi e delle pratiche dell’internazionalizzazione, anche con l’intento di individuare un piano d’azione per
collocare l’internazionalizzazione e i valori che la sottendono nell’attuale società della conoscenza globale (www.iau-aiu.net). Questo
processo ha condotto alla stesura del documento Affirming Academic
Values in Internationalization of Higher Education: A Call for Action.
A mio parere, più che ricercare un cambiamento radicale del concetto di internazionalizzazione, dobbiamo risalire al suo significato
originale e al suo fondamento, e capire quali fattori contestuali stiano
influenzando quella nozione originaria e richiedano dunque un suo
adeguamento.
Se, da una parte, la discussione sembra indicare uno spostamento
verso un’internazionalizzazione in senso ampio, orientata al processo, dall’altra si ha l’impressione che continui a essere dominante un
approccio largamente orientato all’attività, se non addirittura strumentale. Da ciò possono derivare grandi malintesi sul vero significato
dell’internazionalizzazione.
Se l’internazionalizzazione è un concetto relativamente giovane,
per quale motivo la si dovrebbe ripensare? A mio avviso, occorre farlo per diversi motivi.
1. In primo luogo, sembra che la discussione sull’internaziona119
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lizzazione non vada sempre di pari passo con la realtà in cui l’internazionalizzazione continua a essere più un sinonimo di istruzione
internazionale, vale a dire un insieme di termini frammentati e non
correlati gli uni agli altri, piuttosto che un processo e una concezione di ampio respiro. A tale riguardo, si può considerare la ricerca
della Association of International Educators (Nafsa) Comprehensive
Internationalization: From Concept to Action (www.nafsa.org/cizn),
firmata da John Hudzik, più un modo per catturare l’attenzione che
non l’introduzione di un nuovo concetto. In effetti, l’internazionalizzazione non è tale se non è comprehensive.
2. Lo sviluppo della globalizzazione, l’aumento della mercificazione dell’istruzione superiore e la diffusione della nozione di società della conoscenza globale e di economia globale hanno determinato anche
una nuova serie di fornitori e prodotti, come le sedi all’estero degli
atenei o i programmi educativi in franchise (franchise education) o in
generale la commercializzazione dei servizi educativi. Di conseguenza,
assistiamo alla nascita di posizioni ed elementi nuovi, e talora persino
conflittuali, nell’ambito della discussione sull’internazionalizzazione.
3. Il contesto dell’internazionalizzazione dell’istruzione superiore è in
rapido cambiamento. Fino a poco tempo fa, l’“internazionalizzazione”
intesa come “istruzione internazionale” era un fenomeno prevalentemente occidentale, in cui i Paesi in via di sviluppo svolgevano un
ruolo meramente reattivo; ora, le economie emergenti e la comunità
dell’istruzione superiore in altre parti del mondo modificano lo scenario dell’internazionalizzazione. Prendendo le distanze dal concetto
neocoloniale occidentale, che è il modo in cui diversi educatori percepiscono l’“internazionalizzazione”, essa deve accogliere in sé queste
altre posizioni emergenti.
4. La discussione circa l’internazionalizzazione è eccessivamente
dominata da un gruppo ristretto di stakeholder: figure di primo piano
nel campo dell’istruzione superiore, governi e organismi internazionali. Altri portatori di interesse, come gli attori in ambito professionale,
e in particolare i docenti e gli studenti, sono molto meno ascoltati, e
per tale motivo la discussione è influenzata in misura insufficiente da
quanti dovrebbero esserne più toccati di tutti.
5. In modo collegato al punto precedente, gran parte della discussione è orientata in senso nazionale e istituzionale, con scarsa attenzione alla ricerca, ai corsi di studio e al processo di insegnamento e di
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apprendimento, che dovrebbero essere invece al centro dell’internazionalizzazione, come reclamano alcuni movimenti quali quello della
Internationalization at Home. In generale, nelle strategie nazionali e
istituzionali l’attenzione viene posta sulle ragioni alla base dell’internazionalizzazione come il brand (il posizionamento del sistema dell’istruzione superiore o di un’università nelle graduatorie mondiali), la
generazione di reddito (per esempio, il reclutamento degli studenti e il
finanziamento internazionale ed europeo per l’istruzione e la ricerca)
e anche gli input (per esempio, i fondi per le attività di internazionalizzazione, gli uffici per i rapporti internazionali, il marketing, e via di
seguito) e gli output (il numero di studenti internazionali, di studenti
che si recano all’estero per uno scambio, di stanziamenti per la ricerca
e/o i corsi tenuti in inglese). A livello di programma, si pone maggiormente l’enfasi sui risultati e sull’impatto su studenti e corpo docente e
sulla dimensione delle competenze dell’internazionalizzazione: come
garantire che gli studenti e i docenti acquisiscano la conoscenza e le
capacità necessarie per operare in un ambiente interculturale e internazionale.
6. In collegamento con il punto precedente, l’internazionalizzazione
è eccessivamente focalizzata sull’input/output, si ha cioè un approccio
quantitativo basato sui numeri anziché su un risultato più qualitativo
e basato sull’impatto.
7. La discussione ha rivelato scarsa attenzione per le norme, i valori e
l’etica della prassi dell’internazionalizzazione. Ci si è orientati in modo
eccessivamente pragmatico al raggiungimento degli obiettivi senza un
dibattito sui potenziali rischi e sulle conseguenze etiche. I recenti dibattiti sull’impiego di agenzie negli Stati Uniti, i problemi legati ai falsi
diplomi e la mancanza di un’assicurazione di qualità dell’istruzione al
di là dei confini nazionali mostrano la necessità di una maggiore attenzione all’etica e ai valori dell’internazionalizzazione.
8. Un ultimo punto che comporta l’esigenza di ripensare l’internazionalizzazione è l’accresciuta consapevolezza che la nozione di “internazionalizzazione” è collegata non soltanto ai rapporti fra le nazioni ma anche, e in misura persino maggiore, alle relazioni fra le culture
e fra il livello globale e quello locale. La diversità culturale e l’internazionalizzazione sono temi affrontati molto di frequente nell’ambito
dell’istruzione superiore internazionale, ma senza tenere presente il
forte rapporto che intercorre tra loro. Sia nel campo della ricerca sia
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in quello delle politiche e della prassi, si tende a considerare separati
questi due aspetti, che in realtà sono strettamente collegati. Le stesse
università, come anche le città e le società che le accolgono, sono interculturali e internazionali. L’esperienza di uno studente in una comunità locale o in un’azienda potrebbe rivelarsi più interculturale e
internazionale che non un’esperienza di studio condotta all’estero. In
una politica dell’internazionalizzazione non soltanto non si dovrebbe
dimenticare questa dimensione: la si dovrebbe considerare una parte
integrante.
Questi otto punti sono altrettante ragioni per ripensare l’internazionalizzazione. Alla base di tutto sta il fatto che si considera spesso
l’internazionalizzazione dell’istruzione superiore più un obiettivo in
sé che non uno strumento per raggiungere un fine. Sostanzialmente,
l’internazionalizzazione è un modo di valorizzare la qualità dell’istruzione e della ricerca. Questo scopo viene fin troppo dimenticato nella
lotta per il raggiungimento degli obiettivi quantitativi. L’esercizio di
ripensare l’internazionalizzazione avviato dallo Iau, più che un tentativo di ridefinirne un concetto ancora giovane, è un invito all’azione
per riportare in primo piano i valori chiave e gli scopi stessi dell’internazionalizzazione.
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