Anteprima - Unorosso

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Anteprima - Unorosso
La Gentilezza
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Capitolo 1
Lucifero interagiva bene con lei nella luce evanescente, planando
nel cielo al suo richiamo e allontanandosi di nuovo verso l’immenso
sfondo livido del tramonto. Era sola sul crinale, all’inizio: solo lei, il
rapace e lo spazio aperto. Era una di quelle irrequiete giornate estive
di vento forte e improvviso, e le piume del falco sembravano impastoiate mentre la osservava dal suo posatoio sul guanto.
La donna portava una lunga camicia rossa su un paio di jeans e i
sandali, i capelli le sfuggivano dalla fascia. Aveva una borsa di pelle
appesa alla cintura e un cordone con il fischietto intorno al collo. Il
falco puntò le zampe sul suo polso, facendo ondeggiare la nappa di
pelle appesa al guanto, e spiccò il volo. Sentì il respiro delle piume
sul viso mentre il rapace si staccava da lei e lo osservò librarsi con le
ali sostenute dal vento, disperdendo i corvi come gocce scrollate via
da un ombrello.
Julia si stava impegnando al massimo per non commettere errori
con Lucifero: i bocconi di cibo erano piccoli per mantenerlo attivo.
Quella mattina la bilancia aveva segnato un vergognoso “737 grammi”. Lo chiamò con il fischietto. Due trilli bruschi ed eccolo lì, nero
arco di Cupido che puntava dritto su di lei dal cielo.
Continuò lungo il crinale, Lucifero saldo sul suo braccio, gli occhi febbrili incollati al suo viso in attesa che gli desse il segnale. Lo
fece volteggiare avanti e indietro, e nessuno dei due sapeva che sarebbe stata la loro ultima danza.
La sera cominciava a rinfrescare. Si era quasi dimenticata che
Julian avrebbe dovuto raggiungerla lì, o forse aveva semplicemente
perso la speranza. Quando arrivò aveva il fiatone, rosso in viso dopo
la corsa su per la collina, la bici e la ruota inservibile lasciate indietro.
Aveva l’aria di un ragazzo che aveva attraversato tre continenti per
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vederla, con la felpa annodata intorno ai fianchi. Incredibilmente
giovane, con i capelli che gli ricadevano sugli occhi e il passo lungo
ed esitante, una gamba dei jeans ancora infilata dentro il calzino.
Non osò baciarla, le disse, con il rapace che lo fissava con occhi di
fuoco dal suo posatoio sul polso.
Il falco sollevò le spalle e lei lo lasciò levarsi in volo. Si baciarono
e quando Julian smise di lanciare occhiate nervose al cielo, Julia si
sfilò il guanto di protezione e ci spinse dentro la mano di lui. Richiamò il rapace con il fischietto e mosse su e giù il braccio di Julian
facendo oscillare la nappina, ma Lucifero si librò ancora più in alto,
con il vento che gli sussurrava “uccidi” nell’orecchio e lo rendeva
sordo a ogni richiamo. Julia si mise a correre imprecando, con Julian che le caracollava accanto. Si riprese il guanto proprio mentre
il falco piombava sulla preda. Le mani di Julian erano calde sui suoi
fianchi, e sembrò a entrambi che le strida del coniglio risuonassero
all’infinito.
Era quasi mezzanotte quando tornò a Wychwood. Sarebbe rimasta da Julian fino al mattino se non fosse stato per Lucifero, maledetto uccello.
Parcheggiò l’auto sulla stradina, convinse il falco a uscire dal
trasportino e lo agganciò al guanto. Lucifero scosse le piume, un
po’ seccato, come se qualcuno gli avesse incautamente sgualcito il
mantello.
L’oscurità le piombò addosso e rabbrividì: era sempre inquietante percorrere quel tratto di notte. Ramoscelli caduti scricchiolarono
sotto i suoi passi mentre avanzava nel sottobosco, il rapace un peso
indispettito sul suo braccio, lo scintillio di accusa nei suoi occhi l’unica fonte di luce al di sotto degli alberi. I rami ammutolirono e
apparve Wychwood: sola nella radura e inaspettata come la casetta
dei fratelli Grimm, con le sue tavole nere malandate e le finestre
sbilenche. Notò subito una luce accesa, sebbene fosse certa di averle
spente tutte.
Con espressione tesa e attenta, sgusciò oltre il cancello sul re-
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tro parlando sottovoce a Lucifero mentre lo trasferiva sulla pertica
nel capanno, poi proseguì da sola lungo il vialetto. Unici rumori, il
battito del suo cuore e un sasso smosso vicino ai gradini; spinse la
porta della cucina con un piede e restò senza fiato, più che altro per
il sollievo: Chris, suo marito, i capelli striati e appiattiti sulla testa, le
enormi scarpe da ginnastica grigie spedite con un calcio in mezzo al
pavimento, fece tintinnare il cucchiaino nella tazza.
Julia indietreggiò di un passo. «Perché quello sguardo sorpreso?»
le chiese lui. «Anch’io abito qui, sai.» Maggie, la sua lurcher, rabbrividì con aria disgustata accanto a lui, il naso premuto contro il suo
ginocchio.
«Così, eccomi qui. A caa-sa.» Ridicolizzò la parola con pungente
ironia, puntando il cucchiaino contro la moglie.
«Non mi aspettavo di trovarti qui.» Appese il guanto di pelle al
gancio, il cervello girava al massimo in cerca di una scusa, per poi
finire in stallo. «Mi hai spaventata a morte. Potevi essere chiunque.»
Imprecò contro di lei per l’accoglienza ricevuta, mostrando denti
più vecchi della bocca – Nescafé e tabacco – in un ghigno.
«Cosa hai fatto, hai lasciato Lucifero nel bagagliaio mentre tu…?»
«Non riuscivo a far ripartire la macchina.»
Le strappò la borsa dalla cintura e lanciò i pezzi di carne rimasti
al cane, poi rovesciò la sacca di pelle. «Se non la svuoti, ci ritroverai
i vermi.»
Aveva diciotto piani da tinteggiare a Dagenham, così le aveva
detto. Centottanta uffici, meri cubicoli, tutti verniciati a rullo dello
stesso, monotono grigio schizzato sulla tuta da lavoro da cui emergeva il suo busto. Chris avrebbe dovuto essere via fino a Natale, e per
allora si era ripromessa di essere già sparita. La tuta si apriva su una
T-shirt dei Ramones, talmente scolorita che vi si poteva riconoscere
la band solo se si sapeva già il nome, e su una cintura con una grossa
fibbia di metallo. Vuotò le tasche sul bancone della cucina: tabacco,
Murray Mints, cartine per sigarette, flacone di additivo, un tintinnio
di spiccioli. I capelli erano punteggiati della stessa tinta grigia, come
se le mosche vi avessero appena deposto le uova.
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«È fantastico che tu sia così contenta di vedermi» disse. «Una vera
gioia.»
«Lo stesso per me» replicò lei, ma mentre il marito si girava intravide una versione precedente di Chris, come l’effetto di un ologramma sospeso tra loro, qualcosa nell’increspatura della fronte e nell’aggetto delle sopracciglia, uno scintillio negli occhi ambrati. La tuta
da lavoro era slacciata nello stesso modo la prima volta che aveva
posato gli occhi su di lui, per puro caso, nel cortile della scuola. Lui
faceva parte di una squadra addetta alla verniciatura delle baracche
prefabbricate con tetto in lamiera ondulata che sarebbero diventate
le nuove aule. Aveva i capelli a spuntoni, striati biondo ossigenato
e cenere. Tutti lo chiamavano Sting. Le ragazze della quinta presero
a radunarsi intorno alle baracche durante la ricreazione, quando lui
sgattaiolava fuori a parlare con loro, con il torace brunito dal sole.
E poi era rimasta a letto dopo la prima notte, la spazzola per capelli ficcata sotto la porta così avrebbe fatto rumore se il padre fosse
entrato incespicando, e lei si sarebbe svegliata. Il chiasso del bar che
filtrava dal pavimento era stato una colonna sonora sgradita mentre
ripensava agli occhi da tigre di Chris, a come riusciva a rollare uno
spinello con una mano lasciando l’altra libera di condurla a uno stato di frenetica eccitazione.
Ora lui si stava strofinando via il suo bacio dalla guancia, come se
l’avesse morso, il bancone della cucina era inondato di caffè.
«Lucifero ha ucciso un coniglio, stasera.» Si sforzò di comportarsi
normalmente, aprendo il borsone di Chris e sottoponendo il contenuto a una rigida segregazione razziale davanti alla lavatrice: una
pila di bianchi (cosiddetti) e una di indumenti colorati (mutande
appallottolate, felpe e calzini ormai in fase di rigidità cadaverica).
«Immagino che tu non l’abbia portato a casa» disse.
«Il coniglio?» Arricciò le labbra.
«No, non l’avresti mai fatto, giusto?»
«È stato già abbastanza spiacevole convincere Lucifero a mollarlo.» Rabbrividì sia al ricordo che al tanfo. «I tuoi vestiti puzzano di
sudore.»
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«Uno di noi deve pur lavorare per vivere.» Le diede un’occhiataccia e si concentrò sul freezer, tirò fuori un vassoio di metallo pieno di
rosei cadaverini congelati e lo sbatté sul bancone perché si staccassero dalla morsa del ghiaccio. Aveva registrato i dati sulla tabella? Che
peso aveva avuto quel tal giorno Lucifero? E il giorno dopo? Quante
ore lo aveva fatto volare? Quante prede uccise?
«L’uccello è tuo» disse Julia alla fine, cercando di allontanare un
senso di nausea. «Sei fortunato che io trovi il tempo per farlo volare.»
Con la coda dell’occhio, vide Chris scegliere un paio di topolini
rigidi e metterli su un piatto: via via che si scongelavano, le testine inermi penzolarono da pozze sempre più larghe di liquido roseo
mentre Chris separava i due corpicini con le dita. Teneva la mandibola serrata. «Almeno uno di noi guadagna qualche soldo.»
Si pulì le mani sul fondo dei pantaloni. «Allora, quando pensavi
di dirmi del “ragazzo delle meraviglie”?»
Sbatté il vassoio di metallo dentro al freezer e venne verso di lei
divincolandosi dalle maniche mentre emergeva dalla tuta. Aveva
braccia muscolose per essere così magro, particolare che un tempo
lei aveva trovato attraente.
Agitò le mani in aria per proteggersi. «Smettila, Chris.» Ma non
cedette terreno; dondolò sui talloni davanti alla lavatrice e trattenne
il respiro mentre lui si liberava della tuta con un calcio e le ruggiva
in faccia: «Immagino che avrai fatto volare il mio uccello insieme a
lui, eh?»
Teneva più alla fedeltà del falco che alla sua. Julia si voltò da una
parte, per paura di scoppiare a ridere.
«È così?» La afferrò per le spalle. «Sei stata via tutto questo tempo. Gli hai permesso di far volare il mio falco?» Il suo volto era una
cavità roboante, l’alito pesante.
Scosse la testa e lui la scaraventò via dalla propria stretta. Aveva
la mascella talmente contratta che la pelle appariva tesa e bianca
sull’osso.
Una consapevolezza improvvisa seguita da un sussulto di terrore
la fece precipitare nel bagno, dove sbatté con forza la porta e si chiu-
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se a chiave.
Aveva già controllato e scoperto che il diaframma contraccettivo
non era nel suo astuccio di plastica dentro l’armadietto? Si tirò giù i
jeans e si accovacciò sopra la tazza del water. Chris le stava urlando
dalla cucina che era stata vista insieme al «ragazzino del college», e
poi continuò con una filippica sui soldi e sulla revisione annuale, e
su tutti gli inconvenienti che avrebbero impedito alla sua auto di
superarla. Il suo corpo arrossì di vergogna udendo gli insulti che le
stava rivolgendo. Sfilò il diaframma e lo passò sotto l’acqua corrente.
Nell’istante in cui emerse dal bagno, Chris si avventò su di lei,
gridando: «Bugiarda!» La afferrò per i capelli strattonandole indietro la testa. «Hai permesso al tuo amante di far volare il mio falco.»
Continuò a tirarle con forza i capelli, fino a farle bruciare gli occhi.
«Non credere che non ti abbiano vista. Te la fai con i ragazzini, adesso. Sei una ridicola ninfomane di merda.» Le stava facendo male
ora, torcendole una manciata di capelli per costringerla a schiacciare
la faccia contro il suo torace. Avvertì l’odore pungente del sudore e
della trementina che usava per lavare i pennelli, sentì il battito accelerato del suo cuore.
«Lasciami.» Riuscì a dargli una ginocchiata ma senza centrargli
le palle. Sentì il rumore dello strappo più che avvertirne il bruciore
sulla pelle quando si liberò dalla presa di Chris, lasciandogli in mano
la ciocca di capelli.
Chris la fissò stupito per un attimo, poi si avventò su di lei mentre cercava di aprire la porta, la trascinò indietro e la atterrò sul
pavimento.
La immobilizzò a faccia in giù tra i panni sparsi a terra. «Non mi
lasciare.» La rabbia divenne cruda supplica. «Non andartene» disse,
sedendosi a cavalcioni su di lei.
«Lasciami.» Cercò di soffocare il tremito nella propria voce. «Ti
prego, lasciami. Lasciami, lasciami.»
«Prometti di non lasciarmi e lo farò» disse, come se stessero lottando per gioco e fosse solo questione di farle dire “mi arrendo”.
«Lasciami!»
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Cercò di baciarla.
«Lasciami in pace.»
Era esausta. Rimase ferma e impassibile, nonostante il cuore battesse come un maglio. Sentì saliva e lacrime di Chris colarle sulla
nuca.
«Tirati giù i jeans.» La camicia rossa, la sua preferita, era ormai
strappata in diversi punti.
«Non essere stupido, Chris.»
«In ricordo dei vecchi tempi, prima che te ne vada.»
Julia sapeva che avrebbe portato addosso per sempre quella mortificazione, ma d’un tratto provò solo un’immensa stanchezza.
Le tirò giù i jeans fino alle ginocchia appena lei smise di fare resistenza e gli sputò nella mano.
Il telaio smosso della porta sul retro sbatacchiò mentre il vento
rinforzava all’esterno. Julia sentì lo stomaco rivoltarsi al ricordo di
un’altra notte, ventosa come quella, nella stessa area delle Downs
dove prima aveva volato Lucifero.
Una caccia notturna, un faretto potente fissato al pick-up e un
coniglio indifeso rimasto abbagliato. Il falco di Chris era piombato
nel cerchio di luce, come un pattinatore con un mantello riccamente
decorato, e aveva affondato gli artigli nella spina dorsale della preda, schermandola col suo piumaggio mentre questa lanciava grida
strazianti. Chris, accovacciato a terra, aveva tirato il collo al coniglio: «Così è meno cruento.» Julia non aveva sentito alcun crack e
la bestiola aveva continuato ad agitare spasmodicamente le zampe
posteriori in una fuga impotente. «Sono solo i nervi» aveva commentato Chris, offrendo il coniglio come vittima sacrificale al falco,
che gli aveva strappato brandelli di carne dalla gola mentre le zampe
proseguivano l’inutile corsa.
Chris se la prese comoda. Julia lo implorò di non venire dentro
di lei.
Ma non le diede ascolto.
Alla fine allentò la presa e rotolò giù nel suo mare di panni sporchi. Julia si alzò sulle gambe malferme, si tirò su i jeans e si precipitò
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verso la porta e giù per i gradini, con nessuno da cui rifugiarsi se non
Julian.