Anteprima - Unorosso
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Anteprima - Unorosso
La Gentilezza 9 Capitolo 1 Lucifero interagiva bene con lei nella luce evanescente, planando nel cielo al suo richiamo e allontanandosi di nuovo verso l’immenso sfondo livido del tramonto. Era sola sul crinale, all’inizio: solo lei, il rapace e lo spazio aperto. Era una di quelle irrequiete giornate estive di vento forte e improvviso, e le piume del falco sembravano impastoiate mentre la osservava dal suo posatoio sul guanto. La donna portava una lunga camicia rossa su un paio di jeans e i sandali, i capelli le sfuggivano dalla fascia. Aveva una borsa di pelle appesa alla cintura e un cordone con il fischietto intorno al collo. Il falco puntò le zampe sul suo polso, facendo ondeggiare la nappa di pelle appesa al guanto, e spiccò il volo. Sentì il respiro delle piume sul viso mentre il rapace si staccava da lei e lo osservò librarsi con le ali sostenute dal vento, disperdendo i corvi come gocce scrollate via da un ombrello. Julia si stava impegnando al massimo per non commettere errori con Lucifero: i bocconi di cibo erano piccoli per mantenerlo attivo. Quella mattina la bilancia aveva segnato un vergognoso “737 grammi”. Lo chiamò con il fischietto. Due trilli bruschi ed eccolo lì, nero arco di Cupido che puntava dritto su di lei dal cielo. Continuò lungo il crinale, Lucifero saldo sul suo braccio, gli occhi febbrili incollati al suo viso in attesa che gli desse il segnale. Lo fece volteggiare avanti e indietro, e nessuno dei due sapeva che sarebbe stata la loro ultima danza. La sera cominciava a rinfrescare. Si era quasi dimenticata che Julian avrebbe dovuto raggiungerla lì, o forse aveva semplicemente perso la speranza. Quando arrivò aveva il fiatone, rosso in viso dopo la corsa su per la collina, la bici e la ruota inservibile lasciate indietro. Aveva l’aria di un ragazzo che aveva attraversato tre continenti per 10 Polly Samson vederla, con la felpa annodata intorno ai fianchi. Incredibilmente giovane, con i capelli che gli ricadevano sugli occhi e il passo lungo ed esitante, una gamba dei jeans ancora infilata dentro il calzino. Non osò baciarla, le disse, con il rapace che lo fissava con occhi di fuoco dal suo posatoio sul polso. Il falco sollevò le spalle e lei lo lasciò levarsi in volo. Si baciarono e quando Julian smise di lanciare occhiate nervose al cielo, Julia si sfilò il guanto di protezione e ci spinse dentro la mano di lui. Richiamò il rapace con il fischietto e mosse su e giù il braccio di Julian facendo oscillare la nappina, ma Lucifero si librò ancora più in alto, con il vento che gli sussurrava “uccidi” nell’orecchio e lo rendeva sordo a ogni richiamo. Julia si mise a correre imprecando, con Julian che le caracollava accanto. Si riprese il guanto proprio mentre il falco piombava sulla preda. Le mani di Julian erano calde sui suoi fianchi, e sembrò a entrambi che le strida del coniglio risuonassero all’infinito. Era quasi mezzanotte quando tornò a Wychwood. Sarebbe rimasta da Julian fino al mattino se non fosse stato per Lucifero, maledetto uccello. Parcheggiò l’auto sulla stradina, convinse il falco a uscire dal trasportino e lo agganciò al guanto. Lucifero scosse le piume, un po’ seccato, come se qualcuno gli avesse incautamente sgualcito il mantello. L’oscurità le piombò addosso e rabbrividì: era sempre inquietante percorrere quel tratto di notte. Ramoscelli caduti scricchiolarono sotto i suoi passi mentre avanzava nel sottobosco, il rapace un peso indispettito sul suo braccio, lo scintillio di accusa nei suoi occhi l’unica fonte di luce al di sotto degli alberi. I rami ammutolirono e apparve Wychwood: sola nella radura e inaspettata come la casetta dei fratelli Grimm, con le sue tavole nere malandate e le finestre sbilenche. Notò subito una luce accesa, sebbene fosse certa di averle spente tutte. Con espressione tesa e attenta, sgusciò oltre il cancello sul re- La Gentilezza 11 tro parlando sottovoce a Lucifero mentre lo trasferiva sulla pertica nel capanno, poi proseguì da sola lungo il vialetto. Unici rumori, il battito del suo cuore e un sasso smosso vicino ai gradini; spinse la porta della cucina con un piede e restò senza fiato, più che altro per il sollievo: Chris, suo marito, i capelli striati e appiattiti sulla testa, le enormi scarpe da ginnastica grigie spedite con un calcio in mezzo al pavimento, fece tintinnare il cucchiaino nella tazza. Julia indietreggiò di un passo. «Perché quello sguardo sorpreso?» le chiese lui. «Anch’io abito qui, sai.» Maggie, la sua lurcher, rabbrividì con aria disgustata accanto a lui, il naso premuto contro il suo ginocchio. «Così, eccomi qui. A caa-sa.» Ridicolizzò la parola con pungente ironia, puntando il cucchiaino contro la moglie. «Non mi aspettavo di trovarti qui.» Appese il guanto di pelle al gancio, il cervello girava al massimo in cerca di una scusa, per poi finire in stallo. «Mi hai spaventata a morte. Potevi essere chiunque.» Imprecò contro di lei per l’accoglienza ricevuta, mostrando denti più vecchi della bocca – Nescafé e tabacco – in un ghigno. «Cosa hai fatto, hai lasciato Lucifero nel bagagliaio mentre tu…?» «Non riuscivo a far ripartire la macchina.» Le strappò la borsa dalla cintura e lanciò i pezzi di carne rimasti al cane, poi rovesciò la sacca di pelle. «Se non la svuoti, ci ritroverai i vermi.» Aveva diciotto piani da tinteggiare a Dagenham, così le aveva detto. Centottanta uffici, meri cubicoli, tutti verniciati a rullo dello stesso, monotono grigio schizzato sulla tuta da lavoro da cui emergeva il suo busto. Chris avrebbe dovuto essere via fino a Natale, e per allora si era ripromessa di essere già sparita. La tuta si apriva su una T-shirt dei Ramones, talmente scolorita che vi si poteva riconoscere la band solo se si sapeva già il nome, e su una cintura con una grossa fibbia di metallo. Vuotò le tasche sul bancone della cucina: tabacco, Murray Mints, cartine per sigarette, flacone di additivo, un tintinnio di spiccioli. I capelli erano punteggiati della stessa tinta grigia, come se le mosche vi avessero appena deposto le uova. 12 Polly Samson «È fantastico che tu sia così contenta di vedermi» disse. «Una vera gioia.» «Lo stesso per me» replicò lei, ma mentre il marito si girava intravide una versione precedente di Chris, come l’effetto di un ologramma sospeso tra loro, qualcosa nell’increspatura della fronte e nell’aggetto delle sopracciglia, uno scintillio negli occhi ambrati. La tuta da lavoro era slacciata nello stesso modo la prima volta che aveva posato gli occhi su di lui, per puro caso, nel cortile della scuola. Lui faceva parte di una squadra addetta alla verniciatura delle baracche prefabbricate con tetto in lamiera ondulata che sarebbero diventate le nuove aule. Aveva i capelli a spuntoni, striati biondo ossigenato e cenere. Tutti lo chiamavano Sting. Le ragazze della quinta presero a radunarsi intorno alle baracche durante la ricreazione, quando lui sgattaiolava fuori a parlare con loro, con il torace brunito dal sole. E poi era rimasta a letto dopo la prima notte, la spazzola per capelli ficcata sotto la porta così avrebbe fatto rumore se il padre fosse entrato incespicando, e lei si sarebbe svegliata. Il chiasso del bar che filtrava dal pavimento era stato una colonna sonora sgradita mentre ripensava agli occhi da tigre di Chris, a come riusciva a rollare uno spinello con una mano lasciando l’altra libera di condurla a uno stato di frenetica eccitazione. Ora lui si stava strofinando via il suo bacio dalla guancia, come se l’avesse morso, il bancone della cucina era inondato di caffè. «Lucifero ha ucciso un coniglio, stasera.» Si sforzò di comportarsi normalmente, aprendo il borsone di Chris e sottoponendo il contenuto a una rigida segregazione razziale davanti alla lavatrice: una pila di bianchi (cosiddetti) e una di indumenti colorati (mutande appallottolate, felpe e calzini ormai in fase di rigidità cadaverica). «Immagino che tu non l’abbia portato a casa» disse. «Il coniglio?» Arricciò le labbra. «No, non l’avresti mai fatto, giusto?» «È stato già abbastanza spiacevole convincere Lucifero a mollarlo.» Rabbrividì sia al ricordo che al tanfo. «I tuoi vestiti puzzano di sudore.» La Gentilezza 13 «Uno di noi deve pur lavorare per vivere.» Le diede un’occhiataccia e si concentrò sul freezer, tirò fuori un vassoio di metallo pieno di rosei cadaverini congelati e lo sbatté sul bancone perché si staccassero dalla morsa del ghiaccio. Aveva registrato i dati sulla tabella? Che peso aveva avuto quel tal giorno Lucifero? E il giorno dopo? Quante ore lo aveva fatto volare? Quante prede uccise? «L’uccello è tuo» disse Julia alla fine, cercando di allontanare un senso di nausea. «Sei fortunato che io trovi il tempo per farlo volare.» Con la coda dell’occhio, vide Chris scegliere un paio di topolini rigidi e metterli su un piatto: via via che si scongelavano, le testine inermi penzolarono da pozze sempre più larghe di liquido roseo mentre Chris separava i due corpicini con le dita. Teneva la mandibola serrata. «Almeno uno di noi guadagna qualche soldo.» Si pulì le mani sul fondo dei pantaloni. «Allora, quando pensavi di dirmi del “ragazzo delle meraviglie”?» Sbatté il vassoio di metallo dentro al freezer e venne verso di lei divincolandosi dalle maniche mentre emergeva dalla tuta. Aveva braccia muscolose per essere così magro, particolare che un tempo lei aveva trovato attraente. Agitò le mani in aria per proteggersi. «Smettila, Chris.» Ma non cedette terreno; dondolò sui talloni davanti alla lavatrice e trattenne il respiro mentre lui si liberava della tuta con un calcio e le ruggiva in faccia: «Immagino che avrai fatto volare il mio uccello insieme a lui, eh?» Teneva più alla fedeltà del falco che alla sua. Julia si voltò da una parte, per paura di scoppiare a ridere. «È così?» La afferrò per le spalle. «Sei stata via tutto questo tempo. Gli hai permesso di far volare il mio falco?» Il suo volto era una cavità roboante, l’alito pesante. Scosse la testa e lui la scaraventò via dalla propria stretta. Aveva la mascella talmente contratta che la pelle appariva tesa e bianca sull’osso. Una consapevolezza improvvisa seguita da un sussulto di terrore la fece precipitare nel bagno, dove sbatté con forza la porta e si chiu- 14 Polly Samson se a chiave. Aveva già controllato e scoperto che il diaframma contraccettivo non era nel suo astuccio di plastica dentro l’armadietto? Si tirò giù i jeans e si accovacciò sopra la tazza del water. Chris le stava urlando dalla cucina che era stata vista insieme al «ragazzino del college», e poi continuò con una filippica sui soldi e sulla revisione annuale, e su tutti gli inconvenienti che avrebbero impedito alla sua auto di superarla. Il suo corpo arrossì di vergogna udendo gli insulti che le stava rivolgendo. Sfilò il diaframma e lo passò sotto l’acqua corrente. Nell’istante in cui emerse dal bagno, Chris si avventò su di lei, gridando: «Bugiarda!» La afferrò per i capelli strattonandole indietro la testa. «Hai permesso al tuo amante di far volare il mio falco.» Continuò a tirarle con forza i capelli, fino a farle bruciare gli occhi. «Non credere che non ti abbiano vista. Te la fai con i ragazzini, adesso. Sei una ridicola ninfomane di merda.» Le stava facendo male ora, torcendole una manciata di capelli per costringerla a schiacciare la faccia contro il suo torace. Avvertì l’odore pungente del sudore e della trementina che usava per lavare i pennelli, sentì il battito accelerato del suo cuore. «Lasciami.» Riuscì a dargli una ginocchiata ma senza centrargli le palle. Sentì il rumore dello strappo più che avvertirne il bruciore sulla pelle quando si liberò dalla presa di Chris, lasciandogli in mano la ciocca di capelli. Chris la fissò stupito per un attimo, poi si avventò su di lei mentre cercava di aprire la porta, la trascinò indietro e la atterrò sul pavimento. La immobilizzò a faccia in giù tra i panni sparsi a terra. «Non mi lasciare.» La rabbia divenne cruda supplica. «Non andartene» disse, sedendosi a cavalcioni su di lei. «Lasciami.» Cercò di soffocare il tremito nella propria voce. «Ti prego, lasciami. Lasciami, lasciami.» «Prometti di non lasciarmi e lo farò» disse, come se stessero lottando per gioco e fosse solo questione di farle dire “mi arrendo”. «Lasciami!» La Gentilezza 15 Cercò di baciarla. «Lasciami in pace.» Era esausta. Rimase ferma e impassibile, nonostante il cuore battesse come un maglio. Sentì saliva e lacrime di Chris colarle sulla nuca. «Tirati giù i jeans.» La camicia rossa, la sua preferita, era ormai strappata in diversi punti. «Non essere stupido, Chris.» «In ricordo dei vecchi tempi, prima che te ne vada.» Julia sapeva che avrebbe portato addosso per sempre quella mortificazione, ma d’un tratto provò solo un’immensa stanchezza. Le tirò giù i jeans fino alle ginocchia appena lei smise di fare resistenza e gli sputò nella mano. Il telaio smosso della porta sul retro sbatacchiò mentre il vento rinforzava all’esterno. Julia sentì lo stomaco rivoltarsi al ricordo di un’altra notte, ventosa come quella, nella stessa area delle Downs dove prima aveva volato Lucifero. Una caccia notturna, un faretto potente fissato al pick-up e un coniglio indifeso rimasto abbagliato. Il falco di Chris era piombato nel cerchio di luce, come un pattinatore con un mantello riccamente decorato, e aveva affondato gli artigli nella spina dorsale della preda, schermandola col suo piumaggio mentre questa lanciava grida strazianti. Chris, accovacciato a terra, aveva tirato il collo al coniglio: «Così è meno cruento.» Julia non aveva sentito alcun crack e la bestiola aveva continuato ad agitare spasmodicamente le zampe posteriori in una fuga impotente. «Sono solo i nervi» aveva commentato Chris, offrendo il coniglio come vittima sacrificale al falco, che gli aveva strappato brandelli di carne dalla gola mentre le zampe proseguivano l’inutile corsa. Chris se la prese comoda. Julia lo implorò di non venire dentro di lei. Ma non le diede ascolto. Alla fine allentò la presa e rotolò giù nel suo mare di panni sporchi. Julia si alzò sulle gambe malferme, si tirò su i jeans e si precipitò 16 Polly Samson verso la porta e giù per i gradini, con nessuno da cui rifugiarsi se non Julian.