1° incontro - Parrocchia San Paolo Apostolo – Vicenza
Transcript
1° incontro - Parrocchia San Paolo Apostolo – Vicenza
Uomini di pace e di riconciliazione Carlo Maria Martini Avvento 2015 Primo incontro Misericordes sicut Pater! [cfr. Lc 6,36] [motto del Giubileo] 1. [cfr. Sal 135/6] [cfr. Lc 15] Rendiamo grazie al Padre, perché è buono in aeternum misericordia eius ha creato il mondo con sapienza in aeternum misericordia eius conduce il Suo popolo nella storia in aeternum misericordia eius perdona e accoglie i Suoi figli in aeternum misericordia eius Misericordes sicut Pater! Misericordes sicut Pater! 2. [cfr. Gv 15,12] [cfr. Mt 25,31ss] Rendiamo grazie al Figlio, luce delle genti in aeternum misericordia eius ci ha amati con un cuore di carne in aeternum misericordia eius da Lui riceviamo, a Lui ci doniamo in aeternum misericordia eius il cuore si apra a chi ha fame e sete in aeternum misericordia eius Misericordes sicut Pater! Misericordes sicut Pater! 1 3. [cfr, Gv 15, 26-27] [cfr. 1Cor 13,7] Chiediamo allo Spirito i sette santi doni in aeternum misericordia eius fonte di ogni bene, dolcissimo sollievo in aeternum misericordia eius da Lui confortati, offriamo conforto in aeternum misericordia eius l’amore spera e tutto sopporta in aeternum misericordia eius Misericordes sicut Pater! Misericordes sicut Pater! 4. [cfr. Mt 24,14] [cfr. Ap 21,1] Chiediamo la pace al Dio di ogni pace in aeternum misericordia eius la terra aspetta il vangelo del Regno in aeternum misericordia eius grazia e gioia a chi ama e perdona in aeternum misericordia eius saranno nuovi i cieli e la terra in aeternum misericordia eius Misericordes sicut Pater! Misericordes sicut Pater Introduzione l'apostolo sente di fare ciò che vuole e nello stesso tempo di fare ciò che un altro vuole per lui e in lui. Lo troviamo nel libro degli Atti e sarà il punto di riferimento dei nostri Esercizi: “Riservate per me Barnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati” (13, 2). È il Signore che mette da parte, che chiama. Intendo dunque, per consapevolezza missionaria, la coscienza di perseguire un progetto e insieme di obbedire a un mandato. E desidero approfondire questa intuizione di consapevolezza per me e per ciascuno di voi, in modo che possiate cogliere il momento specifico del cammino che state vivendo come scelta e come mandato. Ho acconsentito a predicarvi questo ritiro per il desiderio vivo di una comunicazione nella fede di cui anche il Vescovo ha bisogno. Il Vescovo, infatti, vive - come ogni cristiano - della Parola di Dio: della Parola comunicata direttamente da Dio e anche di quella comunicata e circolata nell'ambito della Chiesa. Nutro quindi la speranza di dare e di ricevere, in questi giorni che trascorreremo insieme, la circolazione della Parola. Tuttavia sento che c'è un motivo ancora più profondo che mi ha fatto accettare il vostro invito e lo esprimo con le parole dell'apostolo Paolo: «È un dovere per me predicare il Vangelo. Guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1 Cor 9, 16). È una necessità a cui non posso sottrarmi, soprattutto predicarlo a coloro che più sono vicini al mio cammino. È una necessità così forte in me da sentirla come tema sul quale riflettere insieme a voi. A partire dall'esclamazione di Paolo, potremmo esplicitare il tema in questo modo: la consapevolezza missionaria, la consapevolezza di essere mandati. Scrive Paolo: “Se predico il Vangelo di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa” - è una cosa che faccio io, che dico io, che mi riguarda e che riguarda la mia professione - “ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato” (1 Cor 9, 17). Per me è stato proprio così: accettare il vostro invito l'ho sentito come un dovere che mi veniva dato da un Altro. L'espressione dell'Apostolo che viene tradotta “non di mia iniziativa”, in greco è akon, ossia “non spontaneamente”. Ed è interessante perché il termine opposto noi lo troviamo in un passo della prima lettera di Pietro: “Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri “(5, 2). “Volentieri”, ekoúsion, è esattamente il contrario di “non di mia voglia”, cíkon, usato da Paolo. È questo mistero che mi ha attratto, inducendomi a riflettere su quale sia la coscienza dell'apostolo e quindi la coscienza di vocazione apostolica o missionaria in senso generale. Quale debba essere la coscienza di qualcosa che scelgo io ma che in fondo non scelgo perché mi viene data ed io la compio, infatti, per un incarico ricevuto e non per un progetto di vita che mi sono proposto. A partire da voi È importante che ciascuno entri in questi giorni di Ritiro partendo dalla propria strada, dal luogo in cui veramente è. Possono aiutarvi tre domande: a) Che cosa desidero da questi giorni? Come vorrei uscirne? È una domanda che rappresenta “l'ideale” e che può fare emergere qualche desiderio che avete nel cuore. b) Che cosa mi attendo da questi giorni? È diversa dalla prima perché concerne “il reale”. Che cosa mi attendo concretamente, come modo di vivere e come risultato. Mi attendo noia, fatica oppure contentezza? Cerco soltanto momenti di tranquillità? Mi attendo sentimenti di pace oppure ho paura del silenzio prolungato, dei momenti di lotta? c) Quale tipo di tentazioni e di avvenimenti potrebbe impedirmi di raggiungere ciò che desidero? Sarebbe molto bello poter comunicare tutto questo perché chi detta gli Esercizi dovrebbe riuscire a seguire il cammino di ciascuno. Dire “cammino” è diverso dal dire “coscienza”: altro è la coscienza morale che si esprime nella confessione sacramentale, altro è il cammino costituito appunto da una serie di desideri, timori, anticipazioni del futuro, che ci sono in noi. Suggerimenti e timori a) Vi do un suggerimento riguardo alla preghiera. Può darsi che le proposte di preghiera di testi biblici siano un po' troppo C'è un altro testo del Nuovo Testamento che esprime bene la strana impressione che 2 ampie: è difficile che non avvenga perché la proposta viene fatta a livello di “lectio” e di “meditatio”, ampliando cioè il testo nella sua struttura interna e nelle sue relazioni. Ma altro è ciò che viene proposto e altro ciò che ciascuno porta avanti. Non dovete quindi essere ansiosi di riprendere tutte le cose ascoltate o notate. È invece importante che vi fermiate con calma su ciò che avvia alla “contemplazione». Ciascuno poco a poco impara a discernere tra le molte cose necessarie alla cultura anche spirituale, e le cose da scegliere per il proprio nutrimento interiore profondo. b) Provo sempre qualche timore iniziando un corso di Esercizi. Temo la fatica della comunicazione della fede e soprattutto temo le parole e gli atteggiamenti religiosi indotti dalla consuetudine e dall'ambiente. Temo anche la mia impreparazione di fronte alla Parola. E, di conseguenza: - che cosa vuol dire non averla oppure averla in maniera immatura, imperfetta, offuscata? La risposta ci viene suggerita da tre episodi del Nuovo Testamento. Gesù predica a Nazaret (Lc 4, 16-30) Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. 17Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: 18Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, 19a proclamare l’anno di grazia del Signore. 20 Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. 21Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». 22 Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». 23Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». 24Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». 28 All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. 16 Diciamo dunque al Signore, con fiducia ed umiltà: «Signore, tu che hai parlato sempre secondo verità, aiutaci a parlare non secondo luoghi comuni e associazioni spontanee del linguaggio religioso ma con un linguaggio di verità. Tu che superi infinitamente ogni nostra incapacità, metti in noi il tuo Spirito perché sia lui a parlare in noi, perché ci faccia camminare per strade autentiche. Donaci di superare tutte le nostre remore e donaci quel silenzio purificatore che taglia le fantasie e approfondisce la consapevolezza della nostra chiamata, nella nostra missione. Guidaci, o Gesù, nella via del deserto e del Battesimo perché fu proprio al Giordano, dopo le tentazioni, che tu prendesti coscienza del tuo mandato. Maria, madre di autenticità, aiutaci a dire solo parole vere, semplici, corrispondenti a verità». Invochiamo, come Santi protettori, S. Carlo che acquistò coscienza della sua missione poco prima della sua Ordinazione sacerdotale, durante gli Esercizi spirituali del 1563, e S. Paolo che fa spesso ricorso nelle sue lettere alla consapevolezza apostolica come a una delle sue rocce di rifugio nelle difficoltà. I. Il primo episodio è la predica di Gesù a Nazaret, secondo il racconto di Luca. Consideriamo brevemente la successione degli eventi per capire la struttura del brano e come esso metta in luce la coscienza di missione di Gesù. Gesù passa attraverso una serie contra- la coscienza apostolica Vorrei introdurvi alla riflessione personale rispondendo alla domanda: - che cosa vuol dire coscienza apostolica? 3 stante, opposta di reazioni, tali da mettere a dura prova la coscienza che ha di sé. - La prima reazione è di una attenzione assorta, intensa: «Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui» (v. 20). È una sensazione quasi magnetica che qualche volta si può avere parlando in pubblico: la folla sembra così interessata, colpita, a tal punto da far concentrare fortemente la persona che parla, investendola, in un certo senso, di valore. Gesù sperimenta questa reazione: ecco, la gente è pronta e disposta ad ascoltare da me una parola importante! - Tuttavia la situazione si deteriora rapidamente: «Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca». Sembra che ci sia ancora la meraviglia ammirativa ma la diffidenza appare subito dopo: «E dicevano: Non è il figlio di Giuseppe?» (v. 22). È difficile spiegare psicologicamente la complessità di questo versetto: Gesù si sente oggetto di un crescente scrutamento un po' maldisposto. Questo accade quando una persona si rivolge ad altri e si accorge che la disponibilità primitiva, pienamente favorevole, a un certo punto si cambia inspiegabilmente in riserbo e critica, creando disagio in chi parla e in chi ascolta. È la sensazione faticosa e dolorosa dell'accorgersi che le proprie parole cominciano a essere pesate, giudicate, forse fraintese, che possono essere utilizzate proprio contro chi parla. - La meraviglia diffidente diventa, dopo la reazione forte di Gesù, ostilità e rifiuto: «All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio» (vv. 28-29). Dall'attenzione benevola e sospesa siamo arrivati, capovolgendo la situazione, addirittura allo sdegno prima e poi al rifiuto. E questo avviene nell'ambiente in cui Gesù era conosciuto, e perciò con uno smacco pubblico, con un profondo disagio di tutti i conoscenti di Gesù, di sua madre, dei suoi parenti più stretti. È come se Gesù avesse disonorato il buon nome familiare e si fosse meritato l'improvvisa ribellione della gente: non ti vogliamo, non ci interessa quello che dici, non sei uno dei nostri, fatti i fatti tuoi, vattene altrove, non vogliamo più sentirti, ci hai disonorato. - Qual è la conclusione? «Ma Gesù, passando in mezzo a loro, se ne andò» (v. 30). Leggo la coscienza apostolica di Gesù in questo suo “passare in mezzo” così misterioso. La gente, che era stata presa da un momento di furore popolare, capisce ad un tratto che era esagerato sopprimerlo, gettarlo giù dal precipizio e forse avrà titubato, tentennato. Gesù, calmo e cosciente di sé, riprende il controllo della situazione e se ne va: «Poi, discese a Cafarnao, una città della Galilea, e il sabato ammaestrava la gente» (v. 31). Di fronte a questa coscienza apostolica di Gesù possiamo chiederci come avremmo reagito noi al suo posto. Credo sia facile immaginarlo. Prima, una grande ansietà per la folla che cominciava a bisbigliare e poi una grande rabbia interiore, stizza, ira, e molto probabilmente una depressione: non sono capace, non ce la faccio, la mia missione è troppo, ho presunto di me, meglio che mi ritiri e che pensi a fare altro. Questa è la coscienza apostolica carente o incerta: quella che si misura sulla risposta degli altri. Quando la risposta è eccezionale, ci si “gonfia” e va tutto bene, ma quando la risposta è negativa, si ha paura e nascono le ansietà e i dubbi. Gesù è modello di coscienza apostolica perché va diritto per il suo cammino e come se niente fosse stato, riprende altrove la sua predicazione paziente e ordinata della Parola. Paolo e il mondo pagano (At 13, 4-12) Essi dunque, inviati dallo Spirito Santo, scesero a Selèucia e di qui salparono per Cipro. 5 Giunti a Salamina, cominciarono ad annunciare la parola di Dio nelle sinagoghe dei Giudei, avendo con sé anche Giovanni come aiutante. 6 Attraversata tutta l’isola fino a Pafo, vi trovarono un tale, mago e falso profeta giudeo, di nome Bar-Iesus, 7al seguito del proconsole Sergio Paolo, uomo saggio, che aveva fatto chiamare a sé Bàrnaba e Saulo e desiderava ascoltare la parola di Dio. 8Ma Elimas, il mago – ciò infatti significa il suo nome –, faceva loro opposizione, cercando di distogliere il proconsole dalla fede. 9Allora Saulo, detto anche Paolo, colmato di Spirito Santo, fissò gli occhi su di lui 10e disse: «Uomo pieno di ogni frode e di ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia, quando cesserai di sconvolgere le vie diritte del Signore? 11Ed ecco, dunque, la mano del Signore è sopra di te: sarai cieco e per un certo tempo non vedrai il sole». Di colpo piombarono su di lui oscurità e tenebra, e brancolando cercava chi lo guidasse per mano. 4 4 Quando vide l’accaduto, il proconsole credette, colpito dall’insegnamento del Signore. Possiamo leggere, al di là delle parole, una profondissima coscienza della propria missione. Solo un uomo tranquillo, sicuro interiormente, mosso dallo Spirito, che ha capito la forza della missione di Gesù e che ha compreso essere giunto il momento di qualificarsi e di esporsi, può parlare così. La coscienza apostolica di Paolo porta ad azioni lucide, luminose, determinate e precise. All'opposto, la mancanza di tale coscienza diventa fonte di oscillazione e di instabilità rendendo incerte e compromissorie tutte le azioni dell'uomo. S. Giacomo descrive così questa situazione: “(Chi fa una domanda) la faccia con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all'onda del mare mossa e agitata dal vento; e non pensi di ricevere qualcosa dal Signore un uomo che ha l'animo oscillante e instabile in tutte le sue azioni” (Gc 1, 6-7). 12 Il secondo episodio ci descrive lo scontro di Paolo con il mondo pagano, dopo l'inizio della sua missione. Paolo e Barnaba erano discesi a Seleucia, di qui erano passati a Cipro e annunziavano la parola di Dio: «Attraversata tutta l'isola fino a Pafo, vi trovarono un tale, mago e falso profeta giudeo, di nome Bar-Jesus, al seguito del proconsole Sergio Paolo, persona di senno, che aveva fatto chiamare a sé Barnaba e Saulo e desiderava ascoltare la parola di Dio. Ma Elimas, il mago, faceva loro opposizione cercando di distogliere il proconsole dalla fede» (vv. 6-8). Da una parte la situazione è positiva: il proconsole, uomo intelligente e prudente, ha convocato Barnaba e Paolo, aprendo loro, quindi, una porta importante per l'evangelizzazione. Dall'altra parte c'è Elimas, consigliere e amico del proconsole, che ha molta autorità perché è un mago (nel mondo di allora, chi aveva poteri occulti era molto considerato e riverito). Sergio Paolo, pagano, è certamente influenzato dal mago che è pure profeta, sa parlare, proclamare cose profonde. Conosciamo scritti magici o ermetici di quel tempo o di poco posteriori, ad esempio le opere di Ermete Trimegisto: sono opere piene di grandi parole, concetti misteriosi, un po' fumosi che possono fare grande impressione. E questo Elimas, sfortunatamente per Barnaba e Paolo, portava anche il nome di Bar-Jesus e quindi poteva fruire di un alone di mistero collegato con la persona di Gesù. Toccare il legame di amicizia tra il mago e il pro-console era pericoloso. Noi avremmo forse cercato di girare alla larga, di dire una qualche parola al proconsole per non farcelo nemico, senza tuttavia affrontare la situazione. Paolo, invece, pronunzia un'invettiva pericolosissima che poteva rovinare tutto, facendo finire la predicazione e rischiando di farsi cacciare dall'isola: «Allora Saulo - detto anche Paolo - (viene chiamato per la prima volta Paolo nel momento in cui compie questo passo coraggioso che lo strappa a una predicazione prudente e lo butta nella lotta!), pieno di Spirito Santo, fissò gli occhi su di lui e disse: “O uomo, pieno di ogni frode e di ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia, quando cesserai di sconvolgere le vie diritte del Signore? Ecco, la mano del Signore è sopra di te: sarai cieco e per un certo tempo non vedrai il sole”» (v. 9-11). La caduta di Pietro (Mc 14, 66-72) Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote 67 e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù». 68Ma egli negò, dicendo: «Non so e non capisco che cosa dici». Poi uscì fuori verso l’ingresso e un gallo cantò. 69 E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: «Costui è uno di loro». 70Ma egli di nuovo negava. Poco dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: «È vero, tu certo sei uno di loro; infatti sei Galileo». 71Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quest’uomo di cui parlate». 72E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. 66 Dopo i modelli di consapevolezza apostolica di Gesù e di Paolo, possiamo riflettere sulla figura di Pietro che rappresenta, in un certo senso, la nostra situazione di immatura o incerta coscienza apostolica. Partiamo da alcuni versetti del Vangelo di Marco, caratteristici del cammino di Pietro verso la “negazione”: «Gesù disse loro: “Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse. Ma, dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea”. Allora Pietro gli disse: “Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò. Gesù gli disse: “In verità ti dico: proprio oggi, in questa stessa notte, prima che il gallo canti due volte, tu mi rinnegherai tre volte”. Ma egli, con grande insistenza diceva: “Se anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò”» (Mc 14, 27-31). 5 Per la riflessione personale Pietro, in apparenza, ha una forte coscienza apostolica e di missione, si sente sicuro, ma alle sue parole certe corrisponde un cuore incerto: sono parole sincere e tuttavia non vere. Anche noi spesso siamo sinceri, esprimiamo cioè quello che è alla superficie, nell'immediato, ma non siamo veri, non esprimiamo quello che c'è nel profondo. Essere autentici vuol dire essere “autòs”, se stessi, pienamente se stessi: noi siamo noi stessi a metà e ciò che diciamo non è la verità del nostro io. Pietro, dunque, è sincero ma non è vero. In lui c'è una consapevolezza apostolica incerta e oscillante, e non lo sa. Ben presto viene provata l'incertezza della sua coscienza, allorché Gesù, nell'orto del Getsemani, dice: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare un'ora sola?» (v. 37). Perché Pietro non era riuscito a vegliare un'ora sola? Perché noi non riusciamo a vegliare in certe situazioni, mentre in altre riusciamo perfettamente? Noi cediamo al sonno, alla fatica, alla noia quando non siamo convinti di dover fare ciò che stiamo facendo o lo troviamo spiacevole e non siamo sicuri che sia importante. Al contrario, quando lo riteniamo importante, molto utile, allora non sentiamo la stanchezza e l'organismo si dispone, le forze vengono mobilitate dalla certezza dell'azione. Gesù invita Pietro a pregare e Pietro non capisce né la gravità dell'ora né la gravità del comando di Gesù. È incerto interiormente, non sente il pregare, in quel momento, importante per lui e allora le sue forze non si mobilitano. Così Pietro cede. È il primo segno della sua oscillazione a cui fa seguito il secondo: «Tutti, allora, abbandonando Gesù, fuggirono» (v. 50). Tutti, Pietro compreso, hanno perduto il significato del loro dovere restare lì. Se Gesù stesso si consegna, se si mostra tanto debole, chi ci obbliga a rimanere? Perché dovremmo farlo, in nome di chi, di quale autorità, di quale risultato da raggiungere? Rapidamente, la coscienza di missione si sgretola. Ho voluto semplicemente introdurvi ad una riflessione sulla consapevolezza apostolica. Per il lavoro personale suggerisco due possibilità: - Riflettere sugli episodi paragonandoli con la propria vita e domandarsi: dove trovo in me segni di consapevolezza matura, come quella di Gesù e di Paolo? E dove, invece, trovo in me segni di consapevolezza immatura, incerta, oscillante, di cammino faticoso? E perché ci sono? - Oppure, prendere gli episodi, rileggerli, approfondirli, pregare su di essi, paragonarvisi, trovare altri episodi del Nuovo Testamento e della Scrittura in cui appare una chiara o una incerta consapevolezza di missione. Chiediamo al Signore di aiutarci a iniziare questo cammino di approfondimento e di ricerca: “Signore Gesù, noi contempliamo la calma che tu hai vissuto a Nazaret, nella tua prima predicazione; contempliamo il tuo dolore anche, perché hai certamente sofferto vedendo la ribellione della gente a cui volevi bene e di cui conoscevi le debolezze e le meschinità. Tu non ti sei lasciato immeschinire, non ti sei rivoltato contro di loro né contro di te. Signore Gesù, noi ti ringraziamo perché la tua coscienza di missione è tanto grande: fa' che alla tua coscienza si appoggi la nostra! Amen”. E, infine, c'è la negazione di Pietro (vv. 66-72). Pietro annaspa, è incapace a controllarsi, si comporta diversamente da come vorrebbe: vorrebbe stare vicino a Gesù però ha paura di presentarsi apertamente e cade. La caduta di Pietro è la conseguenza dell'oscillare, dell'incertezza interiore, del non sapere bene sino a qual punto bisogna seguire Gesù, sino a quanto è giusto rischiare. Pietro ha perduto il senso della missione, la coscienza chiara di ciò a cui è chiamato. 6