Sei conversazioni inattuali (it)

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Sei conversazioni inattuali (it)
Daniele Ghisi
Sei conversazioni inattuali (2006)
per clarinetto, voce femminile, elettronica e ensemble
Il titolo dell’opera, chiaro (e velatamente sarcastico) rimando alle “Considerazioni inattuali”
nietzschiane, lascia già presagire il tono di fondo del brano musicale. Questo infatti si configura come
vera e propria critica del movimento futurista, concretizzata nella successione (senza soluzione di
continuità) di sei diverse “conversazioni” tra frammenti testuali, idee musicali e allusioni di vario tipo.
Gli spunti culturali provengono, oltre che dal futurismo stesso, dai suoi detrattori, da personaggi del
clima culturale dell’epoca, o da generiche fonti che siano in una qualche relazione con il tema trattato. Il
compositore è tale in senso strettamente etimologico: egli deve farsi carico dell’operazione di disporre e
assemblare i diversi tasselli del colloquio. Gli “interlocutori” privilegiati (clarinetto, voce femminile ed
elettronica) si compenetrano, scambiandosi vicendevolmente le funzioni di proposta, di condanna o di
approvazione, mentre l’ensemble strumentale si delinea più che altro come “cassa di risonanza” alla
conversazione in corso. Ognuno dei sei episodi si ritaglia una propria strumentazione particolare e un
proprio ordine di gerarchie tra i protagonisti, attraverso il quale mira a destabilizzare un preciso aspetto
della poetica futurista. Il risultato di queste complesse interazioni è un’eterogeneità di fondo che assurge
a cifra inevitabile dell’intero brano, benché alcuni elementi comuni (primo fra tutti l’utilizzo di
frammenti tratti da Les chants de la mi-mort, di Alberto Savinio) vadano a costituire un reticolo di
riferimenti incrociati tra i sei episodi.
La prima critica è prettamente musicale e non può che ricollegarsi al pensiero e alla musica di Edgar
Varèse (è chiara nella fattispecie la citazione della sua Density 21.5). I compositori futuristi miravano a
allargare la concezione di musica sino a comprendere anche il rumore che si era prepotentemente
imposto con l’avvento della “civiltà delle macchine”. Le parole di Varèse esprimono compiutamente il
maggior rimprovero che si possa muovere a una tale visione: «Why, Italian Futurists, have you slavishly
reproduced only what is commonplace and boring in the bustle of our daily lives?» [«Perché, Futuristi
Italiani, avete pedissequamente riprodotto solo ciò che è luogo comune e noia nel marasma del nostro
vivere quotidiano?»]. Il compositore franco-americano era difatti impegnato nella sua personale opera di
emancipazione del rumore, la quale, diversamente dal caso dei futuristi, traeva le mosse da una
meticolosa attenzione timbrica. L’approccio varèsiano era paradossalmente contraddistinto da una
maggiore modernità: egli sognava strumenti obbedienti al suo pensiero, con il cui contributo potesse
essere svelato un mondo di suoni inimmaginati e sorprendenti – un mondo che i mezzi elettronici
moderni hanno reso oggi possibile. Il secondo episodio è una critica è di tipo retorico: i toni esagitati,
frenetici dei manifesti e in generale degli scritti futuristi sono sovente un’arroganza ingiustificata (come
nel celebre caso dell’invettiva di Marinetti contro i veneziani). La terza critica è di tipo politico: la storia
ha già ampiamente giudicato la concezione della guerra come «sola igiene del mondo» (dal manifesto
marinettiano del 1909); non resta quindi che riverberarne le contraddizioni dalle parole di una ben nota
lirica di Dario Bellezza. La quarta conversazione è tipicamente letteraria e, prendendo a prestito le
parole di Thomas Stearns Eliot, allude al futurismo letterario come a un «cadavere piantato in giardino»
che non ha mezzi per germogliare pienamente («That corpse you planted last year in your garden, / Has
it begun to sprout? Will it bloom this year?»), poiché laddove è pienamente germogliato
(nell’Apollinaire della quinta conversazione) l’energia convulsa delle idee futuriste ha lasciato spazio a
una certa sottile e meditata leggerezza – tipica dopotutto del panorama francese. Infine l’ultimo
episodio è una critica storica (che racchiude sostanzialmente tutte le precedenti critiche) mossa
prendendo a prestito le parole del Joyce di “The Dead”: un movimento culturale che si ponga, per
principio e radicalmente, in linea di discontinuità con tutto il suo passato, è per sua stessa definizione
un movimento senza alcun futuro – ecco dunque l’utilizzo strumentale della suite saviniana de Les chants
de la mi-mort, e quel mi-mort del titolo interpretato come riferimento al futurismo, a un movimento nato
già mezzo morto.
Daniele Ghisi
Sei conversazioni inattuali (2006)
for clarinet, female voice, electronic and ensemble
The title of the piece, a veiled reference to the Untimely Meditations by Nietzsche (Considerazioni inattuali,
in Italian), already reveals the structure of the piece, which is actually a kaleidoscopic criticism to the
Italian futurism. It is, indeed, a sequence of six “conversations” drawn between textual fragments and
musical ideas. The cultural inputs come both from the futurism and from the futurism’s detractors, as
well as from other sources, linked with the cultural panorama of futurist period, or linked with the
themes of the “conversations”. The composer is a composer in an etymological sense: he places,
moves, joins, cuts the different dowels of the talk. The privileged interlocutors (clarinet, female voice
and electronic) change each time their function within the conversation: proposing, agreeing or
disagreeing, while the instrumental ensemble acts more like a resonance box. Each one of the six
episodes has its own instrumentation and its own hierarchy between the characters, by means of which
it is aimed to focus on an aspect of the futuristic Weltanschauung. The result of these interactions is a
sort of heterogeneity, even if some common elements (i.e. the use of musical fragments from Les chants
de la mi-mort, by Alberto Savinio) build the lattice of cross-references across the episodes.
The first criticism is a musical one, and it is linked with the Varèse’s thought: «Why, Italian Futurists,
have you slavishly reproduced only what is commonplace and boring in the bustle of our daily lives?»
(it’s clear at the beginning the quotation of Density 21.5). The second episode is a critic about the
rhetoric, about the frantic and overexcited tones, typical of the futurism (as in the well known case of
the quoted Marinetti’s speech against the people of Venice). The third criticism is of a political kind: the
history has already widely judged the futurists’ idea of war as the «only hygiene of the world» (from
Marinetti’s Manifesto, 1909): it’s enough to reverberate its contradictions by means of the words of a
lyric by Dario Bellezza. The fourth conversation is chiefly literary: borrowing the words of T.S. Eliot, it
refers to the literary futurism as a corpse planted in a garden, a corpse that has no means to fully bloom
(«That corpse you planted last year in your garden, / Has it begun to sprout? Will it bloom this year?»,
The Waste Land, I), since where it fully bloomed (for example, in the Apollinaire of the fifth
conversation, with his reading of Le pont Mirabeu), the frenzied and frenetic energy has left the place to a
subtler sensibility and awareness. Finally, the last episode is a historical criticism (which includes and
sublimes all the former critics): it uses the words of J. Joyce (The Dead) to convey the idea that a cultural
movement that radically detaches itself from its past, is a movement without future – here comes then
the widely quoted suite Les chants de la mi-mort, as if the mi-mort in the title were a reference to the
futurism, already half-dead even when it was newly-born.