Diario calais e dunkerque I

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Diario calais e dunkerque I
30/4/2016
M^C^O
viale Molise 68
The way up
(to) here
#daquassùlaterraèbellissima
Diario calais e dunkerque I
La città di Calais è una città di passaggio,
di gente in transito, attraversata da molti
e abitata da pochi.
Quando ci arriviamo è notte, il tempo
è pessimo e non sappiamo bene dove
dirigerci. Come usciamo dall’autostrada
ci rendiamo conto che sta accadendo
qualcosa: i larghi campi e i piccoli
boschetti che circondano la strada non
sono bui come ci aspettavamo, sono
illuminati da un costante lampeggio di luci
blu. Decine, centinaia di agenti e mezzi di
polizia, piantonano palmo a palmo ogni
metro quadrato di terreno intorno a noi.
In lontananza si scorge un grande fuoco
e tutt’intorno baracche di legno, tendoni
e altre strutture parzialmente demolite.
Siamo arrivati, quella è la “Jungle”,
o almeno quello che ne rimane. Si
intuisce che lo sgombero, in corso ormai
da diversi giorni e temporaneamente
sospeso, è nuovamente in atto. I nostri
contatti in loco non stanno lanciando
allarmi, dopo un viaggio di 11 ore
senza soste decidiamo di accamparci.
E’ molto tardi e non è possibile ormai
raggiungere nessuna delle strutture
gestite dagli attivisti impegnati nella
gestione dell’emergenza migranti, dunque
passiamo la notte accampati vicino al
porto pronti per iniziare l’indomani la
nostra prima giornata a fianco di chi, da
mesi, sta mettendo anima a corpo nel
tentativo di restituire dignità a persone
per le quali sembra essere in discussione
lo stesso diritto all’esistenza.
La notte passa faticosamente a causa
delle cattive condizioni del tempo e
della nostra precaria sistemazione ma la
mattina dopo siamo in ogni caso pronti
ad incominciare la nostra esplorazione.
Il primo posto dove ci rechiamo è la
“Calais Warehouse”, il magazzino dove
tutto il materiale viene ricevuto, smistato,
classificato e poi distribuito fra i due
campi (la Jungle e Dankerque).
Entrare nella Warehouse fa riaffiorare
immediatamente ricordi più e meno
recenti ed è difficile descrivere a parole
le sensazioni suscitate. Un centinaio di
volontari sono impegnati in frenetiche
attività di carico e scarico, smistamento,
catalogazione e divisione di una
innumerevole quantità di materiali, dai
beni di prima necessità fino al materiale
tecnico e tecnologico. Si lavora a ritmi
serratissimi e senza sosta.
Scarichiamo il nostro fugrone con
il materiale che abbiamo portato in
dono da Milano, per la maggior parte
abbigliamento e calzature invernali
per bambini, carichiamo tutto su un
carrello che nel giro di pochi istanti
viene trasportato all’interno di questo
enorme capannone e preso d’assalto dai
vari gruppi che si occupano della prima
cernita di materiale. Perdiamo subito
di vista tutti i sacchi e scatoloni che
abbiamo consegnato il che ci fa pensare
che tutto il materiale sarebbe arrivato in
poche ore nelle mani (o nei piedi!) di chi
ne ha bisogno.
E’ impossibile rimanere in un luogo come
questo per più di pochi minuti senza fare
nulla quindi nel giro di un quarto d’ora
siamo tutti impegnati nelle attvità del
magazzino. Non ci sono dei veri e propri
coordinatori delle attività, basta chiedere
a chiunque cosa ci sia da fare, e si è
subito operativi. Chiacchierando con gli
altri volontari capiamo che non esiste
una vera e propria rotazione di turni, ma
ognuno arriva quando può. Molti sono qui
solamente da uno o due giorni e già sono
in grado di coordinare attività complesse
e accogliere i nuovi arrivati. Lavorare
in questo contesto ricorda tante belle
esperienze del passato dove da un “serve
una mano?” a essere parte integrante di
qualcosa di nuovo passava a malapena
mezz’ora…
Il pranzo è servito! Le cucine lavoravano
senza sosta dalla prima mattina per
garantire migliaia di pasti caldi per i
due campi e una piccola parte viene
conservata per i volontari che si prendono
giusto il tempo di mangiare e bere un
caffè, prima di sparire nuovamente sotto
a montagne di vestiti e materiali alte fino
al soffitto.
A proposito della cucina, gestita dai
ragazzi di Artists in action che avevamo
recentemente ospitato a Milano,
decidiamo di dedicarci alla distribuzione
dei viveri durante il pomeriggio in modo
di poter dare anche un primo sguardo
al campo di Dunkerque, dove quella
particolare partita era diretta e una volta
caricato il furgone partiamo assieme a
loro.
L’ingresso del campo è presidiato dalla
polizia che ci lascia passare senza troppi
problemi e raggiungiamo presto l’area di
distribuzione vivande del campo. Il campo
si presenta come un grosso e fangoso
cantiere, con decine di mezzi che vanno
e vengono (ripetuto dopo) trasportando
materiale e aiuti e centinaia di volontari
impegnati in ciascuna attività. Il campo
è stato allestito interamente da MSF ma
ci spiegano che appena i lavori saranno
terminati verrà effettuato un passaggio
di consegne all’associazione Utopia56
con i quali dovremmo prendere contatti
domani in mattinata.
I pullman di migranti che arrivano dalla
Jungle e da altre situazioni temporanee
vanno e vengono (cambiare) in
continuazione e la maggior parte della
gente si accalca sotto una gigantesca
tettoia provvista di torrette elettriche per
caricare qualche telefono e contattare i
propri parenti, molti si trovano al di là
dello stretto vivendo con la speranza
costante di riabbracciarli.
Il punto di ditribuzione pasti è un vecchio
e decrepito furgoncino dei panini, con
ancora la scritta hot-dog visibile, si forma
una lunga e ordinata coda in mezzo alla
distesa di fango dove è parcheggiato.
Poco distanti ci sono le prime unità
abitative in legno, appena costruite e
già operative nonché alcune strutture in
muratura pre-esistenti dove si stanno
allestendo le cucine, i magazzini e i locali
tecnici per l’autocostruzione.
Passiamo il resto della giornata proprio
là, aiutando con la sistemazione e la
costruzione di porte in legno per chiudere
i locali già molto umidi dove poco dopo
verranno riposti tutti i materiali non
deperibili di prima necessità (pannolini,
assorbenti, coperte, etc..) che arrivano
direttamente dalla Warehouse di Calais.
Tutto intorno è un via vai di persone, di
partite di calcio improvvisate nel fango,
di bambini che si rincorrono e ridono.
I bambini ridono sempre, anche nelle
situazioni più avverse, basta un pallone o
un paio di pattini a rotelle.
Quando fa buio, torniamo di nuovo ai
capannoni della Warehouse, dove ci
lasciano parcheggiare all’interno per
passare la notte in un posto leggermente
meno ventoso e più asciutto, insieme
ad un’altra ventina di furgoni e camper
di persone come noi, arrivate da poco
o stabili da mesi, in quello che è il
grande dietro le quinte della gestione
dell’emergenza.
Una piccola cena improvvisata e ci
mettiamo a dormire. Scrivo queste
poche rige rintanato nel sacco a pelo. In
sottofondo musica, c’è una festa nelle
vicinanze, un “happy birthday” intonato
a gran voce. Il magazzino è chiuso, le
luci spente e la notte cala anche per noi.
Domattina alle 9 tutto riapre e questo
luogo si animerà nuovamente con la
stessa grinta e lo stesso umore di ogni
giorno.
Accio