tesina lett. part.

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tesina lett. part.
IGOR STRAVINSKY, The Rake’s Progress
BENJAMIN BRITTEN, The Turn of the Screw
Pietro Dossena
Il contesto: connessioni e intersezioni
L’opera mi è piaciuta molto. Ogni cosa eccetto la musica.
(Benjamin Britten, a proposito di The Rake’s Progress di Igor Stravinsky)
Poco dopo la metà del secolo scorso, il Teatro La Fenice di Venezia ha ospitato due importanti
prime esecuzioni operistiche, nell’ambito del Festival Internazionale di Musica Contemporanea
della Biennale: nel 1951 The Rake’s Progress di Igor Stravinsky, su libretto di Wystan Hugh Auden
e Chester Kallman; nel 1954 The Turn of the Screw di Benjamin Britten, il cui libretto è un
adattamento di Myfanwy Piper dell’omonimo romanzo di Henry James.
Il commento tranchant dell’epigrafe venne confidato da Britten all’amico poeta Auden. I
due avevano intrattenuto un sodalizio particolarmente fruttuoso negli anni 1935-42, collaborando
alla realizzazione di prodotti artistici dei generi più svariati: documentari prodotti dal General Post
Office, canzoni da cabaret, spettacoli teatrali, il ciclo di canzoni con orchestra Our Hunting Fathers
(1936), l’opera Paul Bunyan (1941), infine il pezzo corale Hymn to Saint Cecilia (1942), la loro
ultima collaborazione professionale.
Nel 1947 Stravinsky visitò una mostra dedicata a William Hogarth, al Chicago Art Institute,
e fu particolarmente colpito da una serie di otto dipinti risalente al 1732-3, intitolata The Rake’s
Progress, che presentava a mo’ di exemplum morale le varie fasi della vita dissoluta del libertino
Tom Rakewell. L’argomento gli sembrò perfetto per un’opera musicale in lingua inglese, progetto a
cui pensava da anni. Dietro consiglio di Aldous Huxley, che come lui risiedeva in California,
Stravinsky ingaggiò Auden come librettista. Quest’ultimo, a sua volta, chiese la collaborazione
dell’amico Kallman. Il libretto fu pronto per la fine di marzo del 1948 e la composizione venne
ultimata dopo circa 3 anni, nel 1951.
Come si vede, i percorsi artistici di Britten e Stravinsky intersecano la traiettoria di Auden,
seppur in momenti diversi. L’ironico commento di Britten sembra sottintendere una sua immutata
ammirazione per l’arte poetica di Auden, a cui però non si accompagna un’analoga stima per la
musica di Stravinsky. Eppure, ai nostri occhi di spettatori del XXI secolo, le due opere The Rake’s
Progress e The Turn of the Screw appaiono accomunate in primo luogo da caratteristiche
strettamente musicali, genericamente riconducibili alla categoria del neoclassicismo, che le
oppongono nettamente agli esperimenti serialisti dell’avanguardia musicale negli anni ‘50. Nelle
pagine seguenti cercherò dunque di far luce su alcune affinità o differenze esistenti tra l’opera di
Stravinsky e quella di Britten, articolando il discorso in brevi capitoli tematici. Per cominciare, è
opportuno tentare un chiarimento riguardo proprio alla nozione di neoclassicismo e al suo
significato storico.
Neoclassicismo/tradizionalismo, impegno/disimpegno
Secondo Philippe Albèra,
C’è […] un’opera che rappresenta uno snodo dal punto di vista della storia del genere lirico e della sua forma, e taglia
l’erba sotto i piedi alla corrente di tradizionalismo che pervade i compositori come Henze e Britten: si tratta di The
Rake’s Progress di Stravinskij […]. Le convenzioni dell’opera classica […] vengono qui riprese di peso, e servono a
costruire la forma assoluta, ideale e cristallizzata dell’opera in quanto forma a sé […]. Il fatto che si tratti, secondo le
parole dello stesso autore, di una «favola morale», deve essere preso alla lettera in senso puramente musicale. Nello
scrivere un’“opera di convenzioni”, Stravinskij la priva dell’efficacia alla quale sembrano ancora credere compositori
come Henze e Britten. L’antiumanesimo di Stravinskij, che, come avviene in molti dei suoi lavori scenici, fa manipolare
alla figura del diavolo la storia e i destini individuali, scalza le fondamenta dell’opera tradizionalista, al servizio delle
giuste cause, come in Henze e Tippett, o della difesa degli oppressi, come in Britten. Le questioni esistenziali si
1
disputano in una sorta di partita a carte […]. Stravinskij ha rilevato un tratto caratteristico del suo librettista, W. H.
Auden, legato alla storia del genere operistico […]: «Sembrava che considerasse la composizione poetica come un
gioco». La fabula non è altro alla fin fine che un pretesto per comporre della musica pura, vale a dire, nello spirito di
Stravinskij, per creare un certo ordine nel tempo […]. Il pastiche si rispecchia in se stesso, senza lasciare il minimo
spazio a qualsivoglia immediatezza dell’espressione, o a significati reconditi, che costituirebbero il sigillo della sua
verità. L’opera ha la forma di un tombeau – quello del neoclassicismo – realizzato con mano magistrale […].
Per i compositori del dopoguerra appartenenti alla corrente della Nuova Musica, contrariamente a Henze o a
Britten, le forme tradizionali dell’opera non erano affatto scontate. 1
Ma sarà vera questa distinzione tra uno Stravinsky moralmente disimpegnato e un Britten
ingenuamente fiducioso nella capacità dell’opera tradizionale di parlare all’uomo contemporaneo?
La sensazione è invece che, in entrambi i compositori, la problematica contenutistica e morale sia
percepita come di primaria importanza, dando luogo a realizzazioni diverse negli esiti ma analoghe
in quanto a raffinatezza di concezione.
The Rake’s Progress
Il modello ideologico dell’opera di Stravinsky è il racconto moraleggiante, che si rivolge
direttamente ai suoi lettori o spettatori (nel caso di pièces teatrali). Nella storia della musica si
danno molti esempi di spettacoli con musica che contengono nel finale un monito per il pubblico, la
cosiddetta morale: si ricordi ad esempio Il ballo delle ingrate di Monteverdi (contenuto nell’Ottavo
libro dei madrigali), il Don Giovanni di Mozart, o ancora, in ambito giocoso, il Falstaff di Verdi o
L’heure espagnole di Ravel.
Il Progress del titolo stravinskiano è appunto una progressione, ricalcata sul modello di
Hogarth, che si articola in vari snodi narrativi fino a condurre al punto finale, l’Epilogo moralistico,
in cui i cinque personaggi principali gettano metaforicamente la maschera (gli uomini compaiono
senza parrucca, Baba senza la barba) e parlano agli spettatori:
Good people, just a moment: though our story now is ended, there’s the moral to draw from what you saw […]. So let
us sing as one […] this proverb […]: for idle hands and hearts and minds the Devil finds a work to do, a work, dear Sir,
fair Madam, for you and you.
L’avvertimento di Auden-Kallman sembra piuttosto chiaro: chi si abbandona al lassismo
nelle azioni, nelle passioni e nell’esercizio dell’intelletto (‘idle hands and hearts and minds’) è facile
preda delle tentazioni (‘the Devil’). Ma si tratta davvero di una condanna a senso unico di ogni
libertinaggio? Seguendo il modello illuministico e mozartiano, The Rake’s Progress coniuga
l’argomento drammatico e moralistico con una rappresentazione quanto mai vivida e divertita delle
scene più licenziose. A questo proposito, la musica di Stravinsky dimostra una straordinaria
duttilità. La ripresa di stilemi della tradizione musicale, lungi dall’essere un gioco musicale autoreferenziale e ‘al quadrato’, viene sempre adeguata al momento drammaturgico: malgrado la
notevole formalizzazione delle strutture compositive e lo sguardo disincantato del compositore
(elementi giustamente sottolineati da Albèra), l’opera non rifugge dal parlare allo spettatore anche
in modo immediatamente comprensibile, emotivamente partecipe (sia pure ‘per gioco’). La posa
neoclassica rappresenta una sorta di paravento linguistico, di schermo filtrante, dietro al quale
Stravinsky è libero di sperimentare tutto ciò che di neo- la sua immaginazione gli suggerisce. La
carriera di un libertino (questa la traduzione del titolo avallata dallo stesso Stravinsky) sicuramente
instaura un dialogo di complessi (persino intellettualistici) rimandi con le convenzioni del genere
operistico, ma non cessa di essere un’opera efficace anche al primo livello.
Più avanti vedremo in dettaglio un esempio particolarmente interessante dell’utilizzo delle
convenzioni fatto con sapienza drammaturgica: la Scena 2 dell’Atto III.
1
Philippe Albèra, «Il teatro musicale», in Enciclopedia della Musica, diretta da Jean-Jacques Nattiez, Milano: EinaudiIl Sole 24 Ore, 2006, vol. III (Le avanguardie musicali nel Novecento), pp. 254-255.
2
The Turn of the Screw
Molta critica di stampo adorniano – o comunque avanguardistico – ha sempre considerato Britten
come un autore dal solido artigianato e dalla sicura musicalità, ma dalle concezioni estetiche
sorpassate e, in definitiva, ingenue. Non molto dissimile, come abbiamo visto, è la posizione di un
musicologo come Albèra al giorno d’oggi. Tuttavia, mi sembra opportuno abbozzarne un breve
ritratto musicale, per cercare di comprenderne la caratteristiche senza preconcetti.
I write music for human beings, declaredly and consciously. I believe that a composer’s duty, as a member of society, is
to speak to men and for men.
Questa frase di Britten esprime inequivocabilmente il suo interesse per la funzione sociale, morale e
persino pedagogica della musica. Non è quindi un caso che la sua musica rifugga gli estremismi
musicali dell’avanguardia più rivoluzionaria, quali la dodecafonia prima e la serialità poi. Ma
sarebbe sbagliato etichettare frettolosamente la sua musica come tradizionalista: un autentico
tradizionalista non si trova a suo agio nel mondo a lui contemporaneo, anela al ripristino di un
Eldorado perduto. Britten, al contrario, vuole parlare all’uomo contemporaneo. Mi sembra
opportuno porre l’accento su entrambi i termini, parlare e contemporaneo: il primo indica la (sana)
propensione per una comunicazione efficace, cioè non mono-direzionale né priva di feedback; il
secondo indica la presa di coscienza delle complesse implicazioni intellettuali che comporta la
creazione artistica nel mondo contemporaneo. Lontano da espressioni artistiche semplicistiche e
ideologicamente a-problematiche come quelle incoraggiate dai regimi autoritari del Novecento,
Britten si concentra invece su alcune tematiche che contraddistinguono il suo (nostro?) periodo
storico, quali l’ambiguità (psicologica, sessuale, morale), il punto di vista (ricerca della verità,
parzialità di ogni visione), l’eterna dicotomia tra razionalità e irrazionalità, ‘il conflitto tra la norma
sociale e l’emarginazione individuale’.2 La sensibilità di Britten si manifesta al massimo grado nelle
fini analisi psicologiche dei suoi personaggi operistici, come avviene appunto nel Giro di vite.
Il tema centrale del racconto di Henry James e dell’opera di Britten è l’ambiguità. Infatti, la
vicenda narrata si può interpretare come una storia di bambini vittime di una governante pazza o,
allo stesso tempo, come una storia di fantasmi e depravazione. Il testo di James si struttura come
una serie di mediazioni stratificate, in cui ben tre narratori in prima persona si incastrano l’uno
nell’altro come matrioske. Un primo narratore introduce la ‘cornice’: un ritrovo di amici davanti al
caminetto, per raccontarsi a vicenda storie di fantasmi. Un uomo di nome Douglas si appresta a
leggere alla compagnia una storia (‘a curious story’, nel libretto) scritta in prima persona dalla
donna incaricata di recarsi a Bly in qualità di governante. Lo stratagemma del manoscritto e del
racconto nel racconto consente quindi di operare una presa di distanza dai contenuti: la verità si cela
dietro a questo complesso intrico di punti di vista.
La critica jamesiana ha sempre oscillato tra varie spiegazioni della vicenda, tutte plausibili.
Goddard, Kenton e soprattutto Edmund Wilson (autore di The Ambiguity of Henry James, 1934)
sostengono l’ipotesi dell’insanità mentale della governante, introducendo categorie interpretative di
stampo freudiano. La governante sarebbe vittima di una nevrosi determinata dalla sua sessualità
repressa: la sua infatuazione per lo zio dei due bimbi (il quale le affida l’incarico di badare a questi
ultimi) le farebbe immaginare le malefiche figure degli spettri, da cui ‘salvare’ i bambini a ogni
costo, in un delirio di efficienza protettiva.
Al contrario, le ipotesi cosiddette ‘apparizioniste’ sostengono la versione della ghost story:
come potrebbe la governante descrivere Quint in modo così preciso e dettagliato, se non l’avesse
visto veramente? O forse Mrs. Grose è una bugiarda e, mossa da gelosia verso l’amorevole e
materna governante, finge di riconoscere Quint nella descrizione di questa, nel tentativo di farla
diventare pazza? Le ipotesi più fantasiose trovano spazio, senza che si renda possibile una conferma
o una confutazione definitiva.
2
Philippe, Albèra, op. cit., p. 252.
3
In realtà, la spiegazione più convincente è che non c’è una sola spiegazione dei fatti narrati:
ogni lettura ‘a tesi’ sarebbe limitante e non coglierebbe l’intrinseca ambiguità del testo di James,
che è valido nella misura in cui è costituzionalmente (verrebbe da dire diabolicamente) ambiguo.
Nell’opera di Britten si ravvisano importanti differenze rispetto al romanzo, ma nel
complesso la sensazione di irrisolta ambiguità viene conservata, se non persino accentuata dal
lavoro congiunto della librettista e del compositore. Come osserva Alessandro Macchia,3 i distinti
livelli di trasmissione della fabula del racconto di James sono mantenuti da Britten con un
ingegnoso artificio, che cuce insieme e sovrappone la fine del Prologo («”I will,” she said») con la
misura iniziale del Tema di 12 suoni su cui ruota l’intera opera. Più in generale,
Eccetto alcuni episodi inventati (ma sollecitati dal testo di base, quasi impliciti), come la lezione di latino o il colloquio
fra Peter Quint e Miss Jessel, l’opera è innovativa e sconvolgente proprio perché rispettosa delle ragioni segrete e dei
meccanismi profondi che soggiacciono al romance.4
Nelle Prefazioni ai suoi romanzi, James ha paragonato la sua tecnica del ‘punto di vista circoscritto’
alle varie finestre di una casa, da cui si osserva lo spazio esterno (metaforicamente, l’oggetto del
racconto): ogni finestra, con la sua particolare foggia e posizione, offre un punto di vista parziale e
limitato sugli avvenimenti. Questo procedimento quasi cinematografico trova un corrispettivo
musicale nei ritorni (i ‘giri di vite’ del titolo)5 del Tema iniziale: le 15 Variazioni, lungi dall’essere
semplici ‘pitture musicali’ di valenza descrittiva e introduttiva di ogni episodio, rappresentano
altrettante sfumature psicologiche della narratrice.
[…] tutto avviene come se la realtà descritta fosse inquinata da una mente che la contempla e la relaziona alla sua
coscienza. Non è una registrazione oggettiva.
‘Non fare i conti senza l’oste’: l’utilizzo dei 12 suoni
Una storia della musica colta del Novecento che aspiri alla completezza non può evitare di
raccontare un’ossessione: quella per i 12 suoni della scala cromatica. La scuola dodecafonica prima,
e quella serialista poi, sono i portabandiera di una fiducia utopistica, che aspira al controllo
razionale della totalità degli eventi sonori.6 Con un piccolo gioco di parole, si potrebbe asserire
l’incompatibilità tra totalità e tonalità: l’una esclude l’altra. Limitando il discorso al solo parametro
delle altezze, è facile evidenziare l’opposizione tra un sistema gerarchico come quello tonale e un
sistema ‘democratico’ quale quello dodecafonico, in cui tutti i gradi della scala sono equiparati.
La problematica della gestione del totale cromatico non ha però lasciato indifferenti i
compositori di altre tendenze e convinzioni estetiche. Non ci deve quindi stupire il fatto che, sia in
The Rake’s Progress che in The Turn of the Screw, si ritrovino elementi che testimoniano una
riflessione dei due compositori riguardo all’utilizzo dei 12 suoni.
The Rake’s Progress
Nella carriera di Stravinsky, La carriera di un libertino occupa una posizione notevole: è infatti il
suo ultimo pezzo neoclassico. Negli anni immediatamente successivi, il compositore attraversa un
3
Alessandro Macchia, Restless, ovvero la percezione del male in quindici variazioni – Uno studio comparato di The
Turn of the Screw, in «Nuova Rivista Musicale Italiana», 1/2006, pp. 7-26.
4
Alessandro Macchia, op. cit., p. 8.
5
In realtà, per essere precisi, il titolo del romanzo di James deriva da un intervento di Douglas relativo alle storie di
fantasmi che coinvolgono dei bambini: «If the child gives the effect another turn of the screw, what do you say to two
children –?» (Henry James, The Turn of the Screw, Prato: Giunti Classics, 2001, p. 13).
6
Più precisamente, com’è noto, la tecnica dodecafonica teorizza solamente la serializzazione delle altezze, mentre il
serialismo cosiddetto ‘integrale’ la estende a tutti i parametri.
4
periodo di crisi, probabilmente dovuto alla presa di coscienza del poco interesse che la sua musica
recente ha suscitato nei compositori europei. La nuova strada intrapresa da Stravinsky è quella –
inattesa – verso la serialità, che comporta la messa in discussione di strategie compositive ormai
consolidate. La transizione non è immediata, infatti le opere degli anni 1951-59 vengono definite
dalla critica ‘proto-seriali’. Il primo esempio di musica costruita su una serie rigorosa di 12 note è
probabilmente la coda della Gaillarde di Agon (1954), ma bisogna attendere fino al 1958 per vedere
ultimata la prima composizione basata interamente su una serie di 12 note, Threni.
Tuttavia, già in The Rake’s Progress è possibile ravvisare alcuni sintomi della successiva
metamorfosi stilistica. Curiosamente, il momento più ‘dodecafonico’ dell’opera è anche il primo a
essere stato composto, secondo quanto afferma lo specialista Richard Taruskin: si tratta del
Preludio alla Scena 2 del terzo atto, per quartetto d’archi (Ex. 1).7 Vediamo in che modo Stravinsky
organizza un materiale decisamente eterogeneo rispetto al resto dell’opera.
Ex. 1
7
«Stravinsky received the text of the first act on 16 January 1948 and went to work in May (the previous December,
anxious to get started, he had composed the icy string-quartet introduction to the graveyard scene, 3.ii).» (Richard
Taruskin, The Rake’s Progress, in Grove Music Online ed. L. Macy, <http://www.grovemusic.com>).
5
Gli archi sono utilizzati nel registro grave: le note più acute toccate da ogni strumento sono
rispettivamente il lab’ al vn. I (batt. 15), il sib’ al vn. II (batt. 15), il reb’ alla v.la (batt. 10, 11, 15),
il fa al vc. (batt. 14). In altre parole, la prima corda non viene utilizzata da nessuno degli esecutori.
Di conseguenza la sonorità generale è molto cupa, scura: del resto, come recita la didascalia
scenica, la notte è senza stelle. L’ambientazione cimiteriale trova un corrispettivo musicale
nell’impiego delle dissonanze; la dinamica ridotta (l’unica indicazione di intensità è p, per tutti gli
strumenti) e la lenta scansione in semiminime delineano una situazione emotiva raggelata, tanto più
astratta quanto più priva di qualunque slancio passionale. Questa scelta di estrema discrezione è
importantissima ai fini della definizione dell’estetica stravinskiana, e lo differenzia nettamente dalla
corrente espressionista: l’elemento discriminante in ultima analisi non è la scelta delle altezze – che
qui suonano genericamente ‘atonali’ – ma l’assenza di contrasti, di evidenti discontinuità. A tal
proposito può essere illuminante ascoltare in parallelo questo Preludio e l’inizio della Sonata per
due pianoforti e percussioni (1937) di Bartók. Le somiglianze sono notevoli, a cominciare
dall’esplorazione del registro grave e dall’incedere cerimoniale, e un’analisi più approfondita
evidenzia vere e proprie citazioni bartókiane da parte di Stravinsky: le prime note del pianoforte in
Bartók sono solb, fa, e anche il Preludio inizia con un semitono discendente; ancora più chiara è la
citazione letterale del motivo melodico sib, lab, reb, sib, lab (in Stravinsky, batt. 10-11 alla v.la).
Tuttavia, nel Preludio sono completamente assenti quelle improvvise lacerazioni del tessuto
musicale – tremoli nevrotici, improvvise esplosioni dinamiche – che in Bartók funzionano come
grimaldelli emotivi. L’atteggiamento di Stravinsky è neoclassico nella misura in cui utilizza un
materiale ‘caldo’ come quello bartókiano estraendolo dal suo contesto espressivo, con
un’operazione di chirurgia musicale. In Bartók la ieratica ‘processione’ è uno dei due poli del
discorso, che acquista il suo significato nella contrapposizione dialettica con il suo opposto, le
‘esplosioni’; in Stravinsky l’omogeneità del dettato non lascia spazio ad accenti di forte
espressività.
Sarebbe però sbagliato considerare il Preludio come un pezzo monolitico e privo di
sfumature: dal punto di vista formale, una chiara bipartizione si verifica tra le batt. 8 e 9, in
corrispondenza di novità armoniche (l’inedita quinta giusta solb - reb a batt. 8 preannuncia un
cambiamento, reso più morbido dal solb basso di batt. 9, nota comune che funge da raccordo) e
dell’entrata dei due violini.
I 12 suoni del totale cromatico sono introdotti gradualmente nella prima sezione del brano,
nel seguente ordine: sib, la, do, fa, reb, lab, si, sol-re (simultanei), solb, fab, mib. La logica che
guida la loro comparsa sembra però seguire due strade indipendenti: da una parte, un cluster
allargato progressivamente (e in modo irregolare) attorno alle note sib, la, fino a riempire tutto
l’intervallo lab - reb; dall’altra, nel registro più basso del vc., i movimenti quasi cadenzali sulle note
do, fa. Scelte di questo tipo testimoniano il diverso atteggiamento di Stravinsky rispetto ai
compositori dodecafonici: ogni nota non viene pensata in termini astratti, come una classe di
altezze, ma è al contrario strettamente legata al registro in cui si trova. Pertanto, il Do a batt. 1 e il
do a batt. 2 vanno considerati indipendentemente: entrambi sono inediti, in relazione ai rispettivi
registri (i bassi e il cluster). Il computo dei suoni non deve quindi essere effettuato in maniera
meccanica, ma deve invece cercare di adeguarsi alle caratteristiche musicali specifiche del
passaggio analizzato.
All’inizio di batt. 5 il cluster viene allargato ulteriormente e tocca il sol, mentre il basso si
porta per la prima volta sul re. Le ultime tre note sono raggiunte nella tormentata batt. 6, in cui si
susseguono tre movimenti melodici di semitono (lab, la; solb, sol; fab, mib) che riecheggiano il
primo intervallo del pezzo.
In questa prima parte si trovano elementi che ritornano nella seconda, quali i sinuosi
movimenti melodici, le lunghe note tenute, gli ondeggiamenti di semitono. Nella seconda sezione,
però, il discorso acquista un respiro più ampio, grazie a una maggiore varietà armonica e
all’allargamento del registro verso l’acuto, che coincide con il momento forse più intenso del pezzo,
a batt. 15. Il ‘crescendo senza crescendo’ delle batt. 13-15 rispolvera un procedimento tradizionale,
6
ovvero l’imitazione ritmica e melodica. Particolarmente interessante è il movimento del basso, che,
dopo due lente discese (solb, fa, mi alle batt. 9-12; si, la, lab, sol alle batt. 12-14), si assesta
sull’inconcludente oscillazione tra fa e mi, che riprende il disegno della v.la nella prima parte e
sottolinea una volta di più l’importanza dell’intervallo di semitono in tutto il pezzo. Nelle ultime tre
battute, Stravinsky fa in modo che la sensazione di risoluzione armonica venga ritardata fino
all’accordo conclusivo: questo risultato è ottenuto principalmente controllando gli intervalli
armonici tra il basso e la nota più acuta. Ogni volta che nel basso compare un fa, la nota più acuta
sarà sempre mi (eccetto il terzo quarto di batt. 15), e viceversa; solo nell’ultima battuta le voci
estreme eseguono due fa, e attendono che anche le altre parti si assestino sull’accordo di fa
maggiore che chiude il Preludio.
The Turn of the Screw
Nella Scena 5 dell’Atto I (cfr. Appendice), intitolata The Window, i due bambini Miles e Flora
escono dalla stanza in cui stavano cantando e giocando. La governante si appresta a raggiungerli;
rimasta sola, raccoglie un paio di guanti, sta per uscire, quando, all’improvviso, alza la testa e vede
un uomo (che poi scoprirà essere Quint) comparire dietro la finestra. In questo istante la musica
precedente svanisce, con una dissolvenza quasi cinematografica, e lascia il posto alle sonorità della
celesta, che è appunto lo strumento associato indissolubilmente a Quint. Per alcuni secondi, la
governante e Quint si guardano, finché lui scompare. In questa sezione, della durata di 11 battute –
corrispondente al numero 35, pp. 72-73 della partitura – il trattamento delle altezze è molto
ingegnoso, e mi sembra pertinente analizzarlo nel dettaglio.
Le altezze sono raggruppate in moduli di tre note ciascuno, sovrapposti, giustapposti o
concatenati tramite arpeggi. Ogni modulo è costruito nel seguente modo: le due note estreme sono a
distanza di quarta giusta; la nota intermedia si trova, di volta in volta, a distanze diverse. Ecco i
moduli, elencati in ordine di apparizione:
moduli
la# - do# - re#
si - do - mi
sol - la - do
re# - fa# - sol#
intervallo tra la nota inferiore e quella intermedia
3a min.
2a min.
2a magg.
3a min.
Come si vede, vengono utilizzati quattro moduli, ma due note sono presenti in due moduli (re# e
do), quindi il totale delle altezze è 10, non 12. Le note mancanti, per ottenere il totale cromatico,
sono re e fa. Anche gli intervalli interni alla quarta giusta non sono rappresentati in modo completo:
la 3a min. tra le due note inferiori si ritrova in due moduli, mentre è assente la 3a magg.. Questa
scelta viene forse effettuata per evitare il semitono tra le due note superiori, che guasterebbe il
contesto modaleggiante. Il semitono tra le due voci inferiori, invece, non sembra causare problemi a
Britten, che anzi raddoppia il modulo si - do - mi utilizzando i suoni armonici tenuti degli archi.
Quint è per Miles l’incarnazione (per quanto fantasmagorica!) della bellezza soprannaturale,
proveniente da un mondo incantato. Per questo, nell’arco di tutta l’opera, la musica che
accompagna le sue apparizioni è molto seducente: Britten sceglie il suono argentino della celesta,
insieme a glissandi dell’arpa e colpi di gong. Si tratta di strumenti che producono suoni ‘acquosi’,
irreali (dovremmo ricordare che le apparizioni si potrebbero interpretare come il prodotto della
fantasia allucinatoria della governante), esotici, simili a quelli del gamelan. In particolare, il timbro
della celesta, così caratteristico, evoca appunto un contesto ‘celestiale’, di bontà e innocenza. Il fatto
che Britten lo associ al torbido personaggio di Quint (che nella Scena 1 dell’Atto II afferma: «The
ceremony of innocence is drowned») provoca un cortocircuito espressivo, un sovvertimento di
valori, che Christopher Palmer definisce «inversion of the ‘natural’ musical order of things». In
questo senso, i suoni della celesta enfatizzano il fascino ‘paradisiaco’ del corruttore. A un livello
7
più tecnico, Palmer individua con grande sottigliezza un possibile gioco di parole tra il nome
‘Quint’ (vero motore della vicenda, in quanto malvagio tentatore) e l’intervallo di quinta: la quinta
giusta e il suo rivolto (rovesciamento, inversione, anche qui), la quarta giusta, sono infatti gli
intervalli che plasmano il Tema iniziale, che a sua volta informa di sé tutta l’opera. Non stupisce
quindi il fatto che ognuno dei moduli della musica di Quint si estenda sull’ambito di una quarta
giusta.
Come il Tema è costruito su un progressivo accumulo di armonie sempre più dissonanti,
così la sezione che abbiamo analizzato presenta un graduale ravvicinamento delle armonie dei
quattro moduli, particolarmente evidente alla batt. 8 dopo 35. Questo effetto di addensamento resta
però in qualche modo ‘imperfetto’, dato che, come abbiamo visto, le note toccate sono 10. Ma
l’analisi del seguito della Scena ci riserva una curiosa sorpresa. Dopo la scomparsa dell’immagine
di Quint, la governante spaventata si imbatte in Mrs. Grose, che le chiede il motivo della sua
agitazione; dopo alcuni scambi concitati, la governante descrive l’aspetto fisico dell’uomo che ha
visto. Immediatamente Mrs. Grose comprende che si tratta di Peter Quint e ne pronuncia il nome,
punteggiando con le sue esclamazioni la nota tenuta della governante sulla parola «horror».
Contemporaneamente, la strumentazione precedente (archi in pizzicato) viene interrotta e lascia il
posto a un ritorno della celesta (5 batt. prima di 39), che chiude questa parte della Scena. I due
interventi della celesta – questo e quello precedente, già analizzato – si impongono per la loro
misteriosa estraneità e costituiscono insieme una sorta di cornice, che racchiude le reazioni della
governante e di Mrs. Grose. È quindi naturale considerare il secondo come un prolungamento a
distanza del primo. Anche qui ci sono moduli dello stesso tipo dei precedenti: quello superiore è
identico al primo del primo intervento (la# - do# - re#), mentre quello inferiore (do - re - fa, esatta
inversione dell’altro) introduce le due note mancanti re e fa. Grazie a questo ingegnoso espediente
formale e drammaturgico, i 12 suoni vengono quindi utilizzati tutti.
La medesima esigenza di completezza rispetto al totale cromatico riguarda ovviamente il
Tema (enunciato 9 batt. prima di 1; cfr. Appendice), che è costituito da tutti i semitoni della scala,
introdotti nel seguente ordine: la, re, si, mi, do#, fa#, re#, sol#, fa, sib, sol, do.
Com’è noto, la scelta degli intervalli all’interno di una serie dodecafonica è un elemento
cruciale, ai fini della caratterizzazione melodico-armonica del pezzo da essa derivato: i semitoni che
costellano le serie di Webern sono condizione necessaria alla nascita di strutture intervallari prive di
punti di attrazione e di centri di gravità; in Berg, invece, l’introduzione nella serie di intervalli
consonanti (e a volte persino di frammenti scalari diatonici) consente di mantenere significativi
legami con la tradizione tonale. Si consideri a questo proposito un esempio emblematico, la serie
originaria su cui si fonda l’intera opera Lulu: do, mi, fa, re, sol, la, fa#, sol#, si, la#, re#, do#.8
Tornando a Britten, è evidente che il suo Tema – non a caso chiamato così e non ‘serie’ – è basato
sull’intervallo di quinta (o il suo rivolto, la quarta), le cui implicazioni tonali sono ovvie.
Raggruppando i 12 suoni a due a due, si ottengono infatti 6 intervalli di quinta, distanti un tono
l’uno dall’altro, che formano così una sorta di doppia scala esatonale.9 Questa stessa idea di
progressione melodica si riflette non solo a livello contenutistico – i famosi giri di vite di cui si è
detto, escalation del terrore –, ma anche nel piano tonale delle Variazioni del Tema, ognuna delle
8
Questa serie è stata individuata negli schizzi del compositore: «Lulu uses a number of different rows, all of them, as
sketches show, derived precompositionally from a single 12-note set in a number of intricate ways.» (Douglas Jarman,
Berg, Alban, in Grove Music Online ed. L. Macy, <http://www.grovemusic.com>).
9
Come suggerisce Alessandro Macchia, è possibile segmentare il Tema anche in modo diverso, ovvero in tre porzioni
(indico con barre / o \ la direzione melodica ascendente o discendente):
1. la / re \ si \ mi
2. do# \ fa# / re# / sol#
3. fa \ sib / sol \ do
«Il secondo segmento corrisponde al reciproco intervallare del primo; il terzo è più libero in quanto sintesi dei
precedenti. Con la prima frazione del Tema le altre due sono in rapporto di terza maggiore inferiore e superiore.»
(Alessandro Macchia, op.cit., p. 11).
8
quali è in una tonalità diversa. Ad esempio, dopo il Tema in la, le tonalità toccate dalle prime 6
Variazioni sono rispettivamente si, do, re, mi, fa, sol.
L’innocenza e il suo rovescio: le canzoni
L’esplorazione degli abissi del peccato è al centro delle vicende della Carriera di un libertino e del
Giro di vite. Con metafora visiva, il peccato si può paragonare all’avvicinamento di un innocente
alla linea di demarcazione tra il bene e il male. Nella tradizione cristiana, si è soliti ricondurre il
peccato all’azione tentatrice del diavolo, cioè a una figura soprannaturale, che si situa dalla parte del
male e cerca di trascinare verso di sé la persona su cui esercita la propria subdola influenza. È
significativo il fatto che in entrambe le opere siano presenti personaggi malefici di provenienza
ultra-terrena: Nick Shadow non è altri che il Diavolo; Peter Quint (si ricordi anche l’ultima frase
pronunciata da Miles: «Peter Quint, you devil!») e Miss Jessel sono fantasmi.
Uno dei generi musicali più adatti a rappresentare la condizione di innocenza è la canzone,
sia essa infantile o popolare: quante canzoncine per bambini hanno mostrato la purezza di innocenti
pargoletti! Quante villanelle dal cuore d’oro hanno cantato melodie apprese dalla nutrice! Nel
mondo del teatro musicale, la canzone è l’epifania dello stato di natura incorrotto, ancora ignaro
delle tentazioni dell’età adulta, della cultura, della società, della città, della modernità. Ma questa è
ovviamente una visione semplicistica del problema, che non poteva essere accettata in quanto tale
da avvertiti compositori del Novecento quali Britten e Stravinsky. Come in un film horror di Dario
Argento la melodia celestiale di un carillon scatena la furia omicida dell’assassino, così, nelle due
opere, le canzoni infantili o popolari sono la chiave d’accesso non solo all’innocenza e al bene, ma
anche (verrebbe da dire soprattutto) al suo inquietante rovescio.
Analizziamo quindi anche da questo punto di vista due scene già citate: in The Rake’s
Progress, la Scena 2 dell’Atto III; in The Turn of the Screw, la Scena 5 dell’Atto I (cfr. Appendice).
The Rake’s Progress
Dopo il Preludio – di cui si è parlato nel paragrafo precedente – la Scena si articola nel seguente
modo: un lungo Duetto tra Rakewell e Shadow, in varie sezioni; un Recitativo di transizione; un
nuovo Duetto tra i due personaggi principali (che inizia con la partita a carte), pure articolato in
diverse sezioni. Eccone una rappresentazione schematica, che aiuta a cogliere l’ingegnoso gioco di
rimandi e simmetrie.
Duet
riferimento
in partitura
personaggi
ni 161-164
Rakewell
ni 165-167
Shadow
ni 168-169
Rakewell
ritmi
caratteristici
tonalità;
melodie
-(A)
ritmo sol min.
puntato
-(B) quartina di
64i seguita da
nota più lunga
sol magg.;
(C) ballad tune
(A)
sol min.
orchestrazione
(ambito espressivo)
fl.,
cl.,
archi
(drammatico, inquieto)
fl., timp., archi con
pizz.
e
armonici
(leggero, scanzonato)
archi
(drammatico,
inquieto)
9
ni 170-173
Shadow
ni 174-175
Shadow
ni 176-180
no 181
ni 182-183
no 184
Recitative ni 185-186
Duet
ni 186-19711
ni 198-200
sol magg.;
(C)
(A’)
ritmo 2 #
puntato,
con
pause,
quasi
recitativo
accompagnato
Rakewell e (D)
rapidi sol min.
Shadow
ribattuti
/
ritmo
puntato
ripreso
dal
Duetto tra Anne
e
Rakewell
(Scena 1, Atto I)
Shadow
(A’)
2#
Rakewell e
Shadow
Rakewell e
Shadow
Rakewell e
Shadow (e
Anne
off
stage)
Rakewell
(D’)
ribattuti
ni 201-202
Shadow
(A)
ni 203-205
Shadow
(A’)
ni 206-212
Rakewell
(B)
fl., ob., tr., timp., archi
(chiaroscuri nella linea
vocale,10
tensione
crescente)
orchestra
quasi
al
completo; tr. rende il
timbro
penetrante
(minaccia)
fl., ob., cl., fg., archi
ob., fg. (reminiscenza)
orchestra
quasi
al
completo; tr. rende il
timbro
penetrante
(minaccia)
campana off stage
cembalo
predominanza
cembalo
del
rapidi do magg.;
archi
(invocazione
reminiscenza
amorosa)
della Cabaletta
di Anne che
chiude l’Atto I
sib min.
tutta l’orchestra eccetto
il cembalo (minaccioso,
‘sulfureo’; aria di uscita
di Shadow)
5 b (ma inizia in archi,
poi
tutta
sol min.)
l’orchestra tranne il
cembalo; solo della 1a
tr.
(maledizione,
sortilegio)
sib magg.;
fl., ob., cl. (innocenza,
(C)
pazzia)
10
Le indicazioni di espressione alla voce sono numerose e molto precise: quasi mezza voce, modo ordinario, quasi sotto
voce, cresc., cant. espress..
11
Non analizzo nel dettaglio questa parte della Scena, che comprende la partita a carte tra Shadow e Rakewell, poco
rilevante ai fini del presente discorso.
10
Queste brevi annotazioni non pretendono di essere esaustive, ma servono comunque a dare
un’idea delle complesse relazioni esistenti tra i vari pannelli che compongono questa Scena, nonché
a mostrare dove compaiono reminiscenze di motivi già uditi. Nella tabella non ho riportato i diversi
metri e le velocità metronomiche, ma va precisato che esistono precisi rapporti matematici tra le
indicazioni di tempo di numerose sezioni della Scena: per esempio, tra il no 164 e il 165 (e in tutte
le transizioni analoghe) esiste un rapporto x = e = 168; tra il no 175 e il 176, e = q . = 84; tra 183 e
184, e = e = 84; tra 2 batt. prima di 198 e 198, x = q = 168; tra 200 e 201, si ritorna a e = 84 (cioè q
= x = 168). Queste semplici relazioni numeriche tra le pulsazioni producono una notevole coesione
formale.
Gli elementi indicati con lettere maiuscole racchiuse tra parentesi sono quelli che svolgono
un ruolo strutturalmente importante. Il ritmo puntato (A), insieme alla sua variante ‘discontinua’
(A’), riprende un topos ritmico molto diffuso nella storia della musica: il suo utilizzo più noto e
pregnante è probabilmente quello nel Finale del Don Giovanni di Mozart, in corrispondenza
dell’entrata della statua del Commendatore. La connotazione drammaturgica ed emotiva è quindi
‘infernale’: Don Giovanni, nonostante le ripetute esortazioni della statua, rifiuta di pentirsi e viene
inghiottito dalle fiamme dell’inferno. La melodia indicata con la lettera (C) è invece un ballad tune
di stampo popolare, che compare per la prima volta nella Scena 1 dell’Atto III («If boys had wings
and girls had stings»), cantato da Rakewell e Shadow, che si trovano in strada a divertirsi mentre i
beni di Tom sono messi all’asta. Si tratta quindi di una melodia spensierata, una specie di inno al
disinteresse nei confronti di qualsiasi dovere civile o morale («Who cares a fig for Tory or Whig?»,
cantano Shadow e Rakewell poco dopo, sulla stessa melodia).
Ora, se osserviamo le prime e le ultime righe della tabella, possiamo notare un vero e
proprio scambio tra la musica di Rakewell e quella di Shadow. All’inizio della Scena, Rakewell è
associato ad (A), Shadow a (C), mentre alla fine le corrispondenze sono invertite, creando così una
studiata simmetria. Anche le tonalità accompagnano questo scambio: si passa dagli iniziali sol min.
e sol magg. ai finali sib min. e sib magg., con però un breve ritorno del sol min. all’inizio
dell’ultima comparsa di (A’).
Nel contesto drammaturgico della Scena, l’elemento (A) è efficace quando è legato al
personaggio di Rakewell, ma acquista la sua massima incisività retorica quando accompagna la
minacciosa aria di uscita di Shadow, che sprofonda all’inferno. A differenza del dissoluto Don
Giovanni, Rakewell non viene trascinato sottoterra perdendosi per sempre, ma è condannato a una
pena forse peggiore, sicuramente più subdola: diventa pazzo, perde la ragione, si crede Adone,
regredisce a uno stato quasi infantile, di totale inconsapevolezza, di pura (ma inebetita) innocenza.
Inventando un movimento ascensionale che controbilancia simmetricamente l’inabissamento di
Shadow, Auden e Kallman mettono in relazione l’insanità mentale di Tom Rakewell con il mondo
degli dèi olimpici. La melodia dell’allucinato delirio di Tom è appunto l’ormai noto ballad tune,
orchestrato in modo ‘celestiale’ e insolito: Stravinsky sceglie soltanto i legni più acuti (fl., ob., cl.),
costretti a ripetere senza sosta le stesse note con piccole variazioni, imitando gli ossessivi pensieri di
un pazzo.
Tuttavia, la coincidenza tra lo stato di innocenza e l’intonazione della canzoncina è solo
l’ultimo passaggio di un processo più lungo, che inizia con una situazione apparentemente simile,
ma in realtà rovesciata: infatti, ai ni 165-167, il tono di Shadow sembra leggero e scanzonato, ma
prelude al graduale disvelamento della sua vera natura diabolica.
In questo contesto di rovesciamenti simmetrici, la figura ritmica (B), sempre associata a
Rakewell, svolge un’importante funzione unificante, incorniciando l’inizio e la fine della Scena.
La didascalia scenica che precede il no 206 precisa che Rakewell canta «in a child-like
voice». Torniamo quindi all’opera di Britten (Scena 5 dell’Atto I) per vedere cosa e come cantano
dei bambini autentici.
11
The Turn of the Screw
Miles e Flora si trovano in una stanza dotata di finestra (quella attraverso cui la governante vedrà
apparire Quint) e stanno giocando a rincorrersi su dei cavallucci di legno. Cantano a squarciagola
una nursery rhyme molto nota nel mondo anglosassone:
Tom, Tom, the Piper’s son
Stole a pig and away he run.12
Pig was eat and Tom was beat,
Tom ran howling13 down the street.
Il tema centrale della filastrocca è la trasgressione di un divieto (il furto del maiale), che causa una
punizione inflitta a Tom. Sicuramente non sono sfuggite alla librettista (che curiosamente si chiama
Piper, come la professione del padre di Tom) le possibili implicazioni scabrose del testo: la sorte di
Tom si potrebbe collegare direttamente a quella del maiale, infatti l’animale viene mangiato (e
quindi digerito, metabolizzato) mentre il ragazzo, picchiato, subisce una sorta di metamorfosi ferina
e urla in modo animalesco. È chiaro che questo sottotesto di latente animalità torna a tutto
vantaggio della visione della Piper e di Britten, interessati a mostrare la corruzione dell’innocenza.
La filastrocca viene cantata per due volte e mezza; alla terza ripetizione, la seconda parte del
testo viene intonata senza parole («la la la…»), mentre i bambini escono dalla stanza – pochi istanti
prima dell’apparizione di Quint. La melodia è molto semplice, chiaramente tonale, in sé
rassicurante; però, Britten la piega ai propri intenti e inventa un’atmosfera tutt’altro che
rassicurante! Questo risultato è ottenuto principalmente grazie alla gestione sapiente dell’armonia e
dell’orchestrazione.
La Variazione IV, che precede la Scena V, introduce gli elementi fondamentali
dell’accompagnamento ritmico e armonico: rapidissimi ribattuti degli archi in pizzicato (trattati
come chitarre) e dello snare drum;14 bassi staccati e ‘pesanti’ («heavily») eseguiti dai cb. in pizz.,
dal pf. e dalle percussioni più gravi (tenor drum e bass drum, poi sostituiti dai timpani). Nel corso
della Variazione i bassi espongono il Tema, ma, nella prima parte della Scena (fino a 4 batt. prima
di 32), si immobilizzano su due sole altezze, si e mi. Il fl. e il fg. arricchiscono la texture con veloci
arpeggi per moto contrario, che a volte producono ‘specchi’ in inversione perfetta – quando
esistono relazioni di simmetria tra gli intervalli. Le armonie superiori si possono intendere come
derivanti da una sovrapposizione di intervalli di quinta (es.: la - mi e re# - la#, nella prima batt.
della Scena), ma è importante notare che la quinta la - mi è sempre presente, arricchita di volta in
volta da altre note.
La prima esposizione della melodia infantile è nella tonalità di la maggiore: in questo modo,
si stabilisce una specie di ‘a-sincronia’ armonica tra la melodia e gli accordi superiori (nei quali,
come si è detto, compaiono sempre le note la e mi), in la, e i bassi, che oscillano perennemente tra
II e V grado (si e mi).15 A questo sfasamento di natura armonica corrisponde anche uno sfasamento
ritmico, infatti i bassi e gli accordi provocano continui contrattempi e sembrano rincorrersi, proprio
come i due bambini. Su questo accompagnamento, la cui sonorità meccanica e sferragliante ricorda
il mondo dei giocattoli, si staglia nettamente la nursery rhyme, presentata in un’orchestrazione
insolita e molto incisiva: Miles e Flora cantano all’unisono con intensità ff, sostenuti, sempre
all’unisono, da ben tre fiati («f marked»), ovvero l’ob., il cl. e il cor. bouché! Questa particolare
scelta timbrica, unita alla dinamica molto forte, produce un’amplificazione della melodia addirittura
eccessiva e, per questo, di effetto straniante. Non c’è dolcezza nel canto potente dei bambini: la loro
12
Un’altra versione, grammaticalmente più corretta, recita «away did run».
Altre versioni: «crying», «roaring».
14
Con una finezza di orchestrazione, Britten assegna allo snare drum (specialmente durante la Variazione) dinamiche
abbassate di un livello rispetto a quelle degli altri strumenti.
15
Si noti tuttavia che la Scena è scritta con 4 # in chiave, quindi è pensata globalmente in mi.
13
12
canzoncina somiglia pericolosamente a una marcia militare, e loro stessi sembrano soldatini a
cavallo che cantano con spensierata, selvaggia gaiezza.
L’attesa cadenza perfetta II - V - I arriva 3 batt. prima di 32, in corrispondenza della fine
della prima enunciazione della filastrocca. La ripresa che segue (dal no 32) è ancora più dissonante:
stavolta i bassi si muovono nell’ambito di la (infatti altalenano tra la e mi), gli accordi superiori
sono interpretabili in mi (infatti ognuno di essi contiene la quinta mi - si), e la melodia è in si
maggiore. Alla fine della seconda esposizione (3 batt. prima di 34), il basso si sposta da mi a fa#, in
una sorta di cadenza sospesa in si (o cadenza d’inganno in la), che però non risolve su un’ipotetica
‘tonica’. Il terzo e ultimo ritorno della melodia è infatti ancorato ai bassi mi e fa#, ripetuti
ossessivamente, mentre la melodia è in mi maggiore, in un registro ancora più acuto, quasi urlata. In
questa sezione della Scena, che conduce direttamente all’episodio con la celesta analizzato in
precedenza, gli elementi di maggiore interesse sono due: vediamoli.
Il primo elemento, che testimonia una grande abilità drammaturgica, riguarda le dinamiche.
Gli strumenti diminuiscono progressivamente di intensità, passando dal ff (al no 34)16 al pp (2 batt.
prima di 35); il cor., per problemi di estensione, non raddoppia più la melodia ma segue il basso;
l’ob. e il cl.17 diminuiscono insieme all’accompagnamento; le voci, invece, mantengono un’intensità
sempre maggiore del resto, perché stanno uscendo fisicamente dalla scena. Così, ad esempio,
quando l’accompagnamento è ormai p, i bambini cantano ancora f: le variazioni di dinamica
tengono conto delle distanze spaziali sulla scena. L’esperienza teatrale di Britten si manifesta anche
nel raddoppio ‘opzionale’ dell’ultima frase melodica dei bambini (2 batt. prima di 35): l’ob. tace,
vista la tenue sonorità pp, ma il cl. ha la facoltà di raddoppiare la melodia (racchiusa tra parentesi
quadre, in partitura); toccherà al direttore decidere se farlo suonare o no, tenendo conto delle
condizioni acustiche della sala, imprevedibili a priori dal compositore.
L’altro elemento notevole di questa sezione riguarda le altezze. Gli accordi
dell’accompagnamento non presentano note comuni, ma la voce superiore (affidata al vn. I e al fl.)
esegue una scala ascendente di mi magg., che va dal mi (no 34) al do# (4 batt. prima di 35). La
condotta melodica è quindi chiarissima: l’ascesa progressiva del registro (a cui è sempre facile – ma
non privo di senso – associare significazioni quali l’allontanamento dalla concretezza e dalla
materialità) conduce all’entrata della celesta, che completa la scala suonando il re# acuto.
In conclusione di questo breve studio comparato, può essere curioso paragonare la condotta
armonica del no 34 in Britten con le batt. 15-18 del Preludio di Stravinsky. In entrambi i casi i bassi
ondeggiano tra due sole altezze (mi e fa# in Britten, mi e fa in Stravinsky), ma ciò che differenzia i
due compositori è il modo con cui escono dall’impasse armonica: Stravinsky ricorre a un
automatismo della tradizione musicale, e chiude con una cadenza sulla tonica fa; Britten invece non
scrive un punto fermo, ma decide di superare l’incertezza con una dissolvenza non risolutiva, che
lascia aperti tutti gli interrogativi. The Rake’s Progress cerca le risposte agli interrogativi (armonici,
stilistici, contenutistici, esistenziali) in formule ormai svuotate di senso, rianimate artificialmente;
The Turn of the Screw rinuncia alla ricerca di una verità e aggiunge domande ad altre domande.
Stravinsky fa mostra di credere a ciò che racconta, ma in definitiva rimane impenetrabile come una
sfinge; Britten immerge la propria lucidità compositiva in un mondo di fascinosa perversione, e
riesce a creare un’atmosfera musicale ammaliante. In entrambi i casi, permane un fondo di strana,
irrisolta inquietudine.
16
Si notino però il f del corno (aperto) e delle percussioni, dovuti a ragioni di omogeneità dinamica.
Il flauto svolge una funzione ibrida: raddoppia le prime due semifrasi della melodia (prendendo il posto del corno),
ma continua anche a eseguire i suoi svolazzi insieme al fagotto.
17
13

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