Relazione Avv. U.Perfetti - Consiglio Nazionale Forense

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Relazione Avv. U.Perfetti - Consiglio Nazionale Forense
CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
CONVEGNO NAZIONALE DEGLI ORDINI FORENSI
Bari, 19-20 novembre 2004
AGGIORNAMENTO E CONTROLLO DI QUALITA’
ubaldo perfetti
***
1-. Aggiornamento e qualità costituiscono termini di un rapporto funzionale;
il primo è, infatti, componente essenziale – anche se non esclusiva – della
qualità complessiva del prodotto intellettuale fornito dall’avvocato vista
l’incidenza che ha sulle modalità e sul contenuto della prestazione.
Si consideri, al proposito, la rivoluzione delle regole prodottasi negli ultimi
quindici anni: sono state quasi interamente riscritte quelle del processo
penale, del processo civile, del processo amministrativo, sono stati
modificati interi istituti del diritto civile ed introdotti schemi e modelli
prima sconosciuti ed appartenenti – per la matrice sovente comunitaria della
legislazione di appoggio – a culture giuridiche di altri paesi europei.
Soprattutto da quest’ultimo punto di vista il fenomeno della cd.
europeizzazione del diritto privato dovuta all’adeguamento a direttive
europee ed al rimbalzo prodottosi su istituti e regole anche non direttamente
incisi dal flusso innovatore proveniente dall’Europa, sta obbligando la
dottrina e la giurisprudenza nazionale a ripensare, secondo nuove
prospettive e formule, i contorni di istituti che sembravano consegnati ad
una lettura invariabile: è il caso degli scossoni che al dogma della sanctity of
contract sta dando tutta la legislazione di tutela del consumatore, quella
sulla subfornitura, sulla disciplina dei pagamenti nelle transazioni
commerciali, sull’usura e così via; i principi generali estraibili da queste
normative e la loro capacità espansiva anche fuori dello specifico campo di
intervento normativo, stanno abituando il giurista a concepire come
ragionevole ciò che sino a ieri era inimmaginabile e cioè il controllo della
giustizia materiale del contratto ed a predicarne l’inefficacia, o comunque la
1
nullità di protezione (e dunque relativa) in caso di squilibri del rapporto
eccessivi, o non giustificabili.
Così come la rivalutazione del canone di buona fede, frutto di una
giurisprudenza di frontiera la cui prima manifestazione risale a non più di
dieci anni fa 1, sta assegnando a quella regola nuovi compiti nel controllo sia
dell’esecuzione del contratto, sia del suo contenuto 2.
Assistiamo poi ad una crescente proliferazione dei saperi specialistici, con
specializzazioni – come è stato notato - che si giustificano in ragione della
diversità delle discipline praticate, della diversità della clientela seguita, del
luogo geografico di esercizio, della diversità di organizzazione interna e dei
rapporti con altri studi; sì che taluno dubita persino che abbia ancora
fondamento pensare in modo unitario ad una professione di avvocato tout
court 3.
In questo senso è stato giustamente osservato che le nozioni apprese sui
banchi dell’Università possono, in molti casi, essere ascritte alla storia del
diritto 4.
La differenza tra il professionista aggiornato e quello non aggiornato è
marcata, allora, dalla possibilità solo per il primo di rispondere alle esigenze
di tutela dell’interesse che rappresenta con una capacità singolare, misurata
1
L’utilizzazione in chiave innovativa del canone di buona fede in grado di porsi come
limite interno di ogni situazione giuridica soggettiva, attiva o passiva, contrattualmente
attribuita, e tale da concorre alla conformazione di quest’ultima, in senso ampliativo o
restrittivo, a dispetto della fisionomia apparente della regola patrizia, si deve a Cass. 20
aprile 1994, n. 3775. L’indizio dell’importanza della sentenza come punto di svolta rispetto
ad una tradizione consolidata è dato anche dalla pluralità di riviste in cui risulta pubblicata
e dei commenti (in Giurisprudenza italiana, 1995, I,1, 852 segg. , con nota di L. Picardi; in
Corriere giuridico, 1994, I, 566, segg., con nota di V. Carbone; in Giustizia civile 1994, II,
2159 segg., con nota di M.R. Morelli; in Foro italiano 1995, I, 1296 segg., con nota di C.M.
Barone; in Foro amministrativo, 1997, I, 414 segg.).
2
Sulle nuove frontiere del diritto contrattuale v. per tutti G. Alpa, Il diritto privato nel
prisma della comparazione, Torino, 2004, 219 segg. che segnala tra gli aspetti più
importanti dell’evoluzione in atto, tra l’altro, l’acquisita rilevanza dello status delle parti,
quella delle tecniche di controllo dell’operazione economica con strumenti quali la causa,
l’oggetto, la forma e l’applicazione di criteri di giustizia contrattuale con riferimento ai
valori della persona ed all’equità dello scambio: G. Alpa, Il diritto privato etc. cit. 220.
3
A. Berlinguer, Identità e circolazione del giurista nel nuovo ordinamento europeo, in
Contratto e Impresa/Europa, 2002, 828.
3
G. Pascuzzi, Processi e metodi nella formazione del giurista: il ruolo dell’informatica, in
A. M. Marini e M. Paganelli (a cura di), L’avvocato e il processo. Le tecniche della
difesa, Diritto e Formazione, Milano, 2003, 545.
2
sulle nuove e più avanzate frontiere del diritto.
Saperne scorgere la posizione attuale ed avere confidenza con la loro
mobilità significa avere idea dell’ampiezza delle tecniche operative a
disposizione e consapevolezza nell’uso di quelle adeguate: ciò fa la
differenza tra una tecnica di rappresentanza degli interessi allo stato
dell’arte ed una non adeguata, sorpassata o peggio, colpevolmente
impropria.
A rendere ancora più stringente l’esigenza dell’aggiornamento si aggiunge
la considerazione che le novità riguardano non solo le regole e gli istituti –
cioè l’aspetto sostanziale del problema - ma anche le modalità più avanzate
nello svolgimento delle attività professionali; è stato detto che la rivoluzione
digitale produce effetti proprio sulle nuove tecniche di comunicazione,
scrittura, raccolta e distribuzione delle informazioni, ottenute attraverso
l’applicazione delle tre grandi frontiere dell’hardware, del software e di
Internet 5.
E quando il fenomeno della cd. globalizzazione – cioè la dimensione
planetaria dei rapporti - e quello della rivoluzione digitale si sono integrati
“(…) è avvenuta quella implosione che ha portato alla new economy: cioè
ad un altro modo di produrre, ad un altro modo di consumare, ad un altro
modo di lavorare e di vivere dentro e fuori il mercato”
6
che conforma i
lineamenti di un modo altrettanto nuovo e diverso di essere avvocati.
Si può concludere che l’aggiornamento, sia relativamente al contenuto del
sapere, sia al piano delle modalità di acquisizione delle tecniche di
comunicazione, raccolta e distribuzione delle informazioni, è aspetto
indeclinabile del corretto modo di essere professionisti oggi ed integra la
sostanza di un canone di condotta.
Le direzioni in cui se ne apprezza l’essenza sono almeno tre.
2-. Va additato l’aspetto mediatamente giuridico del dovere di
5
G. Alpa, New economy e libere professioni: il diritto privato e l’attività forense nell’era
della rivoluzione digitale, in Contratto e Impresa, 2000, 1176.
6
G. Alpa, New economy e libere professioni etc. cit. loc. cit.
3
aggiornamento.
L’art. 1176, 2° comma, c.c., con lo stabilire che nell’adempimento delle
obbligazioni inerenti all’esercizio di una professione la diligenza deve
valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata, introduce il metro
di valutazione della perizia riferibile al complesso delle cognizioni tecniche
ragionevolmente richiedibili all’interessato, a sua volta frutto dello studio e
dell’esperienza e costituente il presupposto oggettivo del contratto perché
senza di essa quest’ultimo diviene irrealizzabile 7.
Proprio perché si dice che l’obbligazione dell’avvocato non è di risultato ma
di mezzi, egli si impegna a mettere a disposizione del cliente quel bagaglio
di nozioni tecniche sue proprie, utili al raggiungimento del fine; e poiché la
prestazione deve essere eseguita con la diligenza professionale appropriata,
l’adempimento del dovere di aggiornamento è funzione del possesso della
perizia adeguata al caso, mentre quest’ultima è senz’altro esclusa
dall’ignoranza 8, che è valutata con maggiore rigore quando la prestazione
sia stragiudiziale e dunque l’obbligazione tende a trasformarsi in una di
risultato 9.
E’ da notare che in Germania, ove esiste un obbligo di aggiornamento
7
G. Musolino, L’opera intellettuale. Obbligazioni e responsabilità professionali, Padova,
1995, 128.
8
“(…) La responsabilità del professionista, per danni causati nell’esercizio della sua
attività, postula la violazione dei doveri inerenti al suo svolgimento, tra i quali quello di
diligenza che va a sua volta valutato con riguardo alla natura dell’attività; in rapporto
alla professione di avvocato deve considerarsi responsabile verso il suo cliente il
professionista in caso di incuria e di ignoranza di disposizioni di legge e in genere nei casi
in cui per negligenza od imperizia compromette il buon esito del giudizio dovendosi invece
ritenere esclusa detta responsabilità, a meno di dolo o colpa grave, solo nel caso di
interpretazioni di leggi o di risoluzione di questioni opinabili”: Cass. sez. II, 18.11.1996, n.
100068. Conf. Cass. sez. II, 4.12.1990, n. 11612.
9
Quando si tratti della formulazione di un parere in ordine all’utile esperibilità di un’azione
giudiziale, la prestazione oggetto del contratto si trasforma da obbligazione di mezzi in
obbligazione di risultato dato che l’avvocato si impegna ad offrire tutti gli elementi di
valutazione necessari ed i suggerimenti opportuni allo scopo di permettere al cliente di
adottare una consapevole decisione a seguito di un ponderato apprezzamento dei rischi e
dei vantaggi insiti nella proposizione dell’azione. In questo caso “(…) in applicazione del
parametro della diligenza professionale (art. 1176, 2° comma, c.c.) sussiste la
responsabilità dell’avvocato che nell’adempiere siffatta obbligazione abbia omesso di
prospettare al cliente tutte le questioni di diritto e di fatto atte ad impedire l’utile
esperimento dell’azione rinvenendo fondamento detta responsabilità anche nella colpa
lieve qualora la mancata prospettazione di tali questioni sia stata frutto dell’ignoranza di
istituti giuridici elementari e fondamentali ovvero di incuria e di imperizia insuscettibili di
4
permanente di almeno dieci ore all’anno per gli avvocati specialisti, se il
professionista non fornisce le prove di aver frequentato i corsi, è sottoposto
a procedimento disciplinare ed alla conseguente sanzione oltre a dover
rispondere dei danni sul piano della responsabilità professionale 10.
Da questo punto di vista, pertanto, l’aggiornamento si pone sul versante
dell’adempimento di un obbligo giuridico perché è strumentale a garantire il
possesso della perizia necessaria all’adempimento del compito.
Un secondo profilo viene ad evidenza ed è quello dell’aggiornamento inteso
quale libera scelta per effetto di una comparazione utilitaristica tra costi e
benefici.
E’ attraverso l’aggiornamento che infatti l’avvocato mantiene competitiva la
sua offerta sul mercato, o evita la marginalizzazione.
Pertanto aggiornarsi diventa conveniente prima ancora che doveroso.
Infine esiste una dimensione dell’aggiornamento che ne disegna il tratto a
nostro parere essenziale: è quella dell’aggiornamento come dovere
deontologico.
L’art. 13 del codice deontologico
11
, ponendolo in relazione con quello di
competenza a sua volta enunciato dall’art. 12, indica nel dovere di
aggiornamento professionale uno dei canoni fondamentali, affermando che
“(…) è dovere dell’avvocato curare costantemente la propria preparazione
professionale, conservando e accrescendo le conoscenze con particolare
riferimento ai settori nei quali l’attività è svolta”; con la conseguenza che è
comportamento negligente e rilevante disciplinarmente quello tenuto dal
professionista che non curi di acquisire le nozioni necessarie per la esatta
esecuzione dell’incarico ricevuto 12.
L’importanza del mantenimento e dell’incremento delle conoscenze nei
campi in cui l’avvocato esercita è riconosciuta anche dall’articolo 3.1.3 del
codice di condotta (cd. Codice deontologico europeo) elaborato dal CCBE
giustificazione”: Cass. sez. II, 14.11.2002, n. 16023.
10
CCBE, Prasidentenkonferenz 20 February 1998 Vienna, Quality Harmonisation: the
current situation and the ways forward, report presented by Mr. M. Gout, president of the
council of the Bars & Law Societies of the European Community, 23.
11
Approvato dal CNF il 17.4.1997 e modificato il 16.10.1999 ed il 26.10.2002.
5
(Consiglio degli ordini forensi dell’Unione europea) di cui il Consiglio
Nazionale Forense fa parte, che richiede all’avvocato “(…) not to handle a
matter which he knows or ought to know he is not competent to handle”.
La natura deontologica del dovere di aggiornamento sottolinea, meglio di
ogni altra cosa, la peculiarità della professione, la sua incidenza su beni di
rilievo collettivo e di interesse dominante per l’assetto democratico dello
Stato, aspetto la cui epifania è la rilevanza costituzionale del diritto di difesa
(art. 24 Cost.); aver responsabilmente elevato il dovere di aggiornamento al
rango
di
fondamentale
canone
deontologico,
denuncia
la
piena
consapevolezza del nesso esistente tra aggiornamento, qualità della
prestazione e tutela di interessi che, personali nella loro immediata
dimensione effettuale, rispecchiano nella dinamica della loro difesa un
valore fondante della convivenza democratica.
Ciò contribuisce a disegnare il volto della professione con caratteri ulteriori
rispetto a quelli propri dell’attività imprenditoriale.
In quest’ultima, infatti, l’aggiornamento è proiezione dei primi due modi
d’essere innanzi illustrati, tutte e due aventi rilievo per di così utilitaristico:
l’utilità conseguibile dall’evitare responsabilità, l’altra ritratta dal mantenere
la propria posizione sul mercato, o dal suo miglioramento. Con l’aggiunta
che, a date condizioni come sono quelle garantite al monopolista legale, o di
fatto, la rinuncia o l’attenuazione della tensione alla qualità può anche
rispondere ad una logica essa stessa lucrativa quale risultato di una
valutazione comparativa nel rapporto tra mezzi da impiegare e risultato da
raggiungere, quest’ultimo comunque garantito dalla posizione acquisita sul
mercato.
Al contrario, l’esercizio della professione conferisce all’aggiornamento un
tratto etico aggiuntivo che esprime la (indiretta) dimensione sociale di un
contratto di prestazione d’opera - ulteriore rispetto al suo profilo meramente
egoistico – funzionale ad un servizio qualitativamente all’altezza delle
aspettative collettive che esso è pur in grado di soddisfare.
Va sempre ricordato, infatti, che l’attività dell’avvocato, qualsiasi sia la sua
12
R. Danovi, Commentario del codice deontologico forense, 2° ed. Milano, 2004, 238.
6
modalità espressiva, è strumento concorrente di attuazione della garanzia di
effettività e quindi di concretezza dei diritti attribuiti ai consociati i quali,
senza la prospettiva della loro tutela dinamica, sarebbero confinati sul piano
della mera enunciazione enfatica.
In questo senso si potrebbe dire che la qualità del servizio, cui concorre
l’aggiornamento, è bene indisponibile perché sottratta almeno in parte alle
logiche dell’utilità e proiettabile nella dimensione della socialità.
E come bene indisponibile, la garanzia della sua effettività non può
dipendere dal capriccio, ma va assicurata e basta.
In questo preciso punto si coglie il netto distacco dell’attività professionale
da quella di impresa ed una riposta ulteriore ai tentativi di equiparazione 13.
3-. L’aggiornamento, proprio per il suo rilievo, costituisce anche un
obiettivo dell’azione comunitaria, sia quale strumento per l’acquisizione ed
il mantenimento di un livello culturale generale da parte di tutti i cittadini
dell’Unione, sia se limitato al campo proprio della professione di avvocato.
Dal primo punto di vista, è considerato così rilevante da essere indicato
come strumento generale di attuazione dell’obiettivo delle conclusioni della
presidenza del Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000,
obiettivo consistente nel far sì che entro il 2010 l’Europa diventi “(…)
l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo,
in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e
migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale” 14.
In tale ottica è inteso come lifelong learning e cioè come aggiornamento
permanente lungo tutto l’arco della vita e diviene obiettivo incluso anche
nella Decisione del Consiglio del 22 luglio 2003 relativa a orientamenti per
13
Equiparazione che è risultato cui si indirizza, invece, la giurisprudenza comunitaria.
L’esempio iniziale è Corte CE 23.4.1991, causa C-41/90 Hofner c. Macroton, Racc. 1991,
1979 secondo cui “(…) nel contesto del diritto della concorrenza la nozione di impresa
abbraccia qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status
giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento”. Su questa nozione
funzionale di impresa che consente di ricondurre nel suo alveo anche l’attività
professionale v. Autorità Garante della concorrenza e del mercato, 14.12.1994,
provvedimento n. 253.
14
A. Bulgarelli, Verso una strategia di lifelong learning: stato dell’arte e evoluzione delle
7
le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione, 2003/578/CE, in
funzione della sua considerazione come trasversale e cruciale al
conseguimento, tra l’altro, della qualità del lavoro 15.
Il lifelong learning proiettato in dimensione europea nel Memorandum
pubblicato dalla Commissione europea nel 2000, viene a costituire parte
integrante del concetto di cittadinanza europea 16 e punto di approdo attuale
di una modificazione concettuale subita dall’idea di formazione.
In senso tradizionale, infatti, si alludeva alla formazione come ad un
percorso di acquisizione conoscitiva avente termine con l’ingresso nella vita
lavorativa; rispetto ad esso, si concepiva l’idea del mantenimento, inteso
quale forma di aggiornamento professionale svolto con periodicità e
finalizzato ad ampliare le conoscenze acquisite con l’aprirsi alle novità.
Attualmente, il ruolo centrale assolto dalle professioni intellettuali è
riconosciuto non tanto in funzione di una formazione iniziale mantenuta al
passo con i tempi, quanto per effetto della competenza professionale.
In
questa
prospettiva
l’aggiornamento
non
è
più
il
prodotto
dell’acquisizione di conoscenze mantenute più o meno efficacemente, bensì
politiche di formazione continua in Italia, in Diritto delle relazioni industriali, 2004, 1 segg.
15
A. Bulgarelli, Verso una strategia di lifelong learning etc. cit. loc. cit. che sottolinea
come la definizione dei target europei per il 2010 comprenda gli impegni degli Stati
membri a realizzare strategie di apprendimento lungo tutto l’arco della vita, tra l’altro
migliorando la qualità ed efficienza dei mezzi di istruzione e di informazione per dotare
tutti i lavoratori delle capacità richieste a una manodopera moderna in una società basata
sulla conoscenza, consentirne lo sviluppo della carriera e ridurre la mancata corrispondenza
fra domanda e offerte di qualifiche e le strozzature del mercato del lavoro: A. Bulgarelli,
op. cit. 2. Sul lifelong learning definito come all learning activity undertaken throughout
life, with the aim of improving knowledge, skills and competence, within a personal, civic,
social and/or employment-related perspective e considerato un fattore chiave per favorire
la competitività e lo sviluppo economico, v. sulla situazione sociale italiana il rapporto
annuale del Censis 2003 in http://www.censis.it.
16
A. Cotza, Lifelong learning, 1, in http://digilander.libero.it/coinfonews2001/ac.html.
Peraltro la dimensione del lifelong learning è anche domestica come è dimostrato dalle
leggi che prendono variamente in considerazione l’aggiornamento alla stregua di
componente di una disciplina premiale o ad altri effetti: ad es. l’art. 7 della legge n. 60 del
2001 che, in alternativa all’esercizio per un biennio dell’attività di avvocato penalista,
consente l’iscrizione nell’elenco dei difensori d’ufficio a chi abbia frequentato l’apposito
corso di aggiornamento; il quale di per sé e senza la necessità di un ulteriore momento
valutativo o selettivo particolare è valutato come in grado di consentire tale iscrizione
(TAR Campania, sez. III, 29.5.2003, in Rassegna forense 2003, 621). Sulla rilevanza del
lifelong learning si registra anche una delibera dell’assemblea generale della Conferenza
dei Rettori delle Università italiane (CRUI) del 21.6.2001 recante invito alle Università a
stimolare
percorsi
per
la
formazione
continua:
v.
in
8
un processo culturale di crescita professionale 17.
Coerentemente con ciò, esso è, per esempio, definitivo nel regolamento
sulla formazione professionale continua elaborato dal Consiglio Nazionale
dei dottori commercialisti, non solo come attività di approfondimento, ma
anche come quella diretta ad estendere la competenza tecnica e
professionale, al miglioramento ed al perfezionamento 18.
Con riguardo alla sua dimensione prettamente professionale, nella
Raccomandazione 2000(21) del Consiglio d’Europa del 25.10.2000,
riconosciuta la funzione cruciale della professione di avvocato nella tutela
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
19
, nei paragrafi 2) e 3) si
specifica, rispettivamente, che “(…) devono essere adottate tutte le misure
necessarie affinché siano garantite una formazione giuridica e una moralità
di alto livello quali requisiti per l’accesso e la formazione permanente
dell’avvocato” e che “(…) la formazione giuridica ivi inclusa il programma
di formazione permanente deve tendere ad incrementare la conoscenza
dell’etica e dei diritti dell’uomo formando gli avvocati al loro rispetto a
proteggere e promuovere i diritti e gli interessi dei loro clienti e a
contribuire alla buona amministrazione della giustizia”.
Da parte sua il CCBE, nella risoluzione on training for lawyers in EU
dell’11.2.1999, sul presupposto che le direttive sulla libera prestazione dei
servizi in ambito europeo, sul riconoscimento dei diplomi e sul libero
stabilimento, creano un apparato legislativo che facilita la mobilità degli
avvocati nel contesto europeo e che dunque è necessaria l’armonizzazione
anche delle regole sul training quality, riserva un posto di rilievo
all’aggiornamento permanente ritenendo at least a continuing education of
20 hours per year must be obligatory everywhere in the European union,
auspicando che una parte di tale training pari ad almeno un decimo sia
dedicata al diritto comunitario ed al diritto europeo comparato;
http://www.coinfo.net/documenti/cruilll.html.
17
P. Moretti, Formazione professionale permanente, Introduzione, Fondazione Luca
Pacioli, 2004, 8.
18
Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti, Formazione professionale continua del
dottore commercialista, Roma, 2004, art. 1.
9
successivamente riconfermando l’indicazione dell’essenzialità di un
compulsory continuing training con la risoluzione del 25.11.2000.
Nella recommendation on continuing training del 28.11.2003 il CCBE pone
infine in evidenza come sia proprio il ruolo fondamentale che gli avvocati
rivestono nella difesa dei diritti e della libertà ad obbligarli to guarantee the
highest standards of professional practice con ciò rendendo evidente come
la qualità sia intesa alla stregua di eccellenza (highest standard)
20
. Si
aggiunge poi che avvocati e Consigli dell’Ordine giocano un importante
ruolo in lifelong professional learning che è riconosciuto come a core
element della strategia europea approvata nel summit di Lisbona del 2000.
4-. La struttura dell’aggiornamento permanente degli avvocati in Europa si
presenta frammentata.
Nell’ interim report del CCBE on harmonisation of the training of lawyers
in Europe presentato a Vienna alla conferenza dei Presidenti il 20.2.1998 21,
si evidenzia come solo in quattro casi (Olanda e Belgio considerati
unitariamente) grava sugli avvocati un obbligo di frequentare e completare
un corso on continuing education e precisamente:
a) in Finlandia, ove è previsto un totale di tre giorni;
b) in Scozia, Galles ed Inghilterra, ove è previsto un training per i solicitors;
c) in Olanda, ove sono previste 12 ore complessive annuali. Gli avvocati
olandesi devono conseguire almeno 16 crediti all’anno sulla scorta di quanto
previsto da un apposito regolamento sulla formazione continua entrato in
vigore il 1.1.1996 e modificato nel 2000 22;
d) in Germania, ove solo gli avvocati specializzati sono obbligati a
frequentare almeno dieci ore all’anno di corsi sulla base di quanto previsto
dal paragrafo 43 del codice di regolamentazione della professione di
19
Consiglio d’Europa, raccomandazione 2000 (21), in http://www.coe.int.
Sul passaggio dalla qualità all’eccellenza v. R. Danovi, Dalla qualità all’eccellenza (la
nuova professione forense), in Rassegna forense, 2000, 763.
21
CCBE, Prasidentenkonferenz 20 February 1998 Vienna, cit., 23.
22
Fonte: centro studi del Consiglio Nazionale Forense - Delegazione italiana presso il
CCBE – di Bruxelles, del 8.11.2004.
20
10
avvocato 23;
e) in Belgio, infine, per quanto attiene all’Ordine neerlandofono, un
regolamento dell’8.9.1999 entrato in vigore l’1.9.2000, prevede che ogni
avvocato svolga una serie di attività per la formazione permanente, le quali
poi vengono convertite in crediti, per un minimo di 16; ai fini del loro
conseguimento viene presa in considerazione sia la frequenza di corsi, sia la
redazione di articoli, saggi e libri.
Per l’ordine francofono, il 5.6.2000 è stato adottato un regolamento sulla
formazione permanente che impone la frequenza di seminari o conferenze
per almeno 20 ore l’anno; un terzo di queste ore può essere destinato a
materie non giuridiche. I corsi sono organizzati dagli ordini, dalle
Università o da altri enti di formazione e sono finanziati direttamente dagli
avvocati con contributi specifici 24.
Rispetto al 1998, anno della rilevazione del CCBE, il quadro si è di recente
arricchito per effetto della legge francese 11.2.2004 n. 130
25
avente ad
oggetto la riforma degli statuti di alcune professioni giudiziarie che ha
modificato il sistema della formazione permanente apportando sostanziali
emendamenti alla disposizioni della precedente legge quadro n. 1130 del
31.12.1971.
La legge ha apportato anche un cambiamento di nomenclatura dato che
l’espressione formazione permanente, in precedenza utilizzata, è stata
sostituita con quella di formazione continuata, quasi a segnalare il profilo
dinamico di una formazione in corso e che non si può considerare terminata
per tutta la durata della vita professionale.
Con la legge di riforma del 2004 il legislatore francese ha imperniato il
sistema di formazione professionale sul Consiglio Nazionale forense e
rinviato ad un decreto del Consiglio di Stato, ancora da emanare, per una
regolamentazione specifica della materia.
23
Fonte: centro studi del Consiglio Nazionale Forense – Delegazione italiana presso il
CCBE etc. cit.
24
Fonte: centro studi del Consiglio Nazionale Forense – Delegazione italiana presso il
CCBE etc. cit.
25
In Journal Officiel de la Republique Francaise 12.2.2004.
11
Lo scopo dichiarato della legge di riforma è quello di garantire la qualità
degli interventi dell’avvocato e di attualizzare le sue conoscenze
sottolineandosi che l’aggiornamento professionale è diventato oggi
un’esigenza ancora più forte in ragione di una concorrenza aggressiva
instaurata da altre professioni di natura giuridica in settori del diritto poco
o non conosciuti dagli avvocati 26.
L’art. 14.2 della legge specifica che la formazione continuata è obbligatoria
per gli avvocati iscritti all’ordine e la sua durata e natura dovranno essere
determinate con un decreto del Consiglio di Stato che secondo l’opinione
del presidente della commissione sulla formazione degli avvocati del
Consiglio Nazionale forense francese, fisserà la durata della formazione in
circa 20 ore annue.
La legge rafforza la posizione ed il ruolo del Consiglio Nazionale forense
francese perché gli attribuisce il compito di coordinare e controllare le
attività dei centri regionali di formazione professionale e gli conferisce la
responsabilità della definizione dei principi di organizzazione della
formazione e dell’armonizzazione dei programmi formativi.
Tuttavia, in relazione alla generalità degli avvocati europei, quelli soggetti
ad un obbligo di aggiornamento rappresentano una minoranza valutabile in
circa il 19% del totale; l’81% non ha allo stato un obbligo sanzionato di
continuing education, ma sono solo incoraggiati.
A questo proposito il CCBE, nella raccomandazione del 28.11.2003,
sottolinea l’importanza dell’armonizzazione dei sistemi di aggiornamento
sollecitando i Consigli Nazionali forensi dei vari Stati ed i Consigli
dell’Ordine locali ad assumere iniziative indicando come attività da
realizzare:
1) la partecipazione a lezioni, seminari, incontri, conferenze e congressi;
2) la formazione in materia informatica e telematica;
3) la redazione di articoli, saggi e libri;
26
D. Chabas, La formation iniziale et continue, Gazette du Palais, n. 277, 5.10.2004, 19
citato da M. Barcaroli, La normativa francese in materia di formazione permanente degli
avvocati, Ufficio di rappresentanza del CNF a Parigi, dattiloscritto, 7.11.2004, 3.
12
4) il dedicarsi all’insegnamento;
5) lo svolgimento di qualunque altra attività giudicata rientrante nella
professione.
Quanto alle modalità operative, il CCBE suggerisce il ricorso ad un sistema
di crediti o di punti da calcolare in base alle ore dedicate alla formazione e
alla rilevanza della materia trattata, per consentire la valutazione
dell’attività svolta; il sistema di documentazione potrebbe fondarsi su
apposita autocertificazione dell’interessato 27.
Esperienze di questo tipo sono state attuate in Italia dalla categoria dei
dottori commercialisti e dei ragionieri.
I primi hanno elaborato nell’anno 2002 un regolamento per la formazione
professionale continua e norme di attuazione con cui sono stati definiti il
contenuto dell’attività formativa, le modalità di svolgimento obbligatorio
della stessa, i compiti e le attribuzioni al riguardo del Consiglio Nazionale e
dei singoli Consigli dell’Ordine. Il sistema è imperniato sull’attribuzione di
crediti formativi professionali in relazione a singoli eventi compresi nei
programmi approvati; i crediti sono calcolati sulla durata dell’evento ed il
parametro varia a seconda degli eventi, con l’obbligo di conseguire almeno
90 crediti triennali, con un minimo di 20 annuali (art. 5 ) 28.
Sostanzialmente sulla stessa linea si muovono i Ragionieri commercialisti.
Per parte sua il Consiglio Nazionale Forense ha, da un lato, elaborato in
collaborazione con il CENSIS un modello formativo per l’avvocatura
29
che, oltre a prendere in considerazione l’assetto organizzativo, l’accesso alla
27
CCBE recommendation on continuing training 28.11.2003 cit; v. anche F. Orlandi, La
formazione obbligatoria degli avvocati in Europa, dattiloscritto presso Consiglio Nazionale
Forense, 2004, 1.
28
Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti, Formazione professionale continua del
dottore commercialista, cit. e regolamento della formazione professionale continua –
orientamenti interpretativi – elaborato dalla Commissione formazione professionale
continua presso il Consiglio Nazionale. Gli eventi formativi presi in considerazione sono
costituiti da relazione a convegni, seminari, corsi e master approvati dal Consiglio
Nazionale (1/h = 3 crediti), pubblicazioni di natura tecnico-professionale (1 credito ogni 5
cartelle di 1500 battute), docenze annuali presso istituti universitari (10 crediti),
partecipazione alle commissioni per gli esami di stato (5 crediti) e così via.
29
Censis e Centro per la formazione e l’aggiornamento professionale degli avvocati
del Consiglio Nazionale Forense (a cura di), Un modello formativo per l’avvocatura, in
Rassegna Forense, Quaderni, 4, 2000.
13
scuola di formazione forense, l’organizzazione dell’attività didattica, i corsi
di formazione forense ed i metodi didattici, prefigura la istituzione della
Scuola Nazionale di alta formazione per avvocati cui è appunto attribuita la
progettazione
e
l’organizzazione
delle
attività
di
aggiornamento
professionale degli iscritti e dei docenti delle scuole di formazione forense;
dall’altro lato, la Fondazione dell’Avvocatura italiana costituita per
iniziativa del CNF ed il Centro di Formazione ed aggiornamento
professionale, organo operativo del medesimo CNF, svolgono all’attualità e
sono destinati a svolgere in futuro ancor di più un ruolo cardine sul piano
dell’aggiornamento professionale; il resoconto delle iniziative realizzate e di
quelle in cantiere sarà oggetto delle relazioni dell’avv. Ugo Operamolla e
dell’avv. Pietro Ruggeri, rispettivamente in qualità di coordinatore della
Fondazione e di vice presidente del Centro. Va solo aggiunto che il
Consiglio Nazionale Forense ha di recente ottenuto l’introduzione nella
proposta di legge per la riforma dell’ordinamento della professione di
avvocato, di un articolo 8) secondo il quale spetta al medesimo Consiglio
Nazionale determinare, attraverso corsi di aggiornamento, seminari o altre
iniziative, le attività che devono essere espletate dagli iscritti per assicurare
la qualità della professione e contribuire al migliore esercizio di essa.
5-. Resta da esaminare in che modo il rapporto funzionale delineato in
apertura tra aggiornamento e qualità può trovare una sua modalità
espressiva ed una riconoscibilità.
Su questo piano giocano un ruolo fondamentale ed insostituibile i Consigli
dell’Ordine che proprio nella verifica e nell’accertamento della qualità
trovano conferma ulteriore della loro permanente vitalità e funzione.
Si è prima accennato al tentativo di riconduzione dell’esercizio dell’attività
professionale nel novero di quella d’impresa, col pretesto di una
sottolineatura funzionale del carattere di quest’ultima; nel provvedimento n.
5400 del 9.10.1997 dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato 30
che rappresenta il risultato dell’indagine conoscitiva nel settore degli ordini
14
e collegi professionali deliberata il 1.12.1994, si pone in evidenza il fatto
che gli Ordini, espressione di gruppi professionali, si sono costituiti come
enti esponenziali degli interessi di questi ultimi ed il riconoscimento della
possibilità loro accordata, sin dall’inizio, di adottare restrizioni e limitazioni
nella
concessione
delle
autorizzazioni
indispensabili
all’esercizio
dell’attività era giustificata, dai loro fautori, con la necessità e lo scopo
dichiarato di mantenere un alto livello di etica e competenza professionale.
Sennonché, osserva l’Autorità, non può escludersi che quelle restrizioni
fossero animate anche da un sentimento egoistico di evitare la concorrenza,
sicchè entrambe le motivazioni entravano in gioco e si rafforzavano a
vicenda “(…) per quanto se si guarda alle clausole preferenziali che
favorivano l’ammissione di parenti (…) si è indotti a credere che il motivo
egoistico abbia ben presto acquisito un peso considerevole” 31.
Alla luce di queste premesse, l’Autorità rileva che se l’origine della
regolamentazione pubblicistica è da rinvenire nel riconoscimento da parte
dello Stato di una specificità delle professioni intellettuali e di una loro
idoneità a incidere su interessi centrali per l’equilibrio della società e vi può
essere un buon motivo per affidare ad un gruppo particolare di operatori il
monopolio dell’offerta in un determinato mercato attraverso l’introduzione
di griglie di accesso ed una selezione per verificare il possesso delle qualità
idoneative, “(…) non vi è però nessun buon motivo per limitare la
concorrenza tra coloro che possiedono i requisiti richiesti dalla riserva”. 32
Cosicché - si conclude - poiché l’accertamento della capacità avviene con
l’esame di Stato (e l’accertamento dei requisiti è compito di quest’ultimo,
non dell’Ordine) l’iscrizione all’albo dovrebbe essere obbligatoria solo
laddove oltre al controllo relativo all’accesso, ne sia reputato necessario
anche uno sull’esercizio dell’attività.
Pertanto, imporre ad un soggetto che ha conseguito un titolo professionale
“(…) anche l’obbligatoria appartenenza all’Ordine per potere esercitare
30
AGCM, provvedimento n. 5400 del 9.10.1997 in bollettino n. 42/1997.
C.M. Cipolla, Le professioni nel lungo andare, in ID, Le tre rivoluzioni e altri saggi di
storia economica e sociale, Bologna, 1989, citato da AGCM, provvedimento 42/1997 cit. 5.
32
AGCM provvedimento n. 5400/1997, cit. 8.
31
15
un’attività libera, rappresenta una ingiustificata restrizione concorrenziale
quando non si sia in presenza di esclusive la cui attribuzione comporta la
necessità di un controllo oltre che sull’accesso anche sull’attività” 33.
Tali conclusioni sono ovviamente da respingere; ma esse indicano in modo
inequivoco un terreno nel quale si apprezza la centralità dell’aggiornamento
e della formazione permanente, presupposti per l’eccellenza qualitativa di
un’attività la cui valutazione non può che essere appannaggio esclusivo
dell’Ordine e che all’un tempo ne qualifica la funzione.
La qualità di un’attività come quella dell’avvocato e quindi la qualità del
relativo prodotto, sfugge per sua natura ad una valutazione standardizzata
che ne oscura la specificità.
Ciò risulterà chiaro se si considera come opera il sistema di certificazione di
qualità applicabile alle imprese ed in particolare l’insieme di norme tecniche
appartenenti al gruppo delle norme UNI EN ISO 9000 a proposito di
gestione ed assicurazione della qualità.
Secondo la definizione data dalla norma UNI EN ISO 9000:2000, la qualità
consiste “(…) nel grado in cui un insieme di caratteristiche soddisfa i
requisiti”
34
. Il giudizio di conformità va evidentemente rapportato ad una
serie di norme tecniche che stabiliscono le caratteristiche di un prodotto,
processo o servizio.
In questo senso può apprezzarsi la sola parziale adattabilità agli studi legali
dei sistemi di certificazione di qualità delle imprese.
Infatti, la eventuale certificazione di qualità di uno studio legale in
conformità alle norme UNI EN ISO 9000:2000 può solo concernere la
struttura organizzativa dello studio e non il prodotto; essa si traduce in
certificazione relativa al processo e quindi alle procedure seguite nel lavoro,
non al risultato che, in quanto caratterizzantesi per la sua natura
intellettuale, non è suscettibile di valutazione standardizzata cioè riducibile
al frutto sempre uguale di un procedimento.
Del resto gli stessi istituti certificatori hanno cura di avvertire espressamente
33
34
AGCM provvedimento n. 5400/1997, cit. 12-13.
A. Baldin – G. Stumpo, La qualità negli studi legali, Rimini, 2003, 17.
16
che la certificazione si attesta sul processo di lavoro e non sul prodotto, e la
gestione della qualità si appunta sul modo di operare che l’avvocato sceglie
ed impone a se stesso ed ai suoi collaboratori, consentendo la continuità del
servizio nel tempo, la costanza di standard qualitativi, la riduzione del
rischio di eventuali errori.
Dunque si può al più conferire, tramite la certificazione, un marchio di
professionalità della struttura avendo riscontrato che essa agisce
costantemente secondo modelli che riducono il margine dell’errore; ma non
se ne può garantire per ciò solo l’affidabilità sotto il profilo dell’idoneità del
prodotto
fornito,
essa
dipendendo
pur
sempre
dalla
formazione,
dall’aggiornamento e dalle capacità intellettuali del singolo professionista
35
.
Nel controllo di qualità del prodotto di una attività eminentemente
intellettuale risultano, pertanto, inapplicabili i criteri normalmente seguiti
per testare la qualità dell’attività di altri servizi o dell’impresa; è infatti del
tutto evidente che non possono venire in considerazione i risultati conseguiti
e cioè le cause vinte e quelle perse, dato che anche per queste ultime può
essere profuso uno sforzo qualitativamente eccellente mentre soccombenza
e qualità della prestazione non sono comunque legate da un rapporto di
causa/effetto.
Così come la più eccelsa e geniale prestazione professionale non dipende
dalla superficie in metri quadri dello studio in cui è concepita, o dal numero
dei suoi addetti o dal tempo di risposta alle richieste della clientela.
Su questo terreno, che riguarda non il processo di produzione, ma il
prodotto, la verifica di qualità non può allora essere affidata alle
certificazioni fondate sull’osservazione ed il modo di svolgersi del
procedimento.
Del resto, che non esista rapporto tra un tal tipo di certificazione qualitativa
e l’aggiornamento permanente è dimostrato dal fatto che la prima testimonia
35
Secondo il Sincert – Sistema nazionale per l’accreditamento degli organismi di
certificazione e ispezione – a giugno 2004 erano non più di 50 gli studi legali certificati nel
settore dei servizi professionali di impresa ed appena due nel 2000 (fonte: Il Sole 24 ore,
8.11.2004)
17
la fedeltà all’osservanza di una sequenza procedimentale di atti e
comportamenti che, solo in quanto conformi al modello garantiscono quel
tipo di qualità (procedimentale).
E’ una sorta di fissità qualificata quella che, in questa prospettiva, produce
qualità.
Nel caso dell’aggiornamento permanente, al contrario, è la dinamicità
dell’apprendimento che pone le premesse per la qualità del prodotto finale,
se l’aggiornamento è inteso – come prima si è posto in evidenza – alla
stregua di lifelong learning, cioè come costante ricerca di nuove
acquisizioni professionali e non semplice manutenzione del sapere già
acquisito.
Da questo punto di vista, pertanto, una certificazione di qualità sul tipo delle
norme UNI EN ISO 9000 è scarsamente incidente anche se, occorre
riconoscerlo, nel momento in cui garantisce il processo pone le premesse
per la riduzione di taluni margini d’errore.
Si tratta degli errori, ad esempio, connessi ai tempi di gestione della pratica
ed alla ciclicità con cui si attende alla sua cura: la mente corre allo spettro
che per ciascun avvocato è rappresentato dalla prescrizione del diritto o
dalla decadenza dai termini.
La certificazione di processo può, ancora, garantire una migliore gestione
del rapporto con il cliente in termini di cadenza nella somministrazione
delle informazioni relative all’espletamento del mandato, perché abitua ad
un comportamento standardizzato.
Certamente la certificazione di qualità nulla dice del tipo di impegno
profuso quando, nel chiuso dei suoi pensieri, l’avvocato studia, imposta,
ricerca, inventa.
A questo riguardo neppure l’esame del risultato ex post può dire nulla della
qualità.
Sicché occorre per questo aspetto dare rilievo alla verifica del possesso delle
cognizioni che consentono, in linea astratta, di meglio studiare, impostare,
ricercare, inventare; in questo senso riappare nella sua centralità la funzione
insostituibile dell’aggiornamento permanente i cui percorsi ed i cui risultati
18
possono essere certificati dall’Ordine nella doppia veste di responsabile
della sua concreta attuazione tramite scuole e corsi e di garante
dell’assolvimento dei relativi obblighi da parte dei suoi iscritti.
Un tal tipo di certificazione da parte dell’Ordine – una sorta di bollino blu –
apparirebbe anche più neutra rispetto alle possibili distorsioni che la
pubblicizzazione di forme di certificazione rilasciate da società specializzate
potrebbe determinare nella collettività.
Il richiamo nella carta intestata o in altri atti ad una indifferenziata
certificazione secondo le norme UNI EN ISO 9000:2000 ad esempio, per il
pubblico che ignorasse (e sarebbero i più) la differenza tra certificazione di
processo e certificazione di prodotto, potrebbe avere l’effetto di attribuire
allo studio interessato una qualità sul piano del prodotto che la
certificazione non è invece in grado di esprimere; il che determinerebbe, per
l’appunto, un possibile effetto distorsivo d’ordine conoscitivo.
Più aderente alla realtà delle cose apparirebbe, invece, una dicitura – da
inserire anche nella carta intestata – che attestasse il possesso, in relazione
ad
un
determinato
periodo
di
tempo,
del
requisito
derivante
dall’assolvimento dell’obbligo di aggiornamento permanente.
Una dicitura di questo tipo inizia già ora a figurare nella carta intestata di
qualche dottore commercialista che ha assolto all’obbligo triennale di
aggiornamento permanente.
In conclusione, poiché nessuna valutazione di qualità può concernere il
risultato dell’attività intellettuale, la verifica non può che attenere per forza
di cose alle premesse della prestazione professionale e cioè al possesso di
conoscenze tali da permettere l’utilizzo al meglio del potenziale intellettuale
di cui ciascun professionista è dotato.
A sua volta questo controllo non può che essere attribuito agli Ordini e
svolgersi sul piano della verifica dell’osservanza e della diligenza con cui il
professionista attende all’attività di aggiornamento permanente; esso, prima
ancora che adempimento di un obbligo, dovrebbe essere inteso come
espressione dell’umiltà intellettuale di chi considera il percorso formativo
non concluso col conseguimento del titolo e non sufficiente una mera
19
manutenzione delle conoscenze acquisite ed invece necessario il
compimento senza fine di un’opera di crescita durante tutto l’arco della vita
professionale nella consapevolezza dell’irraggiungibilità delle frontiere
della conoscenza e della specificità di una prestazione intellettuale che si
qualifica per questa tensione - che è prima di tutto etica - all’eccellenza.
20