vogliamo una finanziaria per lo sviluppo
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vogliamo una finanziaria per lo sviluppo
DOCUMENTO DELLE ACLI NAZIONALI Reagire al declino: vogliamo una finanziaria per lo sviluppo Sì delle ACLI allo sciopero generale del 30 novembre promosso da CGIL, CISL, UIL La legge finanziaria 2005 non ci convince per ragioni di metodo e di merito. Le ragioni di metodo sono due: innanzitutto, per il terzo anno consecutivo, siamo di fronte ad un documento sostanzialmente “ragionieristico” che cerca di trovare le risorse per non sforare il tetto del 3% sul PIL richiesto dalla normativa europea. Le scelte più propriamente politiche – la famiglia, il lavoro, la ricerca e l’innovazione, il Sud, la cooperazione internazionale, la lotta alla povertà – o sono del tutto scomparse o fanno capolino con provvedimenti “spot” e non con misure strutturali di medio periodo. La seconda ragione di metodo è che il passaggio alla Camera dei deputati è stato effettuato senza che questo ramo del Parlamento potesse veramente discutere il merito della Finanziaria. Ad un mese dalla sua obbligatoria approvazione non se ne conosce la reale struttura e dunque l’effettivo impatto sul Paese. Oltre alla “regola d’oro” introdotta da Siniscalco, pur con le dovute eccezioni, gli interventi per lo sviluppo sono stati rinviati ad un “collegato” di cui non sono ancora noti i contenuti. Solo ora la maggioranza di governo ha trovato un’intesa circa il taglio delle tasse che ammonterebbe a circa 6 miliardi di euro. Voci autorevoli, all’interno del Governo oltre che dalla Banca d’Italia o dall’Unione Europea, hanno messo in guardia il nostro Paese dal procedere ad un provvedimento che potrebbe portare ad uno superamento del limite del 3%. La recente iniziativa del capo del Governo di chiedere la rimessa in discussione del Patto di stabilità, sembra, almeno nei tempi in cui è avvenuta, legata alla necessità di finanziare questa sbandierata riduzione fiscale. Il Patto di stabilità con le sue regole severe ha portato il nostro Paese a ridurre il debito, contenere l’inflazione e ad avere una politica economica più rigorosa. Il Patto di stabilità non è intoccabile, ma sarebbe una scelta sbagliata modificarlo con l’intento di allargare i cordoni della spesa corrente per consentire di finanziare il taglio delle tasse. Se si vuole rivedere Maastricht lo si faccia con regole e decisioni europee, escludendo dal tetto le spese per le grandi infrastrutture europee (es. corridoio 5 e 8) e le attività di ricerca e di formazione con progetti deliberati dalla UE e non da singoli governi nazionali in modo da riattivare il processo di Lisbona. Infine è scandaloso che nella Finanziaria non si enunci una strategia puntuale contro l’evasione fiscale né si prevedano controlli più severi per contrastare il lavoro sommerso. Mentre ancora una volta si riaffacciano condoni e una tantum. Le ragioni di merito sono evidenti: innanzitutto il taglio fiscale va in una direzione sbagliata. Non siamo certo contro l’abbassamento delle tasse, ma ciò che sarebbe necessario è una riforma del sistema fiscale basata sul quoziente familiare, realizzando cioè un’equità orizzontale che oggi è del tutto sconosciuta. Siamo infatti di fronte ad una palese violazione di un principio costituzionale in quanto le famiglie povere, numerose monoreddito e monoparentali pagano in proporzione molte più tasse degli altri nuclei familiari. La priorità del lavoro ha fatto capolino con le proposte di taglio dell’IRAP, ora rimesso in discussione almeno nella sua quantificazione. Per dare un segnale chiaro occorrerebbe finanziarie il taglio dell’IRAP con una revisione della tassazione sulle rendite finanziarie o almeno con l’introduzione di un’unica aliquota di tutti i titoli di carattere finanziario. Sul Mezzogiorno il monito del Presidente Ciampi non sembra aver scosso una coalizione che ha sostanzialmente abbandonato al suo destino questa parte del Paese considerandolo molto spesso un peso a cui al massimo destinare qualche spicciolo. Invece il Sud è questione nazionale, è un’opportunità per ampliare il mercato interno delle imprese e farle crescere in modo tale da poter affrontare la competizione internazionale. Per di più il Sud è oggi l’unico giacimento di risorse umane per evitare che le imprese debbano, anche per vie illegali, attingere dal serbatoio dell’immigrazione. Dalla Finanziaria i poveri sono scomparsi. Del reddito di ultima istanza, introdotto nella Finanziaria dello scorso anno, si sono quasi perse le tracce. Non c’è stata una revisione degli ammortizzatori sociali e l’insicurezza cresce. Serve una misura universalistica di lotta alle povertà, un reddito minimo di garanzia, per tenere dentro al circuito dell’integrazione chi è sempre più ai margini. La formazione e la ricerca. Quest’ultima è richiamata, seppur per cifre poco significative. Ma per agganciare l’Europa serve ben altro. Occorre altresì una misura strutturale per riconoscere e rendere esigibili i diritti individuali di formazione. Ora sia il Governo che l’opposizione hanno riconosciuto il valore della proposta delle ACLI. Da qui a vederla diventare legge, la strada è ancora lunga. Infine la cooperazione internazionale. Siamo al minimo storico del contributo del nostro Paese agli aiuti ai Paesi del Sud del mondo. Dopo l’ultimo taglio nell’assestamento di bilancio, siamo giunti allo 0,13% del Pil. Chiediamo che il Governo rispetti l’impegno che ha in più di un’occasione annunciato: arrivare entro il 2006 allo 0,30%. 2 Sono cinque gli ambiti sui quali vorremmo esprimere alcune rilevazioni critiche, denunce e proposte. 1) Finanziaria e comuni Altro che federalismo fiscale! Nella finanziaria troviamo una conclamata tendenza al centralismo. Infatti risulta fortemente limitata l’autonomia degli enti locali rispetto alla possibilità di aumentare, attraverso varie soluzioni, le proprie entrate sia fiscali che extra tributarie. I maggiori limiti per l’autonomia fiscale degli enti locali sono legati anche all’ulteriore previsione che non è possibile aumentare l’addizionale comunale Irpef per i Comuni, salvo per quelli che non l’hanno mai introdotta fino al 2004. Inoltre vengono ingessati i bilanci per gli anni 2006-2007 in quanto viene stabilito un aumento in misura del tetto massimo del 2% rispetto all’anno precedente. In generale si ricava l’impressione che il blocco delle entrate colpisca a macchia di leopardo, determinando in tanti casi situazioni di stallo o di paralisi. Quasi nessuno dei comuni capoluogo riuscirà a contenere la sua crescita entro il 4,8%, se non tagliando in modo netto le spese per gli investimenti. Così come la quasi totalità dei piccoli comuni dovrà aumentare le entrate e rivedere le politiche degli investimenti programmati. La scelta di applicare il tetto anche alle spese per investimenti già programmati è una misura politica che limiterà fortemente la capacità operativa delle amministrazioni comunali. Il risultato sarà un colpo durissimo alla capacità di programmazione finanziaria dell’ente e alla possibilità per i Sindaci di attuare il programma su cui hanno ricevuto la fiducia degli elettori. Non solo: è ormai assodato e certo che i disagi recati ai comuni, per la loro posizione istituzionale e per la loro rilevanza nella vita quotidiana dei cittadini, si tradurranno immediatamente, e senza possibilità di scelta, in maggiori oneri e in tagli ai servizi verso le famiglie quali la promozione sportiva, la cultura e i servizi sociali. Dov’è, allora, la sussidiarietà? E il federalismo fiscale? Non solo non ne vediamo l’ombra, ma il testo della finanziaria rischia di assumere profili di incostituzionalità, in quanto lede sia il principio di pari dignità tra i diversi soggetti della Repubblica e l’autonomia politica degli enti locali (art. 114, I e II comma), sia la loro autonoma attività di spesa (art. 119, I comma). 2) Finanziaria e welfare Nel testo della finanziaria non scorgiamo nessuna volontà di migliorare il sistema di welfare che ha caratterizzato fino ad oggi il nostro Paese. La mancata definizione dei livelli essenziali di assistenza sociale (liveas) e del loro adeguato finanziamento impediscono la risposta ai bisogni, al 3 benessere dei cittadini e delle famiglie, e compromette il rafforzamento della coesione sociale fattore di sviluppo economico. Il dato più negativo risulta essere l’inadeguato finanziamento del Fondo nazionale per le Politiche Sociali che scende da 1 miliardo e oltre 884 milioni ripartiti nell’anno in corso (comprensivo dei 150 milioni di euro dello stanziamento per gli asili nido ex lege 448/2001) a 1 miliardo e oltre .276 milioni di euro per il 2005. Con la fine della sperimentazione del reddito minimo di inserimento e l’avvio solo virtuale del reddito di ultima istanza - impropriamente regolamentato e insufficientemente finanziato dal Governo - al momento non vi è un adeguato strumento di contrasto alla povertà che garantisca su tutto il territorio nazionale adeguati trasferimenti economici e al contempo misure attive di integrazione che ne evitino le possibili derive assistenzialistiche. L’introduzione di misure contro la povertà e per l’inclusione sociale risponde ad un diritto essenziale di cittadinanza che lo Stato è tenuto ad assumere pienamente, lasciando agli enti locali il compito e la scelta di reperire eventuali risorse aggiuntive. È infine necessario provvedere rapidamente alla costituzione del Fondo per le persone non autosufficienti che rappresenta uno strumento concreto di sostegno alle politiche per le famiglie. Infatti vi è la necessità di dare immediata risposta ai 2.700.000 cittadini che versano in stato di gravissimo bisogno ed alle loro famiglie, gravate dall’onere della pressoché totale assistenza. Per il finanziamento, che è il problema principale per la sua approvazione, ribadiamo che deve gravare sulla fiscalità generale. 3) Finanziaria e Famiglia Anche sul versante della famiglia, argomento sbandierato più volte come priorità delle priorità, non esiste in questa finanziaria alcun provvedimento degno di nota. Anzi si insiste nel negare la soggettività sociale, economica e fiscale della famiglia e a non considerare gli effetti che la restrizione delle risorse in campo sociale avranno su di essa. Vi è poi un problema ineludibile che si è acuito nel tempo: quello delle famiglie povere. I recenti dati Istat sono impressionanti: il 10,6 % delle famiglie italiane vive in condizione di povertà relativa. In alcune regioni d’Italia questa dato sale ad un quarto delle famiglie. Crescono ad oltre l’11% quelle monogenitoriali con disagi e difficoltà che si riversano direttamente sui minori, mentre la denatalità e il conseguente cambiamento demografico del paese rimane la nostra peggiore ipoteca sul futuro. Ancora una volta le Acli propongono una radicale inversione di tendenza. Occorre una terapia d’urto e un cambiamento strutturale delle politiche fiscali. Basterebbe un quinto delle risorse ventilate per la riduzione delle tasse per risollevare le famiglie italiane dal disagio in cui sono, 4 aumentando gli spazi di sostegno e la qualità dei servizi. Basterebbe introdurre, anche gradualmente, l’idea del “quoziente familiare“ per la determinazione del reddito imponibile per ridare fiato alla natalità e sicurezza alle famiglie. E da subito, in attesa di questa radicale riforma del sistema fiscale, nella Finanziaria si deve prevedere un incremento adeguato degli assegni familiari che sono fermi ai valori fissati nel 1999 con una conseguente grave sottrazione di risorse per le famiglie più povere e più numerose. 4) Finanziaria e lavoro, Mezzogiorno, formazione Oltre all’assenza di politiche economiche rispettose dell’equità dei cittadini e della coesione sociale tra le regioni del Paese, l’attuale finanziaria non avanza prospettive di sviluppo per l’attuazione di politiche per il lavoro, per il Mezzogiorno e per la formazione. In un mercato del lavoro sempre più flessibile non si possono concepire gli ammortizzatori sociali esclusivamente in funzione di eventi a carattere eccezionale. Ciò richiede che il loro funzionamento sia integrato con i servizi all’impiego e con la formazione continua. In questo contesto, gli interventi di riforma devono anzitutto armonizzare i trattamenti esistenti, oggi eccessivamente diversificati. Bisogna poi ampliare e rafforzare alcune provvidenze sociali di base: quali la continuità dei versamenti previdenziali, il rateo del mutuo casa, le tasse scolastiche, la maternità… compreso il trattamento di disoccupazione "con requisiti ridotti". Il finanziamento di questi interventi dovrà essere misto, sostenuto in parte dalle categorie interessate e solo in parte dalla fiscalità generale. Se si vuole ridurre il cuneo fiscale sui redditi da lavoro, anche attraverso una manovra sull’IRAP, occorre finanziare questo costo attraverso una maggior e più omogenea tassazione delle rendite finanziarie. Se il lavoro è una priorità non può essere tassato in modo molto più pesante dei titoli finanziari. Colpisce l’abbandono al suo destino del Mezzogiorno. Il Sud continua ad essere un peso per il Paese, al quale destinare “gli avanzi” degli investimenti e della spesa pubblica. Senza crescita il mercato meridionale rimane angusto, l’occupazione diminuisce ulteriormente, accrescendo ancora di più il divario tra Nord e Sud. Il Mezzogiorno invece – per dotazione di infrastrutture, qualità dei servizi, manutenzione del territorio e delle aree urbane, sicurezza per le imprese e le persone – deve diventare competitivo non solo con il resto del paese e nel contesto dell’Unione Europea, ma anche in tutta l’area del Mediterraneo. Non possiamo poi dimenticare che dal 2006 il Mezzogiorno non potrà più contare sui Fondi strutturali dell’UE. 5 Vi è infine il tema dei diritti formativi. La tenuta di un valore chiave per una società democratica, come l’uguaglianza delle opportunità, si giocherà in modo sempre più rilevante sull’accesso alla conoscenza. Che vuol dire una buona scuola e una buona formazione “lungo tutta la vita”. Proponiamo, a questo scopo, di introdurre un “credito formativo fiscale”, per cui le persone che decidono di rinnovare il proprio sapere professionale vengano ‘premiate’ sia attraverso un sistema di detrazioni sia – per chi si trova nelle fasce basse di reddito – con un credito fiscale rimborsabile in futuro. 5) Finanziaria e cooperazione internazionale L’Italia è arrivata al minimo storico (0,13%) della percentuale di risorse sul PIL impiegate per l’aiuto allo sviluppo dei paesi più poveri del pianeta. Tutti gli impegni che il governo si è assunto nei vertici internazionali sullo sviluppo sono ignorati e disattesi e, mentre si trovano sempre i fondi per gli interventi, in diversi posti nel mondo, del nostro esercito – Iraq compreso -, viene di fatto azzerato lo stanziamento per la cooperazione allo sviluppo, in particolare per la cooperazione “a dono” necessario a finanziare i programmi co-promossi con le ong, compresi quelli già approvati dal Ministero degli Esteri. Mai come in questo momento la lotta alla povertà è obiettivo che va assunto tenendo conto dell’interdipendenza che lega i processi di sviluppo del nostro paese e dei paesi del nord con quelli del sud del mondo. La povertà dilaga facendo aumentare la forbice tra i 4 miliardi e 300 milioni di persone che vivono con meno di 2 dollari al giorno e i pochi, sempre di meno, che dispongono dell’80% delle risorse disponibili. Il dilagare della povertà, abbassando progressivamente i livelli di vita delle popolazioni, restringerà i mercati, innescando così una spirale di de-crescita. Sconfiggere le povertà in ogni angolo del mondo deve dunque, al di là delle scelte etiche, rappresentare una priorità sul piano di scelte economiche non miopi. Per questo le ACLI propongono una inversione di tendenza e che, nella Finanziaria 2005, si reperiscano, togliendoli dai capitoli dedicati alla difesa, i fondi per la cooperazione allo sviluppo fino a rappresentare lo 0,3% del PIL. Per tutte queste ragioni chiediamo al Parlamento e al Governo di cambiare questa Finanziaria, riattivando un serio processo di concertazione con le parti sociali. Per queste ragioni aderiamo e ci mobilitiamo, insieme al Forum del Terzo Settore, per lo sciopero generale del 30 novembre indetto da Cgil, Cisl e Uil. 6