grimaldello 04 - Istituto Principi Grimaldi

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grimaldello 04 - Istituto Principi Grimaldi
Non parti per una guerra se non sei sicuro di vincerla (unknow)
Periodico di informazione dell’IPSSEOA “P.pi Grimaldi” di Modica - Numero 4 - Dicembre 2014 - Distribuzione gratuita in formato elettronico
Editoriale
Ricomincia
l’avventura
C
ome l’anno scorso ritorna
anche quest’anno il Grimaldello. La maggior parte degli alunni lo conosce (forse per sentito dire, perché dubitiamo un po’
che molti di voi l’abbiano letto), ma i
nuovi arrivati non sapranno nemmeno che cos’è. Il Grimaldello è il giornalino del nostro istituto, che ruba
la verità per esibirla a tutta la scuola.
Una verità che racconta tutto ciò che
ci elogia rispetto agli altri istituti.
Il nostro giornale “ruba” la verità
proprio perché il suo nome deriva
dall’utensile che veniva usato dai ladri per scassinare le case. Potremmo
utilizzare il grimaldello per rubare
anche quelle opinioni un po’ timide che ci possono dare una critica
che aiuti la crescita di tutta la scuola.
Qualsiasi alunno può partecipare alla
sua realizzazione contribuendo con
qualche articolo. Gli articoli possono
parlare di qualunque cosa (inerente
alla scuola) come attività extracurriculari, gite, assemblee, visite aziendali, note disciplinari e le critiche di
chi è più esigente nei confronti di
questa scuola o di chi invece vuole
complimentarsi con chi s’impegna
per la buona riuscita di un altro
anno scolastico. Noi principalmente
raccontiamo e mettiamo chiunque al
corrente di ciò che succede in questa
struttura e di come essa è costituita. Cerchiamo di proiettare agli altri
un’immagine bella della nostra scuola perché a noi piace la nostra scuola;
se a volte leggerete qualche critica su
di essa non è un’accusa ma soltanto
il punto di vista di qualche alunno
che vive la scuola come un’esperienza negativa e non positiva. Questo ci
dispiace, credo che dispiaccia a tutti
che qualcuno veda la scuola in modo
negativo, e se questo qualcuno vuole comunicarcelo noi non possiamo
assolutamente rifiutare la sua critica.
Quindi se qualcuno accusa o rimprovera qualcosa, ammettiamo di essere
umani, e quindi come tutti gli altri
anche noi possiamo sbagliare ma il
suggerimento principale che questo
giornalino lancia a chi ha molto da
lamentarsi è proprio quello di cercare le soluzioni ai problemi, non di
avanzarli solo per il piacere di fare
polemica, e di riconoscere l’impegno di chi ogni giorno si alza per
assicurarci l’istruzione e i servizi di
cui noi alunni abbiamo bisogno. Ma
ricordate che quando uno si lamenta
di ogni cosa, e non riesce a trovarne
una giusta, da elogiare o su cui non
può lamentarsi, vuol dire che è lui
che vede le cose nel modo sbagliato. Speriamo per ognuno di voi che
riusciate a cogliere sempre il meglio,
non solo da questa scuola e da questo
giornalino, ma della vostra vita. Con
la prima edizione di quest’anno, noi
della redazione cogliamo l’occasione
di augurare a tutti un buon anno
scolastico, e una piacevole lettura.
Salvatore Spina
S
I nuovi rappresentanti d’istituto
abato 8 novembre 2014
si sono tenute le elezioni dei nuovi rappresentanti d’istituto. Sono state
presentate 3 liste e di queste,
sono stati eletti:
professoressa Scivoletto per
le assemblee di istituto... e
saprà darmi risposta durante
la riunione di istituto, che si
terrà a breve.”
Fortunato Romeo ( lista 1)
S:” I rappresentanti siamo
tutti insieme adesso, non c’è
una lista.”
Tumino Giulia e Sciuto
Vincenzo (lista 2)
Se fossi ministro dell’istruzione per un giorno, qual è
la prima cosa che faresti?
Frisa Cristian (lista 3)
Dopo essere stati eletti, noi
scrittori del Grimaldello,
abbiamo voluto intervistare
Vincenzo Sciuto e Fortunato
Romeo. Sciuto si è presentato più intellettuale, rispetto
al più diretto Fortunato, che
nonostante qualche piccola
variazione, sembrano avere
le idee molto chiare… Fortunato dice più tornei di calcio,
Sciuto ribadisce più pratica.
In fondo questi due rappresentanti, insieme agli altri
avranno molto da lavorare
per questa scuola. Dovranno
cercare di tenere testa a moltissimi problemi scolastici
che sembrino sovraffollarci
quotidianamente.
Perché avete scelto di fare
i rappresentanti d’istituto?
F: “Ho scelto di fare il rappresentante, soprattutto per
il convitto, per migliorarlo,
ma anche per migliorare la
scuola in generale.”
S: “Confrontandomi con
Giulia Tumino, ho capito di
avere delle idee in comune
per il miglioramento del nostro istituto, ma ovviamente
ci servirà l’aiuto di tutti.”
Cosa pensate che sia un
rappresentante d’istituto?
F:”Mi ritengo semplicemente un portavoce.”
F:”Più pratica, più gite, dare
più soldi alle scuole”
S:” Un portavoce, ma soprattutto un alunno comune
a tutti”
Ti senti un po’ leader
all’interno della tua lista?
F: “ Non mi sento un leader,
ma una persona comune a
tutti gli altri”
S:” Ehm…sì, in parte sì, mi
definirei soprattutto come un
punto di riferimento”
Quali sono gli obiettivi che
vi siete posti insieme alle
vostre liste per migliorare
l’ambiente scolastico?
F:”Ho già parlato con il preside per la Legambiente”
S:” Da premettere che io
solo sono il portavoce della
lista e che tutto non si può
cambiare subito, i problemi
sono vari e uguali, che collegano un po’ tutte le liste e
solo con l’aiuto di tutti noi,
possiamo portare avanti e
provare a realizzare questi
obiettivi.”
Cosa credete sia necessario
aggiungere, migliorare o
rimuovere all’interno del
nostro
Istituto?
F: “ Ehm… alla centrale ci
sono dei problemi, che alcuni ragazzi mi hanno segnalato, come ad esempio
aggiustare il campetto, e poi
vorrei proporre di fare dei
tornei di calcio il pomeriggio.”
S: “Di certo, secondo me,
non era necessario aggiungere tutte quelle varie attrezzature che abbiamo in
cucina, quando appunto
abbiamo altri vari problemi
della scuola, come ad esempio i termosifoni che vengono accesi tardi, o la stessa
pulizia delle classi, o i banchi e le sedie che credo siano i nostri principali problemi, oppure fare le assemblee
di istituto insieme, perché
in fondo siamo un istituto
e non dobbiamo sembrarlo
solo al momento di uscire le
tasse.”
S:” Per quanto riguarda questo istituto metterei sempre
più pratica, anche se nell’ultimo anno, hanno cercato di
cambiare la situazione mettendo 8 ore al mese di pratica sia al quarto che al quinto… poi basta, credo sia un
qualcosa che vada oltre le
nostre competenze, quindi
non so…”
Ci dite una citazione per
tutti i lettori del Grimaldello?
F:” La vita è una, godila”
S:” Vivi la vita… usa la testa”
Cosa vorreste dire agli studenti che vi hanno eletto e
non?
F: “Che se c’è qualcosa da
proporre, faremo il possibile
per tenere presente le vostre
idee”
Vi state già muovendo insieme alla tua lista per la
realizzazione di uno o più
obiettivi?
S:” Ringrazio chi mi ha votato, grazie per la fiducia
che mi avete dato... invece
per chi non mi ha votato…
beh… vi farò ricredere su
me stesso.”
F: “Sì, ho già parlato con la
Giuseppe Guastella
La fantasia non guasta neanche a tavola
G
iorno 28 ottobre nel
nostro istituto è stato
organizzato dalla F.I.C.
(Federazione Italiana Cuochi)
un corso di formazione degli
intagli di verdure indirizzato
agli alunni iscritti alla federazione per acquisire una maggiore formazione nel settore.
Il corso è stato presentato dal
professore di enogastronomia
Barone con l’assistenza del presidente Franco Di Grandi, del
vicepresidente Salvatore Chessari e del presidente onorario
Giovanni Carnibella della F.I.C.
Il professore Barone ha mostrato ai partecipanti i diversi
intagli, spiegando approfonditamente i singoli passaggi per
svolgere i compiti assegnati,
inoltre ha affermato che avere
una tavola imbandita di cibo
non decorata può essere triste
per chi ama i colori, infatti è
bello avere dei fiori che profumano di fresco come centro tavola, ma se i fiori sono
creati da verdure il cliente
apprezzerà ancor di più l’impegno dimostrato dal personale di cucina che con tanta pa-
zienza e fantasia ha elaborato
queste piccole opere d’arte.
Questa tecnica di ottenere
delle figure tridimensionali
da ortaggi e da frutta è molto
ricercata ed è ben retribuita.
Occorre molta pratica e ci sono
anche dei corsi che si tengono nei ristoranti o negli hotel.
Durante il corso, che è stato
autofinanziato dai partecipanti
poiché la scuola non ha avuto i fondi necessari per effettuarlo, sono state realizzate
diverse creazioni artistiche.
La zucca è stata utilizzata per
creare un vaso, mentre le altre
verdure come ravanelli, finocchi, carote, mele e zucchine
per creare fiori di diversi tipi.
Si spera si facciano altri corsi
di istruzione utili come questo, perché è stato entusiasmante e molto istruttivo dato
che ha arricchito di molto il
sapere di tutti i partecipanti.
Gaetano Calcagno
Il convitto
I
l convitto è una struttura
annessa alla scuola. Ed
ospita cinquanta ragazzi
di cui quarantacinque sono
del nostro istituto e gli altri
cinque provengono dall’istituto musicale di Modica
Bassa. Il convitto è suddiviso in dieci camere che vanno ad ospitare dai tre fino ai
sette ragazzi per camera in
base alla loro grandezza. Le
camere si trovano al pianterreno. Infatti il convitto
è suddiviso in due piani, il
pianoterra e il piano inferiore. In quest’ultimo troviamo una sala giochi che
comprende due bigliardini
di calcio balilla, due tavoli
da ping pong e un bigliardo
da carambola. Nello stesso
piano troviamo la sala musica e il televisore gigante. Al
pianterreno oltre alle stanze
c’è la direzione, dieci bagni
uno per stanza, la sala colazioni, le docce che si trovano
in una grande stanza, dove la
mattina i convittori possono
sciacquarsi la faccia, lavarsi
i denti e sistemarsi i capelli. La sveglia è alle 6:30 per
chi fa la doccia di mattina,
invece per chi l’ha già fatta
la sera, la mattina può svegliarsi verso le sette. Dopo si
va a fare colazione prendendo una tazza di latte o di the
accompagnato da un cornetto farcito o da crema o nutella. Quando ogni convittore
ha riordinato la propria camera e il suo posto letto può
tranquillamente aspettare il
pullman della scuola che lo
accompagna nella rispettiva
sede di frequenza per svolgere il regolare orario curriculare. Terminata la scuola i
convittori si riuniscono per
il pranzo in sede centrale.
Chi si trova già in sede è fortunato a trovarsi sul posto,
per chi invece svolge le lezioni in sedi diverse, usufruisce del pullman dell’istituto
per raggiungere la sede. Al
refettorio si entra alle due, e
il pranzo termina alle due e
mezzo, finito il pranzo tutti i
convittori i recano al convitto per riposare un po’. Alle
quattro si ritorna alla centrale per affrontare le due ore
di studio pomeridiane. Dalle
6 alle sette c’è questo spazio di tempo dedicato alle
attività ludico ricreative dei
ragazzi che è anteposto alla
cena. Alle 19:30 si torna in
convitto dove si possono
fare ricerche, si può giocare,
suonare, guardare film e se
si può, fare anche qualche
passeggiata. Dopo le dieci si va a dormire per poter
poi affrontare la giornata di
domani carichi e pronti. Il
convitto è un bel posto per
riscoprire quanto è impegnativo relazionarsi con gli
altri affinché ci sia una sana
convivenza, e quanto ciò sia
impossibile senza il rispetto
delle regole.
Davide Pace
Romeo Fortunato
pag. 2
DiCEMBRE 2014
Expo 2015! Ma di che si tratta in realtà?
D
immi cosa mangi e ti
dirò chi sei”
Cosi diceva il famoso
gastronomo francese Gean
Anthelme Savaarin che scrisse nel 1825 il trattato “Fisiologia del gusto”.
Ma siamo veramente cosa
mangiamo? Siamo consapevoli di quello che mangiamo,
di come e dove lo consumiamo? Siamo nell’era dello
slow food, del finger food,
del brunch, dello snack, del
precotto, l’era dei programmi televisivi su come cucinare e preparare in cinque
minuti un pranzo, e del “se
lo faccio io potete farcela
anche voi”. Ma quanti di noi
sono veramente a conoscenza della provenienza e della
qualità del cibo che mettiamo ogni giorno sulle nostre
tavole?
Che la cultura passi anche
dalla tavola non è cosa nuova, il cibo è parte integrante
della visione che un popolo ha del mondo, della sua
struttura sociale e anche della sua storia, inconsapevolmente anche il cibo diventa
così portatore di un enorme
bagaglio di informazioni e
si tramanda di generazione
in generazione. Il cibo può
diventare anche oggetto di
studi psicologici, si dice che
chi è dolce ama il dolce, che
la carne è per gli irascibili e
che i vegeterai sono rifles-
sivi. Mangiare è molto più
di un istinto di sopravvivenza o la soddisfazione di una
necessità biologica, se ci
fermiamo a cosa mangiamo
e come lo facciamo, scopriremo molte cose sul nostro
modo di essere. Mangiare
è anche un’azione di autocura, ecco perché dovremo
sempre avere sotto controllo la nostra alimentazione e
prestare particolare attenzione e cura alla scelta del
cibo che stiamo per addentare.
Insomma, dietro un passo
si trovano innumerevoli implicazioni che non riguardano solo il consumatore,
ma si riferiscono a relazioni planetarie su temi legati
all’agricoltura, alla salute,
all’ambiente, all’utilizzo sostenibile delle risorse, alla
geografia della fame e a
quella dello spreco. Per que-
sto le nazioni del mondo
hanno pensato di dedicare
la prossima esposizione universale al vastissimo tema
dell’alimentazione.
Expo Milano 2015 ha caratteristiche
assolutamente
inedite e innovative. Non
solo una rassegna espositiva, ma anche un processo
partecipativo che intende
coinvolgere attivamente numerosi soggetti attorno ad
un tema decisivo: Nutrire il
Pianeta, Energia per la vita.
Un evento più unico che
raro che incarna un nuovo
concetto di Expo: tematico,
sostenibile, tecnologico e
incentrato sul visitatore. Dal
primo Maggio al trentuno
Ottobre 2015, 184 giorni di
evento, oltre 130 paesi partecipanti, un sito Espositivo
sviluppato su una superficie
di un milione di metri quadri
per ospitare gli oltre 20 mi-
lioni di visitatori previsti.
I visitatori, coinvolti in prima
persona in percorsi tematici e approfondimenti sul
complesso mondo dell’alimentazione, hanno l’opportunità di compiere un vero
e proprio viaggio intorno al
mondo attraverso i sapori e
le tradizioni dei popoli della
terra. Expo Milano 2015 sarà
la prima Esposizione della
storia ad essere ricordata
non solo per i manufatti realizzati ma soprattutto per
il contributo al dibattito e
all’educazione sull’alimentazione, sul cibo, sulle risorse
a livello planetario. Il tema
scelto per l’Esposizione Universale di Milano 2015 è
“Nutrire il pianeta, energia
della vita”. Saranno chiamate in causa le tecnologie, l’innovazione, la cultura, le tradizioni e la creatività legati al
settore dell’alimentazione e
del cibo. L’asse principale è
il diritto ad un’alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutti gli abitanti della
terra. La preoccupazione
per la qualità del cibo in un
mondo sempre più popolato
(si calcola che nel 2050 gli
abitanti della terra saranno
9 miliardi) si accompagna a
scenari di un aumento dei
rischi della qualità globale
dei cibi disponibili. La Sicilia
è la regione capofila nella
gestione del Cluster Bio-Me-
diterraneo (dal 1 maggio al
31 ottobre 2015) e sarà presente per sei settimane nel
padiglione Italia.
L’area espositiva è organizzata come un’isola circondata da un canale d’acqua
ed è strutturata secondo i
due assi perpendicolari della
World Avenue (decumano)
e del cardo, ripresi dall’architettura delle città romane. Secondo un principio di
uguaglianza, tutti i padiglioni nazionali sono affacciati
sul grande viale principale. La costruzione di questi
portentoso evento è pari
1.200.000 euro… una cifra
assai consistente finanziata
interamente dalla Expo 2015
S.p.A. che sostiene, che questa cifra portentosa sarà interamente coperta dal costo
dei biglietti e da altre spese
per parteciparvi. Il ricavo
sarà sufficiente a coprire le
spese. Ma comunque, (nonostante i soliti scandali all’italiana), dobbiamo dichiararci expottimisti non per
retorica o in virtù di qualche
ideologia, ma perché ci sono
degli elementi di fatto che ci
fanno vedere questo evento sotto una luce positiva.
Anzitutto perché si tratta
di una reale occasione per
tutti: abbiamo acquistato
un format con delle regole
precise, un evento anomalo
in cui non c’è un unico vin-
citore ma tutti vincono perché “expo è di chi se lo prende”. Non bisogna chiedere
il permesso perché non c’è
un organizzatore, tutti hanno la possibilità di costruire
un progetto, raccontare una
storia o mettere in campo
un nuovo prodotto. Basti
pensare che ogni settimana
nascono 3 testate dedicate
al tema, mentre ogni giorno
nascono in media dieci loghi
expo non ufficiali: ben venga
se qualcuno può trarne beneficio, questa è lo spirito di
expo Milano 2015!
TOGHETHER
IN
EXPO
2015#TRIAL 2015
Non dobbiamo dimenticare,
inoltre, l’evento organizzato
dal Ministero dell’istruzione,
TOGHETHER IN EXPO 2015
in cui si offre alle squadre
partecipanti una competizione internazionale tramite
lo svolgimento di “missioni”
che possono consentire alle
squadre migliori di vincere
un viaggio all’expo, ma lo
scopo di questo progetto è
quello di farci riflettere sulla
sostenibilità dei nostri stili di
vita e delle nostre abitudini
alimentari.
Milano ci attende. È un’occasione imperdibile!
Gaetano Bommarito
Diversità culturale! Italia paese multietnico sa accettare queste diversità?
I
n Italia la diversità culturale
viene sottovalutata, al contrario di altre nazioni come
la Francia o gli Stati Uniti,
dove ormai hanno appreso
in pieno il suo significato. Diversità culturale significa che
oggi non può bastare il singolo pensiero o cultura, ma il
confronto diventa per tutti un
arricchimento sia dal punto di
vista morale che sociale. Una
nazione mentalmente aperta è
una società funzionale. Si sottovaluta l’importanza di conoscere gente diversa da noi, con
culture e delle tradizioni diverse dalle nostre ed accoglierle.
Con delle storie che possono
riguardarci ma non sono come
le nostre, tutto questo ci fa crescere e ci migliora. La gran parte degli italiani non ha interessi
a conoscere altra gente o altre
culture, perché sono abituati a
relazionarsi con gli amici degli
amici, del cugino, del parente
e non sanno fare altro, quindi
la cosa più facile del mondo
per loro è la più rischiosa. Non
bisogna aver paura delle diversità; perché vuol dire limitarsi
e non crescere, perché limitarsi significa non andare avanti
e sparire, crescere vuol dire
vivere ed esistere. Non avendo
avuto un confronto con altre
culture non abbiamo imparato
come andare avanti e ci ritro-
viamo ancora a fare gli stessi
lavori di cinquant’anni fa. Nei
secoli l’Italia è stata invasa da
ogni tipo di popolo, col tempo
però non ha saputo sviluppare
e abbracciare la diversità culturale. Gli Americani questa
cosa la sanno fare per natura,
essendo un paese nato da mille diversità culturali, sono geneticamente programmati per
accettare le diversità culturali.
In un paese come la Francia
ci sono etnie che si sono integrate da decine di anni e oggi
i loro figli e i figli dei loro figli
parlano perfettamente francese e fanno parte della società
francese come un francese. In
Italia abbiamo una concezione sbagliata della quantità di
immigrati che compongono la
nostra popolazione pensando che siano il 30%, in realtà
la presenza degli immigrati è
solo del 7%. Ma la colpa non
è del tutto nostra se abbiamo
queste concezioni, e facendo
accurate ricerche sono arrivato
a questa conclusione e credo
che siano chiare due cose:
1) La politica degli allarmi,
delle emergenze, del “ci stanno invadendo”, del “moriremo
tutti”, manipolano benissimo
i nostri pensieri e non esiste dato statistico in grado di
smentirle. E questo fa molto
comodo a certi partiti.
2) La tendenza dei media
ad amplificare queste problematiche.
Il termine multiculturalismo
descrive una situazione in cui
sono
contemporaneamente presenti gruppi di persone
di origini, tradizioni e culture
differenti. Tutto ciò porta ad
avere un mercato multiculturale ed in esso si trovano non
solo persone ma anche prodotti provenienti da tante parti
del mondo e le cucine tipiche
di tutte le regioni di Italia e le
cucine etniche come la cucina:
giapponese, messicana, greca,
tunisina, marocchina, indiana,
sri lankese, cinese, ecc. Frutti
esotici o oggettistica particolare e unica, e l’abbigliamento.
Il multiculturale ha un fascino
particolare perché si ha la potenzialità di vivere più di 100
tipi di vita vivendone una sola.
Tutto ciò perché il rapporto con
individui di altre culture ci porta a contatto con altri modi di
essere, consuetudini e lingue.
Mettendo a confronto i nostri
sogni, progetti, o le nostre storie di vita, e la nostra visione
del mondo accorgendoci che
sono simili. Nel mondo meglio
soli o ben accompagnati?
Davide Pace
pag. 3
DiCEMBRE 2014
Usa il tuo presente per scrivere il tuo futuro
N
ell’ultima assemblea
d’istituto di mercoledì
26 novembre 2014 si è
affrontato un tema che va a
caratterizzare i sogni di ogni
alunno: il lavoro. In molti
hanno criticato quest’assemblea, perché non possono definirla tale, visto che si sono
riunite solo le classi quarte e
quinte, e sottolineando che
è un nostro diritto riunirci
insieme agli alunni delle classi più piccole, molti hanno
avanzato la solita lamentela,
che secondo loro, li condanna ingiustamente, dicendo
che per colpa degli alunni
della sede centrale, che ogni
volta durante le assemblee
d’istituto si ritirano nelle proprie classi senza partecipare
attivamente, rendono vano il
motivo di riunirsi tutti in una
sola sede e di conseguenza
costringendo la sede succursale a svolgere un’assemblea separata dall’altra sede.
Ciò ha distolto l’attenzione
sul tema dell’assemblea. Ad
aprire l’assemblea è stato il
discorso del Preside Saitta
basato sul motto di “rubare il
mestiere” sottolineando che
solo i più furbi riusciranno a
fare strada se saranno scaltri a rubare l’arte a chi ce la
insegna. Non importa quanto sei bravo a scuola, quello
che conta e avere la volontà
d’imparare un mestiere che
anche se comporta dei sacrifici sia ben remunerato.
Dopo la sua introduzione,
è intervenuto il Professore
Floridia seguito dalla Prof.ssa
Gallese. Per prima il professore ha sottolineato quanto
è importante mettere passione nelle cose che facciamo. L’ingrediente segreto
in ogni ricetta è l’amore, se
metti amore e passione in
tutto ciò che fai sicuramente
ti riuscirà tutto alla perfezione. Invece la professoressa
ci ha suggerito di ricercare la
qualità nel lavoro che faccia-
mo piuttosto che la quantità.
Nel senso che è meglio ricercare un lavoro con una paga
più bassa ma dove possiamo
imparare molto, e dove possiamo arricchire il nostro bagaglio culturale, che ricercare un lavoro ben remunerato
dove in cambio ci spetta solo
lavorare senza apprendere
nuove conoscenze e competenze. Anche se si intravedeva qualche smorfia sulla faccia di qualche alunno, infatti
c‘è chi sostiene che i datori
di lavoro che retribuiscono
bene il proprio personale,
che non bada alla spesa pur
che la quantità del personale
sia sufficiente ad esaudire i
desideri di ogni cliente, e lo
stesso imprenditore che invoglia il proprio staff in modo
che dia il massimo, non solo
in modo carismatico ma formandolo professionalmente
dal punto di vista lavorativo. Proprio chi ha a cuore la
propria azienda, è ha cura
del suo successo economi-
co, tiene profondamente alla
formazione e alle competenze dei dipendenti che ci lavorano all’interno. Per questo
alcuni ragazzi ritenevano che
solitamente il lavoro di “qualità” combacia con quello di
“quantità” perché chi non
paga bene i propri dipendenti e non valorizza il loro lavoro e non tiene alla formazione del personale, combacia
con quel datore di lavoro, un
po’ ignorante che non capisce qual è il bene della sua
sone comuni come noi, ed anche a
loro è permesso sbagliare. Solo che
a volte dimentico questo, perché li
vediamo correggere i nostri errori,
e l’individuano da lontano, quegli
stessi errori che noi non avremmo
visto per secoli. Vi capita mai che
un espressione non vi riesce e pure
se l’avete riguardata mille volte ma
non trovate mai l’errore? Poi dopo
che il professore la corregge vi accorgete di quanto era stupido
quell’errore. Ecco, sono cosi bravi
che dimentichiamo che anche loro
possono sbagliare. Ecco a volte la
cosa più difficile e proprio quella
di riconoscere i propri errori, nel
senso di individuarli. Io riconosco
il mio, sento di aver sbagliato attaccando i professori, con quell’articolo, ma sostengo che non tutta la
colpa sia mia. Può anche essere
vero il fatto che a volte vediamo
nemici da per tutto quando non è
cosi. Però è anche vero che qualche
professore a volte esagera. Io credo
che i sentimenti siano il lievito delle nostre azioni e che molte volte e
facile fraintendere una cosa per
un’altra quando si è arrabbiati.
Ecco quando mi sento ferito è facile anche che io reagisca in malo
modo, e se ho deciso di riscrivere
era per dirvi che ho capito che ho
sbagliato ad essere cosi poco indulgente. Voglio precisare che a volte
può capitare che la colpa non sia
solo degli alunni. Io pure come il
preside sogno una scuola migliore,
e condivido in parte quello che a
detto nella sua intervista. Può essere vero che infondo siamo noi a
“portare la vespa” ma bisogna tener conto che alcuni professori non
ce lo permettono. Come è anche
vero che non è una scuola super accessoriata o super nuova non ci
renda felici, però se lo fosse ci invoglierebbe a venire. Le cose belle,
o le cose che ci vengono poste da
un punto di vista migliore come
quello di studiare sul tablet, possono indurre noi ragazzi ad avere più
voglia di studiare. Ma a volte non è
solo colpa degli alunni se non mostrano interesse verso una materia.
Per esempio io sono sempre stato
un ragazzo che non ha avuto mai
una grande passione per l’italiano,
per la lettura e per la scrittura, eppure oggi grazie al mio docente
d’italiano sono qua a scrivere un
articolo di giornale. La cosa più
bella che può avere un professore è
il carisma, far vedere la vita da una
prospettiva diversa, facendo prendere ogni cosa che si fa come un
gioco più che un lavoro. Mettere
davanti ai ragazzi una prospettiva
diversa in tutto quello che si fa, facendo capire loro che fare le cose
con gioia le rende più belle. Come
per esempio vivere: che si può presentare come la cosa più bella al
mondo, respirare e sentirsi liberi,
l’insieme di tutte le gioie che
aspettano solo che noi le gustiamo.
Oppure possiamo presentare la vita
come un insieme di sofferenze e
sacrifici, come se la vita fosse una
matrigna che ci pone solo tanti
ostacoli da superare: la scuola, il
lavoro, la convivenza con gli altri e
per concludere un ininterrotto
stress. Questi sono due modi diversi di come vedere la vita, e allo
stesso modo ci sono due modi diversi di presentare una materia.
Non è da tutti sapere come dare
questa prospettiva ai ragazzi. Ma la
cosa principale per farlo è avere un
buon rapporto con loro. Avere un
buon rapporto con loro non vuol
dire avere a che fare con dei numeri chiamati alunni. Ma avere un
buon rapporto con loro vuol dire
avere a che fare con delle persone.
Noi ragazzi non siamo molto mal-
leabili (nel senso che non si riesce
a lavorare facilmente con noi quando siamo particolarmente svogliati), come il fatto che abbiamo una
certa “non curanza” delle regole
per esempio. In compenso oltre al
fatto di avere altri mille difetti,
però siamo facilmente condizionabili, siamo abbastanza ricattabili e
siamo semplici da persuadere. Un
bravo professore sfrutta ciò per farsi ascoltare. Una volta mi dissero
che la vera persona autorevole è
quella che riesce a far rispettare la
propria autorità senza esercitarla.
Diciamo che noi alunni preferiamo
i professori che si pongono sul nostro livello mettendosi dalla nostra
parte, ma che però allo stesso tempo si fanno rispettare. Io catalogo i
professori in tre categorie diverse.
Nella prima categoria rientrano
tutti i professori che entrano in
classe, entrando si rapportano con
persone come loro (gli alunni), e
non si pongono ad un livello più
alto ma si collocano al loro stesso
livello (le persone), facendosi rispettare. Nella seconda troviamo
quei professori che entrano in classe e non hanno a che fare con persone ma con una specie inferiore,
gli alunni, in realtà non siamo noi
gli inferiori, sono i professori che
si pongono un gradino più in alto,
per impugnare la loro autorità in
modo da farla rispettare, ponendo
un rapporto semi-aperto con i ragazzi che si limita a stento al conseguimento dell’insegnamento e
dell’apprendimento della materia
senza trasmettere passione o sentimento ai ragazzi. Nella terza ritroviamo la fecce dei professori, quella che entra e non va a rapportarsi
con persone o alunni, ma entra per
avere a che fare con dei numeri.
Questa categoria di professori purtroppo non ha capito cosa vuol dire
insegnare. La cosa più strana è che
non è difficile capire quale la mansione che svolge l’insegnante.
Come dice la stessa parola insegnante induce a pensare che il suo
compito è quello d’insegnare!!!
Purtroppo questi professori invece
credono di trovarsi a scuola solo
per valutare o giudicare, nel senso
di dare un giudizio a quei numeri
(chiamati alunni) che si sono ritrovati nel registro. Hanno dimenticato che sono lì per insegnare ai ragazzi e infine valutarli su quello
che hanno imparato e che è anche il
loro operato. Parlo di questa rara
specie (per fortuna è rara) che
quando entra in classe sostituisce
la vivacità dei ragazzi con l’indisposizione all’ascolto. Reputandoli
bambini instaurando con i ragazzi
un rapporto abbastanza scontroso
da non permettere un soddisfacente proseguimento didattico da entrambe le parti. Io non ce l’ho con i
professori. Ma mi è capitato spesso
che alcuni di loro mi hanno profondamente offeso, inoltre il loro atteggiamento non solo è stato offensivo, ma porta gli alunni al
desiderio di abbandonare gli studi.
Cosa che non dovrebbe succedere.
Un insegnante che esorta gli alunni
a non venire più a scuola è come un
padre che rinnega il proprio figlio,
e in questo caso ha fallito la sua
missione. Non penso che all’alber-
azienda, che non invoglia il
personale e non lo istruisce.
Ma quello che la prof.ssa intendeva era proprio questo
e quindi suggerisce a tutti gli
alunni di ricercare un buon
datore di lavoro, anziché
accontentarsi di chi vi assume per un misero stipendio
sfruttando il fatto di non farvi
smuovere un passo da casa.
Sembrerebbe che questo
tema non abbia niente a che
fare con i sogni, perché quando si parla di lavoro, ormai è
un incubo, forse perché esso
viene visto come un’enorme
fatica, come lo è un’enorme
fatica trovarlo (il lavoro). Ma
con il termine lavoro non
intendiamo l’ammasso delle fatiche che giornalmente compie un uomo, ma la
fonte di remunerazione per
il raggiungimento dei propri
sogni. L’alberghiero rimane
una delle poche scuole che ti
apre una speranza sul lavoro,
al contrario delle altre. Per
questo i professori con questo nuovo tipo di assemblea,
con la visione del film “tutta
la vita d’avanti” hanno voluto
proiettarci, ad aprire gli occhi
per farci capire che siamo noi
a scrivere il nostro futuro;
hanno voluto indirizzarci a
scrivere, su quel foglio che ci
chiede: se ciò che scrivi si avvererà, come scriverai il tuo
futuro? Scrivilo...…
Salvatore Spina
Professori tutti uguali? Qualche vecchia conoscenza ne individua tre tipi!
V
olevo porgermi le mie più
sentite scuse per il mio primo articolo. Avete conosciuto una delle mie penne più
dure, l’unico sfogo di un alunno
arrabbiato che non ha trovato il
modo di liberarsi da un peso, oltre
al fatto di comunicarlo anonimamente. Vi porgo le mie scuse perché non volevo criticare nessuno in
quell’articolo, solo che in quel momento essendo arrabbiato, scrivere
è stato l’unico modo per sfogarmi.
In realtà è che ho una mia idea dei
professori. Li considero le persone
più eccelse di tutti che svolgono il
ruolo più importante in tutta la società. Perché loro hanno in mano la
sorte della formazione e dell’istruzione delle persone che scriveranno la storia di domani, (dato che
ormai i genitori sono quasi sempre
assenti nell’educazione dei figli a
causa dei troppi impegni e del lavoro). Mi spiego meglio. Loro plasmeranno gli uomini e le donne dei
prossimi anni,(che saremo noi).
Loro hanno il potere di creare un
mondo migliore, se vogliono. Sono
quelle persone responsabili della
nostra crescita che devono trasmetterci non solo sapienza ma i veri
principi e valori della vita. Hanno
l’arma per costruire un futuro migliore, quell’arma siamo noi, ma
sta a loro di ricaricarci con le munizioni giuste. Come ho detto prima:
per me il professore è la persona
che ricopre il ruolo più importante
nella società, e per questo (secondo
me) non potrebbero permettersi di
sbagliare. Io ho una alta considerazione dei professori, anche se
nell’ultimo articolo non sembrava.
Io li reputo la sfera di persone più
colta e superiore al resto delle altre,
perché loro non sbagliano. Mi correggo, sbagliano raramente. Perché
infine non sono degli “dei” ma per-
ghiero ci siano professori del genere (forse). Ma è inammissibile che
un professore non invogli i ragazzi
allo studio perché è come un rappresentante porta a porta che ha il
compito di vendere un prodotto e
consiglia ai clienti di non comprarlo. In questo istituto la maggior
parte dei professori che conosco è
in gamba. Li ringrazio per tutto
quello che fanno per noi. Queste
cose non erano rivolte a loro, volevo solo raccontarvi come sogno
la mia scuola, una scuola multimediale dove l’unica carta che gira
è quella delle banconote per pagare
i panini; dove il rapporto professori-alunni sia molto più cordiale e
dove gli alunni capiscano veramente perché sono a scuola. Mi
scuso nuovamente se ho offeso
qualcuno, ricordo solo che se l’ho
fatto non era mia intenzione. Per
concludere volevo complimentarmi con il Professore Sergio Dimartino, per la sua sapienza che ci ha
trasmesso con il suo articolo “ma
perché devo proprio andare a scuola?”. I miei complimenti a tutti i
ragazzi della redazione, e un ringraziamento al prof. Ternullo che
ha svolto un ottimo lavoro nel dare
una voce alla scuola.
Il Dissennatore
(articolo dell’anno 2013/2014)
pag. 4
DiCEMBRE 2014
Giovani di oggi sempre piu sbandati e disorientati, ma quale è il problema di fondo?
I
l termine “nichilismo” deriva
dal latino “nihil” e significa
“nulla”, è una dottrina filosofica basata sulla negazione
di uno o più aspetti significativi della vita quali: il mondo,
l’esistenza umana che diventa
pian piano priva di senso o
scopo alcuno, dove la verità diventa incomprensibile. Nichilismo potrebbe altrimenti dirsi
“disfattismo”. I soggetti più
colpiti da codesto “nichilismo”
siamo proprio noi… i giovani.
Il nichilismo si esprime in
disagio esistenziale. Siamo
difficili da capire, ci sentiamo come “schiacciati” da un
presente annebbiato quando
si parla d’intravedere la strada del nostro futuro, totalmente incapaci d’assumere
gli impegni e responsabilità .
Di fronte a questo problema
le famiglie si allarmano, la
scuola non ha idea di cosa fare,
soltanto il mercato sembra interessarsi a noi per condurci
sulle vie dello svago, il diver-
timento, la spensieratezza ed
il consumo quando, in realtà,
l’unica cosa che stiamo consumando non sono tanto gli oggetti che le mode, le tendenze,
i media, la pubblicità, internet
e tutti le fonti di comunicazione c’inducono a comprare,
né tanto meno gli oggetti che
c’invitano a possedere e che
puntualmente, anno dopo
anno, diventano obsoleti…
In questo modo non stiamo
facendo altro che consumare le nostre vite, non riuscia-
Il giorno in cui fu abolito il calcio
racconto di
Orazio Lasagna
F
aceva freddo, ma il sole
splendeva e i suoi raggi
balenavano attraverso
la vetrata.
«Guarda
qui!»,
disse
Franco con aria perplessa,
osservando il titolo d’apertura
della testata giornalistica.
«Un attimo, per cortesia…»,
rispose Pasquale, ancora preso
della solita stizza mattutina –
ammettetelo, la mattina siamo
tutti sopraffatti da un certo
nervosismo, probabilmente
perché strappati bruscamente
al sonno dall’odiato squillo di
quell’ancor più odiata sveglia
– «… lasciami almeno il tempo di gustare un buon caffè!».
«Paga il conto e vieni qui! È
successa una cosa impensabile
(ma che dico?), sotto certi
versi inconcepibile!».
«Un
momento,
un
momento… Cosa sarà mai
successo di così incredibile?
E parla piano: ti sentono tutti!».
«Ancora lì stai? È una cosa
importantissima, la realtà
come la conosciamo non
esiste più!».
«Addirittura?!»,
Pasquale
cominciò a preoccuparsi, rare
volte aveva visto l’amico così
agitato, forse una soltanto,
quando Martina, la figlioletta, si era smarrita al parco e
c’erano volute tre ore per ritrovarla, ma non tre ore così,
quelle tre ore, d’ansia e disperazione, furono un inferno.
«Tenga signorina… anche il
resto». Si recò al tavolino sul
quale era appoggiato il giornale, ancora fisso sulla prima
pagina, e sul quale, ormai da
qualche minuto, Franco stava chino. «Fammi leggere»,
disse, ormai persuaso che le
preoccupazioni dell’amico
fossero fondate. Posò gli occhi sulla frase che fungeva da
titolo: quelle parole, scritte a
caratteri cubitali, lo disorientarono momentaneamente.
Esplose, come se qualcosa
dentro lui fosse lievitata, fino
a raggiungere la pressione di
rottura: «IL CALCIO È STATO ABOLITO! IL CALCIO
È STATO ABOLITO!»
«Esatto!», intervenne Franco.
«Mi viene da pensare che non
ci sia più alcuna ragione per
vivere… Però per il momento sarebbe cosa migliore se
anche tu non urlassi… Non
vorrai mica creare il panico
generale?».
Intanto, dietro al bancone, la
giovane e appetibile barista
pensò alla sua condizione, a
come forse qualcosa, o qualcuno, controllasse gli episodi
della sua esistenza, divertendosi a suo discapito; ogni
giorno le era riservata qualche avventura…
Franco continuò verso l’amico: «Pensa… Niente più
anticipi, o posticipi, niente
più serate davanti al televisore con un buon scotch in una
mano e un sigaro nell’altra,
ovviamente riscaldati dal fuoco scoppiettante che sembra
quasi danzare nel camino».
«Come
faranno?
Quei
poveri giocatori, quei poveri
allenatori… e gli arbitri! Per
non parlare dei dirigenti!
Tutti senza un futuro!»,
Pasquale era sconvolto, il suo
volto si era fatto pallido.
«Su, dai…», Franco pensò di
rassicurarlo: «Tutto sommato
non se la passeranno tanto
male… Vedrai, sicuramente
troveranno un hobby… Almeno lo spero».
«Ti rendi conto?», Pasquale
sembrava essersi calmato,
«Ci hanno tolto tutto, ormai
cosa ci resta? Cos’altro possono prendersi?».
Pur lasciando trasparire quella cascata di retorica, Pasquale, rimase chiuso nella
dimensione mentale nella
quale si trovava, mentre a
Franco venne da pensare che,
riflettendoci, non ricordava
d’essere mai stato un tifoso
sfegatato; ovviamente qualche partita l’aveva guardata e,
naturalmente, in alcune aveva
anche esultato, ma, tutto sommato…
«NO NO, NON PUO
ESSERE! QUESTA NON
È LA REALTÀ!», Pasquale
non ragionava più, sembrava nel bel mezzo d’una crisi
isterica. A causa delle urla
tutta la gente presente si voltò
verso di lui. «COSA GUARDATE? MA NON CAPITE?
IL CALCIO… LE PARTITE…». Afferrò il tavolino e
lo sollevò, il giornale cadde
a terra, mentre tutti rimasero pietrificati. Fece qualche
passo indietro per prendere la
rincorsa, lo lanciò, il tavolino percosse qualche metro a
mezz’aria per poi scaraventarsi sul pavimento. Fortunatamente non colpì nessuno.
«CHIAMATE
LA
POLIZIA!», urlò qualcuno.
Qualcuno la chiamò.
Inveii contro la ragazza al
bancone: «TU SEI CALMA!
NON È VERO? A TE NON
IMPORTA!».
Lei non credeva a ciò che stava succedendo, pensò che, viste le precedenti, in una situazione del genere non poteva
non esserci, forse stavolta ci
sarebbe morta, tanto per rendere più avvincente il tutto.
Franco fissava Pasquale con
espressione seria, a tratti fie-
ra.
Arrivò la polizia, nonostante
fossero passati soltanto pochi
minuti – non c’è dato sapere
il motivo per il quale si trovassero nelle vicinanze d’un
bar –.
«PENSO
CHE
VOI
CAPIATE LA GRAVITÀ
DELLA SITUAZIONE!»,
urlò Pasquale ai poliziotti,
vedendoli entrare.
«N’è impazzito un altro…»,
disse uno dei due agenti, rivolgendosi al collega.
Riuscirono ad immobilizzarlo, lo ammanettarono e
lo scortarono verso la volante, erano vicino alla vettura
quando, nella stessa, il brusio
della ricetrasmittente proruppe in quella già confusionaria
situazione: «L’ispettore è impazzito!», esclamò la voce.
Dentro al bar la tensione andava scemando, ognuno, chi
prima, chi dopo, riprese a
fare quello che aveva interrotto.
Franco andò verso il bancone, «Un caffè, per favore».
La ragazza, dopo qualche secondo di disorientamento, gli
rispose cordialmente, com’era solita fare con i clienti:
«Certamente, subito!». Il
caffè fu pronto, lei glielo servì, minuziosa in ogni piccolo
dettaglio.
«Lei è proprio una bella
ragazza…», disse Franco,
dopo aver gustato il primo
sorso. «Somiglia tanto a mia
moglie quand’era più giovane, quando ancora frequentava l’università».
«Grazie mille», rispose lei al
complimento, con un pizzico
d’orgoglio in volto.
Poi un’idea s’accese nella
mente di Franco, pensò che,
quasi quasi, sarebbe andato a
prendere la figlia a scuola…
mo più a proiettarci verso
un futuro capace di farci
intravedere almeno un filo
di promessa, di speranza.
Svariate volte, non sappiamo
descrivere il nostro malessere perché siamo afflitti da un
“analfabetismo emotivo” che
non ci consente di riconoscere i sentimenti e soprattutto di chiamarli per nome.
“L’emozione
è
essenzialmente
relazione”
diceva
Daniel
Goleman.
L’emozione non è malinconia, né la frantumazione
dell’anima, né tanto meno
sconsolato
abbandono.
L’emozione è il sentimento essenziale della persona, alimenta la propria forza
d’animo e dovrebbe essere l’unica ispirazione per le
scelte necessarie al fine di
rimanere sempre sé stessi.
D’altra parte il sentimento è
quella forza che riconosciamo
prima di ogni decisione quando dopo aver minuziosamente
analizzato tutti i possibili pro
e i contro di una situazione,
attraverso la razionalizzazione delle possibili conseguenze
delle nostre azioni, si decide,
perché tra una scelta e l’altra, in una ci si sentirà a casa.
Guai a decidere per convenienza o per debolezza, una scelta
non è che nostra, e non si può
essere stranieri della propria
vita, la forza d’animo è quindi la
forza del sentimento che ci difende da questa estraneità e ci
fa sentire finalmente… a casa.
Come sconfiggere il nichilismo?
Secondo
Galimberti
l’unico
modo per sconfiggere il nichilismo è innamorarsi della vita,
appassionarsi e scoprire “l’arte
di vivere” una vita che abbia
valori e non solo smarrimento.
Julian Florentin
Stage a Londra
Reportage dell’esperienza fatta dai
ragazzi della nostra scuola
V
iaggiare è sempre
un’esperienza affascinante che ci arricchisce facendoci conoscere
nuovi luoghi, persone diverse e permettendoci di vivere
esperienze che solo chi ha lo
zaino in spalla può vantare.
Ed è ancora più bello quando si viaggia in compagnia
perché tutto si condivide
e le esperienze si moltiplicano. Quest’estate, dal 24
agosto al 21 settembre,
16 ragazzi meritevoli della
nostra scuola hanno avuto
l’opportunità di fare una vacanza-studio a Londra grazie al progetto PON C1 completamente a costo zero per
gli studenti. Accompagnati
dai prof. Iacono, Dimartino, Pulici e Tamburino,
abbiamo iniziato questa
meravigliosa esperienza. La
parte più importante è stato il corso giornaliero alla
Delfin English School dove
degli insegnanti madrelingua hanno notevolmente
migliorato la nostra conoscenza della lingua trasformando le lezioni in scoperta e trasmettendoci sempre
più voglia di imparare.
Per spostarci per la città
usavamo i trasporti pubblici come l’autobus rigorosamente rosso e a due
piani e la metropolitana,
chiamata The Tube, puntuale e veloce. Con i mezzi
pubblici potevamo andare
per tutta Londra, abbiamo
infatti visitato diversi musei come Natural History
Museum e British Museum
(due fra i più belli al mondo), National Gallery (con
quadri di Vincent V. Gogh
e Leonardo Da Vinci), Tate
Modern, ed anche diversi
altri monumenti e luoghi
come House of Parliament,
Torre di Londra, l’abbazia di
Westminster, la colonna del
generale Nelson, Madame
Tussauds ecc. Cambridge,
Oxford, Stonehenge, Greenwich e Windsor sono
state le mete dei weekend.
Durante il tempo libero invece andavamo in quei magnifici parchi verdi, immensi e ben tenuti per stare a
contatto con la natura, rilassarci o fare un giro in bici.
Per vivere a 360° l’esperienza siamo stati ospitati da
English families che ci hanno quasi adottato: ci sentivamo infatti membri nonostante quei piccoli problemi
quotidiani. Gli ultimi giorni abbiamo sostenuto un
esame Trinity e con nostra
grande soddisfazione siamo stati tutti promossi.
Quest’esperienza ci ha fatto conoscere una realtà a
noi sconosciuta, dove sicuramente molti di noi in
futuro ritorneranno per
lavorare o anche solo per
rivedere quei posti che ci
hanno regalato tante emozioni. Dunque non vale
forse la pena riprendere
i libri per poter usufruire
di queste opportunità?
Giuseppe Cavallo
Orazio Leone
pag. 5
DiCEMBRE 2014
V
Il fine comune dell’uomo
i siete mai chiesti perché
l’uomo esiste? Quale il suo
fine sulla terra? Che senso ha la vita? Ma soprattutto c’è
una risposta per ognuna di queste
domande? Risposte soggettive ce
ne saranno a migliaia ma qual è
quella oggettiva? Ma innanzitutto cos’è che rende una risposta
oggettiva? In Italiano per oggettività si intende qualcosa di concreto, che si fonda su dati e cose
sperimentabili: diagnosi, analisi
o un obbiettivo imparziale che si
attiene ai fatti senza l’intervento
del soggetto. Quindi possiamo
dire che una delle poche che ci
può aiutare è la scienza. Essa ha la
funzione di spiegare e rispondere
alle domande che l’uomo si pone.
Infatti per scienza si intende un
sistema di conoscenze, ottenute
attraverso una ricerca organizzata
e con procedimenti rigorosi, allo
scopo di giungere alla descrizione, verosimile e oggettiva della
realtà. Essa si basa su quattro fasi.
Guarda caso la prima sta nel porsi
una domanda, la seconda e l’osservazione del fenomeno che ha
causato la domanda, la terza e
teorizzare o ipotizzare la soluzione al problema o alla domanda
precedentemente posta, e in fine
sperimentare se ciò che si è concretizzato e attinente alla realtà.
Abbiamo diversi tipi di scienza,
essi si differenziano in base ai diversi tipi di fenomeni che studiano.
Diciamo che una delle scienze che
studia le domande esistenziali
dell’uomo è proprio la letteratura.
Ma prima di addentrarci nel discorso voglio evidenziare il tema
del messaggio e della questione
che vi lancio. La premessa si basa
sulle domande della crisi esistenziale che Kafka, (l’autore del
racconto della metamorfosi pubblicato da Martina Incardona nel
secondo numero del Grimaldello,) porta a farci. Perché noi siamo
persone che vogliamo apparire?
Gli altri ci accettano per quello
che siamo? E noi? Ci accettiamo
o cerchiamo di apparire? Chi siamo veramente noi? E così via…
È
fondamentale partire da
Kafka perché rappresenta una
delle tante risposte (soggettive)
a questo problema, e quindi
rappresenta la figura letteraria
in questo contesto. Ma il vero
quesito che questo argomento ci pone è proprio questo:
perché Kafka é un letterario?
Chiunque scrive allora è un letterato? Chi è che decide ciò che
è letteratura e ciò che non lo è?
Kafka attraverso la letteratura ci
esprime la sua visione sulla vita
e sulla condizione esistenziale
dell’uomo, ma anche attraverso
altri suoi racconti ci fa capire che
non c’è una vera risposta al perché
l’uomo è condannato a vivere una
misera vita crudele piena di sofferenza e fatiche senza doverne
capire il motivo. Un altro che ci ripropone questa visione è Leopardi. Ma peccato che la letteratura
non è una scienza (esatta) e quindi non può darci risposte oggettive, visto che dall’altro lato (della
letteratura) abbiamo Wilde che ci
propone una prospettiva diversa
della visione della vita rispetto a
quella che hanno i due poeti precedenti. In Kafka e Leopardi possiamo notare un scarsa autostima
da parte di entrambi, una vera e
propria difficoltà nel rapportarsi
CERCHIAMO TE!
Il Grimaldello vuole che tutti collaborino alla sua realizzazione: alunni, docenti, personale della scuola.
Chiunque voglia dare voce alle proprie idee qui troverà spazio adeguato. Non esitate a scriverci e a scrivere!
[email protected]
con gli altri, quasi quasi non come
difficoltà ma come una repulsione
per i rapporti umani se prendiamo come spunto il racconto di Leopardi “Il Dialogo tra la Natura e
un Islandese”. Al contrario di Leopardi, Wilde è l’esatto contrario di
Kafka come filosofia di vita. Wilde
viveva per apparire e conduceva
una vita da esteta vivendo secondo l’edonismo, quando Kafka invece era un umile impiegato che
conduceva una vita anonima quasi in solitudine, rifugiandosi nella
scrittura. Ma vediamo qual è la visione che Wilde ci offre della vita.
Per Wilde l’unica cosa che conta
è apparire, per lui solo i mediocri
non giudicano dalle apparenze, e
per concludere il suo concetto di
vita si basa sull’edonismo, quella
concezione filosofica che mette
come meta suprema della vita il
piacere. Avremmo potuto citare
molti altri letterati che ci propongono altri modelli di vita e altre risposte soggettive su cosa è la vita.
Ma questi già ci bastano. Analizzando gli scrittori sotto un profilo psicologico possiamo dire che
le persone che hanno una bassa
autostima di se stessi riscontrano
molti problemi nel relazionarsi
con gli altri, ciò comporta loro di
farli vivere in un clima di solitudine. La solitudine li divora dentro
portandoli ha dei ragionamenti
che li conducono in una depressione cosi profonda che li rende
sensibilissimi. Il fulcro di quei ragionamenti non sono altro che
l’insieme di tutte le domande esistenziali che l’uomo si pone, che
affrontate in un clima di solitudine e depressione non fanno altro
che creare una vera e propria crisi
esistenziale dando un colore grigio alla vita e rendendola vana e
senza senso. Da solo l’uomo non
riesce ad essere felice. Ma quando si trova in questa situazione
non riesce a percepirlo. È come
qualcuno che va cavalcando di
qua e di là per cercare il proprio
cavallo e non vede che c’è seduto
sopra. La sua convinzione infatti è
quella che la società non lo accetti, e quindi ciò lo fa stare male. Per
fuggire da questo male si rifugia
nella sua solitudine e inizia a lacerarsi dentro. Rimanendo da solo si
convince ancora di più che non è
in grado di farsi accettare, facendo
arrivare la sua autostima ad un livello sotto lo zero. Ma il problema
reale è che non si accetta lui stesso, e non se ne accorge. Non ac-
cettandosi sta male, più di quanto
gli farebbe male stare in società.
E quando una persona cade in
questa crisi esistenziale, è perché
non ha più la speranza, di ricreare
(o creare) rapporti, di aver fiducia
in se stesso, cadendo in tutti quei
ragionamenti che nella situazione
in cui è, trovano una sola risposta
comune: la vita non ha senso anzi
è malvagia (matrigna) perché mi
fa soffrire! Dal profilo psicologico
di Wilde riscontriamo lo stesso
profilo di molti giovani dei nostri
giorni. Non contenti di ciò che si
ha si va alla ricerca del piacere
CREDENDO che esso (cioè il piacere) ci dia la felicità. Questa è
un’altra prospettiva che ci conduce ad un fallimento esistenziale,
che anche Wilde ci racconterà alla
fine del romanzo “Il ritratto di Dorian Grey” . In che senso? Wilde
ci porta ad un ragionamento che
ci fa capire che la ricerca è vana.
È vana perché il protagonista si
stanca di questa inesauribile ricerca, perché in realtà lui cerca la
felicità, non il piacere. Il piacere
non gli da più la felicità e quindi si
stanca di cercare. Anche se avessimo riportato i pensieri di altri
letterari, avremmo trovato solo risposte soggettive. Ma ha noi non
servono, perché ognuno di noi
ha un modo di verso di vedere le
cose, un modo diverso di pensare
e quindi non possiamo stabilire
chi ha ragione e chi no. Ma proviamo noi ad analizzare il caso senza
basarci sui pensieri di altri. Possiamo dire che l’uomo ha un obiettivo comune. La felicità. Tutti vogliono essere felici. Credo che su
questo non ci siano dubbi. Ma potrebbe mai essere che qualcuno
non voglia essere felice? Boh e chi
lo sa? Comunque io credo di no…
L’uomo sente da sempre l’esigenza di essere felice, perciò ognuno
di noi si getta nella ricerca della
felicità, ma da sempre fino ad
oggi mai nessuno la veramente trovata? Nessuno ci scrive di
aver trovato la felicità? Nessuno ci da la giusta prospettiva di
vita? Nessuno!!! Ma è naturale
che nessuno lo scrive nessuno
ci dice di averla trovata. Ma se
qualcuno trovasse un tesoro lo
verrebbe a raccontare a noi dove
si trova? No, mai! Quindi è possibile che i più grandi letterati
sono quelle persone che hanno
passato una vita diciamo non abbastanza felice, perché chi è felice non ce lo viene a raccontare.
Ciò non significa che tutti i letterati non abbiano mai vissuto una
vita felice, o che chi è felice non
può essere un letterato, perché
non possiede la stessa sensibilità
di chi a sofferto. Anzi forse le persone più felici sono proprio quelle
che hanno sofferto tantissimo. Un
sentimento esiste se, e solo se,
esiste il suo sentimento opposto.
Chi non conosce la sofferenza non
sa cosa vuol dire soffrire e quindi vivere bene per lui è una cosa
scontata, anzi si lamenta per ogni
piccola fesseria. Se ad un bambino soldato lo condannassero a
vivere la nostra faticosissima vita,
lui sarebbe felice, per noi invece
è una condanna alzarsi presto
per venire a scuola assillati da
professori che ci scocciano tutti i
giorni rovinandoci l’esistenza con
le stress dello studio. Il bambino
soldato sarebbe felice perché ha
conosciuto la sofferenza. Noi che
invece abbiamo la felicità in mano
non ce ne accorgiamo perché non
abbiamo mai sofferto. Non troverete mai qualcuno che vi darà la
prospettiva di come si vive perché
anche se ve la dà, o la scrive o la
spiega non riusciremmo a percepirla, anzi forse gli daremmo del
pazzo. La felicità sta dentro ad
ognuno di noi e per questo che
chi esce fuori a cercarla non la troverà mai. La felicità sta nelle persone accanto a noi, sono loro che
riescono a renderci felici, e senza
di loro non riusciremmo mai ad
esserlo. Per questo la solitudine è
una brutta bestia, ma utile perché
ti fa riscoprire quanto è bello stare con i propri amici, con il fidanzato o la fidanzata e tutte le altre
persone che ti vogliono bene.
Ora uno che legge dirà troppo
semplice la felicità, non è questa
la felicità. La felicità sono i successi, le ricchezze, il potere, ecc.
No caro mio no. Questo è quello
che ti vogliono far credere. Si può
essere felici anche senza avere
queste cose, perché può darsi
che i ricchi siano felici, ma non
lo sono. La felicità sta nel cogliere l’attimo che stai vivendo come
un regalo non come qualcosa che
ti tocca, prendi la tua vita come
un dono non come un imposizione e sarai felice, guardala sotto
questo punto di vista e vivrai meglio perché la vita è un riflesso ti
sorride se la guardi sorridendo.
Salvatore Spina
Il Grimaldello è un periodico di informazione scolastica dell’IPSSEOA e ASR “P.pi Grimaldi” di Modica. La
distribuzione in formato elettronico è gratuita.
REDAZIONE
Salvatore Spina (5ER)
Davide Pace (5ER)
Miriana Colombo (5BR)
Giuseppe Guastella (5BR)
Orazio Lasagna (5AT)
Miriam Filoramo(5AT)
Salvatore Terranova(5AR)
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Per informazioni, per consegnare lettere, testi o articoli, per qualunque altra richiesta o chiarimento, oltre che scrivendo agli indirizzi sopra indicati, si possono contattare direttamente i componenti della redazione, il prof. Domenico Ternullo o la prof.ssa Marisa
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Articoli e foto non di dominio pubblico contenuti in
questo numero sono da considerarsi di proprietà
dell’IPPSSEOA e ASR “P.pi Grimaldi” di Modica.
Coordinamento: prof. Domenico Ternullo e Salvatore
Spina (per ogni errore o imprecisione, prendetevela
con loro)
Impaginazione: Salvatore Spina
Questo numero è stato chiuso in redazione il
20 dicembre 2014.