grimaldello 04 - Istituto Principi Grimaldi
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grimaldello 04 - Istituto Principi Grimaldi
Non parti per una guerra se non sei sicuro di vincerla (unknow) Periodico di informazione dell’IPSSEOA “P.pi Grimaldi” di Modica - Numero 4 - Dicembre 2014 - Distribuzione gratuita in formato elettronico Editoriale Ricomincia l’avventura C ome l’anno scorso ritorna anche quest’anno il Grimaldello. La maggior parte degli alunni lo conosce (forse per sentito dire, perché dubitiamo un po’ che molti di voi l’abbiano letto), ma i nuovi arrivati non sapranno nemmeno che cos’è. Il Grimaldello è il giornalino del nostro istituto, che ruba la verità per esibirla a tutta la scuola. Una verità che racconta tutto ciò che ci elogia rispetto agli altri istituti. Il nostro giornale “ruba” la verità proprio perché il suo nome deriva dall’utensile che veniva usato dai ladri per scassinare le case. Potremmo utilizzare il grimaldello per rubare anche quelle opinioni un po’ timide che ci possono dare una critica che aiuti la crescita di tutta la scuola. Qualsiasi alunno può partecipare alla sua realizzazione contribuendo con qualche articolo. Gli articoli possono parlare di qualunque cosa (inerente alla scuola) come attività extracurriculari, gite, assemblee, visite aziendali, note disciplinari e le critiche di chi è più esigente nei confronti di questa scuola o di chi invece vuole complimentarsi con chi s’impegna per la buona riuscita di un altro anno scolastico. Noi principalmente raccontiamo e mettiamo chiunque al corrente di ciò che succede in questa struttura e di come essa è costituita. Cerchiamo di proiettare agli altri un’immagine bella della nostra scuola perché a noi piace la nostra scuola; se a volte leggerete qualche critica su di essa non è un’accusa ma soltanto il punto di vista di qualche alunno che vive la scuola come un’esperienza negativa e non positiva. Questo ci dispiace, credo che dispiaccia a tutti che qualcuno veda la scuola in modo negativo, e se questo qualcuno vuole comunicarcelo noi non possiamo assolutamente rifiutare la sua critica. Quindi se qualcuno accusa o rimprovera qualcosa, ammettiamo di essere umani, e quindi come tutti gli altri anche noi possiamo sbagliare ma il suggerimento principale che questo giornalino lancia a chi ha molto da lamentarsi è proprio quello di cercare le soluzioni ai problemi, non di avanzarli solo per il piacere di fare polemica, e di riconoscere l’impegno di chi ogni giorno si alza per assicurarci l’istruzione e i servizi di cui noi alunni abbiamo bisogno. Ma ricordate che quando uno si lamenta di ogni cosa, e non riesce a trovarne una giusta, da elogiare o su cui non può lamentarsi, vuol dire che è lui che vede le cose nel modo sbagliato. Speriamo per ognuno di voi che riusciate a cogliere sempre il meglio, non solo da questa scuola e da questo giornalino, ma della vostra vita. Con la prima edizione di quest’anno, noi della redazione cogliamo l’occasione di augurare a tutti un buon anno scolastico, e una piacevole lettura. Salvatore Spina S I nuovi rappresentanti d’istituto abato 8 novembre 2014 si sono tenute le elezioni dei nuovi rappresentanti d’istituto. Sono state presentate 3 liste e di queste, sono stati eletti: professoressa Scivoletto per le assemblee di istituto... e saprà darmi risposta durante la riunione di istituto, che si terrà a breve.” Fortunato Romeo ( lista 1) S:” I rappresentanti siamo tutti insieme adesso, non c’è una lista.” Tumino Giulia e Sciuto Vincenzo (lista 2) Se fossi ministro dell’istruzione per un giorno, qual è la prima cosa che faresti? Frisa Cristian (lista 3) Dopo essere stati eletti, noi scrittori del Grimaldello, abbiamo voluto intervistare Vincenzo Sciuto e Fortunato Romeo. Sciuto si è presentato più intellettuale, rispetto al più diretto Fortunato, che nonostante qualche piccola variazione, sembrano avere le idee molto chiare… Fortunato dice più tornei di calcio, Sciuto ribadisce più pratica. In fondo questi due rappresentanti, insieme agli altri avranno molto da lavorare per questa scuola. Dovranno cercare di tenere testa a moltissimi problemi scolastici che sembrino sovraffollarci quotidianamente. Perché avete scelto di fare i rappresentanti d’istituto? F: “Ho scelto di fare il rappresentante, soprattutto per il convitto, per migliorarlo, ma anche per migliorare la scuola in generale.” S: “Confrontandomi con Giulia Tumino, ho capito di avere delle idee in comune per il miglioramento del nostro istituto, ma ovviamente ci servirà l’aiuto di tutti.” Cosa pensate che sia un rappresentante d’istituto? F:”Mi ritengo semplicemente un portavoce.” F:”Più pratica, più gite, dare più soldi alle scuole” S:” Un portavoce, ma soprattutto un alunno comune a tutti” Ti senti un po’ leader all’interno della tua lista? F: “ Non mi sento un leader, ma una persona comune a tutti gli altri” S:” Ehm…sì, in parte sì, mi definirei soprattutto come un punto di riferimento” Quali sono gli obiettivi che vi siete posti insieme alle vostre liste per migliorare l’ambiente scolastico? F:”Ho già parlato con il preside per la Legambiente” S:” Da premettere che io solo sono il portavoce della lista e che tutto non si può cambiare subito, i problemi sono vari e uguali, che collegano un po’ tutte le liste e solo con l’aiuto di tutti noi, possiamo portare avanti e provare a realizzare questi obiettivi.” Cosa credete sia necessario aggiungere, migliorare o rimuovere all’interno del nostro Istituto? F: “ Ehm… alla centrale ci sono dei problemi, che alcuni ragazzi mi hanno segnalato, come ad esempio aggiustare il campetto, e poi vorrei proporre di fare dei tornei di calcio il pomeriggio.” S: “Di certo, secondo me, non era necessario aggiungere tutte quelle varie attrezzature che abbiamo in cucina, quando appunto abbiamo altri vari problemi della scuola, come ad esempio i termosifoni che vengono accesi tardi, o la stessa pulizia delle classi, o i banchi e le sedie che credo siano i nostri principali problemi, oppure fare le assemblee di istituto insieme, perché in fondo siamo un istituto e non dobbiamo sembrarlo solo al momento di uscire le tasse.” S:” Per quanto riguarda questo istituto metterei sempre più pratica, anche se nell’ultimo anno, hanno cercato di cambiare la situazione mettendo 8 ore al mese di pratica sia al quarto che al quinto… poi basta, credo sia un qualcosa che vada oltre le nostre competenze, quindi non so…” Ci dite una citazione per tutti i lettori del Grimaldello? F:” La vita è una, godila” S:” Vivi la vita… usa la testa” Cosa vorreste dire agli studenti che vi hanno eletto e non? F: “Che se c’è qualcosa da proporre, faremo il possibile per tenere presente le vostre idee” Vi state già muovendo insieme alla tua lista per la realizzazione di uno o più obiettivi? S:” Ringrazio chi mi ha votato, grazie per la fiducia che mi avete dato... invece per chi non mi ha votato… beh… vi farò ricredere su me stesso.” F: “Sì, ho già parlato con la Giuseppe Guastella La fantasia non guasta neanche a tavola G iorno 28 ottobre nel nostro istituto è stato organizzato dalla F.I.C. (Federazione Italiana Cuochi) un corso di formazione degli intagli di verdure indirizzato agli alunni iscritti alla federazione per acquisire una maggiore formazione nel settore. Il corso è stato presentato dal professore di enogastronomia Barone con l’assistenza del presidente Franco Di Grandi, del vicepresidente Salvatore Chessari e del presidente onorario Giovanni Carnibella della F.I.C. Il professore Barone ha mostrato ai partecipanti i diversi intagli, spiegando approfonditamente i singoli passaggi per svolgere i compiti assegnati, inoltre ha affermato che avere una tavola imbandita di cibo non decorata può essere triste per chi ama i colori, infatti è bello avere dei fiori che profumano di fresco come centro tavola, ma se i fiori sono creati da verdure il cliente apprezzerà ancor di più l’impegno dimostrato dal personale di cucina che con tanta pa- zienza e fantasia ha elaborato queste piccole opere d’arte. Questa tecnica di ottenere delle figure tridimensionali da ortaggi e da frutta è molto ricercata ed è ben retribuita. Occorre molta pratica e ci sono anche dei corsi che si tengono nei ristoranti o negli hotel. Durante il corso, che è stato autofinanziato dai partecipanti poiché la scuola non ha avuto i fondi necessari per effettuarlo, sono state realizzate diverse creazioni artistiche. La zucca è stata utilizzata per creare un vaso, mentre le altre verdure come ravanelli, finocchi, carote, mele e zucchine per creare fiori di diversi tipi. Si spera si facciano altri corsi di istruzione utili come questo, perché è stato entusiasmante e molto istruttivo dato che ha arricchito di molto il sapere di tutti i partecipanti. Gaetano Calcagno Il convitto I l convitto è una struttura annessa alla scuola. Ed ospita cinquanta ragazzi di cui quarantacinque sono del nostro istituto e gli altri cinque provengono dall’istituto musicale di Modica Bassa. Il convitto è suddiviso in dieci camere che vanno ad ospitare dai tre fino ai sette ragazzi per camera in base alla loro grandezza. Le camere si trovano al pianterreno. Infatti il convitto è suddiviso in due piani, il pianoterra e il piano inferiore. In quest’ultimo troviamo una sala giochi che comprende due bigliardini di calcio balilla, due tavoli da ping pong e un bigliardo da carambola. Nello stesso piano troviamo la sala musica e il televisore gigante. Al pianterreno oltre alle stanze c’è la direzione, dieci bagni uno per stanza, la sala colazioni, le docce che si trovano in una grande stanza, dove la mattina i convittori possono sciacquarsi la faccia, lavarsi i denti e sistemarsi i capelli. La sveglia è alle 6:30 per chi fa la doccia di mattina, invece per chi l’ha già fatta la sera, la mattina può svegliarsi verso le sette. Dopo si va a fare colazione prendendo una tazza di latte o di the accompagnato da un cornetto farcito o da crema o nutella. Quando ogni convittore ha riordinato la propria camera e il suo posto letto può tranquillamente aspettare il pullman della scuola che lo accompagna nella rispettiva sede di frequenza per svolgere il regolare orario curriculare. Terminata la scuola i convittori si riuniscono per il pranzo in sede centrale. Chi si trova già in sede è fortunato a trovarsi sul posto, per chi invece svolge le lezioni in sedi diverse, usufruisce del pullman dell’istituto per raggiungere la sede. Al refettorio si entra alle due, e il pranzo termina alle due e mezzo, finito il pranzo tutti i convittori i recano al convitto per riposare un po’. Alle quattro si ritorna alla centrale per affrontare le due ore di studio pomeridiane. Dalle 6 alle sette c’è questo spazio di tempo dedicato alle attività ludico ricreative dei ragazzi che è anteposto alla cena. Alle 19:30 si torna in convitto dove si possono fare ricerche, si può giocare, suonare, guardare film e se si può, fare anche qualche passeggiata. Dopo le dieci si va a dormire per poter poi affrontare la giornata di domani carichi e pronti. Il convitto è un bel posto per riscoprire quanto è impegnativo relazionarsi con gli altri affinché ci sia una sana convivenza, e quanto ciò sia impossibile senza il rispetto delle regole. Davide Pace Romeo Fortunato pag. 2 DiCEMBRE 2014 Expo 2015! Ma di che si tratta in realtà? D immi cosa mangi e ti dirò chi sei” Cosi diceva il famoso gastronomo francese Gean Anthelme Savaarin che scrisse nel 1825 il trattato “Fisiologia del gusto”. Ma siamo veramente cosa mangiamo? Siamo consapevoli di quello che mangiamo, di come e dove lo consumiamo? Siamo nell’era dello slow food, del finger food, del brunch, dello snack, del precotto, l’era dei programmi televisivi su come cucinare e preparare in cinque minuti un pranzo, e del “se lo faccio io potete farcela anche voi”. Ma quanti di noi sono veramente a conoscenza della provenienza e della qualità del cibo che mettiamo ogni giorno sulle nostre tavole? Che la cultura passi anche dalla tavola non è cosa nuova, il cibo è parte integrante della visione che un popolo ha del mondo, della sua struttura sociale e anche della sua storia, inconsapevolmente anche il cibo diventa così portatore di un enorme bagaglio di informazioni e si tramanda di generazione in generazione. Il cibo può diventare anche oggetto di studi psicologici, si dice che chi è dolce ama il dolce, che la carne è per gli irascibili e che i vegeterai sono rifles- sivi. Mangiare è molto più di un istinto di sopravvivenza o la soddisfazione di una necessità biologica, se ci fermiamo a cosa mangiamo e come lo facciamo, scopriremo molte cose sul nostro modo di essere. Mangiare è anche un’azione di autocura, ecco perché dovremo sempre avere sotto controllo la nostra alimentazione e prestare particolare attenzione e cura alla scelta del cibo che stiamo per addentare. Insomma, dietro un passo si trovano innumerevoli implicazioni che non riguardano solo il consumatore, ma si riferiscono a relazioni planetarie su temi legati all’agricoltura, alla salute, all’ambiente, all’utilizzo sostenibile delle risorse, alla geografia della fame e a quella dello spreco. Per que- sto le nazioni del mondo hanno pensato di dedicare la prossima esposizione universale al vastissimo tema dell’alimentazione. Expo Milano 2015 ha caratteristiche assolutamente inedite e innovative. Non solo una rassegna espositiva, ma anche un processo partecipativo che intende coinvolgere attivamente numerosi soggetti attorno ad un tema decisivo: Nutrire il Pianeta, Energia per la vita. Un evento più unico che raro che incarna un nuovo concetto di Expo: tematico, sostenibile, tecnologico e incentrato sul visitatore. Dal primo Maggio al trentuno Ottobre 2015, 184 giorni di evento, oltre 130 paesi partecipanti, un sito Espositivo sviluppato su una superficie di un milione di metri quadri per ospitare gli oltre 20 mi- lioni di visitatori previsti. I visitatori, coinvolti in prima persona in percorsi tematici e approfondimenti sul complesso mondo dell’alimentazione, hanno l’opportunità di compiere un vero e proprio viaggio intorno al mondo attraverso i sapori e le tradizioni dei popoli della terra. Expo Milano 2015 sarà la prima Esposizione della storia ad essere ricordata non solo per i manufatti realizzati ma soprattutto per il contributo al dibattito e all’educazione sull’alimentazione, sul cibo, sulle risorse a livello planetario. Il tema scelto per l’Esposizione Universale di Milano 2015 è “Nutrire il pianeta, energia della vita”. Saranno chiamate in causa le tecnologie, l’innovazione, la cultura, le tradizioni e la creatività legati al settore dell’alimentazione e del cibo. L’asse principale è il diritto ad un’alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutti gli abitanti della terra. La preoccupazione per la qualità del cibo in un mondo sempre più popolato (si calcola che nel 2050 gli abitanti della terra saranno 9 miliardi) si accompagna a scenari di un aumento dei rischi della qualità globale dei cibi disponibili. La Sicilia è la regione capofila nella gestione del Cluster Bio-Me- diterraneo (dal 1 maggio al 31 ottobre 2015) e sarà presente per sei settimane nel padiglione Italia. L’area espositiva è organizzata come un’isola circondata da un canale d’acqua ed è strutturata secondo i due assi perpendicolari della World Avenue (decumano) e del cardo, ripresi dall’architettura delle città romane. Secondo un principio di uguaglianza, tutti i padiglioni nazionali sono affacciati sul grande viale principale. La costruzione di questi portentoso evento è pari 1.200.000 euro… una cifra assai consistente finanziata interamente dalla Expo 2015 S.p.A. che sostiene, che questa cifra portentosa sarà interamente coperta dal costo dei biglietti e da altre spese per parteciparvi. Il ricavo sarà sufficiente a coprire le spese. Ma comunque, (nonostante i soliti scandali all’italiana), dobbiamo dichiararci expottimisti non per retorica o in virtù di qualche ideologia, ma perché ci sono degli elementi di fatto che ci fanno vedere questo evento sotto una luce positiva. Anzitutto perché si tratta di una reale occasione per tutti: abbiamo acquistato un format con delle regole precise, un evento anomalo in cui non c’è un unico vin- citore ma tutti vincono perché “expo è di chi se lo prende”. Non bisogna chiedere il permesso perché non c’è un organizzatore, tutti hanno la possibilità di costruire un progetto, raccontare una storia o mettere in campo un nuovo prodotto. Basti pensare che ogni settimana nascono 3 testate dedicate al tema, mentre ogni giorno nascono in media dieci loghi expo non ufficiali: ben venga se qualcuno può trarne beneficio, questa è lo spirito di expo Milano 2015! TOGHETHER IN EXPO 2015#TRIAL 2015 Non dobbiamo dimenticare, inoltre, l’evento organizzato dal Ministero dell’istruzione, TOGHETHER IN EXPO 2015 in cui si offre alle squadre partecipanti una competizione internazionale tramite lo svolgimento di “missioni” che possono consentire alle squadre migliori di vincere un viaggio all’expo, ma lo scopo di questo progetto è quello di farci riflettere sulla sostenibilità dei nostri stili di vita e delle nostre abitudini alimentari. Milano ci attende. È un’occasione imperdibile! Gaetano Bommarito Diversità culturale! Italia paese multietnico sa accettare queste diversità? I n Italia la diversità culturale viene sottovalutata, al contrario di altre nazioni come la Francia o gli Stati Uniti, dove ormai hanno appreso in pieno il suo significato. Diversità culturale significa che oggi non può bastare il singolo pensiero o cultura, ma il confronto diventa per tutti un arricchimento sia dal punto di vista morale che sociale. Una nazione mentalmente aperta è una società funzionale. Si sottovaluta l’importanza di conoscere gente diversa da noi, con culture e delle tradizioni diverse dalle nostre ed accoglierle. Con delle storie che possono riguardarci ma non sono come le nostre, tutto questo ci fa crescere e ci migliora. La gran parte degli italiani non ha interessi a conoscere altra gente o altre culture, perché sono abituati a relazionarsi con gli amici degli amici, del cugino, del parente e non sanno fare altro, quindi la cosa più facile del mondo per loro è la più rischiosa. Non bisogna aver paura delle diversità; perché vuol dire limitarsi e non crescere, perché limitarsi significa non andare avanti e sparire, crescere vuol dire vivere ed esistere. Non avendo avuto un confronto con altre culture non abbiamo imparato come andare avanti e ci ritro- viamo ancora a fare gli stessi lavori di cinquant’anni fa. Nei secoli l’Italia è stata invasa da ogni tipo di popolo, col tempo però non ha saputo sviluppare e abbracciare la diversità culturale. Gli Americani questa cosa la sanno fare per natura, essendo un paese nato da mille diversità culturali, sono geneticamente programmati per accettare le diversità culturali. In un paese come la Francia ci sono etnie che si sono integrate da decine di anni e oggi i loro figli e i figli dei loro figli parlano perfettamente francese e fanno parte della società francese come un francese. In Italia abbiamo una concezione sbagliata della quantità di immigrati che compongono la nostra popolazione pensando che siano il 30%, in realtà la presenza degli immigrati è solo del 7%. Ma la colpa non è del tutto nostra se abbiamo queste concezioni, e facendo accurate ricerche sono arrivato a questa conclusione e credo che siano chiare due cose: 1) La politica degli allarmi, delle emergenze, del “ci stanno invadendo”, del “moriremo tutti”, manipolano benissimo i nostri pensieri e non esiste dato statistico in grado di smentirle. E questo fa molto comodo a certi partiti. 2) La tendenza dei media ad amplificare queste problematiche. Il termine multiculturalismo descrive una situazione in cui sono contemporaneamente presenti gruppi di persone di origini, tradizioni e culture differenti. Tutto ciò porta ad avere un mercato multiculturale ed in esso si trovano non solo persone ma anche prodotti provenienti da tante parti del mondo e le cucine tipiche di tutte le regioni di Italia e le cucine etniche come la cucina: giapponese, messicana, greca, tunisina, marocchina, indiana, sri lankese, cinese, ecc. Frutti esotici o oggettistica particolare e unica, e l’abbigliamento. Il multiculturale ha un fascino particolare perché si ha la potenzialità di vivere più di 100 tipi di vita vivendone una sola. Tutto ciò perché il rapporto con individui di altre culture ci porta a contatto con altri modi di essere, consuetudini e lingue. Mettendo a confronto i nostri sogni, progetti, o le nostre storie di vita, e la nostra visione del mondo accorgendoci che sono simili. Nel mondo meglio soli o ben accompagnati? Davide Pace pag. 3 DiCEMBRE 2014 Usa il tuo presente per scrivere il tuo futuro N ell’ultima assemblea d’istituto di mercoledì 26 novembre 2014 si è affrontato un tema che va a caratterizzare i sogni di ogni alunno: il lavoro. In molti hanno criticato quest’assemblea, perché non possono definirla tale, visto che si sono riunite solo le classi quarte e quinte, e sottolineando che è un nostro diritto riunirci insieme agli alunni delle classi più piccole, molti hanno avanzato la solita lamentela, che secondo loro, li condanna ingiustamente, dicendo che per colpa degli alunni della sede centrale, che ogni volta durante le assemblee d’istituto si ritirano nelle proprie classi senza partecipare attivamente, rendono vano il motivo di riunirsi tutti in una sola sede e di conseguenza costringendo la sede succursale a svolgere un’assemblea separata dall’altra sede. Ciò ha distolto l’attenzione sul tema dell’assemblea. Ad aprire l’assemblea è stato il discorso del Preside Saitta basato sul motto di “rubare il mestiere” sottolineando che solo i più furbi riusciranno a fare strada se saranno scaltri a rubare l’arte a chi ce la insegna. Non importa quanto sei bravo a scuola, quello che conta e avere la volontà d’imparare un mestiere che anche se comporta dei sacrifici sia ben remunerato. Dopo la sua introduzione, è intervenuto il Professore Floridia seguito dalla Prof.ssa Gallese. Per prima il professore ha sottolineato quanto è importante mettere passione nelle cose che facciamo. L’ingrediente segreto in ogni ricetta è l’amore, se metti amore e passione in tutto ciò che fai sicuramente ti riuscirà tutto alla perfezione. Invece la professoressa ci ha suggerito di ricercare la qualità nel lavoro che faccia- mo piuttosto che la quantità. Nel senso che è meglio ricercare un lavoro con una paga più bassa ma dove possiamo imparare molto, e dove possiamo arricchire il nostro bagaglio culturale, che ricercare un lavoro ben remunerato dove in cambio ci spetta solo lavorare senza apprendere nuove conoscenze e competenze. Anche se si intravedeva qualche smorfia sulla faccia di qualche alunno, infatti c‘è chi sostiene che i datori di lavoro che retribuiscono bene il proprio personale, che non bada alla spesa pur che la quantità del personale sia sufficiente ad esaudire i desideri di ogni cliente, e lo stesso imprenditore che invoglia il proprio staff in modo che dia il massimo, non solo in modo carismatico ma formandolo professionalmente dal punto di vista lavorativo. Proprio chi ha a cuore la propria azienda, è ha cura del suo successo economi- co, tiene profondamente alla formazione e alle competenze dei dipendenti che ci lavorano all’interno. Per questo alcuni ragazzi ritenevano che solitamente il lavoro di “qualità” combacia con quello di “quantità” perché chi non paga bene i propri dipendenti e non valorizza il loro lavoro e non tiene alla formazione del personale, combacia con quel datore di lavoro, un po’ ignorante che non capisce qual è il bene della sua sone comuni come noi, ed anche a loro è permesso sbagliare. Solo che a volte dimentico questo, perché li vediamo correggere i nostri errori, e l’individuano da lontano, quegli stessi errori che noi non avremmo visto per secoli. Vi capita mai che un espressione non vi riesce e pure se l’avete riguardata mille volte ma non trovate mai l’errore? Poi dopo che il professore la corregge vi accorgete di quanto era stupido quell’errore. Ecco, sono cosi bravi che dimentichiamo che anche loro possono sbagliare. Ecco a volte la cosa più difficile e proprio quella di riconoscere i propri errori, nel senso di individuarli. Io riconosco il mio, sento di aver sbagliato attaccando i professori, con quell’articolo, ma sostengo che non tutta la colpa sia mia. Può anche essere vero il fatto che a volte vediamo nemici da per tutto quando non è cosi. Però è anche vero che qualche professore a volte esagera. Io credo che i sentimenti siano il lievito delle nostre azioni e che molte volte e facile fraintendere una cosa per un’altra quando si è arrabbiati. Ecco quando mi sento ferito è facile anche che io reagisca in malo modo, e se ho deciso di riscrivere era per dirvi che ho capito che ho sbagliato ad essere cosi poco indulgente. Voglio precisare che a volte può capitare che la colpa non sia solo degli alunni. Io pure come il preside sogno una scuola migliore, e condivido in parte quello che a detto nella sua intervista. Può essere vero che infondo siamo noi a “portare la vespa” ma bisogna tener conto che alcuni professori non ce lo permettono. Come è anche vero che non è una scuola super accessoriata o super nuova non ci renda felici, però se lo fosse ci invoglierebbe a venire. Le cose belle, o le cose che ci vengono poste da un punto di vista migliore come quello di studiare sul tablet, possono indurre noi ragazzi ad avere più voglia di studiare. Ma a volte non è solo colpa degli alunni se non mostrano interesse verso una materia. Per esempio io sono sempre stato un ragazzo che non ha avuto mai una grande passione per l’italiano, per la lettura e per la scrittura, eppure oggi grazie al mio docente d’italiano sono qua a scrivere un articolo di giornale. La cosa più bella che può avere un professore è il carisma, far vedere la vita da una prospettiva diversa, facendo prendere ogni cosa che si fa come un gioco più che un lavoro. Mettere davanti ai ragazzi una prospettiva diversa in tutto quello che si fa, facendo capire loro che fare le cose con gioia le rende più belle. Come per esempio vivere: che si può presentare come la cosa più bella al mondo, respirare e sentirsi liberi, l’insieme di tutte le gioie che aspettano solo che noi le gustiamo. Oppure possiamo presentare la vita come un insieme di sofferenze e sacrifici, come se la vita fosse una matrigna che ci pone solo tanti ostacoli da superare: la scuola, il lavoro, la convivenza con gli altri e per concludere un ininterrotto stress. Questi sono due modi diversi di come vedere la vita, e allo stesso modo ci sono due modi diversi di presentare una materia. Non è da tutti sapere come dare questa prospettiva ai ragazzi. Ma la cosa principale per farlo è avere un buon rapporto con loro. Avere un buon rapporto con loro non vuol dire avere a che fare con dei numeri chiamati alunni. Ma avere un buon rapporto con loro vuol dire avere a che fare con delle persone. Noi ragazzi non siamo molto mal- leabili (nel senso che non si riesce a lavorare facilmente con noi quando siamo particolarmente svogliati), come il fatto che abbiamo una certa “non curanza” delle regole per esempio. In compenso oltre al fatto di avere altri mille difetti, però siamo facilmente condizionabili, siamo abbastanza ricattabili e siamo semplici da persuadere. Un bravo professore sfrutta ciò per farsi ascoltare. Una volta mi dissero che la vera persona autorevole è quella che riesce a far rispettare la propria autorità senza esercitarla. Diciamo che noi alunni preferiamo i professori che si pongono sul nostro livello mettendosi dalla nostra parte, ma che però allo stesso tempo si fanno rispettare. Io catalogo i professori in tre categorie diverse. Nella prima categoria rientrano tutti i professori che entrano in classe, entrando si rapportano con persone come loro (gli alunni), e non si pongono ad un livello più alto ma si collocano al loro stesso livello (le persone), facendosi rispettare. Nella seconda troviamo quei professori che entrano in classe e non hanno a che fare con persone ma con una specie inferiore, gli alunni, in realtà non siamo noi gli inferiori, sono i professori che si pongono un gradino più in alto, per impugnare la loro autorità in modo da farla rispettare, ponendo un rapporto semi-aperto con i ragazzi che si limita a stento al conseguimento dell’insegnamento e dell’apprendimento della materia senza trasmettere passione o sentimento ai ragazzi. Nella terza ritroviamo la fecce dei professori, quella che entra e non va a rapportarsi con persone o alunni, ma entra per avere a che fare con dei numeri. Questa categoria di professori purtroppo non ha capito cosa vuol dire insegnare. La cosa più strana è che non è difficile capire quale la mansione che svolge l’insegnante. Come dice la stessa parola insegnante induce a pensare che il suo compito è quello d’insegnare!!! Purtroppo questi professori invece credono di trovarsi a scuola solo per valutare o giudicare, nel senso di dare un giudizio a quei numeri (chiamati alunni) che si sono ritrovati nel registro. Hanno dimenticato che sono lì per insegnare ai ragazzi e infine valutarli su quello che hanno imparato e che è anche il loro operato. Parlo di questa rara specie (per fortuna è rara) che quando entra in classe sostituisce la vivacità dei ragazzi con l’indisposizione all’ascolto. Reputandoli bambini instaurando con i ragazzi un rapporto abbastanza scontroso da non permettere un soddisfacente proseguimento didattico da entrambe le parti. Io non ce l’ho con i professori. Ma mi è capitato spesso che alcuni di loro mi hanno profondamente offeso, inoltre il loro atteggiamento non solo è stato offensivo, ma porta gli alunni al desiderio di abbandonare gli studi. Cosa che non dovrebbe succedere. Un insegnante che esorta gli alunni a non venire più a scuola è come un padre che rinnega il proprio figlio, e in questo caso ha fallito la sua missione. Non penso che all’alber- azienda, che non invoglia il personale e non lo istruisce. Ma quello che la prof.ssa intendeva era proprio questo e quindi suggerisce a tutti gli alunni di ricercare un buon datore di lavoro, anziché accontentarsi di chi vi assume per un misero stipendio sfruttando il fatto di non farvi smuovere un passo da casa. Sembrerebbe che questo tema non abbia niente a che fare con i sogni, perché quando si parla di lavoro, ormai è un incubo, forse perché esso viene visto come un’enorme fatica, come lo è un’enorme fatica trovarlo (il lavoro). Ma con il termine lavoro non intendiamo l’ammasso delle fatiche che giornalmente compie un uomo, ma la fonte di remunerazione per il raggiungimento dei propri sogni. L’alberghiero rimane una delle poche scuole che ti apre una speranza sul lavoro, al contrario delle altre. Per questo i professori con questo nuovo tipo di assemblea, con la visione del film “tutta la vita d’avanti” hanno voluto proiettarci, ad aprire gli occhi per farci capire che siamo noi a scrivere il nostro futuro; hanno voluto indirizzarci a scrivere, su quel foglio che ci chiede: se ciò che scrivi si avvererà, come scriverai il tuo futuro? Scrivilo... Salvatore Spina Professori tutti uguali? Qualche vecchia conoscenza ne individua tre tipi! V olevo porgermi le mie più sentite scuse per il mio primo articolo. Avete conosciuto una delle mie penne più dure, l’unico sfogo di un alunno arrabbiato che non ha trovato il modo di liberarsi da un peso, oltre al fatto di comunicarlo anonimamente. Vi porgo le mie scuse perché non volevo criticare nessuno in quell’articolo, solo che in quel momento essendo arrabbiato, scrivere è stato l’unico modo per sfogarmi. In realtà è che ho una mia idea dei professori. Li considero le persone più eccelse di tutti che svolgono il ruolo più importante in tutta la società. Perché loro hanno in mano la sorte della formazione e dell’istruzione delle persone che scriveranno la storia di domani, (dato che ormai i genitori sono quasi sempre assenti nell’educazione dei figli a causa dei troppi impegni e del lavoro). Mi spiego meglio. Loro plasmeranno gli uomini e le donne dei prossimi anni,(che saremo noi). Loro hanno il potere di creare un mondo migliore, se vogliono. Sono quelle persone responsabili della nostra crescita che devono trasmetterci non solo sapienza ma i veri principi e valori della vita. Hanno l’arma per costruire un futuro migliore, quell’arma siamo noi, ma sta a loro di ricaricarci con le munizioni giuste. Come ho detto prima: per me il professore è la persona che ricopre il ruolo più importante nella società, e per questo (secondo me) non potrebbero permettersi di sbagliare. Io ho una alta considerazione dei professori, anche se nell’ultimo articolo non sembrava. Io li reputo la sfera di persone più colta e superiore al resto delle altre, perché loro non sbagliano. Mi correggo, sbagliano raramente. Perché infine non sono degli “dei” ma per- ghiero ci siano professori del genere (forse). Ma è inammissibile che un professore non invogli i ragazzi allo studio perché è come un rappresentante porta a porta che ha il compito di vendere un prodotto e consiglia ai clienti di non comprarlo. In questo istituto la maggior parte dei professori che conosco è in gamba. Li ringrazio per tutto quello che fanno per noi. Queste cose non erano rivolte a loro, volevo solo raccontarvi come sogno la mia scuola, una scuola multimediale dove l’unica carta che gira è quella delle banconote per pagare i panini; dove il rapporto professori-alunni sia molto più cordiale e dove gli alunni capiscano veramente perché sono a scuola. Mi scuso nuovamente se ho offeso qualcuno, ricordo solo che se l’ho fatto non era mia intenzione. Per concludere volevo complimentarmi con il Professore Sergio Dimartino, per la sua sapienza che ci ha trasmesso con il suo articolo “ma perché devo proprio andare a scuola?”. I miei complimenti a tutti i ragazzi della redazione, e un ringraziamento al prof. Ternullo che ha svolto un ottimo lavoro nel dare una voce alla scuola. Il Dissennatore (articolo dell’anno 2013/2014) pag. 4 DiCEMBRE 2014 Giovani di oggi sempre piu sbandati e disorientati, ma quale è il problema di fondo? I l termine “nichilismo” deriva dal latino “nihil” e significa “nulla”, è una dottrina filosofica basata sulla negazione di uno o più aspetti significativi della vita quali: il mondo, l’esistenza umana che diventa pian piano priva di senso o scopo alcuno, dove la verità diventa incomprensibile. Nichilismo potrebbe altrimenti dirsi “disfattismo”. I soggetti più colpiti da codesto “nichilismo” siamo proprio noi… i giovani. Il nichilismo si esprime in disagio esistenziale. Siamo difficili da capire, ci sentiamo come “schiacciati” da un presente annebbiato quando si parla d’intravedere la strada del nostro futuro, totalmente incapaci d’assumere gli impegni e responsabilità . Di fronte a questo problema le famiglie si allarmano, la scuola non ha idea di cosa fare, soltanto il mercato sembra interessarsi a noi per condurci sulle vie dello svago, il diver- timento, la spensieratezza ed il consumo quando, in realtà, l’unica cosa che stiamo consumando non sono tanto gli oggetti che le mode, le tendenze, i media, la pubblicità, internet e tutti le fonti di comunicazione c’inducono a comprare, né tanto meno gli oggetti che c’invitano a possedere e che puntualmente, anno dopo anno, diventano obsoleti… In questo modo non stiamo facendo altro che consumare le nostre vite, non riuscia- Il giorno in cui fu abolito il calcio racconto di Orazio Lasagna F aceva freddo, ma il sole splendeva e i suoi raggi balenavano attraverso la vetrata. «Guarda qui!», disse Franco con aria perplessa, osservando il titolo d’apertura della testata giornalistica. «Un attimo, per cortesia…», rispose Pasquale, ancora preso della solita stizza mattutina – ammettetelo, la mattina siamo tutti sopraffatti da un certo nervosismo, probabilmente perché strappati bruscamente al sonno dall’odiato squillo di quell’ancor più odiata sveglia – «… lasciami almeno il tempo di gustare un buon caffè!». «Paga il conto e vieni qui! È successa una cosa impensabile (ma che dico?), sotto certi versi inconcepibile!». «Un momento, un momento… Cosa sarà mai successo di così incredibile? E parla piano: ti sentono tutti!». «Ancora lì stai? È una cosa importantissima, la realtà come la conosciamo non esiste più!». «Addirittura?!», Pasquale cominciò a preoccuparsi, rare volte aveva visto l’amico così agitato, forse una soltanto, quando Martina, la figlioletta, si era smarrita al parco e c’erano volute tre ore per ritrovarla, ma non tre ore così, quelle tre ore, d’ansia e disperazione, furono un inferno. «Tenga signorina… anche il resto». Si recò al tavolino sul quale era appoggiato il giornale, ancora fisso sulla prima pagina, e sul quale, ormai da qualche minuto, Franco stava chino. «Fammi leggere», disse, ormai persuaso che le preoccupazioni dell’amico fossero fondate. Posò gli occhi sulla frase che fungeva da titolo: quelle parole, scritte a caratteri cubitali, lo disorientarono momentaneamente. Esplose, come se qualcosa dentro lui fosse lievitata, fino a raggiungere la pressione di rottura: «IL CALCIO È STATO ABOLITO! IL CALCIO È STATO ABOLITO!» «Esatto!», intervenne Franco. «Mi viene da pensare che non ci sia più alcuna ragione per vivere… Però per il momento sarebbe cosa migliore se anche tu non urlassi… Non vorrai mica creare il panico generale?». Intanto, dietro al bancone, la giovane e appetibile barista pensò alla sua condizione, a come forse qualcosa, o qualcuno, controllasse gli episodi della sua esistenza, divertendosi a suo discapito; ogni giorno le era riservata qualche avventura… Franco continuò verso l’amico: «Pensa… Niente più anticipi, o posticipi, niente più serate davanti al televisore con un buon scotch in una mano e un sigaro nell’altra, ovviamente riscaldati dal fuoco scoppiettante che sembra quasi danzare nel camino». «Come faranno? Quei poveri giocatori, quei poveri allenatori… e gli arbitri! Per non parlare dei dirigenti! Tutti senza un futuro!», Pasquale era sconvolto, il suo volto si era fatto pallido. «Su, dai…», Franco pensò di rassicurarlo: «Tutto sommato non se la passeranno tanto male… Vedrai, sicuramente troveranno un hobby… Almeno lo spero». «Ti rendi conto?», Pasquale sembrava essersi calmato, «Ci hanno tolto tutto, ormai cosa ci resta? Cos’altro possono prendersi?». Pur lasciando trasparire quella cascata di retorica, Pasquale, rimase chiuso nella dimensione mentale nella quale si trovava, mentre a Franco venne da pensare che, riflettendoci, non ricordava d’essere mai stato un tifoso sfegatato; ovviamente qualche partita l’aveva guardata e, naturalmente, in alcune aveva anche esultato, ma, tutto sommato… «NO NO, NON PUO ESSERE! QUESTA NON È LA REALTÀ!», Pasquale non ragionava più, sembrava nel bel mezzo d’una crisi isterica. A causa delle urla tutta la gente presente si voltò verso di lui. «COSA GUARDATE? MA NON CAPITE? IL CALCIO… LE PARTITE…». Afferrò il tavolino e lo sollevò, il giornale cadde a terra, mentre tutti rimasero pietrificati. Fece qualche passo indietro per prendere la rincorsa, lo lanciò, il tavolino percosse qualche metro a mezz’aria per poi scaraventarsi sul pavimento. Fortunatamente non colpì nessuno. «CHIAMATE LA POLIZIA!», urlò qualcuno. Qualcuno la chiamò. Inveii contro la ragazza al bancone: «TU SEI CALMA! NON È VERO? A TE NON IMPORTA!». Lei non credeva a ciò che stava succedendo, pensò che, viste le precedenti, in una situazione del genere non poteva non esserci, forse stavolta ci sarebbe morta, tanto per rendere più avvincente il tutto. Franco fissava Pasquale con espressione seria, a tratti fie- ra. Arrivò la polizia, nonostante fossero passati soltanto pochi minuti – non c’è dato sapere il motivo per il quale si trovassero nelle vicinanze d’un bar –. «PENSO CHE VOI CAPIATE LA GRAVITÀ DELLA SITUAZIONE!», urlò Pasquale ai poliziotti, vedendoli entrare. «N’è impazzito un altro…», disse uno dei due agenti, rivolgendosi al collega. Riuscirono ad immobilizzarlo, lo ammanettarono e lo scortarono verso la volante, erano vicino alla vettura quando, nella stessa, il brusio della ricetrasmittente proruppe in quella già confusionaria situazione: «L’ispettore è impazzito!», esclamò la voce. Dentro al bar la tensione andava scemando, ognuno, chi prima, chi dopo, riprese a fare quello che aveva interrotto. Franco andò verso il bancone, «Un caffè, per favore». La ragazza, dopo qualche secondo di disorientamento, gli rispose cordialmente, com’era solita fare con i clienti: «Certamente, subito!». Il caffè fu pronto, lei glielo servì, minuziosa in ogni piccolo dettaglio. «Lei è proprio una bella ragazza…», disse Franco, dopo aver gustato il primo sorso. «Somiglia tanto a mia moglie quand’era più giovane, quando ancora frequentava l’università». «Grazie mille», rispose lei al complimento, con un pizzico d’orgoglio in volto. Poi un’idea s’accese nella mente di Franco, pensò che, quasi quasi, sarebbe andato a prendere la figlia a scuola… mo più a proiettarci verso un futuro capace di farci intravedere almeno un filo di promessa, di speranza. Svariate volte, non sappiamo descrivere il nostro malessere perché siamo afflitti da un “analfabetismo emotivo” che non ci consente di riconoscere i sentimenti e soprattutto di chiamarli per nome. “L’emozione è essenzialmente relazione” diceva Daniel Goleman. L’emozione non è malinconia, né la frantumazione dell’anima, né tanto meno sconsolato abbandono. L’emozione è il sentimento essenziale della persona, alimenta la propria forza d’animo e dovrebbe essere l’unica ispirazione per le scelte necessarie al fine di rimanere sempre sé stessi. D’altra parte il sentimento è quella forza che riconosciamo prima di ogni decisione quando dopo aver minuziosamente analizzato tutti i possibili pro e i contro di una situazione, attraverso la razionalizzazione delle possibili conseguenze delle nostre azioni, si decide, perché tra una scelta e l’altra, in una ci si sentirà a casa. Guai a decidere per convenienza o per debolezza, una scelta non è che nostra, e non si può essere stranieri della propria vita, la forza d’animo è quindi la forza del sentimento che ci difende da questa estraneità e ci fa sentire finalmente… a casa. Come sconfiggere il nichilismo? Secondo Galimberti l’unico modo per sconfiggere il nichilismo è innamorarsi della vita, appassionarsi e scoprire “l’arte di vivere” una vita che abbia valori e non solo smarrimento. Julian Florentin Stage a Londra Reportage dell’esperienza fatta dai ragazzi della nostra scuola V iaggiare è sempre un’esperienza affascinante che ci arricchisce facendoci conoscere nuovi luoghi, persone diverse e permettendoci di vivere esperienze che solo chi ha lo zaino in spalla può vantare. Ed è ancora più bello quando si viaggia in compagnia perché tutto si condivide e le esperienze si moltiplicano. Quest’estate, dal 24 agosto al 21 settembre, 16 ragazzi meritevoli della nostra scuola hanno avuto l’opportunità di fare una vacanza-studio a Londra grazie al progetto PON C1 completamente a costo zero per gli studenti. Accompagnati dai prof. Iacono, Dimartino, Pulici e Tamburino, abbiamo iniziato questa meravigliosa esperienza. La parte più importante è stato il corso giornaliero alla Delfin English School dove degli insegnanti madrelingua hanno notevolmente migliorato la nostra conoscenza della lingua trasformando le lezioni in scoperta e trasmettendoci sempre più voglia di imparare. Per spostarci per la città usavamo i trasporti pubblici come l’autobus rigorosamente rosso e a due piani e la metropolitana, chiamata The Tube, puntuale e veloce. Con i mezzi pubblici potevamo andare per tutta Londra, abbiamo infatti visitato diversi musei come Natural History Museum e British Museum (due fra i più belli al mondo), National Gallery (con quadri di Vincent V. Gogh e Leonardo Da Vinci), Tate Modern, ed anche diversi altri monumenti e luoghi come House of Parliament, Torre di Londra, l’abbazia di Westminster, la colonna del generale Nelson, Madame Tussauds ecc. Cambridge, Oxford, Stonehenge, Greenwich e Windsor sono state le mete dei weekend. Durante il tempo libero invece andavamo in quei magnifici parchi verdi, immensi e ben tenuti per stare a contatto con la natura, rilassarci o fare un giro in bici. Per vivere a 360° l’esperienza siamo stati ospitati da English families che ci hanno quasi adottato: ci sentivamo infatti membri nonostante quei piccoli problemi quotidiani. Gli ultimi giorni abbiamo sostenuto un esame Trinity e con nostra grande soddisfazione siamo stati tutti promossi. Quest’esperienza ci ha fatto conoscere una realtà a noi sconosciuta, dove sicuramente molti di noi in futuro ritorneranno per lavorare o anche solo per rivedere quei posti che ci hanno regalato tante emozioni. Dunque non vale forse la pena riprendere i libri per poter usufruire di queste opportunità? Giuseppe Cavallo Orazio Leone pag. 5 DiCEMBRE 2014 V Il fine comune dell’uomo i siete mai chiesti perché l’uomo esiste? Quale il suo fine sulla terra? Che senso ha la vita? Ma soprattutto c’è una risposta per ognuna di queste domande? Risposte soggettive ce ne saranno a migliaia ma qual è quella oggettiva? Ma innanzitutto cos’è che rende una risposta oggettiva? In Italiano per oggettività si intende qualcosa di concreto, che si fonda su dati e cose sperimentabili: diagnosi, analisi o un obbiettivo imparziale che si attiene ai fatti senza l’intervento del soggetto. Quindi possiamo dire che una delle poche che ci può aiutare è la scienza. Essa ha la funzione di spiegare e rispondere alle domande che l’uomo si pone. Infatti per scienza si intende un sistema di conoscenze, ottenute attraverso una ricerca organizzata e con procedimenti rigorosi, allo scopo di giungere alla descrizione, verosimile e oggettiva della realtà. Essa si basa su quattro fasi. Guarda caso la prima sta nel porsi una domanda, la seconda e l’osservazione del fenomeno che ha causato la domanda, la terza e teorizzare o ipotizzare la soluzione al problema o alla domanda precedentemente posta, e in fine sperimentare se ciò che si è concretizzato e attinente alla realtà. Abbiamo diversi tipi di scienza, essi si differenziano in base ai diversi tipi di fenomeni che studiano. Diciamo che una delle scienze che studia le domande esistenziali dell’uomo è proprio la letteratura. Ma prima di addentrarci nel discorso voglio evidenziare il tema del messaggio e della questione che vi lancio. La premessa si basa sulle domande della crisi esistenziale che Kafka, (l’autore del racconto della metamorfosi pubblicato da Martina Incardona nel secondo numero del Grimaldello,) porta a farci. Perché noi siamo persone che vogliamo apparire? Gli altri ci accettano per quello che siamo? E noi? Ci accettiamo o cerchiamo di apparire? Chi siamo veramente noi? E così via… È fondamentale partire da Kafka perché rappresenta una delle tante risposte (soggettive) a questo problema, e quindi rappresenta la figura letteraria in questo contesto. Ma il vero quesito che questo argomento ci pone è proprio questo: perché Kafka é un letterario? Chiunque scrive allora è un letterato? Chi è che decide ciò che è letteratura e ciò che non lo è? Kafka attraverso la letteratura ci esprime la sua visione sulla vita e sulla condizione esistenziale dell’uomo, ma anche attraverso altri suoi racconti ci fa capire che non c’è una vera risposta al perché l’uomo è condannato a vivere una misera vita crudele piena di sofferenza e fatiche senza doverne capire il motivo. Un altro che ci ripropone questa visione è Leopardi. Ma peccato che la letteratura non è una scienza (esatta) e quindi non può darci risposte oggettive, visto che dall’altro lato (della letteratura) abbiamo Wilde che ci propone una prospettiva diversa della visione della vita rispetto a quella che hanno i due poeti precedenti. In Kafka e Leopardi possiamo notare un scarsa autostima da parte di entrambi, una vera e propria difficoltà nel rapportarsi CERCHIAMO TE! Il Grimaldello vuole che tutti collaborino alla sua realizzazione: alunni, docenti, personale della scuola. Chiunque voglia dare voce alle proprie idee qui troverà spazio adeguato. Non esitate a scriverci e a scrivere! [email protected] con gli altri, quasi quasi non come difficoltà ma come una repulsione per i rapporti umani se prendiamo come spunto il racconto di Leopardi “Il Dialogo tra la Natura e un Islandese”. Al contrario di Leopardi, Wilde è l’esatto contrario di Kafka come filosofia di vita. Wilde viveva per apparire e conduceva una vita da esteta vivendo secondo l’edonismo, quando Kafka invece era un umile impiegato che conduceva una vita anonima quasi in solitudine, rifugiandosi nella scrittura. Ma vediamo qual è la visione che Wilde ci offre della vita. Per Wilde l’unica cosa che conta è apparire, per lui solo i mediocri non giudicano dalle apparenze, e per concludere il suo concetto di vita si basa sull’edonismo, quella concezione filosofica che mette come meta suprema della vita il piacere. Avremmo potuto citare molti altri letterati che ci propongono altri modelli di vita e altre risposte soggettive su cosa è la vita. Ma questi già ci bastano. Analizzando gli scrittori sotto un profilo psicologico possiamo dire che le persone che hanno una bassa autostima di se stessi riscontrano molti problemi nel relazionarsi con gli altri, ciò comporta loro di farli vivere in un clima di solitudine. La solitudine li divora dentro portandoli ha dei ragionamenti che li conducono in una depressione cosi profonda che li rende sensibilissimi. Il fulcro di quei ragionamenti non sono altro che l’insieme di tutte le domande esistenziali che l’uomo si pone, che affrontate in un clima di solitudine e depressione non fanno altro che creare una vera e propria crisi esistenziale dando un colore grigio alla vita e rendendola vana e senza senso. Da solo l’uomo non riesce ad essere felice. Ma quando si trova in questa situazione non riesce a percepirlo. È come qualcuno che va cavalcando di qua e di là per cercare il proprio cavallo e non vede che c’è seduto sopra. La sua convinzione infatti è quella che la società non lo accetti, e quindi ciò lo fa stare male. Per fuggire da questo male si rifugia nella sua solitudine e inizia a lacerarsi dentro. Rimanendo da solo si convince ancora di più che non è in grado di farsi accettare, facendo arrivare la sua autostima ad un livello sotto lo zero. Ma il problema reale è che non si accetta lui stesso, e non se ne accorge. Non ac- cettandosi sta male, più di quanto gli farebbe male stare in società. E quando una persona cade in questa crisi esistenziale, è perché non ha più la speranza, di ricreare (o creare) rapporti, di aver fiducia in se stesso, cadendo in tutti quei ragionamenti che nella situazione in cui è, trovano una sola risposta comune: la vita non ha senso anzi è malvagia (matrigna) perché mi fa soffrire! Dal profilo psicologico di Wilde riscontriamo lo stesso profilo di molti giovani dei nostri giorni. Non contenti di ciò che si ha si va alla ricerca del piacere CREDENDO che esso (cioè il piacere) ci dia la felicità. Questa è un’altra prospettiva che ci conduce ad un fallimento esistenziale, che anche Wilde ci racconterà alla fine del romanzo “Il ritratto di Dorian Grey” . In che senso? Wilde ci porta ad un ragionamento che ci fa capire che la ricerca è vana. È vana perché il protagonista si stanca di questa inesauribile ricerca, perché in realtà lui cerca la felicità, non il piacere. Il piacere non gli da più la felicità e quindi si stanca di cercare. Anche se avessimo riportato i pensieri di altri letterari, avremmo trovato solo risposte soggettive. Ma ha noi non servono, perché ognuno di noi ha un modo di verso di vedere le cose, un modo diverso di pensare e quindi non possiamo stabilire chi ha ragione e chi no. Ma proviamo noi ad analizzare il caso senza basarci sui pensieri di altri. Possiamo dire che l’uomo ha un obiettivo comune. La felicità. Tutti vogliono essere felici. Credo che su questo non ci siano dubbi. Ma potrebbe mai essere che qualcuno non voglia essere felice? Boh e chi lo sa? Comunque io credo di no… L’uomo sente da sempre l’esigenza di essere felice, perciò ognuno di noi si getta nella ricerca della felicità, ma da sempre fino ad oggi mai nessuno la veramente trovata? Nessuno ci scrive di aver trovato la felicità? Nessuno ci da la giusta prospettiva di vita? Nessuno!!! Ma è naturale che nessuno lo scrive nessuno ci dice di averla trovata. Ma se qualcuno trovasse un tesoro lo verrebbe a raccontare a noi dove si trova? No, mai! Quindi è possibile che i più grandi letterati sono quelle persone che hanno passato una vita diciamo non abbastanza felice, perché chi è felice non ce lo viene a raccontare. Ciò non significa che tutti i letterati non abbiano mai vissuto una vita felice, o che chi è felice non può essere un letterato, perché non possiede la stessa sensibilità di chi a sofferto. Anzi forse le persone più felici sono proprio quelle che hanno sofferto tantissimo. Un sentimento esiste se, e solo se, esiste il suo sentimento opposto. Chi non conosce la sofferenza non sa cosa vuol dire soffrire e quindi vivere bene per lui è una cosa scontata, anzi si lamenta per ogni piccola fesseria. Se ad un bambino soldato lo condannassero a vivere la nostra faticosissima vita, lui sarebbe felice, per noi invece è una condanna alzarsi presto per venire a scuola assillati da professori che ci scocciano tutti i giorni rovinandoci l’esistenza con le stress dello studio. Il bambino soldato sarebbe felice perché ha conosciuto la sofferenza. Noi che invece abbiamo la felicità in mano non ce ne accorgiamo perché non abbiamo mai sofferto. Non troverete mai qualcuno che vi darà la prospettiva di come si vive perché anche se ve la dà, o la scrive o la spiega non riusciremmo a percepirla, anzi forse gli daremmo del pazzo. La felicità sta dentro ad ognuno di noi e per questo che chi esce fuori a cercarla non la troverà mai. La felicità sta nelle persone accanto a noi, sono loro che riescono a renderci felici, e senza di loro non riusciremmo mai ad esserlo. Per questo la solitudine è una brutta bestia, ma utile perché ti fa riscoprire quanto è bello stare con i propri amici, con il fidanzato o la fidanzata e tutte le altre persone che ti vogliono bene. Ora uno che legge dirà troppo semplice la felicità, non è questa la felicità. La felicità sono i successi, le ricchezze, il potere, ecc. No caro mio no. Questo è quello che ti vogliono far credere. Si può essere felici anche senza avere queste cose, perché può darsi che i ricchi siano felici, ma non lo sono. La felicità sta nel cogliere l’attimo che stai vivendo come un regalo non come qualcosa che ti tocca, prendi la tua vita come un dono non come un imposizione e sarai felice, guardala sotto questo punto di vista e vivrai meglio perché la vita è un riflesso ti sorride se la guardi sorridendo. Salvatore Spina Il Grimaldello è un periodico di informazione scolastica dell’IPSSEOA e ASR “P.pi Grimaldi” di Modica. La distribuzione in formato elettronico è gratuita. REDAZIONE Salvatore Spina (5ER) Davide Pace (5ER) Miriana Colombo (5BR) Giuseppe Guastella (5BR) Orazio Lasagna (5AT) Miriam Filoramo(5AT) Salvatore Terranova(5AR) Giuseppe Messine(5AR) Giuseppe Cavallo (4AR) Orazio Leone(4AR) Gaetano Calcagno(4AR) Julian Florentin(4AR) Federica Scrofani(4AR) Romeo Fortunato(4FR) CONTATTI Mail: [email protected] Indirizzo: V.le degli Oleandri 97015 Modica (Rg) Per informazioni, per consegnare lettere, testi o articoli, per qualunque altra richiesta o chiarimento, oltre che scrivendo agli indirizzi sopra indicati, si possono contattare direttamente i componenti della redazione, il prof. Domenico Ternullo o la prof.ssa Marisa Scivoletto. Articoli e foto non di dominio pubblico contenuti in questo numero sono da considerarsi di proprietà dell’IPPSSEOA e ASR “P.pi Grimaldi” di Modica. Coordinamento: prof. Domenico Ternullo e Salvatore Spina (per ogni errore o imprecisione, prendetevela con loro) Impaginazione: Salvatore Spina Questo numero è stato chiuso in redazione il 20 dicembre 2014.