Il Colleoni e il castello di Malpaga - Uni

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Il Colleoni e il castello di Malpaga - Uni
, Bartolomeo Colleoni, Crema e il castello di Malpaga
UNI Crema: Anno Accademico 2014/2015.
Statua equestre del Condottiero
Eretta a Venezia-campo dei santi Giovanni e Paolo, di Andrea Del Verrocchio-ha immortalato il
fascino e la fierezza di questo straordinario personaggio a cui i soldati del tempo avevano dato il
soprannome di “invincibile”.E' stato definito il più bel monumento equestre di tutti i tempi.
Prima di parlare del Condottiero è necessario fare un breve cenno sulle
vicende che hanno caratterizzato l'epoca precedente alla sua nascita.
Siamo nel trecento. Siamo dunque alla fine del Medioevo ed agli inizi del
Rinascimento. Muore il papa Bonifacio VIII e la corte pontificia si
trasferisce con Clemente V ad Avignone agli ordini del Re di Francia.
Dante viene esiliato da Firenze e muore vent'anni dopo a Ravenna nel
1321. Era un'epoca in cui la guerra fra gli Stati era permanente. Le
milizie mercenarie (in genere Compagnie di ventura guidate da capitani
stranieri) di Milano, di Venezia, di Mantova, di Firenze, di Napoli e
perfino di Francia si muovevano guerra in continuazione. In quelle
guerre non si scherzava. In caso di vittoria esisteva il diritto di saccheggio,
di stupro e di rubare. Prigionieri si facevano solo se c'era un interesse
pecuniario nel riscatto, altrimenti i soccombenti venivano uccisi sul
campo. In Italia, con la Compagnia di 'San Giorgio', fondata nel 1376
da Alberico da Barbiano, nascono le prime Compagnie comandate da
Capitani italiani- subentrati a quelli stranieri- che scelgono i loro uomini
mediante un reclutamento mirato, selezionato e addestrato alle armi. E'
stato il secolo d'oro dei Capitani di ventura, ossia dei Condottieri
diventati ricchi e famosi. Il Condottiero era quasi sempre un personaggio
nobile o ricco che stipulava una 'condotta', vale a dire un contratto col
Principe che diventava il suo Signore. Egli si metteva al suo servizio e
doveva rispettare la durata (la 'ferma'), le condizioni di ingaggio, il
numero dei soldati e delle armi, il compenso e altri vincoli e regole
stabilite nell'accordo.
Stemma dei Colleoni
Bartolomeo proveniva da una famiglia bergamasca di giudici, notai e
militari di fede guelfa, il cui capostipite si chiamava Gisalberto Coglione.
Figlio di Paolo e Riccadonna dei Valvassori di Medolago, nacque a
Solza intorno al 1395. La data di nascita era rimasta ignota fino al 21 novembre 1969,
giorno in cui veniva ispezionato un sarcofago della Cappella Colleoni contenente la sua bara.
All'interno si trovavano le spoglie ancora intatte del Condottiero con le sue vestigia e una
lastra di piombo sulla quale stava scritto: Vixit annos LXXX (0ctoginta) -visse anni 80. Perciò,
essendo egli morto nel 1475, non poteva essere nato dopo il 1395.
Come indicato dall' arma araldica, la famiglia Colleoni apparteneva alla nobiltà
cittadina. Bergamo, fino alla prima metà del XII secolo, era stata governata dai
Conti Gisalbertini che nel 1168 furono banditi dalla città. In quell'epoca emergono
in città soprattutto le famiglie dei Colleoni e dei Suardi, spesso imparentate fra
loro e a volte anche nemiche a seconda delle circostanze (nel 1296 i Suardi-
ghibellini- aiutati da Matteo Visconti, scacciano i Colleoni- guelfi- che
si rifugiano a Crema). Con Gisalberto -che nel 1117 era stato console di
Bergamo- i Colleoni avevano già acquisito un ingente patrimonio
immobiliare che spaziava dalla valle Brembana all'Isola Bergamasca. Nel
1404 il padre di Bartolomeo era riuscito, con l'aiuto di alcuni parenti, a
impadronirsi del castello di Trezzo d'Adda (strappandolo a Caterina
Visconti Reggente del Ducato il cui governo, dopo la morte di Gian
Galeazzo, era entrato in crisi). A seguito delle rivalità tra le stesse famiglie
Colleoni, risulterebbe che i cugini abbiano poi eliminato Paolo e
rinchiuso la moglie in prigione. E' comunque accertato che nel 1417 i
Colleoni, dopo una resistenza ai governatori ducali Facino Cane e
Jacopo Dal Verme, avevano perduto il castello ad opera del Conte di
Carmagnola, consigliere del duca Filippo Maria Visconti. Tuttavia in
cambio erano riusciti ad ottenere condizioni onorevoli ed una
considerevole somma di denaro.
Questo era il quadro da cui partì il giovane Bartolomeo Colleoni per quell'avventura che lo
porterà all'apice della carriera militare. Carriera che, tra luci e ombre, gli consentirà di
accumulare onori, ricchezze e vasti possedimenti (soprattutto nella pianura lombarda tra
Adda, Brembo, Serio e Oglio). Tuttavia la sua ambizione primaria era il comando generale
dell'esercito veneziano e questo gli verrà affidato nel 1455. Poco dopo si ritirerà nel castello di
Malpaga rimanendo legato a Venezia fino alla morte.
STEMMI del Colleoni
Bartolomeo era talmente orgoglioso del proprio cognome patronimico 'Coglioni'dal latino 'coleus' 'testicolo, coglione'- al punto di vantarsene e rappresentarli nel
suo stemma anche quando vi aggiungerà i gigli d'oro d'Angiò. Due erano gli
stemmi da lui prediletti: quello “troncato di rosso e argento con i tre cuori
rovesciati o tre 'coglioni”, simbolo della triplice possanza maschile e l'altro con
“due teste di leone a denti digrignanti congiunte da due bande o cotisse” (come
quello rinvenuto a Crema durante il restauro delle famose tavolette del palazzo di via
Matteotti). Sul numero dei testicoli alcuni autori affermano che Bartolomeo Colleoni era
probabilmente affetto da patologia nota come 'poliorchidismo', ossia un testicolo soprannumerario;
secondo altri invece si tratterebbe di una leggenda.
All'età di 14/15 anni Bartolomeo viene ammesso come paggio alla corte di
Filippo Arcelli, Signore di Piacenza.Intorno al 1419 decide di abbracciare
la carriera delle armi ponendosi al servizio di Braccio da Montone che gli
dà un cavallo e lo prende tra i suoi valletti. Nell'assedio di Acerra (1421)
ha il battesimo delle armi. Nella guerra tra Angioini e Aragonesi milita
nella Compagnia del Condottiero Muzio Attendolo Sforza, che lo mette a
disposizione del Capitano Jacopo Caldora. Questi gli affida inizialmente
una condotta di 20 cavalli. Stando a combattere dalla parte degli Angioini,
entra nella corte della regina Giovanna II di Napoli che gli concede di
aggiungere al suo stemma i gigli d'oro d'Angiò e le fasce di Borgogna
(...'premio per le sue prestazioni militari e amorose' come racconta Spino P. in “Hjstoria
della
vita,
e
fatti
dell'
ecc.mo
capitano
di
guerra
Bartolomeo
Colleoni”).
-STEMMA D'AngiòNel 1424 si mette in evidenza nella battaglia dell'Aquila e tra il 1428-29,
combattendo sempre sotto le insegne del Caldora per il Papa, si distingue
nella riconquista di Bologna. Da questo momento il suo nome e la sua
fama crescono al punto da essere notato da Venezia.
Ingaggiato dalla Serenissima diviene luogotenente del Conte di Carmagnola e si
mette in luce soprattutto nella difesa di Cremona che è invece fatale per il
Carmagnola. (In uno scontro avvenuto nel 1431 tra Milano e Venezia è rimasta
famosa la battaglia navale sul Po, nella quale il Conte, trattenuto da un finto
attacco di Francesco Sforza e Niccolò Piccinino, non era riuscito a portare aiuto
alla flotta veneta. La sua ritirata da Cremona aveva messo in sospetto il Senato
veneto che per questo decise di processarlo. Condannato a morte per
tradimento, fu mandato al patibolo il 5 maggio del 1432).
Dopo la morte del Carmagnola inizia l'alterna fortuna del Colleoni.
Venezia affida il comando dell'esercito al capitano Generale
Gianfrancesco Gonzaga mentre a lui assegna solo il comando di 100
cavalli. Deluso, si ritira nelle sue terre e sposa Tisbe Martinengo (che gli
darà tre figlie: Ursina, Caterina e Isotta, le quali, a loro volta sposeranno rispettivamente
Gerardo, Gaspare e Giacomo Martinengo).
Stemma dei Martinengo-Colleoni
Tisbe, appartenente ad una delle famiglie più importanti della nobiltà bresciana,
era figlia di Gaspare, comandante dell'esercito veneto. Con lei inizialmente
risiedette nel 'Palazzo del Capitano' di Martinengo, sede di dominio personale
della moglie i cui possedimenti erano estesi anche ai territori di Ghisalba,
Urgnano, Malpaga, e Cavernago. Il matrimonio con Tisbe, che comportava
un'alleanza tra le due famiglie, era di grande rilevanza per Colleoni perchè lo
proiettò in un ambito sociale, militare e geografico più ampio ed elevato. I
Martinengo, infatti, costituivano una consorteria parentale ricca e potente sia
politicamente che militarmente, con vasti possedimenti nel bresciano (feudo di
Padernello e altri).
Venezia nel quindicesimo secolo, per impulso del doge Francesco
Foscari, volle aggiungere al suo “Dominio da Mar” il “Dominio di
Terraferma” riuscendo ad occupare gran parte del Veneto fino alle Alpi
e la Lombardia orientale. Tuttavia l'intendimento della Serenissima era di
impadronirsi anche dello Stato milanese e per questo si era alleata con
Firenze contro il duca Filippo Maria Visconti. Dopo l'occupazione di
Brescia (1426) e la vittoria riportata a Maclodio dal Carmagnola (12
ottobre1427) i veneziani occuparono nel 1428 Bergamo e dal 1430, per
circa 11 anni, non smisero di guerreggiare contro i milanesi.
Colleoni partecipa alle azioni militari stando dalla parte della
Serenissima sotto il comando prima di Gianfrancesco Gonzaga, poi del
Gattamelata e infine di Niccolò da Tolentino, ma con compiti e
responsabilità limitati.
Nel 1438 difende valorosamente la sua Bergamo dall'attacco di Niccolò
Piccinino, capitano generale di Filippo Maria Visconti, mentre il Gonzaga
capitano generale della Serenisssima si ritira oltre l'Oglio, lasciando campo
libero all'esercito visconteo. Lo strano comportamento del Gonzaga, giudicato
dai suoi collaboratori e da Venezia come un tradimento, l'aveva fatto decidere a
cambiare committenza e passare al servizio dei Visconti. Fu un'occasione però
mancata per l'avanzamento della carriera del Colleoni perchè la Serenissima, in
tale circostanza, nominava Governatore
dell'esercito il Gattamelata.
(Governatore e non Capitano Generale in quanto il Senato veneziano
intendeva riservare questa carica a Francesco Sforza).
Nel 1439 si riaccende la contesa per il possesso del lago di Garda e
delle terre tridentine che vi si affacciano. Le operazioni di guerra si
svolgono con alterne vicende da Brescia alle valli Giudicarie e alla
vallata del Sarca. Sul lago i milanesi tenevano saldamente tutta la sponda
occidentale da Riva fino al Mincio dove una flotta si era spinta fino al
porto di Riva stazionandovi. Invece i veneziani, in possesso della
sponda orientale, erano privi di navi da guerra in quanto
impossibilitati a portarle fino al lago (non avevano a disposizione una
via d'acqua per accedervi).
E' stata la grande occasione per il Colleoni, il quale, di propria
iniziativa, faceva eseguire un'impresa rimasta leggendaria: far
arrivare sul lago una flotta veneziana.
Una trentina di navi da guerra tra cui due galeoni e sei galere, navigano da
Venezia risalendo l'Adige dalla foce fino alle vicinanze di Rovereto. Poi
impiegando tutti i mezzi necessari-fra cui 2000 buoi-le trascinano per via di
terra fino a Torbole sul lago, dove la flotta viene di nuovo approntata per
affrontare la flotta ducale. Rimesse in acqua le navi, Colleoni le arma e alcune le
fa legare tra di loro costruendovi sopra una sorta di castelletto a difesa
dell'intera flotta. In pratica realizza una “corazzata” in grado di navigare
costeggiando il lago.
Un primo scontro con la flottiglia viscontea nei pressi di Maderno, vede la
sconfitta dell'armata veneta. Ma i Serenissimi e il Colleoni non si perdono
d'animo, tutt'altro! E...
Durante la stagione invernale fanno venire da Venezia a Torbole carpentieri e
materiali vari atti a costruire altre navi e tra il 10 e il 14 aprile 1440 con una
flotta rinnovata e potenziata- “la Serenissima del Garda”- attaccano e ottengono
una solenne rivincita sulla flotta viscontea a Riva del Garda. Da quel momento i
veneziani misero piede sulla costa e conquistarono i castelli di Garda e Riva e
non se ne andarono più.
Con la pace di Cavriana del 1441 (voluta dai Visconti) i rapporti con
Venezia entrarono in crisi e il Colleoni passò al servizio del duca
Filippo Maria. Il suo servizio presso i Visconti, tuttavia, fu travagliato
per i suoi rapporti tumultuosi con il Piccinino di cui era il vice. Accusato
di connivenza col nemico venne imprigionato per un anno ai Forni di
Monza. La morte di Filippo Maria-1447- e la proclamazione della
Repubblica Ambrosiana rese tuttavia possibile la fuga di Bartolomeo che
raggiunse a Landriano la moglie e le figlie, e dove ricompose le truppe
rimaste a lui fedeli.
Francesco Sforza, nominato capitano generale della Repubblica
Ambrosiana, lo volle con sè e Bartolomeo si vide affidare il comando
di un grosso esercito.
Nel periodo di tempo 1447/49 Colleoni compie importantissime azioni
militari. Famosa è quella compiuta durante l'assedio del castello di Bosco
Marengo ad opera delle truppe francesi del duca d'Orleans.
Nello scontro avvenuto l'11 ottobre 1447, la cavalleria di Rinaldo di Dresnay
viene sterminata -1500 m0rti-grazie ad una azione fulminea e micidiale da lui
operata: fa catturare lo stesso Rinaldo e moltissimi prigionieri francesi (ciò gli
frutterà un riscatto di 14000 corone). Nelle azioni non usava la solita tattica
defatigatoria di ripetuti attacchi, ma lanciava tutte le sue forze in una carica
travolgente che sorprendeva il nemico sconfiggendolo.
Altre azioni militari rilevanti le ripete nell'aprile del 1449, prima a
Romagnano Sesia e poi a Borgomanero contro le truppe francesi del
duca di Savoia, riportando in poco tempo tre vittorie complete che
condurranno ad una tregua tra il Ducato di Milano e il Ducato di
Savoia.
Il 15 giugno 1448 il Capitano era passato nuovamente al servizio di
Venezia. E' questo un periodo di prosperità nel quale accumula enormi
ricchezze, ma a causa degli intrighi di Gentile da Leonessa -Capitano
Generale della Serenissima- deve fuggire da Venezia e riparare presso
Francesco Sforza, rimanendo al suo servizio e suscitando lo sconcerto
e la rabbia dei veneziani. E' anche l'epoca nella quale Colleoni riesce a
compiere azioni fulminee, atte a recuperare il Monferrato, la
Valsassina e i territori di Bergamo e Brescia (che ritornano sotto il dominio
del Ducato milanese).
Nel 1448, in base ad un accordo sottoscritto a Rivoltella di Desenzano si era
convenuto che la Serenissima avrebbe aiutato Francesco Sforza a diventare
Signore di Milano, in cambio questi le avrebbe ceduto Bergamo, Brescia, e anche
Crema (con qualche riluttanza dello Sforza per quest'ultima). Venezia insisteva
per avere anche Crema perchè ciò le permetteva di estendere il suo dominio in
Lombardia fino all'Adda. Ma la Serenissina (a ciò consigliata da Bartolomeo
Colleoni) fu irremovibile e Crema divenne provincia veneta con giurisdizione sul
Cremasco e rettoria su Soncino, Antegnate, Romanengo, Covo, Mozzanica,
Trigolo e Fontanella. Il papa (Niccolò V), pur di giungere alla pace, proponeva che Crema
La città dovette però subire ancora un
assedio nel febbraio del 1449 da parte di Sigismondo Malatesta e
sopportare azioni di disturbo da parte milanese e veneziana.
rimanesse sotto il dominio del duca di Milano.
Raggiunto l'accordo il 16 settembre, i cremaschi firmarono i patti per il
passaggio di Crema e del suo territorio sotto Venezia. Andrea Dandolo,
provveditore dell'esercito veneziano, entrò trionfalmente in città con le insegne
del leone alato. In segno di gratitudine il Consiglio comunale di Crema
deliberava di offrire al Colleoni un vassoio d'argento del valore di cento ducati
d'oro.
Il 15 febbraio 1453, con una lettera, Colleoni annuncia le dimissioni al
Duca Francesco Sforza e il 12 aprile1454 firma una nuova condotta
con la Serenissima. Nell'anno seguente viene eletto alla somma carica
di Capitano Generale delle milizie della Repubblica di Venezia, carica
che manterrà fino alla morte. (Per la verità i rapporti con Venezia, tenuti tramite la
moglie, non si erano del tutto interrotti. Le trattative segrete per questa condotta si erano
svolte sottola regia di Andrea Morosini, amico del Colleoni).
Anche se aveva raggiunto il massimo grado della carriera militare, le
sue mire ed aspirazioni puntavano ancora più in alto.
La morte di Francesco Sforza nel marzo del 1466 poteva rappresentare una
buona occasione per le sue ambizioni verso Milano, ma la successione di
Galeazzo Maria Sforza vanificò ogni speranza. Il 1467 poteva essere
l'anno giusto, in quanto era entrato in crisi il sistema dell'equilibrio fra i
vari principati italiani (raggiunto nel 1454 con la pace di Lodi); una
crisi peraltro aggravata sia dalla morte di Francesco Sforza che di
Cosimo de' Medici (1464).
In quel periodo Firenze era scossa da meschini esuli fiorentini antimedicei i quali si rivolsero
al Colleoni per un aiuto contro Pietro de' Medici. Il Colleoni, le cui aspirazioni politiche oltre
che verso Milano tendevano verso la Romagna, fu entusiasta di poter scendere nuovamente
sul campo di battaglia e di inserirsi in un gioco politico militare che lo avrebbe reso arbitro
della situazione. L'idea era quella di favorire una repubblica di Firenze rompendo così l'asse
Milano-Firenze ed assicurare a Venezia il dominio dell'Italia settentrionale. Venezia però
considerava azzardata l'iniziativa e la riteneva solo un fatto personale del Colleoni. La
conseguenza fu che i Medici si trovarono alleati il nuovo duca di Milano e Ferdinando di
Napoli, mentre il Colleoni rimase solo a combattere su più fronti. Per il vero ottenne
alcune vittorie fino alla battaglia della Riccardina avvenuta il 25 luglio 1467.
Questa battaglia, che non ebbe né vinti né vincitori, fu negativa per il
settantaduenne Colleoni che vi impiegò le artiglierie. (Le armi da fuoco erano
considerate contrarie alla morale e alla deontologia militare'). La sopravvenuta
pace, dichiarata da papa Paolo II l'anno successivo, seppellì quella che
doveva essere la 'gloriosa impresa' tanto sognata. Coltivò anche l'illusione
del comando di una spedizione angioina contro gli Aragonesi di Napoli.
(Fu l'occasione nella quale Renato d'Anggiò gli concesse di aggiungere al proprio il patronimico
d'Angiò ovvero d'Andegavia, unendo allo stemma colleonesco i Gigli Angioini d'oro in campo
azzurro).
Nel 1472 gli si presentò quella che fu la sua ultima opportunità per compiere la
'gloriosa impresa' ancor più apprezzata in quanto danneggiava l'odiato duca
Galeazzo Maria Sforza.
Carlo il Temerario, duca di Borgogna, scese in Italia con mire sul Ducato milanese,
confidando nel favore di Venezia, la cui politica era apertamente contraria oltre che a Milano
anche all'Impero ed inoltre cercava vantaggiose aperture commerciali nelle Fiandre
borgognone. Il Colleoni stipulò con il Borgognone una condotta ricchissima oltre che
prestigiosa che prevedeva l'assegnazione di 150.000 ducati l'anno, il comando di 1000 lance e
1500 fanti oltre al privilegio di aggiungere al proprio stemma le Fasce di Borgogna.
Però anche questa occasione finì nel nulla perchè all'inizio del 1474 l'avventura di Carlo il
Temerario era di fatto svanita prima di iniziare.
Visse il suo ultimo periodo di vita nel castello di Malpaga impegnato in
opere di mecenatismo e di agricoltore. Costruì due monasteri a Martinengo,
e nel 1470, (alla morte della prediletta figlia quattordicenne Medea),
incaricò l'architetto Giovanni Amedeo di costruire la Cappella di famiglia
nella basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo. Quando l'anno dopo
morì la moglie, fece testamento distribuendo i suoi possedimenti in parti
uguali tra le sette figlie rimaste (Ursina, Caterina, Isotta, Cassandra, Polissena, Donatina e
Riccadonna). Riservò inoltre somme di denaro e benefici a monasteri, chiese e
per opere di carità. A Bergamo fondò la “Casa della Pietà di Bartolomeo
Colleoni” destinando la sua residenza cittadina a sede dello stesso Istituto.
Il 15 maggio 1475 restituì alla Serenissima il bastone di comando ed
iniziò a smobilitare le truppe (anche perchè Venezia era in arretrato coi
pagamenti e lui non poteva sostenere le spese di mantenimento).
La Serenissima, consapevole della ormai prossima fine del Condottiero, respinse
le dimissioni e gli affiancò tre Provveditori con funzioni di controllo ed
amministrative, contando pure che Bartolomeo le avrebbe lasciato in eredità la
maggior parte del suo patrimonio, diverse proprietà immobiliari e una ingente
somma di oltre 300.000 ducati (legata alla richiesta che gli venisse eretta una
statua in piazza San Marco). Bartolomeo Colleoni d'Andegavia, come gli piaceva
essere chiamato, morì il 3 novembre 1475 nel castello di Malpaga, dopo aver
dettato il suo testamento al notaio Tiraboschi di Bergamo. Poche ore prima di
morire, rivolgendosi ai tre Provveditori veneti pronunciò con voce roca le celebri
parole:”Dite a Venezia che non conceda mai più a nessuno tanta fiducia e tanto
potere quanti ne concesse a me per vent'anni”...
Anche da morto il Colleoni voleva rimanere il più grande, il solo privilegiatissimo Capitano
Generale della Serenissima!
Venezia rispettò solo in parte le ultime volontà del suo Capitano Generale. Dopo avergli
tributato funerali solenni, provvide con burocratica meticolosità a recuperare tutte le
concessioni feudali elargitegli durante la carriera militare.
Alla sua fama di militare si aggiunse pure quella di essere diventato fautore di una
lungimirante politica di gestione delle acque nella provincia di Bergamo. Dove, per rendere i
suoi terreni coltivabili e produttivi, si era inventato audaci bonifiche agrarie, canalizzando
soprattutto i corsi d'acqua. Oltre alla costruzione di nuovi canali e rogge, promosse anche la
ristrutturazione delle terme di Trescore Balneario. Nel campo dell'idraulica numerosi furono i
suoi progetti non realizzati. Cito solo quello che prevedeva la costruzione di un naviglio di
collegamento tra i fiumi Brembo e Serio e da quest'ultimo per arrivare al Po, onde permettere
la navigazione tra questi territori (confini occidentali dei possedimenti di terra della
Serenissima) fino a Venezia.
STEMMI di Venezia e di Crema
BARTOLOMEO COLLEONI, VENEZIA E E CREMA.
Come sopra accennato, l'assedio posto da Sigismondo Malatesta nel
febbraio del 1449, aveva messo a dura prova le fortificazioni esistenti a
Crema, evidenziandone la debolezza. Inoltre nel luglio del 1453 lo
straripamento delle acque del Rino aveva danneggiato molto il rivellino
della porta di Pontefurio ed aveva provocato la distruzione dell'argine e
della spalla interni lungo tutto il fossato. Danneggiamenti si erano
verificati altresì nelle adiacenze delle porte di Pianengo e di Serio.
Per correre ai ripari la Comunità aveva preso la decisione di realizzare
alcuni interventi migliorativi, quali: l'allargamento del fossato
perimetrale e la costruzione di nuovi rivellini e fortilizi esterni a porta
Serio, Pianengo e Ombriano, impiegando mattoni recuperati dal castello
di Porta Ombriano (ormai diroccato). Lavori di sistemazione avevano
riguardato pure la strada esterna alle difese che collegava in rilevato le uscite dalle
cinque porte (Serio, Pianengo, Pontefurio, Ombriano e porta Ripalta). Una
strada, che, all'occorrenza, aveva funzioni di arginatura al 'decursum et
impetum' delle acque provenienti da nord. Gli interventi furono approvati dalla
Serenissima come si evince dalla ducale del maggio 1454 (doge Francesco Foscari e
podestà di Crema Andrea Dandolo).
Con l'avvento delle armi da fuoco, la vecchia cinta muraria-costruita dal 1190 al
1199-seppur restaurata e migliorata, era considerata però ormai obsoleta e
inefficace in caso di attacco nemico. Venezia, consapevole dell'importanza
strategica che veniva ad assumere questo estremo baluardo della terraferma
veneta, dedicò particolare attenzione e cura al rafforzamento difensivo della
città e del territorio. Evidentemente la Dominante si preoccupava non solo di
garantire la sicurezza dei suoi sudditi, ma anche la difesa dell'integrità dei
confini dello Stato. Per questi motivi Venezia manda a Crema il
suo Capitano Generale.
Il mandato non contemplava solamente una semplice visita ispettiva alle
fortificazioni esistenti per giudicare del loro stato di conservazione e della
funzionalità delle stesse, ma mirava ad un vero e proprio rifacimento delle difese
con allargamento della cerchia muraria (e conseguente ampliamento della
piazzaforte).
I rapporti del Colleoni con la nostra città, testimoniati nelle “Parti prese” (40 libri che
raccolgono i verbali del Consiglio generale della città a partire dal 15 novembre del 1449) stanno a
dimostrare la deferenza della Comunità di Crema verso il Grande Condottiero.
Già nel luglio 1455 una deliberazione del Consiglio Piccolo di Crema
registra un donativo per una sua venuta in città. Il 23 febbraio 1456
dovendo il Colleoni passare per Crema, si decide di fargli dono di
biade e omaggiarlo col dono di una fruttiera d'argento dorato.
Come noto, malgrado i Capitoli della Dedizione del 16 settembre 1449
prevedessero l'esenzione dai rifornimenti ai militari stanziati a Crema, i
cremaschi dovettero fornire alle milizie impegnate durante la guerra alloggio,
vettovaglie, legna, fieno e strame. Di tutto ciò se ne lagnarono per mezzo di
“oratori” inviati a Venezia al fine di esentarli da tale peso economico divenuto
troppo gravoso per una piccola città come Crema. Ritenevano che tale onere
spettasse solo a Bergamo. Nel 1458 Crema manda a Venezia Bernardo
Vimercati a far si 'che sieno levati dal cremasco e rientrino in bergamasca i 250
cavalli del Colleoni'
La questione sembra sortire però esito incerto e i Cremaschi nel 1465
decidono di inviare direttamente al Colleoni gli ambasciatori Pietro
Benzoni e Andrea Piacenzi col compito di definire la questione.
La situazione si sblocca nel 1466 quando il 26 agosto arriva a Crema il
Condottiero stesso, rimanendovi un paio di giorni con lo scopo di esaminare le
difese della piazzaforte-in primis il castello di Porta Serio- ed esprimere il suo
punto di vista sull'ipotizzato allargamento della cerchia muraria. Le proposte e i
consigli del Colleoni in tale circostanza e anche in altre, come quella successiva
del 10 ottobre 1468, ma soprattutto nella visita del 21 gennaio 1469, furono
fondamentali. In tale occasione i cremaschi gli donarono: 20 paia di capponi,
due forme grandi di formaggio stagionato, del peso di 67 libbre (circa 33 kg), e
once...librette 12 di confezioni di zucchero, librette 25 e once 8 di cera lavorata
in 6 ceri, 10 some di spelta (biada), due vitelli di 132 libbre (circa 65 kg/vitello)..
Costruire solide difese attorno a Crema era ormai indispensabile e ciò
doveva essere interesse preminente del governo della Serenissima
(come ribadito dagli ambasciatori inviati a Venezia per trattare la
questione). Fra l'altro da parte sua il Comune di Crema aveva già fatto
richiesta- più volte presentata e sempre disattesa- di rifare le mura
stesse. Alla fine (1474) il Consiglio Generale prese la decisione di
analizzare a fondo il progetto e il preventivo della nuova cinta muraria
(predisposto dall'ingegnere comunale Giovanni Francesco Marchi).
Sotto il profilo tecnico il progetto non trovò eccessivi ostacoli. Mentre il piano
finanziario pose non pochi problemi perchè ci si rendeva conto che non era
possibile accollare al governo centrale l'intero onere di spesa. Di conseguenza si
accesero dibattiti sia a Crema che a Venezia, soprattutto sulle modalità di
costruzione della cortina muraria.
Come sappiamo con la comparsa delle armi da fuoco sui campi di battaglia,
la struttura muraria costituiva il vero perno di ogni fortificazione.
Osservazioni e verifiche erano concentrate in primis su porte e rivellini
da costruire (punti deboli del sistema difensivo), ma anche sulle fosse,
sui torrioni e sui terrapieni e le cose si trascinarono da ambo le parti per
lungo tempo. Da ultimo, ma non l'ultimo, si doveva decidere la
suddivisione delle spese di realizzazione tra il governo centrale e
quello locale.
Finalmente, dopo reiterate trattative e lungaggini burocratiche fu raggiunto nel
1487 l'accordo definitivo. Il 24 maggio 1488 il Podestà Bernardo Barbarigo, con
la posa della prima pietra a porta Ombriano, dava inizio ai lavori di costruzione
sotto la direzione di Giovanni Antonio Marchi (figlio di Giovanni Francesco). I
lavori venivano ultimati da Venturino Moroni di Bergamo nel 1509 sotto la
podestaria di Niccolò Pesaro.
IMMAGINI: piante di Crema (II e III ampliamento)
Nel complesso: mt 2720 di perimetro, 12 cortine, 8 torrioni e 4 porte: di Ombriano, Porta Nova
e di Ripalta con i rispettivi rivellini e Porta Serio difesa dal Castello e baluardo. Il relativo
costo di costruzione -circa 120.000 ducati- venne addossato per un terzo a Crema e per due
terzi a Venezia. (Attualmente il FAI si sta attivando per la salvaguardia e il restauro delle mura).
Nel 1497, sotto la Podestaria di Pietro Loredan, l'ingegnere Francesco da Gavardo, scavava il
colatore 'Travacone' al fine di dirottare nel Serio le acque del Moso, che, dai tempi della
Rifondazione di Crema-1185- defluivano a mezzo del 'Cresmiero' nella roggia Crema a monte
della città (con conseguenti periodiche esondazioni). Ciò consentì di allargare verso nord l'area
urbana, e le nuove mura vennero costruite lungo le attuali vie Stazione e Mercato.
Dall'esame delle deliberazioni, risulta pure che il Colleoni dal 1466 aveva
intensificato i rapporti e l'amicizia con la nostra città ed in particolare con
alcune famiglie come i Benzoni, gli Zurla, i Vimercati ed altre, delle quali molti
membri erano dediti al mestiere delle armi. A tale riguardo non sembra
azzardato ipotizzare che queste famiglie l'abbiano aiutato ad allestire una sua
dimora in Crema, atta a permettergli un soggiorno maggiormente continuativo
nella nostra città.
IMMAGINI : 'Palazzo Colleoni' e alcune tavolette restaurate.
La conferma di tale supposizione è arrivata da una scoperta avvenuta alcuni anni or sono,
quando la Provincia, grazie ad un finanziamento ottenuto, aveva fatto restaurare l'edificio di sua
proprietà posto in via Matteotti ('Palazzo Colleoni'). Il palazzo, nel 15esimo secolo apparteneva
molto probabilmente alla famiglia Vimercati. Il restauro dei soffitti lignei delle due sale più
importanti del palazzo ha permesso la datazione dell'originaria edificazione quattrocentesca
(rimaneggiata in epoche successive). Ma soprattutto il restauro di numerose tavolette da soffitto ha
permesso il riconoscimento dello stemma del Colleoni ('due teste di leone a denti digrignanti
congiunte da due bande o 'cotisse').
La grande sala al primo piano, coperta dal quattrocentesco soffitto ligneo a
“lacunari” (o cassettoni), è dotata di una cornice continua che chiude in basso la
fila delle tavolette lungo le travi maestre (di gusto e tradizione gotica simile a
quella dei soffitti di Malpaga). Queste tavolette rinascimentali, nelle quali è stata
raffigurata l'Araldica delle città di Bergamo e Crema, riportano in modo
preponderante e inconfondibile lo stemma del Colleoni. Ripetuto ben 12 volte e
nella posizione quasi sempre centrale, è seguito dagli stemmi dei Benzoni, dei
Capitani, dei Castelli, dei Benvenuti, dei Verdelli e altri. L'insegna colleonesca
<troncato d'argento e di rosso, a tre paia di testicoli forati> è arricchita delle due
lettere iniziali del condottiero B e C.
IL CASTELLO DI MALPAGA
(Immagini)
Colleoni acquistò il castello dal Comune di Bergamo il 29 aprile 1456.
Costruito verso la metà del '300 da un ghibellino ricco lo si desume
dalle merlature originarie a coda di rondine (che il Colleoni pur
guelfo, conservò). Ricordo che la torre è stata disegnata dal cremonese Bartolomeo
Gadio, architetto militare, che progettò anche buona parte del castello Sforzesco di Milano (su
incarico di Francesco Sforza).
Il Colleoni, intenzionato a porvi la sua residenza, lo trasformò e
ampliò in un'inespugnabile fortezza, dotandola di alloggiamenti per i
soldati della guarnigione e i cavalli, e rendendola magnifica dimora
della sua famiglia già a partire dal Natale del 1458. Il piazzale a sud era
stato sistemato per esercitazioni di cavalieri e tornei ai quali gli ospiti potevano
assistere dalla loggetta del primo piano.
Il castello -di fatto il centro di un Principato- fu testimone di
avvenimenti storici e della presenza di personaggi illustri che di volta
in volta arrivavano in visita di omaggio al grande Condottiero.
Toccò il suo massimo splendore dopo il 1465, quando Colleoni ospitò il fraterno
amico Borso d'Este, marchese di Ferrara, Sforzino e Filippo Sforza (figli del
Duca Francesco) e Carlo il Temerario, Duca di Borgogna.
Nel marzo 1474 fu accolto il Re Cristiano I di Danimarca accompagnato dal
Duca di Sassonia con una scorta di 200 cavalli (...si recavano a Roma per il
Giubileo...). Fu quello un grande avvenimento passato alla storia. Le cronache
raccontano che il Colleoni gli andò incontro con 500 cavalli neri, con cavalieri
bene armati e vestiti a nuovo, e trombettieri e stendardi. Il re si trattenne per
quattro giorni durante i quali furono organizzate cacce e tornei, e gare di forza
tra i soldati. Il tutto culminato con un sontuoso banchetto finale (illustrato dagli
affreschi nel salone al piano terra).
Nondimeno il castello fu testimone di fatti e vicende che amareggiarono
gli ultimi anni di vita del Condottiero, soprattutto dal 1467 al 1472.
Dopo la obbligata rinuncia alla conquista del Ducato di Milano, nel marzo
1470 gli muore la 14enne figlia prediletta Medea. L'anno dopo, aprile
1471, si spegne la moglie Tisbe, compagna fedele per tutta la vita.
A colmare la dose viene la sfida del Duca di Milano , che lo vuole morto.
Come noto il duca di Milano, Galeazzo Maria Sforza, consapevole
delle mire del Colleoni sul suo Ducato, aveva riempito di spie la zona
di Malpaga e aveva attentato più volte, per mezzo dei suoi sicari, alla
vita del Condottiero.
A tal riguardo riporto brevemente la triste e lugubre vicenda dei Vismara (accaduta nel
1472). Ambrogio e Francesco Vismara, padre e figlio, erano due spie del Duca Galeazzo che si
erano infiltrate nel castello, facendo credere di essere esuli dal Ducato di Milano. Ambrogio fu
scoperto mentre tentava di consegnare una missiva ad un cavaliere del Duca e confessò sotto
tortura di aver ricevuto l'incarico di avvelenare il Colleoni.
Il Capitano, per non dover pronunciare personalmente due condanne a morte
volle che i due venissero sottoposti a regolare processo. Il processo durò circa
due mesi e la sentenza di morte venne pronunciata da Giovanni Diedo,
magistrato di Venezia. Francesco venne impiccato sulla pubblica piazza di
Martinengo. Il padre Ambrogio, invece, fu sottoposto al supplizio dello
squartamento e brandelli del suo corpo vennero esposti quà e là a Malpaga, a
Romano ed al bivio di alcune strade.
Di questa esecuzione corse voce in tutta Italia, di modo che il Colleoni si fece
premura di mandare copia degli Atti del processo sia al Papa che al Re di Napoli,
oltre che a Venezia.
Visitando Malpaga, ci troveremo di fronte ad un trionfo di colori, tesi
ad esaltare la figura del condottiero e a ingentilire un'architettura militare
che al suo esterno presenta ancor oggi un carattere rude e minaccioso,
circondato da un imponente fossato (di cui sono visibili solo i resti).
Come tutti i principi rinascimentali, Colleoni voleva affermare e manifestare il
prestigio raggiunto e il potere conquistato attraverso opere visibili che
testimoniassero la grandezza raggiunta attraverso un mecenatismo in grado di
certificare la sensibilità alla cultura, al bello, all'arte. Le pareti del castello, quasi
interamente affrescate, costituiscono non solo una viva e bellissima
testimonianza artistica ma anche una attestazione degli usi e del 'modus vivendi'
dell'epoca.
Gli affreschi del salone al piano terra, che rappresentano i momenti salienti della visita del Re
Cristiano I di Danimarca e del Duca di Sassonia, furono eseguiti negli anni precedenti il 1530 per
incarico dei nipoti del Condottiero (Alessandro ed Esrore, figli di Gerardo Martinengo e Ursina
Colleoni, ai quali lasciò i suoi castelli e le sue terre). Questi dipinti -come anche quello della
battaglia della Riccardina- sono stati attribuiti alla mano del Romanino (Girolamo da Romano, detto
il Romanino, famoso pittore manierista nato a Brescia nel 1484 o 87 e morto nel 1561. Come noto,
nel 1519 aveva affrescato quattro episodi della Passione di Cristo nella navata maggiore del Duomo
di Cremona).
Crema, 17 ottohre 2014
(Claudio Carenzi)
La visita al castello è prevista per il giorno di sabato 25 0ttobre p.v.