Trasformazioni urbane e governo del territorio

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Trasformazioni urbane e governo del territorio
Trasformazioni urbane e governo
del territorio metropolitano
di Paolo Berdini *
1. La privatizzazione delle città
Nel gennaio 2010 Il Sole 24 Ore ha chiarito i motivi per cui a distanza di cinque anni dall’approvazione del progetto non prendono
ancora avvio i lavori di ristrutturazione dei Mercati generali dell’Ostiense: il gruppo Lamaro sta attendendo l’erogazione di un prestito di 200 milioni di euro da parte della Cassa depositi e prestiti.
Come noto, la prassi di accensione di mutui per realizzare qualsiasi
intervento di interesse pubblico è interdetta a tutti i Comuni italiani
a causa di continui provvedimenti bipartisan tesi – ufficialmente – a
limitare l’indebitamento delle amministrazioni locali. Le regole non
valgono pertanto allo stesso modo: il settore pubblico non può compiere le stesse operazioni che sono invece consentite ai privati, con
l’aggravante che la Cassa è un istituto di credito pubblico (il 70%
appartiene allo Stato): la collettività presta soldi a tassi ridotti ai privati ma non alle amministrazioni pubbliche.
Non c’è nessun altro paese occidentale che abbia avviato politiche
così inique e penalizzanti per le amministrazioni pubbliche: lì rimane infatti il senso dello Stato e della fondamentale importanza delle
azioni delle amministrazioni pubbliche. Da noi le amministrazioni
locali sono state messe in ginocchio, sottoposte a tagli di bilancio insensati soprattutto se confrontati con l’allegra prassi che lo scandalo
della Protezione civile sta mettendo in luce.
Attraverso una campagna mediatica efficacissima ci è stato detto
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Urbanista.
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che «non c’erano più risorse pubbliche» e in questo modo i Comuni
sono stati costretti da un lato a svendere il patrimonio pubblico e
dall’altro lato a incentivare l’unica fonte di entrata su cui non si attua nessuna politica di controllo, e cioè quella legata all’aumento di
concessioni edilizie e all’uso disinvolto dell’urbanistica contrattata.
Si aumenta a dismisura l’edificazione per sopperire ai mancati trasferimenti di risorse pubbliche che vengono invece sperperate dalle
varie «cricche» che dominano il settore degli appalti pubblici.
E poi non è neppure vero che i Comuni non dispongano di fondi
per fare opere inutili o discutibili. A Roma, ad esempio, Vittorio
Sartogo e l’associazione CALMA hanno valutato che da quando
(agosto 2006) l’ultimo governo Prodi ha fornito di poteri speciali in
materia di mobilità il sindaco di Roma, fino al novembre 2009, sono
state emesse 246 ordinanze per una spesa totale di 760 milioni di
euro senza rispettare le regole di affidamento europee. I soldi, in
molti casi, ci sono, mentre all’ospedale Pertini di Pietralata viene
chiesto ai parenti dei ricoverati di portare le siringhe. Alcuni di essi
collaborano alla pulizia del nosocomio. Analoghi fenomeni avvengono nelle scuole dell’obbligo e in ogni altro comparto della sfera
pubblica, ad iniziare dal settore giudiziario.
A distanza di quindici anni dal suo trionfo, il neoliberismo si svela
dunque per quello che è: una gigantesca costruzione ideologica che
ha coperto la vendita delle città alla peggiore speculazione parassitaria e che sta distruggendo alla radice il ruolo dello Stato moderno.
Negli altri paesi europei che pure hanno subito la ricetta economica
neoliberista sono stati privatizzati settori importanti dell’economia e
vendute imponenti quantità di beni e aziende pubbliche. Ma è stato
preservato il ruolo delle amministrazioni pubbliche. Da noi, per gli
storici ritardi, la cura ha prodotto un disastro di dimensioni incalcolabili. Viviamo ormai in un paese senza più una guida pubblica,
lasciato in mano a scorrerie di avidi predatori. Oggi tutti lo possono
osservere e spero che la buona politica – di cui non si vede ancora
traccia – recuperi in fretta il tragico baratro in cui siamo caduti. È
positivo che questi temi vengano affrontati dalla CGIL, che ha svolto coerentemente in questi anni un ruolo di difesa di alcune funzioni dello Stato nelle dinamiche sociali. Si tratta di estendere questa
azione anche alla città, perché è qui che maggiormente si misurano
i disastri dell’aver cancellato ogni regola affidando le sorti della città
ai privati.
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2. La città metropolitana senza infrastrutture
Quali sono stati i fenomeni che hanno investito la capitale e come
hanno provocato l’aggravamento delle condizioni di vita della parte
debole della società? Il primo grande fenomeno riguarda la creazione di un’area di gravitazione metropolitana di dimensioni gigantesche che non hanno alcun confronto con le capitali europee notevolmente più grandi di Roma. Afferma la Provincia di Roma che sono oltre 400 mila gli spostamenti pendolari quotidiani dall’area metropolitana ai luoghi di lavoro che non si sono voluti decentrare in
questi anni. La dimensione fisica dell’area è gigantesca: ci si muove
quotidianamente anche da distanze superiori ai cinquanta chilometri, come nel caso della pendolarità da Civitavecchia, Aprilia o AnzioNettuno, soltanto per citare i casi più eclatanti. Anche dalla grande
conurbazione londinese (12 milioni di residenti) ci si sposta da distanze superiori ai 50 chilometri per andare nella city. Ma ci si va con
treni comodi e moderni che viaggiano a 200 chilometri orari. Lo
scorso anno è stata inaugurata una nuova linea ferroviaria che dalla
regione del Kent impiega 30 minuti per percorrere 70 chilometri.
Per arrivare dalla conurbazione Tivoli-Guidonia (150 mila abitanti) si
impiega circa un’ora su treni indecenti che viaggiano su binario unico. In Gran Bretagna ha governato a lungo Margaret Thatcher, ma
nessuno ha mai pensato, come da noi, di divorare lo Stato.
Anche nella regione dell’Île de France (11 milioni di abitanti) ci si
sposta in treno per raggiungere Parigi. E nonostante la diffusione
capillare della rete ferroviaria, nel 2004 il sindaco di Parigi Bertrand Delanoe ha deciso di costruire una nuova linea tranviaria a
nord della città. È stata progettata, costruita e inaugurata in tre anni, senza aggirare alcuna regola.
A Roma si è consentita una gigantesca diffusione residenziale
senza realizzare linee ferroviarie: ci si sposta dunque in automobile.
Ecco perché a Roma abbiamo 80 automobili ogni cento abitanti e
un numero patologico di scooter, rispetto alla media italiana di 61
auto ogni cento abitanti, ed europea di sole 46. Ed è indubbio che
questo storico ritardo della città influisca sulla scomparsa di alcune
imprese internazionali da decenni presenti sul territorio. In una fase di competizione globale è inevitabile che esse preferiscano concentrarsi in luoghi urbani maggiormente attrezzati dal punto di vista dei trasporti e dei servizi alle imprese che non Roma.
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3. La grande espulsione e la città piena
L’esplosione della città di Roma in ogni direzione è avvenuta a
causa del grande processo di rivalutazione del comparto immobiliare di questi ultimi anni. È forse più interessante ragionare sulle differenze dei valori immobiliari tra le varie zone di Roma e la Provincia sulla base dei dati dell’Agenzia del territorio. I valori immobiliari
rilevati nel primo semestre 2009 si attestano a 9.000 euro/mq nei
rioni più qualificati come Campitelli. Quando si inizia ad allontanarsi dal centro si raggiungono i seguenti valori immobiliari:
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periferia storica: valori medi di 7.000 euro/mq;
periferia interna al GRA: valori medi di 5.500 euro/mq;
periferia esterna al GRA: valori medi di 4.000 euro/mq;
prima corona dei comuni metropolitani: valori tra 1.700 e 3.300
euro/mq (v. medio 2.500);
– seconda e terza corona dei comuni dell’area romana: valori tra
1.500 e 2.300 euro/mq (1.900);
– comuni più lontani e a basso livello di accessibilità: valore medio
di 1.400 euro/mq.
I valori reali delle transazioni immobiliari sono superiori a quelli
ufficiali appena elencati, ma le differenze tra di essi sono immutate;
non varia però l’andamento relativo. Più di centomila famiglie sono
state espulse da Roma perché non ce l’hanno fatta a sostenere l’impennata dei valori delle case e quella degli affitti.
Una delle obiezioni a questo ragionamento è che la città non si è
vuotata, perché appare piena. È vero: c’è stato un gigantesco processo di sostituzione sociale non governato da alcuna politica. Le case
delle famiglie che si sono trasferite lontano da Roma sono state affittate a studenti e immigrati. Il loro numero è indubbiamente superiore a quello dei nuclei familiari originari. Insomma, i 100 mila studenti fuori sede che frequentano le università romane e i 400 mila
immigrati hanno rimpiazzato coloro che sono stati costretti ad andarsene. Le statistiche che fornisce l’ISTAT ci dicono che nel Lazio
esistono 2.431.000 abitazioni, mentre il numero delle famiglie è di
1.985.487. È dunque certo che rispetto al fabbisogno teorico ci sono
già 450 mila alloggi in più. È un numero enorme, circa 250 mila alloggi, di cui Roma detiene la gran parte. Ma è ragionevole pensare
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che 100-150 mila alloggi siano occupati ma non risultano alle statistiche ufficiali? La campagna promossa dalla CGIL contro l’evasione
fiscale potrebbe aprire anche questa importante questione.
4. Ripristinare il governo pubblico della città metropolitana
Roma dunque non è vuota, ma le famiglie economicamente deboli
sono dovute andare a grandi distanze dalla città. Le loro condizioni
di vita si sono aggravate. Dal punto di vista della qualità della vita,
perché perdono tre ore di vita al giorno soltanto per spostarsi, un
mese e mezzo della propria vita in fila. Dal punto di vista economico,
perché spendono molto di più di un «romano» per spostarsi. Si tenga
conto in questo senso che la prospettiva di istituire pedaggi nella rete
stradale primaria porterà un’ulteriore decurtazione del reddito di
queste famiglie, come è già avvenuto per gli abitanti di Ponte di Nona e Case Rosse che pagano per percorrere il tratto urbano dell’A24.
Dal punto di vista della prospettiva sociale, perché la qualità dei servizi scolastici, sociali e sanitari sono notevolmente minori – in genere, ovviamente – di quelli di Roma. Non è soltanto la generazione
che si è trasferita fuori Roma ad aver diminuito la sua prospettiva di
riscatto sociale, ma sono anche le generazioni future che ne risentiranno. Una prospettiva iniqua e inaccettabile che può essere attenuata attraverso la pianificazione urbanistica. Era quello che affermava
60 anni fa un grande personaggio come Adriano Olivetti: il territorio
è la proiezione esterna della vita dei salariati e l’urbanistica è il metodo pubblico che permette di migliorarne la vita.
Oggi che l’urbanistica contrattata, i diritti edificatori e le compensazioni hanno abolito ogni regola dobbiamo ricostruire il volto
pubblico della nostra città e dell’area metropolitana. A partire dal
perseguire quattro indispensabili obiettivi. Quattro progetti di chiaro impianto pubblico: le città sono beni comuni e bisogna tornare a
questa semplice acquisizione storica, abbandonando ogni riproposizione mascherata di idee che hanno fallito nel ventennio liberista.
Il primo è quello di creare in tempi rapidissimi una rete di trasporto su ferro efficiente e moderna. A partire dal 1993 fino all’anno prossimo l’Italia avrà speso 51 miliardi di euro per realizzare
l’alta velocità ferroviaria tra Napoli e Torino. Serve il 5% degli utenti delle ferrovie. I quattro milioni della popolazione della provincia
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di Roma sono invece il 5% della popolazione italiana e meritano un
investimento altrettanto adeguato.
Il secondo progetto è quello di definire le ipotesi di decentramento delle attività direzionali dello Stato, unico potente strumento
di riequilibrio territoriale e di riqualificazione delle periferie. È un
tema complesso, sia per le occasioni mancate negli anni passati sia
per le troppo diffuse resistenze e incomprensioni a questa prospettiva. Ma è indubbio che è questo lo strumento maggiormente efficace per riequilibrare la città.
Il terzo progetto è relativo alla soddisfazione del problema abitativo di almeno 100 mila famiglie che hanno il problema dello sfratto o
vivono in alloggi impropri. Anche qui è necessario operare una soluzione di continuità con il passato. In quasi anni, come noto, non sono
state costruite case pubbliche, se si fa eccezione per le poche decine
realizzate a Ponte di Nona. In tempi di neoliberismo trionfante era
considerato un affronto che le amministrazioni pubbliche programmassero il mercato edilizio per i ceti più poveri. Sono stati spesi molti
soldi pubblici sia per finanziare il comparto dell’edilizia convenzionata, sia per acquistare abitazioni per la popolazione romana in luoghi
lontanissimi, Aprilia, Pomezia e tanti altri comuni. È indispensabile
invece tornare a programmare interventi di edilizia pubblica.
Il quarto e ultimo è quello relativo alla riqualificazione delle periferie urbane e metropolitane, questione centrale per le conseguenze sociali che si avrebbero se continuasse la fase attuale di oscuramento del problema. I quattro obiettivi che ho elencato sono gli
stessi che delineò Antonio Cederna nella sua lucida proposta per la
legge su «Roma capitale». Una legge di stampo pubblicistico, in
palese controtendenza nel momento in cui (erano i primi anni ’90)
fu presentata alla Camera dei deputati. È stata abbandonata e il disastro che è seguito alla privatizzazione della città impone di riprenderla nella sua interezza.
5. La questione istituzionale e l’uso
del patrimonio immobiliare pubblico
La cornice al ragionamento appena esposto è rappresentata dalla
soluzione della questione istituzionale e dall’utilizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. La definizione dell’autorità metropoli46
tana, e cioè dell’istituzione più adeguata in termini di sussidiarietà a
governare le trasformazioni urbane dell’area metropolitana romana, è questione fondamentale per la buona riuscita del governo urbano. Non c’è infatti nessuna trasformazione urbana che possa essere analizzata e risolta all’interno dei confini comunali della città. Le
relazioni territoriali sono così strutturate e interconnesse che non si
comprende nulla di quanto sta avvenendo a Roma se non si guarda
dal punto di vista della sua area metropolitana.
Ed è evidente che se non si comprendono i fenomeni non si riesce neppure a governarli. È stato un grave errore quello commesso
dal governo nell’indicare nell’attuale città di Roma l’istituzione più
adatta a governare i processi d’area. È solo tornando allo spirito del
legislatore del 1990, anno di istituzione delle città metropolitane,
che si può tentare di risanare i mali di Roma e della sua area. È solo
su una nuova scala territoriale di intervento che si può invertire la
china rovinosa causata dalla cancellazione delle regole. Dover constatare che la legge 142 è stata disattesa per venti anni non induce a
facili ottimismi. Ma di fronte ad una crisi istituzionale così profonda
è importante che ci siano forze, ad iniziare dalla CGIL, in grado di
indicare un percorso chiaro per risolvere i mali di Roma.
Va governata anche la fase del trasferimento del patrimonio immobiliare statale all’amministrazione comunale romana. Si tratta di
un patrimonio immenso e le sue caratteristiche localizzative ne fanno la chiave per riqualificare interi quadranti urbani. Si pensi solo,
per fare due esempi, alle storiche caserme di Prati o al complesso
del forte Bravetta. Se dovesse affermarsi la ricetta della «valorizzazione immobiliare» ad ogni costo, si darebbe un altro colpo alla vivibilità della città. Quel patrimonio è invece indispensabile per tentare di risolvere il problema abitativo di molti nuclei familiari che
non hanno casa o per fornire servizi alle periferie.
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