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RILETTURE DELLA COMUNE NEL CORSO DEL TEMPO
Inizio questo intervento – suscitato e richiesto dall’appassionante materiale fotografico che qui presentiamo di
seguito, ma che per chi scrive significa il ritorno a studi non recenti, ma non certo dimenticati – con il riferimento
a un’appendice che rappresenta anche una parte dei temi e problemi che intendo affrontare in esso. Vi si trova
una rassegna delle tesi segnalate sui principali motori di ricerca – maîtrises e tesi di dottorato – dedicate alla
Comune e ad argomenti ad essa strettamente affini. Esse si addensano soprattutto negli anni sessanta e
settanta, con qualche lavoro pionieristico nei cinquanta. Solo di recente riemergono, con temi come La banque
de France et la Commune de Paris (1871), La chanson anticléricale au lendemain de la Commune jusqu'à
l'affaire Dreyfus (1870-1894), Un lieu de mémoire: le mur des fédérés (1898-1936), Une communauté en exil:
les réfugiés de la commune de Londres (1871-1880), che segnalano un modo di affrontare l’evento Comune o
dal punto di vista della storia generale o da quello della storia culturale e delle sociabilità, privilegiati dalle
storiografie europee degli ultimi vent’anni.
Nel 2003 si sono tenuti due convegni su argomenti vicini a questi.
Il primo, per iniziativa dell’Association des amis de Benoît Malon e dell’università di Saint-Etienne, sul tema “La
Commune de 1871”. L’iniziativa è stata posta sotto il patronato di Michelle Perrot, di Marc Vuilleumier, di
Jacques Rougerie, il maggior storico della Comune come evento e come fatto sociale di lungo periodo, e di
Danielle Tartakowsky. Hanno partecipato, fra gli altri: Pierre Lévêque; Odile Krakovitch, delle Archives
Nationales (Clemenceau et les femmes de Montmartre: un avant-signe?); André Combes (La FrancMaçonnerie parisienne en 1871: conciliateurs et communards), Philippe Darriulat (Le sentiment patriotique des
communards, dernière manifestation d’une tradition de la Gauche républicaine?); Claude Latta, specialista di
Benoît Malon; Robert Tombs. Alcuni interventi hanno reso conto della ricezione della Comune nella 'Francia
rurale' accusata, dalla stampa parigina, di avere permesso l’elezione del parlamento moderato che aveva
abbandonato Parigi per riunirsi a Versailles; e comunque in provincia: Charles-Henri Girin, sulla Commune de
Saint-Etienne, Jean Lorcin, sul garibaldinismo e la Comune a Saint-Etienne, Jean-Claude Vimont, sui
comunardi minorenni incarcerati nella sezione correzionale della prigione di Rouen. Altri temi trattati: la
memoria, trasmessa in sede locale, sedimentata e selezionata nei corsi scolastici, rievocata o rimossa dalle
diverse generazioni o veicolata da rappresentazioni letterarie anche attuali come la «bande dessinée»
(Danielle Donnet-Vincent, Danielle Tartakowsky, Didier Nourrisson Jean-Bernard Vray). Laure Godineau ha
rievocato un tema oggi al centro dell’interesse, grazie a un’attenzione più approfondita che viene dedicata alla
faticosa costruzione del consenso alla Terza repubblica: le visioni della Comune attraverso i dibattiti, subito
aperti, intorno all’amnistia. Alain Dalotel quello, più tradizionale, del ritorno in patria di Benoît Malon e del suo
radicamento nel socialismo francese (1880-1893). Bruno Antonini, la riflessione di Jaurès sulla Comune come
fatto anticipatore dell’idea di autoemancipazione proletaria. Pascal Chambon ha affrontato il rapporto fra la
Commune, la sua conclusione sanguinosa e la fine della garde nationale, che aveva avuto tanta importanza
nelle rivoluzioni del XIX secolo.
Gli organizzatori hanno tenuto a loro volta delle relazioni: Rougerie ha tratto un bilancio delle conoscenze,
soprattutto documentarie, di un evento le cui fonti sono disperse fra archivi di polizia e del Ministero della
guerra e che in parte sono andate distrutte; Michelle Perrot, specialista di storia delle donne, ha disegnato il
percorso di George Sand, dall’impegno repubblicano degli anni quaranta accanto a Pierre Léroux,
all’atteggiamento di attenzione sospettosa per le aperture imperiali, fino alla condanna a distanza della
Comune; Vuillemier ha rievocato l’esilio dei comunardi.
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Nell’ottobre 2003, a Auxerre, si è svolto un convegno dedicato a Zéphirin Camélinat, significativamente
intitolato “L’homme, le militant, le symbole”. Nato nell’Yonne nel 1840 e morto a Parigi nel 1932, operaio
bronzista di grandi qualità professionali, avendo lavorato alla costruzione e decorazione dell’Opera, ha
attraversato con tenacia e capacità innovative l’intera storia del movimento operaio francese. Vi ha operato
dalla nascita di un’opposizione specificamente operaia al Secondo impero – Camélinat figura fra i firmatari del
Manifesto dei sessanta, del 1864 – alla fondazione dell’Associazione internazionale degli operai, o dei
lavoratori, a Parigi (l’Ail, che noi chiamiamo la Prima internazionale), alla Comune, dove ricoprì l’incarico di
direttore della zecca, all’esilio, alla lenta formazione dei presupposti per la nascita del partito socialista Section
française de l’international ouvrière - Sfio, alla Grande guerra, alla scissione di Tours e alla nascita del partito
comunista cui Camélinat aderisce e in cui resterà fino alla morte. L’esemplarità della sua figura rappresenta le
preoccupazioni e le intenzioni con le quali era iniziata, più di un quarantennio fa, l’impresa del Dictionnaire
biographique du mouvement ouvrier français1 di Jean Maitron e Camélinat è uno dei pochissimi militanti ad
occupare tutti e quattro i periodi in cui esso è diviso, attraversandoli non da teorico né da dirigente, ma da
militante del quotidiano, che associa l’attività di mestiere, l’impegno 'corporativo' e quello politico senza nette
soluzioni di continuità. La fase decisiva della sua vita fu certo, comunque, quella legata alle sue funzioni presso
la Comune e cito qui il convegno a lui dedicato anche perché alcune delle peculiarità della sua biografia
aiutano a spiegare aspetti della Comune non sempre presenti ai lettori non specificamente interessati alla
storia francese, su cui tornerò. Al convegno hanno partecipato studiosi specialisti delle varie età, politiche e
sociali, del socialismo francese e alcuni dei principali collaboratori attuali dell’impresa del Dictionnaire. Claude
Pennetier, Michel Cordillot, Laure Godineau, André Combes, Gilles Candar, Thierry Hohl, Pascal Guillot, Jean
Vigreux, Claude Delasselle e Joël Drogland hanno seguito Camélinat dalla militanza locale a quella parigina,
alla Comune e nell’esilio londinese fino al ritorno e alle complesse vicende del reinserimento nel contesto
repubblicano. Attraverso il contributo alla costruzione della Sfio e all’adesione alla maggioranza comunista a
Tours.
I lavori del convegno sono stati chiusi autorevolmente da Madeleine Rebérioux 2. Due relazioni sono state
dedicate alla simbologia delle commemorazioni di Camélinat e alla sua memoria nella Resistenza.
Laure Godineau et Marc César sono intervenuti, discutendo fra l’altro con Alceo Riosa, storico che si è di
recente interessato al ruolo dei miti nelle biografie politiche fra Otto e Novecento, anche in un seminario
organizzato il 7 aprile 2005 dall’università di Pavia.
Nel marzo del 2005, alla Sorbonne, si è tenuto infine un convegno dedicato a Louise Michel nel centenario
della morte, promosso da vari enti fra i quali la Délégation générale à l'outre-mer della Mairie de Paris. Dei molti
aspetti di Louise Michel «communarde et femme de lettres» viene dunque infine particolarmente valorizzata –
anche questo è un segno che il perdurante interesse nei riguardi della Comune si combina con punti di vista
nuovi – la sua comprensione, eccezionale anche fra i suoi compagni di deportazione, nei riguardi delle
soggettività e dei diritti dei nativi colonizzati della Nuova Caledonia. Il coordinamento scientifico è stato
assegnato a Valérie Morignat; sono intervenuti Daniel Armogathe, Mireille Calle-Gruber, Yael Cange, Marianne
Charrier-Vozel, Joel Dauphine, Geneviève Dermenjian, Dominique Desanti, Gérald Dittmar, Danielle DonetVincent, Carolyn Eichner, Véronique Fau-Vincenti, Geneviève Fraisse, Michèle Friang, Eric Fougère, Xavière
Gauthier, Régine Goutalier, Françoise Julien, Sophie Kerignard, Frédéric Medevielle, Claudine Rey, Michèle
Riot-Sarcey, Anne Sizaire, Elisabeth G. Sledziewski, molti dei quali specialisti di filosofia e di letteratura. Fra le
studiose note anche in Italia, significative sono le presenze di G. Fraisse e di M. Ryot-Sarcey, specialiste di
storia delle donne: la prima della storia sociale del lavoro femminile di cura3, la seconda della presenza
simbolica del femminile nelle culture e nelle utopie democratiche e socialiste francesi, che non sempre si è
accompagnata al riconoscimento di un ruolo attivo nella propria emancipazione: valgano qui per tutti i nomi di
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Jules Michelet e di Claude de Saint-Simon. Il titolo del convegno è “Louise Michel figura della trasversalità” e la
principale forma di tale trasversalità è stata l’originale relazione con i mondi 'altri', i f olli, i criminali e soprattutto
i sauvages.
Alcuni interventi del convegno hanno ridimensionato la simpateticità di Louise Michel per i kanaki, a proposito
di cui vale la pena di ricordare le vicende del loro incontro. Alcuni dei più noti comunardi, fra cui proprio Louise
Michel, vennero condannati alla deportazione in bagno penale («en enceinte fortifiée») a Nouméa nella Nuova
Caledonia. In quegli anni si verificò un’insurrezione delle popolazioni locali sottoposte a durissima dominazione
coloniale. Non pochi dei deportati chiesero, inutilmente, che fosse loro concesso di combatterle, mentre Louise
Michel, pur non esente da espressioni tributarie di un immaginario che oggi potremmo chiamare «orientalista»,
solidarizzò con esse in nome del diritto elementare all’autogoverno.
Qui emergono proprio alcuni di quei problemi connessi all’interpretazione dell’evento Comune e delle culture in
essa operanti che riguardano anche Camélinat. L’adesione di questi all’Union sacrée – nonostante la
successiva affiliazione alla maggioranza internazionalista al congresso di Tours – ha a che fare con quella
versione particolare di patriottismo e di nazionalismo repubblicano che ha a lungo consentito a questo di
rappresentarsi come promozione dell’espansione delle libertà repubblicane e addirittura della rivoluzione.
Patriottismo e coltivazione delle qualità peculiari del combattimento, ostilità all’esercito di mestiere in nome
dell’armamento popolare non sono confinati nei soli ambienti cospirativi blanquisti, anche se vi sono
particolarmente ben rappresentati: Camélinat aveva conosciuto Proudhon grazie a un committente del suo
patron quando era un giovane ed abile bronzista e si era presto avvicinato a quei militanti che in Francia
rivendicavano un’ispirazione marxista. D’altra parte non solo in questi ambienti, ma in tutte le discussioni,
anche nei massimi consessi della stessa Seconda internazionale pochissime sono le voci del tutto estranee
all’idea che l’esportazione dei rapporti economici e delle culture e dei costumi occidentali costituisse un
contraddittorio fattore di progresso per i popoli colonizzati, trascinandoli fuori dalla condizione infantile e
subalterna alla quale li condannava la loro arretratezza4. Louise Michel si dimostra in grado di superare questi
pregiudizi – come farà con assai maggiore rigore teorico, ma con la stessa passione Rosa Luxemburg, nella
sua solidarietà con la resistenza delle donne Herero alla colonizzazione tedesca in Africa – facendo appello
alla sua esperienza diretta di donna ai confini di molte esperienze innanzitutto sociali.
A partire dalla sua infanzia di 'bastarda', amata però e bene accolta nella famiglia aristocratica dove la madre
aveva servito e dove aveva avuto un’educazione libera 'settecentesca', attraverso la costruzione contraddittoria
e fortemente letteraria dell’icona della «vergine rossa», appassionata tuttavia, nell’amore personale non meno
che in quello per il popolo sofferente, capace di accettare ironicamente la caricatura della petroleuse
rimandatale dalle istituzioni, tutti gli aspetti eccentrici di Louise Michel sono stati analizzati come costitutivi della
sua personalità, del suo ruolo e della sua leggenda. Il 'dono di sé' di questa giovinetta, la cui prima traccia
pubblica è rappresentata dalle lettere a Victor Hugo, allora il più illustre romanziere nel panorama francese e
insieme il più celebre oppositore politico di Napoleone III dall’esilio, si realizza in una vita 'letteraria' scritta però
con una sofferenza incisa nel corpo e nell’esperienza.
Sarebbe tuttavia inesatto affermare che questi aspetti contraddittori dell’evento Comune e dei suoi protagonisti
emergano solo oggi all’attenzione degli storici. Potremmo invece precisare che si è verificata una specie di
implicita divisione dei compiti fra la storiografia francese e quelle dei paesi dove l’eco della Comune è giunta
preceduta dal clamore del crollo militare di un impero che si era legittimato come erede della Francia
conquistatrice. Una divisione rievocata dal titolo particolarmente felice di un saggio di Georges Haupt che in
Italia è stato a lungo pressoché il solo riferimento bibliografico autorevole: La Comune di Parigi come simbolo e
come esempio5.
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Gli storici dei paesi dove l’evento Comune è giunto come l’eco di un trauma eroico e sanguinoso ne hanno
studiato soprattutto la ricezione, le formule, le reazioni significative capaci di disgregare e riaggregare campi
d’azione e di fornir loro nuovi linguaggi comunicativi. I dirigenti politici dei movimenti che hanno assunto
l’evento – o più spesso l’hanno recuperato – come data discriminante hanno inserito la Comune in una serie di
momenti decisivi di scelte irreversibili, che a partire almeno dalla sconfitta del Termidoro sono chiamati a
svolgere un’irresistibile pedagogia rivoluzionaria. Quest’uso si sottrae alla prova della veridicità storica, perché
si vuole pedagogico ed esemplare. Il primo, invece, isola la questione della ricezione e necessariamente
privilegia la storia delle minoranze che tale ricezione hanno permesso e le loro culture.
Ma la Comune è stata soprattutto l’evento finale – e come tale imprevedibile, perché suscitato dai clamorosi
esiti di una guerra imposta da interessi e passioni del tutto estranee ai lavoratori organizzati dei popoli in essa
coinvolti – della lunga vicenda dell’opposizione repubblicana, cospirativa e operaia al regime imperiale,
cresciuta e consolidata soprattutto nel periodo del cosiddetto «impero liberale». In questo senso gli sviluppi più
recenti erano già anticipati da studi importanti, come quelli di Jacques Rougerie, che vi ha dedicato decenni di
lavoro, dalla sua tesi di stato alla pubblicazione, nel 1978, dei Procès des communard6, alla ristampa
relativamente recente di un saggio divulgativo estremamente ricco e rigoroso, Paris insurgé. La Commune de
18717.
Jacques Rougerie è stato anche il curatore del numero dedicato alla Comune, in occasione del centenario,
dalla "International review of social history", la rivista dell’Istituto di storia sociale di Amsterdam. Il volume è
stato pubblicato nel 1972 come numero unico, contrassegnato con sobrietà dalla fatidica data. È già
interessante la lettura degli indici del numero, in cui risulta proprio la divisione dei compiti cui accennavo poco
prima. La prima sezione ospita i contributi più ampi, che sono però solo quattro, dedicati all’Ail e il movimento
operaio parigino; alla sezione tedesca dell’Ail a Parigi; alla Comune in provincia; all’insurrezione del quartiere
operaio della Guillotière a Lyon, fra i quali spicca, naturalmente, quello di Rougerie. La seconda, i saggi sulla
dimensione internazionale dell’avvenimento, in particolare in Prussia. Una terza, ampia sezione, ospita
contributi sulle diaspore e i ritorni. Le emigrazioni prese in considerazione sono quelle verso il Belgio,
tradizionale luogo di rifugio che permetteva – basterà pensare al caso di Proudhon – di continuare ad
esercitare un’influenza relativamente efficace sulle vicende francesi; verso l’Inghilterra, e qui spicca il contributo
dell’importante storico Miklos Molnar; verso la Svizzera e verso l’America Latina. I ritorni presi in
considerazione riguardano militanti importanti che continueranno, in molti casi, a svolgere un ruolo decisivo
nelle reti di relazioni organizzative, ma anche personali e potremmo dire amicali, che comporranno in seguito i
segmenti della futura Sfio: Jean Allemane, Paul Brousse, Jean-Baptiste Clément, Léo Frankel, Albert Richard,
Edouard Vaillant, Jules Guesde e i guesdisti, Henri Rochefort. Un’ampia sezione è infine dedicata al mito e
all’esempio tratto dal mito, coordinata da G. Haupt. In essa spicca, attestando la vitalità di un’immagine, ma
anche la sua completa estraniazione rispetto a riferimenti storici definiti, un contributo su La Chine. Du mythe
de référence au modèle d’action.
Mancano in questa pubblicazione, che è stata a lungo un vero e proprio riferimento degli studi sulla Comune,
l’Italia e gli storici italiani. Eppure l’Italia era stata luogo d’emigrazione di un militante che avrebbe avuto un
ruolo importante nella definizione del socialismo francese, Benoit Malon, alcune delle cui idee su un partito
dotato di una sua cultura e visione del mondo, legato alle esperienze locali e municipali, ma caratterizzato
soprattutto da un radicamento sociale esclusivamente in ambiente operaio, quindi antagonistico rispetto al
gruppo cospirativo blanquista, avrebbero influenzato il Partito operaio italiano. D’altra parte Italia e Spagna
erano state per almeno un decennio i luoghi privilegiati d’azione della rete cospirativa bakunista, i cui
protagonisti, a partire naturalmente da Bakunin stesso, diedero una lettura della Comune che prescindeva
completamente dalla situazione d’emergenza dalla quale essa era nata.
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Pochi anni dopo, una maggiore presenza di giovani studiosi italiani nelle istituzioni francesi, e in particolare
nelle formazioni dottorali superiori, avrebbe colmato questa lacuna, che resta però sintomo di un problema di
conoscenza e di valutazione che gli storici francesi hanno a lungo avuto nei riguardi della nostra storiografia,
indipendentemente dai legami diretti e spesso strettissimi con singoli ricercatori8.
Un’altra osservazione suggerita dall’indice che abbiamo qui esaminato: lo studio del 'ritorno' dei comunardi
investiva allora solo il loro reinserimento nelle organizzazioni o nei circoli della sinistra politica. Oggi l’analisi si
allarga anche alla questione del reinserimento dell’avvenimento nella nascita della Repubblica. Dove situare i
difficili inizi di quel regime, sorto da un tracollo militare e sopravvissuto a un tentativo di colpo di stato
strisciante? Nell’assemblea di Versailles, che aveva recuperato l’opposizione dinastica insieme a un personale
politico che aveva avuto a che fare col movimento operaio, ma che non si era riconosciuto nella Comune?
Oppure anche nella Comune stessa, riconoscendone le culture complesse, compreso il patriottismo
repubblicano e le tendenze decentralizzatrici? Questo problema si pose quasi immediatamente nella forma
indiretta della discussione sull’amnistia. Una corrente di studi ormai abbastanza consolidata in Francia cerca di
individuare le derive di lungo periodo della reciproca legittimazione dei regimi, in un paese che ha conosciuto
numerose fratture politico-istituzionali, a partire da elementi indiretti come le richieste di riconoscimenti,
onorificenze, pensioni da parte dei protagonisti spesso dimenticati di quelle rotture. L’inserimento degli uni o
degli altri, come il riconoscimento nella toponomastica e, naturalmente, nella narrazione dei manuali scolastici
che trasmettono la religione civile repubblicana, rappresenta il volto quotidiano della contesa accademica
intorno alla storiografia revisionistica. Per esempio, l’assenza di strade o piazze dedicate a Robespierre nel
centro di Parigi o l’invito di un giornalista come Bernard-H. Lévy alle amministrazioni delle banlieux ancora
'rosse' di reintitolarle a Tocqueville sono sintomi non futili di mentalità dominanti e rapporti di forza politici. In
questo senso sia la discussione sull’amnistia, sia l’evocazione letteraria delle rivoluzioni diventano importanti
per comprendere la loro inclusione o esclusione dal consenso repubblicano. Un personaggio come Victor
Hugo, destinatario, in esilio, delle prime lettere della giovinetta Louise Michel, ha anche meritato uno dei
necrologi più disincantati e allegramente trasgressivi che siano stati scritti, ad opera di Paul Lafargue, in
carcere a Sainte-Pélagie nei giorni della morte del grand’uomo. Hugo, rientrato a Parigi il 5 settembre 1870,
l’indomani della proclamazione della Terza repubblica, accolto dall’entusiasmo popolare per l’esiliato e il poeta
dei Châtiments, incontra nei primi mesi del suo ritorno molti futuri membri della Comune, spesso più legati al
repubblicanesimo intransigente che all’Internazionale: Flourens, Gambon, Miot, Pyat, Delescluze, Jourde,
Cluseret e la stessa Louise Michel. Alle elezioni del febbraio 1871, Hugo è eletto a Parigi insieme all’altro
grande reduce del Quarantotto, Louis Blanc, e al futuro dirigente dei 'giovani' radicali Léon Gambetta. A
differenza dello stesso Blanc e di Victor Schoelcher, altro dirigente a lui vicino nella sensibilità politica e morale,
egli diede però le dimissioni dall'Assemblea di Versailles all’inizio di marzo. Il 15, Charles Hugo, figlio maggiore
di Victor, morì improvvisamente e il padre dovette partire precipitosamente per Bruxelles, al fine di regolarne la
successione. Ebbe quindi il doloroso privilegio di seguire da lontano le vicende dell’insurrezione.
Chiese quasi immediatamente la grazia per i comunardi non colpevoli di fatti di sangue e definì la Michel virgo
major. Ai suoi occhi, attenti alla costruzione di un’identità collettiva in grado di integrare la storia nazionale in
una religione civile, erano dunque evidenti quegli aspetti che a lungo gli storici hanno trascurato, in nome delle
contrapposte letture 'tendenziali' e 'anticipatrici' di Bakunin e di Marx, ma così presenti nelle pieghe della cultura
politica socialista francese: il patriottismo, il culto della repubblica niveleuse, ma al tempo stesso conquérante.
Non a caso un fatto contrassegnato, come la Comune, da pochi e isolati gesti sanguinosi legati a circostanze
eccezionali da parte degli insorti e da una risposta spietata, da una repressione di massa, l’insurrezione del
giugno 1848, non ha mai trovato requie agli occhi di Victor Hugo, in nessun momento della sua lunga rilettura
della propria biografia politica e di quella nazionale9. Infatti ai suoi occhi, e persino a quelli di storici anche dotati
di grande sensibilità sociale, il giugno continua ad essere stigmatizzato come una rivolta muta e inarticolata,
guidata solo da bisogni materiali o strumentalizzata da agitatori estranei al popolo. Nella Comune invece, Hugo
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ha saputo vedere insieme una reazione di difesa nazionale, una reazione di orgoglio urbano, una reazione di
difesa repubblicana e infine ha visto la rivendicazione di questi elementi condivisi da un vasto consenso da
parte dei ceti popolari. Quei ceti contro i quali si è abbattuta la reazione mirata e selettiva di un personale
politico, incarnato da Thiers – che già aveva indicato in questa rivendicazione un inesorabile avvilimento nella
multitude più di vent’anni prima, quando aveva garantito la normalizzazione spietata della Seconda repubblica
– e dell’esercito come istituzione separata, che ancora nei primi decenni della Terza repubblica continuerà a
svolgere un importante ruolo di garante dell’ordine pubblico10.
In un intervento al seminario permanente del Groupe Hugo dell’università di Paris 7, animato da Jacques
Seebacher11, Franck Laurent ha scritto, con una semplificazione che gli è consentita dalla sua posizione di
storico della letteratura, dunque in posizione laterale rispetto alla storia sociale, ma che riassume
preoccupazioni ad essa presenti:
L’atteggiamento di Victor Hugo nei confronti della Comune del 1871 è contrassegnato da un’ambivalenza che
spesso si riverbera sulla stessa interpretazione che 'a posteriori' si può dare di tale attitudine. Forse la
comprensione dei rapporti fra Hugo e la Comune dipende molto dall’idea che ci si fa della natura e del
significato politico dell’insurrezione parigina del 18 marzo 1871, e delle sue conseguenze. Forzando un po' i
toni si potrebbe dire che se si vede nella Comune innanzitutto una rivoluzione sociale, la prima presa di potere
del proletariato e della sua avanguardia contro o almeno senza la borghesia, anche la borghesia repubblicana
avanzata, come si diceva in quei tempi lontani, Hugo allora non avrà molto da dire ai comunardi. [...] Invece se
si tiene conto di quanto nella Comune partecipa di un movimento di difesa repubblicana, il cui stile e le cui
realizzazioni almeno in parte sono legati al movimento repubblicano avanzato quale era emerso dai democsocs [i democratici di orientamento socialisteggiante] della Seconda repubblica e si era sviluppato sotto il
Secondo impero, allora appare chiaro che cosa può accostare Hugo e la Comune [, che per essere
interamente compresa deve allora essere collocata] nella storia più ampia del repubblicanesimo radicale nel
Secondo impero, della guerra e della disfatta e anche della costituzione immediata di una memoria della
Comune, nella quale Hugo ebbe immediatamente un posto problematico12.
Alla luce di queste considerazioni i lavori di Rougerie si rivelano tuttora utilissimi e del tutto 'all’altezza' dei
vecchi e dei nuovi interrogativi. La domanda se la composizione sociale e professionale dei menus
communards, che costituirono la maggior parte di quei corpi coperti di ferite e di quei prigionieri abbandonati
all’arbitrio che impressionarono gli osservatori contemporanei, sia stata di mestieri 'vecchi' o 'nuovi' può
certamente essere reinterpretata alla luce di una doppia serie di considerazioni. Da un lato a definire una
composizione sociale 'moderna' non è la modernità delle attività che si esercitano o la prevalenza di esse, ma
le relazioni economiche complessive fra i salariati, gli artigiani, i lavoratori a domicilio subordinati ai committenti
e il mercato, principalmente il mercato del lavoro. Questa trasformazione, che lascia sopravvivere la pluralità
dei ruoli e delle figure sociali, unificandole però nella comune subordinazione alla formazione sociale
capitalistica complessiva, non è un tributo che gli storici avrebbero pagato ideologicamente alla cultura
marxista, ma una formula sintetica che rende conto di modifiche concrete e di altrettanto specifici
comportamenti, che gli strumenti dell’analisi marxista contribuiscono a spiegare. Ho cercato recentemente di
ripercorrere alla luce di questi criteri il brulichio dei conflitti che agitano la Francia, soprattutto ma non
esclusivamente del nord, e che nel 1848 si riassumono nella parola d’ordine dell’Organisation du travail13.
D’altra parte anche in vaste zone della Francia, per restare a questo esempio, si erano verificate accelerazioni
radicali nell’organizzazione del lavoro e nella dimensione industriale – la trasformazione dei salariati rurali e dei
piccoli proprietari in minatori, nel centro e nel Midi tolosano, l’introduzione della coltura della colza nel nord e la
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formazione di un salariato agricolo, la vasta area tessile di Roubaix e Lille, gli esordi della grande metallurgia
nel Creuzot. Esse avevano fatto arretrare il modello della microimpresa con tre ouvriers per un patron, che era
emerso nelle parti dell’Organisation du travail di Louis Blanc, in cui questi riferisce le informazioni raccolte dalle
inchieste delle associazioni con cui era in rapporto e che ricompare ancora nelle pubblicazioni dell’Office du
travail negli anni immediatamente precedenti la Grande guerra. Ma anche le culture politiche prevalenti nei
diversi territori contribuiscono a definire la risposta di singoli e gruppi alle permanenze e ai mutamenti. Il Midi
della république au village, i distretti tessili del nord, del padronato intollerante e cattolico e della classe operaia
franco-belga, la Parigi delle associazioni e della fierezza giacobina14 contribuiscono a determinare il
comportamento di individui e gruppi sociali e li ritroviamo nelle culture politiche e nelle scelte elettorali di lungo
periodo.
La mixeité sociale della popolazione, che le statistiche processuali attestano come aderente all’insurrezione,
rende conto di molti aspetti dell’evento Comune e spiega anche in che senso siano avvenute, al suo interno, le
scelte selettive che ne hanno costruito il mito.
All’interno dell’esperienza cooperativa e sindacale in cui si riassume, globalmente, la sezione francese dell’Ail,
hanno agito insieme organizzatori che hanno partecipato all’Assemblea versigliese o agli organismi dirigenti
della Comune – Camélinat e Varlin, da una parte, Tolain dall’altra, per citare i casi più esemplari. In queste
scelte si ripercuotono storie personali, decisioni e giudizi diversi sulle possibilità aperte dalla crisi bellica in
uomini che avevano contato su una crescita capillare del conflitto sociale, a partire dalla coalizione e dalla
cooperazione come forma non di integrazione ma di risorsa per il conflitto. Un’altra generazione di uomini
reduci dal Quarantotto, come Louis Blanc o Agricol Perdiguier, ha tentato invano un uso della propria presenza
parlamentare a Versailles per frenare l’azione dei militari: il loro giudizio sulla Comune può essere ricondotto a
un’elaborazione dell’esperienza del giugno, a una sorta di sfiducia per l’emergere improvviso di un movimento
che non era riuscito a produrre un’evidente mobilitazione, come aveva dimostrato l’ultimo tentativo
repubblicano di Blanqui. Ma nei comportamenti e nelle culture che emergono da tante vicende, soprattutto dei
processi, risultano chiari in primo piano alcuni elementi di una cultura diffusa in molti ambienti popolari, che
spiegano non solo un’adesione alla Comune indipendente da una precedente adesione all’Ail, ma un tributo
all’idea della difesa armata della repubblica e dell’autonomia amministrativa di Parigi. In questo senso, una
conoscenza approfondita delle forme di sociabilità e delle culture dell’evento Comune spiega non solo il suo
possibile uso mitologico ma anche alcuni comportamenti di ex comunardi che la storiografia ha stigmatizzato e
l’agiografia rimosso.
La breve ricerca di Jacques Neré pubblicata nel 1972, sulla già citata "International review of social history", da
questo punto di vista è esemplare. Non entra nella vicenda personale di Henri Rochefort, il pubblicista che
rientrato dalla deportazione rilanciò "L’intransigéant", facendone un organo accesamente nazionalista, che si
sarebbe distinto nella propaganda antidreyfusarda 'patriottica' e populista e si sarebbe iscritto per decenni nel
panorama della stampa plebea reazionaria. Si occupa di un problema più circoscritto e meno politicamente
univoco e che tuttavia richiede delle spiegazioni, le simpatie boulangiste di ex comunardi dichiarati e di
ambienti dove essi erano ben rappresentati. Lo studio si raccomanda perché evita l’ormai invalsa
semplificazione politologica e coglie le simpatie boulangiste, immediatamente irrise e denunciate da uomini di
solida formazione teorica, come Jules Guesde e Paul Lafargue, nel loro farsi in una situazione ancora
imprevedibile e fluttuante. «La province, de loin, a confondu pompier et incendiaire » aveva scritto il fourierista
Hippolyte Destrem, che aveva incontrato Rochefort nel 1871 e al quale questi riconobbe15 di avere interpretato
esattamente il suo ruolo alla Comune – ma, potremmo aggiungere, anche l’orientamento di una parte dei suoi
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aderenti.
Quali aspetti del boulangismo e del connesso revisionismo istituzionale attraevano quel pubblico, proprio allora
e non pochi anni dopo?16 Il riformismo di Boulanger sul terreno strettamente militare, che appariva come
promotore di un avvicinamento fra l’istituzione militare e il mondo civile esterno, contribuendo almeno in piccola
parte ad accostare la leva a un’esperienza di armamento popolare. Un aspetto, questo, che aveva molto in
comune con la lunga agitazione blanquista e che era complementare all’appassionato antimilitarismo degli
organizzatori operai francesi, presente anche nei simboli e nelle canzoni17. Ma soprattutto il riformismo
amministrativo. Per decenni, dopo il Quarantotto e nel periodo imperiale, Parigi non aveva avuto sindaci né
nominati né tantomeno eletti. Il regime sorto dalle ceneri dell’impero e della Comune aveva ribadito questa
situazione per le stesse ragioni: la diffidenza per la città che poteva sempre rischiare di fomentare rivolte e che
quindi andava governata direttamente dal Ministero degli interni, dalle autorità di polizia. La decentralizzazione,
quindi, che faceva parte del programma boulangista, appariva a questi sostenitori socialisteggianti come una
scelta puramente tattica e momentanea e non faceva assolutamente parte di un programma generale
'federalistico', che di lì a pochi decenni sarebbe stato invece rivendicato dall’Action française come il più idoneo
a far riemergere localmente quelle élites aristocratiche ostacolate dal sistema repubblicano.
La Commune è dunque stata «un tramonto» e un’«alba» insieme, come vuole una pubblicistica italiana degli
anni settanta, che ha isolato e valorizzato l’interpretazione di Marx e dei documenti ufficiali dell’Ail?18 Solo nel
senso, comunque importantissimo, che ci mostra le occasioni di scelta e di scissione che eventi esterni
impongono a uomini e movimenti che hanno a lungo operato nella quotidianità dei tempi lunghi e gli effetti che
la lettura, magari forzata, di quelle occasioni realizza, trasformandosi in riflesso legato alle subculture popolari o
alle mentalità diffuse.
In questo senso le immagini e gli eventi eroici e pietosi che qui mostriamo ci sollecitano ancora.
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Appendice19
C. Perrot, La politique sociale de la Commune de 1871, Paris, Faculté des Lettres-Sorbonne, 1950
J. Rougerie, Les élections du 26 mars à la Commune de Paris, Paris, Faculté des Lettres-Sorbonne, 1950
E. Schulkind, La littérature de la Commune de 1871, Paris, Faculté des Lettres-Sorbonne, 1951
id., Les clubs et réunions populaires pendant la Commune de 1871, Paris, Faculté des Lettres-Sorbonne, 1951
A. Moutet, Le mouvement ouvrier à Paris du lendemain de la Commune au premier Congrès syndical en 1876,
Paris, Faculté des Lettres-Sorbonne, 1960
B. Comte, L'image de la Commune de Paris à travers les écrits des révolutionnaires russes entre 1871 et
octobre 1917, maîtrise sous la direction de J. Droz, Paris I, 1969
J. Ataillade, L'armée de Versailles... de la deuxième quinzaine de mars 1871 au 21 mai 1871, maîtrise sous la
direction de J. Droz, Paris I, 1970
C. Orio, La Province face aux événements de 1871. Le sud-ouest, maîtrise sous la direction de J. Rougerie,
Paris I, 1970
J. Martin-Krick, La Province face aux événements de 1871, le Centre, maîtrise sous la direction de J. Rougerie,
Paris I, 1970
Y. Uhr, Petits journaux et affiches sous la Commune, maîtrise sous la direction de J. Droz, Paris I, 1972
M. Allner Les Jacobins dans la Commune de Paris de 1871, th. 3e cycle sous la direction de M. Perrot, Paris
VII, 1976
F. Dumoulin, Le débat sur l'alcoolisme après la Commune (1871-1877), 1979, (Dir. Vigier)
M. Offerle, Les socialistes et Paris, 1881-1900. Des communards aux conseillers municipaux, th. état en
sciences politiques sous la direction de M. David, Paris I, 1979
P. Murgier, La Commune et la politique du Pcf, 1921-1939, maîtrise sous la direction de A. Prost, J. Girault,
Paris I, 1980
E. Civolani, L'écho de la Commune de Paris dans le mouvement ouvrier de la Ière Internationale "antiautoritaire" en Italie et en Espagne (1871-1877), th. 3e cycle sous la direction de J. Droz, Paris I, 1981
G. Rousseau, Les mouvements ouvriers dans le Puy-de-Dôme, 1871-1914, th. 3e cycle sous la direction de J.J. Becker, Clermont II, 1982
L. Ardoin, La Première internationale à Toulouse, 1871-1873, maîtrise sous la direction de J. Girault, J.
Rougerie, Paris I, 1992
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E. Vaterra, La Banque de France et la Commune de Paris (1871), maîtrise sous la direction de M. Margairaz,
Paris VIII, 1996
M. Issad, La chanson anticléricale au lendemain de la Commune jusqu'à l'affaire Dreyfus (1870-1894), maîtrise
sous la direction de M. Boutry et Prévotat, Paris XII, 1996
B. Leon, Un lieu de mémoire: le Mur des fédérés (1898-1936), maîtrise sous la direction de F. Georgi, Paris I,
1997
R. Morieux Une communauté en exil: les réfugiés de la Commune de Londres (1871-1880), maîtrise sous la
direction de A. Corbin, Paris I, 1997
1
Si veda la voce dedicata a Camélinat in Jean Maitron, Dictionnaire biographique du mouvement ouvrier
français, Paris, 1964 e successivi. Oggi i volumi sono ristampati dalle Editions de l’atelier e disponibili anche in
CdRom.
2
Si tratta di uno degli ultimi interventi pubblici di Madeleine Rebérioux, mancata nell’inverno 2005. Gli studi su
Camélinat riassumono l’intreccio fra storia sociale dei mondi del lavoro e storia politica dei loro organizzatori,
che rappresenta il contributo peculiare di questa storica alla cultura del suo secolo. Si possono vedere in
particolare i contributi di D. Bidussa, F. Blum e R. Vaccaro in "Cahiers jaurès", janvier-juin 2007, n. 183-184,
che ospita i contributi del convegno che l’Università di Bergamo ha dedicato nel marzo 2006. Il numero è stato
pubblicato sotto la mia responsabilità.
3
I romanzi di Émile Zola, come l’impressionante Pot-Bouille, del 1881, adattato l’anno successivo per il teatro,
e alcuni racconti di Gustave Flaubert o Guy de Maupassant danno, con la inevitabile deformazione suggerita
dalla distanza sociale, un quadro adeguato della posizione delle persone addette al lavoro domestico nella
seconda metà dell'Ottocento e all’inizio del Novecento. Un quadro assai variegato e non riconducibile a un
unico modello, evidentemente. Ma anche quando all’inizio del Novecento i camerieri (e in seguito le cameriere)
dei pubblici esercizi cominciano a organizzarsi, il lavoro domestico resta ancora privo di norme e affidato alle
relazioni parafamigliari. D’altra parte gli organizzatori operai hanno fatto molta fatica ad accettare le domestiche
nei loro quadri concettuali e hanno a lungo indicato nel loro lavoro un’attività servile, che allontanava
dall’orgoglio proletario ed esponeva le giovani alla corruzione. Le descrizioni teratologiche dei romanzieri
naturalisti, come l’immagine che Balzac si faceva della ferinità del mondo contadino, hanno anche a che fare
con ossessioni sociali e individuali, con una distanza che suggerisce debauche e corruzione anche in
comportamenti di pura sopravvivenza da parte delle bonnes. Su questa realtà intensamente visitata dalla
letteratura si vedano, fra l’altro: G. Fraisse, Femmes toutes mains: essai sur le service domestique, Paris,
1979; A. Martin-Fugier, La place des bonnes: la domesticite feminine a Paris en 1900, Paris, 1979.
4
Per una rassegna delle posizioni delle organizzazioni socialiste sulle questioni coloniali alla fine
dell'Ottocento, si veda, tra l’altro, i recenti saggi di A. Panaccione, Il socialismo e le guerre. Politica e conflitti
internazionali e di R.Gallissot, Il socialismo nei paesi dominati, in "Il ponte", 2004, n.2-3.
5
"Le mouvement social", 1972, n. 79, tradotto in italiano in L’Internazionale socialista dalla Comune a Lenin,
Torino, 1978.
6
J. Rougerie, Procès des communards, Paris, 1978.
7
J. Rougerie, Paris insurgé. La Commune de 1871, Paris, 1995.
8
Alla fine degli anni settanta Eva Civolani ed io stessa abbiamo partecipato a questo legame costituito da
esperienze dirette di studio e di scrittura. Ne sono sorti alcuni lavori: E. Civolani, La partecipazione di emigrati
italiani alla Comune di Parigi, in "Movimento operaio e socialista", 1979, n. 2-3; id., L'anarchismo dopo la
Comune: i casi italiano e spagnolo, Milano, 1981; M. G. Meriggi, La Comune di Parigi e il movimento
rivoluzionario e socialista in Italia (1871-1885), Milano 1980; id., Il protagonismo operaio dopo la Comune.
Cultura e organizzazione del Congrès ouvrier parigino del 1876, in "Classe", dicembre 1981, n. 20. Questi
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studi, condotti su fonti d’archivio di prima mano, tenevano comunque conto di una tradizione storiografica
italiana sulla crisi del movimento mazziniano nel suo rapporto con le giovani generazioni e gli ambienti operai,
consumatasi proprio in quegli anni, autorevolmente rappresentata da un volume ormai classico di N. Rosselli,
Mazzini e Bakunin, Torino, 1927, più volte ristampato da Einaudi nel secondo dopoguerra, e da spunti e
ricerche in parte pubblicate su "Movimento operaio" di L. Valiani, che ha anche presentato la riproposizione del
testo di Rosselli nel 1967.
9
Mi riferisco alle pagine dedicate dai Misérables alle barricate del 1848, che appartengono alle parti del grande
romanzo scritte in esilio poco prima della pubblicazione. Si trovano in cinquième partie, Jean Valjean, livre
premier, La guerre entre deux murs, I, La Charybde du faubourg Saint-Antoine et la Scylla du faubourg du
temple.
10
In un discorso del 24 maggio 1850, in occasione della discussione parlamentare che avrebbe dato luogo alla
legge del 31 maggio fortemente restrittiva del suffragio, Thiers definisce il popolo che non rientra nei canoni del
consenso subalterno in termini che diventeranno proverbiali, al punto da venir citati nella presentazione di una
rivista contemporanea, "Multitudes", dedicata ai vecchi e nuovi soggetti della resistenza sociale al
disciplinamento del mercato del lavoro: «Sono gli uomini che formano non il fondo ma la parte pericolosa delle
grandi popolazioni agglomerate, uomini che meritano un titolo fra i più degradanti della storia, comprendetelo
bene, il titolo di moltitudine. La vile moltitudine che è stata la rovina [qui a perdu] di tutte le repubbliche».
11
I lavori del seminario sono disponibili integralmente in rete al
seguente indirizzo:
http://groupugo.div.jussieu.fr/ . L’intervento a cui ci riferiamo qui è Victor Hugo, le"Rappel" et la Commune, del
13 marzo 2004.
12
La traduzione è mia. Di recente S. Luzzatto in Ombre rosse. Il romanzo della Rivoluzione francese
nell’Ottocento, Bologna, 2004 è tornato sulla continua rilettura e reinserzione, da parte di Hugo, di segmenti di
storia delle rivoluzioni nella storia nazionale, ma con scarsa attenzione proprio verso il ruolo pubblico svolto da
Hugo, verso la sua rete ramificata di relazioni, ben rappresentata dall’uso delle colonne del "Rappel", nei primi,
faticosi decenni della repubblica.
13
M. G. Meriggi, L’invenzione della classe operaia. Conflitti di lavoro, organizzazione del lavoro e della società
in Francia intorno al 1848, Milano, 2002. Su questi temi, una ricerca fondamentale è stata pubblicata solo in
parte da R. Gossez, Les ouvriers de Paris, I°: l’organisation 1848-1851, La-Roche-sur-Yon, 1967. Si deve
confrontare anche il saggio di C. Tilly, L. Lees, Le peuple de juin 1848, in "Annales (Esc)", 1974, n.5, p. 42-69.
14
Intendiamo qui «giacobina» in un senso che non ha molto a che vedere con il fenomeno giacobino nella sua
breve esperienza reale, ma piuttosto con la sua rielaborazione mitologica quale la vediamo nelle colonne del
giornale operaio "L’atelier" o nella pubblicistica divulgativa ad esso collegata. Sulla rilettura e riappropriazione
del giacobinismo, di cui vengono valorizzate le idee di dirigismo economico, di egualitarismo 'livellatore', di
laicità e di rivendicazione orgogliosa di una «rispettabilità negata», si veda la bella voce che M. Réberioux ha
dedicato a Louis Blanc in L’albero della rivoluzione. Le interpretazioni della Rivoluzione francese, a cura di B.
Bongiovanni e L. Guerci, Torino, 1989, p. 60-68.
15
"Le jour", 22 febbraio 1896.
16
Nonostante molti storici attenti ai sistemi politici abbiano denunciato nel boulangismo la prima anticipazione
di una deriva fascistizzante, uomini come Alfred Naquet, che sarebbe evidentemente stato sensibile alla
predominanza dell’antisemitismo 'sociale' nel movimento, vi aderirono per poi partecipare in prima persona alle
battaglie laiche più caratteristiche della repubblica 'radicale', legando il nome alla legge sul divorzio del 1884 e
meritando perciò gli strali della stampa cattolica. Naquet aveva partecipato all’opposizione repubblicana
durante il Secondo impero, avrebbe partecipato alla fondazione della Ligue des patriotes, ma avrebbe
continuato a frequentare anche ambienti libertari per la sua adesione alle posizioni antinataliste. Questa
annotazione vuole solo avvalorare l’impressione di fluidità delle affiliazioni ma anche delle culture politiche di
quegli anni.
17
Il ritornello della celebre Jeune Garde, passata dal canzoniere della gioventù socialista a quello comunista, e
tuttora ben nota ai militanti formatisi fino agli anni sessanta, suona: «Prenez garde, prenez garde/ les
sabreurs, les bourgeois, les gâvés et les curés». I sabreurs, i militari nell’atto di attaccare a colpi di spada i
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manifestanti, figurano addirittura prima dei loro mandanti nell’elenco degli avversari e basta seguire le vicende
delle manifestazioni di quegli anni, i cui esiti tragici, da Fourmies a Decazeville, di tanto in tanto arrivavano alle
cronache, per rendersi conto delle ragioni immediate di questa priorità. Rosa Luxemburg, in un intervento del
1903, osservava che la forma istituzionale repubblicana provocava resistenze e contraddizioni nelle chiese,
soprattutto in quella cattolica, e nell’esercito, mentre la monarchia asserviva e rendeva perfettamente funzionali
ai suoi interessi tali istituzioni ad essa omogenee. Paradossalmente dunque la lotta per la laicità e contro il
militarismo avevano più spazio nella Francia della repubblica borghese che nel Reich tedesco, dove d’altra
parte l’esercito, probabilmente proprio in nome delle sue grandi tradizioni, non veniva usato in interventi di
ordine pubblico non insurrezionali. L’articolo cui ci si riferisce, del 10 dicembre 1903, è stato tradotto da J. Bois
ed ora è consultabile nel volume 1905! La loi de separation des Églises et de l’État, Paris, 2005.
18
Per una messa a punto bibliografica e critica recente degli studi sulla Comune con saggi di M. Salvati e di L.
Basso, si veda la recente rassegna La Comune di Parigi nella biblioteca Basso, a cura di M. Sala, Firenze,
2005.
19
Segnalo in questa appendice i principali elaborati dei vari gradi dedicati, nelle università francesi, a temi
concernenti la Comune. Si tratta di un significativo indicatore del grado e del tipo di interesse che un tema
suscita in una comunità scientifica.
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