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La storia dell'educazione
in prospettiva comparata
Nicola S. Barbieri
Abstract – Comparative education is a branch of educational studies strictly related with
history of education, both in the field of educational theories and practices. This paper will examine, in particularly in the first part, the nature of comparative education, both in its theoretical and practical features, trying to link it with the guidelines of historical research. In the
second part, a case will be analysed, in which historical research in education and comparative education cooperate in order to reach a thick description of the phenomenon of schooling
in the refugee camps.
Abstract – L’educazione comparata è un ramo degli studi educative strettamente connesso
alla storia dell’educazione, per quanto attiene sia alle teorie che alle pratiche educative. Questo contributo analizza, in particolare nella prima parte, la natura dell’educazione comparata,
suoi aspetti teorici e pratici. Nella seconda parte, viene preso in considerazione un caso specifico, in cui ricerca storica in ambito educativo e prospettiva comparata cooperano al fine di
descrivere il fenomeno della attività scolastica in campo profughi.
Nicola Silvio Barbieri (Cremona 1959), è professore associato di storia della pedagogia
presso il Dipartimento di Educazione e Scienze Umane dell’Università degli Studi di Modena e
Reggio Emilia. Insegna storia della scuola, letteratura per l’infanzia, Comparative History of
Education (in lingua inglese). Attualmente si sta occupando di storia dello scautismo e di storia
dello sport. Tra le sue pubblicazioni: Dalla ginnastica antica allo sport contemporaneo. Lineamenti di storia dell’educazione fisica e sportiva, Padova, 2002 (in corso di revisione); John
Dewey: ricostruzione storico-critica del suo pensiero pedagogico e proposta per una nuova
traduzione del saggio La scuola e il progresso sociale (Scuola e società, 1899), Padova,2008
(con Maria Chiara Giromella); Letteratura per l’infanzia: teorie pedagogiche e pratiche testuali, Padova, 2008.
1. Introduzione
Se la storia dell’educazione è ormai una parte importante1 della storia della
pedagogia, la pedagogia comparata è da qualche tempo il motore della ricerca
educativa, specialmente nel mondo anglosassone, intrecciata con la storia in
generale e con la storia dell’educazione in particolare (storia delle culture, degli
Stati nazionali, dei loro sistemi scolastici, dell’immaginario sociale). Tra le
molte cose strane dell’accademia italiana, non sarà certo un caso che la storia
dell’educazione e l’educazione comparata siano nello stesso settore scientifico1
Cfr. E. Becchi, Introduzione, in E. Becchi (a cura di), Storia dell’educazione, La Nuova
Italia, Firenze, 1987; F. Cambi, Introduzione, in Manuale di storia della pedagogia, Roma –
Bari, Editori Laterza, 2003.
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disciplinare.
L’educazione nasce come oggetto di ricerca ibrido, crocevia di punti di vista: dal secondo Novecento, alla pedagogia tradizionalmente deputata alla produzione di discorsi teorici sull’educazione, si sono affiancate, non in modo indolore, le “scienze dell’educazione”. In questo contesto complesso, pertanto,
ha un senso interrogarsi sul ruolo non solo della storia dell’educazione e della
pedagogia comparata separatamente intese, come discipline del vasto continente della pedagogia, ma anche provare a fare il punto sulle loro reciproche relazioni e sulle loro interdipendenze, dovute ai casi della storia o esplicitamente
teorizzate.
Questo testo prenderà in esame la natura teorica e pratica dell’educazione
comparata oggi, mettendola in relazione con le istanze della ricerca storicoeducativa. Infine, si analizzerà un caso in cui la cooperazione tra ricerca storico-educativa e ricerca comparata ha dato frutti significativi.
2. Storia e natura dell’educazione comparata ieri e oggi
2.1. L’educazione comparata ieri: una pratica di ricerca applicata
L’educazione comparata nasce, fin dall’Esquisse di Marc-Antoine Jullien,2
come ricerca extra-accademica, riguardante le migliori pratiche educative “esterne” da importare in sistemi scolastici nazionali “interni”, oggetti relativamente facili da confrontare. Fin dagli esordi, la ricerca comparata è condotta
“per forza” in una prospettiva multidisciplinare, visto che a essa contribuiscono
non solo delle discipline pedagogiche, ma anche quelle geografiche, sociali,
giuridiche, economiche.
L’educazione comparata nasce pertanto con un obiettivo utilitaristico: Victor
Cousin, Horace Mann e Matthew Arnold3 vanno all’estero su mandato politico
per raccogliere informazioni e organizzarle in rapporti che siano utili al decisore committente.
Quest’approccio procede prima con l’indagine di uno o più sistemi formativi, mostrandone obiettivi, contenuti, metodi, risorse, legislazione. In una fase
successiva, i sistemi così descritti sono confrontati, mettendoli in relazione ai
2
M.-A. Jullien, Esquisse et vues préliminaires d’un ouvrage sur l’éducation comparée, Paris, L. Coas, 1817 (cfr. A. Leonarduzzi, Marc-Antoine Jullien “de Paris” (1775-1848). La
genesi della pedagogia comparativa, Udine, La Nuova Base, 1977).
3
V. Cousin, Rapport sur l’état de l’instruction en Allemagne et particuliérment en Prusse,
Paris, L'lmprimerie Royale, 1832; H. Mann, Sixth Annual Report of the Board of Education together with the Sixth Annual Report of the Secretary of the Board Covering the Year 1842, Boston, Dutton and Wentworth State Printers, 1843; M. Arnold, The Popular Education of France
with notices of that of Holland and Switzerland, London, Longman, Green, Longman and Roberts,1861; Higher Schools and Universities in Germany, London, MacMillan, 1874; Special
Reports on Educational Subjects, 1911 (a cura di M. E. Sadler).
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fattori che li condizionano: i dati geo-demografici, la rete dei rapporti sociali, il
livello della decisione politica. Così accadde, per esempio, con l’introduzione
della struttura della Volkschule prussiana nel sistema scolastico statunitense, alla metà dell’Ottocento.
L’educazione comparata di ieri è racchiusa nella domanda che Michael E.
Sadler diede come titolo alla sua opera che apre il Novecento dal punto di vista
comparativo: “come possiamo imparare qualcosa che abbia valore pratico dallo
studio dei sistemi di istruzione stranieri?”4.
2.2. L’educazione comparata oggi: una disciplina accademica
Ma, dai primi del Novecento, l’educazione comparata si emancipa da
quest’esordio applicativo, più legato alla politica scolastica che alla teoria pedagogica, e diventa una disciplina accademica, sia in Europa sia negli Stati Uniti: come tale, cambia la sua natura, accentuando il confronto tra i modelli pedagogici che sottostanno ai sistemi scolastici nazionali.
La ricerca comparativa si avvale di un rigoroso riferimento empirico, nel
senso che indaga le esperienze formative nelle peculiari situazioni in cui sono
attuate: ora come nella metà dell’Ottocento, lo studioso di pedagogia comparata è un professionista che conosce le lingue e non si accontenta di confrontare
dati di secondo livello, ma si accerta personalmente dei problemi con adeguati
periodi di permanenza presso i Paesi dei quali vuole comparare i sistemi scolastici.
A testimonianza dell’antica origine “operativa”, ancora oggi i risultati delle
ricerca comparativa, espressi sotto forma sia di dati quantitativi e statistici, sia
di analisi qualitative ed interpretative, sono da considerarsi irrinunciabili per
l’avvio di azioni di cooperazione internazionale che coinvolgano il livello formativo, e possono anche risultare estremamente utili per l’implementazione di
politiche scolastiche e strategie di programmazione a vasto raggio e a lungo
termine.
Il metodo della ricerca comparativa ha generato una vera e propria “pedagogia comparata” come settore disciplinare autonomo, distinto da altre aree del
sapere pedagogico:
L’educazione comparata è una disciplina di ricerca che punta alla scoperta
di nuove informazioni di natura sia teoretica sia pratica per mezzo della comparazione tra due o più sistemi educativi in uso in differenti Paesi, in differenti
regioni o in differenti periodi storici; la comparazione consiste nell’identificare
ed analizzare le somiglianze e le differenze tra differenti sistemi educativi …
La comparazione può essere applicata sia a Paesi, regioni geografiche o diffe-
4
M. E. Sadler, How Far Can We Learn Anything of Practical Value from the Study of Foreign Systems of Education?, Guilford, 1900.
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renti lingue, sia anche a differenti periodi storici5.
In anni recenti il metodo si è ulteriormente declinato come “pedagogia internazionale”, non accontentandosi più di confrontare i sistemi nazionali esistenti, ma promovendo in positivo teorie dell’educazione capaci di ravvisarne
la dimensione inter-nazionale. Non a caso, la principale associazione professionale del settore è la Comparative and International Education Society
(CIES), che pubblica la prestigiosa rivista “Comparative Education Review”
(CER).
Seguendo Robert Cowen,6 l’educazione comparata non è più solo un modo
di vedere le cose educative (magari in un’ottica applicativa), non è solo uno
sforzo di doppia comprensione (poiché si sforza di comprendere due sistemi
scolastici), ed è anche diversa dalla ricerca comparata prodotta da agenzie internazionali per scopi specifici7.
Non rimette insieme i cocci di eventi educativi quando si rompono, non è
solo una branca degli studi di politica scolastica (anche se se ne nutre), o della
sociologia dell’educazione (anche se ne utilizza certamente i risultati); non ha
ancora ceduto alla ristretta prospettiva di lavorare con una e una sola metodologia di ricerca8.
Infine, non ha mai accettato la posizione, seducente ma autodistruttiva, di
reclamare uno status disciplinare nei termini fissati una volta per tutti dai filosofi dell’educazione, magari di orientamento analitico, quelli che negli anni
Sessanta credevano di avere scoperto la chiave di volta di ogni discorso pedagogico, analizzandone concetti, valori di verità degli enunciati o teorie.
2.3. La natura profonda dell’educazione comparata contemporanea
L’educazione comparata come disciplina accademica, secondo Cowen, si
fonda su tre attività, che sono al tempo stesso anche i suoi obiettivi: il trasferimento, la traduzione e la trasformazione9.
2.3.1. Il trasferimento
Il trasferimento è alla base dell’educazione comparata, nata per trasferire
pratiche educative ritenute più valide in altri contesti. L’esempio della Volkschule prussiana trasferita negli Stati Uniti è forse un esempio di trasferimento
5
A. Vexliard, La pedagogia comparativa, a cura di B. Orizio, Brescia, La Scuola, 1972.
R. Cowen, Introduction, in H. Ertl (ed.), Cross-national Attraction in Education. Accounts
from England and Germany, Oxford, Symposium Books, 2006, pp. 12-13.
7
Per esempio la Banca Mondiale o l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo
Economico.
8
Si vedano le teorie contrapposte di Friedrich Schneider e George Bereday (cfr. G. Z. F.
Bereday, Il metodo comparativo in pedagogia, a cura di B. Orizio, Brescia, La Scuola, 1969.
9
R. Cowen, Op. cit., p. 13.
6
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riuscito, ma la storia dell’educazione è lastricata di trasferimenti non riusciti, il
più clamoroso dei quali è il fallimento della scuola deweyana proposta per la
Turchia di Mustafà Kemal in via di modernizzazione forzata, dopo il collasso
dell’Impero ottomano10. Con una parola semanticamente soft, alcuni comparatisti, tra cui David Phillips, parlano di “cross-national attraction in education”11, per indicare il fatto che sia le politiche sia le pratiche educative interne
a un Paese spesso risentono di "rimasticamenti" più o meno consapevoli di aspetti provenienti dall'esterno. Nell’attuale contesto internazionale, poi, i ripensamenti interni sono spesso richiesti da motivazioni esterne alla vita degli Stati
nazionali, che Cowen chiama “una forma di compressione del potere politico
ed economico in modelli di comportamento educativo”12. Basti pensare alla ricaduta dei test OCSE-PISA sui sistemi scolastici nazionali e sulla loro influenza nel produrre quel tipo di discorso pedagogico che chiamiamo “riforma
dell’istruzione”13.
2.3.2. La traduzione
La traduzione è l’effetto del trasferimento, secondo Cowen, perché ogni elemento trasferito si modifica nella sua stessa natura, si “traduce” in qualcosa
d’altro: non è una semplice “traslazione”, quanto un vero e proprio cambiamento dell’elemento trasferito.
Quando le pratiche di educazione “socialista” sovietica si mossero verso altri contesti, per esempio la Cina di Mao Zedong, si modificarono significativamente, e non furono meramente “trasferite” o “traslate”. In alcuni casi, la
traduzione non è un fenomeno indolore, come per esempio nel caso, immediatamente successivo all’unificazione politica delle ex due Germanie, della traduzione di una nuova pratica educativa (quella della ex Germania occidentale)
in un nuovo contesto (quello della ex Germania orientale), nel quale era avvenuto un caso di vera e propria estinzione del potere statale in materia educativa,
e dove forme nascenti di auto-organizzazione furono stroncate sul nascere
dall'imposizione del modello occidentale14. Per il comparatista, la domanda è:
10
J. Dewey, Impressions of Soviet Russia and the Revolutionary World (Mexico, China,
Turkey), 1929.
11
K. Ochs, D. Phillips, Towards a Structural Typology of Cross-national Attraction in Education, Lisbona, Educa, 2002; H. Ertl (ed.), Cross-national Attraction in Education. Accounts
from England and Germany, cit., e in particolare V. Rust, Foreign Influences in Educational
Reform, in H. Ertl (ed.), Op. cit., pp. 23-34.
12
R. Cowen, Op. cit., p. 13.
13
K. H. Gruber, The German “PISA-shock”: Some Aspects of the Extraordinary Impact of
the OECD’s PISA Study on the German Education System, in H. Ertl (ed.), Cross-national Attraction in Education. Accounts from England and Germany, Symposium Books, cit., pp. 195208.
14
Come riferito da Val Rust nel corso di “Comparative Education”, tenutosi alla Graduate
School of Education dell’Università di California a Los Angeles (trimestre autunnale dell’anno
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come questo particolare esempio di traduzione di pratiche educative può essere
compreso?
Quali sono i fattori, i motivi, gli aspetti caratteristici di questo esempio, rispetto ad altri esempi? È chiaro che, per capire da un punto di vista comparatistico il fenomeno dell’attrazione trans-nazionale, è necessaria una conoscenza storica, non solo della storia del sistema educativo di tutte le “nazioni”
eventualmente coinvolte, ma anche della storia dell’educazione più in generale
(dell’immaginario, per esempio), e ovviamente della storia economica, sociale
e culturale dei contesti tra i quali è in atto l’attrazione15.
Il ruolo del comparatista è comprendere intellettualmente un fenomeno, ancora prima di agire come consulente di un potere politico desideroso di una base di dati scientificamente raccolti e capaci di legittimare la necessità di dare
una “nuova forma” al sistema scolastico.
2.3.3. La trasformazione
Terzo e ultimo obiettivo del lavoro accademico di ricerca comparativa è la
trasformazione.
Questo termine va però utilizzato nel suo significato teoretico: l’educazione
comparata non ha infatti lo scopo prioritario di promuovere la pace nel mondo
o di migliorare la reciproca comprensione internazionale16, anche se molti studiosi di educazione comparata hanno enfatizzato, nella loro agenda, l’ emancipazione e talvolta anche la rivoluzione. L’educazione comparata oggi ha invece lo scopo di studiare le condizioni in perenne mutazione della contemporaneità, “le morfologie mutanti delle forme dell’istruzione e dell’educazione”17.
Quanto queste mutazioni sono collegate tra loro, e come, è compito dello
studioso di pedagogia comparata stabilirlo, affidandosi a punti di vista che possono essere anche molto differenziati, dalla sociologia all’antropologia culturale, dalla scienza politica alla storia dell’educazione. Che i risultati di questa
attività interpretativa possano poi anche avere derive applicative, essere usate
per trasformare qualcosa, è possibile, ma esula dalla natura della ricerca comparata, che non è una disciplina militante.
Dopo avere chiarito per sommi capi alcune questioni di educazione comparata (natura, metodi, ragioni), si può vedere dove e come l’educazione comparata e la storia dell’educazione intrattengono rapporti, nel recente allargamento
di orizzonti, sia a livello macro sia a livello micro.
accademico 1992-1993).
15
R. Cowen, Op. cit., p. 14.
16
Cfr. G. Pampanini, Critical Essay on Comparative Education, Catania, CUECM, 2004,
passim.
17
R. Cowen, Op. cit., p. 14.
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3. La pratica dell’educazione comparata oggi e la storia dell’educazione
3.1. L’analisi dell’educazione comparata a livello macro
A livello macro, si può ricordare l’affascinante sintesi di Lê Thành Khôi18,
secondo il quale scopo della ricerca comparata è ricostruire il “dialogo tra le
culture e le civiltà”, pervenendo a una “teoria generale dell’educazione”19, Il
modello di analisi prevede che le “relazioni internazionali” siano esprimibili in
un modello a sette fattori (popolazione e linguaggi, ambiente naturale, mezzi di
produzione, idee e valori, movimenti socio-politici, grandi personalità, pratiche
educative): unità di analisi diventa pertanto la civiltà, “serie di relazioni economiche, sociali, culturali e politiche che caratterizzano una determinata comunità umana in un certo tempo e in un certo spazio”. La nozione di civiltà è
più comprensiva della nozione di “società” (ad esempio, nell’età ellenistica, la
“civiltà greca” era molto più ampia rispetto alla “società greca”) e della nozione di “cultura”, che l’antropologia preferisce legare a contesti locali20, Le “unità di analisi” di Lê Thành Khôi sono le civiltà euro-cristiana, arabo-islamica,
comunitario-africana, indiana, cino-giapponese21.
Dagli anni Novanta ad oggi, però, si è vista una tale accelerazione nelle relazioni internazionali che il modello di Lê Thành Khôi risulta insufficiente.
Anche le tradizionali concezioni di “regioni” del mondo basate su lingua, religione ed etnia sono saltate22. Nuovi aspetti economico-finanziari e politicomilitari hanno profondamente modificato i rapporti internazionali e le relazioni
sociali23. Le tendenze alla globalizzazione impongono l’identificazione di nuove regioni, su base sia geografica sia culturale, tenendo però presente che questa duplice appartenenza è suscettibile di modificazioni in tempi relativamente
brevi. Per questo Giovanni Pampanini, forse l’interprete italiano più coerente
del pensiero di Lê Thành Khôi, ritiene che, proprio sulla scorta delle sue indicazioni metodologiche, sia possibile perfezionare questa visione comparata del
mondo, mediante una nuova teoria “regionale” che renda conto di nuove polarizzazioni. Le otto nuove aree identificate sono l’Iper-Occidente (USA, Canada, Australia e Nuova Zelanda); l’area confuciana (il Sud-Est asiatico: Giappo18
Lê Thành Khôi, L’éducation. Culture et Sociétés, Paris, Publications de la Sorbonne,
1991; traduzione italiana L’educazione, Culture e società (a cura di G. Pampanini), Catania,
Latessa, 1996 (prefazione di A. Visalberghi); Éducation et Civilisations. Sociétés d’hier, Paris,
Nathan-Unesco, 1995; Toward a General Theory of Education, in P. Altbach, G. P. Kelly (eds.),
New Approaches to Comparative Education, Chicago, University of Chicago Press, 1986, pp.
215-232.
19
G. Pampanini, Critical Essay on Comparative Education, cit., p. 59.
20
Op. cit., p. 60.
21
Ibidem.
22
G. Pampanini, Op. cit., pp. 61-63.
23
Op. cit., pp. 68-69.
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ne, Cina, Corea); l’area del subcontinente indiano; l’area turco-mongola (Asia
centrale); l’area arabo-musulmana e israelo-ebraica (il Medio Oriente);
l’Occidente propriamente inteso (il bacino mediterraneo allargato: Europa,
Russia e Vicino Oriente); l’area comunitario-tribale dell’Africa sub-sahariana;
l’area latino-americana24.
Nell’analisi delle nuove aree regionali e/o nazionali venute alla ribalta (per
esempio la ex Jugoslavia), occorre focalizzare l’indagine su elementi economici (la distribuzione delle risorse), sociali (l’inclusione o meno di nuovi soggetti sociali), politici (il cammino per il consolidamento e/o l’implementazione
dei principi della democrazia rappresentativa, con particolare attenzione ai
meccanismi di gestione del potere) e infine pedagogici (le tendenze in atto nei
sistemi educativi, con particolare attenzione alla dialettica pubblico/privato)25.
3.2. L’analisi dell’educazione comparata a livello micro
Si può tuttavia notare che, nella corrente pratica professionale dell’educazione comparata, specialmente nell’area anglosassone, queste macro-sintesi
sono state da tempo abbandonate. Questo è comprensibile, vista l’estrema difficoltà di maneggiare con perizia dati relativi ad ambiti di ricerca così vasti, anche se, da un altro punto di vista, sintesi come queste risulterebbero utili per la
formazione di una visione diversa riguardo alle relazioni tra le civiltà. Se questa visione è lasciata alle scienze politiche (e in particolare a certa “scienza”
politica), finisce per produrre immagini rigide di “scontri” tra le civiltà, mettendo tra parentesi gli aspetti di prossimità e di dialogo.
Dando un’occhiata agli articoli pubblicati nell’ultimo ventennio sulla
“Comparative Education Review”, si notano pertanto alcuni fenomeni curiosi,
che chiameremo la comparazione tradizionale ristretta, la comparazione implicita, la comparazione random, la comparazione assente.
3.2.1. La comparazione tradizionale ristretta
Questa modalità di comparazione, che considera tradizionalmente
l’esistenza di due contesti ben definiti da confrontare, non avrebbe niente di curioso, se non il fatto che sempre di più, anziché comparare sistemi scolastici
nazionali, si esaminano loro peculiari aspetti, legati a problematiche storicosociali di notevole impatto: ecco perché si utilizza l’aggettivo “ristretta” per
connotarla.
Nel numero 1 del 2003 della “Comparative Education Review” compaiono
ben due articoli di questo tipo, uno sulle scuole per i ragazzi neri nel periodo
24
Op. cit., p. 70.
G. Pampanini, A Dialogue among Civilizations. World Philosophy of Education – An Essay, Catania, CUECM, 2012.
25
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della segregazione razziale, negli Stati Uniti meridionali e in Sudafrica26, firmato da Vanessa Siddle Walker e Kim Nesta Archum, e un altro sui fenomeni
di “contestazione” del curricolo proposto ai bambini e alle bambine nativi/e in
Australia e negli Stati Uniti27, redatto da Anne Hickling-Hudson e Roberta Ahlquist.
Il motivo per cui interessa questa comparazione ristretta è che la comprensione dei fenomeni comparati non può prescindere da un loro scavo di tipo storico-educativo, cosa che gli autori dei due articoli sono costretti a fare, pena il
totale fraintendimento dei fenomeni messi a confronto.
3.2.2. La comparazione implicita
A volte la comparazione non è presente secondo i canoni tradizionali, ma è
solamente evocata, e implicitamente presupposta, dalla scelta e dalla presentazione dell’argomento.
È questo il caso di un articolo pubblicato sul n. 1 del 2003 della CER in cui
ci si occupa delle scuole di comunità in Brasile, argomento svolto senza un apparente altro termine di paragone: in realtà, nell’introduzione, Adjoa Florência
Jones de Almeida colloca il discorso in un quadro macrocomparativo tra Stati
Uniti e Brasile, stati multiculturali e federali28. Questo è il motivo del titolo
scelto, “svelando lo specchio”: se non si toglie il velo allo specchio, il sistema
scolastico nazionale brasiliano, fortemente legato al concetto di comunità, non
riuscirebbe a capire che in realtà si sta rispecchiando nell’altro.
3.2.3. La comparazione random
Molti articoli, spesso redatti da almeno due autori, presentano la comparazione di due o più sistemi scolastici di diversi Stati nazionali, e questo modo di
procedere non sembra certamente innovativo, ma parrebbe la prassi che Thomas Kuhn definirebbe la “scienza normale”: quello che ci si aspetta da una rivista di educazione comparata. Quello che fa specie è che spesso i sistemi scelti
per la comparazione sembrano essere scelti a caso, per esempio per il fatto di
non avere alcuna apparente relazione significativa: la Finlandia e le isole Samoa, l’Estonia e lo Zambia, e così via.
26
V. S. Walker, K. N. Archum, The Segregated Schooling of Blacks in the Southern United
States and South Africa, in “Comparative Education Review”, vol. 47, n. 1 (febbraio 2003), pp.
21-40.
27
A. Hickling-Hudson, R. Ahlquist, Contesting the Curriculum in the Schooling of Indigenous Children in Australia and the United States: From Eurocentrism to Culturally Powerful
Pedagogies, in “Comparative Education Review”, vol. 47, n. 1 (febbraio 2003), pp. 64-89.
28
A. F. Jones De Almeida, Unveiling the Mirror: Afro-Brazilian Identity and the Emergence
of a Community School Movement, in “Comparative Education Review”, vol. 47, n. 1 (febbraio
2003), pp. 41-63.
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In questo caso, la comparazione nasce più da interessi comuni dei ricercatori
coinvolti nella comparazione, che da urgenze socioculturali: la possibilità di
partecipare a conferenze internazionali mette in relazione le persone, che sviluppano comuni interessi nel comparare i rispettivi sistemi scolastici nazionali,
anche se questi non hanno alcuna relazione significativa tra di loro. Questo tipo
di comparazione nasce quindi prima da un elemento soggettivo, e solo in un
secondo momento diventa un progetto di ricerca più accademicamente strutturato.
3.2.4. La comparazione assente
Questo è certamente il caso più curioso dei quattro presentati, visto che nella
CER compaiono praticamente in ogni numero articoli che presentano ricerche
nelle quali apparentemente non si compara niente, ma ci si limita a descrivere e
interpretare un aspetto del sistema scolastico di uno Stato nazionale, senza che
appaia un benché minimo termine di paragone.
Nel n. 2 del 2005 della CER, per esempio, abbiamo due esempi di questo tipo di ricerca. In un primo caso, Gita Steiner-Khamsi tratta il sistema dei
voucher per la formazione dei docenti nella Mongolia post-socialista29, restando dentro la storia e il sistema scolastico mongolo. Si potrebbe arguire che il
caso riguarda la ricerca comparata perché il sistema dei voucher è un classico
caso di trasferimento-traduzione-trasformazione di un elemento da un contesto
(l’iper-Occidente) all’altro (uno Stato dell’area turco-mongola di recente decomunistizzazione), tuttavia l’articolo appare a prima vista più un testo di storia dell’educazione, visto che, per trattare l’oggetto, si ricorre a una massiccia
analisi dei fenomeni storici che ne hanno preceduto l’introduzione.
In un secondo caso, Tanja Sargent e Emily Hannum parlano della soddisfazione per il lavoro dei docenti di scuola primaria nella Cina rurale nordoccidentale30: anche in questo caso, ad una prima lettura non si riesce a capire
dove stia l’aspetto comparativo, visto che i dati si riferiscono a un unico contesto; in questo caso, saremmo nel campo più propriamente della ricerca didattica.
È assai probabile che in questi casi, la comparazione sia inglobata nell’occhio dell’osservatore, che è sempre esterno, visto che si tratta di osservatori
provenienti da un ambito culturale “altro” che prendono in esame un elemento
“interno” a un sistema educativo che non è il loro.
Alla luce di queste considerazioni, che danno qualche elemento per la com29
G. Steiner-Khamsi, Vouchers for Teacher Education (Non)Reform in Mongolia: Transitional, Postsocialist or Antisocialist Explanation?, in “Comparative Education Review”, vol.
49, n. 2 (maggio 2005), pp. 148-172.
30
T. Sargent , E. Hannum, Keeping Teachers Happy: Job Satisfaction among Primary
School Teachers in Rural Northwest China, in “Comparative Education Review”, vol. 49, n. 2
(maggio 2005), pp. 173-204.
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prensione delle odierne tendenze in fatto di educazione comparata, si affronta
ora un caso di ricerca che, presentato nell’ambito dell’educazione comparata,
risulta esemplificativo anche per la storia dell’educazione.
4. L’inter-relazione tra storia dell’educazione ed educazione comparata: il
caso della scuola nei campi profughi sotto l’egida dell’UNHCR
4.1. Introduzione
Un caso interessante di storia dell’educazione in prospettiva comparata è la
scolarizzazione dei bambini e delle bambine rifugiati nei campi profughi gestiti
dall’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite (United Nation
High Commissioner for Refugees – UNHCR), trattato in un articolo apparso
sulla CER nel maggio 2005, firmato da Tony Waters e Kim Leblanc31.
Esaminato il concetto di Stato nazionale e il suo ruolo nella costruzione
dell’identità, le autrici fanno un’analisi storica dei “campi profughi” del Novecento: da entità temporanee, sorte per una rapida risposta ai bisogni primari
(cibo, acqua, ricovero, sanità), sono diventati realtà permanenti, generando bisogni di carattere secondario, quali ad esempio l’istruzione.
Nonostante la scolarizzazione venga dopo la mortalità e le malattie,
l’istruzione è un problema sentito dai profughi stessi: capita che spesso questi
organizzino in modo autonomo forme di “scuola”, con risorse limitate, anche
prima dell’assistenza “ufficiale”. Malgrado la richiesta di istruzione dei profughi, un servizio di scolarizzazione si adatta con difficoltà al modello di “aiuto”
delle organizzazioni internazionali, basato su standard operativi sanitari, per i
quali il provvedere ai bisogni di sopravvivenza è tutto ciò che i rifugiati desiderano32.
Nonostante questi limiti, dagli anni Novanta la scolarizzazione è stata inclusa all’interno dei progetti di assistenza umanitaria internazionale. In termini politici, in aggiunta al modello medico, i rifugiati sono visti anche come “parte di
una comunità”, partendo da un approccio basato sui diritti, e in particolare sulla
Convenzione dei Diritti dei Bambini (1989), utilizzata come supporto per migliorare la qualità della vita di chi forzatamente si trovano al di fuori del proprio Paese. I programmi d’educazione nei campi profughi sono giustificati dal
fatto che l’infanzia ivi accudita è spesso traumatizzata e le routine scolastiche
apportano benessere psicofisico, diminuendo l’impatto psicosociale di disorientamento. L’UNHCR nel 1995 è pervenuto ad una linea guida integra il diritto
del bambino alla scolarizzazione con soluzioni pratiche relative al curriculum e
ai metodi da utilizzare, a seconda che il rimpatrio sia pensato a breve o a lungo
31
T. Waters, K. Leblanc, Refugees and Education: Mass Public Schooling without a Nation-State, in “Comparative Education Review”, vol. 49, n. 2 (maggio 2005), pp. 129-147.
32
Op. cit., pp. 134-135.
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termine 33.
Le tradizionali basi della scolarizzazione, fondate sulla cultura dello Stato
nazionale, in questo caso vengono però meno, mettendo a rischio l’ alfabetizzazione di base e l’educazione civica, e anche discipline come la storia o la religione, connesse con l’identità nazionale. La scolarizzazione nei campi profughi, incentrata sui bisogni sopra descritti, non sempre è compatibile con il raggiungimento di “normali” obiettivi scolastici34. Si tratta infatti di processi d’ istruzione che accadono in uno pseudo-stato (il campo profughi dell’ UNHCR),
nel quale diversi attori hanno obiettivi difficili da conciliare. Per esempio, le
Nazioni Unite e le ONG vedono la gestione di istituzioni scolastiche nei campi
come momenti importanti per il rimpatrio volontario. I genitori dei bambini rifugiati sono invece interessati allo sviluppo di competenze di base necessarie
per un efficace inserimento in qualsiasi società nella quale essi immaginano di
emigrare. I movimenti politici che organizzano i rifugiati vedono la scuola come strumento di propaganda, mentre gli attivisti di certe ONG più indipendenti
la considerano un mezzo per insegnare l’educazione alla pace in contesti conflittuali. Gli interessi di questi diversi gruppi sono quindi focalizzati su una serie prevedibile di concetti chiave nello sviluppo di programmi di istruzione.
Questo è evidente nei curricoli di studi sociali, ma emerge anche in corsi di alfabetizzazione di base, nei quali letture da promuovere e valori da riprodurre
non sono neutri. Temi chiave sono lo stile educativo, le relazioni con le figure
d’autorità, il contenuto del curricolo (che può promuovere messaggi ideologici), il linguaggio dell’istruzione (che ha implicazioni politiche tra Paese natale,
Paese ospitante e Paese in cui s’immagina il futuro), i ruoli di genere (se e come istruire le donne), i docenti (assunzione, formazione, supervisione, retribuzione); il livello e la regolarità dei finanziamenti35.
Per esemplificare quanto finora enunciato a livello teorico, si può rapidamente accennare a due dei cinque casi trattati dalle autrici: i casi dell’ Afghanistan e della Thailandia.
4.2. Il caso dell’Afghanistan
Il caso dell’Afghanistan36 nasce negli anni Settanta, quando il governo del
re si fece già allora promotore di un’istruzione pubblica di massa per tutti i maschi: questo cambiamento fu profondamente accelerato nel 1978 con la rivoluzione di Saur e il nuovo governo comunista, che iniziò anche una massiccia
campagna d’istruzione femminile.
33
UNHCR Evaluation and Policy Unit, Meeting the Rights and Protection of Refugee Children: An Independent Evaluation of the Impact of UNHCR’s Activities, Ginevra, UNHCR,
2000.
34
Op. cit., pp. 136-138.
35
Op. cit., pp. 138-139.
36
Op. cit., p. 140.
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Negli anni Ottanta, uno dei maggiori punti di scontro tra regime filosovietico e suoi oppositori fu proprio l’istruzione delle donne: nei campi profughi afghani in Pakistan, la moderna istruzione laica e la promozione dell’educazione
delle ragazze furono infatti associate al “comunismo”.
Conseguentemente, per quasi 10 anni, in quei campi profughi, assistiti
dall’ONU, fu osteggiata la partecipazione delle donne ai processi d’istruzione,
e questo nonostante il curricolo fosse formalmente laico. Molte scuole erano
dirette dai movimenti politici afghani d’opposizione, d’osservanza islamica, e
in molti casi furono usate come luoghi d’addestramento ideologico fondamentalista: questo influenzò, per esempio, il curricolo delle scienze sociali, che inglobò lezioni sul tradizionale ruolo femminile nella società.
Durante la guerra civile, i partiti afghani in esilio formarono un’alleanza e
pubblicarono libri di testo anti-sovietici e militarizzati, introducendoli in Afghanistan con fondi di donatori arabi e occidentali. Questi stessi testi furono
più tardi adottati dalle Nazioni Unite, per i campi profughi, dal 1990, e rimasero spesso gli unici testi disponibili per i bambini afghani in esilio.
In questo caso afghano, possiamo concludere che un principio generale
dell’ONU (l’istruzione femminile) è stato messo in crisi da una tradizione culturale e religiosa, nonché da un fraintendimento ideologico che non è stato possibile rimuovere col tempo.
4.3. Il caso della Thailandia
Il caso della Thailandia37 inizia quando i rifugiati arrivarono in Thailandia
dalla Cambogia e dal Laos, in fuga dal regime degli Khmer rossi, dopo il 1978
e per tutti i primi anni Ottanta.
I bambini di queste popolazioni furono mandati in campi gestiti direttamente dal governo thailandese, cui fu richiesto di accoglierli nelle scuole primarie.
In queste il curricolo era insegnato in thailandese o in lingue indocinesi, mentre
le famiglie erano più interessate all’inglese e al francese, poiché i nuclei familiari speravano di ricostruirsi una vita in Paesi anglofoni o francofoni; a tale
scopo, alcune ONG implementarono programmi d’acquisizione di una seconda
lingua.
La scuola in questi campi, effetto congiunto dell’UNHCR, del Ministero
dell’Educazione thailandese e degli insegnanti ivi operanti, promosse di fatto
una visione nazionalistica, in chiave thailandese, della storia asiatica. Ironicamente, ciò accadde nonostante l’insistenza del governo sul fatto che i rifugiati
non sarebbero rimasto in Thailandia, ma rimpatriati o fatti emigrare all’estero.
Mentre il nucleo del curriculum rimase thailandese, l’educazione supplementare era fornita nelle lingue native, come il cambogiano. La situazione dei
rifugiati indocinesi in Thailandia fu poi risolta attraverso un mix di progetti di
37
Op. cit., pp. 140-141.
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rimpatrio nei paesi nativi e d’emigrazione verso Paesi terzi. Il caso thailandese
dimostra che, quando lo pseudo-stato promuove un curricolo senza legittimazione nazionale, genera un atteggiamento ondivago nei confronti di contenuto e
linguaggi d’istruzione.
La ricerca di Water e Leblanc ci mostra come nasce un nuovo oggetto di ricerca pedagogico (la scolarizzazione nei campi dei rifugiati), che non può prescindere da una prima disamina storica e storico-pedagogica, e che poi si apre a
considerazioni di carattere comparatistico.
5. Conclusioni
In conclusione, le considerazioni poc’anzi esposte dimostrano la stretta interdipendenza tra la storia dell’educazione e la pedagogia comparata, e la ricca
e feconda collaborazione delle due aree di ricerca, che spesso coesistono negli
stessi ricercatori, provenienti da diverse esperienze formative e professionali.
Una tendenza dell’educazione comparata, nata per confrontare oggetti emergenti dalla storia e della storia dell’educazione, è la messa in evidenza e la
comparazione anche dei fondamenti filosofici e pedagogici che sottostanno agli
elementi visibili che si vanno a comparare: sistemi, aspetti di sistema, pratiche.
La collaborazione tra storia dell’educazione e pedagogia comparata è essenziale e va potenziato, anche nel contesto italiano.
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