Biologia ed Ecologia degli Elasmobranchi
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Biologia ed Ecologia degli Elasmobranchi
SHARKLIFE: Azioni urgenti per la conservazione dei pesci cartilaginei nei mari italiani LIFE 10 NAT/IT/271 MiATTM BIOLOGIA ED ECOLOGIA DEGLI ELASMOBRANCHI __________________________________________________________________________________________________ INTRODUZIONE La tassonomia La tassonomia è quella disciplina che consente di determinare e riconoscere una specie fra tante. Oltre ad avere un ruolo fondamentale nel riconoscimento specifico, la tassonomia è importante nei vari processi di valutazione delle risorse, perché ogni singola specie ha caratteristiche e comportamenti peculiari che richiedono considerazioni altrettanto specifiche nella stima della loro abbondanza e quindi nella gestione del loro sfruttamento. Un errore di determinazione della specie può creare seri problemi di gestione e, di conseguenza, inficiare gli sforzi che un’amministrazione impiega al fine di preservare la risorsa. Da qui l’importanza di investire sempre più e in maniera concreta, su questa disciplina assicurando, ad esempio, nel tempo la presenza di specialisti tassonomi in grado di garantire risposte esatte. I fossili di squalo sono 3 volte più antichi di quelli dei dinosauri, molto prima che i vertebrati si presentassero sulla terraferma. Il fossile più antico, attribuito dai paleontologi a un gruppo ancora vivente di squali, risale a circa 180 milioni di anni fa. La maggior parte dei gruppi attuali è datato mediamente a circa 100 Mda. I pesci cartilaginei sono riusciti a colonizzare tutti gli ambienti del pianeta sia marini, sia di acqua dolce, con l’eccezione delle regioni polari. La tassonomia moderna riconosce oggi 10 raggruppamenti (ordini) principali in cui i pesci cartilaginei sono suddivisi. Le somiglianze e le differenze tra gli organismi consentono di riconoscere gruppi specifici ordinati gerarchicamente (classificati). Ognuno di loro è un’unità del sistema detto taxon (taxa pl.). La sistematica permette poi lo studio scientifico delle differenze tra gli organismi in fase evoluzionistica (Fig. 1). Fig. 1. Cladogramma degli ordini dei condroitti secondo Compagno, 2001. Fu Carl von Linné (1707-1778) che riuscì a definire lo strumento fondamentale per lo studio delle specie producendo nel 1758 l’opera scientifica Systema Naturae. Il suo lavoro aveva posto le basi della classificazione binomiale degli organismi facendo riferimento al genere e alla specie. Nel sistema linneiano la categoria al disopra del genere corrisponde alla famiglia. Le famiglie a loro volta compongono gli ordini e questi formano le classi; l’insieme delle classi costituisce i phyla. Questi ultimi sono l’impalcatura del REGNO che risponde al seguente schema semplificato: REGNO Phyla Classe Ordine Famiglia Genere Specie L’autore del nome di una specie è colui che per primo ha descritto l’organismo (es. Raja batis Linnaeus, 1758). Se il genere cambia denominazione il nome dell’autore viene messo tra parentesi (es. Dipturus batis (Linnaeus, 1758)). Il precedente nome entra in sinonimia. Si arriva cosi a definire la specie nel seguente modo: “l’insieme di individui che hanno in comune proprietà essenziali come la forma, che costituiscono popolazioni e che si riproducono per incrocio. La specie è un’unità genetica consistente in un ampio pool genico intercomunicante”. Sulla base di queste considerazioni possiamo fare un bilancio delle specie di pesci cartilaginei che vivono in Mediterraneo con un raffronto a quelli che vivono in tutti i mari (vedi tabella successiva). I pesci cartilaginei del Mediterraneo, 85 specie riconosciute valide, costituiscono circa il 7% del totale (Fig. 2). Fig. 2. Tavola sinottica dei condroitti che vivono in Mediterraneo secondo Serena, 2005, leggermente modificata. BIOLOGIA Una corretta gestione della risorsa presuppone una buona conoscenza della biologia della specie, in tutti i suoi vari aspetti, che vanno dal tipo di alimentazione alle modalità di accrescimento della popolazione. Una delle caratteristiche più interessanti dei pesci cartilaginei è quella di presentare un dimorfismo molto evidente, caso unico tra i pesci. Il maschio, infatti, è dotato di due strutture chiamate pterigopodi che servono per l’accoppiamento tra i due sessi. Alimentazione Gli squali e le razze sono carnivori per definizione: le specie di grossa taglia spesso mangiano tutto quello che trovano, altri sono necrofagi. Questa loro condizione ci fa dire che i pesci cartilaginei, dal punto di vista alimentare, sono degli opportunisti. Esistono comunque specie molto specializzate, come ad esempio un piccolo squaletto (Isistius brasiliensis) che vive nell’oceano, il quale si comporta come se fosse un parassita. Questo squaletto, infatti, si attacca alla pelle di qualsiasi pesce, compreso altri squali, inferendo ai malcapitati morsi circolari e profondi. Altre specie, come Hexanchus griseus, sono dotate di denti molariformi con i quali schiacciano le componenti dure delle prede. Lo squalo bianco e altri grandi predatori possono ingerire prede intere. Lo squalo sega individua la sua preda con il lungo rostro che utilizza come un metal detector scandagliando il fondo del mare, cosi come fanno anche gli squali martello. Gli squali di scogliera, come i carcarinidi, agiscono in cooperazione. E infine ci sono i planctofagi come lo squalo elefante e lo squalo balena i quali nuotando lentamente a bocca aperta riescono a filtrare grandi quantità di acqua e trattenere gli organismi del plancton presenti. La digestione può richiedere un lungo tempo e il cibo viene conservato nello stomaco a forma di J. I pesci cartilaginei non hanno vescica natatoria e per vincere la gravità e riuscire a nuotare nella colonna d’acqua, hanno sviluppato un grande fegato che facilita il loro galleggiamento. Per far posto a questo grande fegato sono stati costretti a sviluppare un intestino di dimensioni ridotte. Pur essendo di piccole dimensioni l’intestino deve comunque assicurare il processo della digestione e per questo motivo, nel corso dell’evoluzione, sono state escogitate diverse soluzioni: a valve, a spirale, ad anelli sovrapposti (Fig. 3). Fig. 3 Conformazione dei diversi tipi di intestine negli squali: a) ad anello; b) a spirale; c) ad anelli sovrapposti. Riproduzione I pesci cartilaginei hanno una strategia riproduttiva di tipo k. Questo significa che raggiungono la taglia di prima maturità dopo molti anni, che producono solo pochi piccoli, che hanno un tasso di accrescimento molto lento. Tutto ciò si ripercuote sull’intera popolazione la quale mostra, di conseguenza, lenti tassi di incremento. La riproduzione è di tipo sessuale e prevede l’accoppiamento tra i due sessi: il maschio introduce uno dei due pterigopodi nella cloaca della femmina per permettere allo sperma di transitare all’interno. Dopo la copula e avvenuta la fecondazione delle cellule uovo, si sviluppano i piccoli con due principali diverse modalità: l’oviparità, con produzione di capsule cornee che contengono il piccolo fino a che questo non ha raggiunto la dimensione giusta per fuoriuscire. Durante il periodo di gestazione interno alla capsula, il piccolo si nutre del sacco vitellino. Molti altri squali sono vivipari e alla nascita i piccoli sono, in un certo senso, partoriti ed hanno già la forma degli adulti. In entrambi i casi non sono previste cure parentali. Le specie ovipare generano una capsula cornea che viene prodotta intorno all’uovo fecondato quando questo, proveniente dall’ovidotto, passa attraverso la ghiandola del Nidam per entrare nell’utero. Le capsule sono poi deposte direttamente sul fondo del mare, dove rimangono ancorate grazie al muco che le ricopre, oppure la femmina le attacca a qualsiasi substrato per mezzo dei loro lunghi cirri. Similmente ai mammiferi, la riproduzione nelle specie vivipare, prevede vari passaggi di maturazione. Nei maschi si riconoscono, in genere, quattro stadi, nell’ambito dei quali gli spermatozoi acquisiscono vitalità: giovanile, subadulto, adulto, attivo. Nelle femmine si riconoscono due momenti fondamentali: uno stadio ovarico, dove l’ovario si sviluppa e produce le uova da fecondare, e uno stadio uterino, dove nelle uova fecondate si sviluppa l’individuo. In genere gli squali, in un determinato momento della loro esistenza e dell’anno, frequentano le aree di accoppiamento e dopo un periodo più o meno lungo (anche 24 mesi) di gestazione, le femmine si spostano nelle aree di nursery dove depongono le uova o “partoriscono”. I giovani, via via che crescono, si spostano verso le aree di alimentazione (Fig. 4). Fig. 4. Modello biologico del comportamento riproduttivo e alimentare degli elasmobranchi, secondo Cushing, 1988, modificato. Al fine di valutare lo stadio di maturità di ogni singolo individuo sono state messe appunto le scale di maturità sia delle specie ovipare, sia di quelle vivipare. Queste scale devono essere usate nei momenti di lavoro a bordo e in laboratorio nella maniera più semplice possibile. Per questo motivo sono richieste tabelle macroscopiche semplici e facili da usare. Queste tabelle devono però essere validate dall’analisi istologica dei tessuti. Pertanto è utile e consigliato, utilizzare anche la corrispettiva tabella microscopica. Impiegando tutte queste conoscenze è possibile individuare la cosiddetta taglia di prima maturità applicando un modello matematico. Questo modello (ogiva) ci dice il valore della lunghezza degli individui che nel 50% dei casi presentano la maturità richiesta. Se le conoscenze sono complete è possibile ricostruire il ciclo riproduttivo che mette in relazione lo stadio di maturità dei maschi e delle femmine con l’ambiente e la profondità in cui vivono (Fig. 5). Fig. 5. Ciclo vitale degli elasmobranchi, il caso di Raja asterias, secondo Serena et al., 2009, modificato. Accrescimento Per spiegare l’accrescimento di un pesce esistono due metodi principali: il metodo indiretto che richiede un campione di individui, possibilmente con cadenza mensile, in modo da poter misurare la loro lunghezza totale e riuscire in tal modo a registrare la progressione modale nell’arco annuale; il metodo diretto che richiede invece di catturare vivo l’esemplare per poterlo marcare con un segnale (spaghetto). All’esemplare viene assegnato un codice, registrando contemporaneamente la sua lunghezza totale. Se si ha la fortuna di ricatturare lo stesso esemplare dopo un certo periodo di tempo, questo viene di nuovo misurato. In questo modo riusciamo ad avere l’esatto valore dell’incremento in lunghezza avvenuto. Un altro metodo diretto è dato dalla possibilità di lettura degli anelli di accrescimento che si formano nelle vertebre come accade nei tronchi degli alberi. Su una vertebra si leggono anelli opachi e anelli lucidi. Il primo tipo di anello si sviluppa nel periodo estivo, quando l’accrescimento è veloce e la cristallizzazione del carbonato di calcio avviene in maniera disordinata. L’anello ialino si sviluppa in inverno quando il metabolismo è rallentato e la cristallizzazione dei sali di carbonato avviene più lentamente e in modo più regolare. ARPAT insieme a ISPRA ha condotto un programma di ricerca sulla razza bianca pescata dalla marineria viareggina, a nord della Toscana. Sono stati marcati circa 2000 esemplari che ricatturati anche dopo un anno, hanno reso importanti informazioni. Queste informazioni sono tornate utili per validare, in ultima analisi, la curva di crescita della razza bianca (Raja asterias) (Fig. 6). Questo è stato possibile utilizzando l’equazione di Von Bertalanffy: LT = L∞ ( 1-e-K(t-to)) dove: LT L∞ K to è la lunghezza totale dell’esemplare è la lunghezza che l’esemplare potrebbe avere se si accrescesse all’infinito è il tasso intrinseco di accrescimento è il tempo in cui l’esemplare non è ancora nato Fig.6. Curva di crescita di Raja asterias. ECOLOGIA I rapporti trofici sono spiegati in maniera lineare attraverso la piramide alimentare dove il rapporto geometrico tra gli organismi è tale che la base di questa piramide è occupata da un numero grande di specie. Viceversa all’apice si pongo solo poche specie, i cosiddetti predatori apicali, che di solito mostrano biomasse individuali molto grandi. La base è sostenuta dall’apporto continuo dei nutrienti; molti livelli della piramide costituiscono poi, alimento per gli organismi superiori. Le pressioni ambientali, determinate soprattutto dalle attività dell’uomo come la pesca, agiscono in maniera più evidente ai livelli più alti, soprattutto sui predatori apicali (Fig. 7). Fig. 7. Piramide alimentare e rapporti con le principali attività umane. Il sistema che per eccellenza spiega in maniera quantitativa i rapporti trofici che si instaurano tra gli organismi è la rete trofica. Ogni freccia che collega i vari box testimonia il flusso di energia coinvolto nel rapporto diretto. I disturbi che a vario livello intervengono sulla rete sono principalmente di due tipi: ambientali e umani, vale a dire di tipo naturale e artificiale (Fig. 8). Fig. 8. Rete alimentare e maggiori pressioni antropiche. All’equilibrio la piramide alimentare presenta una geometria regolare tra un “gradino” e l’altro, cosi come la rete mantiene regolari le sue “maglie“. L’eliminazione dei predatori apicali determina squilibrio nei livelli sottostanti la piramide e crea nella rete smagliature che nel tempo si allargano fino a eliminare i normali rapporti trofici tra le specie. Nella piramide i vari livelli mostrano evidenti disomogeneità poiché alcuni gruppi hanno aumentato la loro biomassa in maniera sproporzionata (Fig. 9). Una situazione di questo tipo porta inevitabilmente a una perdita di biodiversità e probabilmente all’instaurarsi di nuovi equilibri con altrettanti, nuovi, predatori apicali, magari non più ravvisabili tra i pesci cartilaginei. Fig. 9. Modello previsionale delle conseguenze della perdita dei predatori apicali sui livelli della piramide e sulle maglie della rete alimentare. Purtroppo recenti studi hanno dimostrato che in alcune aree del Mediterraneo si sono avute perdite, anche maggiori del 90%, rispetto alle popolazioni iniziali di pesci cartilaginei: Nome comune Squalo martello Verdesca Mako Smeriglio Squalo volpe Nome scientifico Sphyrna spp. Prionace glauca Isurus oxyrinchus Lamna nasus Alopias vulpinus Perdita percentuale 99% 97% 99% 99% 99% Molte specie di squali mediterranei sono a rischio di estinzione, ciò è dovuto principalmente alla pressione di pesca che in genere agisce in maniera irrazionale sulle risorse ittiche. Anche se oggi in Mediterraneo non esiste una pesca mirata agli squali questi sono catturati in maniera indiscriminata dagli attrezzi da pesca. Le normali precauzioni, messe in atto per i pesci ossei spesso, non funzionano per i pesci cartilaginei i quali rimangono sempre e comunque impigliati nelle reti dei pescatori. Infatti, i mestieri tradizionali utilizzati dai pescatori non sono selettivi per questo gruppo di pesci. Gli squali, sempre meno presenti nel pescato, costituiscono tuttavia una componente accessoria della cattura, il cosiddetto by-catch. Questo è correlato al rapido declino delle popolazioni dei pesci cartilaginei in tutti i mari del mondo. Declino che è strettamente legato al tipo di strategia riproduttiva k, tipica dei pesci cartilaginei che li rende poco resilienti, incapaci di reagire nei tempi e nei modi giusti al depauperamento degli stocks. Le ragioni di questo fenomeno sono da mettere in relazione a due differenti tipi di azioni, diretta e indiretta, una delle quali è dovuta alle attività umana: 1) Indiretta (Cambiamenti climatici) Il fenomeno legato ai cambiamenti climatici in atto sta determinando modificazioni nella componente specifica di vaste aree del mediterraneo. Si sta assistendo all’evento della tropicalizzazione da ovest verso est, fatto che è stato facilitato dall’apertura del Canale di Suez. Anche in questo caso l’uomo è intervenuto direttamente condizionando gli equilibri ambientali. In sostanza la temperatura media superficiale del bacino Mediterraneo si sta rapidamente alterando; ormai nel bacino di levante, nel periodo estivo, si raggiungono elevate temperature superficiali, fino a 30°C, confrontabili con quelle della regione tropicale. Contemporaneamente si sta verificando un evento ancora più preoccupante che è quello della Meridionalizzazione. L’isoterma dei 15°C si sta spostando sempre più verso nord. Tutto questo consente alle specie provenienti dal Mar Rosso, o dalle aree subtropicali atlantiche, di trovare ottime condizioni per adattarsi e insediarsi nel bacino Mediterraneo in maniera sempre più stabile. Nel 2003, le acque dell’area compresa nel cosiddetto Arco Latino, cioè le coste della Toscana, Liguria e quelle francesi, subirono una inversione termica che uccise molti organismi sessili presenti nei primi 30 metri di profondità. Questa situazione risultò particolarmente grave lungo la costa a sud di Livorno. In questo tratto di mare ARPAT, che monitora l’area dal 1996, registrò questa inversione termica collegandola alla morte delle spugne, dei coralli, delle gorgonie, ecc. L’European Commission, DG Joint Research Centre, IES (2006), ha comunicato che nel bacino di levante si sono avuti aumenti della temperatura media superficiale fino a 3°C negli ultimi trenta anni (Fig. 10). Fig. 10. Cambiamenti climatici del bacino mediterraneo dal 1982 al 2003. (European Commission, DG Joint Research Centre, IES, 2006). Al livello fisiologico il cambiamento climatico può determinare il fenomeno dell’asincronia. In questo caso i maschi e le femmine, di una stessa specie, possono raggiungere la condizione di maturità riproduttiva in tempi differenti. Ciò potrebbe non consentire alla popolazione di riprodursi in maniera appropriata e quindi di reintegrare eventuali perdite dovute, ad esempio, alla pesca; nel tempo questo porterà ad una inevitabile riduzione di certi organismi. 2) Diretta (Impatto antropico) La presenza dei predatori influenza non solo la popolazione delle prede, determinando mortalità, ma conseguentemente anche tutta la comunità. Ciò induce un comportamento antipredatore nelle prede che richiede un forte dispendio di energia. Questi rapporti che insorgono tra predatore e preda, determinano due principali effetti legati all’ecologia della popolazione delle prede: a) Effetto cascata (top down effect) In una rete trofica semplificata le specie, i generi e le famiglie e le interazioni che tra loro si instaurano, mostrano rapporti a cascata che possono essere riassunti secondo il seguente schema: • • • • Predatori principali Predatori secondari Predatori sulle specie all’interno del genere Predatori sulle specie all’interno delle famiglie Tale modello è riscontrabile in varie situazioni, dai mari polari dove si hanno rapporti trofici stagionali a cascata quando viene a mancare una determinata preda, a quelli delle acque temperate della piattaforma continentale, quando si verifica un sovrasfruttamento di una specie; lo sfruttamento eccessivo di una specie di squalo può avere ripercussioni sui mesoconsumatori e, a cascata, sugli organismi dei livelli sottostanti la rete trofica. L’esempio dei mari del Nord Caroline è molto chiaro. Il tasso di cattura elevato dello squalo pinna nera ha determinato nel tempo la sua scomparsa in termini di numero e biomassa. Ciò ha influito positivamente sulla crescita della biomassa di un altro pesce cartilagineo, la rinoptera, che prima costituiva preda dello squalo. La popolazione di rinoptera è cresciuta tanto fino a mettere in crisi la pesca della capasanta. Infatti, in breve tempo la capasanta, in qualità di preda della rinoptera, ha subito un declino vertiginoso che ha portato al fallimento delle numerose imprese che vivevano di questa risorsa. La scomparsa dei predatori apicali, come abbiamo visto, comporta la perdita di geometria regolare nella piramide e nella rete alimentare, ciò non significa che nel tempo non si possa raggiungere un nuovo equilibrio dell’ecosistema pur privo degli storici predatori. Lungo le coste bulgare del Mar Nero è stato osservato che il sovrasfruttamento di grandi pesci pelagici ha indirizzato la pesca a sfruttare intensivamente altre specie di minori dimensioni, fino al crollo dell’economia della pesca. La scomparsa dei normali rapporti trofici tra predatori e prede ha determinato, in questo mare, la comparsa di varie specie di meduse che alternativamente invadono la colonna d’acqua, a testimonianza dell’assenza di predatori specifici di questi organismi in grado di regolare gli equilibri. b) Effetto rischio (Risk effect) L’effetto dei grandi predatori come tonni, squali e mammiferi marini, sul comportamento dei mesoconsumatori, non è stato ancora ben valutato. Di fatto, quando vengono a mancare i cosiddetti “top predators” (TPs), si hanno incrementi nelle popolazioni delle prede in termini di numero e di biomassa. Tale situazione può generare a sua volta importanti fenomeni di competizione. La considerazione degli effetti di rischio pone domande interessanti, attinenti la comprensione delle conseguenze ecologiche che si hanno in seguito alla rimozione dei predatori apicali. Molti studi rivelano che il comportamento degli antipredatori si sviluppa attraverso le specie che hanno caratteristiche differenti e vivono in ambienti molto vari. In tal senso gli effetti di rischio dovrebbero essere inerenti al ruolo ecologico che hanno i predatori apicali. Una perdita di diversità nei predatori qualche volta potrebbe avere effetti positivi sulla componente delle prede. Gli effetti di rischio possono essere particolarmente importanti quando i mesoconsumatori sono in grado di transitare da un habitat all’altro con diverso rischio di predazione. In tali situazioni la perdita dei predatori apicali potrebbe favorire la riduzione o l’eliminazione degli spazi utilizzati come rifugio dalle varie specie, poiché non ve ne è più la necessità. Ma in relazione all’aumento dei mesoconsumatori, la perdita dei rifugi può incidere contestualmente sulla risorsa specifica delle varie popolazioni. Al fine di spiegare questo concetto possiamo considerare due ambienti caratterizzati da scarse risorse (a) e da abbondanti risorse (b). Su entrambi questi ambienti viene esercitata una determinata pressione di pesca e, ovviamente, in entrambi i casi si assiste al declino dei predatori apicali. AMBIENTI MESOCONSUMATORI Aumentano RISORSE Diminuiscono (in seguito all’aumento dei mesoconsumatori) Diminuiscono (in seguito a fenomeni di competizioni che prima non c’erano) Aumenta la loro disponibilità poiché i mesoconsumatori sono diminuiti in seguito a fenomeni di competizione Aumentano decisamente Diminuiscono decisamente (in seguito all’aumento dei mesoconsumatori) Diminuiscono decisamente in seguito a fenomeni di competizioni che prima non c’erano Aumenta decisamente la loro disponibilità poiché i mesoconsumatori sono diminuiti in seguito a fenomeni di competizione PERICOLOSI SCARSE RISORSE (Perdita di TPs) AMBIENTI SICURI AMBIENTI PERICOLOSI ABBONDANTI RISORSE (Perdita di TPs) AMBIENTI SICURI Dimostrato che la perdita dei predatori apicali determina situazioni a rischio per l’intero ecosistema, occorre approfondire la nostra riflessione ed estendere le considerazioni anche agli equilibri che regolano la nostra esistenza. Al fine di evitare situazioni di non ritorno, la FAO ha predisposto un percorso di gestione dell’ecosistema attivando Piani di Azione per la conservazione degli organismi più a rischio come gli squali. CONSERVAZIONE In considerazione delle caratteristiche biologiche i pesci cartilaginei, in genere, soffrono in maniera particolare le attività umane legate principalmente alla pesca. In tal senso e per molte specie, si assiste a preoccupanti fenomeni di perdita della biodiversità e della consistenza degli stock. Queste perdite hanno assunto, negli ultimi anni, situazioni insostenibili tanto da far dichiarare lo stato di allerta e in alcuni casi affermare l’avvenuta estinzione di una specie in una determinata area. Questo box cerca di mettere in evidenza il percorso che vari enti istituzionali e molte ONG hanno intrapreso da anni, al fine di garantire la conservazione di queste specie facendo riferimento, in alcuni casi, anche agli habitat che queste frequentano. Vi sono molte convenzioni e accordi che mirano alla conservazione dei pesci cartilaginei e una tra le più significative è sicuramente la Convenzione di Washington del 1973 (CITES) che vieta la detenzione e il commercio delle specie protette. La Convenzione che ci riguarda più da vicino è forse quella di Barcellona del 1995, relativa al protocollo ASPIM, che considera le Aree Particolarmente Protette e la Diversità biologica in Mediterraneo. A Catania nel 2003 sono state indicate le raccomandazioni per i Piani di Azione che i Paesi membri dovrebbero adottare in ambito mediterraneo. Nel 1994 la nona Conferenza delle Parti della Convenzione sul commercio internazionale delle specie selvatiche in pericolo (CITES), ha adottato una risoluzione relativa allo status del commercio degli squali. Successivamente la FAO, con l’intento di implementare tale azione, ha dato il via a una serie di iniziative ponendo il tema alla discussione del COFI (Conference of FIshery) del 1997, dove una consultazione di esperti si è confrontata su aspetti legati alla conservazione e alla gestione degli squali. Di fatto tutto il processo fa riferimento alla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 dove la comunità scientifica si espresse a favore di azioni concrete che minimizzassero la perdita di biodiversità, facendo riferimento a tre principali obiettivi: 1) Tasso di sfruttamento degli stocks di squali 2) Protezione delle specie a rischio di estinzione 3) Protezione degli habitat Questo percorso ha consentito alla FAO di lanciare l’IPOA-Sharks (International Plan Of Action for the Sharks) vale a dire il Piano di Azione Internazionale per la Conservazione e la Gestione degli Squali in tutti i mari del mondo. L’obiettivo principale dell’IPOA-Sharks è quello di garantire la conservazione e un’oculata gestione degli squali per un loro uso sostenibile nel tempo. Anche questo processo deve tener conto dalla politica relativa all’approccio precauzionale verso un uso corretto dello sfruttamento delle risorse naturali. A tal fine la FAO, come politica di base, produce da sempre tutta una serie di documenti che vanno dalle sinopsis molto dettagliate, alle guide tassonomiche di campo, ai Tecnical Paper che affrontano i vari aspetti matematici per attuare una corretta gestione della risorsa. Questa impostazione di lavoro si esplica poi non solo in ambito FAO, ma anche all’interno dei Sub-Committee dello Scientific Advisory Commitee (SAC) del GFCM (Commissione Generale della Pesca in Mediterraneo). Il SAC, che in definitiva costituisce l’organo tecnico nel quale si sviluppano le discussioni e dove sono fornite le raccomandazioni di intervento, è strutturato in quattro Comitati, i quali, spesso, organizzano Work-Shop tematici: 1) Statistica e Informazione 2) Economia e Scienze Sociali 3) Valutazione degli stocks 4) Ambiente marino ed Ecosistemi Nell’ambito di queste Commissioni è stata prodotta e adottata una guida di campo e il database MEDLEM che raccoglie e organizza le informazioni sui grandi squali, due importanti e utili strumenti di lavoro. L’Unione Europea con il suo Piano di Azione per la conservazione e lo sfruttamento sostenibile delle risorse nel Mediterraneo, che si attua attraverso programmi di ricerca quali il MEDITS (MEDiterranea Trawl Survey), sta contribuendo in maniera determinante alla raccolta delle informazioni di base. Queste ultime sono poi condivise e discusse nelle riunioni di coordinamento e soprattutto all’interno dello STECF (Comitato Tecnico Scientifico ed Economico della Pesca). Ciò ha consentito all’UE, nel 2009, di formulare ufficialmente il Piano di Azione Europeo per la conservazione e la gestione degli squali. Un ruolo fondamentale in tutto questo processo lo sta svolgendo l’UNEP con il RAC/SPA di Tunisi, avendo attivato il Piano Mediterraneo con un primo momento di applicazione, nel 2003, di un documento condiviso tra i vari esperti mediterranei del settore. Nel 2009, tramite il coordinamento dell’IUCN-SSG (International Union for Conservation of Nature and Natural Resources-Shark Specialist Group), il RAC/SPA ha pubblicato un aggiornamento del Piano di Azione Mediterraneo. L’azione dell’UNEP RAC/SPA, che fa riferimento alla Convenzione di Barcellona, non si è limitata alla produzione del Piano Mediterraneo, ma sta operando anche su ogni singolo Stato membro in modo da mettere in condizione il Paese di adottare un proprio Piano di Azione. Fino a questo momento sono stati prodotti i Piani per la Libia, la Slovenia, la Croazia, la Bosnia Erzegovina e il Montenegro. Altre pubblicazioni, sempre dell’UNEP, mirate alla conservazione degli squali, riguardano la normativa, la pesca sportiva, ecc. La più importante Organizzazione non Governativa IUCN , ha lo scopo di supportare attivamente la conservazione della biodiversità e l’uso sostenibile delle risorse. E’ composta da sei Commissioni, una di queste (SSG) si occupa espressamente di squali. Il principale obiettivo di questa Commissione è quello di raccogliere le informazioni sullo stato di sfruttamento e di conservazione degli elasmobranchi nei mari di tutto il mondo, compreso quelli italiani. In particolare gli obiettivi dello Shark Specialist Group sono: 1) Sviluppare una rete di esperti regionali con relativo coordinamento 2) Assistere i Piani Regionali e lo sviluppo delle iniziative Al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati per la produzione dei Piani di Azione, IUCN ha intrapreso un lungo percorso di concertazione al livello mondiale, iniziando dalla 24° Conferenza della NAFO tenutasi a Santiago di Compostela (Spagna) nel 2002. Relativamente al Mediterraneo, nel 2003 IUCN ha organizzato un Work Shop a San Marino convocando gli esperti del settore e producendo un’attenta valutazione dello stato di conservazione partendo dalle conoscenze fino all’ora disponibili. Alla fine dello stesso anno, in Nuova Zelanda, fu fatta una valutazione globale dello stato di conservazione degli squali che vivono nei mari del nostro pianeta. L’atto finale della valutazione si realizzò nel 2005 a Peterboroug (Inghilterra) che portò alla pubblicazione, nel 2007, della Red List degli squali che vivono nel bacino Mediterraeno. Il lavoro dello Shark Specialist Group dell’IUCN ha permesso di valutare oltre 70 specie di elasmobranchi che vivono in Mediterraneo. Tra questi, ventuno specie, 10 batoidei e 11 squaliformi, sono state considerate in pericolo o fortemente in pericolo di sopravvivenza. Le cause di questa situazione sono imputabili principalmente all’attività di pesca, in particolare la pesca a strascico, incide sulla perdita di questi pesci per circa il 38%, mentre i palangari arrivano al 36%. La restante percentuale è da imputare ad altri tipi di pesca. Oggi si sta pensando di attivare un nuovo aggiornamento di questa Lista Rossa. Il 2006 è stato un anno importante perché le varie ONG hanno realizzato un’azione risolutiva unendo le forze di tutti. L’obiettivo era quello di creare importanti presupposti per bandire, a livello mondiale, la pratica del “finning”, in merito alla quale i pescatori catturano gli squali, tagliandoli le pinne e rigettandoli in mare ancora vivi. Il commercio delle pinne di squalo va ad alimentare il mercato orientale sviluppando un giro di interessi enorme difficilmente gestibile. Shark Alliance, raggruppando le varie ONG, sta producendo importanti azioni al livello comunitario e ministeriale che mirano a creare coscienza del problema indicando soluzioni valide per evitare o perlomeno mitigare questa pratica assurda. Spesso assistiamo a vere e proprie mattanze di squali al solo scopo di tagliare le pinne per le zuppe degli orientali. Gli squali privati delle pinne e gettati nuovamente in mare, vanno incontro a sicura morte! L’European Elasmobranch Association (EEA), che raggruppa gli specialisti di squali europei e non solo, ha recentemente pubblicato un documento che fa il punto della situazione sul finning, ma soprattutto analizza i retroscena e fornisce indicazioni gestionali che mirano a un razionale sfruttamento di questi pesci senza necessariamente scadere in pratiche medioevali. Nel 2009 il Ministero dell’Ambiente e del Mare (MiATTM) ha dato il via a un processo che con buona probabilità porterà alla formulazione di un Piano di Azione per la conservazione dei pesci cartilaginei nei mari italiani. Questo programma si chiama ELASMOIT e ha raccolto moltissime informazioni sull’argomento grazie al coinvolgimento dei maggiori esperti italiani. ELASMOIT è stato propedeutico per iniziare un tavolo tecnico, condotto dal MiATTM e dal MiPAAF al fine di impostare il percorso definitivo che dovrà condurre il nostro Paese alla formulazione del Piano di Azione nazionale. Il MiPAAF, da parte sua, ha attivato un programma di elaborazione dati, ELASMOSTAT, che attraverso l’utilizzo delle informazioni raccolte in oltre 25 anni di trawl surveys sulle risorse demersali e pelagiche, mira a valutare lo stato di sfruttamento di questi pesci. I risultati di questo programma implementeranno il percorso del P. di A. nazionale. Per la formulazione di questo Piano tornerà utile qualsiasi informazioni reperibili, prima fra tutte il dataset proveniente dal programma MEDLEM (MEDiterranean Large Elasmobranchs Monitoring). Bibliografia essenziale Ekman, S. 1953. Zoogeography of the Sea. Sidgwick and Jackson, London. 417 pp. Compagno, L.J.V. 2001. Sharks of the world. An annotated and illustrated catalogue of shark species known to date. Vol. 2. Bullhead, mackerel, and carpet sharks (Heterodontiformes, Lamniformes and Orectolobiformes). FAO Species Catalogue for Fishery Purposes. No 1, Vol. 2. Rome, FAO. 269 pp. Cushing, D.H. 1988. The Provident Sea. 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