Biologia ed Ecologia degli Elasmobranchi

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Biologia ed Ecologia degli Elasmobranchi
SHARKLIFE: Azioni urgenti per la conservazione dei
pesci cartilaginei nei mari italiani
LIFE 10 NAT/IT/271
MiATTM
BIOLOGIA ED ECOLOGIA DEGLI ELASMOBRANCHI
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INTRODUZIONE
La tassonomia
La tassonomia è quella disciplina che consente di determinare e riconoscere una specie fra tante.
Oltre ad avere un ruolo fondamentale nel riconoscimento specifico, la tassonomia è importante nei
vari processi di valutazione delle risorse, perché ogni singola specie ha caratteristiche e
comportamenti peculiari che richiedono considerazioni altrettanto specifiche nella stima della loro
abbondanza e quindi nella gestione del loro sfruttamento. Un errore di determinazione della specie
può creare seri problemi di gestione e, di conseguenza, inficiare gli sforzi che un’amministrazione
impiega al fine di preservare la risorsa. Da qui l’importanza di investire sempre più e in maniera
concreta, su questa disciplina assicurando, ad esempio, nel tempo la presenza di specialisti
tassonomi in grado di garantire risposte esatte.
I fossili di squalo sono 3 volte più antichi di quelli dei dinosauri, molto prima che i vertebrati si
presentassero sulla terraferma. Il fossile più antico, attribuito dai paleontologi a un gruppo ancora
vivente di squali, risale a circa 180 milioni di anni fa. La maggior parte dei gruppi attuali è datato
mediamente a circa 100 Mda. I pesci cartilaginei sono riusciti a colonizzare tutti gli ambienti del
pianeta sia marini, sia di acqua dolce, con l’eccezione delle regioni polari.
La tassonomia moderna riconosce oggi 10 raggruppamenti (ordini) principali in cui i pesci
cartilaginei sono suddivisi. Le somiglianze e le differenze tra gli organismi consentono di
riconoscere gruppi specifici ordinati gerarchicamente (classificati). Ognuno di loro è un’unità del
sistema detto taxon (taxa pl.). La sistematica permette poi lo studio scientifico delle differenze tra
gli organismi in fase evoluzionistica (Fig. 1).
Fig. 1. Cladogramma degli ordini dei condroitti secondo Compagno, 2001.
Fu Carl von Linné (1707-1778) che riuscì a definire lo strumento fondamentale per lo studio delle
specie producendo nel 1758 l’opera scientifica Systema Naturae. Il suo lavoro aveva posto le basi
della classificazione binomiale degli organismi facendo riferimento al genere e alla specie. Nel
sistema linneiano la categoria al disopra del genere corrisponde alla famiglia. Le famiglie a loro
volta compongono gli ordini e questi formano le classi; l’insieme delle classi costituisce i phyla.
Questi ultimi sono l’impalcatura del REGNO che risponde al seguente schema semplificato:
REGNO
Phyla
Classe
Ordine
Famiglia
Genere
Specie
L’autore del nome di una specie è colui che per primo ha descritto l’organismo (es. Raja batis
Linnaeus, 1758). Se il genere cambia denominazione il nome dell’autore viene messo tra parentesi
(es. Dipturus batis (Linnaeus, 1758)). Il precedente nome entra in sinonimia.
Si arriva cosi a definire la specie nel seguente modo: “l’insieme di individui che hanno in comune
proprietà essenziali come la forma, che costituiscono popolazioni e che si riproducono per incrocio.
La specie è un’unità genetica consistente in un ampio pool genico intercomunicante”.
Sulla base di queste considerazioni possiamo fare un bilancio delle specie di pesci cartilaginei che
vivono in Mediterraneo con un raffronto a quelli che vivono in tutti i mari (vedi tabella successiva).
I pesci cartilaginei del Mediterraneo, 85 specie riconosciute valide, costituiscono circa il 7% del
totale (Fig. 2).
Fig. 2. Tavola sinottica dei condroitti che vivono in Mediterraneo secondo Serena, 2005, leggermente modificata.
BIOLOGIA
Una corretta gestione della risorsa presuppone una buona conoscenza della biologia della specie, in
tutti i suoi vari aspetti, che vanno dal tipo di alimentazione alle modalità di accrescimento della
popolazione. Una delle caratteristiche più interessanti dei pesci cartilaginei è quella di presentare un
dimorfismo molto evidente, caso unico tra i pesci. Il maschio, infatti, è dotato di due strutture
chiamate pterigopodi che servono per l’accoppiamento tra i due sessi.
Alimentazione
Gli squali e le razze sono carnivori per definizione: le specie di grossa taglia spesso mangiano tutto
quello che trovano, altri sono necrofagi. Questa loro condizione ci fa dire che i pesci cartilaginei,
dal punto di vista alimentare, sono degli opportunisti. Esistono comunque specie molto specializzate,
come ad esempio un piccolo squaletto (Isistius brasiliensis) che vive nell’oceano, il quale si
comporta come se fosse un parassita. Questo squaletto, infatti, si attacca alla pelle di qualsiasi pesce,
compreso altri squali, inferendo ai malcapitati morsi circolari e profondi. Altre specie, come
Hexanchus griseus, sono dotate di denti molariformi con i quali schiacciano le componenti dure
delle prede. Lo squalo bianco e altri grandi predatori possono ingerire prede intere. Lo squalo sega
individua la sua preda con il lungo rostro che utilizza come un metal detector scandagliando il
fondo del mare, cosi come fanno anche gli squali martello. Gli squali di scogliera, come i
carcarinidi, agiscono in cooperazione. E infine ci sono i planctofagi come lo squalo elefante e lo
squalo balena i quali nuotando lentamente a bocca aperta riescono a filtrare grandi quantità di acqua
e trattenere gli organismi del plancton presenti.
La digestione può richiedere un lungo tempo e il cibo viene conservato nello stomaco a forma di J.
I pesci cartilaginei non hanno vescica natatoria e per vincere la gravità e riuscire a nuotare nella
colonna d’acqua, hanno sviluppato un grande fegato che facilita il loro galleggiamento. Per far
posto a questo grande fegato sono stati costretti a sviluppare un intestino di dimensioni ridotte. Pur
essendo di piccole dimensioni l’intestino deve comunque assicurare il processo della digestione e
per questo motivo, nel corso dell’evoluzione, sono state escogitate diverse soluzioni: a valve, a
spirale, ad anelli sovrapposti (Fig. 3).
Fig. 3 Conformazione dei diversi tipi di intestine negli squali: a) ad anello; b) a spirale; c) ad anelli sovrapposti.
Riproduzione
I pesci cartilaginei hanno una strategia riproduttiva di tipo k. Questo significa che raggiungono la
taglia di prima maturità dopo molti anni, che producono solo pochi piccoli, che hanno un tasso di
accrescimento molto lento. Tutto ciò si ripercuote sull’intera popolazione la quale mostra, di
conseguenza, lenti tassi di incremento. La riproduzione è di tipo sessuale e prevede
l’accoppiamento tra i due sessi: il maschio introduce uno dei due pterigopodi nella cloaca della
femmina per permettere allo sperma di transitare all’interno. Dopo la copula e avvenuta la
fecondazione delle cellule uovo, si sviluppano i piccoli con due principali diverse modalità:
l’oviparità, con produzione di capsule cornee che contengono il piccolo fino a che questo non ha
raggiunto la dimensione giusta per fuoriuscire. Durante il periodo di gestazione interno alla capsula,
il piccolo si nutre del sacco vitellino. Molti altri squali sono vivipari e alla nascita i piccoli sono, in
un certo senso, partoriti ed hanno già la forma degli adulti. In entrambi i casi non sono previste cure
parentali.
Le specie ovipare generano una capsula cornea che viene prodotta intorno all’uovo fecondato
quando questo, proveniente dall’ovidotto, passa attraverso la ghiandola del Nidam per entrare
nell’utero. Le capsule sono poi deposte direttamente sul fondo del mare, dove rimangono ancorate
grazie al muco che le ricopre, oppure la femmina le attacca a qualsiasi substrato per mezzo dei loro
lunghi cirri.
Similmente ai mammiferi, la riproduzione nelle specie vivipare, prevede vari passaggi di
maturazione. Nei maschi si riconoscono, in genere, quattro stadi, nell’ambito dei quali gli
spermatozoi acquisiscono vitalità: giovanile, subadulto, adulto, attivo. Nelle femmine si
riconoscono due momenti fondamentali: uno stadio ovarico, dove l’ovario si sviluppa e produce le
uova da fecondare, e uno stadio uterino, dove nelle uova fecondate si sviluppa l’individuo.
In genere gli squali, in un determinato momento della loro esistenza e dell’anno, frequentano le aree
di accoppiamento e dopo un periodo più o meno lungo (anche 24 mesi) di gestazione, le femmine si
spostano nelle aree di nursery dove depongono le uova o “partoriscono”. I giovani, via via che
crescono, si spostano verso le aree di alimentazione (Fig. 4).
Fig. 4. Modello biologico del comportamento riproduttivo e alimentare degli elasmobranchi, secondo Cushing, 1988,
modificato.
Al fine di valutare lo stadio di maturità di ogni singolo individuo sono state messe appunto le scale
di maturità sia delle specie ovipare, sia di quelle vivipare. Queste scale devono essere usate nei
momenti di lavoro a bordo e in laboratorio nella maniera più semplice possibile. Per questo motivo
sono richieste tabelle macroscopiche semplici e facili da usare. Queste tabelle devono però essere
validate dall’analisi istologica dei tessuti. Pertanto è utile e consigliato, utilizzare anche la
corrispettiva tabella microscopica.
Impiegando tutte queste conoscenze è possibile individuare la cosiddetta taglia di prima maturità
applicando un modello matematico. Questo modello (ogiva) ci dice il valore della lunghezza degli
individui che nel 50% dei casi presentano la maturità richiesta. Se le conoscenze sono complete è
possibile ricostruire il ciclo riproduttivo che mette in relazione lo stadio di maturità dei maschi e
delle femmine con l’ambiente e la profondità in cui vivono (Fig. 5).
Fig. 5. Ciclo vitale degli elasmobranchi, il caso di Raja asterias, secondo Serena et al., 2009, modificato.
Accrescimento
Per spiegare l’accrescimento di un pesce esistono due metodi principali: il metodo indiretto che
richiede un campione di individui, possibilmente con cadenza mensile, in modo da poter misurare la
loro lunghezza totale e riuscire in tal modo a registrare la progressione modale nell’arco annuale; il
metodo diretto che richiede invece di catturare vivo l’esemplare per poterlo marcare con un segnale
(spaghetto). All’esemplare viene assegnato un codice, registrando contemporaneamente la sua
lunghezza totale. Se si ha la fortuna di ricatturare lo stesso esemplare dopo un certo periodo di
tempo, questo viene di nuovo misurato. In questo modo riusciamo ad avere l’esatto valore
dell’incremento in lunghezza avvenuto.
Un altro metodo diretto è dato dalla possibilità di lettura degli anelli di accrescimento che si
formano nelle vertebre come accade nei tronchi degli alberi. Su una vertebra si leggono anelli
opachi e anelli lucidi. Il primo tipo di anello si sviluppa nel periodo estivo, quando l’accrescimento
è veloce e la cristallizzazione del carbonato di calcio avviene in maniera disordinata. L’anello ialino
si sviluppa in inverno quando il metabolismo è rallentato e la cristallizzazione dei sali di carbonato
avviene più lentamente e in modo più regolare.
ARPAT insieme a ISPRA ha condotto un programma di ricerca sulla razza bianca pescata dalla
marineria viareggina, a nord della Toscana. Sono stati marcati circa 2000 esemplari che ricatturati
anche dopo un anno, hanno reso importanti informazioni. Queste informazioni sono tornate utili per
validare, in ultima analisi, la curva di crescita della razza bianca (Raja asterias) (Fig. 6). Questo è
stato possibile utilizzando l’equazione di Von Bertalanffy:
LT = L∞ ( 1-e-K(t-to))
dove:
LT
L∞
K
to
è la lunghezza totale dell’esemplare
è la lunghezza che l’esemplare potrebbe avere se si accrescesse all’infinito
è il tasso intrinseco di accrescimento
è il tempo in cui l’esemplare non è ancora nato
Fig.6. Curva di crescita di Raja asterias.
ECOLOGIA
I rapporti trofici sono spiegati in maniera lineare attraverso la piramide alimentare dove il rapporto
geometrico tra gli organismi è tale che la base di questa piramide è occupata da un numero grande
di specie. Viceversa all’apice si pongo solo poche specie, i cosiddetti predatori apicali, che di solito
mostrano biomasse individuali molto grandi. La base è sostenuta dall’apporto continuo dei
nutrienti; molti livelli della piramide costituiscono poi, alimento per gli organismi superiori. Le
pressioni ambientali, determinate soprattutto dalle attività dell’uomo come la pesca, agiscono in
maniera più evidente ai livelli più alti, soprattutto sui predatori apicali (Fig. 7).
Fig. 7. Piramide alimentare e rapporti con le principali attività umane.
Il sistema che per eccellenza spiega in maniera quantitativa i rapporti trofici che si instaurano tra gli
organismi è la rete trofica. Ogni freccia che collega i vari box testimonia il flusso di energia
coinvolto nel rapporto diretto. I disturbi che a vario livello intervengono sulla rete sono
principalmente di due tipi: ambientali e umani, vale a dire di tipo naturale e artificiale (Fig. 8).
Fig. 8. Rete alimentare e maggiori pressioni antropiche.
All’equilibrio la piramide alimentare presenta una geometria regolare tra un “gradino” e l’altro, cosi
come la rete mantiene regolari le sue “maglie“. L’eliminazione dei predatori apicali determina
squilibrio nei livelli sottostanti la piramide e crea nella rete smagliature che nel tempo si allargano
fino a eliminare i normali rapporti trofici tra le specie. Nella piramide i vari livelli mostrano
evidenti disomogeneità poiché alcuni gruppi hanno aumentato la loro biomassa in maniera
sproporzionata (Fig. 9). Una situazione di questo tipo porta inevitabilmente a una perdita di
biodiversità e probabilmente all’instaurarsi di nuovi equilibri con altrettanti, nuovi, predatori apicali,
magari non più ravvisabili tra i pesci cartilaginei.
Fig. 9. Modello previsionale delle conseguenze della perdita dei predatori apicali sui livelli della piramide e sulle maglie
della rete alimentare.
Purtroppo recenti studi hanno dimostrato che in alcune aree del Mediterraneo si sono avute perdite,
anche maggiori del 90%, rispetto alle popolazioni iniziali di pesci cartilaginei:
Nome comune
Squalo martello
Verdesca
Mako
Smeriglio
Squalo volpe
Nome scientifico
Sphyrna spp.
Prionace glauca
Isurus oxyrinchus
Lamna nasus
Alopias vulpinus
Perdita percentuale
99%
97%
99%
99%
99%
Molte specie di squali mediterranei sono a rischio di estinzione, ciò è dovuto principalmente alla
pressione di pesca che in genere agisce in maniera irrazionale sulle risorse ittiche.
Anche se oggi in Mediterraneo non esiste una pesca mirata agli squali questi sono catturati in
maniera indiscriminata dagli attrezzi da pesca. Le normali precauzioni, messe in atto per i pesci
ossei spesso, non funzionano per i pesci cartilaginei i quali rimangono sempre e comunque
impigliati nelle reti dei pescatori. Infatti, i mestieri tradizionali utilizzati dai pescatori non sono
selettivi per questo gruppo di pesci.
Gli squali, sempre meno presenti nel pescato, costituiscono tuttavia una componente accessoria
della cattura, il cosiddetto by-catch. Questo è correlato al rapido declino delle popolazioni dei pesci
cartilaginei in tutti i mari del mondo. Declino che è strettamente legato al tipo di strategia
riproduttiva k, tipica dei pesci cartilaginei che li rende poco resilienti, incapaci di reagire nei tempi
e nei modi giusti al depauperamento degli stocks. Le ragioni di questo fenomeno sono da mettere in
relazione a due differenti tipi di azioni, diretta e indiretta, una delle quali è dovuta alle attività
umana:
1) Indiretta (Cambiamenti climatici)
Il fenomeno legato ai cambiamenti climatici in atto sta determinando modificazioni nella
componente specifica di vaste aree del mediterraneo. Si sta assistendo all’evento della
tropicalizzazione da ovest verso est, fatto che è stato facilitato dall’apertura del Canale di Suez.
Anche in questo caso l’uomo è intervenuto direttamente condizionando gli equilibri ambientali. In
sostanza la temperatura media superficiale del bacino Mediterraneo si sta rapidamente alterando;
ormai nel bacino di levante, nel periodo estivo, si raggiungono elevate temperature superficiali, fino
a 30°C, confrontabili con quelle della regione tropicale.
Contemporaneamente si sta verificando un evento ancora più preoccupante che è quello della
Meridionalizzazione. L’isoterma dei 15°C si sta spostando sempre più verso nord. Tutto questo
consente alle specie provenienti dal Mar Rosso, o dalle aree subtropicali atlantiche, di trovare
ottime condizioni per adattarsi e insediarsi nel bacino Mediterraneo in maniera sempre più stabile.
Nel 2003, le acque dell’area compresa nel cosiddetto Arco Latino, cioè le coste della Toscana,
Liguria e quelle francesi, subirono una inversione termica che uccise molti organismi sessili
presenti nei primi 30 metri di profondità. Questa situazione risultò particolarmente grave lungo la
costa a sud di Livorno. In questo tratto di mare ARPAT, che monitora l’area dal 1996, registrò
questa inversione termica collegandola alla morte delle spugne, dei coralli, delle gorgonie, ecc.
L’European Commission, DG Joint Research Centre, IES (2006), ha comunicato che nel bacino di
levante si sono avuti aumenti della temperatura media superficiale fino a 3°C negli ultimi trenta
anni (Fig. 10).
Fig. 10. Cambiamenti climatici del bacino mediterraneo dal 1982 al 2003. (European Commission, DG Joint Research
Centre, IES, 2006).
Al livello fisiologico il cambiamento climatico può determinare il fenomeno dell’asincronia. In
questo caso i maschi e le femmine, di una stessa specie, possono raggiungere la condizione di
maturità riproduttiva in tempi differenti. Ciò potrebbe non consentire alla popolazione di riprodursi
in maniera appropriata e quindi di reintegrare eventuali perdite dovute, ad esempio, alla pesca; nel
tempo questo porterà ad una inevitabile riduzione di certi organismi.
2) Diretta (Impatto antropico)
La presenza dei predatori influenza non solo la popolazione delle prede, determinando mortalità, ma
conseguentemente anche tutta la comunità. Ciò induce un comportamento antipredatore nelle prede
che richiede un forte dispendio di energia. Questi rapporti che insorgono tra predatore e preda,
determinano due principali effetti legati all’ecologia della popolazione delle prede:
a)
Effetto cascata (top down effect)
In una rete trofica semplificata le specie, i generi e le famiglie e le interazioni che tra loro si
instaurano, mostrano rapporti a cascata che possono essere riassunti secondo il seguente schema:
•
•
•
•
Predatori principali
Predatori secondari
Predatori sulle specie all’interno del genere
Predatori sulle specie all’interno delle famiglie
Tale modello è riscontrabile in varie situazioni, dai mari polari dove si hanno rapporti trofici
stagionali a cascata quando viene a mancare una determinata preda, a quelli delle acque temperate
della piattaforma continentale, quando si verifica un sovrasfruttamento di una specie; lo
sfruttamento eccessivo di una specie di squalo può avere ripercussioni sui mesoconsumatori e, a
cascata, sugli organismi dei livelli sottostanti la rete trofica.
L’esempio dei mari del Nord Caroline è molto chiaro. Il tasso di cattura elevato dello squalo pinna
nera ha determinato nel tempo la sua scomparsa in termini di numero e biomassa. Ciò ha influito
positivamente sulla crescita della biomassa di un altro pesce cartilagineo, la rinoptera, che prima
costituiva preda dello squalo. La popolazione di rinoptera è cresciuta tanto fino a mettere in crisi la
pesca della capasanta. Infatti, in breve tempo la capasanta, in qualità di preda della rinoptera, ha
subito un declino vertiginoso che ha portato al fallimento delle numerose imprese che vivevano di
questa risorsa.
La scomparsa dei predatori apicali, come abbiamo visto, comporta la perdita di geometria regolare
nella piramide e nella rete alimentare, ciò non significa che nel tempo non si possa raggiungere un
nuovo equilibrio dell’ecosistema pur privo degli storici predatori.
Lungo le coste bulgare del Mar Nero è stato osservato che il sovrasfruttamento di grandi pesci
pelagici ha indirizzato la pesca a sfruttare intensivamente altre specie di minori dimensioni, fino al
crollo dell’economia della pesca. La scomparsa dei normali rapporti trofici tra predatori e prede ha
determinato, in questo mare, la comparsa di varie specie di meduse che alternativamente invadono
la colonna d’acqua, a testimonianza dell’assenza di predatori specifici di questi organismi in grado
di regolare gli equilibri.
b)
Effetto rischio (Risk effect)
L’effetto dei grandi predatori come tonni, squali e mammiferi marini, sul comportamento dei
mesoconsumatori, non è stato ancora ben valutato. Di fatto, quando vengono a mancare i cosiddetti
“top predators” (TPs), si hanno incrementi nelle popolazioni delle prede in termini di numero e di
biomassa. Tale situazione può generare a sua volta importanti fenomeni di competizione.
La considerazione degli effetti di rischio pone domande interessanti, attinenti la comprensione delle
conseguenze ecologiche che si hanno in seguito alla rimozione dei predatori apicali. Molti studi
rivelano che il comportamento degli antipredatori si sviluppa attraverso le specie che hanno
caratteristiche differenti e vivono in ambienti molto vari. In tal senso gli effetti di rischio
dovrebbero essere inerenti al ruolo ecologico che hanno i predatori apicali.
Una perdita di diversità nei predatori qualche volta potrebbe avere effetti positivi sulla componente
delle prede. Gli effetti di rischio possono essere particolarmente importanti quando i
mesoconsumatori sono in grado di transitare da un habitat all’altro con diverso rischio di predazione.
In tali situazioni la perdita dei predatori apicali potrebbe favorire la riduzione o l’eliminazione degli
spazi utilizzati come rifugio dalle varie specie, poiché non ve ne è più la necessità. Ma in relazione
all’aumento dei mesoconsumatori, la perdita dei rifugi può incidere contestualmente sulla risorsa
specifica delle varie popolazioni.
Al fine di spiegare questo concetto possiamo considerare due ambienti caratterizzati da scarse
risorse (a) e da abbondanti risorse (b). Su entrambi questi ambienti viene esercitata una determinata
pressione di pesca e, ovviamente, in entrambi i casi si assiste al declino dei predatori apicali.
AMBIENTI
MESOCONSUMATORI
Aumentano
RISORSE
Diminuiscono
(in seguito all’aumento dei
mesoconsumatori)
Diminuiscono
(in seguito a fenomeni di
competizioni che prima non
c’erano)
Aumenta la loro disponibilità poiché i
mesoconsumatori sono diminuiti in
seguito a fenomeni di competizione
Aumentano decisamente
Diminuiscono decisamente
(in seguito all’aumento dei
mesoconsumatori)
Diminuiscono decisamente in
seguito a fenomeni di competizioni
che prima non c’erano
Aumenta decisamente la loro
disponibilità
poiché
i
mesoconsumatori sono diminuiti in
seguito a fenomeni di competizione
PERICOLOSI
SCARSE
RISORSE
(Perdita di TPs)
AMBIENTI
SICURI
AMBIENTI
PERICOLOSI
ABBONDANTI
RISORSE
(Perdita di TPs)
AMBIENTI
SICURI
Dimostrato che la perdita dei predatori apicali determina situazioni a rischio per l’intero ecosistema,
occorre approfondire la nostra riflessione ed estendere le considerazioni anche agli equilibri che
regolano la nostra esistenza.
Al fine di evitare situazioni di non ritorno, la FAO ha predisposto un percorso di gestione
dell’ecosistema attivando Piani di Azione per la conservazione degli organismi più a rischio come
gli squali.
CONSERVAZIONE
In considerazione delle caratteristiche biologiche i pesci cartilaginei, in genere, soffrono in maniera
particolare le attività umane legate principalmente alla pesca. In tal senso e per molte specie, si
assiste a preoccupanti fenomeni di perdita della biodiversità e della consistenza degli stock. Queste
perdite hanno assunto, negli ultimi anni, situazioni insostenibili tanto da far dichiarare lo stato di
allerta e in alcuni casi affermare l’avvenuta estinzione di una specie in una determinata area. Questo
box cerca di mettere in evidenza il percorso che vari enti istituzionali e molte ONG hanno
intrapreso da anni, al fine di garantire la conservazione di queste specie facendo riferimento, in
alcuni casi, anche agli habitat che queste frequentano.
Vi sono molte convenzioni e accordi che mirano alla conservazione dei pesci cartilaginei e una tra
le più significative è sicuramente la Convenzione di Washington del 1973 (CITES) che vieta la
detenzione e il commercio delle specie protette. La Convenzione che ci riguarda più da vicino è
forse quella di Barcellona del 1995, relativa al protocollo ASPIM, che considera le Aree
Particolarmente Protette e la Diversità biologica in Mediterraneo. A Catania nel 2003 sono state
indicate le raccomandazioni per i Piani di Azione che i Paesi membri dovrebbero adottare in ambito
mediterraneo.
Nel 1994 la nona Conferenza delle Parti della Convenzione sul commercio internazionale delle
specie selvatiche in pericolo (CITES), ha adottato una risoluzione relativa allo status del commercio
degli squali. Successivamente la FAO, con l’intento di implementare tale azione, ha dato il via a
una serie di iniziative ponendo il tema alla discussione del COFI (Conference of FIshery) del 1997,
dove una consultazione di esperti si è confrontata su aspetti legati alla conservazione e alla gestione
degli squali.
Di fatto tutto il processo fa riferimento alla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992 dove la comunità
scientifica si espresse a favore di azioni concrete che minimizzassero la perdita di biodiversità,
facendo riferimento a tre principali obiettivi:
1) Tasso di sfruttamento degli stocks di squali
2) Protezione delle specie a rischio di estinzione
3) Protezione degli habitat
Questo percorso ha consentito alla FAO di lanciare l’IPOA-Sharks (International Plan Of Action
for the Sharks) vale a dire il Piano di Azione Internazionale per la Conservazione e la Gestione
degli Squali in tutti i mari del mondo.
L’obiettivo principale dell’IPOA-Sharks è quello di garantire la conservazione e un’oculata
gestione degli squali per un loro uso sostenibile nel tempo. Anche questo processo deve tener conto
dalla politica relativa all’approccio precauzionale verso un uso corretto dello sfruttamento delle
risorse naturali.
A tal fine la FAO, come politica di base, produce da sempre tutta una serie di documenti che vanno
dalle sinopsis molto dettagliate, alle guide tassonomiche di campo, ai Tecnical Paper che affrontano
i vari aspetti matematici per attuare una corretta gestione della risorsa. Questa impostazione di
lavoro si esplica poi non solo in ambito FAO, ma anche all’interno dei Sub-Committee dello
Scientific Advisory Commitee (SAC) del GFCM (Commissione Generale della Pesca in
Mediterraneo). Il SAC, che in definitiva costituisce l’organo tecnico nel quale si sviluppano le
discussioni e dove sono fornite le raccomandazioni di intervento, è strutturato in quattro Comitati, i
quali, spesso, organizzano Work-Shop tematici:
1) Statistica e Informazione
2) Economia e Scienze Sociali
3) Valutazione degli stocks
4) Ambiente marino ed Ecosistemi
Nell’ambito di queste Commissioni è stata prodotta e adottata una guida di campo e il database
MEDLEM che raccoglie e organizza le informazioni sui grandi squali, due importanti e utili
strumenti di lavoro.
L’Unione Europea con il suo Piano di Azione per la conservazione e lo sfruttamento sostenibile
delle risorse nel Mediterraneo, che si attua attraverso programmi di ricerca quali il MEDITS
(MEDiterranea Trawl Survey), sta contribuendo in maniera determinante alla raccolta delle
informazioni di base. Queste ultime sono poi condivise e discusse nelle riunioni di coordinamento e
soprattutto all’interno dello STECF (Comitato Tecnico Scientifico ed Economico della Pesca). Ciò
ha consentito all’UE, nel 2009, di formulare ufficialmente il Piano di Azione Europeo per la
conservazione e la gestione degli squali.
Un ruolo fondamentale in tutto questo processo lo sta svolgendo l’UNEP con il RAC/SPA di Tunisi,
avendo attivato il Piano Mediterraneo con un primo momento di applicazione, nel 2003, di un
documento condiviso tra i vari esperti mediterranei del settore. Nel 2009, tramite il coordinamento
dell’IUCN-SSG (International Union for Conservation of Nature and Natural Resources-Shark
Specialist Group), il RAC/SPA ha pubblicato un aggiornamento del Piano di Azione Mediterraneo.
L’azione dell’UNEP RAC/SPA, che fa riferimento alla Convenzione di Barcellona, non si è limitata
alla produzione del Piano Mediterraneo, ma sta operando anche su ogni singolo Stato membro in
modo da mettere in condizione il Paese di adottare un proprio Piano di Azione. Fino a questo
momento sono stati prodotti i Piani per la Libia, la Slovenia, la Croazia, la Bosnia Erzegovina e il
Montenegro. Altre pubblicazioni, sempre dell’UNEP, mirate alla conservazione degli squali,
riguardano la normativa, la pesca sportiva, ecc.
La più importante Organizzazione non Governativa IUCN , ha lo scopo di supportare attivamente la
conservazione della biodiversità e l’uso sostenibile delle risorse. E’ composta da sei Commissioni,
una di queste (SSG) si occupa espressamente di squali. Il principale obiettivo di questa
Commissione è quello di raccogliere le informazioni sullo stato di sfruttamento e di conservazione
degli elasmobranchi nei mari di tutto il mondo, compreso quelli italiani. In particolare gli obiettivi
dello Shark Specialist Group sono:
1) Sviluppare una rete di esperti regionali con relativo coordinamento
2) Assistere i Piani Regionali e lo sviluppo delle iniziative
Al fine di raggiungere gli obiettivi prefissati per la produzione dei Piani di Azione, IUCN ha
intrapreso un lungo percorso di concertazione al livello mondiale, iniziando dalla 24° Conferenza
della NAFO tenutasi a Santiago di Compostela (Spagna) nel 2002.
Relativamente al Mediterraneo, nel 2003 IUCN ha organizzato un Work Shop a San Marino
convocando gli esperti del settore e producendo un’attenta valutazione dello stato di conservazione
partendo dalle conoscenze fino all’ora disponibili. Alla fine dello stesso anno, in Nuova Zelanda, fu
fatta una valutazione globale dello stato di conservazione degli squali che vivono nei mari del
nostro pianeta. L’atto finale della valutazione si realizzò nel 2005 a Peterboroug (Inghilterra) che
portò alla pubblicazione, nel 2007, della Red List degli squali che vivono nel bacino Mediterraeno.
Il lavoro dello Shark Specialist Group dell’IUCN ha permesso di valutare oltre 70 specie di
elasmobranchi che vivono in Mediterraneo. Tra questi, ventuno specie, 10 batoidei e 11 squaliformi,
sono state considerate in pericolo o fortemente in pericolo di sopravvivenza. Le cause di questa
situazione sono imputabili principalmente all’attività di pesca, in particolare la pesca a strascico,
incide sulla perdita di questi pesci per circa il 38%, mentre i palangari arrivano al 36%. La restante
percentuale è da imputare ad altri tipi di pesca. Oggi si sta pensando di attivare un nuovo
aggiornamento di questa Lista Rossa.
Il 2006 è stato un anno importante perché le varie ONG hanno realizzato un’azione risolutiva
unendo le forze di tutti. L’obiettivo era quello di creare importanti presupposti per bandire, a livello
mondiale, la pratica del “finning”, in merito alla quale i pescatori catturano gli squali, tagliandoli le
pinne e rigettandoli in mare ancora vivi. Il commercio delle pinne di squalo va ad alimentare il
mercato orientale sviluppando un giro di interessi enorme difficilmente gestibile.
Shark Alliance, raggruppando le varie ONG, sta producendo importanti azioni al livello
comunitario e ministeriale che mirano a creare coscienza del problema indicando soluzioni valide
per evitare o perlomeno mitigare questa pratica assurda. Spesso assistiamo a vere e proprie
mattanze di squali al solo scopo di tagliare le pinne per le zuppe degli orientali. Gli squali privati
delle pinne e gettati nuovamente in mare, vanno incontro a sicura morte!
L’European Elasmobranch Association (EEA), che raggruppa gli specialisti di squali europei e non
solo, ha recentemente pubblicato un documento che fa il punto della situazione sul finning, ma
soprattutto analizza i retroscena e fornisce indicazioni gestionali che mirano a un razionale
sfruttamento di questi pesci senza necessariamente scadere in pratiche medioevali.
Nel 2009 il Ministero dell’Ambiente e del Mare (MiATTM) ha dato il via a un processo che con
buona probabilità porterà alla formulazione di un Piano di Azione per la conservazione dei pesci
cartilaginei nei mari italiani. Questo programma si chiama ELASMOIT e ha raccolto moltissime
informazioni sull’argomento grazie al coinvolgimento dei maggiori esperti italiani.
ELASMOIT è stato propedeutico per iniziare un tavolo tecnico, condotto dal MiATTM e dal
MiPAAF al fine di impostare il percorso definitivo che dovrà condurre il nostro Paese alla
formulazione del Piano di Azione nazionale.
Il MiPAAF, da parte sua, ha attivato un programma di elaborazione dati, ELASMOSTAT, che
attraverso l’utilizzo delle informazioni raccolte in oltre 25 anni di trawl surveys sulle risorse
demersali e pelagiche, mira a valutare lo stato di sfruttamento di questi pesci. I risultati di questo
programma implementeranno il percorso del P. di A. nazionale. Per la formulazione di questo Piano
tornerà utile qualsiasi informazioni reperibili, prima fra tutte il dataset proveniente dal programma
MEDLEM (MEDiterranean Large Elasmobranchs Monitoring).
Bibliografia essenziale
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