Che cos`è un vitigno?

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Che cos`è un vitigno?
Che cos’è un vitigno?
Estratto dall’articolo “L’evoluzione dei vitigni”
Arunda 83 “Rebsaft”
dott. José Vouillamoz, Svizzera
Da quando la vite è apparsa e si è evoluta sulla Terra, ogni sua varietà – e quindi ogni “vitigno” – è
derivata da una sola pianta, cresciuta da un unico seme, e quel seme, a sua volta, è sempre stato il
risultato di un accoppiamento sessuale fra due vitigni “genitori” o precursori (figura 5). Perché un
nuovo vitigno si sviluppi spontaneamente, devono verificarsi diversi presupposti:
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Un fiore di un grappolo d’uva deve essere impollinato per trasformarsi in acino.
Quel grappolo non deve essere raccolto.
L’acino deve cadere sul terreno, oppure essere mangiato da un animale ed evacuato
altrove.
Il seme deve germinare e trasformarsi in pianticella o “semenzale”.
Il semenzale non deve essere strappato da terra.
La piantina deve riuscire a sopravvivere per almeno tre anni, in modo da fruttificare ed
essere riconosciuta come vitigno interessante dall’occhio umano.
La piantina deve diffondersi per talea o propagginazione per tutto il proprio ciclo di vita.
Per tutta l’Antichità e fino all’Ottocento, ogni vigneto era, in realtà, una miscela più o meno
eterogenea di vari vitigni, piantati senza un progetto o una struttura specifica, sicché gli incroci fra
varietà distinte potevano verificarsi in qualunque momento, e crescere liberamente. Ma questa
nascita spontanea di nuovi vitigni è divenuta pressoché impossibile nei vigneti moderni - controllati
e monovarietali - dove è assai più diffusa l’autoimpollinazione e dove ogni piantina nuova viene
sistematicamente eliminata. Di conseguenza, l’evoluzione spontanea dei vitigni è di fatto terminata,
e dall’Ottocento è stata sostituita dagli incroci mirati eseguiti nei centri di ricerca varietale.
Figura 5. Come si forma un nuovo vitigno? Ogni nuovo vitigno – o varietà di vite – è il risultato di
una riproduzione sessuale. Col termine di “vitigno” s’intende un gruppo di cloni morfologicamente
distinti, tutti derivanti da un singolo seme nato da due vitigni genitori, che si sviluppano per
propagazione vegetativa tramite talea.
Legenda: father = padre; mother = madre; grape seed = seme; plant = pianta; propagation =
diffusione; cutting = talea; layering = propagginazione; clones = cloni; grape cultivar = cultivar o
vitigno coltivato
Quando uno dei biliardi di semi di vite prodotti ogni anno per autoimpollinazione sul Pianeta si
deposita nel terreno, il semenzale che ne scaturisce rappresenta una varietà nuova e distinta,
altamente consanguinea con la pianta madre (per effetto del cosiddetto “inincrocio” o inbreeding).
È questo il motivo per cui l’autoimpollinazione non è mai stata vista con favore dai viticoltori, poiché
le piante che ne scaturiscono di solito sono meno stabili e più suscettibili alle malattie. L’enorme
varietà genetica che s’osserva tra i vitigni di oggi (Aradhya et al. 2003; Cipriani et al. 2010; Myles et
al. 2011) è la prova indiretta che l’impollinazione incrociata fu il processo più frequente alla base dei
circa 10.000 vitigni esistenti oggigiorno, dove la combinazione fra più genomi distinti ha prodotto
delle varietà più differenziate e interessanti per la viticoltura, grazie soprattutto all’emergere di nuove
caratteristiche. Queste ultime, inoltre, possono manifestarsi anche in seguito a mutazioni
genetiche.
Le mutazioni
Una volta selezionato un nuovo vitigno, per conservarne le caratteristiche morfologiche e
organolettiche desiderate occorre diffonderlo per talea o propagginazione. Ma ad ogni divisione
cellulare che porta alla crescita della pianta, possono verificarsi degli errori nella replicazione del
DNA, che prendono il nome di “mutazioni spontanee”. Gran parte di queste mutazioni non
modifica la pianta, poiché riguarda porzioni del DNA non codificanti (più del 90% del DNA di un
organismo superiore non ha delle funzioni biologiche conosciute, tanto che i ricercatori lo chiamano
“DNA spazzatura”). Il tasso delle mutazioni che riguardano il DNA codificante (geni), negli organismi
superiori è di circa una su trecento divisioni cellulari (Drake et al. 1998). Dopo decenni o secoli di
diffusione vegetativa, ogni pianta di un determinato vitigno contiene in sé centinaia di migliaia di
nuove mutazioni. Gran parte di queste resta inosservata, e solo quelle che incidono su aspetti
evidenti come il diametro o il colore degli acini, la grandezza dei grappoli, la forma delle foglie, il
periodo di maturazione o altre caratteristiche “evidenti” per l’occhio umano, saranno notate e
diffuse separatamente. Tuttavia, per quanto evidente possa essere una variazione morfologica,
quest’accumulo di mutazioni che si verifica nel tempo non dà vita a nuovi vitigni, ma solo a nuovi
cloni del medesimo vitigno. Pertanto, un “vitigno” si può definire come un gruppo di cloni
morfologicamente distinti derivanti da un singolo seme iniziale, prodotto a sua volta da un vitigno
“padre” che ha impollinato un vitigno “madre” (Bourisquot and This, 1999) (figura 5). Quanto più
antico è un vitigno, quindi, tanto maggiore sarà il numero dei suoi cloni. Per esempio, il Pinot ha
centinaia di cloni semplicemente perché esiste da molto tempo, e non perché - come
erroneamente postulato - sarebbe più incline di altri vitigni a subire mutazioni genetiche (Bernard
1995). Il Pinot nero (acini neri), il Pinot grigio (acini grigi o rosa) e il Pinot bianco (acini bianchi)
spesso sono considerati dei vitigni distinti, ma in realtà costituiscono mere variazioni del colore della
buccia del medesimo vitigno, derivanti da un particolare tipo di mutazione, ossia l’inserimento di un
trasposone (salto di gene) nel tratto di genoma (DNA) che codifica il gene responsabile della sintesi
degli antociani (chiamato VvmybA1), un processo che provoca la perdita del colore scuro nella
buccia dell’acino (This et al. 2007). In realtà, il Pinot nero, il Pinot grigio e il Pinot bianco non sono
distinguibili all’esame del DNA, e vanno quindi considerati mere varianti del medesimo vitigno.
I vitigni “fondatori”
Poiché ogni essere vivente (vite, essere umano ecc.) riceve la metà del proprio DNA dal padre e
l’altra metà dalla madre, analizzare il profilo del DNA è utile anche per ricostruire i legami di parentela
e l’albero genealogico di un vitigno (come in un test di paternità). In questo caso, occorre analizzare
da 20 a 60 “microsatelliti” per avere un’affidabilità statistica sufficiente. Il primo test di paternità
eseguito con successo in viticoltura risale al 1997, all’Università della California a Devis, dove la
professoressa Carol Meredith e il suo dottorando John Bowers dimostrarono che il Cabernet
Sauvignon, nobile vitigno bordolese, molto probabilmente deriva da un incrocio naturale fra il
Cabernet Franc e il Sauvignon Blanc (Bowers and Meredith 1997) (tabella 1), una scoperta che
suscitò grande sorpresa fra gli esperti.
Da allora, lo studio dei rapporti di parentela fra i diversi vitigni è entrato nella nuova era della
“genetica storica”, propiziando la scoperta di diversi alberi genealogici e parentele del tutto
inaspettate (vedi Sefc et al. 2009 per una panoramica). Nel frattempo, si è fatta luce anche sui
legami di “parentela monoparentale”: in sostanza, quando uno dei due vitigni “genitori” è
sconosciuto (vale a dire non ancora analizzato o estinto), è comunque possibile individuare legami
di parentela di origine fra due vitigni, a condizione che condividano almeno un valore di ciascun
microsatellite, e si è visto che l’affidabilità statistica si ottiene verificando un minimo di 50-60
microsatelliti (Vouillamoz and Grando 2006). Tuttavia, in questi casi non è possibile determinare
qual sia il vitigno genitore e quale quello discendente, per il semplice fatto che non è nota l’età del
vitigno. Anche non conoscendo nessuno dei vitigni genitori, applicando l’approccio probabilistico
sviluppato di recente si sono scoperti fratelli, fratellastri, nonni o nipoti insospettati nel pedigree
assai complesso del Syrah (Vouillamoz and Grando 2006).
Tabella 1. Nel 1957 si scoprì inaspettatamente che il Cabernet Sauvignon è un discendente
naturale del Cabernet Franc e del Sauvignon Blanc. In ciascuno dei 32 microsatelliti analizzati, infatti,
il Cabernet Sauvignon fece evidenziare un valore del padre (Cabernet Franc) e uno della madre
(Sauvi
gnon Blanc).
Cabernet
Franc
Cabernet
Sauvignon
Sauvignon Blanc
Microsatellite 1
184-164
164-158
158-152
Microsatellite 2
191-179
191-171
191-171
Microsatellite 3
234-232
244-234
244-238
Microsatellite 4
197-197
197-191
191-191
Microsatellite 5
155-137
157-137
157-129
Microsatellite 6
220-214
222-220
222-212
…
…
…
ecc.
Tabella 2. Quasi tutti i vitigni coltivati attualmente nell’Europa occidentale sembrano discendere,
per incrocio spontaneo, da un gruppo ristretto di vitigni fondatori.
Vitigni fondatori
Francia
Italia
Croazia
Spagna
Alpi
Pinot, Gouais
Garganega,
Tribidrag
Cayetana
Rèze
blanc,
Nebbiolo,
Savagnin,
Teroldego,
Cabernet
Luglienga
franc,
Bianca,
Mondeuse
Moscato
noire
bianco ad
Blanca
acini piccoli
A 15 anni dall’inizio di questa ricostruzione degli alberi genealogici dei vitigni, è ormai evidente che
un numero ristretto di vitigni fondatori diede origine, per incrocio spontaneo, a quella vasta
progenie che costituisce attualmente il germoplasma della vite nell’Europa Occidentale (tabella 2).
Uno di questi vitigni fondatori è il Cabernet Franc: oltre ad aver originato il Cabernet Sauvignon, è
anche il genitore di altri due vitigni bordolesi, ossia il Merlot e il Carmenère (una varietà oggi più
diffusa in Cile e in Cina che nella sua patria d’origine). Ma il vitigno fondatore più importante sembra
essere il Gouais Blanc, una varietà oggi quasi dimenticata, ma assai diffusa in tutta l’Europa
occidentale durante il Medio Evo: è il vitigno “genitore” di nientemeno che 80 vitigni, fra cui il
Riesling tedesco, lo Chardonnay e il Gamay della Borgogna, il Furmint ungherese, il Blaufränkisch
austriaco e altri. Anche il Savagnin, noto con nomi e varianti differenti (Traminer, Traminer
aromatico, Traminer giallo, Savagnin rosato ecc.) ha influito in misura significativa sullo sviluppo della
viticoltura dell’Europa occidentale, dando i natali a vitigni oggi assai diversi fra loro come il
Sauvignon blanc e il Chenin blanc della Loira, il Verdelho di Madera, Il Grüner Veltliner austriaco e
altri. Lo segue a breve distanza il Pinot (senza distinzione di colore), che ha generato lo Chardonnay
e il Gamay nella Borgogna, e probabilmente lo stesso Savagnin. Oltre a questi, nell’Europa
occidentale ci sono diversi vitigni fondatori (vedi Tabella 2), e gli studi futuri sull’albero genealogico
dei vitigni coltivati fin dall’Antichità ne faranno sicuramente emergere altri per ciascun territorio,
fornendo nuovi dati e migliorando notevolmente la conoscenza dell’evoluzione dei vitigni.
Foto: L´autore José Vouillamoz (a destra) insieme a Patrick McGovern (a sinistra) fotografati davanti
a una vite selvatica alle pendici delle sorgenti del Tigri, nel Sud-Est della Turchia (Foto: Ali Ergül)
Bibliografia dell´intero articolo
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