IL BENESSERE NEL QUOTIDIANO. RICERCHE E PRATICHE A
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IL BENESSERE NEL QUOTIDIANO. RICERCHE E PRATICHE A
Giornate Nazionali di Psicologia Positiva V Edizione "IL BENESSERE NEL QUOTIDIANO. RICERCHE E PRATICHE A CONFRONTO" Milano 11/12 novembre 2011 Università degli Studi di Milano-Bicocca Milano, Piazza dell’Ateneo Nuovo, 1 Book of Abstract 1 Comitato Scientifico: Ottavia Albanese, Luigi Anolli, Giuliano Balgera, Marta Bassi, Federico Colombo, Antonella Delle Fave, Stefano Gheno, Maria Elena Magrin, Spiridione Masaraki, Marta Scrignaro, Patrizia Steca. Segretaria Organizzativa: Nicoletta Businaro, Francesca Dell’Amore, Piera Gabola, Andrea Norcini Pala. Email: [email protected] Sito: www.psicologiapositiva.it 2 Abstract Comunicazioni Orali 3 Main Lecture Work Engagement: A Key Concept of a Positive Occupational Health Psychology? Wilmar Schaufeli (Università di Utrecht, Paesi Bassi) Despite its name, Occupational Health Psychology is traditionally concerned with ill-health and unwell-being. Until recently, work stress and job burnout have dominated its agenda. Although the body of knowledge about such negative states is impressive, it is also one-sided because of its negative focus. About one decade ago, the concept of work engagement emerged as the positive antithesis of burnout. In this presentation, a state-of-the-art overview is given of research about work engagement, including its measurement, possible causes, correlates, and consequences. These research findings can be integrated into a model – the so-called Job Demands-Resources (JD-R) Model – which specifies the relationships between work characteristics (i.e., job demands, job resources), personal resources, employee well-being (i.e., engagement, burnout), and work and health outcomes. Finally, attention is paid to strategies that can be used to improve employee engagement, both at the individual level as well as at the organizational level. It is concluded that the concept of employee engagement plays an important role in bridging the gap between Human Resources Management and Occupational Health Psychology and thus in developing a truly positive Occupational Health Psychology. 4 Simposio. Il coraggio di essere imperfetti Oltre il test: valutare le competenze dell’adolescente disabile per favorire esperienze di successo Mario Giuseppe Cocchi e Margherita Fossati (Università degli Studi di Milano, IRCCS E. MedeaLa Nostra Famiglia, Bosisio Parini) Da più parti si avverte la necessità di metodologie innovative per valutare il funzionamento degli adolescenti con disabilità intellettiva, al fine di una migliore definizione, nel corso della presa in carico educativa, dei loro bisogni e degli obiettivi da perseguire per promuovere lo sviluppo delle loro potenzialità. In questa prospettiva è stato sviluppato uno strumento per la valutazione dinamica degli adolescenti con disabilità intellettiva, utilizzato in via sperimentale nel periodo 2009-2011 su 137 ragazzi all’interno del centro di riabilitazione “La Nostra Famiglia” di Bosisio Parini e di 18 enti convenzionati. Lo strumento, attualmente in corso di revisione e validazione, si compone di prove basate su compiti di vita quotidiana, facilmente riproducibili dalle diverse figure professionali che partecipano al percorso di presa in carico del ragazzo. Offre quindi opportunità di compartecipazione al percorso valutativo e di confronto fra diversi punti di vista. Le dimensioni valutate riguardano da una parte le competenze possedute dall’individuo, dall’altra il livello di facilitazione necessario perché possa affrontare, al meglio delle proprie possibilità, specifici compiti inseriti in programmi di formazione, trovando in essi opportunità di gratificazione e soddisfazione. La metodologia presentata trova nella psicologia positiva una cornice di riferimento teorica particolarmente adeguata ed utili indicazioni sulla possibilità di valutazione delle dimensioni emotive e motivazionali. L’integrazione di tali aspetti all’interno dello strumento costituirà un valore aggiunto alla modalità di lavoro che si intende implementare. Elogio all’imperfezione Maria Rita Parsi (Fondazione Movimento Bambino Onlus) Per scrivere di imperfezione occorre innanzitutto fare riferimento al concetto di perfezione, che indica classicamente la compiutezza: mentre il perfetto si presenta completo, finito, definito e, di conseguenza, statico, non bisognoso di alcuna evoluzione e di alcuno sforzo, se non meramente 5 conservativo, l'imperfetto, al contrario, è contrassegnato da divenire e movimento; in tal senso, l’esistenza è strettamente collegata all'imperfezione che segna ogni condizione umana e che, pertanto, non va rinnegata ma accolta nella propria identità di specie e, più ancora, di creatura vivente. In questa prospettiva anche l’Amore, sia come Eros sia come Agàpe, può rappresentare, di per sé, una forma di splendida e feconda imperfezione. Se la perfezione tende, narcisisticamente, al modello e allo stereotipo, nei margini di discostamento sta la realtà e l'identità di ciascuno di noi. La realizzazione di sé, l'armonia psicofisica consiste nell'accogliere le proprie imperfezioni, trasformandole in risorse, tratti personali, anziché identificare modelli statici e macerarsi nello sforzo spesso patetico di riprodurli. Si ricordi come l'anoressia nasca spesso da una tendenza patologica e autodistruttiva al perfezionismo (l’imperfezione che esiste negli occhi di chi guarda). Conciliarsi con il proprio limite significa conciliarsi con il declino, la malattia, la vecchiaia, la morte, accogliendone con eleganza l'imprescindibilità, cercando di darvi significato, non camuffamento o rimozione. Su queste tematiche, nell’ottica della responsabilità sociale connessa alle potenzialità compensatorie, verranno riportati i risultati di un protocollo applicato, mediaticamente, attraverso la trasmissione RAI “Key-words” che interroga (tramite internet, radio e televisione) il mondo giovanile attraverso specifiche chiavi di lettura. Qualità della vita e benessere nella malattia neurodegenerativa: la prospettiva del caregiver Raffaella Sartori*, Elena Guarraci*, Valentina Lotito**, Anna Maria Cadeddu** e Antonella Delle Fave* (*Università degli Studi di Milano **Associazione Italiana Vivere la Paraparesi Spastica Onlus-A.I.Vi.P.S.) Gli studi sulla gestione della malattia degenerativa si sono spesso concentrati sulle difficoltà affrontate dalle famiglie, sottolineando l’esposizione dei caregiver al rischio di burn-out e depressione. Teorie e modelli della Psicologia Positiva hanno evidenziato il ruolo dell’esperienza ottimale, della soddisfazione e dell’integrazione sociale nella promozione del benessere psicologico. Obiettivi e metodo. Questo studio ha analizzato alcuni indicatori di benessere in caregiver di persone affette da Paraparesi Spastica Ereditaria. Ventuno partecipanti (17 donne e 4 uomini) hanno compilato: a) Flow Questionnaire e Life Theme Questionnaire fornendo informazioni su attività associate all’esperienza ottimale e sfide quotidiane; b) Eudaimonic and Hedonic Happiness Investigation che indaga la percezione di felicità e gli obiettivi futuri; c) Multidimensional Scale of Perceived Social Support; d) Coping orientation to Problems Experienced. Inoltre, per una 6 settimana 16 di essi hanno fornito autovalutazioni ripetute in tempo reale dell’esperienza associata alle attività quotidiane attraverso Experience Sampling Method (ESM). Risultati. ESM ha evidenziano che i caregiver dedicavano più del 20% del tempo all’assistenza del parente malato, associandola prevalentemente alla percezione di elevate sfide. Dagli strumenti a singola somministrazione è emerso che l’assistenza al parente malato predominava tra le opportunità di esperienza ottimale, le sfide quotidiane e gli obiettivi futuri. Le definizioni di felicità erano prevalentemente riferite alle relazioni sociali. I caregiver riportavano soprattutto strategie di coping centrate sul problema e sul supporto sociale da altri significativi. I risultati suggeriscono l’importanza di valutare le risorse e gli aspetti costruttivi dell’esperienza di assistenza nella prospettiva di interventi diretti ai caregiver. Coraggio, Compensazioni, Carenze e Perdite Maria Cristina Verrocchio, Chiara Conti, Mario Fulcheri (Università “G. d’Annunzio”, ChietiPescara Dipartimento di Scienze Biomediche) Il presente contributo intende focalizzare l’attenzione sull’utilizzo dei principali apporti teoricometodologici della psicologia clinica e della salute nell’ambito delle più significative condizioni di inferiorità organica comportanti una limitazione delle funzioni motorie-cognitive-emozionali. Le minorazioni e le forme morbose capaci di configurarsi come base per un’inferiorità d’organo sono numerose. Verranno presentate alcune esemplificazioni: malformazioni fisiche, congenite o acquisite, che modificano negativamente l’apparenza e le funzioni dell’organismo e che propongono un quadro soggettivo deficitario; malattie o affezioni organiche che comportano un impedimento funzionale o un difetto degli organi di senso, tali da disturbare o impedire, più o meno gravemente, la fluidità dei rapporti interpersonali; difetti fisico-estetici suscettibili di generare confronti inferiorizzanti. In questo contesto, utilizzando l’approccio psicodinamico adleriano nel modello olistico bio-psico-sociale, si intende evidenziare l’intreccio tra i seguenti fattori: biologicocostituzionali, psicologici riguardanti la personalità e lo stile di vita, socio-culturali, ecologici (spazio fisico e relazionale), familiari. Una specifica attenzione verrà, inoltre, diretta verso i fattori protettivi (capacità individuali, figure di riferimento, rete sociale e servizi sanitari), in relazione al concetto di soglia, inteso come livello di recettività individuale agli stimoli potenzialmente psicopatogeni. Di fronte ad una minorazione, così come ad una perdita, assume particolare rilievo l’incoraggiamento, aspetto determinante di ogni sforzo rivolto a svolte adattive, definibili come “compensazioni positive”; a tal proposito verrà presentato un caso inerente l’utilizzo 7 dell’espressione artistica. Si presenterà, infine, uno specifico intervento applicativo condotto in collaborazione con il Polo Regionale (Abruzzo) IAPB per la Prevenzione della Cecità e per l’Educazione e la Riabilitazione Visiva dell’Ospedale di Chieti. Simposio. Benessere nell’infanzia: strumenti di valutazione e interventi Benessere e competenze socio emotive in età prescolare Valeria Cavioni, Roberta Renati, Maria Assunta Zanetti (Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Psicologia) Lo sviluppo delle competenze sociali ed emotive, ossia la capacità di riconoscere e gestire le emozioni, mostrare attenzione e interesse per gli altri, prendere decisioni responsabili, stabilire relazioni positive e gestire le situazioni difficili in modo efficace, hanno una positivo impatto su molteplici aspetti connessi al benessere dei bambini. I bambini che sviluppano buone competenze sociali ed emotive, fin dai primi anni di vita, sanno gestire ed esprimere una vasta gamma di emozioni positive e negative, sviluppare positivi rapporti sociali i pari e adulti, sanno risolvere i conflitti, e sviluppano un positivo senso di Sé e del mondo che li circonda. (Denham, 2005, Blair, 2002; Carlton e Winsler, 1999; Greenberg e Snell, 1997). Il presente studio esplora le competenze socio emotive in un campione di bambini in età prescolare (N=78; età media = 65,28 mesi; DS =4,2; range 57-82), suddivisi in 36 maschi (46, 2%) and 42 femmine (53, 8%). Nella rilevazione delle competenze socio emotive dei bambini è stato sono utilizzato il TEC [Pons e Harris, 2000; versione italiana di Albanese, Molina, 2008] come strumento di misurazioni diretta. Sono state ottenute, inoltre, misure indirette mediante la somministrazione sia genitori ed insegnanti di questionari checklist per la misurazione delle competenze socio-emotive dei bambini. I questionari utilizzati sono stati: CBCL/ C-TFR 1 ½ - 5 (Achenbach e Rescorla, 2000 versione italiana di Frigerio, 2000); SDQ (Goodman, 2005; 4-16 anni); QUIT 3 - 6 anni (Axia, 2002). Lo studio esamina le interazioni tra i molteplici fattori delle competenze emotive indagandone, inoltre, le differenze di genere. 8 Il benessere del bambino al nido: il ruolo dell’ambiente fisico e organizzativo Paola Molina, Monica Marotta, Daniela Bulgarelli (Università di Torino, Dipartimento di Psicologia) Il contributo proposto si inserisce nel filone di ricerca dell’ecologia dello sviluppo (Bronfenbrenner, 1979) e in particolare fa riferimento alle ricerche che riguardano l’influenza dell'ambiente fisico sul comportamento e sul benessere dei bambini all’interno dei servizi per la prima infanzia. Tali ricerche hanno preso in considerazione diversi fattori ambientali quali la densità socio-spaziale, la strutturazione delle zone di gioco, la quantità e il tipo di giochi proposti, la visibilità degli adulti di riferimento, ecc. dimostrando come questi fattori abbiano una forte influenza sulle condotte sociali dei bambini (Smith e Conolly, 1980), sulle condizioni di stress all’interno dell’ambiente (Legendre, 2001), sull’uso che i bambini fanno degli spazi di gioco (Legendre e Fontaine, 1991; Legendre, 1995). Presentiamo i risultati di una ricerca-intervento (cofinanziata dalla Fondazione CRT) finalizzata a migliorare l’organizzazione ambientale di un nido della provincia torinese, gestito dalla cooperativa Educazione-Progetto. L’intervento è stato svolto utilizzando lo strumento osservativo de l’observation projet (Fontaine, 2008) e ha coinvolto 5 educatrici e 23 bambini; sono state effettuate 8 osservazioni (Marotta, Bertotto, e Molina, 2011). Sono stati attuati due diversi tipi di intervento: una variazione dell’organizzazione spaziale e una della collocazione degli adulti nella stanza; le osservazioni effettuate prima e dopo gli interventi hanno mostrato significativi cambiamenti nell’utilizzo dello spazio da parte dei bambini e delle interazioni tra loro e con l’adulto. Competenza emotiva e benessere a scuola: come incrementarli sviluppando la comprensione delle emozioni Veronica Ornaghi, Ilaria Grazzani Gavazzi (Università degli Studi di Milano-Bicocca) La ricerca che presentiamo, condotta con la metodologia del training-study, si colloca all’interno degli studi sullo sviluppo della competenza emotiva, con particolare attenzione alla comprensione delle emozioni come correlato del benessere psicologico (Saarni, 2008). Hanno preso parte allo studio 40 bambini di seconda elementare (età media: 7 anni e due mesi), distribuiti nei gruppi sperimentale e controllo, di cui sono state valutate - mediante strumenti standardizzati - varie abilità di competenza socio-emotiva e cognitiva. I gruppi di partenza erano piuttosto simili rispetto a tali 9 abilità. I bambini del gruppo sperimentale hanno partecipato ad un training della durata di due mesi in cui, a scuola, svolgevano attività finalizzate a sviluppare la conoscenza dei diversi modi di esprimere le emozioni, delle cause che le provocano e delle strategie per regolarle. L’analisi dei dati mostra un’interazione statisticamente significativa fra le variabili Tempo (pre-post training) e Gruppo (sperimentale-controllo). I bambini del gruppo sperimentale, infatti, hanno evidenziato migliori competenze emotive rispetto a quelli che non hanno partecipato al training, soprattutto per quanto riguarda la comprensione delle emozioni e la produzione di comportamenti prosociali. I risultati verranno discussi alla luce dell’opportunità di sviluppare, all’interno della scuola, specifiche attività di educazione emotiva come fattori di promozione del benessere quotidiano. Promozione del benessere ed asilo nido: riflessioni su un percorso espressivocreativo con le educatrici Francesca Rubano, Manuela Peserico (La Tela Onlus, Milano) La creatività è una risorsa dell’essere umano utile alla sua formazione come individuo, per questo motivo è importante favorire lo sviluppo di questa facoltà fin dai primi anni di vita. A questo proposito proporremo alla discussione le riflessioni, emerse in un corso di formazione sullo sviluppo della creatività rivolto alle educatrici dell’asilo nido, partendo dal presupposto che si debba innanzitutto stimolare la creatività nelle educatrici perché possano, a loro volta, favorirla nella bambina e nel bambino. Prendendo in considerazione discipline quali l’arte, la pedagogia e la psicoterapia, delineeremo alcuni elementi fondamentali per lo sviluppo della creatività nell’individuo quali: ● l’opera finita, come testimonianza della sua presenza e specificità ● il processo creativo, come spazio potenziale dove viene simbolizzata la relazione tra il mondo interno del soggetto e la realtà esterna. Il percorso formativo, fonte ed oggetto delle nostre riflessioni, è stato centrato sul “lavorare” sulle risorse personali dei partecipanti e sulla riduzione, al minimo indispensabile, degli apporti conoscitivi tecnico - pratici forniti, questo è stato giustificato dal tentativo di promuovere il pensiero divergente e stimolare l’iniziativa e la fantasia individuali. L’intervento si conclude con le testimonianze, riportate dalle educatrici, sull’osservazione degli effetti positivi rilevati, ne lavoro educativo con i bambini, dopo l’esperienza formativa e le riflessioni ad essa correlate. 10 Validazione italiana di tre scale americane utilizzate per misurare il benessere dei bambini Beatrice Tommasi (Università degli Studi di Firenze) Il presente lavoro si focalizza sulla validazione italiana di tre strumenti internazionali, che hanno l’obiettivo di studiare il benessere dei bambini tramite la valutazione della percezione che hanno della propria vita. La rassegna della letteratura presente in materia ha evidenziato scarsi studi sull’argomento, in particolar modo per quanto riguarda il contesto italiano. La scelta degli strumenti è stata guidata da alcuni criteri: - il coinvolgimento diretto dei bambini per ottenere il loro punto di vista; - la fascia d’età (dalla terza alla quinta della scuola Primaria); - letteratura gratuita, poiché molti studi si trovano su specifici archivi a pagamento; - la diffusione dello strumento, prediligendo quelli provati con numerosi campioni. Gli strumenti selezionati (SLSS, MSLSS e BMSLSS, elaborati da S. Huebner) sono stati inclusi in un questionario più ampio che è composto da: - scheda demografica; - tre scale tradotte e adattate al contesto italiano che investigano la soddisfazione di vita in generale e gli specifici aspetti fondamentali nella vita dei bambini (famiglia, amici, scuola, ambiente di vita, se stesso); - altre domande sui 5 domini sottoposte utilizzando “faces scale” and “weather scales”. Il questionario è stato sottoposto a 489 bambini appartenenti alle classi terze, quarte e quinte della scuola Primaria in differenti aree toscane tramite due studi: nel primo sono state validate le tre scale, il secondo, conoscitivo, aveva l’obiettivo di comprendere il punto di vista dei bambini. 11 Comunicazioni Orali delle Sessioni Tematiche Il benessere psicologico nei caregiver di pazienti con grave cerebrolesione acquisita: uno studio pilota Silvia Albanese*e***, Konstantinos Priftis*e** (*IRCCS-Fondazione Ospedale San CamilloVenezia **Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale ***Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva-Verona) La letteratura sui caregiver riporta dati che documentano le difficoltà emotive, fisiche ed economiche sperimentate dai familiari di pazienti affetti da patologie croniche, a cui si aggiungono isolamento e scarso supporto sociale; solo in qualche caso le ricerche hanno messo in luce aspetti positivi legati all’esperienza di caregiving. Scopo dello studio è indagare in che modo l’esperienza del caregiving influenzi una o più dimensioni del benessere psicologico del caregiver, al fine di verificare l’applicabilità di strategie mirate come la Well-being Therapy (Fava, 1998). A quindici familiari (parentela di primo grado) di pazienti con Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA) in fase post-acuta, in concomitanza alle dimissioni, sono stati somministrati: - Family Strainn Questionnaire (Rossi Ferrario e coll, 2004); - Psychological Well-being Scales (Ryff, 1989; Ruini e coll, 2003). I dati ottenuti sono stati correlati ai dati della Functional Indipendence Measure (FIM), rilevata all’ingresso e alle dimissioni, e ai dati demografici ed economici relativi al nucleo familiare. I risultati della ricerca mostrano come il benessere psicologico, così come inteso nella concezione multidimensionale di C. Ryff, rimanga inalterato nei caregiver di pazienti con GCA in fase postacuta in tutte le dimensioni tranne che per la dimensione accettazione di sé, per la quale i bassi punteggi possono essere ricondotti a pensieri e stati emotivi depressivi coerenti con la situazione contingente e verosimilmente circoscritti a essa. A fronte della necessità di indagare come il benessere psicologico dei caregiver si modifichi nel tempo, dallo studio emergono dati suggestivi dell’applicabilità della Well-Being Therapy in questo ambito. 12 Lavoro e benessere: studio comparativo tra aziende in condizione di prosperità e di crisi Gertraud Bacher, Marta Bassi, Antonella Delle Fave (Università degli Studi di Milano) La ricerca ha mostrato che il benessere lavorativo apporta effetti benefici a livello individuale, aziendale e sociale. A fronte della crisi economica internazionale, appare necessario individuare i fattori che contribuiscono al benessere lavorativo e comprendere se e come essi influiscano sugli altri settori della vita individuale. Il presente studio si focalizza, pertanto, sull’indagine delle ripercussioni di una crisi aziendale sulla felicità e soddisfazione lavorative e dei possibili effetti di spillover tra sfera lavorativa e vita generale. Sono stati coinvolti gli impiegati di due aziende assicurative, la prima con andamento finanziario positivo e la seconda in crisi economica (rispettivamente N = 42 e N = 43). Il benessere lavorativo è stato indagato attraverso Job Content Questionnaire, Questionario di soddisfazione lavorativa e Basic Psychological Needs Scale at Work. Il benessere generale è stato rilevato tramite Eudaimonic and Hedonic Happiness Investigation, Satisfaction with Life Scale, Flow Questionnaire e Psychological Well-being Scales. Gli impiegati dell’azienda in crisi hanno riportato punteggi significativamente inferiori di soddisfazione e felicità lavorative, soddisfazione per le condizioni lavorative e per i risultati, bisogno di competenza e skill individuali. Sul piano di vita generale, invece, sono state riscontrate soltanto due differenze significative, relative a relazioni positive e padronanza dell’ambiente, con valori superiori per gli impiegati dell’azienda in crisi. I dati mostrano infine deboli effetti di spillover tra ambito lavorativo e soddisfazione generale di vita. I risultati verranno discussi nell’ottica di promuovere una “balanced life” tramite l’investimento di risorse personali in ambiti di vita multipli per promuovere benessere. Il modello terapeutico orientato alla resilienza (MOR): valutazione dell’efficacia in contesti comunitari per poliabusatori Natale Salvatore Bonfiglio, Roberta Renati (Università di Pavia, Dipartimento di Psicologia) In campo psicosociale e di comunità è fondamentale strutturare modelli d’intervento terapeutico che diano rilievo alle potenzialità individuali sviluppandosi perciò, prima di tutto, a partire dalle risorse del paziente. La cornice teorica che offrono gli studi sulla resilienza permette di pensare e orientare un programma terapeutico in senso positivo, stimolando i pazienti e le organizzazioni in cui essi 13 sono inseriti ad utilizzare le risorse come fattori protettivi, al fine di attivare un processo terapeutico resiliente in cui le potenzialità del paziente sono al centro del programma di trattamento. Il presente lavoro si pone l’obiettivo di valutare l’efficacia di un modello di intervento orientato alla resilienza (MOR) adottato da due strutture comunitarie per persone con diagnosi di dipendenza da sostanze. Le analisi verranno effettuate su un campione di 36 soggetti (M=24; F=12) con età media di 38,5 (DS=9,6). A tutti i soggetti, all’inizio e al termine del programma, è stata somministrata una batteria di strumenti per valutare dimensioni psicologiche correlate al processo di resilienza: ansia, depressione, percezione di cambiamento positivo, benessere psicologico, livello di stress e, infine la capacità di utilizzare risorse resilienti nelle aree: sociale, familiare e individuale. Le elaborazioni statistiche effettuate mostrano miglioramenti significativi nelle aree indagate, dimostrando la buona efficacia del programma terapeutico orientato alla resilienza in contesti comunitari per poliabusatori. Attività strumentali della vita quotidiana degli anziani istituzionalizzati Adalberto Bordin, Valentina Busato, Giorgia Codato, Susanna Falchero (Consorzio Sociale CPS) In questo articolo viene presentata una scala di valutazione delle attività strumentali di base della vita quotidiana degli anziani non autosufficienti istituzionalizzati. Lo scopo è di fornire uno strumento valutativo utile per definire in modo ancora più preciso e puntuale i profili di non autosufficienza degli anziani, in particolare di quelli che vivono in un contesto ambientale residenziale per non autosufficienti, profondamente diverso da quello domiciliare. Le caratteristiche psicometriche dello strumento e la sua correlazione positiva con altre prove standardizzate (B.A.D.L., M.M.S.E., T.S.I.) permettono di porre inoltre implicazioni di ordine diagnostico e riabilitativo e di suggerire indicazioni circa l’adeguatezza delle strutture residenziali ospitanti. Applicazione della Realtà Virtuale in pazienti con Malattia di Alzheimer Adalberto Bordin*, Valentina Busato*, Valentina Salerno*, Gabriele Optale*, Susanna Falchero** (*CPS “Anni Sereni” Ormelle, **Università di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale) La presente ricerca si inserisce all’interno di un più ampio progetto che il Centro “Anni Sereni”, Città di ORMELLE persegue per migliorare la qualità di vita degli anziani. Già in una fase precedente erano emersi gli aspetti positivi correlati all’applicazione della Realtà Virtuale, 14 soprattutto a livello di benessere generale percepito e di prestazioni mnesiche in anziani istituzionalizzati (cfr. per esempio, Optale et al., 2010). Con la ricerca che qui si presenta si è inteso verificare se l’utilizzo di uno specifico training, denominato “Virtual Reality Memory Training”, contribuisca a stimolare un processo di riattivazione cognitiva e mnesica in pazienti nella fase iniziale della Malattia di Alzheimer, e se sia efficace nel rallentare il declino cognitivo. Il “Virtual Reality Memory Training” consiste in tre esperienze sensoriali (acustiche), alternate a tre esperienze interattive di Realtà Virtuale (di 15’ ciascuna, seguite da 15’ per il recupero mnemonico), somministrate tre volte alla settimana per tre mesi. Hanno preso parte alla ricerca due gruppi di soggetti anziani negli stadi iniziali della Malattia di Alzheimer: a un gruppo è stato somministrato VRMT (gruppo sperimentale), l’altro gruppo ha preso parte all’attività di musicoterapia (gruppo di controllo). Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a valutazione neuropsicologica pre e post trattamento e l’assegnazione dei soggetti ai due gruppi è stata casuale. Dai risultati emerge un miglioramento statisticamente significativo in alcune prove di memoria verbale (breve e lungo termine) e nello stato cognitivo generale per il solo gruppo sperimentale. L’utilizzo delle nuove tecnologie interattive per il benessere dell’anziano Eleonora Brivio, Francesca Cilento, Carlo Galimberti, Mauro Marzorati, Francesca Oprandi (Università Cattolica del Sacro Cuore, Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare - CNR) L’abitudine alla pratica regolare di attività fisica è ancora poco diffusa tra gli anziani: nella fascia di età > 65 anni, solo il 10-20% degli italiani dichiara di svolgere una qualche forma di attività fisica (dati Istat). L’allenamento fisico presenta in realtà molteplici vantaggi: la relazione tra attività fisica e benessere psicologico è stata provata in numerosi studi, come riportato da McAuley e Rudolph (1995). Il benessere psicologico non è assenza di malessere, ma la capacità di sfruttare autonomamente le capacità cognitive o emozionali per rispondere alle esigenze quotidiane della vita (Ryff, 1995). L’obiettivo di questo progetto pilota è di verificare l’efficacia di un protocollo attuato per mezzo della Nintendo Wii Balance Board nel migliorare l’equilibrio e il benessere psicologico di un gruppo di anziani. I partecipanti (20 ‘over 65’) si sono incontrati 3 volte a settimana per due mesi; gli esercizi e i giochi sono stati variati per mantenere il divertimento e incrementare lo sforzo, assecondando i miglioramenti. Le variabili psicologiche considerate sono: divertimento, autostima, autoefficacia e benessere psicologico. La capacità di coordinazione e l’equilibrio sono stati valutati mediante test comunemente utilizzati in ambito fisiatrico. A livello psicologico all’avvio dell’allenamento i valori sono molto alti, subiscono una diminuzione dopo un mese, per poi 15 crescere. Le videoregistrazioni mostrano effetti positivi a livello di interazione sociale. A livello clinico si vede una tendenza al miglioramento, anche se la durata dell’intervento appare troppo limitato. In entrambi i casi le rilevazioni indicano la necessità di approfondire l’esperienza con un maggior numero di partecipanti e lungo un periodo di tempo più ampio. L'impatto della comunicazione di sicurezza sulla performance di sicurezza dei lavoratori: uno studio sul ruolo della comunicazione tra colleghi di lavoro Margherita Brondino, Margherita Pasini (Università di Verona) È ormai riconosciuto in letteratura che una buona comunicazione riguardo la sicurezza e una buona interazione tra i lavoratori e i loro preposti sono elementi organizzativi importanti che fanno la differenza tra aziende con bassi e alti tassi di infortuni. Molte ricerche infatti confermano la relazione tra comunicazione sulla sicurezza e vari indicatori di performance di sicurezza (e.g. compliance e participation) o outcome di sicurezza. Alcuni studi approfondiscono la relazione tra l'interazione tra lavoratori e preposto evidenziando come al crescere dell’interazione migliorano i comportamenti di sicurezza dei lavoratori. Tuttavia risulta ancora poco esplorata l'influenza della comunicazione sulla sicurezza tra colleghi dello stesso gruppo di lavoro sui comportamenti di sicurezza del singolo lavoratore facente parte del gruppo. Il presente lavoro offre un contributo in questa direzione studiando la relazione tra comunicazione di sicurezza tra colleghi e comportamenti di sicurezza del singolo lavoratore, ma anche esplorando attraverso un’analisi multilivello il ruolo di mediazione della comunicazione tra colleghi nella relazione tra comunicazione di sicurezza a livello aziendale e performance di sicurezza accanto al ruolo della comunicazione di sicurezza tra preposto e lavoratori dello stesso gruppo. Hanno partecipato alla ricerca 1617 lavoratori provenienti da 8 aziende del settore metalmeccanico veneto. Dall’analisi dei dati (SEM multilivello) emerge come la comunicazione tra colleghi sia un buon predittore della performance di sicurezza. Inoltre viene confermato il ruolo di mediatore, seppure parziale, della comunicazione tra colleghi nella relazione tra comunicazione a livello aziendale e performance di sicurezza, più forte di quello della comunicazione tra preposto e lavoratori. 16 Life Skills in carcere. Percorsi di cambiamento per autori di reato Rosa Francesca Capozza (Ministero Della Giustizia - Dipartimento dell’amministrazione Penitenziaria - Casa Circondariale Di Isernia) Il Progetto “Life Skills in carcere” nasce dalla rilevazione di un duplice bisogno che occorre mettere in relazione: da una parte le carenze psicologiche, emotive, relazionali di cui sono portatori i detenuti (difficoltà di riconoscimento/gestione delle emozioni, in primis della rabbia, locus of control esterno, carente empatia, rigidità di pensiero, comunicazione inefficace, scarsa capacità introspettiva…) concorrenti nella determinazione di percorsi devianti penalmente riconosciuti, dall’altro l’esigenza di realizzare interventi realmente “rieducativi”, ovvero atti al fronteggiamento di tali difficoltà, come garanzia di evoluzione/recupero personale e sicurezza sociale. Il Progetto si configura come intervento sperimentale. L’obiettivo generale consiste nel creare un percorso educativo che favorisca il recupero/sviluppo/potenziamento delle “Life Skills” (seguendo la proposta internazionale di Life Skills Education, promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità), gravemente compromesse nella popolazione ristretta e necessarie per promuovere un decisivo ed autentico cambiamento personale. L’intervento prende la forma di un Laboratorio di Favole: “Favole in Libertà”. Si basa su una metodologia attiva (circle time, brainstorming, role playing, simulazioni,..) e prevede la partecipazione volontaria di 10 detenuti (di età compresa tra 21 anni e 46 anni). Primi risultati osservazionali ed autoriferiti positivi su clima di gruppo, qualità delle relazioni interpersonali, aumento della consapevolezza di se, sensibilizzazione all’assunzione di responsabilità, motivazione personale al cambiamento, utilizzo nel quotidiano delle life skills apprese. Per un’efficacia dell’intervento è fondamentale garantirne la continuità temporale. È stato possibile sperimentare la funzionalità, in termini di percorsi di rieducazione, e la fattibilità (spazi, risorse, tempo) di un intervento di Life Skills Education in un nuovo importante contesto, quale quello dell’Istituto di pena, in cui risulta cruciale scegliere e costruire percorsi di cambiamento efficaci. 17 Relazione tra Memoria e Benessere nell’Invecchiamento Roberta Cavaglià, Valentina Prontera (Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Psicologia) Il presente lavoro si inserisce nel progetto regionale “Act on Ageing”, finalizzato alla valutazione dell’efficacia di un programma di attività cognitiva e motoria nella promozione del benessere degli anziani. Lo studio che presenteremo riguarderà gli effetti di un training di potenziamento delle abilità mnemoniche sulle componenti fluide e cristallizzate della memoria. Questa ricerca scaturisce dal presupposto che mantenere una buona memoria possa influire sulla percezione positiva di benessere, poiché la fiducia nelle proprie abilità mnestiche contribuirebbe al senso di autoefficacia e padronanza del proprio ambiente, e inciderebbe sulla soddisfazione personale (Sommaggio et al., 2008). L’obiettivo di questo lavoro consiste nell’indagare se le prestazioni a tre compiti di memoria e ad una prova d’intelligenza possano incrementare dopo il training mnemonico. Ipotizziamo che le performances alle prove, soprattutto quelle legate alle componenti cristallizzate, migliorino. Il training cognitivo consiste in 16 incontri settimanali di gruppo (da 10 a 15 partecipanti per gruppo) ed è stato svolto seguendo le linee guida del programma di potenziamento cognitivo sviluppato da De Beni e collaboratori (2008). Vi hanno partecipato 92 anziani, 60 donne e 32 uomini (64-90 anni; M = 74, DS = 5.75) ai quali sono stati somministrati lo Span con Categorizzazione (test di memoria verbale, De Beni et al., 2008), il Puzzle Immaginativo (test di memoria visuo-spaziale, ibid.), il Completamento di Frasi (test di capacità di inibizione, ibid.) ed il Test di Intelligenza di Cattell (1958). Saranno presentati i risultati relativi a questi test, rilevati sia prima del training sia dopo. Peer education attraverso Facebook. un progetto di promozione del benessere in un campione di studenti universitari Valeria Cavioni, Carmel Cefai*, Sandy Beiruty*, Carla Borg*, Pamela Borg*, Sarah Buhagiar*, Charlene Busuttil*, Julian Ann Camilleri*, Francesca Giordano*, Chris Giorgio*, Rebecca Mifsud*, Petra Sant*, Sefora Scicluna*, Tivona Vella* (Università degli Studi di Pavia, Dipartimento di Psicologia *Università di Malta, Dipartimento di Psicologia) I pari assumono un ruolo centrale nel veicolare e promuovere comportamenti positivi per sostenere il benessere psico-fisico durante il passaggio dall’adolescenza all’età adulta costituendo l’elemento 18 principale di influenza nel processo di crescita cognitiva ed emotiva (Pascarella e Terenzini, 2005). Lo studio presenta l’analisi di un progetto online di peer-education riguardante tematiche relative al benessere e alla salute degli studenti dell’Università di Malta. I temi hanno indagato 3 specifici aspetti connessi al benessere e alla salute: cibo & benessere; sesso & benessere e fumo. Il progetto ha coinvolto tre gruppi di studenti in formazione in psicologia dell’Università di Malta nel ruolo di peer-educator. Ogni gruppo di lavoro ha creato una pagina di facebook all’interno della quale i peer-educator hanno veicolato informazioni (link esterni verso servizi di assistenza professionale, documenti, video, volantini ecc.) allo scopo di creare uno spazio di condivisione, formativo ed informativo, per gli tutti gli studenti afferenti all’Università di Malta. Nello studio vengono presentati i risultati emersi dall’analisi testuale delle produzione scritte sulle 3 pagine face book degli studenti, attraverso l’analisi quantitativa delle occorrenze e l’analisi qualitativa dei temi emersi. La psicologia positiva nella formazione dello psicoterapeuta Federico Colombo, Spiridione Masaraki, Gian Franco Goldwurm (Scuola Asipse) Esistono delle chiare affinità tra psicologia positiva e psicoterapia cognitivo-comportamentale sia a livello concettuale che applicativo. Questo sta permettendo uno scambio e un arricchimento reciproco che finora è stato analizzato soprattutto per quel che riguarda gli interventi a favore dell’utente: interventi con obiettivi maggiormente estesi di crescita della persona che vadano oltre il superamento della sofferenza e la prevenzione delle ricadute, ovvero nella direzione del pieno benessere. Per realizzare simili interventi è necessario inserire nel percorso formativo dello psicoterapeuta un approfondimento sui modelli concettuali e di intervento della psicologia positiva. Questo potrà essere di beneficio per il lavoro del terapeuta, ma in questo lavoro vogliamo portare l’attenzione anche su come la psicologia positiva possa contribuire alla crescita della persona che si dedica professionalmente alla psicoterapia. Infatti, lo psicoterapeuta non diventa automaticamente una persona più serena o equilibrata in virtù della professione che svolge. La maggior parte delle scuole di formazione in psicoterapia prevede del “lavoro personale” sugli specializzandi, e la Scuola Asipse ha da tempo inserito dei percorsi mutuati dalla psicologia positiva per favorire il benessere dei futuri terapeuti, oltre che per migliorare la loro competenza specifica. Analizzeremo le motivazioni e i percorsi implementati per la formazione e la crescita di un terapeuta positivo. 19 Family’s Angels: portare l’aiuto scolastico in casa per supportare genitori in crisi a diventare educatori più sereni e competenti Vittoria Cristoferi, Emanuela Corneli, Marta De Rinaldis (Associazione OIKIA) Il “Family’s Angels” è un servizio che si occupa della prevenzione del disagio e della promozione del benessere familiare, grazie all’intervento domiciliare di un team di giovani psicologi ed educatori, supportati da un’équipe specializzata di professionisti (neuropsichiatria infantile, psicologi e psicoterapeuti, logopedista, educatori professionali). Il servizio è nato per offrire sostegno in famiglia a bambini ed adolescenti con difficoltà di apprendimento e problemi emotivorelazionali. Il campanello d’allarme che fa mobilitare la richiesta da parte di genitori, scuole e servizi sociali è il rendimento scolastico negativo accentuato da momenti e contesti familiari particolarmente difficili. Il servizio prevede un primo colloquio con i genitori, per comprendere e approfondire le problematiche segnalate; segue una visita a domicilio, in presenza del ragazzo, per conoscere ed insieme cogliere tutte le risorse utili o i fattori di rischio che possono influire sul suo benessere. A questo punto si definisce il piano psico-educativo specifico per un sostegno scolastico e psicologico competente: l’“Angel”, psicologo o educatore tirocinante laureato, attiva il supporto domiciliare (in genere due giorni a settimana per due ore) sotto la diretta supervisione del tutor professionista, per la durata di un trimestre, rinnovabile. La famiglia si incontra mensilmente col tutor per riflettere insieme sui cambiamenti in atto, sugli obiettivi raggiunti e su quelli in fase di sviluppo. La peculiarità dell’intervento è quella di avvenire a domicilio e approcciare la difficoltà scolastica, spesso transitoria, come epifenomeno di problematiche più complesse, legate talvolta ad un contesto che non promuove o sostiene l’equilibrio psico-emotivo del ragazzo. Correlati del benessere soggettivo, psicologico e sociale nell’emerging adulthood: Risultati di uno studio cross-culturale Elisabetta Crocetti*, Oana Negru** (*Università di Milano-Bicocca, Milano, Italia; **Babes-Bolyai University, Cluj-Napoca, Romania) Lo scopo di questo contributo era esaminare i correlati individuali e relazionali del benessere soggettivo (Diener, 1984), psicologico (Ryff, 1989) e sociale (Keyes, 1998) nell’emerging adulthood (Arnett, 2004). In particolare sono state esaminate le influenze del macrosistema culturale di appartenenza, conducendo la ricerca in due contesti, rappresentati dall’Italia e dalla 20 Romania. Inoltre, all’interno di ogni contesto, sono state valutate le differenze tra giovani che frequentano l’università e giovani che dopo il diploma si sono inseriti nel mercato del lavoro. In totale hanno partecipato allo studio 682 giovani (365 italiani e 317 rumeni) di età compresa tra i 19 e i 25 anni (M = 21.56, DS = 1.80; 50% uomini): 322 erano studenti universitari e 360 erano giovani lavoratori. I partecipanti hanno compilato un questionario self-report che includeva domande socioanagrafiche, misure del benessere e scale finalizzate a misurare i correlati presi in esame. I risultati dell’analisi della varianza multivariata mostrano che gli emerging adults rumeni riportano livelli di benessere soggettivo, psicologico e sociale più alti di quelli espressi dai loro coetanei italiani. Inoltre gli studenti universitari riportano livelli più alti di benessere, ma sono nel contesto rumeno. I processi dell’identità (impegno, esplorazione in profondità e riconsiderazione dell’impegno; Crocetti, Rubini e Meeus, 2008) sono risultati essere correlati significativi del benessere: l’impegno e l’esplorazione in profondità sono positivamente associati alle varie dimensioni del benessere, mentre la riconsiderazione dell’impegno è negativamente associata alla percezione di benessere. Anche in questo caso sono emerse specificità legate al contesto culturale. Questi risultati mostrano l’importanza di analizzare i correlati del benessere tenendo conto delle peculiarità del macrosistema di appartenenza. Qualità della Vita e Benessere Quotidiano dell’anziano non autosufficiente: una difficile scelta tra residenzialità e domicilio Rita D’Alfonso, Luciana Fanton, Roberto Zini (Residenza Sanitaria Assistenziale “Fondazione Casa Famiglia San Giuseppe Onlus” di Vimercate) Il benessere e il mantenimento di una buona Qualità di Vita sono obiettivi irrinunciabili in ogni età, in particolare per anziani in condizioni di fragilità e di compromissione dell’autonomia. In queste situazioni può presentarsi l’obbligo di una difficile scelta tra permanenza nel domicilio o trasferimento in residenze protette. Quali indicatori e parametri di giudizio possono contribuire a determinare la valutazione delle diverse opportunità? Il lavoro che presentiamo analizza, sulla base dei risultati di un progetto annuale, le principali motivazioni che influenzano questa impegnativa decisione. L’equipe del progetto “Di casa in Casa, di Casa in casa...”, promosso dalla RSA Casa Famiglia San Giuseppe in collaborazione con la ASL e la rete dei servizi territoriali, ha seguito un gruppo di anziani ospitati durante l’anno 2010/2011 in temporaneità presso la RSA e aiutati, qualora ve ne fosse la possibilità, a rientrare in modo sicuro al domicilio. Si è così potuto verificare quali considerazioni relative alla Qualità di Vita possibile, a parametri oggettivi e soggettivi, 21 quotidiani e di prospettiva, influenzano le decisioni, constatando come il rientro a domicilio non richieda solo garanzia di sicurezza nella cura e nella assistenza, ma anche fiducia nelle proprie risorse, nel supporto familiare e nella rete sociale. La conclusione del progetto ribadisce l’opportunità di un accompagnamento personalizzato, che consenta di scoprire quale sia la scelta più adeguata, che valorizzi l’ anziano e la sua personale storia di vita. Benessere psicologico (PWB) e flessibilità psicologica (ACT) in un gruppo di pazienti obese affette da neoplasia mammaria Giuseppe Deledda*, Claudia Goss*, Molino Annamaria**, Elena Fiorio**, Maria Angela Mazzi*, Lidia Del Piccolo*, Luisa Bissoli***, Roberta Mandragona***, Annamaria Nalini****, Christa Zimmermann* (*Dipartimento di Sanità Pubblica e Medicina di Comunità, Unità Operativa di Psicosomatica e Psicologia clinica, Università di Verona **U.O. di Oncologia d.O., Ospedale Civile Maggiore, Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona ***Struttura Semplice Funzionale di Dietetica e Nutrizione Clinica U.O. di Clinica Geriatrica d.U., Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona ****Associazione Nazionale Donne Operate al Seno, A.N.D.O.S. Onlus, Comitato di Verona) La patologia oncologica pone i pazienti in un contesto a forte impatto emotivo che richiede una protratta capacità di adattamento, nel quale, il benessere psicologico e la flessibilità psicologica possono essere considerati dei fattori protettivi e terapeutici. Questo lavoro esplorativo, su un gruppo di pazienti affette da neoplasia mammaria, ha l’obiettivo di approfondire la relazione tra gli aspetti legati alle aree del Benessere Psicologico misurato con il Psychological Well Being Questionnaire (Ryff, 1989) ed il concetto di flessibilità psicologica sviluppato nel modello processuale dell’ACT da Hayes (1999), misurato con l’Acceptance and Action Questionnaire II e con lo strumento “Centro del Bersaglio”. Sono state reclutate 12 pazienti affette da neoplasia mammaria con Body Mass Index ≥ 28, alle quali è stato proposto un intervento di gruppo psicoeducazionale sugli stili di vita salutari, basato su tecniche ACT. Le analisi utilizzate sono descrittive per esplorare l’associazione tra il Psychological Well Being Questionnaire, l’Acceptance and Action Questionnaire II e lo strumento “Centro del Bersaglio” e alcune variabili socio demografiche e cliniche rilevate con il Three-Factor Eating Questionnaire 51, il Termometro dello Stress ed il Rotterdam Symptom Checklist. Verranno forniti i dati preliminari relativi alle analisi esplorative tra le aree del PWB e dell’ACT con le variabili socio demografiche e cliniche. Il benessere psicologico è un aspetto che andrebbe studiato sia nelle sue componenti strutturali sia 22 processuali, in quanto, sembrerebbe consistere non tanto nella ricerca della felicità, ma nella capacità di muoversi tra gli aspetti di sofferenza ed i valori. Sviluppare una relazione positiva con un fratello autistico: quanto conta la conoscenza del disturbo? Eleonora Farina, Marco Bernardi, Ottavia Albanese (Università degli Studi di Milano-Bicocca) Gli studi sui fratelli di bambini con disturbo dello spettro autistico hanno rilevato l’importanza di possedere adeguate informazioni riguardo le caratteristiche dell’autismo e le difficoltà che esso implica nel promuovere la qualità del legame fraterno. La disabilità in sé non è necessariamente una fonte di stress, è la qualità dell’informazione che contribuisce allo sviluppo di una relazione fraterna positiva (Glasberg, 2000; McHale et al., 1986). Lo scopo di questo studio è quello di indagare la relazione fra la conoscenza dell’autismo e la qualità della relazione fraterna. 9 soggetti, fra i 10 e i 18 anni (M = 13.5), 3 maschi e 6 femmine, fratelli e sorelle di ragazzi e ragazze con autismo hanno risposto all’intervista semi strutturata sulla conoscenza dell’autismo (Glasberg, 2000) e al Questionario sulla Relazione Fraterna (SRQ; brief version, Buhrmester e Furman, 1990). Dai risultati emerge che la maggior parte dei fratelli ha una comprensione del concetto di autismo limitata alla sola esperienza personale o a informazioni riportate superficialmente, e ha poca consapevolezza delle implicazioni del disturbo. Per quanto riguarda la relazione fraterna, emergono in generale relazioni caratterizzate da scarsa intimità, squilibrio di potere (a favore del fratello intervistato) e bassa conflittualità. Le correlazioni non parametriche evidenziano un legame positivo significativo (p<.05) tra la conoscenza delle implicazioni dell’autismo e il livello di intimità della relazione: una maggiore consapevolezza degli effetti dell’autismo sulla vita quotidiana coincide con relazioni più intime. Tale dato, anche se parziale, sottolinea l’importanza di promuovere e sostenere un’informazione adeguata verso i fratelli di bambini autistici, per favorire relazioni fraterne positive. 23 Laboratori di Servizio Sociale Rosaria Ferone, Gerarda Molinaro (Università Federico II di Napoli, Unità Organizzativa all’interno della Unità Complessa Integrazione Socio-Sanitaria della ASL Napoli 2 Nord) I “Laboratori di Servizio Sociale” rappresentano una dimensione culturale del Servizio Sociale che traducono in prassi ed azioni i principi, i fondamenti e le teorie del Servizio Sociale. Si tratta di un progetto sperimentale, per la prima volta implementato all’interno della didattica delle Università campane, rivolto a studenti dei corsi di Laura Triennale e Magistrale in Servizio Sociale con la finalità di approfondire l’utilizzo consapevole degli strumenti di Servizio Sociale. Strumenti che devono possedere qualità e caratteristiche di validità, attendibilità, completezza (contenere le informazioni necessarie), leggibilità (chiarezza espositiva e di scrittura); caratteristiche che diventano criteri che accompagnano naturalmente la riflessione sul bisogno sociale e bio-psicosociale, contenuti e significati di storie di vita, valori sociali e personali, rappresentazioni sociali e culturali di riferimento. Il target è composto di due gruppi da 25 studenti per ciascun modulo sia laureati per il corso triennale sia frequentanti/laureati per il corso magistrale anche prossimi a sostenere l’esame di stato nelle due sessioni del 2011. Il ciclo sperimentale dei Laboratori è stato organizzato in quattro moduli monotematici non propedeutici e proposto in due edizioni parallele per un coinvolgimento complessivo di circa 200 studenti. La metodologia d’approccio ha previsto l’organizzazione dei moduli con il medesimo format: 1.presentazione dei concetti (circa 10-12 slides), 2.azione (esercitazione con varie tecniche: filmati, role plaiyng, protocolli, test), 3.confronto (supervisione), gioco di gruppo/compilazione del diario di bordo, conclusioni. Gli strumenti analizzati sono stati: il Colloquio, la Relazione Sociale, la Concertazione, la Progettazione, strumenti operativi e gestionali del Servizio Sociale tradizionale e moderno. L’ICF e la psicologia positiva nella promozione dell’integrazione scolastica: connessioni e potenzialità di applicazione. Andrea Fianco*, Elena Arrivabene**, Antonella Delle Fave* (*Università degli Studi di Milano **CTRH di Chiari) L’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF) dedica ampio spazio ai fattori contestuali (personali e ambientali) che, nell’ostacolare o favorire l’esecuzione di attività e/o la partecipazione sociale, condizionano la qualità di vita delle persone con disabilità. Con tale 24 prospettiva bene si integrano i paradigmi e strumenti propri della psicologia positiva che si focalizzano sugli aspetti costruttivi e positivi che favoriscono il processo di integrazione. In ambito scolastico l’ICF consente di individuare non solo le limitazioni e le barriere, ma anche le risorse personali e ambientali che promuovono il funzionamento ottimale dell’alunno con disabilità nel contesto della classe. Muovendo da questi presupposti, è stata avviata una ricerca-azione con 30 insegnanti di sostegno afferenti a diversi ordini di scuola (infanzia, primaria e secondaria) della Provincia di Brescia, per rilevare gli aspetti che possono migliorare la qualità dell’integrazione degli alunni. La somministrazione del Flow Questionnaire e del Life Theme Questionnaire ha fornito informazioni sulla qualità dell’esperienza quotidiana degli insegnanti, le attività associate all’esperienza ottimale, le loro sfide attuali e obiettivi futuri. Con l’osservazione strutturata degli alunni con disabilità attraverso apposite griglie costruite in riferimento ai fattori contestuali dell’ICF, è stato invece possibile rilevare ostacoli e barriere coinvolti nel processo di integrazione scolastica. I risultati emersi hanno consentito di creare una connessione tra l’ICF e la psicologia positiva su cui basare possibili strategie di intervento volte a promuovere l’inclusione scolastica delle persone con disabilità. Epigenetica, Trauma e Resilienza: la resilienza nella relazione interpersonale e nella vita quotidiana Marialfonsa Fontana Sartorio (Associazione qualità e formazione-Milano, SIPST-Società Italiana Psicoterapia del Trauma-Milano, ID Institut für Innovative Gesundheitskonzepte-Kassel-Germany) I più recenti studi dell’epigenetica hanno fatto emergere riflessioni sulle interrelazioni tra mondo esterno e individuo, le conseguenze che si possono avere in ambito psichico e che si tramandano nelle generazioni successive, influenzando sia il comportamento che la vita fisica. Vengono perciò prese in considerazione le ricerche internazionali più avanzate riguardo all’ipotesi che ci devono essere dei meccanismi che guidano l’espressione dei geni delle generazioni future attraverso gli influssi dell’ambiente, che comprende anche il comportamento umano. Nell’elaborazione dell’evento traumatico viene messa in evidenza come fonte di resilienza sia l’importanza delle risorse interne dell’individuo, e come esse possono essere individuate, sia le caratteristiche degli apporti sociali nella loro dimensione di aumento o diminuzione della resilienza. Viene presa in considerazione la correlazione tra felicità, momenti di felicità e accrescimento del benessere quotidiano, in relazione al ‘senso’ della vita e alla vita quotidiana attuale, dominata dalla tecnologia: lavoro, famiglia, e la società soffrono infatti della ‘mancanza di senso’, quando invece l’essere 25 umano ha bisogno di ‘dare un senso’ al proprio esistere e al mondo che lo circonda. Viene inoltre fatta una analisi della qualità delle relazioni interpersonali, quali sono gli aspetti che possono aumentare o diminuire i fattori resilienti nella relazione umana. Fattori sociali e fattori emotivi come protezione nel burnout di insegnanti Italiani e Svizzeri Piera Gabola *, Caterina Fiorilli **, Alessandro Pepe ***, Ottavia Albanese * (*Università degli Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Scienze Umane **Università di Roma LUMSA ***Università degli Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Psicologia) Attualmente c’è un generale accordo tra gli studiosi nel considerare l’insegnamento una helping profession a rischio burnout (Di Nuovo e Monforte, 2004; Skaalvik e Skaalvik, 2009). Tale sindrome, caratterizzata da esaurimento emotivo, depersonalizzazione e ridotta soddisfazione professionale (Maslach e Jackson, 1981) accomuna insegnanti di nazionalità diverse (Yong e Yue, 2007; Aydogan, Dogan e Bayram, 2009). Fattori determinanti per l’insorgenza della sindrome sono quelli sociali (rete di supporto dell’insegnante) ed emotivi (competenza emotiva e relazionale degli insegnanti). Rimangono ancora poco indagate le interazioni simultanee tra questi due fattori sullo stato di burnout degli insegnanti controllando la differente cultura pedagogica che caratterizza i diversi paesi. Scopo: Analizzare la relazione tra le variabili sociali ed emotive degli insegnanti sul loro stato di burnout. Si ipotizza che una buona regolazione delle emozioni e una rete di supporto sociale soddisfacente costituisca un fattore di protezione dal rischio burnout, indipendentemente dalla cultura pedagogica di appartenenza. Si intende studiare, inoltre, l’effetto della diversa nazionalità sul pattern di interazione delle variabili analizzate. Partecipanti: 286 insegnanti di Scuola Primaria: 149 Italiani e 137 Svizzeri. 26 Percezione della malattia e convinzioni di autoefficacia nella gestione della malattia: ruolo di mediazione nella relazione tra gravità della malattia, depressione, soddisfazione dello stato di salute e soddisfazione di vita in pazienti con malattie cardiovascolari Andrea Greco*, Roberta Pozzi**, Dario Monzani***, Patrizia Steca* (*Università degli Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Psicologia Medicina *** ** Università degli Studi di Milano, Facoltà di Università degli Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”) Le linee guida per la riabilitazione cardiologica, sia europee che nazionali, sottolineano l’importanza dei fattori psicologici nel miglioramento delle condizioni cliniche di pazienti con malattie cardiovascolari. Nonostante questo, poche ricerche si sono occupate del ruolo di protezione che alcuni fattori psicologici possono giocare sull’impatto esercitato dalla gravità della malattia cardiovascolare. Obiettivo del presente studio è quello di indagare il ruolo di mediazione esperito dalla rappresentazione della propria malattia (RM) e dalle convinzioni di autoefficacia nella gestione dei fattori di rischio cardiovascolare (AUT) nella relazione fra la gravità della patologia e la depressione (DEP), la soddisfazione per il proprio stato di salute (SODSAL) e la soddisfazione di vita (SODVI) in pazienti con malattie cardiovascolari. Lo studio, dal disegno cross-sezionale, ha coinvolto 120 pazienti (95 uomini e 25 donne; età media = 65.67, DS = 9.84). La gravità della malattia è stata misurata tramite la frazione di eiezione ventricolare sinistra (FE) alla dimissione dal reparto di urgenza cardiologica, mentre i restanti fattori sono stati valutati una settimana più tardi, all’inizio della riabilitazione cardiovascolare. I risultati rivelano che le relazioni tra la FE e gli outcomes DEP, SODSAL e SODVI sono mediati da RM e AUT (χ²(1)=0.92, p=n.s.; CFI=1.00; SRMR=.02; R2 DEP = 29%; R2 SODSAL = 27%; R2 SODVI = 27%). Il presente lavoro sottolinea l’importanza di lavorare su RM e AUT per migliorare i livelli di depressione, la soddisfazione per il proprio stato di salute e la soddisfazione di vita in pazienti affetti da patologie cardiovascolari. 27 Proposta di progetto per la formazione dell’Esperto della felicità Angela Groppelli, Svenja Carlone, Rossella Gattuso (Casa Universitaria Internazionale Andrea Carlo Ferrari -CUI) La nostra è una proposta per un programma finalizzato alla formazione dell’Esperto della felicità, cioè di un professionista con una preparazione specifica da poter offrire qualche cosa in più di quanto già sono ed operano gli psicologi con il contributo della Psicologia positiva e della Psicologia della salute. La vecchiaia, di cui sono una sicura testimonianza, comporta interventi specifici per la peculiarità delle proprie condizioni, ed offre l’opportunità di conoscere i fenomeni del percorso lungo le età di ciascuna vecchiaia. L’iter da noi previsto è il seguente: 1. la consultazione di Colleghi (Proff. Ottavia Albanese, Mario Bettini, Gioia Longo, Giancarlo Tanucci), per una prima valutazione dell’idea e per la formazione del Comitato Direttivo. Nel Comitato ciascuno è responsabile e titolare del programma secondo le competenze e il settore scelto. 2. L’Associazione CUI si impegna con la collaborazione delle 45 socie, 30 italiane e 15 europee. Queste ultime favoriscono rapporti diretti per l’internazionalità, già con Portogallo, Spagna, Francia, Lituania, Albania, Libano, e tutte garantiscono l’impegno per la compilazione del questionario che si dovrà predisporre e per le interviste. 3. Postulati: la felicità è aspirazione e diritto di tutti, a tutte le età. La felicità è totalizzante nei confronti di quanto è considerato positivo dalla persona (ad esempio, gioia come aspirazione e salute come status). 4. La configurazione giuridicoaccademica della professionalità potrebbe realizzarsi gradualmente: master, specializzazione, ... Ciò permetterebbe la parziale differenziazione in ordine alla specificità delle cattedre di riferimento. 5. La bibliografia è già più che adeguata per un inizio ottimale del progetto. La classe: uno spazio per il benessere e la prevenzione del disagio scolastico Lilian Marta Landriel (Università degli Studi di Torino) Questo articolo considera la classe come uno spazio possibile per prevenire o diminuire il disagio psicologico causato da situazioni frustranti in età evolutiva. Numerose ricerche rilevano che situazioni quotidiane di sofferenza possono determinare disturbi psicologici se persistono nel periodo di strutturazione del Sé. Eventi scoraggianti, quali insuccessi scolastici e bocciature, spesso producono interruzioni nello studio e si collegano con scarsa autostima. Partendo dal presupposto che l’uomo occidentale trascorre il periodo più importante dello sviluppo psichico nelle istituzioni 28 scolastiche, si ipotizza che creare nelle aule un clima di benessere soggettivo possa potenziare la motivazione all’apprendimento favorendo la riuscita nello studio. I successi negli apprendimenti, conseguentemente, aumenterebbero sentimenti di autostima e di autoefficacia diminuendo lo stress . In questa sede si valuta la “difficoltà di apprendimento” come fattore stressante che un “clima” sereno e facilitante potrebbe prevenire o ridurre. La teoria verrà supportata mediante lo studio di alcuni casi relativi ad un programma di orientamento psicopedagogico a insegnanti di scuole primarie. Gli esempi riportati mostrerebbero quanto le convinzioni degli insegnanti e dei genitori sulle capacità dei loro alunni/figli possano ripercuotersi in maniera positiva o negativa sugli atteggiamenti di questi verso lo studio. Il successo scolastico dell’alunno inoltre, ricadrebbe positivamente sia sugli educatori (insegnanti e genitori), aumentando in essi il senso dell’autostima e dell’autoefficacia al rivalutare il loro ruolo, sia sul clima della classe/famiglia. Montagna e psichiatria : studio multicentrico con Flow-Questionnaire Fiorella Lanfranchi*, Antonella Frecchiami**, Antonella Delle Fave*** (*Dipartimento di Salute Mentale-Azienda Ospedaliera Bolognini-Seriate (Bg) **Cooperativa Il Pugno Aperto-Bergamo ***Università degli Studi di Milano, Facoltà di Medicina e Chirurgia) La promozione del benessere in ambito riabilitativo è oggetto di crescente attenzione. Particolarmente interessante a questo proposito risulta valutare la possibilità che i pazienti reperiscano durante le attività riabilitative stati positivi, in particolare l’esperienza ottimale o flow, stato complesso di impegno e coinvolgimento. A questo proposito, nel 2010 è stato realizzato uno studio multicentrico, con l’obiettivo di valutare la qualità dell’esperienza associata da pazienti psichiatrici ad escursioni in montagna, utilizzate a fini riabilitativi. Gli interventi afferiscono all’area della cosiddetta “montagna terapia”, che raramente sono stati oggetto di indagine. A 54 pazienti schizofrenici afferenti a 7 centri italiani che praticano la montagnaterapia è stato somministrato il Flow Questionnaire, strumento che permette di analizzare attività e situazioni associate all’esperienza ottimale, e che raramente è stato finora usato con soggetti psichiatrici. Dallo studio è emerso che tutti i pazienti tranne due hanno riconosciuto l’esperienza ottimale nella propria vita quotidiana, associandola in prevalenza alle attività di montagnaterapia, e individuando in questa attività elementi di impegno e potenzialità per la crescita personale e lo sviluppo di competenze trasferibili agli altri ambiti della vita. L’insieme dei risultati indica che, anche in condizioni subottimali di salute mentale, gli individui riportano esperienze complesse e gratificanti di impegno e sviluppo di competenze. L’analisi dell’esperienza associata alle attività quotidiane e riabilitative 29 può consentire agli operatori di mettere a punto e implementare i trattamenti insieme al paziente attraverso una co-costruzione degli interventi, valorizzando l’apporto che l’individuo può fornire alla costruzione del proprio benessere. Formazione e benessere dei lavoratori anziani: analisi multilivello delle attitudini dei professionisti HR Alessandra Lazazzara (Università degli Studi di Milano Bicocca, Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “R. Massa”) Gli investimenti in formazione sono giustificati dall’aspettativa di benefici futuri come l’aumento di produttività, motivazione e soddisfazione (Becker, 1964). Supportare i dipendenti in percorsi formativi infatti, diminuisce la loro ansia e senso di inadeguatezza ed aumenta la capacità di realizzarsi nonché il benessere sul luogo di lavoro (Maurer, 2001). Tuttavia, a causa di radicati stereotipi negativi sugli anziani, a partire dai 45 anni le aziende non investono più sui propri dipendenti (Schein, 1978; Maurer, 2001). Si instaura quindi un circolo vizioso per cui negando l’accesso alla formazione, viene minata l’autostima e la percezione di sé dei lavoratori anziani, influenzando negativamente la propensione ad apprendere ed il benessere lavorativo (Maurer, 2001; Van Vianen et al., 2011). La principale domanda di ricerca é: con quali modalità e per quali tipi di formazione i professionisti HR sono maggiormente a favore della formazione dei lavoratori anziani? Questo studio propone tre factorial surveys somministrate a 66 professionisti HR. Ogni rispondente ha valutato 24 profili di lavoratori anziani e, per ognuno di essi, ha indicato quanto fosse d’accordo che il lavoratore descritto partecipasse alle attività formative proposte. Con l’ausilio del software STATA sono stati stimati modelli multilivello che evidenziano come, negando l’accesso alla formazione sulla base dell’età, della performance, della specializzazione e dell’assenteismo, i professionisti HR non supportano la motivazione ad apprendere dei lavoratori anziani. Questo studio ha importanti implicazioni perché enfatizza come in un contesto di invecchiamento generale della popolazione e della forza lavoro sia importante sostenere la formazione continua ed il benessere dei lavoratori anziani. 30 Un’applicazione del modello Job-Demands Resources su un campione di lavoratori italiani Alessandro Lo Presti*, Marcello Nonnis**, Monica Federico* (*Seconda Università di Napoli, Dipartimento di Psicologia, **Università di Cagliari, Dipartimento di Psicologia) Tradizionalmente, gli studiosi hanno considerato l’attività lavorativa come potenziale fonte rischio per il benessere psicofisico (Sarchielli, 2009), occupandosi soprattutto di stilare liste dettagliate dei possibili fattori stressogeni (Cooper, 1986; Karasek, 1979); Più recentemente, la Psicologia Positiva (Seligman e Csikszentmihalyi, 2000), si è concentrata, invece, sul comprendere le cause, le modalità e le condizioni che determinano il benessere soggettivo. In particolare, l’approccio del cosiddetto Positive Organizational Behavior (Luthans, Avolio, Avey e Norman, 2007) è interessato alla promozione del benessere e allo sviluppo delle potenzialità individuali all’interno dei luoghi di lavoro. Sulla scorta di tale cambiamento paradigmatico, il modello Job Demands-Resources (Xanthopoulou, Bakker, Demerouti e Schaufeli, 2007), che ha ispirato la presente indagine, ha incluso nel campo delle condizioni lavorative accanto alle job demands, principali predittori dello strain lavorativo, le job resources e le personal resources, come più importanti predittori del coinvolgimento lavorativo, uno stato mentale positivo lavoro-correlato che può essere sperimentato in un ambiente lavorativo che disponga di sufficienti risorse per fronteggiare le sue richieste (Schaufeli, Bakker e Salanova, 2006). L’indagine, condotta su 751 lavoratori di diversa tipologia contrattuale, ha investigato le reciproche associazioni tra categorie di variabili riferibili al modello JD-R: risorse lavorative quali l’autonomia o il supporto sociale da parte dei colleghi, richieste lavorative quali il carico di lavoro e risorse personali quali l’autoefficacia occupazionale e l’ottimismo nei riguardi di due differenti outcome quali lo strain e il coinvolgimento lavorativo. I risultati ottenuti supportano in larga parte quanto già presente in letteratura in merito all’applicazione del modello JD-R per spiegare gli esiti, sia positivi che negativi, dell’esperienza lavorativa individuale. Saranno inoltre discusse le implicazioni di carattere pratico. 31 Equipe ed assistenza in istituzione: essere bene per fare bene Cinzia Marigo*e**, Silvia Faggian*, Erika Borella**e*** e Giorgio Pavan* (*I.S.R.A.A.-Treviso **Lab-I Servizio di Ricerca e Formazione in Psicologia dell’Invecchiamento-L.I.Ri.P.A.C, Università degli Studi di Padova; ***Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale) Gli strumenti-risorsa più importanti dell’équipe di assistenza in un struttura per anziani sono i suoi componenti: operatori socio sanitari, fisioterapisti, educatori, logopedisti, infermieri e psicologi. Ciascuno è portatore, nella propria professione di valori, conoscenze e competenze che influenzano e determinano il benessere della persona anziana istituzionalizzata e della buona riuscita del lavoro di condivisione d’équipe. Obiettivo di questa proposta è presentare un percorso di potenziamento/riattivazione emotivo motivazionale e di benessere psicologico percepito, rivolto ad operatori e professionisti di un nucleo sanitario in una residenza per anziani. Il training, adattato dal percorso Lab-I Empowerment Emotivo – Motivazionale (De Beni, Marigo, Sommaggio, Chiarini e Borella, 2009), e sviluppato dall’equipe Lab-I dell’Università di Padova come intervento di gruppo volto all’incremento del benessere in adulti e anziani, si struttura in quattro incontri a cadenza quindicinale, proponente attività sia di gruppo sia individuali. Nello specifico si propone di incrementare nell’équipe competenze relate al benessere psicologico quali soddisfazione personale, strategie di coping e competenze emotive. Hanno partecipato operatori e professionisti di uno stesso nucleo (N=25). L’efficacia del training è stata valutata utilizzando strumenti standardizzati – Questionario Ben-SSC (De Beni et al., 2008) e Beck Depression Inventory (Beck et al., 1987), somministrati prima e dopo l’intervento. “Benessere a scuola” e valutazione stress lavoro-correlato Anna Milone (Centro Studi Medicina Psicosomatica - Napoli) L’8 ottobre 2004 è stato siglato l’Accordo quadro europeo sullo stress lavoro-correlato, che stabilisce che tra gli obblighi giuridici del datore di lavoro rientra la “prevenzione, l’eliminazione o la riduzione dei problemi di stress lavoro-correlato”. Esso trova espresso riferimento nel DLgs 81/2008 che prevede che per ogni azienda diventa rilevante che l’oggetto di valutazione dei rischi debba riguardare tutti i “rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra qui anche quelli collegati allo stress 32 lavoro-correlato”. Sulla base di tale premessa è stato realizzato in diversi istituti scolastici di vario ordine e grado il progetto “Benessere a scuola” che si articola in diverse fasi: - costituzione del Gruppo di Studio e di monitoraggio dello stress lavoro-correlato; - individuazione degli obiettivi da raggiungere; - scelta degli strumenti operativi, delle risorse e delle metodologie da adottare; - individuazione dei percorsi metodologici, di verifica e di monitoraggio; - stesura di un piano programmatico. La metodologia utilizzata per tale valutazione è la seguente: somministrazione di un questionario, colloqui individuali per l’analisi dei rischi psicosociali nell’ambiente scolastico attraverso l’apertura di uno sportello a cui accedono i docenti, i collaboratori scolastici ed il personale di segreteria; restituzione dei dati raccolti, organizzazione di un evento formativo, definizione dei gruppi omogenei di lavoratori aventi caratteristiche comuni; definizione delle misure di prevenzione e protezione da adottare e relativo piano di monitoraggio. L’Autrice nel ritenere che esperienza fin qui condotta dimostra come la valutazione del rischio psicosociale da mera incombenza burocratica si trasforma in una opportunità per le scuole riporta i dati e le riflessioni sull’esperienza sin qui condotta. L’analisi dei bisogni in ex pazienti oncologici Lorenzo Montali, Alessandra Frigerio, Marta Scrignaro, Maria Elena Magrin (Università degli Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Psicologia) Molte delle persone sopravvissute ad un cancro continuano ad esperire rilevanti difficoltà sul piano fisico e psicosociale, legate agli effetti collaterali del trattamento, al rischio di possibile recidive e allo stress connesso alla vita lavorativa, sociale e sessuale. Il riconoscimento dell’impatto a lungo termine del cancro in persone che ne sono sopravvissute giustifica l’avvio di programmi di ricerca finalizzati alla valutazione dei loro specifici bisogni, di carattere fisico, psicologico, informativo e materiale. Lo studio ha avuto i seguenti obiettivi: 1. Valutare le qualità psicometriche di un questionario per rilevare i bisogni delle persone sopravvissute ad un cancro; 2. Identificare i bisogni non corrisposti dei survivors; 3. Proporre possibili miglioramenti nei servizi di supporto per ex-pazienti oncologici. Partecipanti: 186 pazienti residenti in Lombardia (57 uomini e 128 donne; età media=58,51±12,08), che avevano ricevuto una diagnosi di cancro da almeno un anno e che erano 33 liberi dalla malattia, o da altre patologie significative, al momento della rilevazione. Strumenti: durante la visita periodica di controllo, è stato somministrato un questionario specificamente costruito per rilevare i bisogni delle persone sopravvissute ad un cancro. Questo strumento può essere utilizzato per tutti i tipi di popolazioni di sopravvissuti e include items sui possibili cambiamenti positivi avvenuti a seguito del tumore. La batteria di strumenti includeva anche strumenti per misurare ansia e depressione (HADS) e qualità di vita (SF-12), nonché per la valutazione della resilienza (CQH, BNG, GSE). Verranno illustrati i risultati della ricerca e le loro ricadute per lo sviluppo di servizi di supporto. HAART self-efficacy: favorire la compliance nei pazienti sieropositivi Andrea Norcini Pala, Patrizia Steca (Università degli Studi di Milano-Bicocca) L’infezione da HIV richiede una regolare assunzione di farmaci antiretrovirali perché è ciò che determina l’outcome clinico: maggiore è la compliance minori sono i rischi di complicazioni quali ad esempio resistenze ai farmaci e progressione della malattia. L’HAART self-efficacy, cioè la percezione di essere in grado di assumere correttamente i farmaci antiretrovirali, è di notevole importanza poiché influenza la compliance. In questa presentazione, verranno discussi i risultati di tre indagini condotte a partire da settembre 2010 su tre differenti campioni di persone sieropositive (N1 = 158, N2 = 110, N3 = 110). I risultati delle analisi hanno evidenziato che l’HAART selfefficacy riduce significativamente la depressione (β 1= -.320, p < .001; β 2= -.444, p < .001), la percezione dello stress (β2 = -.363, p < .001; β3 = -.223, p < .001) e favorisce la compliance (β2 = .344, p < .001; β3 = .340, p < .001). La conta dei Natural Killer, cellule leucocitarie del sistema immunitario, è risultata anch’essa significativamente influenzata dall’HAART self-efficacy (β3 = .365, p < .05). Inoltre, l’effetto dello stress sulla risposta infiammatoria, cioè sulla produzione di Il6 una citochina pro-infiammatoria, è mediata dall’HAART self-efficacy (β3 = -.431, p < .01). In conclusione, data la sua rilevanza, è possibile ipotizzare interventi per aumentare l’HAART selfefficacy nei pazienti sieropositivi. 34 Il benessere nei luoghi di lavoro: il ruolo dei fattori “di contenuto” e “di contesto” Francesco Pace, Valentina Lo Cascio, Giacomo Aliberto, Alba Civilleri, Elena Foddai (Università degli Studi di Palermo) Dal momento della fondazione dell’approccio della Psicologia Positiva e dei suoi obiettivi e metodi di ricerca si è sempre più rafforzato l’interesse, nel campo della Psicologia del Lavoro e delle organizzazioni, per la ricerca e lo studio di quei fattori psicologici in grado di rappresentare adeguatamente la condizione di benessere nei luoghi di lavoro (Shaufeli e Bakker, 2006). Ad esempio Luthans (2002) ha cercato di richiamare l’attenzione verso lo studio “delle risorse umane orientate positivamente, i punti di forza e le capacità psicologiche che possono essere misurate, sviluppate e gestite in modo efficace per migliorare le prestazioni nei luoghi di lavoro” (p. 698). Il presente studio vuole presentare i risultati della applicazione del Questionnaire on the Experience and Evaluation of Work (QEEW; Van Veldhoven e Meijman, 1994), uno strumento utile alla valutazione del benessere in ambito lavorativo che è ampiamente usato nel nord europa in riferimento al modello Job Demands-Resources (Bakker et al. 2010). Il QEEW consente di esplorare sia le richieste nel luogo di lavoro che le risorse cui gli individui possono ricorrere, esplorando sia aspetti di contenuto che di contesto, e proponendo una valutazione delle condizioni di benessere percepito dal lavoratore, attraverso scale quali coinvolgimento e piacere nel lavoro (Van Veldhoven e Broersen, 2003). Il questionario, nella sua forma italiana (Pace et al., 2010, 2011), è stato somministrato a più di 1300 lavoratori, i quali sono stati suddivisi in funzione dell’ambito professionale, del tipo di contratto e della natura della organizzazione cui appartenevano. I risultati mostrano come gli aspetti psicologici e sociali siano spesso più importanti, nella percezione del benessere, di quelli più tangibili quali le condizioni fisiche e/o la remunerazione. L’assessment Centre empowerment oriented: il caso del Delphi Programme in Randstad Alessandra Pasinato, Elena Zucchi, Benedetta Bazzoni (Alessandra Pasinato e Team / Randstad) Presenteremo una metodologia innovativa di valutazione e sviluppo del potenziale nata dall’incontro tra gli strumenti dell’Assessment Centre e l’approccio del self-empowerment. Si 35 configura non come integrazione, ma come costruzione di un terzo approccio, caratterizzato da elementi peculiari, come i feedback empowerment-oriented, relativi non ai singoli comportamenti ma alla “interità” della persona (base indispensabile per innescare “salti di qualità”). Questa metodologia promuove benessere, in ambito personal-professionale, inteso come processo evolutivo, magari a tratti anche fonte di fatica, orientato al potenziamento individuale, al sentirsi bravi e capaci, realizzati ed autentici, impattanti nel contesto (e quindi generativi). L’intervento si concentrerà su quanto svolto in Randstad, multinazionale leader nei servizi HR che in 48 paesi offre alle imprese somministrazione, ricerca, selezione, formazione. Randstad opera in un settore in cui non ci sono prodotti che possano “fare la differenza” tra competitor: il fattore differenziale è dato dalle persone e dalla loro competenza. Capacità e potenzialità individuali, incisività nel tradurle in comportamenti efficaci e coerenti con il business, sono uno degli asset fondamentali di Randstad. Qui è stato implementato l’Assessment Centre empowerment-oriented, il “Dephi Programme”. Allo scopo di valutarne l’efficacia, rispetto agli obiettivi formativi ed organizzativi, abbiamo realizzato una ricerca quali-quantitativa, su campione di 250 partecipanti nell’arco di 5 anni. Tale ricerca ha valutato il processo di auto-sviluppo e, tramite l’utilizzo di metodologie innovative, ha determinato l’incidenza dell’intervento comparando il percepito dei partecipanti con quello di capi, colleghi e collaboratori che ne osservano comportamenti, difficoltà e miglioramenti, in termini di espressione del potenziale. Verranno illustrati tali risultati. Vivere con un fratello speciale Federica Polo, Mariacristina Prandolini, Giovanni Allibrio, Silvia Biondi, Maria Francesca Mancuso, Filippo Gitti (UONPIA Spedali Civili di Brescia, Direttore Alessandra Tiberti) Convivere quotidianamente con un fratello speciale, con Disturbo Generalizzato dello Sviluppo, può costituire un’esperienza complessa e difficile dal punto di vista emotivo: si può essere sollecitati ad assumere compiti di accudimento e di cura, si sperimentano vissuti emotivi contraddittori e, soprattutto in adolescenza, è possibile essere maggiormente esposti a episodi di derisione o isolamento (Valtolina, 2000). Le difficoltà sperimentate possono avere un impatto differente a seconda dell’età, dell’ordine di genitura, della gravità dei sintomi e dei problemi comportamentali del fratello speciale, dello stile educativo e delle risorse emotive e materiali rese disponibili dalla coppia genitoriale. Per questo motivo, all’interno della UONPIA dell’Ospedale Civile di Brescia, è stato realizzato un percorso rivolto a un gruppo di 6 bambini, compresi tra gli 8 e i 12 anni, i cui fratelli sono in carico presso il servizio stesso perché affetti da Autismo. Il percorso 36 si è snodato attraverso cinque incontri, durante i quali si è cercato di valorizzare molteplici canali per la rappresentazione della propria relazione fraterna, di promuovere occasioni di condivisione di vissuti emotivi talvolta negati (gelosia, risentimento, rabbia, vergogna, rifiuto), di individuare strategie di coping utili per fronteggiare concrete situazioni di difficoltà. Un questionario pre e posttest ha permesso di evidenziare modificazioni a carico della percezione delle proprie difficoltà e del proprio vissuto. I genitori dei ragazzi sono stati coinvolti all’inizio e al termine del progetto, così da individuare uno spazio di confronto rispetto alle tematiche emerse dalle attività effettuate con i loro figli. Stress, risorse umane e promozione del ben-essere nelle Aziende Ferdinando Pellegrino (ASL Salerno (ex SA1)-Dipartimento Salute Mentale) Numerose ricerche evidenziano una stretta correlazione tra stress lavorativo e compromissione dell’efficacia professionale; diventa pertanto fondamentale promuovere progetti tesi ad implementare la capacità dell’individuo di rispondere in modo positivo ed adeguato alle problematiche lavorative (response ability). In tal senso sono stati realizzati percorsi formativi centrati su piccoli gruppi che hanno coinvolto dal 2004 ad oggi oltre 4000 operatori (medici, infermieri, forze di polizia, insegnanti, dirigenti...). Il modello di riferimento è il fitness cognitivoemotivo, una metodica di apprendimento che si ispira ai concetti della moderna psicologia e il cui obiettivo fondamentale è quello di rendere l’individuo più consapevole delle risorse di cui dispone al fine di migliorare la sua capacità di gestire e sviluppare le potenzialità della mente, nei suoi aspetti cognitivi ed emotivi. In tale contesto sono state realizzate delle indagini i cui risultati hanno consentito di modulare gli interventi effettuati. Si è partiti così dall’osservazione che esiste una diretta correlazione tra il grado di soddisfazione professionale e lo sviluppo individuale di abilità emotive e cognitive che appaiono come un fattore protettivo rispetto alle condizioni di stress lavorativo. Per tali motivi l’obiettivo dei lavori di gruppo è stato quello di focalizzare gli sforzi formativi sull’addestramento all’autonomia che comporta l’abilità a esprimere più liberamente le emozioni, ad affrontare lo stress con maggiore efficacia e a contare di più sulla propria competenza umana e professionale. L’Autore propone la programmazione – all’interno delle aziende – di percorsi formativi centrati su gruppi esperienziali finalizzati alla valorizzazione delle competenze cognitive ed emotive degli operatori; ciò al fine di prevenire condizioni di disagio lavorativo e sindromi caratterizzate dal progressivo logorio professionale e di favorire l’implementazione 37 dell’autoefficacia personale, fattore motivante e determinante per la soddisfazione lavorativa. Nella relazione vengono presentati i risultati dell’esperienza formativa. Rapporto scuola genitori…tra gioie e dolori Michelle Pieri (Università degli Studi di Milano-Bicocca) Un rapporto scuola genitori (RSG) negativo può essere uno job stressor per i docenti (Prakke et al., 2007; Pepe e Addimando, 2010). In Italia, da una parte, ci sono pochi studi sul rapporto che i genitori istaurano con la scuola e sul modo in cui la scuola e i genitori condividono i loro compiti educativi (Nigris, 2002), dall’altra, nei corsi di formazione per i futuri insegnati non è previsto un training specifico relativo alla gestione dei rapporti scuola genitori. Nel 2010 abbiamo realizzato due focus group, uno con i genitori e uno con i docenti, in una scuola primaria per capire come questi due gruppi articolano il discorso relativo al RSG (Che cosa è il RSG? Quale è il suo fine? Come è ora in questa scuola? Come vorresti che fosse?). Docenti e genitori concordano nel ritenere che questo rapporto è essenziale “per formare i futuri cittadini”, “far crescere i figli, anche per dare un’educazione”, “creare il benessere a 360 gradi e raggiungere il successo formativo per tutti”. Genitori e docenti sono d’accordo sul fatto che il RSG deve basarsi sul dialogo e sul rispetto reciproco. I docenti sottolineano il fatto che nel RSG è fondamentale che i genitori abbiano la volontà di collaborare, se questa viene a mancare, il lavoro quotidiano diventa più difficile non solo per i docenti ma anche per i discenti. I docenti, dato che non hanno ricevuto nessuna formazione alla gestione del RSG, hanno dovuto apprendere a gestirlo tramite l’esperienza e il lavoro con i colleghi. Benessere e psicologia organizzativa in contesti interculturali - Il caso dell’ospedale “Lacor”, Gulu-Uganda Marco Prati*, Alessio Nencini** (*Università di Milano Bicocca, **Università degli Studi di Padova) Partendo da un background socio-costruzionista (Gergen, 1999; Gergen e Thatchenkery, 2004) viene proposto un modello di intervento per le organizzazioni a forte componente interculturale. Sistemi di conoscenza ideologici e culturali, processi interpersonali e pratiche pragmatiche 38 costituiscono forme di conoscenza che costruiscono in modo armonico la rappresentazione dell’organizzazione e il suo significato pragmatico per gli individui che la compongono. Le tre principali dimensioni di questo modello costituiscono aspetti interconnessi che vanno tenuti in considerazione nel pianificare e implementare interventi in contesti organizzativi interculturali efficaci. Il modello verrà illustrato a partire da un case study specifico: l’intervento che il CFI (centro di formazione interazionista) ha realizzato presso il St. Mary’s Hospital Lacor (GuluUganda) nel contesto del progetto “formazione per lo sviluppo” finanziato da “Compagnia di Sanpaolo” e “Fondazione Corti”. Dopo decenni di guerra civile in nord-Uganda l’ospedale Lacor è passato dall’essere un piccolo ospedale missionario a gestione “familiare” al diventare una grande organizzazione multiculturale con oltre 600 dipendenti e punto di riferimento sanitario per un bacino di persone che copre tutto il nord del paese. Dal 2009 il CFI è chiamato a dare supporto nelle operazioni di governo di questi rapidi processi di cambiamento che hanno coinvolto il personale locale, la comunità, la fondazione italo-canadese che lo sostiene e i molti donors privati e istituzionali. Obiettivo particolare dell’intervento è il rafforzamento e la configurazione di un nuovo management ugandese e la sua futura sostenibilità “organizzativa”. L’analisi di sistema condotta attraverso interviste e focus group ha permesso di mostrare che diverse prospettive culturali all’interno dell’ospedale veicolano rappresentazioni conflittuali e contraddittorie dell’emergente ruolo di middle-manager minandone l’efficacia. Un insieme di interventi coordinati sulle tre dimensioni del modello presentato è stato disegnato e realizzato con l’obiettivo di promuovere una nuova cultura organizzativa per il ruolo di middle-manager. I principali risultati, così come alcune considerazioni generali alla guida di interventi organizzativi in contesti interculturali, saranno discussi nelle conclusioni. Il disegno per scoprire i segreti della cura Vanna Puviani (Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Scienze della Formazione) Con il movimento frenetico l’urlo e l’agitazione, con il mutismo e l’ostinazione, con una scrittura illeggibile, confusa e disordinata, con l’isolamento e il rifiuto, con la provocazione … con ognuno diquesti comportamenti c’è un bambino che domanda attenzione e cura. Come trasformare il sintomo in simbolo? Le brutture dei drammi subìti nella bellezza della propria iniziativa? Questa presentazione ha l’obiettivo di illustrare alcune storie d’amore, di bambini che cercano i loro genitori e di genitori distratti, che si sono persi prima di farsi ritrovare. È l’illustrazione di nuovi metodi di cura con il disegno, sia con il bambino che con l’adulto. Al bambino proponiamo dieci 39 incontri dove ogni volta c’è la nostra proposta di un tema-simbolo mirato e la sua risposta con gesti che raccontano, linee che si muovono e colori che danno forma e vita agli oggetti e ai personaggi che egli ospita nel suo foglio. All’adulto offriamo la possibilità di raccontarsi tramite le immagini, per guardare in maniera anche nuova, cioè creativa, le relazioni che i famigliari hanno tra di loro e con la propria casa, per rendere visibili le vicinanze le distanze, le presenze e le assenze e così poterle trasformare. Bambini e adulti con un ruolo attivo, tutti alla ricerca della propria storia, per sapere ‘di chi si è’, per ritrovare l’intimità della propria casa e dei propri affetti e l’immensità delle proprie passioni. Ogni persona diventa l’artefice della propria guarigione, per dirla con Bateson. Un viaggio immaginativo con un potenziale trasformativo così alto sia per l’azione dinamica del simbolo (Jung) sia per l’immagine che si crea, che essendo esterna diventa un terzo oggetto e stimola quindi una alleanza prodigiosa terapeuta-paziente, che insieme guardano l’immagine che a sua volta suscita racconti ed altre immagini ancora. Come se questa relazione ‘buona’ potesse essere generativa di altre relazioni di complicità e intimità tutte da rivisitare e riconoscere, per creare nuovi ruoli di genitori e di figli. Il disegno non da interpretare ma usato per raccontare e comunicare che diventa autorivelazione. I due testi qui indicati attraverso testimonianze e proposte mostrano questo itinerario immaginativo sia con il bambino che con l’adulto per illustrare i fattori terapeutici propri della Psicoterapia nonverbale che si integrano con i fattori terapeutici delle Psicoterapie verbali. Percezioni del cyberbullismo in adolescenza: uno studio cross-culturale Roberta Renati, Carlo Berrone, Maria Assunta Zanetti (Università di Pavia, Dipartimento di Psicologia) Dimensione quotidiana imprescindibile delle relazioni amicali in adolescenza, la comunicazione tramite telefono cellulare ed Internet può rappresentare il medium di quelle azioni aggressive intenzionali e reiterate, esercitate individualmente o in gruppo contro una o più vittime, che rientrano nell’ambito del fenomeno noto come cyberbullismo. Scopo del presente studio è l’indagine sulle percezioni di detto fenomeno in adolescenza presso due campioni – il primo italiano (N = 120), il secondo internazionale (N = 66) –, con particolare riferimento agli esiti emotivi e comportamentali che i partecipanti associano alle aggressioni sub specie elettronica. Tramite un questionario creato ad hoc e diffuso online sia tramite la pagina Facebook di uno degli autori (per il reclutamento di soggetti italiani), sia utilizzando il sito web di due scuole superiori in Finlandia e Brasile, frequentate da studenti di varie nazionalità, sono state indagate - in relazione a quattro 40 scenari di cyberbullismo (diversi per modalità di aggressione: e-mail, telefono cellulare, social network, diffusione di immagini umilianti nella rete) e con riferimento tanto alle vittime, quanto ai loro aggressori - le percezioni riguardanti: la gravità, le emozioni (sia di base, sia di natura sociale, quali colpa, disprezzo e vergogna), le conseguenze psicosociali (fra cui problemi scolastici e nelle relazioni familiari) e comportamentali (inclusi l’ideazione suicidaria e l’abuso di alcol e sostanze), le strategie di coping ritenute adeguate. I risultati vengono discussi anche in quanto fonte di utili indicazioni per l’implementazione di strategie preventive nei confronti di una dilagante minaccia al positivo funzionamento psicosociale degli adolescenti digital natives. Benessere psico-fisico al lavoro e il ruolo di alcune risorse personali e organizzative: una ricerca nei call center Simona Ricotta (Università degli studi di Torino, Dipartimento di Psicologia) In relazione all’attuale interesse per i temi della qualità della vita, anche in ambito organizzativo è cresciuta l’attenzione per il benessere dei lavoratori. Adottando la prospettiva del modello “Job demands-resources” (Demerouti, Bakker, Nachreiner e Schaufeli, 2001), questo contributo si concentra in particolare sull’effetto di alcune risorse personali e organizzative sul benessere psicofisico al lavoro. La ricerca è stata realizzata nel contesto dei call center, di rilievo per l’ampio numero di persone impiegate, e perché critico in termini di stress (Lewig e Dollard, 2003).Il questionario è stato somministrato a un campione di 1465 operatori dislocati sul territorio nazionale. Il benessere percepito è stato indagato in riferimento alla dimensione psicologica (emozioni positive, Warr, 1990; α .88) e fisica (salute generale; scala costruita ad hoc; α .89). Le risorse indagate sono: coping di evasione (α .74), coping di evitamento (α .64), coping razionale (α .74), soddisfazione per l’ambiente (α .90), supporto dei capi (tot item α .89), supporto dei colleghi (α .85), autonomia (α .88), disponibilit à di risorse/possibilità di apprendimentoα (.85). I risultati evidenziano, come determinanti comuni di emozioni positive al lavoro (R2 .296) e salute generale (R2 .333), il ruolo di: strategie di coping, soddisfazione per l’ambiente, supporto dei capi e autonomia. Determinante, seppur debole, delle emozioni positive ma non della salute è la disponibilità di risorse/possibilità di apprendimento. I risultati evidenziano, dal punto di vista delle ricadute applicative, punti di attenzione per la tutela e la promozione del benessere psico-fisico al lavoro. 41 La resistenza culturale: tra resilienza, inerzia e mantenimento dell’identità Eleonora Riva (Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Geografia e Scienze Umane dell’Ambiente) Oggetto del presente lavoro è quello di ri-definire, esemplificandolo anche attraverso la presentazione di casi clinici, il concetto di Resistenza Culturale (Reidd, 1999) a partire dal quadro teorico-metodologico della Psicologia Positiva. In tale ottica si differenzierà, in primo luogo, il concetto di resistenza culturale dai più noti concetti di resilienza e inerzia culturale. Si proseguirà descrivendo le caratteristiche positive della resistenza culturale per il mantenimento dell’identità soggettiva, in un’ottica psicodinamica, e si concluderà argomentando 1) come differenziare la resistenza culturale da altri tipi di resistenza patologici, e 2) come integrare e sfruttare le resistenze culturali in un percorso clinico di crescita e armonioso sviluppo del sé, e di integrazione con il sistema psicosociale in cui l’individuo vive. Studio dei fattori individuali e sociali e stima delle funzioni di utility associate alla qualità della vita nei pazienti con Sclerosi Multipla: un’applicazione del modello a scelta discreta Rosalba Rosato***, Silvia Testa*, Giorgia Molinengo*, Alessandra Oggero***, Antonio Bertolotto*** (*Università di Torino, Dipartimento di Psicologia **Unità di epidemiologia dei Tumori, Ospedale San Giovanni Battista - Torino, Università di Torino e CPO Piemonte, ***II Neurological Unit and CRESM - Centro di Riferimento Regionale per la Sclerosi, Università e Ospedale San Luigi, Orbassano, Torino) La qualità della vita è un concetto multidimensionale che copre quattro ambiti (fisico, sociale, psicologico e funzionale). La QOL solitamente viene misurata con questionari costruiti secondo la teoria classica dei test. Gli Esperimenti di Scelta Discreta (DCE) rappresentano un approccio relativamente nuovo per misurare la QOL. Obiettivo principale è applicare un DCE a pazienti con sclerosi multipla (SM) per stimare le preferenze individuali rispetto ai diversi attributi della QOL. 155 pazienti sono stati inclusi nello studio ed hanno compilato un questionario formato da 4 sezioni: sociodemografica/clinica, autoefficacia (GSEscale), MSQOL54 ed un esperimento di scelta. Sono stati identificati 5 attributi della QOL: autonomia funzionale (ADL), autonomia nella vita quotidiana (IADL), dolore, ansia/depressione e concentrazione/attenzione. Sono stati creati degli 42 ipotetici profili di salute combinando i 5 attributi con diversi livelli di compromissione (nessuno, lieve/moderato e grave). In ogni compito di scelta il paziente sceglieva quale di due ipotetici profili presentati congiuntamente stava peggio. Le analisi sono state condotte utilizzando un modello logistico a parametri casuali. Le dimensioni che i pazienti ritengono più importanti nel definire chi sta peggio sono: avere una grave compromissione sull’ IADL (β=1.46, SE=0,14), ADL (β=1.36, SE=0,10), gravi disturbi emotivi (β=1,21, SE=0,09) e dolore (β=1.21, SE=0,11), mentre il disturbi cognitivi sono l'attributo meno importante (β=0.86, SE=0,16). Il presente lavoro, attraverso l’applicazione di un DCE, produce una stima delle preferenze per gli attributi della QOL in pazienti con SM. Tali risultati potrebbero essere utilizzati nella pratica clinica nella programmazione e gestione del piano terapeutico dei pazienti. Il ruolo della gratitudine nel carcinoma mammario in rapporto a crescita posttraumatica, benessere e disagio psicologico Chiara Ruini, Francesca Vescovelli, Elisa Albieri, Fedra Ottolini, Dalila Visani (Università di Bologna, Dipartimento di Psicologia) Sono ormai numerose le ricerche che documentano gli effetti positivi della gratitudine. Tuttavia, il ruolo di questa emozione è ancora poco esaminato in ambito medico. L’obiettivo di questa ricerca è di valutare il ruolo della gratitudine in un campione di pazienti con carcinoma mammario, in rapporto al distress, al benessere psicologico e alla crescita post-traumatica. 67 donne con diagnosi di carcinoma mammario hanno compilato i seguenti questionari auto valutativi: 1) Gratitude Questionnaire-(GQ-6); 2) Post-traumatic Growth Inventory (PTGI); 3) Psychological Well-being Scales (PWBS); 4) Symptom Questionnaires. In base alla mediana dei punteggi al GQ-6, il campione è stato diviso in: pazienti con gratitudine elevata e pazienti con gratitudine bassa. I due gruppi sono stati confrontati tramite ANOVA e sono state calcolate le correlazioni tra i vari questionari. La gratitudine è risultata significativamente correlata alla crescita post-traumatica, alla contentezza e rilassamento (SQ) e alle relazioni positive (PWB) e negativamente correlata al distress psicologico. Le pazienti con gratitudine elevata presentano punteggi minori di ansia e depressione (SQ) e maggiori nella PTGI, nel rilassamento e contentezza (SQ). Non emergono differenze significative nei livelli di benessere psicologico. Questi risultati suggeriscono che anche in ambito oncologico la gratitudine ha effetti positivi nella riduzione del distress, nell’aumento degli affetti positivi e nella promozione della crescita post-traumatica. Considerando tuttavia che solo la minoranza delle pazienti ha riportato livelli elevati di gratitudine, in ambito clinico occorre 43 sviluppare interventi psicologici per facilitare la consapevolezza di questa importante emozione positiva. L’autoritarismo come meccanismo di coping Silvia Russo*, Alberto Mirisola**, Michele Roccato*, Giulia Spagna*, Alessio Vieno**** (*Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Psicologia ** Istituto per le Tecnologie Didattiche, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Palermo ***Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione) Le ricerche classiche considerano l’autoritarismo come un indicatore di disadattamento psicologico. Contributi più recenti hanno invece mostrato che esso, fungendo da meccanismo di coping per affrontare lo stress provocato dagli eventi negativi, può svolgere un ruolo protettivo per il benessere personale (Van Hiel e De Clerq, 2009). Tuttavia, i processi attraverso cui l’autoritarismo esercita questi effetti benefici sono ancora poco esplorati in letteratura. L’obiettivo del presente lavoro è stato studiare la funzione di meccanismo di coping dell’autoritarismo, concettualizzandolo alla luce del modello del controllo compensatorio (Kay et al., 2008). In un disegno sperimentale condotto manipolando il grado di minaccia cui erano esposti i partecipanti (131 studenti italiani) mentre assistevano ad una campagna elettorale simulata mediante il Dynamic Process Tracing Environment (Redlawsk e Lau, 2009), abbiamo rilevato i livelli di autoritarismo e controllo percepito prima e dopo la manipolazione. Un modello mediato-moderato ha mostrato che essere esposti ad uno scenario minaccioso provoca una perdita soggettiva di controllo, fronteggiata da coloro che hanno bassi livelli di autoritarismo con un incremento di autoritarismo. Nel complesso, questo studio ha confermato che l’autoritarismo può essere considerato un efficace strumento di coping nei confronti della minaccia, contribuendo a spiegare il meccanismo che regola tale fronteggiamento. Letti nell’ottica della psicologia positiva, questi risultati aiutano a problematizzare il concetto di coping, evidenziando le conseguenze sociali negative di un’efficace strategia volta a fronteggiare il senso di minaccia sperimentato dai singoli. 44 Rappresentazione del sé professionale e rischio di burnout nei docenti Elisabetta Sagone, Maria Elvira De Caroli (Università degli Studi di Catania, Dipartimento di Processi Formativi) La recente letteratura riporta che una buona rappresentazione di Sé in ambito professionale incide sulla qualità delle relazioni sociali e sulla riduzione del rischio di burnout soprattutto nelle helping professions (Licciardello et al., 2007) ma ciò costituisce un valido elemento di intervento/prevenzione anche nel contesto scolastico (De Caroli et al., 2007). S’intende esplorare l’incidenza della rappresentazione del Sé professionale e del contesto relazionale (gli alunni e i colleghi di lavoro) sulle dimensioni del burnout in 106 docenti di Scuole Statali di I-II Grado di Catania e provincia. È stato somministrato un questionario composto da: una scheda per le informazioni socio-demografiche (sesso, età, anni di insegnamento), il Maslach Burnout Inventory (adattamento di Sirigatti e Stefanile, 1993) e tre Differenziali Semantici riferiti al Sé professionale, agli alunni e ai colleghi (De Caroli e Sagone, 2008). L’analisi dei dati indica che i docenti che esprimono una rappresentazione più positiva del Sé professionale presentano livelli bassi di esaurimento emotivo (F(2,103)=6,03, p=.003) e medio-bassi di ridotta realizzazione personale (F(2,103)=10,92, p<.001); coloro che esprimono una rappresentazione più positiva degli alunni e dei colleghi presentano livelli bassi, rispettivamente, di esaurimento emotivo (F(2,103)=3,82, p=.025) e di depersonalizzazione (F(2,103)=5,08, p=.008). Inoltre, la rappresentazione del Sé professionale incide sulla realizzazione personale (β=.287, t=3,05, p=.003) e quella degli alunni sull’esaurimento emotivo (β=.254, t=2,67, p=.009). Da questo studio, pertanto, deriva un’ulteriore conferma della valenza positiva dell’immagine di sé come strategia di coping difensivo dal rischio di burnout anche nel contesto scolastico. Qualità di vita percepita in familiari caregiver di pazienti affetti da demenza Daria Santacatterina, Elisa Bonello, Susanna Falchero, Emanuela Stecchi (Università degli Studi di Padova, Istituto “F. Beggiato” Conselve) Negli ultimi decenni la letteratura ha evidenziato come i familiari primary caregiver di pazienti affetti da demenza siano soggetti a livelli elevati di burden psicofisico. Pertanto abbiamo inteso verificare gli eventuali effetti sulla qualità di vita percepita in primary caregiver che hanno fatto ricorso a istituzioni di ricovero (casa di riposo) o di respite domiciliare (ADI). La prima parte della 45 ricerca ha coinvolto due gruppi di primary caregiver che hanno istituzionalizzato il carerecipient (da 6-12 mesi e da +36 mesi). La seconda parte della ricerca ha coinvolto tre gruppi di primary caregiver: uno che continuava ad assistere il carerecipient a casa, appoggiandosi alla ADI come forma di respite, e due gruppi di caregiver che avevano optato per l’istituzionalizzazione (6-12 mesi e +36 mesi). I risultati emersi indicano che il ricorso all’istituto, pur comportando costi in termini di disagio emotivo e anche di spostamenti per raggiungere la struttura, apporta benefici a livello di qualità di vita percepita, soprattutto nelle aree funzionalità fisica, psicologica e sonno/alimentazione/tempo libero. A nostro avviso, però, poiché la salute e il benessere del carerecipient sono strettamente dipendenti da quelle del caregiver che si occupa di lui, occorre sviluppare ulteriormente le opportunità di reali forme di respite a domicilio. Ciò per evitare che i caregiver che desiderano continuare ad assistere il proprio caro a domicilio si trovino costretti a dover scegliere fra l’istituzionalizzazione di quest’ultimo (spesso con inevitabili sentimenti di colpa) e la propria qualità di vita. Il benessere nel rapporto con l’ambiente: il ruolo della biodiversità e delle esperienze degli individui Massimiliano Scopelliti, Giuseppe Carrus (Libera Università Maria Ss. Assunta LUMSA e Università Roma Tre) Gli studi sul rapporto persona-ambiente hanno evidenziato che gli ambienti naturali promuovono efficienza cognitiva e riduzione dello stress. Gli ambienti con tali potenzialità benefiche sono caratterizzati da quattro proprietà: - being-away: un cambiamento di scenario e/o esperienza rispetto alla quotidianità; - extent: l’amalgama tra gli elementi dell’ambiente (coherence), esteso abbastanza da permettere l’esplorazione (scope); - fascination: l’attrattività estetica dell’ambiente, che cattura l’attenzione senza sforzo mentale; - compatibility: la congruenza tra caratteristiche ambientali e scopi dell’individuo. Le ricerche condotte su questo tema hanno mostrato il potenziale benefico degli ambienti naturali confrontandoli con ambienti costruiti, e attraverso metodologie di laboratorio. Questo studio si è dunque posto l’obiettivo di valutare il potenziale benefico di ambienti di crescente livello di biodiversità, prendendo inoltre in esame il ruolo delle esperienze dirette dei fruitori. È stato somministrato un questionario per valutare le proprietà dell’ambiente, le modalità di fruizione e il 46 benessere percepito a 696 soggetti in 5 tipologie di ambiente di crescente livello di biodiversità. I risultati evidenziano che: - i benefici psicologici avvertiti dai fruitori aumentano all’aumentare del livello di biodiversità del luogo; - le modalità di fruizione incidono sul benessere: più le attività praticate contemplano interazione diretta con l’ambiente, maggiori sono i benefici; - la durata e la frequenza delle visite aumentano i benefici avvertiti; - i benefici avvertiti vengono mediati dalla percezione delle proprietà rigenerative. Lo studio mostra l’importanza congiunta delle caratteristiche fisiche dell’ambiente (il livello di biodiversità) e dei processi psicologici (cognizioni, attività) nel determinare effetti benefici dal contatto con la natura. Costruire benessere nella relazione di formazione - apprendimento Mario Sigfido Coda, Maria Gallone, Loredana Mercadante (Università degli Studi di MilanoBicocca) Le ricerche sulla qualità dell'esperienza lavorativa degli insegnanti segnalano che sono uno dei gruppi maggiormente esposti a rischio burnout, con una percentuale due volte superiore a quella degli impiegati e due volte e mezza superiore a quelli della sanità. La natura multidimensionale e multifattoriale del burnout ha portato il guppo Adansieme - insegnanti di sostegno che completato il corso di laurea di Scienze della Formazione dell'Università degli Studi di Milano Bicocca hanno deciso di voler continuare ad approfondire l’esperienza formativa universitaria,condividendola con altri per attuare la propria formazione in servizio - ed Evolvere - associazione di promozione sociale che si occupa di counseling, caoching, crescita personale, sviluppo del potenziale umano e della dimensione esistenziale dell' individuo - a collaborare e pensare ad una metodologia interdisciplinare integrata per la prevenzione ed intervento sul burnout, che sia applicata alla relazione di formazione-apprendimento e che valuti tutte le variabili coinvolte nello sviluppo della suddetta sindrome: didattiche, relazionali, individuali, sociali ed ambientali. L’intento è di proporre un modello formativo innovativo che ponga gli spunti per una nuova cultura dell'insegnamento. Esso si prefigge come obiettivo finale il benessere dell'alunno nei termini di acquisizione del sapere affiancato al pieno sviluppo delle sue potenzialità, e del docente attraverso l'acquisizione di 47 consapevolezza, gestione delle emozioni, sviluppo del suo pieno potenziale e realizzazione professionale. In questa sede si propongono quindi strategie per: - gestire il gruppo classe: coprogettazione degli apprendimenti; - gestire le dinamiche relazionali, individuali e lavorative: analisi transazionale, logoterapia, competenza emotiva, mindfullness. Engaged sì, workaholic no: gli effetti di engagement e workaholism sulla salute e il benessere dei Dirigenti Scolastici Silvia Simbula*, Dina Guglielmi** e Marco Depolo** (*Università di Milano Bicocca **Università di Bologna) Come da più parti avvertito, le organizzazioni moderne ricercano sempre più frequentemente lavoratori proattivi disposti in qualche caso a lavorare per lunghi periodi senza sosta, sacrificando aspetti della propria vita personale in virtù del raggiungimento degli obiettivi organizzativi; allo stesso tempo però tali organizzazioni sentono ora, più che nel passato, l’esigenza di tutelare e proteggere il proprio patrimonio di risorse umane e quella di avere lavoratori motivati e psicologicamente “sani”. Tali esigenze appaiono talvolta contrapposte e possono rendere il confine tra l’essere engaged (Schaufeli, Salanova, González-Romá e Bakker, 2002) e workaholic (Schaufeli, Taris e Van Rhenen, 2008) molto sottile. Sebbene esistano alcuni studi che hanno esaminato le differenze tra work engagement e workaholism, tali studi si sono concentrati prevalentemente su contesti organizzativi nord-europei o giapponesi ed hanno analizzato un numero limitato di correlati di tali costrutti. Il presente studio, che ha coinvolto 228 Dirigenti Scolastici italiani (67% femmine), si è proposto di esaminare le differenze tra work engagement e workaholism nei termini delle loro associazioni con la salute e il benessere dei Dirigenti Scolastici, nonché con aspetti della sfera relazionale (es. supporto dei colleghi ed equilibrio lavoro-famiglia). I principali risultati dei modelli di equazioni strutturali mostrano che tali associazioni sono differenti: il workaholism è positivamente associato al need for recovery e ai problemi di salute, mentre appare negativamente associato alla soddisfazione lavorativa, alla percezione di supporto dei colleghi e all’equilibrio lavoro-resto della vita; il work engagement al contrario mostra un pattern di associazioni opposto. Le implicazioni e i limiti dello studio verranno discussi. 48 “Vivere bene per studiare con successo: l’Empowerment emotivo-motivazionale nel servizio di counselling di Ateneo” Susanna Sommaggio*, Rossana De Beni** (*Lab-I Servizio di Ricerca e Formazione in Psicologia dell’Invecchiamento-L.I.Ri.P.A.C, Università degli Studi di Padova **Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale) Questo lavoro presenta una delle possibili applicazioni del percorso Lab-I Empowerment Emotivo – Motivazionale (De Beni, Marigo, Sommaggio, Chiarini e Borella, 2009), sviluppato dall’equipe Lab-I dell’Università di Padova come intervento di gruppo volto all’incremento del benessere in adulti e anziani. L’intervento, strutturato in sei incontri a cadenza settimanale, si propone di incrementare alcune competenze strettamente relate al benessere psicologico quali soddisfazione personale, strategie di coping e competenze emotive. I risultati ottenuti dall’applicazione del percorso nel trattamento di uno studente universitario, presso il servizio Spazio Ascolto del Politecnico di Milano, hanno evidenziato come una crescente autoconsapevolezza dei propri vissuti, delle proprie emozioni, dei propri pensieri, così come l’attribuzione di un significato agli obiettivi personali, la consapevolezza delle abilità e delle competenze acquisibili possano risultare validi strumenti per aumentare la percezione di ben-essere e superare il disagio anche in ambito universitario. Oltre il comportamento pro-sociale: uno studio pilota sull’altruismo Lawrence Soosai Nathan, Luca Negri, Antonella delle Fave (Università degli Studi di Milano) Numerose ricerche evidenziano il legame tra comportamento altruistico e benessere. La maggior parte di esse, tuttavia, considera l’altruismo esclusivamente in termini di comportamento prosociale. Poco ancora si conosce del concetto di altruismo e degli aspetti culturali ad esso collegati. Questo studio approfondisce tali tematiche attraverso l’analisi delle dimensioni psicologiche, sociali e culturali dell’altruismo. Per raggiungere questi obiettivi è stato sviluppato l’Altruism Questionnaire che invita i partecipanti a: definire il concetto di altruismo; indicare benefici e difficoltà connessi all’altruismo; elencare le principali fonti da cui hanno acquisito il concetto di altruismo. Lo studio ha coinvolto 119 partecipanti: 60 indiani (51.7% donne) e 59 italiani (62.7% donne). Le definizioni fornite dai partecipanti integrano la componente comportamentale dell’altruismo con dimensioni psicologiche, sociali e relazionali. Entrambi i gruppi hanno 49 identificato come principale beneficio dell’essere altruisti il miglioramento delle relazioni, individuando nella critica e nell’incomprensione altrui le principali difficoltà. Famiglia e società sono risultate le principali fonti da cui deriva il concetto di altruismo. In riferimento alle differenze tra gruppi, gli indiani hanno definito l’altruismo primariamente in termini di Valore/Virtù, gli italiani come Preoccupazione/Cura dell’altro. Gli indiani hanno sottolineato i benefici spirituali e le difficoltà legate agli obblighi connessi all’altruismo. Il campione italiano ha enfatizzato la religione come fonte del concetto di altruismo. I risultati evidenziano come lo studio dell’altruismo non possa limitarsi all’analisi del comportamento pro-sociale, ma debba includere anche dimensioni psicologiche e culturali. Queste ultime appaiono fondamentali per progettare interventi di promozione della crescita eudaimonica di individui e comunità. Benessere degli insegnanti: fattori determinanti e influenze sulla mission percepita Veronica Velasco, Massimo Miglioretti, Luca Vecchio, Corrado Celata* (Università di MilanoBicocca, Dipartimento di Psicologia, *ORED-Osservatorio Regionale sulle Dipendenze, Regione Lombardia) Un numero ancora limitato di ricerche ha posto l’attenzione su quelle che potrebbero essere le risorse individuali e di contesto che, favorendo il benessere degli insegnanti e la soddisfazione lavorativa, possono incidere in modo positivo sulla loro prestazione lavorativa. Alla luce di tali premesse questo studio si propone di analizzare le relazioni tra risorse individuali, risorse contestuali, burn-out, engagement e soddisfazione lavorativa in un gruppo di insegnanti lombardi. Inoltre si propone di verificare le relazioni tra queste variabili e la mission percepita dagli insegnanti. Nella ricerca sono stati coinvolti 209 insegnanti di 201 scuole medie inferiori e superiori. A tutti è stato chiesto di compilare un questionario che indaga diverse dimensioni del lavoro dell’insegnante (ad es. l’autonomia nella didattica, il lavoro di gruppo tra colleghi, il supporto del dirigente, la gestione degli studenti indisciplinati, il rapporto con i genitori), l’autoefficacia individuale e collettiva, il burn-out, l’engagement e la soddisfazione lavorativa oltre che la mission percepita dall’insegnate e le variabili socio-anagrafiche di ciascuno. Attraverso un modello di equazioni strutturali si è potuto evidenziare che l’autoefficacia, individuale e collettiva, svolge un ruolo di mediazione tra le dimensioni del lavoro dell’insegnante e la percezione di burnout e di engagement, e queste svolgono a loro volta un ruolo di mediazione tra le dimensioni del lavoro dell’insegnante e la percezione di soddisfazione lavorativa. Sia il burn-out, sia l’engagement 50 sia la soddisfazione lavorativa sono correlati con la percezione di una mission educativa dell’insegnante, mentre non paiono correlati ad una mission focalizzata semplicemente sul ruolo didattico. Emozioni e soddisfazione di vita come fattori di protezione in bambini palestinesi Guido Veronese, Nicoletta Businaro, Mahmud Said, Marco Castiglioni (Università degli Studi di Milano-Bicocca) Molti studi hanno evidenziato gli effetti psicologici negativi (in particolare disturbi post-traumatici) del vivere in un contesto caratterizzato da conflitti politici e violenza (Miller, Kulkarni e Kushner, 2006). Invece poche ricerche sono state condotte per rilevare gli aspetti di funzionamento e benessere che possono costituire rilevanti fattori protettivi (Veronese, Said e Castiglioni, 2010). Almeno il 55% dei bambini palestinesi ha vissuto esperienze traumatiche e dunque risulta evidente la condizione di rischio per il benessere. Ciò però non deve escludere la necessità di esplorare le condizioni che possono promuoverlo e rinforzarlo. In questa direzione, il presente studio indaga il livello di benessere di 74 bambini Palestinesi (43 maschi e 31 femmine), di età compresa tra i 7 e i 15 anni. I bambini hanno risposto alla domanda aperta “Cosa ti fa sentire bene?” ed hanno compilato i seguenti questionari autovalutativi: Positive and Negative Affect Schedule-Children (Laurent et al. 1999) per misurare l’intensità delle emozioni; Multidimensional Students’ Life Satisfaction scale (Huebner, 1994) per misurare la soddisfazione; Faces Scale (Andrews e Withey, 1976) per la valutazione della felicità. Sono state condotte analisi qualitative (Atlas-Ti) e quantitative (Spss). I risultati evidenziano che i bambini, nonostante le condizioni ambientali avverse, riportano buoni livelli di benessere. Inoltre emerge la rilevanza dei fattori non solo personali ma anche sociali (in particolare le relazioni familiari ed amicali) nel favorire un buon livello di benessere. Dall’analisi di regressione emerge che le emozioni positive contribuiscono alla soddisfazione del bambino. I risultati vengono discussi alla luce delle implicazioni cliniche del benessere in condizioni di vita potenzialmente traumatiche. 51 Le determinanti della soddisfazione lavorativa in università: il caso di un ateneo italiano Margherita Zito e Monica Molino (Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Psicologia) Molti studi indagano le determinanti della soddisfazione lavorativa, intesa come indicatore di benessere psicologico al lavoro, in diversi contesti. Quello accademico, in Italia, non è ancora stato oggetto di specifiche ricerche, a differenza di altri paesi in cui è stato segnalato un peggioramento della qualità della vita lavorativa (Kinman e Jones, 2008). Obiettivo dello studio è indagare il ruolo di alcune risorse nel determinare la soddisfazione al lavoro. In particolare, la ricerca si focalizza sull’autonomia lavorativa (caratteristica del lavoro accademico; Winefield et al., 2003), con attenzione alle differenze tra personale docente-ricercatore (PDR) e tecnico-amministrativo (PTA) di un’Università italiana. Il questionario, compilato da 595 rispondenti (46.6% PDR; 53.4% PTA), ha indagato: soddisfazione lavorativa (α .76), supporti organizzativi (capi: α .90; colleghi: α .91), autonomia lavorativa (α .91), commitment affettivo (α .85). L’analisi dei dati (PASW18) ha previsto: analisi descrittive, α di Cronbach, analisi della varianza, correlazioni, regressioni multiple. I dati evidenziano il ruolo del supporto dei superiori e, in misura minore, del commitment affettivo nel favorire la soddisfazione lavorativa nei due campioni. L’autonomia, invece, mostra un’influenza positiva sulla soddisfazione solo nel PDR, il quale, come mostra l’analisi della varianza, la percepisce maggiormente rispetto al PTA. Nonostante alcuni studi abbiano segnalato l’autonomia come causa di destrutturazione della giornata lavorativa da parte del personale accademico (lavoro alla sera e nei fine settimana; Jacob e Winslow, 2004), con conseguente perdita dei confini tra lavoro e resto della vita, i risultati di questa ricerca indicano l’autonomia come risorsa utile per promuovere il benessere psicologico al lavoro. La mente biculturale: un vincolo per il benessere personale e sociale del futuro? Valentino Zurloni, Olivia Realdon, Luigi Anolli (CESCOM – Centro Studi per le Scienze della Comunicazione, Università degli Studi di Milano-Bicocca) Oggi stare bene con se stessi e con gli altri va incontro a una gamma estesa di difficoltà e minacce generate da un’ondata massiccia di pressioni ambientali (revival etnico, migrazioni planetarie imponenti, globalizzazione virtuale e commerciale ecc.). Date tali pressioni, una mente monoculturale, predominante oggi negli umani, presenta limiti invalicabili in termini di benessere 52 (attrito, conflitto, discriminazione, diffidenza, insicurezza, violenza, etnocentrismo, fondamentalismo ecc.). Per affrontare questa condizione occorre passare da una mente monoculturale a una mente biculturale. È il passaggio compiuto recentemente da una minoranza di individui (soprattutto giovani), documentato da numerose evidenze sperimentali a livello sia comportamentale sia cerebrale (cervello biculturale dinamico). Nella loro mente gli individui biculturali si sono appropriati dei modelli e sindromi di due culture diverse, anche antitetiche fra loro (non sono “sino-americani” con il trattino, ma “cinesi e americani”; doppia identità culturale). L’alternanza culturale (cultural frame switching) consente loro di passare da una cultura all’altra in funzione degli indizi tangibili della situazione immediata (accessibilità mentale grazie al priming). La mente biculturale, possibile “salto in avanti” nell’evoluzione della nostra specie, presenta una gamma estesa di vantaggi effettivi in termini di benessere personale e sociale. È una mente aperta, flessibile, versatile, tollerante, creativa. È una mente al plurale, in grado di promuovere nuove forme di convivenza e di qualità della vita. Il presente contributo intende illustrare la traiettoria teorica della mente biculturale. Sul piano operativo, intende altresì presentare alcune linee guida per un percorso educativo (ricerca-azione) idoneo a promuovere la mente biculturale in ragazzi in età scolastica. 53 Abstract Poster 54 Stare bene a scuola: similarità e differenze tra insegnanti di sostegno e curricolari nella scuola primaria Loredana Addimando, Alessandro Pepe (Università degli Studi di Milano-Bicocca) La soddisfazione occupazionale è da tempo considerata un robusto predittore del benessere individuale e della performance lavorativa (Diaz-Serrano e Cabral Vieira, 2005). Blum (1956) definisce ‘job satisfaction’ l’insieme degli atteggiamenti individuali nei confronti del proprio lavoro e dei fattori ad esso correlati. La professione insegnante risulta a rischio per lo sviluppo di fenomeni di stress lavoro correlato e (conseguente) riduzione del benessere (Addimando, 2010; Brackett, Palomera, Amojsa-Kaja, Reyes e Alovey, 2010). Il presente studio esplora la relazione tra la soddisfazione lavorativa e il grado di ‘sofferenza psicologica’ (Fraccaroli e Schadee, 1993) in un campione di insegnanti di scuola primaria della Lombardia (N=384). Attraverso l’utilizzo di tecniche di regressione, si vuole esplorare il contributo di alcune dimensioni collegate alla soddisfazione lavorativa rilevata attraverso Teachers’ Job Satisfaction Scale (TJSS-11; Pepe, 2011) nello spiegare la variabilità dei punteggi di sofferenza psicologica, rilevati attraverso General Health Questionnaire (GHQ-12; Fraccaroli e Schadee 1993) con particolare attenzione alle differenze esistenti tra insegnanti di sostegno (IS) ed insegnanti curriculari (IC). I risultati della regressione stepwise sottolineano come nel gruppo IC (F1,333 = 12.20, p < .00l, r2 = .063) la soddisfazione nei confronti dei colleghi (β = -.182, p < .001) e degli studenti (β = -.166, p < .002) abbia una funzione moderatrice del grado di sofferenza psicologica. Nel gruppo IS (F1,48= 7.298, p < .01, r2=.114) tali variabili non risultano significative, al contrario di quanto rilevato nella soddisfazione nei confronti dei genitori (β = -.363, p < .01). I risultati sono discussi in relazione alla necessità di pianificare interventi di promozione del benessere differenziati per i due gruppi di docenti. La promozione del benessere psicologico nel trattamento dei disturbi somatici in età evolutiva Elisa Albieri, Dalila Visani, Francesca Vescovelli, Fedra Ottolini, Chiara Ruini (Università di Bologna, Dipartimento di Psicologia) In età pediatrica il disagio psicologico si manifesta frequentemente attraverso sintomi somatici, in particolare cefalee e dolori addominali, per i quali spesso i trattamenti sanitari tradizionali non 55 sembrano risolutivi, suggerendo così la potenziale utilità di un aiuto piscologico. Lo scopo di questo studio pilota è l’applicazione della Well-Being Therapy (WBT) su un campione di bambini (N=16; età media=10,13; DS=1,78) afferenti al Servizio di Salute Mentale e Riabilitazione InfanziaAdolescenza della AUSL di Ferrara, testandone i possibili effetti nella riduzione dei sintomi di disagio, in particolare quelli somatici, e nello sviluppo di nuove capacità e competenze. La WBT si è articolata in 8 sedute settimanali individuali e 2 incontri aggiuntivi di Parent Training. È stato inoltre effettuato un incontro di follow-up a 1 anno. I livelli di benessere e disagio psico-fisico dei bambini sono stati misurati attraverso 3 questionari: 1) Psychological Well-Being Scale (PWB); 2) Symptom Questionnaire (SQ); 3) Revised Children’s Manifest Anxiety Scale (R-CMAS). A fine trattamento tutti i bambini risultavano migliorati, facendo rilevare una riduzione dei sintomi ansiosi e somatici e l’incremento delle competenze generali e del benessere psicologico, confermati dal parere dei genitori. I risultati si sono mantenuti anche al follow-up, continuando a far registrare in molti casi significativi miglioramenti. Nonostante si tratti di un’indagine preliminare, questo nuovo trattamento, mirato alla promozione del benessere psicologico in età pediatrica, mostra di poter essere molto utile anche nel ridurre la sofferenza somatica, favorendo lo sviluppo di aspetti del benessere che sembrano svolgere un ruolo protettivo prolungato. Autismo e sedute di PAT Gloria Argentieri, Serena Basile, Roberta Cacioppo, Gubert Finsterle, Riccardo Pignatti (AVS Research) La seduta di Psico-Acustica Transizionale (PAT) - completamente determinata dal punto di vista fisico-matematico - consiste nell’ascolto di un suono a struttura frattalica emesso secondo i parametri previsti dal sistema di riproduzione audio AVS (Int. pat.), in grado di indurre uno stato di ipersincronizzazione globale tra popolazioni neurali che sembra attivare un processo di cancellazione endogena di patterns disfunzionali correlabile all’apertura di nuovi ed efficaci percorsi neurali. L'effetto generale è una maggiore plasticità e connettività funzionale tra le popolazioni neurali, incrementando prestazioni psico-fisiche per almeno 48 ore. È stato condotto uno studio pilota su 5 bambini di età compresa tra i 4-7 anni (3: sindrome autistica, 1: ritardo della comunicazione, 1: disturbo linguistico-emotivo-relazionale) per valutare quali cambiamenti possano essere indotti da 6 sedute di PAT (frequenza bisettimanale). Tutti i soggetti erano già in terapia presso un centro medico specializzato da almeno 6 mesi. L'efficacia delle sedute è stata valutata attraverso griglie di osservazione analitica suddivisa per aree (emotivo-relazionale, cognitiva, 56 linguistico-espressiva, percettivo-motoria) compilate dagli operatori di riferimento, un questionario semi-strutturato compilato da un care-giver contenente note degli operatori e la videoregistrazione delle sedute. Tutti i bambini hanno risposto in modo positivo al trattamento, permettendo in alcuni di riscontrare cambiamenti dalla prima seduta. In nessun caso si sono verificati effetti collaterali negativi. Nei bambini si sono osservati la riduzione, quando presenti, di stereotipie, tic, manierismi, eccessiva sensibilità a determinati stimoli oltre all’acquisizione di nuove competenze cognitive. Un dato che emerge trasversalmente riguarda una modulazione più armonica delle competenze motorie e attentive. Psicologia ambientale e benessere al lavoro: il ruolo della restorativeness nella determinazione della sicurezza Rita Berto, Margherita Brondino, Margherita Pasini (Università di Verona) Molte ricerche hanno indagato l’impatto di variabili organizzative e di caratteristiche individuali sulla salute fisica e mentale del lavoratore, ma quali sono le caratteristiche fisiche dell’ambiente di lavoro, percepite dal lavoratore, maggiormente associate al suo benessere? Le caratteristiche fisiche dell’ambiente possono essere la causa di disturbi fisici-fisiologici e di fatica mentale (Kaplan, 1995), cioè una condizione di affaticamento dell’attenzione diretta che può tradursi in maggiori incidenti/infortuni. Per non compromettere la capacità attentiva, gli ambienti di lavoro dovrebbero avere un livello adeguato di stimolazione, offrire la possibilità di un certo grado di controllo e offrire affordances adeguate, cioè dovrebbero essere dotati di alcune caratteristiche rigenerative. In un recente studio (Pasini, Berto e Brondino, 2011) è stata trovata una relazione negativa tra restorativeness percepita e frequenza degli incidenti sul lavoro: i lavoratori che percepiscono il loro ambiente di lavoro come meno rigenerativo riferiscono di avere avuto più incidenti. Nella presente ricerca il livello di rigenerazione dell’ambiente di lavoro è misurato su alcune dimensioni della PRS (Pasini, Berto, Scopelliti e Carrus, 2009) nella sua versione modificata, in particolare “Fascination” (capacità dell’ambiente di attrarre l’attenzione involontaria), “Coherence” (il grado di coerenza interna dell’ambiente) e “Being-Away” (allontanarsi dalla realtà quotidiana). La ricerca ha coinvolto 540 lavoratori in produzione di una azienda veneta. Attraverso un modello di regressione, si evidenzia che dei tre fattori rigenerativi, l’unico rilevante nel determinare un minor numero di incidenti è la “Coherence”: la disposizione coerente della postazione di lavoro contribuisce a non affaticare l’attenzione, portando ad una riduzione degli incidenti. 57 Job Search Behaviour e Psicologia Positiva: motivazione ed auto-efficacia nella ricerca di un lavoro Laura Bortolossi, Margherita Pasini (Università di Verona) L’utilizzo di tecniche atte a far emergere profili motivazionali è recentemente aumentato negli ultimi anni nella letteratura scientifica ed in alcuni recenti articoli sulla Self Determination Theory (Gillet, Vallerand e Rossnet, 2009; Ratelle, Guay, Vallerand, Larose e Senécal 2007; Vansteenkiste, Sierens, Soenes, Luyckx e Lens, 2009). Bortolossi, Pasini e Gliozzo (2010) hanno evidenziato la presenza di quattro profili motivazionali, in relazione al livello di motivazione autonoma e di motivazione controllata, che mostrano un diverso andamento nel comportamento di ricerca attiva del lavoro (Job Search Behaviour, JSB; Bretz, Boudreau e Judge, 1994; Blau, 1993, 1994): l'alta motivazione, sia autonoma che controllata, determina il più alto valore di JSB. Anche un'alta autoefficacia percepita nella ricerca del lavoro (Job Search Self-Efficacy, JSSE; Saks, 2006) è in relazione ad un alto JSB. La presente ricerca indaga l'effetto combinato dell'auto-efficacia e del profilo motivazionale nel JSB. L’analisi di 258 disoccupati provenienti dai Centri per l’Impiego della Regione FVG ha evidenziato che questi, pur con alta JSSE, se non sono supportati dalla motivazione, manifestano dei bassi comportamenti di JSB. Senza motivazione, possedere un’alta auto efficacia non determina un elevato comportamento di ricerca del lavoro. Confrontando tra loro i due gruppi con più alta e più bassa JSSE rispetto al comportamento di ricerca del lavoro, il gruppo ad alto valore di JSSE mostra sempre un valore più elevato di JSB, per ogni profilo motivazionale, tranne per il gruppo con bassa motivazione autonoma e controllata, per il quale non vi è differenza significativa nel JSB. M.Im.O.S.A. : trattamento del disorientamento spaziale degli anziani Valentina Busato, Adalberto Bordin, Rossella Basso (Consorzio Sociale CPS) Il protocollo riabilitativo M.Im.O.S.A. ha origine da una precedente ricerca-intervento condotta in collaborazione con F. Pazzaglia, docente di Psicologia generale e della Personalità e di Abilità spaziali all’Università di Padova e ha lo scopo di migliorare le abilità di orientamento spaziale negli anziani. M.Im.O.S.A. si propone di educare l’immaginazione e di usarla come possibile strategia cognitiva per potenziare l’orientamento spaziale in soggetti anziani. Si prefigge lo scopo di rendere più agevole il recupero delle informazioni in memoria, arricchendole di connessioni significative al 58 momento della codifica. È stato sperimentato in trentasei soggetti anziani residenti presso una struttura gestita dal Consorzio sociale CPS di Treviso e i dati emergenti dalla ricerca hanno evidenziato come il training abbia permesso al gruppo sperimentale di ottenere un atteggiamento meta- cognitivo funzionale ai compiti di orientamento spaziale e acquisire un miglioramento dello stato di benessere. M.Im.O.S.A. descrive in modo pratico e dettagliato un protocollo operativo di orientamento spaziale da attuare in una residenza per anziani ad opera di psicologi, educatori professionali/pedagogisti, animatori ed operatori socio-sanitari. Regolazione delle emozioni e benessere nei bambini... Nicoletta Businaro, Ottavia Albanese (Università degli Studi di Milano-Bicocca) Vi è un sostanziale accordo che la capacità di regolare le proprie emozioni, abilità che rientra nel complesso costrutto teorico di competenza emotiva (Albanese et al., 2006), possa essere un possibile predittore per il benessere della persona (Eisenberg e Fabes, 1999; Caprara e Steca, 2005). Nell’ambito della Psicologia Positiva, la prospettiva edonica (Diener, 2000) riferisce il concetto di benessere ad una componente emotiva (emozioni) e ad una cognitiva (soddisfazione della vita). Gli studi sul legame tra regolazione delle emozioni e benessere sono stati condotti con adolescenti ed adulti e poche ricerche hanno considerato la fascia di età infantile. Dunque, il presente studio intende indagare tale legame in un campione di 132 bambini (72 maschi e 60 femmine; età media=9.5). I bambini hanno compilato i seguenti questionari autovalutativi: How I feel (Walden et al., 2003; “Come mi sento” - versione italiana di Antoniotti et al., 2008), Positive and Negative Affect (Laurent et al., 1999), Multidimensional Students’ Life Satisfaction Scale (Huebner, 1994). La capacità di regolare le proprie emozioni, soprattutto negative, risulta legata al benessere, in particolare, alla componente emotiva. Una maggiore capacità di regolare le emozioni negative è legata ad una maggiore intensità di emozioni positive (p<.001). I risultati evidenziano inoltre significative differenze di genere per le tre variabili considerate (regolazione emotiva, intensità emozioni e soddisfazione). I risultati verranno discussi alla luce delle implicazioni che la capacità di regolare le emozioni può avere per il benessere individuale e sociale del bambino. 59 Consumo di Carne: Il Problema Elena Cadel (Università degli Studi di Milano-Bicocca) La carne è considerata un prodotto fondamentale per l’alimentazione, tuttavia, consumi eccessivi hanno gravi implicazioni per la salute e per l’ambiente. Recenti studi hanno dimostrato una correlazione diretta tra l’abbondanza di proteine animali e lo sviluppo delle più comuni patologie, quali obesità, cancro, malattie cardiovascolari e sindrome metabolica. Contemporaneamente, allevare animali per scopi alimentari, soprattutto in contesti industriali, influisce sui cambiamenti climatici a causa delle emissioni di gas tossici, dello spreco di risorse (come, acqua ed elettricità), della deforestazione e dei danni provocati dallo smaltimento di tutto ciò che non è utile alla produzione. In Italia il consumo di carne è aumentato vertiginosamente negli anni e nuove abitudini alimentari devono farsi strada nella popolazione. L’informazione, da sola, non è sufficiente per incoraggiare la messa in atto di nuovi comportamenti, soprattutto se essi implicano un impegno a lungo termine; per questo motivo, urge cercare strategie basate sulla comprensione del rapporto carne-individuo. L’obiettivo di questo progetto di dottorato è di analizzare le percezioni, le aspettative di consumo, gli atteggiamenti e le principali variabili psicologiche, come identità, norme e valori, che possono influire su questa relazione. L’indagine verrà svolta su un campione di giovani (età 21-31), autonomi nei loro comportamenti di consumo, e prevede l’utilizzo di strumenti quantitativi (un questionario basato su una versione modificata della Teoria del Comportamento Pianificato) per descrivere il fenomeno e di strumenti qualitativi, come il Life Histories Interview Approach, per indagarne l’evoluzione e le implicazioni culturali. La valutazione degli aspetti psicosociali della menopausa Alessandra Capra (Università degli Studi di Milano-Bicocca) Due lavori hanno affrontato il tema della menopausa. Il primo si è occupato di intervistare donne in menopausa precoce per esplorare i sentimenti, le emozioni e le percezioni di Sé al momento della comunicazione della diagnosi e la ricaduta sulla vita quotidiana; l’ipotesi di ricerca, confermata dall’analisi dei contributi narrativi, era verificare se gli aspetti psicosociali legati alla menopausa precoce fossero influenzati dal contesto sociale e dagli stereotipi relativi. Per il secondo è stato costruito un questionario, ispirato dallo Psychological General Well Being Index e dal Women Health Questionnaire, somministrato a donne in menopausa e non; l’ipotesi di ricerca era valutare 60 se la qualità della vita potesse essere intaccata dall’evento. I dati raccolti, elaborati tramite SPSS, hanno rivelato due fattori: Benessere e Senso di liberazione. Per le donne in menopausa l’aumento di benessere è direttamente proporzionale con la distanza dall’evento; mentre per le altre il benessere decresce con l’avvicinarsi dell’evento. Disturbi alimentari e organizzazione del significato: un contributo empirico Marco Castiglioni*, Elena Faccio**, Guido Veronese*, Annalisa Poiana Mosolo** (*Università di Milano-Bicocca, Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “R. Massa” ** Università di Padova, Dipartimento di Psicologia Applicata) Secondo l’approccio sistemico-costruzionista la psicopatologia è una “scienza del significato”: i disturbi psicopatologici sono legati a specifiche dimensioni semantiche e alla posizione occupata dai singoli individui nel loro contesto familiare. La semantica del potere è considerata la dimensione di significato critica per le persone che presentano disturbi alimentari (anoressia, bulimia, obesità). Il contributo sottopone al vaglio empirico la teoria che connette i disturbi del comportamento alimentare (DCA) alla semantica del potere, formulando l’ipotesi che i significati personali “vincente/perdente” e i loro correlati siano predominanti per questi pazienti. I costrutti personali di 30 giovani DCA (suddivisi in 10 obesi, 10 anoressiche, 10 bulimiche) sono stati rilevati utilizzando la tecnica delle Griglie di Repertorio (Kelly, 1955) e posti a confronto con quelli di un gruppo di controllo composto da 30 soggetti normo-peso. I costrutti personali sono stati classificati in categorie semantiche e i dati confrontati attraverso opportune analisi statistiche. Dai risultati emerge che i costrutti del gruppo DCA sono correlati alla semantica del potere più di quelli del gruppo di controllo, confermando le ipotesi formulate, sebbene l’interpretazione dei dati relativi ai sottogruppi appaia meno chiara. Tali risultati possono essere rilevanti sia alla luce sia delle loro implicazioni cliniche sia in termini di prevenzione e di promozione del benessere e della salute. 61 La regolazione emozionale e rabbia come predittori del benessere nei giovani all’inizio dell’adolescenza e verso l’età adulta Cristina Ciuluvica*, Maria Cristina Verrocchio**, Chiara Conti**, Daniela Marchetti**, Mario Fulcheri** (*Università di Bucarest, Facoltà di Psicologia e Scienze dell’Educazione ** Università G. D’Annunzio Chieti-Pescara, Facoltà di Psicologia) Considerando sia le grandi trasformazioni emozionali e sia il fatto che il periodo dell’adolescenza è caratterizzato da importanti cambiamenti che sono determinanti per l’equilibrio e la qualità di vita nell’età adulta, il presente lavoro mira ad individuare le relazioni tra autostima, regolazione emozionale, aggressività e benessere nei giovani all’inizio ed alla fine dell’adolescenza e portare un contributo su ciò che riguardano i metodi di sviluppo personale in questa fascia di età. Si è scelto di effettuare la ricerca su un campione di 220 giovani di età compresa tra i 15 e 23 anni. Per la valutazione della regolazione emozionale è stato utilizzato Emotion Regulation Questionnaire (Gross e John, 2003), considerando due meccanismi di base con impatto differente sulla qualità di vita e benessere della persona: la soppressione espressiva e la rivalutazione cognitiva. Per esaminare l’aggressività sono state rilevate: aggressività fisica, aggressività verbale, rabbia e ostilità con l’utilizzo del Aggression Questionnaire (Buss e Perry, 1992). Per determinare invece il benessere della persona è stato utilizzato Satisfaction With Life Scale (Diener, Emmons, Larsen e Griffin, 1985) e come indice di riferimento, il valore soggetivo di vita. Per la valutazione dell’autostima è stato utilizzato Rosemberg con Self-Steem Scale sviluppada da Moris Rosemberg (1965). Indipendentemente dalle caratteristiche socio-demografiche (sesso ed età), l’autostima risulta correlata sia con la rivalutazione cognitiva e sia con il livello e la forma dell’aggresività con implicazioni sul benessere fisico e psicologico della persona. È stata dimostrata una correlazione positiva fra l’autostima e la rivalutazione cognitiva (,334; p<,001) e fra autostima e soddisfazione soggettiva di vita (,618; p<,001). Per ciò che riguarda l’aggressività sono state trovate correlazioni negative fra autostima e rabbia (-,356; p<,001), autostima e ostilità (-,502; p<,001) e autostima e aggressività totale (-,328; p<,001). Nello steso tempo, per la popolazione studiata, è stato dimostrato che esiste una correlazione negativa fra la soppressione espressiva delle emozioni e la rabbia (-,229; p<,001) e fra soppressione e aggressività totale (-,140; p=,038). L’analisi dei dati ha confermato l’ipotesi principale del seguente studio, ossia che l’autostima influenza notevolmente la capacità di regolazione emozionale ed implica importanti cambiamenti sul livello di aggressività e di benessere della persona. 62 I Disturbi dello Spettro Autistico oggi: curare lo sviluppo di identità “atipiche” all’interno di comunità “tipiche” aperte al valore delle differenze Vittoria Cristoferi, Emanuela Corneli, Marta De Rinaldis (Associazione OIKIA) L’aumentata prevalenza del disturbo dello spettro autistico e il riconoscimento di competenze cognitive e relazionali, peculiari ma reali, nei soggetti autistici, sensibilizzano sempre più la comunità ad un’integrazione positiva. Il miglior approccio parte da ciò che le persone autistiche propongono e manifestano, dai loro interessi, e li coinvolge con spontaneità in relazioni che valorizzano ciò che è adeguato in loro, rinforzando i comportamenti utili e funzionali. La forza di questo intervento sta nel non lasciarli mai senza proposte e nell’utilizzare strategie non coercitive mettendo in gioco le loro risorse spesso sorprendenti. L’associazione Oikia crea progetti di integrazione allargata e partecipata, dalla prima infanzia fino all’Università o al lavoro: a partire dalla richiesta della famiglia, struttura interventi multidimensionali, agendo su contesti formali e non, grazie alla competenza dei suoi professionisti (neuropsichiatria infantile, psicologi, logopedista, educatore professionale) e all’uso di innovative metodologie comunicative, relazionali ed educative (C.A.A.:W.O.C.E., Approccio D.I.R./Floortime, Family’s Angels). L’intervento mira a creare esperienze con lo scopo di incrementarne le capacità comunicative e relazionali e sviluppare apprendimenti orientati all’autonomia, con miglioramento della sua qualità di vita. La scuola è il luogo per eccellenza che permette di sviluppare questi aspetti: l’accompagnamento specialistico del ragazzo nei diversi cicli scolastici rafforza le competenze acquisite e pone le basi per un continuo miglioramento. Sia la dimensione individuale che quella relazionale diventano campo fertile per il benessere: essere aiutati ad individuare i propri punti di forza permette ai soggetti autistici di impegnarsi per realizzarsi e per vivere al meglio la propria vita nella comunità. Emozioni ed apprendimento a scuola Chiara Deprà, Ottavia Albanese (Università Milano Bicocca, Facoltà di Scienze della Formazione) Le emozioni legate all’apprendimento come la gioia, l’ansia e la noia sono frequenti, pervasive ed intense nelle situazioni scolastiche ed influenzano la performance cognitiva degli studenti (Pekrun, 2007). In particolare, studi recenti (Goetz et al., 2007) hanno dimostrato che le emozioni positive (gioia, orgoglio) sono significativamente correlate alla riuscita e al successo scolastico. Nonostante 63 l’importanza degli aspetti emotivi nell’apprendimento, poche ricerche sono state condotte con bambini della scuola primaria (Pekrun et al., 2002a; Schutz e Pekrun 2007, Pekrun et al. in press). Il presente studio intende indagare la relazione tra le emozioni e la riuscita in compiti di risoluzione di problemi matematici e di comprensione del testo in 77 bambini di classe terza (età media= 8 anni e 10 mesi). Gli studenti hanno compilato i seguenti questionari: Achievement Emotions Questionnaire- Elementary School – Mathematics (Pekrun, Lichtenfel, Killi; 2007) e la versione per la lingua italiana. Inoltre sono stati somministrati: la Prova di Comprensione MT (Cornoldi, 1998), il Test di Soluzione dei Problemi Matematici, SPM (Lucangeli et al., 1998). I risultati evidenziano che, in generale, i bambini provano con maggiore intensità gioia (M=3.53) rispetto a noia (M=1.81) ed ansia (M=1.89). Significative differenze (paired t-test) emergono in considerazione delle discipline: i bambini provano maggiore gioia, minore noia ed ansia in matematica rispetto all’italiano. Correlazioni significative indicano che migliori risultati nella risoluzione dei problemi e nella comprensione del testo sono legati all’emozione della gioia mentre correlazioni negative si hanno con l’emozione dell’ansia. Tali risultati suggeriscono l’utilità di tenere in considerazione il ruolo degli aspetti emotivi per l’importanza che essi rivestono nel processo stesso di apprendimento e per l’effettivo rendimento scolastico. La meditazione: un metodo per potenziare benessere e risorse cognitive attraverso l’incremento delle risorse delle emozioni positive Veronica Delai, Anna Maria Meneghini (Università degli Studi di Verona, Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia) La ricerca segue il paradigma sperimentale che Fredrickson e collaboratori hanno utilizzato per lo studio degli effetti delle emozioni positive (Broaden-and-Build Theory). Il metodo di induzione utilizzato è la meditazione, tecnica che, a differenza di altre proprie del setting laboratoriale (esempio: filmati), è praticabile anche nel quotidiano dopo specifico training. Scopo della ricerca: rilevare se l’induzione di emozioni positive attraverso la meditazione sortisce gli stessi effetti a breve termine delle tecniche di induzione utilizzate in laboratorio. 14 persone che praticano da tempo meditazione hanno costituito il gruppo “Induzione Emozioni Positive”. 30 partecipanti, che non praticano meditazione, hanno formato il gruppo di controllo (induzione emozione rabbia). Con uno schema di rilevazione pre-post induzione sono stati misurati gli effetti sull’intensità di 16 emozioni (5 positive; 11 negative) e sulle prestazioni dei due gruppi rispetto a 4 compiti di localglobal visual processing task e un compito di immaginazione. I risultati sono in linea con le attese 64 ed evidenziano come l’induzione di emozioni positive attraverso la meditazione produca una riduzione nell’intensità di quelle negative e un aumento di quelle positive, oltre a far sì che i “meditatori” abbiano una visione global piuttosto che local e un’immaginazione più vivida e legata al tipo di emozioni elicitate dall’induzione. Tali risultati, in linea con gli esiti degli esperimenti di Fredrickson e collaboratori, confermano come la meditazione possa essere considerata una valida tecnica di induzione di emozioni positive nel quotidiano. Bambini popolari e bambini rifiutati: quali implicazioni sullo svolgimento di un compito strutturato cooperativo? Simona De Stasio*, Caterina Fiorilli**, Maria Cristina Rappazzo*, Cristiana Rolli*, Carlo Di Chiacchio*** (*Università di Roma “Foro Italico” **Lumsa ***Invalsi) La “buona fama” che alcuni bambini si costruiscono tra i propri compagni di scuola si basa sul riconoscimento che essi ricevono a partire dai comportamenti prosociali messi in atto (Eisenberg e Fabes, 1998; Rubin, Bukowski e Parker, 1998; Walker, 2009). Le caratteristiche dei bambini rifiutati o invisibili, il cui basso grado di accettazione sociale induce i ricercatori a considerare bambini meno abili socialmente (Ladd, 2006), rimangono troppo spesso non indagate. Si ritiene interessante poter mettere a fuoco il ruolo attivo che quest’ultimi agiscono all’interno di un gruppo che li rifiuta o li nega ed approfondire i processi di riconoscimento che essi attivano. Nell’ambito di un più ampio disegno di ricerca sugli aspetti protettivi nella determinazione dello status sociometrico in classe, in questa sede saranno esplorate le possibili differenze nella qualità degli scambi verbali con l’altro attivati da bambini popolari e da bambini rifiutati. Si è scelto di analizzare gli scambi in un compito strutturato cooperativo da svolgere in coppia con un amico di classe. Su un campione di 190 bambini coinvolti di età compresa tra i 4 e 7 anni, sulla base dei sociogrammi di Moreno (1953) effettuati in ciascuna classe, sono state selezionate 18 coppie. È stata effettuata un’analisi qualitativa delle conversazioni secondo la metodologia proposta da Fasulo e Pontecorvo (1999) individuando 3 strategie conversative: cooperazione vs. conflitto, accordo vs. disaccordo, simmetria vs. asimmetria. Gli esiti principali evidenziano come in presenza di un bambino molto popolare la coppia protende per un’ interazione cooperativa e in accordo; in presenza, invece, di un bambino rifiutato, l’interazione assume i caratteri di conflittualità, disaccordo e asimmetria. 65 Effetti Psicologici Postivi Dell’immersione Subacquea: un’innovativa tecnica per il raggiungimento del benessere Chiara Di Credico, Filippo Cestaro, Alessandra Santona, Gherardo Amadei (Università degli Studi di Milano-Bicocca) In contrapposizione alla tradizionale visione che generalmente considera l’attività di immersione subacquea un’attività che induce stress e sconsigliata per le persone con una tendenza all’ansia elevata, si vogliono sottolineare gli effetti psicologici positivi di questa attività, condotta in determinate condizioni. Studi mostrano la dominanza di attivazione parasimpatica durante l’immersione, altri evidenziano una relazione tra l’incremento dell’attività parasimpatica ed il benessere. Nessuno studio ancora indaga la relazione tra immersione e benessere. Scopo di questo lavoro è stato quello di investigare questa relazione con particolare attenzione ai livelli di ansia, all’equilibrio emotivo e alla capacità di mindufulness, anche in presenza di elevati livelli di ansia. 120 soggetti sono stati reclutati in un luogo di vacanza: 61 hanno svolto attività subacquea; 59 hanno svolto altre attività, tranne quella subacquea. Sono state svolte le misurazioni in due momenti distinti: il giorno di arrivo nella struttura turistica; il giorno prima di partire e sono stati valutati i cambiamenti psicologici dopo una settimana. Il gruppo dei subacquei diminuisce significativamente i livelli di ansia di stato e di tratto confrontati con i controlli, anche in coloro con alti livelli di ansia di tratto alla baseline. Anche l’equilibrio emotivo e la mindufulness dei subacquei mostrano significativi miglioramenti. Questo primo studio sperimentale vuole introdurre una innovativa tecnica per il raggiungimento del benessere. Quindi, si suggerisce di considerare questa attività, svolta in determinate condizioni, come un nuovo modo per promuovere il benessere e per migliorare l’abilità di far fronte efficacemente alle differenti richieste ambientali. Non solo burden: aspetti positivi correlati all’assistenza di un familiare affetto da Malattia di Alzheimer Susanna Falchero, Elisa Tanzini (Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale) La letteratura scientifica evidenzia da tempo come l’assistenza quotidiana ad un familiare affetto da malattia degenerativa, quale quella di Alzheimer, sia un compito estremamente impegnativo che 66 mette a dura prova il benessere psicofisico del primary caregiver e degli altri membri della famiglia. Se la maggior parte delle ricerche si è concentrata sull’impatto negativo del caregiving, esistono però alcuni studi che hanno dimostrato come prendersi cura di un familiare gravemente ammalato possa rappresentare anche un momento positivo di “crescita personale” (i.e. Koerner et al., 2009). Abbiamo pertanto inteso valutare la percezione di aspetti positivi in primary caregiver di pazienti affetti da malattia di Alzheimer, attraverso colloqui di ricerca. Utilizzando come cornice teorica di riferimento il lavoro di Sanjo et al. (2009) si sono analizzate quattro macroaree: senso di competenza personale, senso della vita, riordino delle priorità, apprezzamento degli altri. I risultati evidenziano una correlazione inversa tra livelli di burden esperito e percezione di aspetti positivi nel caregiving, soprattutto per quanto riguarda l’area “riordino delle priorità”. Ciò sembra indicare che la diminuzione dei livelli di burden si accompagni al cambiamento nella gerarchia dei propri valori personali e a un maggiore apprezzamento per “il quotidiano”. Consapevoli che tali riflessioni non sempre sorgono in modo spontaneo, riteniamo fondamentale la messa a punto di interventi rivolti ai primary caregiver affinché, attraverso metodi quali il colloquio o l’autobiografia, possano ripercorrere l’esperienza della care e riappropriarsi di quegli aspetti positivi che spesso vengono “oscurati” dal peso dell’assistenza. Effetti psicosociali della formazione negli atteggiamenti degli insegnanti di sostegno Graziella Di Marco, Orazio Licciardello, Manuela Mauceri (Università di Catania) Abbiamo proposto un intervento formativo laboratoriale e ispirato all’Action Learning, a 61 insegnanti abilitanti al sostegno. Abbiamo adottato metodologie didattiche attive, orientate a produrre apprendimenti e cambiamenti mediante il coinvolgimento personale dei partecipanti in setting di piccolo gruppo, per stimolare una riflessione sulla propria identità professionale, sulle personali rappresentazioni della disabilità e sugli effetti che tali rappresentazioni possono avere sulla qualità delle relazioni tra insegnanti e studenti. L’obiettivo della ricerca è stato duplice: per un verso, esplorare la rappresentazione che il nostro campione ha dell’insegnante di sostegno e dell’alunno, e valutare il coinvolgimento emotivo nel rapporto educativo; per l’altro, verificare l’ipotesi secondo la quale l’intervento proposto, centrato sulla partecipazione attiva dei formandi, potesse produrre una rappresentazione degli alunni più positiva e connotata da un maggiore coinvolgimento emotivo. Abbiamo utilizzato i seguenti strumenti: 4 items per misurare il Sentimento del Potere (Spaltro, 1984); 3 Differenziali Semantici; il Portrait Values Questionnaire 67 (Schwartz et al., 2001), limitatamente ai 10 items che misurano la dimensione valoriale dell’Autotrascendenza; 2 inventari PANAS (Watson et al., 1988); una scala per valutare l’Empatia verso le persone disabili. I risultati hanno indicato come il coinvolgimento attivo delle persone alle attività di formazione abbia prodotto degli effetti in favore di una più articolata rappresentazione emozionale degli studenti, sia normodotati che disabili. L’orientamento valoriale all’autotrascendenza aumenta in modo apprezzabile dopo la formazione laboratoriale. Il Sentimento del Potere, dopo la partecipazione al training, passa da un punteggio contenuto ad uno di livello medioalto. “La montagna che va da Maometto” Rosaria Ferone (ASL Napoli 2 Nord) L’esigenza di raggiungere le fasce popolari di utenza per le campagne di promozione alla salute ci ha indirizzato a recuperare i “cortili”, loro tradizionali luoghi di aggregazione, per portare gli interventi nei loro luoghi quotidiani: “La montagna che va da Maometto”, con l’ausilio di un camper di cui l’Azienda dispone. Le finalità sono: a) intercettare e coinvolgere fasce di popolazione difficilmente raggiungibili con mezzi informativi tradizionali al fine di attivare canali comunicativi per veicolare interventi di promozione della salute; b) creare una rete stabile di partners locali (Comuni, Distretti, associazioni, parrocchie, stampa). Questo modello operativo ha trovato applicazione nella collaborazione con la campagna di prevenzione del carcinoma della cervice uterina portando lo screening direttamente nei cortili del territorio: il camper allestito come ambulatorio ginecologico, ha raggiunto numerose donne nei loro cortili. Associazioni del territorio hanno collaborato ad organizzare focus group con le donne prima e dopo l’uscita col camper nei cortili per consentire la massima partecipazione della comunità nella pianificazione degli interventi di promozione della salute utilizzando strategie di attivazione delle reti, istituzionali e non. Nei cortili sono stati consegnati gadgets e opuscoli informativi delle attività dei Distretti. Sono stati inoltre somministrati questionari per conoscere le principali cause di evasione dallo screening e della diffidenza verso le strutture del SSN. Ad una prima valutazione si riscontra un incremento significativo delle prenotazioni per lo screening nei Distretti di riferimento dei Comuni raggiunti dal camper, presumibilmente dovuto all’azione educativa svolta. Inoltre i 68 prelievi effettuati direttamente nei cortili sul camper hanno fatto registrare numerose positività, alcune delle quali di grave livello, con indicazione chirurgica. MAMME NEL VORTICE. Uno studio sulla prevenzione della depressione e sulla promozione del ben-essere nel post partum Gabriella Gandino, Mara Vesco, Veronica Coppola (Università di Torino, Dipartimento di Psicologia) La gravidanza è un periodo di particolare vulnerabilità per l’insorgere di disturbi affettivi nelle donne. L’esistenza del mito circa l’obbligo di essere madri felici rischia di provocare nelle donne in gravidanza e nelle neomadri una forte dissonanza cognitiva tra le emozioni provate, inevitabilmente anche negative e contraddittorie, e le aspettative dell’ambiente familiare e sociale. La discrepanza tra l’aspettativa di felicità e le inaspettate sensazioni di tristezza e irritabilità possono portare molte donne a non esprimere il loro disagio e a sottovalutare l’esordio dei sintomi più comuni della depressione post-partum. Lo studio che abbiamo condotto parte dall’idea che, per un’efficace prevenzione, sia necessario conoscere le storie personali e familiari, i vissuti e i sentimenti di ogni donna, al fine di connettere gli interventi supportivi alle reali esigenze di ciascuna; la depressione post-partum a nostro avviso può essere infatti intesa come un sintomo che nasconde una pluralità di possibili disagi, con origini e significati diversi. Il presente contributo, che espone una parte dei dati raccolti in una ricerca più ampia, analizza i vissuti di 34 donne, raccolti attraverso la somministrazione, durante i corsi pre-parto, di un’intervista semistrutturata. Le interviste sono state trascritte e analizzate attraverso il programma di elaborazione qualitativa dei dati Atlas.ti. I risultati depongono a favore di un ascolto individualizzato al fine di un utile intervento di prevenzione, ed evidenziano l’importanza di una rete di sostegno ampia, variegata e stabile per diminuire le probabilità che la donna cada nell’abisso del disturbo depressivo post-partum e percepisca al contrario un aumentato ben-essere. Il benessere attraverso l’armonia tra l’individuo e il gruppo Antonio Lumia*, Cristina Scimemi*, Giuseppe Mannino** (*LUMSA Roma **Lumsa Palermo) All’interno di una cornice di promozione del benessere sociale, l’associazione trapanese “Centro Tutela dei Diritti del Cittadino onlus” in rete con la Provincia di Trapani, il Conservatorio “A. 69 Scontrino” di Trapani e la L.U.M.S.A. sez. S. Silvia di Palermo, promuovono l’attivazione di un laboratorio di musica facilitata, iniziativa realizzata grazie al contributo economico ottenuto dalla Provincia Regionale di Trapani, volto a soggetti diversamente abili, con disabilità lieve-moderata. Le attività di laboratorio musicale vengono condotte in assetto gruppale, al fine di implementare l’apprendimento musicale e lo sviluppo dei processi di socializzazione. Il laboratorio è condotto da un musicista-musicoterapeuta, da uno psicologo-esperto in dinamiche di gruppo, con la presenza di un assistente specializzato; il disegno di ricerca prevede inoltre che le attività esperenziali siano oggetto di supervisione e di monitoraggio in itinere da parte dell’Università. Tale esperienza si configura come un progetto innovativo per la realtà trapanese (siciliana) finalizzata ad offrire uno spazio educativo, istruttivo, formativo e di socializzazione per una parte della popolazione spesso ingiustamente emarginata. Obiettivi: la presente ricerca ha l’obiettivo di valutare il funzionamento di tale esperienza attraverso la somministrazione di strumenti di esito e di processo. Target: 24 sogg. diversamente abili con disabilità medio-lieve, divisi in due gruppi da 12. Durata del progetto: 6 mesi. Strumenti esito: questionari di valutazione dell’apprendimento musicale e dell’area relazionale. Strumenti processo: Griglia di Bales (1955), per valutare e monitorare le dinamiche di gruppo (viene siglata al termine di ogni incontro). Benessere Organizzativo e Senso di Autoefficacia. Riflessioni sulla qualità percepita del contesto organizzativo in un istituto di credito siciliano Paola Magnano*, Tiziana Ramaci*, Giuseppe Santisi** (*Libera Università degli Studi Kore, Enna **Università degli Studi di Catania) Il passaggio culturale dalla health protection alla health promotion segna lo spostamento del focus dell’intervento organizzativo dall’ottica medica di cura e tutela dei rischi e del malessere ad approcci focalizzati sul miglioramento continuo delle condizioni di vita della comunità organizzativa (Kaneklin, Scaratti, 2010). Inoltre, numerose ricerche empiriche (Borgogni, 2001) avvalorano il ruolo centrale delle convinzioni di efficacia nel favorire lo sviluppo delle carriere, l’efficienza manageriale, l’adattamento al contesto organizzativo, la soddisfazione lavorativa e il commitment organizzativo (Allen, Meyer, 1990). L’indagine è stata condotta in un istituto di credito siciliano, il campione coinvolto è costituito da 40 dipendenti (20 maschi e 20 femmine), ai quali sono stati somministrati l’Occupational Stress Indicator (OSI) di Cooper e al. (2002), la Scala di Efficacia Personale Percepita nelle organizzazioni produttive e la Scala di Efficacia Collettiva Percepita nelle organizzazioni produttive (Borgogni, Petitta, Steca, in Caprara, 2001). L’obiettivo 70 della ricerca è valutare gli effetti dello stress e analizzare nel dettaglio la tenuta e dunque la generalizzabilità di un modello teorico riguardante l’influenza dell’efficacia, personale e collettiva, su due importanti variabili organizzative quali l’impegno e la soddisfazione lavorativa all’interno del contesto bancario, tenendo conto del ruolo centrale giocato dalla percezione della qualità dell’ambiente lavorativo. Modello integrato di educazione del paziente pediatrico con diabete di tipo 1 Alessandra Mauri*, Anna Corò**, Francesco Fabbris**, Susanna Schmidt***, Antonella Scantamburlo*, Tania Ciani*, Michela Cazziola*, Liviana Da Dalt** e Agostino Paccagnella* (*U.O. Malattie Metaboliche e Nutrizione Clinica Azienda Ulss 9 Treviso **U.O. Peditria Azienda Ulss 9 Treviso ***Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Psicologia) Dal Settembre 2009 presso l’Ulss 9 di Treviso si è operata una ristrutturazione degli spazi di consulenza medica e dell’educazione terapeutica del giovane diabetico di tipo1 (0-16 anni). Il progetto di ristrutturazione si sviluppa nell’applicazione del modello biopsicosociale all’educazione terapeutica e centra la promozione della salute e la gestione della malattia sullo sviluppo delle diverse potenzialità umane. Nelle condizioni croniche, come nel diabete di tipo1, le capacità del soggetto di occuparsi della propria salute e di prendersi cura di sé diventano abilità e competenze fondamentali per la prevenzione delle complicanze e per uno stile di vita sano. I contenuti dei percorsi di educazione terapeutica e alla salute proposti si basano sull’applicazione delle Life Skills Education (WHO, 1993) alla gestione del diabete e sul modello di autoefficacia di Bandura (2000). Il modello educativo promosso è di empowering e si fonda su un’azione educativa che ha come obiettivo il rendere i soggetti capaci, autonomi, autosufficienti. La ristrutturazione dell’intervento educativo si è quindi articolato attraverso diversi programmi: 1. ristrutturazione degli ambulatori pediatrici attraverso la creazione di un équipe multidisciplinare e di un percorso di educazione terapeutica di gruppo (6-16 anni) 2. realizzazione di campi scuola educativi rivolti agli adolescenti (12-16 anni) 3. attivazione di un percorso di “sostegno alla genitorialità” rivolto ai genitori dei ragazzi (0-16 anni). Nel presente lavoro verrà illustrato il percorso di costruzione e attivazione del modello educativo integrato e verranno presentati i dati relativi al gruppo adolescenti. 71 Il volontariato come frontiera tra individuo, alter e comunità. Una ricerca con volontari della Croce Rossa Italiana Manuela Mauceri, Orazio Licciardello, Graziella Di Marco, Valentina Ispoto (Università di Catania) Considerato il ruolo strategico che gioca il volontariato nel sopperire, spesso, alle funzioni formalmente ascritte allo Stato, risulta importante approfondire le differenti dinamiche connesse al fenomeno. La letteratura evidenzia l’importanza delle determinanti disposizionali e, soprattutto, situazionali e rimarca la distinzione tra le motivazioni autocentrante-strumentali, rivolte a soddisfare i bisogni personali, e quelle eterocentrate-valoriali, volte a soddisfare bisogni altruistici: le persone si dedicano al volontariato per incrementare il benessere altrui, ma anche quello proprio, oltre che quello della comunità d’appartenenza. Secondo tale prospettiva, il volontariato sta in quella zona di frontiera, di passaggio tra egoismo e altruismo, tra fare per sé e adoprarsi per gli altri, tra individuo e collettività. La ricerca ha coinvolto 112 volontari della CRI di una provincia siciliana. Sono stati utilizzati strumenti quali: Function Volunteer Inventory, Scale Likert, Termometri dei Sentimenti, Differenziali Semantici. La funzione Valori motiva maggiormente al volontariato; meno (ma apprezzate) le funzioni auto-centrate. Chi tiene più alla Carriera svolge attività non a diretto contatto con l’utenza e frequenta la CRI con maggiore assiduità. Il clima interno, percepito positivamente, funge da supporto per i volontari impegnati nei servizi socio-assistenziali, che danno minore visibilità esterna, ma che, di fatto, giustificano l’esistenza dell’organizzazione medesima. È emersa una discrasia tra il “dichiarato” e “l’implicito sentire” nella considerazione dell’utenza, ciò che sottolinea il carattere multisfaccettato del volontariato. La relazione con l’altro in stato di bisogno, dunque, malgrado spesso fonte di soddisfazione personale, talvolta può essere vissuta come problematica, stressante e frustrante, ciò che pone importanti questioni sull’adeguata formazione dei volontari. 72 La Qualità della Vita nel bambino e nell’adolescente con disturbo del movimento; la lettura dell’esperienza secondo un’analisi comparativa Paolo Meucci (Università Cattolica di Milano - Fondazione Istituto Neurologico C. Besta di Milano) Si vuole qui presentare la metodologia e i primi risultati grezzi di una ricerca coordinata dalla Direzione Scientifica della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico “Carlo Besta”, SOSD Neurologia, Salute Pubblica e Disabilità e svolta in collaborazione con la U.O. di Neuropsichiatria Infantile, Disturbi del movimento della stessa Fondazione. L’obiettivo della ricerca è fornire un’analisi approfondita sulla Qualità della Vita (QoL) percepita da un minore con un disturbo del movimento comparando ad essa la percezione sul livello di QoL che il genitore attribuisce al proprio figlio. In ultima analisi, il confronto tra i dati raccolti attraverso questionari standardizzati e le analisi sistematiche delle narrazioni dei vissuti, favorirà l’emergere di eventuali letture o domini della QoL non ancora indagati e stimolerà una riflessione sui criteri di misurazione della stessa. I risultati attesi possono essere così sintetizzati: • Fornire una lettura incrociata della QoL attraverso i dati raccolti con i Questionari Kidscreen e la lettura qualitativa delle narrazioni fornite dai bambini e dai genitori. • A seguito delle analisi effettuate, teorizzare il fenomeno studiato, al fine di porre in luce eventuali aree di QoL non sufficientemente indagate, ed aprire una riflessione rispetto alla modalità di raccolta, all’uso e agli obiettivi che si vogliono raggiungere attraverso dati quantitativi sulla qualità della vita. • Fornire un modello di analisi di QoL nei bambini e adolescenti, utile al fine di impostare dei progetti personalizzati che puntino al miglioramento della QoL dei minori con disturbo del movimento e delle loro famiglie. Pessimismo difensivo e benessere soggettivo Dario Monzani*, Andrea Greco**, Patrizia Steca** (Università degli Studi di Milano-Bicocca, *Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” **Dipartimento di Psicologia) Il pessimismo difensivo è una strategia cognitiva vantaggiosa quando le persone devono affrontare compiti e situazioni per loro rilevanti. I pessimisti difensivi dichiarano basse aspettative di riuscita 73 ad un compito imminente, anche se nel passato hanno avuto buoni risultati in situazioni simili. Inoltre, riflettono assiduamente su cosa potrebbe succedere loro, prestando particolare attenzione agli eventuali problemi e difficoltà da affrontare in una specifica situazione. Infatti, il pessimismo difensivo, diversamente dall’ottimismo disposizionale, è una caratteristica individuale altamente contesto-specifica. Grazie a questa strategia, i pessimisti difensivi riescono a fronteggiare i loro alti livelli di ansia in specifiche situazioni e, quindi, ad ottenere elevati livelli di prestazione. Tuttavia, poche ricerche hanno analizzato le relazioni tra l’adozione di questa strategia e il benessere soggettivo degli individui. Obiettivo generale del presente studio è quello di indagare le relazioni tra il pessimismo difensivo, il benessere soggettivo e due importanti caratteristiche individuali come l’autostima e l’ottimismo disposizionale. Lo studio ha coinvolto 143 partecipanti (Uomini= 42%; Donne= 58%) con un’età compresa tra i 19 e i 35 anni (Età media= 23,77; DS = 2,89). I risultati delle analisi di correlazione dimostrano relazioni negative tra il pessimismo difensivo, la soddisfazione di vita e l’affettività positiva. Al contrario, il pessimismo difensivo è positivamente correlato con l’affettività negativa. Infine, i risultati evidenziano l’esistenza di moderate correlazioni negative tra questa strategia, l’ottimismo disposizionale e l’autostima. Concludendo, possiamo sottolineare come il pessimismo difensivo, seppur ritenuto una risorsa vantaggiosa per raggiungere adeguati livelli di prestazione in specifiche situazioni, è negativamente associato al benessere soggettivo. Un’indagine attraverso il concetto di Capitale Psicologico. Il contributo della psicologia positiva al workplace Silvia Pinato (Università di Verona) Il concetto di Capitale Psicologico (PsyCap) è stato introdotto recentemente da Luthans e colleghi all’interno del POB – Positive Organizational Behaviour (Luthans, 2002a, 2002b, 2003), approccio basato sugli stati psicologici positivi e proveniente dalla psicologia positiva (Seligman, 1998b; Seligman e Csikszentmihalyi, 2000; Snyder e Lopez, 2002) ma che si estende al workplace. In questa prospettiva, che prende in esame le forze e le capacità positive degli individui, emergono in particolare quattro dimensioni: self-efficacy/confidence, hope, optimism e resiliency. Tali fattori sono parte costituente del Capitale Psicologico, costrutto dall’impatto rilevante e con importanti implicazioni sulle motivazioni al lavoro, nonché sulla performance e sui relativi vantaggi competitivi. Di recente definizione, il Capitale Psicologico appare una risorsa sia per la crescita a livello individuale che a livello organizzativo. Pertanto, si indagherà attraverso la letteratura 74 disponibile al fine di proporre un’esplorazione nel costrutto, ponendo particolare attenzione alle relazioni con altri concetti cardine delle recenti linee di ricerca, gli sviluppi e le implicazioni future in ambito lavorativo e organizzativo. In modo particolare, si esamineranno contributi che si sono focalizzati sul rapporto tra Capitale Psicologico e performance, con l'intento di evidenziare come la relazione tra emozioni positive e comportamenti positivi sul posto di lavoro conduca a prestazioni migliori. Nuove identità lavorative e conseguenze sul benessere organizzativo Tiziana Ramaci *, Paola Magnano *, Giuseppe Santisi ** (*Università Kore di Enna **Università di Catania) L’introduzione di nuove forme di regolamentazione del lavoro ha riaperto la questione della tutela dei diritti dei lavoratori e delle lavoratrici (Ferrari, Veglio, 2006). Già a livello legislativo alcuni diritti fondamentali appaiono tutelati in misura minore per i lavoratori senza contratto di subordinazione a tempo indeterminato (Barbier e Nadel, 2000). Ancor più sul piano delle pratiche di episodi di discriminazione e di mancato rispetto di diritti essenziali sono sempre più frequenti. Studi recenti hanno evidenziato che la sensazione di essere trattati in modo ingiusto abbia un profondo impatto sulle modalità di percezione del benessere lavorativo nel proprio luogo di lavoro. Il contributo si propone di esplorare prima fra tutte le relazioni fra un campione di 800 lavoratori atipici (in prevalenza femminile) della Sicilia, le percezioni di sicurezza lavorativa (Giesecke e Gross, 2003), in particolare vuole suggerire uno schema concettuale che può essere di aiuto nel costruire indicatori quantitativi e qualitativi, utili per analizzare la “qualità della vita” dei lavoratori atipici all’interno del ciclo di costruzione della carriera (Beck, 2000; Giovanetti, 2000). La nozione di atipicità, stando alle dimensioni quantitative del fenomeno tendono a far escludere fenomeni di “devianza più o meno temporanea dai lavori standard” (ISFOL, 2001), che si riflette, poi, sulle varie opzioni di scelta che riguardano la dimensione privata (maternità e investimenti economici, prime tra tutte) (Rutelli, Agus e Caboni, 2007; Signorelli, 2004). Si propone inoltre di approfondire l’effetto delle esperienze di vessazioni del campione su alcune dimensioni riguardanti il benessere lavorativo – cercando di individuare una differenziazione, laddove possibile, tra vessati e non in funzione di alcune caratteristiche socio anagrafiche. 75 Crescita post-traumatica: diversi predittori per diversi eventi traumatici. Chiara Ruini, Francesca Vescovelli, Elisa Albieri, Emanuela Offidani (Università di Bologna, Dipartimento di Psicologia) Questa ricerca analizza i possibili predittori della crescita post-traumatica in gruppi con diverse tipologie di eventi traumatici esperiti, tenendo in considerazione indicatori sintomatologici, distress psicosociale e benessere psicologico. Metodi: 60 pazienti con carcinoma mammario e 60 donne che hanno riportato eventi stressanti di natura diversa, hanno compilato i seguenti questionari: Posttraumatic Growth Inventory (PTGI), Psychological Well-being Scales (PWBS), Symptom Questionnaire (SQ) e Psychosocial Index (PSI). Sono state calcolate le correlazioni tra le scale e successivamente sono stati applicati modelli di regressione lineare. Risultati: Nel gruppo di pazienti la crescita post-traumatica è particolarmente correlata alle scale sintomatologiche, piuttosto che a quelle di benessere, ed è inversamente predetta dall’età e dai livelli di ostilità. Nelle donne con altri eventi traumatici invece, la crescita post-traumatica è correlata principalmente al benessere psicologico (padronanza ambientale e crescita personale) ed è predetta dallo stato civile, dal tempo trascorso dall’evento e dalla crescita personale. Considerando entrambi i gruppi, i predittori statisticamente più significativi sono risultati la crescita personale e il benessere fisico, insieme alla diagnosi di carcinoma, una minore età e un maggiore tempo trascorso dall‘evento . Conclusioni: la crescita post-traumatica sembra presentare caratteristiche diverse in donne con carcinoma mammario rispetto a donne con altri tipi di eventi traumatici. Nelle prime sembra essere associata soprattutto ad un miglioramento delle condizioni cliniche e sintomatologiche, mentre nelle seconde sembra essere associata a dimensioni di benessere eudaimonico. Questi risultati hanno implicazioni in ambito clinico e suggeriscono l’importanza di adottare un approccio olistico e multifattoriale nella valutazione della crescita post-traumatica e nella pianificazione di eventuali interventi per la sua promozione. 76 L’intervento precoce dei disturbi psichici gravi. Il modello e gli esiti clinici del Progetto Innovativo triennale TR43 Paola Scovazzi, Sara Comerio, Federica Rosatti, Giancarlo Belloni, Giorgio Cerati (Unità Operativa di Psichiatria di Legnano e di Magenta del Dipartimento di Salute Mentale di LegnanoMilano) L’intervento precoce e mirato nei disturbi psichici nei giovani risulta necessario e doveroso per il benessere psicologico dell’adolescente o giovane adulto che si trova ad affrontare fondamentali compiti evolutivi. Obiettivi del progetto innovativo TR 43 sono la prevenzione, l’individuazione ed il trattamento precoce dei disturbi psichici gravi nella fascia di età 16-30. Le aree fondamentali di intervento riguardano: (1) precoce individuazione dei soggetti a rischio di sviluppare disturbi psichiatrici gravi e degli stati mentali “a rischio”; (2) tempestivo trattamento degli esordi e del primo episodio in modo da ridurre la durata di malattia non trattata, associato alla facilitazione dell’accesso ai trattamenti; (3) sviluppo e ottimizzazione di trattamenti specifici per la fase di malattia mirati alla prevenzione della disabilità, al mantenimento del ruolo sociale della persona, al sostegno del contesto relazionale familiare e sociale ed alla prevenzione delle ricadute. Gli strumenti utilizzati per la valutazione e per gli studi di esito sono i seguenti: CheckList Eri-Raos, BPRS, GAF, HONOS, CORE-om, SCL90, SF36 (baseline, dopo 6 mesi e dopo 1 anno di trattamento)e una Scheda di rilevazione di anamnesi, ricoveri e interventi. Il campione è di 121 pazienti arruolati o nel gruppo “esordio” o “a rischio”, 68 a 6 mesi e 32 ad 1 anno. Gli esiti del trattamento hanno dimostrato come l’individuazione precoce dei disturbi psichici gravi ed il trattamento tempestivo portano ad una riduzione della sintomatologia clinica, migliorano la qualità di vita, prevengono le disabilità secondarie e migliorano gli esiti a lungo termine. Sensibilità interpersonale e didattica nella scuola. Formare gli insegnanti alla buona relazione Fiorella Sestigiani, Deborah Corrias, MariaGrazia Strepparava (Università degli Studi di MilanoBicocca) Negli ultimi decenni l’interesse dei ricercatori per le modalità interattive degli insegnanti della scuola elementare è cresciuto significativamente. Inoltre, nell’attuale profilo ideale dell’insegnante 77 della scuola materna e della scuola primaria stabilito dal decreto legislativo 153/98,emergono come abilità fondamentali quelle legate alla gestione delle relazioni con i colleghi e i genitori dei bambini. Uno dei corsi offerti dalla Facoltà di Scienze della Formazione (Università Milano-Bicocca), nell’ambito delle attività didattiche aggiuntive, è quello avanzato di Psicopatologia dello Sviluppo, il quale si pone tra gli obiettivi principali quello di incrementare la consapevolezza delle competenze relazionali e comunicative delle insegnanti che frequentano il corso stesso. A tal fine i contenuti delle lezioni comprendono la consapevolezza delle differenze individuali, delle emozioni e della loro regolazione e il ruolo delle emozioni nell’intersoggettività e nelle interazioni. Le differenze individuali e la regolazione delle emozioni sono considerate secondo un’ottica cognitivocostruttivista, modello ampiamente usato in psicoterapia cognitivo-costruttivista (Guidano, 1998; Arciero, 2002; Rezzonico, Strepparava, 2004) adattato al contesto educativo (Strepparava, 2006). Il lavoro con le insegnanti prevede fasi di riflessione individuale alternate a discussioni di gruppo. I questionari utilizzati per avviare l’interazione e la discussione di gruppo sono: l’Emotion Regulation Questionnaire, sulla modalità di regolazione degli stati emotivi (Power, 2007), l’Interpersonal Reactivity Index (IRI, Davis, 1980; 1983) sull’empatia, la Self Monitoring Scale (SMS, Snyder, 1974) come misura della dipendenza/indipendenza dal contesto e infine il Questionario sulle organizzazioni di significato personale (QSP, Picardi et al., 2003), per indagare le differenze individuali. Infine, è inserito un questionario di soddisfazione al termine di ogni singola lezione e al termine del corso. Quest’ultimo ha consentito di valutare il livello di utilità del corso per la formazione delle insegnanti e gli eventuali cambiamenti vissuti dalle insegnanti sul piano personale e professionale. Gruppi di auto-aiuto psichiatrico in Toscana: ricostruzione del modello di lavoro attuale attraverso il confronto qualitativo tra motivazioni dei partecipanti e obiettivi istituzionali. Sandra Vannucchi, Fausto Petrini, Alessandra Miraglia Raineri, Patrizia Meringolo (Università degli Studi di Firenze, Dipartimento di Psicologia) I gruppi di auto-aiuto non possono essere considerati un sostitutivo dei servizi di cura formali, ma come un fenomeno culturale in grado di ridurre il disagio bio-psico-sociale e modificare l’atteggiamento di delega delle persone. In una prospettiva di empowerment sono un modo per superare la dipendenza dalla terapia, la promozione di abilità sociali e la partecipazione alla comunità. Le rassegne sugli studi di efficacia dei gruppi nell’ambito del disagio mentale 78 evidenziano ricadute positive in termini di empowerment e di percezione del supporto sociale (Fonquer e Knigth, 2001; Solomon, 2004; Campbell, 2005). Gli studi qualitativi mostrano inoltre i vantaggi riportati dai partecipanti: maggiore conoscenza della malattia e del trattamento, nuove strategie di coping, migliore comunicazione dei sintomi. La nostra ricerca mira a fornire un’analisi in profondità di uno specifico contesto territoriale toscano. È stata effettuata una ricerca qualitativa tramite focus group ed interviste semi-strutturate rivolte a pazienti, operatori e rappresentanti istituzionali legati alla vita di quattro gruppi per pazienti psichiatrici. Le aree indagate sono: - Relazione fra partecipazione al gruppo e qualità della vita; - Effetto della partecipazione sul rapporto con i professionisti ed i servizi. I risultati evidenziano il rischio di una progressiva perdita degli obiettivi di empowerment, compensazione della dipendenza e difesa sociale nella nuova generazione di professionisti, più interessati ai benefici economici. Tutti i partecipanti sottolineano invece la percezione di vantaggi in termini di risorse positive, di empowerment e di incremento delle strategie di coping. Qualità della vita organizzativa e qualità percepita dell’assistenza: risultati di un primo studio Sara Viotti*, Marco Ferrara*, Ivana Finiguerra**, Daniela Converso* (*Università degli Studi di Torino, Dipartimento di Psicologia **SITRO, San Giovanni Bosco, ASL TO2) La qualità della vita organizzativa e il burnout degli operatori hanno, come indicato in numerosi studi, una stretta relazione con la qualità percepita dell’assistenza e la soddisfazione dei pazienti (Leiter et al., 1998, Garman e Corrigam, 2002, Argentero et al., 2007). Al centro del presente studio, che costituisce un primo step nell’ambito di un più ampio progetto che coinvolgerà l’intero Presidio, è l’analisi della relazione fra la percezione di benessere e disagio da parte dei lavoratori e la qualità dell’assistenza percepita dai loro pazienti, all’interno di alcuni reparti di un grande Ospedale piemontese (San Giovanni Bosco di Torino: Dialisi, Ortopedia, Medicina, Cardiologia). Tramite questionari self-report sono stati finora raccolti i dati relativi a 94 operatori e 93 pazienti nei 4 reparti. Il questionario somministrato agli operatori comprende alcune scale volte a valutare il benessere degli operatori (MBI, Maslach et al, 1981; soddisfazione lavorativa: JSS, Warr et al., 1979) e una scala riguardante la percezione di giustizia organizzativa (COPSOQ, Kristensen et al., 2003). Il questionario destinato ai pazienti rappresenta una versione adattata del Questionario sulla valutazione della qualità percepita nell’ADI (Franci e Corsi, 1999). A tale scopo è stata effettuata una regressione logistica per blocchi. Al primo step (R²=,229; χ²=13,774; p=0,003) sono stati 79 inseriti i fattori che descrivono il benessere degli operatori ed è emersa una relazione significativa tra esaurimento emotivo (OR=,901 p=0,006) e qualità dell’assistenza percepita da parte dei pazienti. Al secondo step, l’aggiunta del fattore giustizia ha determinato un incremento statisticamente significativo della predittività del modello (R²=,303; χ²blocco=5,057; p=0,025) ed è emerso quale fattore significativo oltre all’esaurimento emotivo (OR=,908; p=0,016) anche la giustizia (OR=1,294; p=0,033). Tenendo presenti i limiti in primo luogo legati alla limitatezza della numerosità della popolazione coinvolta, tale studio sembra far emergere il ruolo fino ad ora in letteratura inesplorato della giustizia organizzativa percepita dagli operatori nel predire la soddisfazione dei pazienti. Aumento del Benessere e Riduzione del Malessere nella Psicologia Clinica del Quotidiano. L’importanza strategica dell’Approccio Clinico della Elaborazione Adattiva dell’Informazione Enrico Zaccagnini (Istituto di Psicotraumatologia di Firenze Psicologia e Psicoterapia del Trauma) La dimensione quotidiana del cervello/mente e le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il benessere quotidiano come continua ricerca di equilibrio, da parte della mente, tra la sfida dei nuovi stimoli e la capacità elaborativa del cervello. L’Approccio psicologico Elaborazione Adattiva dell’Informazione. Suoi presupposti teorici e anatomico-funzionali. Il ruolo della Memoria Episodica. Affettività e Memoria. Episodi ad affettività negativa (i diversi tipi di trauma) e l’importanza di elaborare il dolore. Episodi ad affettività positiva e l’importanza di individuare e potenziare le risorse ivi celate. Tecnica psicologico-clinica per la convergenza della elaborazione del dolore e della valorizzazione delle risorse sul target Benessere Quotidiano. 80