La liberalizzazione dei farmaci di fascia C non nuoce alla salute

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La liberalizzazione dei farmaci di fascia C non nuoce alla salute
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10 dicembre 2015
IBL Briefing Paper
La liberalizzazione dei farmaci di
fascia C non nuoce alla salute
Di Luciano Capone
Introduzione
Il Senato sta esaminando il disegno di legge sulla Concorrenza. Si tratta della prima legge annuale sulla concorrenza dal 2009, cioè da quando è stato previsto
di approvare annualmente una norma che elimini gli ostacoli alla competizione
economica, accogliendo le segnalazioni dell’Autorità Garante della Concorrenza
e del Mercato (Antitrust). In questo pacchetto, già approvato in prima lettura
dalla Camera, sono previste una serie di riforme che intervengono nei più svariati
settori: energia, assicurazioni, telefonia, professioni e farmacie. In questo campo il
provvedimento introduce alcune innovazioni: liberalizza definitivamente l’orario
di apertura delle farmacie, permette l’ingresso nel settore delle società di capitali
rimuovendo l’obbligo della presenza di un farmacista nell’assetto proprietario ed
elimina il limite di quattro licenze in mano allo stesso soggetto. Questi due ultimi
provvedimenti aprono alla possibilità di creare catene di farmacie e dovrebbero
far attirare nuovi investimenti permettendo di fare economie di scala a vantaggio
degli utenti.
Pur essendo presente nella bozza iniziale predisposta dal Ministero dello Sviluppo
Economico, nel ddl è assente la liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia
C, ovvero la possibilità che anche questi farmaci con obbligo di prescrizione e
a totale carico del paziente possano essere venduti nelle parafarmacie e nelle
parafarmacie dei supermercati (Gdo – grande distribuzione organizzata). La norma è stata prima stralciata dal ddl e poi bocciata dalla Camera quando è stata
ripresentata come emendamento. Naturalmente se ne discuterà anche in Senato
e, se la proposta verrà ancora respinta, se ne parlerà l’anno prossimo visto che
il tema è molto sentito e discusso da diversi anni. Si può dire che tutto comincia
nel 2006, con il “decreto Bersani” che liberalizza la vendita dei farmaci senza obbligo di prescrizione (Sop e Otc). Successivamente, sia nel decreto Salva Italia del
2011 che nel decreto Cresci Italia del 2012, il governo Monti prova ad estendere
i principi che hanno guidato la liberalizzazione del 2006 ai farmaci di fascia C,
ma senza successo per insufficiente forza o volontà politica. Il tema si ripresenta
quindi oggi, con i medesimi argomenti usati per resistere alla liberalizzazione dei
farmaci da banco: chi si oppone sostiene che un’offerta più ampia metterebbe a
rischio la sicurezza dei pazienti, porterebbe a un aumento dei consumi di farmaci e
determinerebbe la chiusura delle farmacie più piccole (le rurali) che sono un fondamentale presidio sanitario sul territorio. Come vedremo si tratta di argomenti
in gran parte superati e che non hanno trovato riscontro nella realtà.
KEY FINDINGS
• La liberalizzazione dei farmaci senza obbligo di prescrizione
non ha fatto aumentare i consumi superflui di farmaci, anzi i
consumi si sono ridotti.
•La liberalizzazione di Otc e Sop
ha avuto un impatto positivo
sul fronte occupazionale con
l’apertura di oltre 3mila parafarmacie e 7-8mila nuovi posti
di lavoro
•Di essa hanno beneficiato anche i consumatori con riduzioni dei prezzi tra il 20 e il 25%
•La definitiva liberalizzazione
della fascia C presenta ancora meno rischi per la salute dei
cittadini, trattandosi di farmaci
con obbligo di prescrizione: ci
sarà sempre un medico a prescrivere il farmaco e un farmacista a venderlo
•La salute dei cittadini non è garantita dalle “farmacie”, ma dai
“farmacisti” e dalle norme di
farmacovigilanza che non vengono toccate dalla liberalizzazione.
Luciano Capone è giornalista. Scrive per Il Foglio e
Strade.
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Luciano Capone
La rimozione degli ostacoli alla concorrenza è ovviamente un tema molto più ampio della
liberalizzazione dei farmaci di fascia C e riguarda l’economia italiana nel suo complesso.
Nell’Indice delle liberalizzazioni 2015, da poco pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni, si vede
chiaramente come - nonostante alcuni segnali positivi derivanti dal Jobs Act e dallo stesso
ddl concorrenza i cui effetti non sono stati considerati dall’Indice del 2015 per questioni
temporali – l’Italia si trovi in una situazione di sostanziale immobilismo, a metà classifica,
con un punteggio pari a 67 su 100, molto distante dall’economia più liberalizzata che è il
Regno Unito (96) e comunque nelle ultime posizioni tra i paesi dell’Ue15 che le sono più
direttamente confrontabili.1 L’Indice analizza il grado di apertura di dieci grandi mercati
(carburanti, elettricità, gas, lavoro, poste, telecomunicazioni, televisione, trasporto aereo,
trasporto ferroviario e assicurazioni) e, a parte qualche eccezione come le telecomunicazioni in cui l’Italia si registra un’ottima performance, è su questi grandi settori che l’Italia
dovrebbe intervenire in maniera radicale per preparare le condizioni per la crescita economica. Cionondimeno è importante interessarsi anche della liberalizzazione di mercati più
piccoli come quello dei farmaci di fascia C, non solo perché mostrano in piccolo gli identici
meccanismi di pressione politica da parte di specifici gruppi per mantenere lo status quo,
ma soprattutto perché la rimozione delle tante più o meno piccole sacche protette dalla
concorrenza può dare un contributo significativo alla crescita economica e al miglioramento della vita quotidiana delle persone. La liberalizzazione non è, come spesso viene
presentata, solo una questione di redistribuzione dei profitti da un gruppo protetto ai
newcomers, ma più che altro serve a creare le condizioni in cui gli operatori siano costretti
dai meccanismi di mercato a rispondere alle esigenze dei cittadini, perché
è proprio l’ignoranza consustanziale alla condizione umana a rendere necessaria
– e dunque utile – la concorrenza: la competizione serve a “scoprire” le preferenze dei consumatori e a inventare nuovi prodotti o processi per soddisfarle.2
Scopo di questo paper, dunque, è indagare il regime vigente sulla vendita dei farmaci di
fascia C e comprendere, anche alla luce degli effetti della prima ondata liberalizzatrice, se
davvero le preoccupazioni riguardo le liberalizzazioni nel campo delle farmacie abbiano
fondamento oppure se le motivazioni che giustificano la regolamentazione del settore risiedano nella difesa di una rendita da parte di alcuni attori di mercato piuttosto che nella
tutela dell’interesse pubblico.
Cosa sono e chi può vendere i farmaci di fascia C
I farmaci in commercio vengono classificati secondo due differenti criteri: il regime di dispensazione, ovvero se i farmaci sono soggetti o meno a prescrizione medica, e il regime
di rimborso da parte del Servizio Sanitario Nazionale (Ssn). La prima distinzione è di tipo
tecnico-scientifica, mentre la seconda è di tipo economico.
Per le farmacie esistono tre classi di rimborsabilità: 1) la classe A, che include farmaci con
obbligo di prescrizione ritenuti essenziali e pertanto rimborsati dal Ssn, 2) la classe C che
include i farmaci non rimborsati dal Ssn e che comprende sia farmaci con che senza obbligo
di prescrizione (nell’ultimo caso si tratta della sottocategoria dei Sop, caso unico in Europa
di farmaci senza obbligo di ricetta a cui è vietata la pubblicità), 3) la classe C-bis, che include
i farmaci di automedicazione, ovvero senza obbligo di ricetta e pubblicizzabili, i cosiddetti
Otc (Over the counter). Attualmente i farmaci di classe A e classe C con obbligo di ricetta
1 Carlo Stagnaro (a cura di), Indice delle liberalizzazioni 2015, Istituto Bruno Leoni.
2
2 Ibid.
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possono essere venduti esclusivamente nelle farmacie, mentre quelli senza obbligo di ricetta (Sop di classe C e Otc di classe C-bis) o di automedicazione, usati per curare patologie
lievi, dopo il “decreto Bersani” possono essere venduti anche nelle parafarmacie, comprese
quelle della Gdo, sempre in presenza di un farmacista abilitato. Quando si parla di liberalizzazione dei farmaci di fascia C, dunque, ci si riferisce più specificamente ai farmaci di classe
C-op (con obbligo di prescrizione).
Per quanto riguarda il peso economico, i farmaci di fascia A con circa 12,1 miliardi di euro
di valore per le vendite al pubblico rappresentano circa il 70% del mercato farmaceutico,3 i
farmaci di fascia C con obbligo di prescrizione (quelli interessati dalla potenziale liberalizzazione) con 2,9 miliardi valgono circa il 16% e i farmaci senza obbligo di ricetta (Sop e Otc
già liberalizzati) con 2,4 miliardi il 14%. Quindi attualmente il mercato farmaceutico è per
l’86% monopolio o esclusiva delle farmacie (fascia A e fascia C) e solo per il restante 14%
aperto alla concorrenza di parafarmacie e parafarmacie della Gdo (anche se, come vedremo in seguito, pure questa fetta è quasi totalmente in mano alle farmacie). Con l’eventuale
liberalizzazione della fascia C, il mercato del farmaco sarebbe aperto alla concorrenza solo
per il 30%, meno di un terzo, mentre il restante 70% resterebbe comunque esclusiva delle
farmacie.
I farmaci di fascia C si differenziano da quelli di fascia A anche per quanto riguarda la determinazione del prezzo. Il prezzo di quelli di fascia A, che vengono rimborsati dal Ssn, è
stabilito mediante contrattazione tra l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco che opera sotto il
Ministero della Salute) e le aziende farmaceutiche. Per quanto riguarda i medicinali a carico
dei cittadini, il prezzo è fissato liberamente dalle case produttrici, ma l’Aifa svolge un’azione
di monitoraggio sui farmaci di fascia C con obbligo di ricetta, verificando che il prezzo aumenti al massimo ogni due anni (negli anni dispari) e che l’incremento non superi l’inflazione programmata (mente sui farmaci senza obbligo di prescrizione l’Aifa non esercita alcun
controllo).4 C’è da aggiungere inoltre che per i farmaci di fascia C con il decreto Salva Italia
del 2011, come già deciso dal decreto Bersani per quelli senza obbligo di prescrizione, le
farmacie possono praticare liberamente sconti sui prezzi al pubblico, ma gli effetti non sono
stati gli stessi: visto che la fascia C è rimasta comunque esclusiva delle farmacie, in assenza
della concorrenza di parafarmacie e parafarmacie della Gdo, rispetto ai farmaci da banco
sono molte meno le farmacie che praticano sconti.
Le critiche alla liberalizzazione e gli effetti del decreto Bersani
Quali sono gli argomenti di chi si oppone alla liberalizzazione dei farmaci di fascia C? Sono
all’incirca gli stessi usati contro la liberalizzazione dei farmaci da banco, oggetto della prima
liberalizzazione, e sono essenzialmente di due tipi: di sicurezza ed economici. Quindi questa
volta, a differenza che in passato, per poter valutare le conseguenze positive o negative
della liberalizzazione della fascia C si può guardare a quali sono stati gli effetti del “decreto
Bersani”.
Aumento dei consumi?
Gli oppositori della liberalizzazione dei farmaci da banco come Federfarma (la federazione
che riunisce i titolari di farmacia) sostenevano che l’apertura del mercato avrebbe portato
3 Elaborazione Assosalute su dati IMS Health – “Numeri e indici dell’automedicazione” edizione 2015,
Assosalute
4 Fabrizio Gianfrate, “Il mercato dei farmaci. Tra salute e business”, Franco Angeli, 2014, p.81
3
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a una concorrenza selvaggia che avrebbe squalificato la professione e spinto le persone a
guardare ai farmaci come semplici prodotti di consumo. L’impulso consumistico, alimentato
dagli sconti, avrebbe causato un aumento dei consumi superflui, con conseguenti gravi rischi di malattie iatrogene o di danni alla salute dovuti all’abuso di farmaci e quindi a ulteriori
cure e ricoveri ospedalieri con relativo aggravio sulla spesa pubblica. L’idea che le persone
abbiano una spesa predeterminata da destinare ai farmaci e quindi che ne comprino di più
se si abbassa il prezzo, oppure che consumino medicinali inutili perché spinti da offerte
vantaggiose, oltre a sembrare difficilmente sostenibile a livello ipotetico, è stata smentita
dalle evidenze degli ultimi anni. Il mercato dei farmaci senza obbligo di prescrizione, quelli
interessati dalla liberalizzazione, è in costante calo per il numero di confezioni vendute:
circa -10% dal 2007 al 2013. Il pericolo di maggiori rischi per la salute dei cittadini - che è
poi il motivo che più di ogni altro giustificherebbe una limitazione alla libertà economica e
d’impresa – è pertanto scongiurato e le previsioni più allarmanti smentite:
Le analisi fino ad ora effettuate evidenziano quanto l’andamento dei consumi
per il mercato dei farmaci senza obbligo di prescrizione non sia influenzato,
sul medio periodo, né dall’introduzione di nuovi canali, né, per i farmaci di automedicazione, dalla possibilità di comunicare direttamente al cittadino anche
attraverso la pubblicità.5
Aumento dei prezzi?
Nel campo delle critiche economiche, una di quelle che viene spesso rilanciata è che con la
liberalizzazione c’è stata sì una riduzione dei consumi, ma a causa di un aumento dei prezzi.
L’affermazione è sbalorditiva, innanzitutto perché sarebbe l’esatto opposto dello scenario
ipotizzato da chi criticava la liberalizzazione (si abbassano i prezzi e aumentano i consumi).
Si evince che se non va bene che i prezzi scendano né che salgano, allora la liberalizzazione
è sempre e comunque negativa, sia per un motivo che per il suo contrario, a prescindere dai suoi effetti. Inoltre l’aumento dei prezzi in corrispondenza di una diminuzione dei
consumi e subito dopo l’aumento dell’offerta sembra contrastare con le elementari leggi
dell’economia.
Ma la tesi che la liberalizzazione abbia causato un aumento dei prezzi è stata recentemente
affermata anche dall’Aifa - l’Agenzia italiana del farmaco, l’ente pubblico competente per
l’attività regolatoria dei farmaci – e subito dopo rilanciata dai farmacisti di Federfarma. In
una nota dai toni poco istituzionali intitolata Liberalizzazioni: facciamo parlare i numeri, l’Aifa
ha preso una netta posizione contro il “decreto Bersani”:
Gli effetti di tali provvedimenti di liberalizzazione in realtà non sembrerebbero
aver portato alcun vantaggio ai pazienti, a parte la comodità di avere una più
facile disponibilità di punti vendita che però potenzialmente li espone alle conseguenze di consumare più farmaci che non sono – come da AIFA più volte
sottolineato – una merce simile a qualunque altra. […] In realtà, se l’obiettivo
della liberalizzazione della vendita dei medicinali di fascia C-SOP/OTC era quello di rappresentare un vantaggio per i pazienti, con una riduzione dei prezzi
tramite una vera concorrenza e un complessivo risparmio a loro vantaggio, i
dati obiettivi e certificati evidenziano il completo fallimento di tale presupposto,
perlomeno nel settore dell’assistenza farmaceutica. Infatti l’effetto economico
di provvedimenti, nell’intento pro-concorrenziali, ha paradossalmente determi4
5 “Numeri e indici dell’automedicazione” edizione 2015, Assosalute
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nato un complessivo aggravio per i cittadini di circa 200 milioni di euro (2.298
vs. 2.094, pari a +9,7% nel 2013 vs. 2006) [al lordo dell’inflazione, ndr], nonostante la contrazione dei consumi.6
Insomma, se le cose stanno così, ha ragione l’Aifa a dire che la liberalizzazione è stata un
“completo fallimento” e ha prodotto l’opposto degli obiettivi che si prefiggeva. Ma le cose
non stanno così. Perché è vero, come dice l’Aifa, che i numeri parlano, ma non parlano da
soli, spesso sono un po’ come il pupazzo Rockfeller che sembrava esprimersi autonomamente e invece era animato da un ventriloquo.
Guardando la serie storica della spesa per i farmaci senza obbligo di ricetta pubblicata
dall’Aifa si nota che la spesa è stata più o meno costante, con alti e bassi, attorno ai 2,1 miliardi per tutti gli anni dal 2006 al 2012. La quasi totalità dei 200 milioni di maggiore spesa,
che l’Aifa imputa alla liberalizzazione, si verifica tra il 2012 e il 2013. È mai possibile che gli
effetti negativi della liberalizzazione siano concentrati tutti in un solo anno e dopo sei anni
dalla sua approvazione? Sembra abbastanza strano, l’impressione è che nel 2012 sia successo qualcosa che ha fatto salire la spesa complessiva di Sop/Otc.
Una spiegazione più che probabile è il delisting di quell’anno, ovvero la riclassificazione di
centinaia di farmaci passati da “obbligo di prescrizione” a “senza obbligo di prescrizione”. In
pratica nella categoria dei medicinali interessati dalla liberalizzazione nel 2012 sono entrati
centinaia di farmaci che avevano un prezzo medio più alto, facendo crescere il livello della
spesa complessiva:
I processi di delisting posti in essere dal 2012, riclassificando come farmaci SP
(senza prescrizione) medicinali con un prezzo medio generalmente più elevato
– circa 12 euro – rispetto a quello dei farmaci da banco, hanno generato un incremento del prezzo medio degli SP pari, nel 2014 a 8,6 euro contro i 6,9 euro
del 2011. Ciò ha avuto come effetto un incremento del prezzo medio per tutta
la categoria dei farmaci senza obbligo di ricetta.7
L’Aifa ha fatto parlare i numeri confrontando cose diverse: i due insiemi presi in considerazione sono differenti, hanno un prezzo medio diverso dovuto tra l’altro a un provvedimento regolatorio, il delisting, che l’Aifa non può ignorare visto che è essa stessa che se ne occupa. In pratica è un po’ come se la Lega calcio confrontasse il totale dei punti dei campionati
a due punti con quelli dopo l’introduzione dei tre punti (delisting) dicendo che l’aumento
dei punti totali è dovuto all’eliminazione del limite di tre stranieri per club (liberalizzazione).
Sarebbe evidente a tutti, e alla Lega calcio in primis, che la cosa non ha molto senso.
Si può al contrario affermare che il processo di liberalizzazione, introducendo nuovi elementi di competizione, ha portato a una riduzione dei prezzi «di una cifra oscillante tra il
20 e il 25%».8 Come scrive Assosalute:
Grazie alla concorrenza, i prezzi dei farmaci non prescription risultano piuttosto
contenuti, con un valore medio di vendita, nel 2014, pari a 8,1 euro in farmacia,
6 Aifa, “Liberalizzazioni: facciamo parlare i numeri”, 17 febbraio 2015 http://www.agenziafarmaco.gov.
it/it/content/liberalizzazioni-facciamo-parlare-i-numeri
7 “Numeri e indici dell’automedicazione” edizione 2015, Assosalute
8 Giacomo Lev Mannheimer, “La liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C e gli infondati
timori per la salute”, Focus n° 248 Istituto Bruno Leoni, 17 febbraio 2015
5
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7,4 euro in parafarmacia e 6,0 euro presso la Gdo.9
Visto che il numero delle parafarmacie, comprese quelle interne alla Gdo, è contenuto
rispetto alle farmacie e che oltre il 90% dei farmaci da banco viene ancora venduto dalle
farmacie, si può ipotizzare che la differenza di prezzo media sia più alta dove c’è meno concorrenza e più ridotta laddove è più intensa la presenza di punti vendita. C’è da aggiungere
che le farmacie hanno spesso prezzi più alti perché rispetto agli altri canali hanno costi di
distribuzione più elevati e un numero di referenze più ampio che non si limita ai prodotti
più venduti, ma in ogni caso non c’è ombra di dubbio che i pazienti abbiano goduto di più
libertà di scelta e maggiori sconti grazie alla liberalizzazione.
Con la Grande distribuzione organizzata arriva la “logica del profitto”?
Un’altra critica che ha accompagnato le liberalizzazioni riguarda l’ingresso della Gdo e la
paura che il “grande capitale” conquisti una posizione dominante nel mercato farmaceutico
riducendo le garanzie a favore della salute dei cittadini per inseguire “la logica del profitto”.
Una prima considerazione di tipo generale riguarda proprio la “logica del profitto”, indicata
come qualcosa di perverso e negativo, e che invece è proprio uno dei cardini su cui è basato il sistema delle farmacie private: è facendo profitti che le farmacie riescono ad essere
efficienti e a erogare un ottimo servizio ai cittadini. Il contrario della logica del profitto è
la logica del debito, che spesso vediamo all’opera nelle inefficienti farmacie comunali (un
caso emblematico è quello della Farmacap, la società del comune di Roma che gestisce una
quarantina di farmacie, in grado di macinare decine e decine di milioni di debiti che pesano
sul conto corrente dei contribuenti). Insomma, disprezzare la logica del profitto è un po’
come tirarsi la zappa sui piedi, perché secondo questo modo di pensare il contrario della
liberalizzazione non sarebbe la farmacia privata, ma quella statal-comunale (che non rappresenta il massimo dell’efficienza).
In ogni caso, passando ai dati post-decreto Bersani, si può affermare che anche la preoccupazione del dominio della Gdo era fortemente esagerata, visto che in sette anni sono state
solo 340 le parafarmacie aperte nei supermercati, contro le 3.100 parafarmacie e le oltre
18mila farmacie di proprietà di farmacisti, e la Gdo detiene una quota inferiore al 3% del
mercato dei farmaci liberalizzati.10
Chiusura delle farmacie?
L’altra critica di tipo economico è che la liberalizzazione avrebbe tolto una grande fetta di
ricavi alle farmacie, facendo fallire proprio quelle più deboli come le farmacie rurali, che garantiscono un presidio capillare sul territorio e un essenziale servizio di assistenza sanitaria
in zone demograficamente meno popolose e geograficamente più periferiche.
Per fortuna, a distanza di qualche anno dalla liberalizzazione, si può affermare che non c’è
stato un effetto del genere. Molte farmacie sono in crisi, la redditività si è abbassata, ma
la causa principale è nella contrazione della spesa farmaceutica pubblica e non della parte
liberalizzata, che incide solo marginalmente sul fatturato: i farmaci interessati dal decreto
Bersani rappresentano circa il 10% del fatturato delle farmacie e di questo 10%, a distanza di 7 anni dalla liberalizzazione, il 92% continua ad essere incassato dalle farmacie. Solo
l’8% è uscito dalla rete delle farmacie e si è riversato nelle parafarmacie per il 5% e nella
9 “Numeri e indici dell’automedicazione” edizione 2015, Assosalute
6
10 Ibid.
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Gdo per il 3%11. Non si tratta quindi di una quota tale da far chiudere migliaia di farmacie,
soprattutto quelle rurali che per la loro peculiarità subiscono di meno la competizione
della Gdo e delle parafarmacie, e che invece spesso vengono usate come foglia di fico dalle
farmacie delle grandi città che hanno più interesse a difendersi dalla concorrenza. In ogni
caso se anche le farmacie rurali, che servono piccoli centri poco serviti e svolgono un ruolo
essenziale, rischiano di fallire a causa di una maggiore liberalizzazione, sarebbe più opportuno prevedere agevolazioni o interventi specifici per questo tipo di realtà piuttosto che
fare di qualche eccezione una regola di ordine generale. Non bisogna peraltro dimenticare
che le farmacie rurali sono già sovvenzionate tramite un’indennità di residenza, stabilita da
leggi regionali, e possono avere diritto ad agevolazioni sullo sconto imposto alle farmacie a
favore del sistema sanitario nazionale. Le bozze del ddl concorrenza circolate prima della
sua approvazione da parte del Consiglio dei Ministri contenevano una norma che rafforzava il sostegno alle farmacie rurali, prevedendo un contributo a carico delle parafarmacie e
delle parafarmacie della Gdo parametrato a quello che già versano le farmacie tradizionali,
per sostenere quelle rurali. Non è detto che questa sia la soluzione migliore, ma senz’altro
rappresenta una risposta al problema delle farmacie rurali alternativa rispetto al mantenimento dell’esclusiva sui farmaci di fascia C.
Le vecchie critiche non valgono più
Abbiamo visto come tutti i motivi utilizzati per evitare la liberalizzazione dei farmaci da
banco siano stati smentiti da ciò che poi si è verificato. Logica vorrebbe che quegli stessi
argomenti non vengano utilizzati ora per impedire la liberalizzazione dei farmaci di fascia
C. Innanzitutto perché c’è motivo di credere che anche in questo caso si verifichi ciò che
è accaduto per i farmaci Sop e Otc, ossia che una maggiore concorrenza e una possibile
riduzione dei prezzi non causi un consumi eccessivi e pericolosi. Ma soprattutto perché in
questo caso c’è un altro elemento che può farci stare tranquilli sulle garanzie per la salute:
questa categoria di medicinali può essere distribuita solo dietro prescrizione medica. Ciò
vuol dire che la vendita potrà avvenire solo se un medico prescrive il farmaco e solo se
c’è un farmacista al banco, le stesse garanzie che esistono nell’attuale sistema, con l’unica
differenza che il banco potrà essere anche quello di parafarmacia. Non c’è alcun rischio di
aumento sconsiderato dei consumi perché è il medico che decide dosi, tempi e quantità
di prescrizione del farmaco e non può essere influenzato neppure a livello ipotetico dagli
eventuali sconti applicati da farmacie e parafarmacie. In questo caso c’è solo un tipo di
consumo che può aumentare, ma che non è “superfluo” o “eccessivo”, e riguarda chi in
seguito a una riduzione di prezzo potrà acquistare un farmaco che prima non comprava
non perché non ne avesse bisogno, ma perché costava di più.
Ciò significa che, dal punto di vista economico, la partita dei farmaci di fascia C è prevalentemente, se non esclusivamente, redistributiva: tutto ciò che è in ballo è la “rendita di monopolio”, di cui oggi i farmacisti si appropriano interamente o quasi, e che potrebbe invece
trasferirsi al consumatore nel caso in cui la concorrenza fosse più presente.
Anche il timore che la grande distribuzione, in seguito alla liberalizzazione della fascia C,
metta le mani sul mercato è ora meno valido che mai, dal momento che nel ddl concorrenza approvato alla Camera, con l’eliminazione dei vincoli alla nascita delle catene di farmacie,
non c’è più bisogno che “il grande capitale” porti i medicinali fuori dalla farmacia, visto che
potrà acquistare direttamente le farmacie. Questo mix di liberalizzazione e monte e pro11 Ibid.
7
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tezionismo a valle potrebbe paradossalmente avere come spiacevole conseguenza proprio
quella di garantire un’esclusiva di vendita e una rendita alle grandi catene che entreranno
nelle farmacie, mettendole al riparo dalla concorrenza sulla fascia C. Chi è preoccupato da
questo rischio, dovrebbe vedere proprio nella liberalizzazione della fascia C una della vie
d’uscita più ovvie.
L’impatto della liberalizzazione della fascia C
Grazie all’iniezione di maggiore concorrenza, i cittadini hanno potuto beneficiare di un’offerta più ampia e di prezzi più bassi per i farmaci da banco. Nessuno degli scenari catastrofici, sia dal punto di vista economico che della sicurezza, si è verificato. Il bilancio è positivo.
Il processo di liberalizzazione del sistema di determinazione dei prezzi, che
permette al responsabile del punto vendita di determinare il prezzo finale dei
farmaci senza obbligo di ricetta, ha innescato dinamiche competitive tra i diversi
canali, a tutto vantaggio dei cittadini. Grazie alla concorrenza, i prezzi registrati
per i farmaci non prescription risultano piuttosto contenuti.12
Come abbiamo visto, non c’è stato neppure un impatto sconvolgente sia per quanto riguarda i consumi (in calo) sia per l’aumento del rischio di chiusura delle farmacie, che in seguito
alla liberalizzazione hanno subito una perdita di fatturato molto contenuta e continuano a
detenere oltre il 90% di quote di mercato. Bisogna aggiungere che il processo di apertura
del mercato ha comportato benefici dal punto di vista occupazionale, permettendo la nascita di oltre 3mila parafarmacie – parliamo solo di quelle attive oggi - e di molti più posti di
lavoro (le associazioni di categoria parlano di 8mila nuovi occupati), un importante capitale
umano formatosi nelle nostre università che sarebbe rimasto inutilizzato e che invece oggi
applica le proprie conoscenze per soddisfare le esigenze dei pazienti con la stessa preparazione e professionalità che si trova nelle farmacie.
Se questi sono stati gli effetti della prima liberalizzazione, non c’è motivo di dubitare che
avvenga lo stesso con la liberalizzazione dei farmaci di fascia C. Come ha detto il presidente
dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella in audizione al Senato:
La liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C costituisce una misura che consentirebbe un incremento delle dinamiche concorrenziali nella fase
distributiva di tali prodotti, con indubbi benefici per i consumatori anche in
termini di ampliamento della “copertura distributiva”, non più rappresentata
dalle sole farmacie, ma arricchita dai punti vendita della grande distribuzione
o dalle parafarmacie presenti nel territorio. Infatti, laddove venga in ogni caso
prevista la presenza di un farmacista nel punto vendita, la tutela della salute non
verrebbe in alcun modo intaccata.13
C’è da considerare inoltre che per l’Antitrust l’uscita della fascia C dalle farmacie è un
second best rispetto a un intervento più radicale come il superamento dell’attuale pianta
organica, ovvero la «trasformazione dell’attuale numero massimo di farmacie in numero
minimo» che consentirebbe di
12 “Il mercato farmaceutico in Italia nel 2013” in “Numeri e indici dell’automedicazione” edizione 2014,
Assosalute.
8
13 Senato della Repubblica, audizione del presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato prof. Giovanni Pitruzzella, 28 ottobre 2015.
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superare l’attuale sistema di contingentamento del numero di farmacie presenti
sul territorio nazionale, il quale non consente una razionale e soddisfacente
distribuzione territoriale degli esercizi farmaceutici basata sulla domanda dei
consumatori/pazienti.14
La possibilità di vendere anche i farmaci non rimborsabili con obbligo di prescrizione nelle
parafarmacie avrà una ricaduta positiva dal punto di vista occupazionale visto che le queste
potranno contare su un catalogo più ampio. C’è da considerare che nelle parafarmacie la
vendita di farmaci pesa solo circa il 15% del totale. I vantaggi saranno anche per i pazienti,
che, come accaduto per Sop e Otc, potranno trarre vantaggio sul prezzo dalla maggiore
competizione, e in questo caso i risparmi potranno essere anche più elevati, considerato
che i farmaci di fascia C - quelli non rimborsabili e con obbligo di ricetta - hanno un prezzo
medio di 11,8 euro, 3,7 euro più elevato rispetto ai farmaci senza obbligo di ricetta. Secondo Nicola Salerno di Reforming, applicando una forchetta di sconto tra il 15% e il 30% a
questa fascia di farmaci, «la spesa a carico dei cittadini potrebbe ridursi di un ammontare
annuo compreso tra 450 e 890 milioni di Euro».15
Naturalmente ci potranno essere delle conseguenze negative per le farmacie, altrimenti i
titolari non si opporrebbero alla riforma, ma, anche a voler ammettere che di queste preoccupazioni ce ne dobbiamo fare carico tutti, sono rischi di danni così elevati da giustificare
la mancata liberalizzazione?
Guardando i dati si direbbe di no. Attualmente il mercato farmaceutico è per l’86% un
monopolio legale delle farmacie (fascia A e fascia C) e per il restante 14% (Sop e Otc
liberalizzati) il 92% delle vendite avviene ancora nel canale delle farmacie: con la liberalizzazione le farmacie hanno perso solo l’8% dei farmaci senza obbligo di prescrizione, l’1%
del mercato farmaceutico complessivo. La liberalizzazione della fascia C, che rappresenta
circa il 16% del mercato farmaceutico, farebbe salire al 30% la quota di mercato aperta
alla concorrenza, lasciando comunque alle farmacie l’esclusiva sul 70%.16 Se anche nella
fascia C la perdita di quote di mercato e margini delle farmacie dovesse essere superiore
all’8% della prima ondata di liberalizzazioni a causa dei maggiori volumi che le parafarmacie
possono far girare, non sembra una quantità tale da provocare il fallimento delle farmacie,
ammesso che, da un punto di vista generale, ciò sia un effetto assolutamente da evitare. E
questo è vero soprattutto se si considera che il mercato delle farmacie non è solo quello
farmaceutico. Secondo i dati di Federfarma,17 il giro d’affari delle farmacie è composto per
il 49% dai farmaci di fascia A, per il 12% dai farmaci di fascia C, per il 9% dall’autocura (Sop
e Otc) e per il restante 30% da prodotti non farmaceutici (parafarmaco, omeopatici, prodotti per l’infanzia, igiene e bellezza etc.). Ciò vuol dire che la liberalizzazione della fascia C
riguarderebbe solo il 12% del fatturato delle farmacie, ma soprattutto indica un’altra cosa
che spesso anche le organizzazioni sindacali come Federfarma dimenticano di sottolineare:
già ora le farmacie raccolgono dal libero mercato il 40% del proprio fatturato (prodotti
non farmaceutici più farmaci senza obbligo di ricetta) e riescono a farlo senza sminuire la
14 “Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno
2014”, Autorità garante del mercato e della concorrenza, 4 luglio 2014.
15 Nicola C. Salerno, “Valutazione di impatto della riforma delle farmacie”, Reforming, 22 gennaio 2015
16 “Numeri e indici dell’automedicazione” edizione 2015, Assosalute
17 “La spesa farmaceutica nel 2014”, Federfarma https://www.federfarma.it/Documenti/spesa/2014/
IMSitaliano.aspx
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IBL Briefing Paper
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10 dicembre 2015
Luciano Capone
propria professionalità e con ottimi risultati, visto che nei primi sei mesi del 2015 è stato
proprio il mercato commerciale (quello liberalizzato) a far registrare il migliore trend di
crescita, +4,8% rispetto al primo semestre del 2014.18 Con la liberalizzazione della Fascia
C la quota di fatturato liberalizzata salirebbe dal 40% al 50%, non sembra un cambiamento
tale da stravolgere o sconquassare il sistema.
Conclusioni
Come si può notare dai dati di mercato e dai trend di consumo, le argomentazioni poste
a difesa della vendita esclusiva dei farmaci di fascia C nelle farmacie appaiono strumentali
e a volte contraddittorie. La prima liberalizzazione dei farmaci da banco ha ridotto i prezzi
senza far aumentare i consumi di farmaci, sono nate nuove imprese avviate da giovani
professionisti con un grande capitale umano e scarsi capitali fisici, i cittadini hanno potuto
beneficiare di prezzi più competitivi e di una rete distributiva ancora più fitta e capillare.
Dal canto loro i farmacisti titolari non hanno subito una grande riduzione di fatturato tale
da far fallire le farmacie o addirittura tale da creare, come molti paventavano, le condizioni
per un fallimento di mercato. Anzi le farmacie, mantenendo anche nel settore liberalizzato
quote di mercato oltre il 90% e facendo segnalare ottimi risultati nel settore commerciale,
hanno dimostrato di non dover temere la concorrenza e di essere perfettamente in grado
di competere senza danneggiare il servizio o svilire la propria professionalità, di essere scelti
da cittadini liberi e non obbligati.
La liberalizzazione dei farmaci di fascia C con obbligo di ricetta non sarebbe altro che la ovvia prosecuzione e naturale conclusione di un percorso che ha dato buoni risultati. In questo caso i benefici per i cittadini potranno forse essere superiori perché si tratta di una fetta
di mercato più grande, che include medicinali con un prezzo medio più elevato delle fasce
senza obbligo di prescrizione già liberalizzate. E non ci sono neppure i rischi ipotetici sulla
sicurezza per la salute, perché si tratta di farmaci che possono essere dispensati solo dietro
ricetta medica, quindi il consumo superfluo sarà evitato a monte. Resteranno in campo
le stesse garanzie e gli stessi obblighi che valgono per la farmacia: il farmaco deve essere
prescritto da un medico e può essere venduto solo da un farmacista. Paradossalmente in
questo caso il farmacista, a differenza dei farmaci senza obbligo di prescrizione, ha un ruolo
meno discrezionale visto che si deve limitare a dispensare i medicinali indicati dal medico.
E non si tratta neppure di qualcosa di nuovo, visto che già da tempo le parafarmacie sono
autorizzate a vendere farmaci veterinari con obbligo di prescrizione, senza che ciò abbia
causato problemi di sicurezza sanitaria.
Chi sostiene che il sistema attuale sia l’unico che possa garantire la corretta dispensazione
dei farmaci si basa su una convinzione difficile da sostenere, quella secondo cui i cittadini
siano garantiti dalla farmacia e non dal farmacista. Ma la farmacia non possiede caratteristiche intrinseche superiori, è semplicemente un luogo in cui opera il farmacista e in cui
si applicano le norme di farmacovigilanza volte a garantire la sicurezza delle persone. È
difficile immaginare che gli stessi farmacisti, iscritti allo stesso ordine e sottoposti alle stesse
leggi, diventino pericolosi solo perché operano in un luogo che si chiama “parafarmacia”
anziché “farmacia”: appare poco convincente l’idea che le stesse persone, sottoposte alle
stesse regole, assumano comportamenti così radicalmente diversi in base a cosa c’è scritto
sull’insegna del locale. Liberalizzare la fascia C fa bene alle tasche e non fa male alla salute.
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18 “Farmacie. Ims Health: ‘Nel primo semestre 2015 mercato cresciuto del 4,8%’”, Quotidiano Sanità,
3 settembre 2015 http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=30885
IBL Briefing Paper
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L’Istituto Bruno Leoni (IBL), intitolato al grande giurista e filosofo torinese, nasce con l’ambizione di stimolare il dibattito pubblico, in Italia, promuovendo in modo puntuale e rigoroso un punto di vista autenticamente liberale. L’IBL intende studiare, promuovere e diffondere gli ideali del
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