Pdf Opera - Penne Matte

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Pdf Opera - Penne Matte
Gus venne svegliato dalla nuova App del suo smartphone: una sveglia che, dopo un acuto jingle,
trasmetteva un giornale radio.
Ecco che il ‘buongiorno’ glielo diede un giornalista di cui ignorava nome e volto.
“La Germania è ancora in stato di emergenza dopo il “Big Boss”, quello che è stato decretato il
terremoto più potente e duraturo della storia dell’umanità che, ricordiamo, aveva come epicentro la
piccola città di Lindau. Gli esperti di scienze naturali si dicono esterrefatti in quanto non vi è
nessuna faglia nel terreno sottostante, e la scossa sembra essere provenuta dal nulla.
Inspiegabile anche la sua durata di ben 35 minuti.”
Si alzò dal letto e si stropicciò gli occhi. Controllò il cellulare. Nessun messaggio. Nessuna
chiamata. Nessuna notifica. Tutto nella norma insomma.
Il giornalista continuava ad informare i suoi spettatori
“…e spostandoci di parecchi chilometri torniamo a parlare delle creature emerse dal Mar Morto
qualche settimana fa. C’è chi ha pensato a delle mutazioni genetiche, chi a degli esperimenti, ma di
quegli orsi con la criniera argentata si sa ancora ben poco. E’ un periodo fitto di eventi poco chiari
per tutto il mondo e c’è chi vede in questi avvenimenti i segnali di una fine imminente
dell’umanità”
Sorrise. Effettivamente, nelle ultime settimane, il mondo sembrava si stesse divertendo a prendersi
gioco dei suoi abitanti.
“..e ultimo in ordine cronologico di questi episodi conturbanti è la comparsa dell’enorme Quer..”
Chiuse l’applicazione. Questa notizia la conosceva piuttosto bene. Il sorriso lentamente scomparve.
Prese il cellulare e uscì di casa, lasciandola vuota.
In sella alla sua bicicletta cominciò a pedalare verso la spiaggia. Nonostante fosse mattina, la città
era avvolta nell’ombra. I lampioni accesi, come i fari anabbaglianti delle automobili.
Se quella peculiarità, all’inizio, aveva attirato turisti muniti di fotocamere di ultima generazione, ora
cominciava a turbare. Non poco. Turbamento più che motivato, si ritrovò a pensare Gus, il ragazzo
dai capelli biondo rame, occhi neri, fisico asciutto e dalla socialità non pervenuta.
Preferiva i libri alla gente. Loro non ti giudicano mai: anzi, ti donano conoscenza ed emozioni,
senza chiedere nulla in cambio.
Arrivò alla spiaggia. Lasciò cadere la bicicletta. E rimase li a guardare il mare, ma soprattutto il suo
ospite inaspettato.
Eccola li, di fronte a lui, l’ennesima singolarità che il mondo aveva regalato al genere umano.
A qualche centinaia di metri dalla riva, dalle profondità marine sbucava una Quercia.
Imponente. Immensa. Mastodontica. Enorme.
Occupava i tre-quarti dell’orizzonte. Con i suoi 848 metri di altezza e 110 metri di diametro, la
Quercia e le sue migliaia di rami fitti ma spogli, si meritava qualsiasi primato.
Anche sulla velocità di crescita: i primi rami iniziarono a sbucare dal pelo d’acqua solo un decina di
giorni prima, e secondo alcuni rilevamenti continuava a crescere.
Giorno dopo giorno. Ora dopo ora.
Per quante domande ci si potesse fare di fronte ad una cosa del genere, nel bene o nel male, era
inevitabile rimanerne affascinati.
Ovviamente una simile singolarità attirava l’attenzione dell’intero mondo scientifico, ecco perché
ormai era ovvio trovare attorno al tronco principale imbarcazioni della “NASA”, ma soprattutto la
branchia che si occupa delle scienze naturali dell’ “UNESCO”.
Tutti protetti da motoscafi di Polizia ed Esercito, con il compito di osservare costantemente l’area.
Cercavano di capirci qualcosa, con scarsissimi risultati.
Gus si tolse le scarpe e cominciò, come faceva spesso negli ultimi giorni, a godersi quell’atmosfera
surreale.
Vagava senza meta con le gambe e con la mente. Poi sentì qualcuno piangere. Un pianto soffocato.
Assottigliò gli occhi per cercarne la fonte. Più in là vide un' imbarcazione a riva, illuminata dalla
propria luce issata nel punto più alto.
Con le braccia appoggiate ad uno dei bordi della barca vi era un uomo con testa china. Era lui che
piangeva. Gli si avvicinò.
“Hey, tutto bene?” debuttò Gus.
L’uomo si girò verso di lui. Si affrettò ad asciugarsi le lacrime dal volto con due movimenti veloci
della mano.
“Non trovi nulla di strano?” e indicò con un cenno del capo la Quercia, che imponente se ne stava di
fronte a loro ad osservarli.
“La natura tira brutti scherzi da sempre” rispose con tono ipocritamente tranquillo. “Non mi sembra
cosi grave” disse ironico.
L’uomo rise. Una risata nervosa senza dubbio.
“Io sono Desmond” disse avvicinandosi un po’. Solo ora Gus notò un cartellino sulla camicia
dell’uomo: riportava il nome “Desmond Torch” e di seguito la scritta ed il logo identificativo della
NASA. Particolare non di poco conto. Evidentemente la sapeva lunga sulla Quercia, sul “Big Boss”
e sulle creature emerse dal Mar Morto.
“Augustus.” Rispose apaticamente, alternando lo sguardo dal cartellino, agli occhi verdi dell’uomo.
“Sai qualcosa che dovrebbero sapere anche tutti gli altri?” incalzò il ragazzo.
“E’ complicato” rispose il Sig. Torch, dall’aria completamente sfatta, e voce tremante.
Sembrava indeciso, e sul punto di lasciarsi andare a qualche dichiarazione, poi un rumore fragoroso
raccolse la loro attenzione. Una frattura. Legno che si spezza.
Lungo la linea longitudinale del troncone principale dell’albero, cominciò a formarsi una crepa, che
provocò la caduta in acqua di pezzi di legno, massicci come mattoni.
Alcune imbarcazioni vennero colpite, e degli scienziati finirono in mare.
Lo squarcio si allargò a dal suo interno ne fuoriuscì una luce pulsante, che dal celeste varava al blu
elettrico; in maniera ritmata. Le infinite propagazioni dei rami cominciarono a ondeggiare, a tempo
di una qualche melodia di cui non si percepivano le note.
Le imbarcazioni cominciarono a tornare verso riva. Anche le forze dell’ordine erano completamente
allo sbando e non avevano un codice da seguire.
“Che diavolo?” disse sorpreso Gus, illuminato da quella luce bluastra.
Il signor Torch scrollò le spalle. I suoi anni di studi non lo avevano preparato ad un evenienza
simile.
“Dovremmo andare” disse Gus, deciso. Un evento più unico che raro. E si piombò sulla barca.
“Dove ?” Disse l’uomo dai capelli lunghi e barbetta incolta.
“Senti. Sei uno scienziato e probabilmente ne sai parecchio di sta storia” disse indicando col pollice
la Quercia alle sue spalle e proseguì.
“Stavi piangendo e non vuoi dirmi il motivo, ma immagino sia perché tu sappia che tutto questo non
ci porterà ad essere ‘felici e contenti’ come nelle favole. Quindi hai due possibilità: o essere uno dei
tanti che hanno portato l’umanità ad una situazione simile, o essere uno dei pochi a cercare di
rimediare e salvare il culo a tutti!”
Lo scienziato rimase a bocca aperta: la capacità di persuasione di quel ragazzo era da ammirare, ma
comunque non era convintissimo. Si guardò attorno, poi con uno scatto veloce, senza pensarci,
anche lui si piombò all’interno dell’imbarcazione.
Subito si mise al timone e partì. Pensò che non avrebbe avuto il tempo di spiegare alla Polizia tutta
la questione, quindi si diresse subito verso la Quercia.
Come aveva previsto la sua azione non era stata ben accetta e due motoscafi dell’esercito partirono
all’inseguimento. Avevano anche il dovere di limitare le iniziative personali, troppo pericolose,
degli scienziati.
Desmond accelerò più che poteva, diretto verso lo squarcio.
“Non dovresti rallentare un po’?” domandò preoccupato Gus, con il vento che gli rendeva faticosa
la respirazione.
“Se ci fermiamo ci prendono” disse sicuro l’uomo guardando fisso dinnanzi a sé.
“Ma se non rallentiamo ci schiantiamo!” gridò per farsi sentire meglio dall’uomo al timone, visto il
rumore del motore e del vento.
“No, non ci schiantiamo. Te lo assicuro” disse ancor più sicuro di qualche istante prima.
Poche centinaia di metri li dividevano dallo squarcio. L’imbarcazione cavalcò un’onda troppo
velocemente e difatti si sollevò dall’acqua in direzione della crepa formatasi nella Quercia.
“Noo!” Gridò Gus, prima di essere inglobato dal blu travolgente.
Subito dopo sopraggiunse il buio accecante.
Dolore era ciò che sentiva. Dolore in ogni parte del corpo, ma era ugualmente felice. Il sentire
dolore era sintomo dell’essere vivo. Eppure si sentiva comodo. Si mise di scatto seduto.
Si trovava su di un letto, in una stanza sconosciuta, prevalentemente composta di legno.
Al letto di fianco al suo vi era Desmond già sveglio:
“Dove siamo?”
“Dall’altra parte” gli rispose lo scienziato.
“Lo so che è difficile da accettare ma è cosi” disse l’uomo.
La storia che aveva appena ascoltato era bizzarra, ma cosa non lo era nel mondo nelle ultime ore?
“Ti ripeto: avevamo trovato delle aree in cui il campo magnetico terrestre creava un “ponte” con
quello solare, e noi della Nasa assieme all’ESA avevamo pensato di sfruttare questi campi per
collegarci e viaggiare.”
Gus continuava a guardarlo sbalordito.
Desmond era galvanizzato per ciò che stava vivendo, Gus un po’ meno.
“E ci siamo riusciti! Dai Gus, questa è storia, noi siamo parte della storia ora! Vieni qui.”
Prese il ragazzo e lo portò con sé vicino ad una parete coperta da una tenda. La scostò con un colpo
secco. Evidentemente era sveglio da parecchio per padroneggiare gli spazi di quella stanza
sconosciuta cosi bene. Vi era una vetrata che permetteva la visione di ciò che vi era all’esterno.
Una serie di caseggiati in legno si innestava su un paesaggio collinare. L’erba verde ed il cielo
azzurro dominavano la scena. Una serie di caseggiati non altissimi, tutti rigorosamente in legno,
erano disposti in maniera ordinata lungo le rive di un fiume che percorreva il suo letto al centro di
quella specie di villaggio.
Sulle rive del fiume vi erano numerosi animali ad abbeverarsi: molto simili agli orsi, ma con una
criniera argentata attorno alla testa. Si, erano le stesse creature ritrovate nel Mar Morto.
Alcuni di loro venivano utilizzati come mezzi da traino.
C’erano bancarelle impegnate nella vendita di un qualcosa di molto colorato, ma che non riusciva a
riconoscere: forse frutta, o chissà cos’altro.
Sembrava di essere in uno di quei libri ambientati molti secoli addietro.
Le donne avevano tutte vestiti molto lunghi e solo tre tipi di capigliatura: lisci e lunghi, ondulati e
molto corti. Non vi erano altre sfaccettature: sembravano prodotte in serie.
Gli uomini prediligevano la barba, chi più e chi meno lunga. Abbigliamento spartano ma con un
tocco di modernità: jeans. Che quasi stonavano col resto del loro vestiario.
Sopra ogni caseggiato vi era installata una sfera: ognuna di esse brillava di una luce blu pulsante; la
stessa che aveva visto dallo squarcio della Quercia.
La stessa luce blu pulsava anche da oggetti simili a dei bracciali che ognuno portava al proprio
polso: solo alcuni ne avevano più copie.
Gus sobbalzò alla visione di un enorme testa d’animale fuoriuscire dal fiume: un coccodrillo
travestito da cane, ecco a cosa pensò. Era mastodontico, e se ne vedeva solo il capo. Ma nessuno dei
presenti in quella landa sperduta chissà dove, ne sembrava preoccupato.
L’animale tornò sotto il filo dell’acqua e solo ora iniziò ad immaginare quanto potesse essere
profondo quel fiume.
“Abbiamo raggiunto un universo parallelo!” disse Desmond notevolmente compiaciuto.
Gus lo guardava disorientato. Poi una voce li destò da quelle che potevano sembrare a tutti gli
effetti delle farneticazioni.
“Sarete affamati” disse un uomo con camicia di flanella , barba bianca, lunga una decina di
centimetri, e jeans.
“Nonostante quello che si diceva di voi dell’altro universo, siete simpatici ragazzi” tuonò l’uomo a
colazione terminata.
Cosa mangiarono non lo saprebbero descrivere Gus e Desmond, ma aveva un retrogusto piacevole.
Era surreale tutto ciò: erano ad un tavolo di legno, a fare colazione con qualcosa di indefinito, in un
universo parallelo.
“Ma ora cosa succederà?” chiese l’uomo allo scienziato, che si era lasciato andare al racconto di
tutta la vicenda, anche se molti punti rimasero incomprensibili per la famiglia, per Gus e per se
stesso.
“Non so. So solo che i nostri due universi stanno cercando di occupare lo stesso spazio: il risultato
sono che il vostro universo ha cominciato ad invadere il nostro. Ecco spiegato le creature ritrovate
nel Mar Morto e la Quercia nell’oceano”
“Incredibile” disse annuendo l’uomo chiamato Alkron.
Gus rimase in silenzio, ma scambiò qualche occhiata con la figlia dell’uomo: una ragazza dolce, dai
lineamenti sofisticati, capelli lisci e occhi leggermente a mandorla. Il suo nome era Sasvena.
Gus notò la foto ingiallita di un uomo con braccia conserte, pizzetto rosso, come i suoi capelli
lunghissimi e liscissimi. Un mantello nero, e diversi bracciali dalla luce blu su entrambe le braccia.
Era posto nel punto più alto di una parete della sala da pranzo.
“Chi è?” chiese indicandolo
Ci fu imbarazzo, o paura. I membri della famiglia, Alkron, la moglie Ferban e la figlia Sasvena si
guardarono, poi fu quest’ultima a rispondere:
“E’ Morkon. Lui è il sovrano di questo mondo, e vuole che la sua foto venga esposta in ogni
abitazione. Come vuole che le donne rendano riconoscibile il proprio ceto sociale con i propri
capelli: lunghi e lisci ad indicare il ceto alto, ondulati per quello medio, corti per il ceto più basso.”
I genitori della ragazza sembravano in disappunto ma lei continuò:
“Ottiene tutto ciò che vuole, anche grazie al suo esercito di Oblinium, bestie senza alcun accenno di
pietà e intelligenza. E questa storia degli universi non l’ha presa bene” la ragazza non staccò mai lo
sguardo da Gus.
Il gelo calò nella stanza, rotto solo dalla voce paffuta della signora Ferban, anch’ella con capelli
lunghi e lisci che le percorrevano tutta la schiena:
“Sasvena perché non porti i nostri ospiti in visita del villaggio?”
Da quel momento ebbe inizio un tour di luoghi mistici e imponenti, tenebrosi e ammiccanti,; un
viaggio alla scoperte di atmosfere e paesaggi fuori da ogni immaginazione.
Dal tempio,completamente scavato nella roccia, degli “Scavrot”, esseri simili agli uomini, ma di
bassa statura e dal naso pronunciato, che si dilettavano a prevedere il futuro in cambio di denaro o
pietre preziose. All’allevamento dei Lacrimut, felini non più grandi di gatti che, di tanto in tanto,
lacrimavano un fluido argenteo.
“E con le loro lacrime che si costruiscono questi braccialetti. Raccoglie tutte le energie vitali
inutilizzate dal nostro corpo, per poi poterne usufruire in caso di malanni o ferimenti.
Ecco perché siamo più resistenti alle malattie e viviamo più a lungo di voi.” Informò Sasvena.
Il viaggio prosegui fino allo “Specchio”: un lago su cui si riflettevano, da qualche giorno a quella
parte, immagini frastagliate provenienti dall’universo da cui provenivano Gus e Desmond.
Ed è li che videro cosa avevano lasciato: Morkon era arrivato lì tramite la Quercia, assieme ai suoi
Obliniun, orchi alti, con capo e braccio destro più grossi rispetto al resto del corpo. Ed è proprio
nella destra che impugnavano la loro arma: un frusta capace di congelare qualsiasi cosa al loro
scocco. Videro la città di Gus completamente devastata: un cumulo di macerie e ghiaccio. Lo
sconto che si paga per spingersi oltre, dove forse l’uomo non dovrebbe andare.
Ed è sulle rive di quel lago che vennero richiamati da un ragazzo del villaggio:
“Morkon è appena arrivato al fiume. Gli Oblinium stanno battendo tutto a frusta e ghiaccio, E' voi
che cerca! “. Quell’ultima frase risuonò come una sentenza di condanna al patibolo.
Gus, Desmond e Sasvena si scambiarono sguardi preoccupati, poi partirono.
Arrivati al fiume, trovarono i resti di un massacro: urla, ghiaccio, sangue e frammenti di legno in
ogni dove. Morkon supervisionava il tutto.
I tre novelli avventurieri si scambiarono uno sguardo complice: Sasvena corse via, Gus avanzò di
qualche passo verso il sovrano di quel territorio, Desmond rimase indietro.
Il ragazzo notò per terra i corpi di alcuni Oblinium esanimi: la gente del luogo li aveva uccisi, con
del fuoco, il nemico più acerrimo per quelle bestie.
Quel popolo li stava difendendo: nonostante il caos in cui versavano, proprio per causa loro e del
loro mondo,
“E’ noi che vuoi: è inutile prendersela con loro” urlò Gus.
Morkon lo guardò e sghignazzò.
“Ecco le due talpe. E’ un onore avervi qui: ho appena fatto visita al vostro mondo, lo sapete?”
proferì ironico.
Gli si avvicinò ancora un po’.
“Soddisfatti di ciò che avete causato?” il suo alito emanava odio.
“Non è colpa nostra” rispose Gus, non troppo convinto.
“Ah no? Per la vostra stupida sete di potere vi siete spinti ben oltre le vostre capacità, e avete messo
a repentaglio il mio mondo!”
Lo sguardo del sovrano si contorse in un espressione malvagia: il suo mantello lo accompagnava
come sempre.
“La cosa che più mi indigna è che questa lurida popolazione vi difende; ha osato mettere i bastoni
tra le ruote a me che sono il loro sovrano, hanno decimato il mio esercito…tutto questo per due
stupidi” ringhiò.
“Dovresti farti delle domande allora” cosi Gus si giocò la carta della spavalderia.
“Ci avete rubato la Quercia della Ragione. Il più caro dei nostri beni: lo avete fatto vostro. E questi
stupidi non se ne rendono conto. Quella Quercia ha visto sorgere ogni popolazione vissuta su questa
Terra. Guarda cosa ci avete lasciato ora” Disse indicando un punto dietro di lui.
Vi era un enorme fossa, nera e profonda, dalle cui profondità si intravedeva appena una flebile luce
blu.
“Non vi lascerò andare. Siete miei e pagherete per ciò che avete fatto” tuonò.
“Io non credo” rispose deciso Gus. E si scagliò su Morkon con una ferocia che non credeva di
possedere. Spinse l’essere dai capelli rossi per terra.
Gli Oblinium rimanenti non fecero in tempo a difendere il loro padrone, che vennero investiti da
una pioggia di schegge di legno infuocate: diversivo creato dalla popolazione in segno di ribellione
e difesa.
Desmond corse in maniera forsennata fino all’orlo di quel oblio creato dalla mancanza della
Quercia. La luce in fondo a quel tunnel significava che dall’altra parte lo squarcio nell’albero aveva
ripreso a pulsare: come erano arrivati ne potevano uscire. Questa volta però Desmond avrebbe fatto
il viaggio da solo. Lungo la strada, avevano deciso cosi.
Desmond Torch guardò Gus per l’ultima volta e gli sorrise.
“Ad un altro universo amico!” poi si tuffò di spalle e iniziò a sperare.
“Non deve scappare! No! No! No!” cercò di rimettersi in piedi per raggiungere lo scienziato che
ormai era sparito. Gli Oblinium ormai tutti fuori gioco. Si voltò verso Gus che era a pochi metri da
lui. Si rialzò velocemente.
Sasvena ora tornò alle spalle dei due, lungo un bordo della fossa.
“Mio sovrano” disse con voce pacata ed un sacco di stoffa tra le mani.
Lo lanciò delicatamente verso il detentore del regno, che lo prese la volo e ne guardò il contenuto:
racchiudeva i braccialetti di tutta la popolazione. La loro luce continuava a pulsare.
Cominciò a ridere di gusto.
“Mi sbagliavo! Loro ti odiano esattamente quanto me”
“Ti sbagli ancora” Gus fece due balzi e colpì Morkon sul petto con la pianta del piede.
Morkon vacillò: intanto dalle sfere sopra ogni abitazione dei raggi di luce partirono in direzione dei
bracciali nel sacco.
L’intero villaggio stava donando le loro scorte di energia che si accumularono nei bracciali.
Morkon perse l’equilibrio, e cadde nel vuoto. Dopo alcuni istanti un esplosione di energie vitali
ricopri l’intero villaggio.
Desmond era appena piombato in acqua sulla sua Terra originaria.
Subito dopo, un' esplosione blu cobalto travolse l’intera città. Passarono pochi minuti per capire che
ce l’avevano fatta; Gus ce l’aveva fatta.
La Quercia cominciò a ritirarsi e ripiombare nel mare.
Desmond cominciò a ridere e piangere di gioia, mentre alcuni motoscafi militari si dirigevano verso
di lui: ne aveva di cose da raccontare.
Dall’altra parte Gus era finito per terra, ma quando il bagliore sparì, lui assieme alla popolazione
capì che le cose erano tornate alla normalità.
Sasvena lo raggiunge e lo abbracciò. Per lui, per Sasvena, per quel villaggio e per quell’universo
cominciava una nuova era.
Nuovamente sotto i rami della Quercia.