Leggi il documento - Politicamentecorretto

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Leggi il documento - Politicamentecorretto
Mensile in lingua italiana
Aprile 2008
Numero 60 - Anno 6
o
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www.eureka.gr
BUFALE
E BROGLI
Mozzar ella alla diossina?
Una bufala, ma ci hanno
descritto come “inquinatori”
alimentari. E così, nei giorni
in cui Sarkozy e Brown lucidavano gli ottoni del loro
orgoglio nazionale, l’Italia
stava combattendo la sua
battaglia per le sue mozzarelle: sono una delle ormai
rare “eccellenze” da esportazione. L’allarme è rientrato, ma il danno era fatto.
Prima la “monnezza”, adesso la diossina.
Come sia potuto arrivare un
paese, che pure in tempi non
lontani ha occupato con onore il quinto (vent’anni fa
superanno la stessa Inghilterra) o il sesto posto al mondo per innovazione, sviluppo
e quel che una volta si usava
chiamare progresso, a identificarsi con le sorti di un suo
formaggio, anche se uno dei
più globalmente famosi e apprezzati, è difficile dirlo. La
Francia, per dire, che ha egualmente una industria e
una produzione casearia raffinata e gustosa, non s’identifica certo con il camembert. Né l’Inghilterra con il
cheddar cheese.
Tom Muller è un giornalista tosto del “New Yorker”.
Ha condotto una documentata inchiesta sull’olio extravergine d’oliva, che tra poche
settimane si tradurrà in un libro d’accusa. Muller ha scoperto, facendo nomi e cognomi, come trafficanti d’olio
“made in Italy” con sede a
Barletta, in Puglia, smerciassero sulla Quinta strada mercanzia adulterata. Insomma
una truffa colossale. E l’ennesima demolizione del
“made in Italy”: Muller racconta del traffico del finto extravergine con il piglio di un
infiltrato tra i produttori di
coca in Colombia.
Eppur e, venendo al nocciolo, un candidato “estero”
ha proposto che la nostra dieta mediterranea diventi patrimonio dell’Unesco. È una
dei tanti punti di programmi
elettorali dei nostri futuri
rappresentanti. Un altro pezzo forte è la difesa della ristorazione italiana nel mondo.
Ma quale ristorazione, se
all’origine non sappiamo garantire la genuinità dei prodotti? E poi ancora la funzione degli Istituti di Cultura
senza però spiegare come
poi dovrebbero “effettivamente” funzionare. Tranne
casi sporadici, i nostri candidati non hanno le idee chiare,
anche perché non sanno bene neanche loro cosa possono fare per gli italiani all’estero. Ma neanche i partiti:
è stato messo come capolista
un candidato di una formazione che si è dichiarata contro il voto degli italiani all’estero.
In questi giorni sono arrivate le schede, ma non hanno
fatto in tempo ad essere imbucate che già si parla di
“brogli” e di “compravendita” delle schede, si conosce
anche il prezzo: 5 Euro per
una preferenza che aiuta ad
aprire le porte del “paradiso
romano”. Al punto che un
candidato ha ammesso che i
risultati della circoscrizione
Europa potrebbero essere
falsati ed ha chiesto degli
“osservatori” europei itineranti tra i quartieri e i bar frequentati da italiani, come si
trattasse di elezioni in un
Paese a basso tasso di democrazia.
A questo punto perché stupirsi se, capaci di esportare
anche “bufale”, a breve potremmo importare altre “bufale”? Entrambe sono prodotti “inquinati” da una “furbizia” che ci danneggia, prima come italiani all’estero e
poi italiani.
e-mail: [email protected]
Un convegno sulle opere d’arte rubate
In Italia
In Grecia
La cultura ellenica e il Vangelo. Gli europei debbono «riscoprire il tesoro
inestimabile di valori che hanno ereditato dalla saggezza integrale della
cultura greca e del Vangelo», e una ottima occasione per questo è l’Anno
paolino che i cristiani di tutte le confessioni celebrano quest'anno nel
bimillenario della nascita di san Paolo. Lo ha detto il Papa nel discorso
all’ambasciatore ellenico Miltiadis Hiskakis, ricevuto per la presentazione
delle credenziali. Al neodiplomatico, papa Ratzinger ha raccomandato anche «gli sforzi della Grecia per promuovere pace e riconciliazione, specialmente nel bacino del Mediterraneo». L’impegno di Atene per «attenuare
le tensioni e dissipare le nubi del sospetto che a lungo hanno osteggiato l’armoniosa coesistenza nella regione - ha detto il Papa senza esplicitare esempi
in proposito - aiuteranno uno spirito di buona volontà tra gli individui e le
nazioni». Se l’Anno paolino fungerà da «catalizzatore» per una «riflessione
sulla storia dell’Europa», pensa Benedetto XVI, ciò metterà in luce «il vibrante scambio tra cultura greca e cristianesimo», che ha permesso «alla
prima di essere trasformata dall’insegnamento cristiano e al secondo di
essere arricchito dalla lingua e dalla filosofia greca». Ampia parte del discorso papale è stata dedicata inoltre a una carrellata sul miglioramento
delle relazioni tra cattolici e chiesa ortodossa greca, a partire dal 2000 e dal
viaggio di Giovanni Paolo II ad Atene. Benedetto XVI ha ricordato inoltre
l’opera ecumenica dell’arcivescovo Cristodulos recentemente scomparso e
le relazioni «fraterne e di pace» già stabilite con il successore di questi, Ieronymos.
Quanto guadagnano? Antonella Rebuzzi, residente in Russia e più ricca
tra la pattuglia dei senatori “stranieri”, con un reddito di 276 mila euro. Per
quanto riguarda gli altri, per avere un quadro della situazione patrimoniale
occorrerebbe conoscere anche i redditi e le proprietà detenuti nei paesi di
residenza, cosa che però non è possibile. E così, al secondo posto tra i più
ricchi dell’estero c’è Roberto Turano, del Pd, eletto in America settentrionale, con 91.753 euro, davanti a Nino Randazzo, proveniente dal collegio Asia-Africa-Oceania, che ha dichiarato 87.272 euro. Seguono Claudio Micheloni (eletto in Europa), con 84.813 euro, “el senador” argentino
Luigi Pallaro, con 84.724 euro ed Edoardo Pollastri, eletto anch’esso in
America latina, con 84.014 euro. Nella speciale classifica riservati ai dodici
deputati designati dagli italiani residenti all’estero quello che conquista il
primato dei redditi è di gran lunga Giuseppe Angeli, eletto per il centrodestra. Il suo imponibile per il 2006 è infatti di ben 734.182 euro; ed è la
somma dei compensi derivanti dall'indennità parlamentare e dagli oltre tre
milioni di pesos dichiarati in Argentina. Lo segue Gino Bucchino (Unione)
con 162.659 euro di reddito; anche qui frutto della somma fra stipendio da
deputato e redditi stranieri (124.994 dollari canadesi). Bucchino comunque
è a capo di un gruppone di “inseguitori” che si colloca tutto al di sopra dei
100mila euro complessivi. C’è infatti Narducci (146.847 euro, comprensivi
di circa 62mila franchi svizzeri), Arnold Cassola (128.373), Gianni Farina
(119.408, inclusi 55mila franchi svizzeri), Mariza Bafile (Unione) che di euro ne dichiara 112.106, Antonio Razzi con i suoi 104.698 euro dovuti oltre
che alla “paga” del Parlamento anche a circa 32mila franchi svizzeri e c’è
Salvatore Ferrigno che, aggiungendo all’indennità 25.361 dollari Usa, arriva
a 100mila euro e spiccioli. Per Guglielmo Picchi, Marco Fedi, Massimo Romagnoli e Ricardo Antonio Merlo redditi invece quasi collimanti con lo stipendio da deputato. Il primo di loro arriva infatti a 93.792 euro, il secondo
somma al compenso istituzionale di 84.1282 euro solo 2.770 dollari australiani, mentre gli ultimi due dichiarano di avere in pratica come unica fonte di reddito quello che gli passa Palazzo Montecitorio.
Donne e mafia. In concomitanza con le manifestazione tenutasi a Bari per
la ricorrenza della XIII Giornata in memoria delle vittime di mafia, anche ad
Atene il gruppo italiano “Parole di Donne” ha voluto fare la sua parte, per ricordare, con una bellissima rappresentazione teatrale, le vittime della mafia.
L’opera messa in scena presso il centro Culturale e teatrale BIOS di Atene,
con la sapiente regia di Xarula Sabataku si intitolava Donne e mafia, liberamente ispirato ai libri Le ribelli di Nando dalla Chiesa e Gomorra di
Roberto Saviano. Sono state interpretate magistralmente Felicia Impastato,
Michela Buscemi, Francesca Serio, le Donne di Gomorra, Saveria Antiochia, Rita Atria e Rita Borsellino. Affollatissimo il teatro con molti spettatori
anche in piedi, sia italiani che greci, che hanno applaudito commossamente
tutte le brave interpreti.
Caos-polis. «La città greca continua a presentare anche i sintomi di una crisi
urbanistica di lunga data e dai molteplici aspetti, che presumibilmente si
acutizzerà se non vengono adottate misure immediate: contrasti per gli usi
del terreno, estensioni irragionevoli prive di urbanizzazione, alterazione dei
tessuti storici, scatenarsi dell'edificazione abusiva, disfunzioni del traffico,
spazio pubblico privo di interesse, degrado estetico, rumore, inquinamento,
smaltimento dei rifiuti soltanto per citare i sintomi più rilevanti. La crisi è
aggravata dal mancato rispetto, drammatico in determinati casi, dei requisiti
della politica ambientale dell'UE, per la cui configurazione il nostro paese
partecipa a pari diritto in seno agli organi comunitari». Questa analisi è estratta dall’introduzione scritta da Stavros Tsetsis, urbanista, dal libro Un
futuro per la città ellenica, recentemente presentato ad Atene presso gli
uffici del Parlamento Europeo.
La Dante in cucina. In ricorrenza della Pasqua cattolica, la “Dante
Alighieri” ha organizzato una riuscita “Festa culinaria”. Gli promotori
hanno giustamente pensato - per dare un tono di originalità e di simpatia,
invece della solita “cena sociale” - di organizzare una gara di cucina a base di
piatti regionali, preparati da un massimo di venti concorrenti. La festa culinaria ha avuto un ottimo successo. Il primo premio è stato vinto dalla
signora Maria Canale con il “casatiello”, il tipico dolce napoletano. Hanno
partecipato 75 persone di cui 15 hanno concorso alla gara di cucina con
varie specialità regionali fra primi, secondi e dolci. Una trentina di premi
minori sono stati estratti fra tutti i presenti.
I cinque cerchi in manette. Siamo nell’area sacra di Olimpia, poco prima
che davanti all’antico tempo di Era, portata dall’attrice Maria Nafpliotu
travestita da antica vestale, la fiaccola venga accesa con la rifrazione solare
dando il via a Pechino 2008. Sul palco è la volta di Liu Qi, presidente del comitato organizzatore dei Giochi cinesi. Le sue parole? «La fiamma olimpica
irradierà luce e felicità, pace, amicizia e speranza...». Alle sue spalle ir rompe
un manifestante, un attivista di “Reporters senza frontiere”. Viene bloccato
dalla polizia. Ma per pochi attimi riesce a mostrare al mondo la sua protesta.
L’uomo sventola una bandiera con i cinque cerchi a forma di manette.
“Reporters senza Frontiere”, che contesta l’assegnazione delle Olimpiadi
alla Cina in nome della violazione dei diritti umani e della democrazia negata, ha fatto sapere che l’uomo ed altri due fermati dalle forze dell’ordine
sono suoi rappresentanti. La protesta avrà raggiunto anche la Cina? Niente
affatto: la televisione di stato cinese che trasmetteva la cerimonia, ha
trasmesso la cerimonia in leggera differita. Il canale ha fatto così in tempo ad
epurare le immagini della «sgradevole» manifestazione. Ma non è finita qui.
Iniziata la marcia, la fiaccola è stata “arrestata” da un gruppo di attivisti
proTibet: sdraiati per terra hanno impedito all’atleta di proseguire.
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L’Ambasciatore Gianpaolo Scarante, accompagnato dall’Addetto per la Difesa, Generale Roberto Quattrociocchi, è stato ricevuto
dal Ministro alla Difesa Evanghelos Meimarakis. Nell’incontro, svoltosi in un clima aperto e costruttivo, è stato esaminato lo stato
delle relazioni bilaterali nel settore della difesa e le potenzialità di un approfondimento della collaborazione sia tra le rispettive
Forze Armate che tra le industrie del settore.
A seguito del recente documentario (La guerra sporca di Mussolini trasmesso da “History Channel” in italiano) sull’eccidio
commesso nel febbraio 1943 dall’esercito italiano nel villaggio di Domenikon, l’Ambasciatore Scarante ha avuto un colloquio
telefonico con Athanassios Missios, Sindaco della città della Tessaglia. Nel colloquio è stata evocata la tragedia che costò la vita a
150 greci inermi ed il Sindaco, per la prima volta, ha invitato personalmente l’Ambasciatore a presenziare alla prossima commemorazione della strage. L’Ambasciatore, apprezzando l’invito, ha assicurato la sua partecipazione.
Il Professor Francesco Buranelli, Segretario della Pontificia Commissione per i Beni culturali ha tenuto al Megaron Musikis una
conferenza sui Musei Vaticani. L’Ambasciatore Scarante, che ha partecipato all’evento, ha successivamente accompagnato il Professore Buranelli in una visita al nuovo Museo dell’Acropoli di prossima apertura.
Il 10 Aprile si svolgerà presso l’Ambasciata il primo incontro dell’anno tra istituzioni ed operatori economici italiani in Grecia.
L’occasione è diretta a presentare il progetto di “Festival Italiano 2008”, fissato nella prima settimana di giugno. Verranno
esaminati gli aspetti organizzativi del principale evento promozionale dell’anno, diretto a favorire il “Made in Italy” attraverso
iniziative di carattere commerciale e culturale.
Grazie anche ad un articolato allineamento degli schedari consolari con le AIRE dei vari comuni, gli Uffici consolari dell’Ambasciata hanno condotto un’impegnativa opera conclusasi in questi giorni con la spedizione tramite l’ELTA di 7727 plichi elettorali destinati ai connazionali votanti in Grecia. I plichi, una volta restituiti (entro il 10 aprile, alle ore 16) verranno accompagnati a Roma dove un apposito ufficio provvederà allo spoglio delle schede della “Circoscrizione Estero”.
Comites: acefalo, bicefalo, macrocefalo
Ormai stiamo assistendo ad un feroce “accanimento
terapeutico” sul Comites, forse perché qualcuno si
illude che possa ancora uscire dal coma o forse perché
a qualcun’altro spiacerebbe perdere il titolo di “consigliere”, consapevole che, se mai si ripresenterà alle
prossime elezioni, riceverà una sonora legnata. Comunque prendiamo atto che il comitato degli italiani
non funziona più. Qualcuno potrebbe anche aggiungere: non ha mai funzionato. Giusta precisazione.
Sono trascorsi quattro anni dal suo insediamento,
ma ancora oggi - nonostante il lavoro di mediazione
delle autorità che hanno cercato in tutti i modi di convincere i consiglieri a trovare una linea di compromesso su cui collaborare - la funzione e la presenza
di questo Comites si dimostra essere del tutto “metafisica”, perché è un organo acefalo (non si raggiunge mai un accordo), bicefalo (sei consiglieri contro altri sei) e macrocefalo perché qualcuno, all’atto
della sua costituzione, ha maldestramente usato il forcipe. Ancora oggi si sta perdendo tempo per decidere
se alcuni consiglieri “azzurri” devono essere dichiarati
“decaduti”, per sapere se mai verrà approvato lo statuto, per sapere se alcune situazioni logistiche (la sede)
e amministrative (la segretaria) sono “legali” o no.
(continua a pagina 4)
AMBASCIATA D’ITALIA
Comunicato Elezioni 2008
Lunedì 24 marzo la Cancelleria Consolare
ha completato l'invio di tutti i plichi elettorali. Il plico contiene: un foglio informativo
che spiega come votare, il certificato
elettorale, la scheda elettorale (due per chi
ha compiuto 25 anni votando anche per il
Senato), una busta bianca, una busta già affrancata recante l’indirizzo dell’Ufficio consolare, le liste dei candidati. Si prega di seguire le istruzioni e di spedire le schede
elettorali utilizzando la busta già affrancata,
in modo che arrivi alla Cancelleria Consolare entro - e non oltre - le ore 16,00 del 10
aprile. L’elettore che, alla data del 30 marzo,
non ha ancora ricevuto, può rivolgersi alla
Cancelleria Consolare per verificare la propria posizione elettorale e chiedere eventualmente un duplicato.
PER QUALSIASI ULTERIORE INFORMAZIONE: 210.9538188 interno 189.
[email protected]
Ci sono due piani e due vite...
Desideri ascendere e non ti accorgi che
il Cielo dimora dentro.
Acceleri gaio, ma al primo ostacolo rifuggi
nelle caverne della scellerata incertezza.
Dipingi con colori altrui i muri della prigione
dello Spirito..
Non vedi che il Giardino festeggia l’arrivo
di fiori diversi?
Forse, per questo, è meno Giardino?
Non vedi il Fuoco che trasmuta ogni cosa?
Ciò che è dentro, sarà anche domani,
se solo volessi averne coscenza...
Ci sono due piani e due vite..
Apri gli occhi, sotterra la paura e l’alto e il basso
combaceranno.
C’è un Piano e una Vita. Infine.
Restituite
i marmi
«Il patrimonio culturale di una nazione è parte
inseparabile della sua identità e solido punto di
riferimento nell’evoluzione dei popoli»: con
queste parole Michalis Liapis, ministro ellenico
della Cultura, lunedì 17 marzo ha aperto i lavori
del primo convegno mondiale, chiusosi il 18
marzo, dedicato al ritorno dei beni culturali nei
Paesi di provenienza, organizzato dal ministero
ellenico della Cultura di concerto con l’UNESCO, che ha visto la partecipazione di consulenti
legali, di museologi e di specialisti del settore
riunitisi ad Atene con l’intento di sensibilizzare
l’opinione pubblica mondiale su una questione
che oltre alla Grecia e ai marmi del Partenone, riguarda molte altre opere d’arte divenute, nel passato ma anche oggi, altrettanti oggetti di desideri
inconfessabili che i governi non sempre si
dedicano con zelo a contrastare.
A questo proposito sono impressionanti i dati
forniti nel suo intervento da Yorgos Anastassòpulos, ambasciatore di Grecia presso l’UNESCO e presidente della 34.a Conferenza Generale dell’organismo. Secondo i dati ufficiali delle
Nazioni Unite, infatti, il giro d’affari mondiale
prodotto dal commercio di opere d’arte ammonta a sessanta miliardi di dollari, con un
aumento del cinquanta per cento negli ultimi
dieci anni, buona parte dei quali riguardano beni
culturali trafugati, mentre i Paesi africani nel loro
complesso hanno smesso di essere proprietari
del 95% del loro patrimonio culturale. Un vero e
proprio saccheggio a cui i Paesi aderenti
all'UNESCO hanno deciso di porre rimedio firmando nel 1970 la convenzione sul ritorno dei
beni culturali nei Paesi d’origine. Tra questi figurano anche Paesi come il Giappone, la Svizzera,
la Danimarca, il Regno Unito, gli Stati Uniti, la
Germania ecc., tradizionalmente refrattarie al
problema della restituzione.
Il convegno si è svolto nell’anfiteatro del
nuovo museo dell’Acropoli e com’è ovvio qualsiasi riferimento è assolutamente voluto. Infatti
il completamento dell’opera dell’architetto svizzero Tschumi sottrae alla controparte britannica
quella che era l’argomentazione più forte nei
confronti della richiesta greca di riottenere i
marmi trafugati da Elgin duecento anni orsono,
ossia quella della conservazione ottimale dei manufatti. E non a caso nel suo discorso di apertura
il ministro Liapis, accennando alla rigorosa legislazione greca in materia di protezione del patrimonio culturale, ha fatto notare che il nuovo
museo dell'Acropoli costituisce lo spazio ideale
in cui esporre i rilievi del Partenone nel loro ambiente storico e naturale. Al ministro Liapis ha
fatto eco Christiane Tytgat, già sovrintendente
dei Regi musei di arte e storia di Bruxelles,
durante la sua relazione: «Basta dare un’occhiata
intorno per capire a chi appartengono davvero i
marmi del Partenone».
Una delle relazioni più interessanti del convegno è stata quella di Giorgio Croci, docente di
problemi strutturali dei monumenti e dell’edilizia storica presso la Sapienza di Roma, di
Tullio Scovazzi, docente di diritto internazionale presso l’Università Bocconi di Milano, e
di Jara Haile Mariam, direttore generale dell’organismo per la ricerca e la conservazione del
patrimonio culturale di Etiopia. I tre relatori
hanno esposto la cronistoria del trasporto a Roma e della restituzione (nel 2004) all’Etiopia del
celebre obelisco di Axum, trafugato nel 1937
dall’Italia. Secondo Croci «questa vicenda, conclusasi con cinquantasette anni di ritardo,
costituisce un esempio straordinario dell’evoluzione dei principi legali internazionali concernenti la salvaguardia del patrimonio culturale di
Paesi terzi». Scovazzi invece ha ricordato che
l’Italia, oltre a quelle di trasporto, ha sostenuto
anche le spese di restauro e di ricollocazione di
questo monumento sacro, per un totale di
quattro milioni di dollari, dimostrando così
fattivamente la volontà di ripristinare i buoni
rapporti tra i due governi.
Dal canto suo Francoise Rivier, assistente del
direttore generale della cultura dell’UNESCO,
ha parlato del pericolo corso dai beni culturali in
Paesi che si trovano in stato di guerra ricordando
soprattutto i casi dell’Iraq e dell’Afghanistan, e
annunciando un grande incontro su questo tema
che si svolgerà nella Repubblica Coreana alla fine del 2008. «Restituire un’opera d’arte al suo
legittimo proprietario è indice di generosità, di
rispetto per l’identità dell’altro, e segna l’inizio di
una nuova stagione, governata da nuovi
principi», ha fatto notare Elena Korka, direttrice
del Dipartimento delle antichità preistoriche e
classiche presso il ministero ellenico della
Cultura, chiudendo il primo convegno di una serie che ne prevede altri sei. Che il conto alla rovescia per il ritorno in Grecia dei marmi del Partenone sia cominciato?.
Maurizio De Rosa
2
Aprile 2008
I conti in tasca ai giovani precari per necessità
1000 euro al mese:
vivere alla grande
Alzi la mano chi conosce il significato della parola precario.
O meglio, alzi la mano chi davvero conosce il significato della
parola precario. Ammettiamolo: chi non abbia figli o parenti in
tali condizioni o chi non sia quel figlio o quel parente sulla
“precarietà” ha le idee piuttosto confuse. Per chiarirle apriamo
il vocabolario. Il classico Zingarelli in un’ottimistica edizione
anni Ottanta recita: “Temporaneo, incerto, provvisorio. Detto
di lavoratore, specialmente dipendente di amministrazioni
pubbliche, assunto con contratto a termine e quindi privo di
garanzie per il futuro”. Quanto tempo è passato e quanti precari, invece, sono ancora lì da quella definizione. Andiamo per
gradi.
Di “temporaneo” e “provvisorio” il lavoro precario, ormai,
non ha davvero nulla. A meno che non si accetti di estendere la
durata del “provvisorio” oltre il minimo dei dieci anni. Anche
di “incerto” è rimasto poco. Il precario ha la certezza assoluta
che sarà dura arrivare alla fine del mese, che non potrà fare
progetti per lungo tempo, che un eventuale matrimonio o
famiglia sarebbe più che altro un'associazione di mutuo soccorso, e che la fine del tunnel è quanto mai lontana e difficile
perfino da immaginare. Insomma, il precariato è la metafora
della vita: si sa quando si inizia ma non si sa quando e come si
smetterà, che sia per pensionamento, decesso o, quella che
sembra la più remota delle possibilità, assunzione.
La lista delle correzioni è ancora lunga, perché il precariato
diffuso nel settore pubblico, ormai è costante pure del privato
e mette d’accordo destra e sinistra nel prendere in giro le nuove
generazioni. Per quanto riguarda le garanzie del futuro, beh,
sarebbe già consolante sapere di averne uno, visto che il
precario vive alla giornata, sapendo che è vero che “domani è
un altro giorno”, ma che questo non necessariamente è un
dato positivo. La parola “precario”, usata e abusata fino a farne
quasi un intercalare, non ha significato concreto. Perché il
concetto non si spiega a parole tutt’al più con un’ondata di
ansia ma con i numeri.
Se è vero ed è vero che il precario è ossessionato dai conti
da pagare, forse l’unico modo di comprenderlo è fare quei
conti. Detto fatto. Il precario attenzione, quello di “fascia alta”
guadagna nella migliore delle ipotesi, mille euro al mese. Lordi.
A fronte di una preparazione, in molti casi, d’eccellenza. È sottopagato. E, spesso, sottoimpiegato. Si presta a lavori più umili
di quelli ai quali in teoria potrebbe aspirare. E a perderci, oltre
alla sua qualità della vita, è la società. È come se uno andasse a
cena dallo chef Heinz Beck e chiedesse un uovo sodo. Di certo, sarà fatto meglio di tutte le uova sode che abbia mangiato
fino ad allora, ma vuoi mettere le prelibatezze che avrebbe potuto provare? Al precario questo non importa. Se hai bisogno
di soldi, la prima cosa che vendi sono i tuoi sogni. È indubbio.
Dicevamo: mille euro lordi sono circa 750 euro netti.
Con questa cifra, non vorremo mica parlare di mutuo? Con
una rata di 505 euro al mese, superiore al limite previsto,
potrebbe avere un mutuo di 70mila euro a vent’anni. Ma non
riuscirebbe a comprarci neanche il box per la macchina che
comunque non potrebbe permettersi. Meglio cercare casa in
affitto. Roma, però, è cara. Cerca che ti ricerca, troviamo
un’offerta accettabile: 500 euro al mese. La “casa” è di ben
quindici metri quadri. Praticamente, stanza e bagno, Come
quando viveva a casa con mamma e papà, con l’unico
vantaggio di un accesso indipendente. Essere indipendenti,
però, significa anche pagarsi le spese: acqua, luce, gas, riscaldamento, rifiuti, condominio, televisione e telefono, per un
totale di almeno 144 euro al mese. Con i restanti 106 euro ci si
può concedere qualche piccolo “lusso”, ossia i trasporti - macchina, motorino o tessera dei mezzi pubblici e il cellulare, perché se il lavoro è “a chiamata” bisogna essere sempre reperibili.
Ovviamente, bisogna mangiare. E stare bene. Guai a farsi
venire tosse o raffreddore: giorni di lavoro non pagati e
medicine da acquistare. D’altronde, si sa, “quando c’è la salute
c’è tutto”. O quasi.
Di detto in detto, si arriva alla soluzione: “mal comune
mezzo gaudio”. I precari sono tanti e, quindi, possono condividere la loro precarietà. Come una grande famiglia. Basta
dividere affitto e spese. Eccolo, il “paradiso” è fotocopiato su
uno dei tanti annunci per studenti e studentesse: appartamento
di 60 metri quadri all’Appio, da dividere con due persone, affitto a persona 350 euro al mese. In nero. Tolte le spese che,
grazie alla ripartizione con i coinquilini scendono di qualche
euro - rimangono 241 euro per “godersi” la vita. E, chi lo sa,
magari concedersi l’”extra” di una telefonata a mamma e papà
per sapere se si può tornare a casa. Quella vera. Perché, a conti
fatti, la vita da figlio è decisamente più decorosa.
Valeria Arnaldi
Viaggio virtuale sui siti dei candidati della circoscrizione Europa. Tra loro anche Emanuele Filiberto di Savoia
Italiani “di ter ra, di mare e d’aria” all’urne! E mentre si apre il
sipario, i plichi delle circoscrizioni estere volano in patria a
recare le preferenze di quegli italiani che neppure all’estero
hanno trovato pace, in questa
ridicola, e per fortuna breve,
campagna elettorale. Saranno
anche stavolta determinanti le
coscienziose scelte dei cervelli
fuggiti, degli emigranti express,
degli operai d’oltralpe?
L’idea che rivestissero un
ruolo decisivo nell’assegnazione delle ambite poltrone,
conforta in patria gli indecisi, i
disillusi che scelgono “il meno
peggio” o il non-voto, perché
secondo loro, gli italiani
al’'estero hanno una visione
politica del paese natio più
chiara, scevra dal bombardamento mediatico quotidiano, di un’Italia quasi sempre
battuta nel paragone con il
paese ospitante, che ha saputo,
invece, impiegarne intraprendenza e capacità. E mentre in
Italia si condanna la censura
delle tv cinesi sulle proteste
nella cerimonia inaugurale
delle Olimpiadi, fuori dalla
penisola si sottolinea la condizione della politica “Made in
Italy”, ormai allo sbando, dopo
gli scossoni del libro sulla “casta” e del “V-day” di Grillo, potenti tsunami abbattutisi sui
“tronisti” (leggi deputati) più
pagati d'Europa, tutto ciò senza che gli italiani, ignari quanto
i cinesi, ne sappiano nulla.
Sottovalutati al loro esordio
elettorale, gli italiani all’estero
ora sono corteggiati da tutte le
forze politiche che, con certosina puntualità, avviano un epistolare, e spesso univoco, rapporto con gli eventuali elettori.
«Caro amico, cara amica» ti
scrivo, così ti distraggo un po’,
e siccome sei molto lontano
più forte ti scriverò, esordiscono i candidati del Pdl, inguaribili romantici dal facile
abbraccio affettuoso. «La sinistra ha messo in ginocchio l’Italia» ci informa Berlusconi, e
sono in molti a immaginare
quale sia la posizione prediletta, invece, dall’ex premier!
«Adesso una Italia nuova. Si
può fare» dice Veltroni, «vuoi
prendere o lasciare» aggiungerebbe Branduardi, e mentre
il pullman del Pd varca i confini
territoriali, milioni di lettere
giungono nelle case degli aventi diritto al voto esordendo
«Gentile Uguccione, ci siamo.
Siamo arrivati…» che, insieme
alla cacofonia introduttiva,
s’accompagnano a minacciosi
bollettini postali per un “contributo” alla tournee. Ce lo restituirete, poi, quando il vostro
partito riceverà il rimborso da
parte dello Stato?
Stanchi delle migliaia di facce
e promesse invariate da decenni, navigando sui siti dei candidati all’estero, una folata di vento fresco pervade i sensi. Tra
Camera e Senato, sono circa
150 i nomi in corsa per la circoscrizione Europa. Nomi che, se
pronunciati nelle tv e radio italiane, suscitano la reazione di
chi, desolato, non sa: “spallucce”. Sono loro i veri volti
nuovi della politica italiana,
sconosciuti ai più. Non proprio
tutti, però, come Emanuele
Filiberto di Savoia, nipote
dell’ultimo re d'Italia, graziato
dalla condizione di esiliato in
cui versava dalla nascita, ha creato la lista “Valori e Futuro”
che, si augura, farà dimenticare
agli italiani “viltà e passato” del
parentado.
In viag gio nell’universo europeo del Pd, Franco Narducci ci
tiene a dire «mi fido di te», e come potrebbe non farlo, amici di
vecchia data come siete! Sul
suo sito, Laura Garavini assicura «idee nuove e esperienza
preziosa» accompagnate dal
monito «mafia? Nein danke!» e
sottolinea: «Non c’è niente di
più falso del binomio italianimafia», infatti non si possono
tralasciare ndrangheta, camorra o le forme di prevaricazione
che rendono famosi nel mondo i politici italiani come nepotismo, raccomandazioni o
concussione. Ci rincuora Simona Milio che vuole più meritocrazia, innovazione, spazio
alle donne e poi «education, education, education», che si «In
traduce istruzione in italiano, e
non un agguato alla maleducazione de no' artri, fortunatamente salva. Ovvio il sostegno alle imprese italiane
all’estero, mentre quelle in loco
soffocano. Aggiunge infine la
Milio «perché contattare ricercatori inglesi, quando si può
contattare un italiano in Inghilterra?». Insomma, la legge del
nemo propheta in patria è ancora
valida, per chi si fosse illuso.
Beatrice Biagini sorprende tutti: «In Europa da europei, non
da italiani all’estero»; non avrà
sbagliato tornata elettorale?,
mentre Anna Pompei Ruedeberg prova ad ammaliare l’universo maschile: «Per un vero
cambiamento: uomo vota donna!».
Italia dei Valori non delude
con Antonio Razzi, «un operaio alla Camera, semplicemente
al vostro servizio», contattatelo
per eventuali sfondamenti
delle poltrone o rubinetti che
gocciolano. Anche nel Pdl,
Nicola di Girolamo la butta sul
professionale mettendo «la mia
esperienza al tuo servizio».
Candidata all’Oscar come
miglior attrice Antonella Rebuzzi, con lo slogan «per essere
protagonisti in Europa», mentre gareggia per quello alla
regia, Andrea Verde, produttore in passato di film hard.
Punta sulla chiaroveggenza
Aldo di Biagio «per il futuro
degli italiani in Europa»,
mentre a conferma del proprio
impegno con la Chiesa cattolica, l’Udc candida personaggi
con cognomi che lanciano
messaggi al divino, come a voler chiedere il miracolo d’un
seggio: ecco, dunque, Sangregorio, De Santis e Ognissanti,
in lista insieme a tal Rosario
Cambiano che spiega come
avviene la “vendita” delle schede elettorali all’estero, quotate
circa 5 euro l’una, il prezzo di
una vaschetta di fragole fuori
stagione. Egli sostiene che
qualche fortunato (e non delinquente o truffatore) con qualche centinaio di migliaio di euro in più, può permettersi il lusso (o il crimine?) di comprare le
buste elettorali per cercare di
essere eletto.
Contro la monocromia, la
Sinistra arcobaleno dice «abbiamo colorato il mondo», con
un programma focalizzato su
casa, lavoro, diritti, ambiente,
laicità e libera informazione,
mentre il candidato Arnold
Cassola fa venire la pelle d’oca
con: «Italiani all’estero. Il valore aggiunto dell’Italia». Sarà
per loro che paghiamo l’Iva? Il
partito socialista per gli italiani
all’estero promette «un’Italia
sociale, responsabile, giusta e
governabile» e il candidato
Giuseppe de Bortoli confessa
che «i diritti sono di tutti o non
sono diritti», mentre dei doveri,
in campagna elettorale, non
parla nessuno.
In linea di massima, i programmi seguono direzioni parallele, se uno schieramento aggiunge un punto, l’altro è
pronto a rilanciare, così, senza
grossi contrasti o ideologie di
partito, gli obiettivi generali
puntano al miglioramento dei
servizi per i connazionali
al’'estero, solidarietà e sussidiarietà, promozione culturale,
mentre i candidati collocati
verso destra promettono di impegnarsi su favoritismi agli italiani all’estero rispetto a quelli
residenti in patria come, ad
esempio, usufruire dell’assistenza sanitaria gratuita in Italia per più di tre mesi, oppure
abolire le tasse per la seconda
casa in Italia, anche se uno può
permettersele.
Prima che il sipario su questo
breve viaggio virtuale si chiuda,
ultima tappa è la lista “L’altra
Sicilia per il sud”, con il candidato Francesco Paolo Catania che esorta: «Dai voce a chi
gli è stata sempre negata» e poi
aggiunge: «Sugnu sicilianu e mi
ni vantu, chiù dugnu chiù sugnu». Chissà che, sulla scia di
questa euforica dichiarazione,
qualche candidato non faccia
propria, portandola oltre confine, anche la promessa più allettante per tutti gli amanti della villosità: «Chiù P.I.L. Pe’ tutti!».
Marina Greco
Critiche alla traduzione in italiano delle poesie del famoso poeta ellenico ad opera della Professoressa Minucci
Kavafis: sono arrivati i barbari
Pubblichiamo con qualche piccolo
aggiustamento uno stralcio dell’articolo di Massimo Peri, professore
ordinario di lingua e letteratura neogreca all’Università di Padova,
“Diritti d’autore. A proposito delle
ultime traduzioni italiane di
Kavafis”, in Poetiche, 9/2, 07.
A prima vista la traduzione di
Kavafis che ci offre la professoressa Paola Maria Minucci (Poesie d’amore e della
memoria, Newton Compton
2006) si presenta come un
lavoro serio, ma basta leggerla
con qualche attenzione per
accorgersi che si tratta di
un’impressione superficiale.
Vistosi fraintendimenti, grossolane forzature, trasandatezza linguistica, clamorosa
incompetenza filologica rendono la lettura una via crucis
(persino la trascrizione dei
nomi propri e la punteggiatura
seguono criteri oscuri, contraddittori o stravaganti). Ecco
un brevissimo campionario.
Paola Maria Minucci, professore associato di lingua e
letteratura neogreca all’Università di Roma “La Sapienza”, ci
traduce epitelus con “infine” anziché “finalmente!” (p. 31);
“falliti” con “fallaci” (p. 53);
“lusso pacchiano” con “volgare lussuria” (p. 69); akres
meses, “grosso modo” diventa
“una alla fine, un’altra a metà”
(p. 215); “data l’indifferenza
della scelta” diventa “per lo
spregio della scelta” (p. 245);
Minucci confonde “profondi”
con “colti” (p. 151); ignora che
epochì non significa solo “e-
poca” ma anche “èra” (p. 141) e
sembra persino ignorare il
significato dell’espressione me
logu tu, “con Sua Signoria”, che
traduce… “a chiare lettere”. (p.
253). Minucci è capace di “distrarsi” fino al punto da scrivere: “affetti dei miei, affetti/dei morti di così poco conto” (p. 129). Il greco è chiarissimo perché recita letteralmente: “sentimenti di persone
morte così poco tenuti in conto”, cioè “sentimenti di persone morte che sono stati stimati
(onorati, amati, capiti) così
poco”. Minucci è capace di
scrivere: “Casa, locali, quartiere
/che vedo e dove cammino, da
anni e anni./ Ti ho creato nella
gioia e nel dolore” (p. 241). Chi
è questo “tu” (“Ti ho creato”)?
Da dove salta fuori? Per capire
l’equivoco basta dare un’occhiata al greco, dove il “tu” si riferisce a perivallon, “ambiente”,
termine omesso in traduzione.
In verità i guai di questa traduzione non sono tanto i fraintendimenti del greco, il problema più acuto è che Minucci
traduce un poeta dottissimo
come Kavafis ignorando le
norme elementari dell’italiano.
Minucci usa tranquillamente il
gerundio senza soggetto (p. es.
p. 113); scrive “saresti” invece
di “sarai stato” (p. 141); scrive
“se era” invece di “se fosse” (p.
147); viola senza ragione la
concordanza del numero: “ben
presto il duro lavoro,/e una
vita di stenti e di stravizi, lo
rovinò (anziché rovinarono; p.
235); “I loro bei volti, la l’a-
straordinaria giovinezza/l’amore dei sensi che li legava/si
accese, più vivo e intenso” (anziché si accesero, p. 219); scrive
“per parte di madre Antiochia
[=Antiochide]” (p. 79) dove
l’italiano richiederebbe “per
parte della madre Antiochide”;
scrive “partì lontano” invece di
“andò lontano”(p. 209); scrive
“fuggiva a tremende notti
insonni”, invece di “sfuggiva
a” (p. 251). Insomma l’italiano
di Minucci frana sovente verso
strutture substandard, viola
senza motivo le categorie linguistiche provocando falle del
senso, genera sconcerto senza
peraltro generare quel “nuovo
verso”, quella “diversa musica”
di cui parla Ceronetti. E tutto
ciò traducendo un poeta dotato di altissima preoccupazione
formale come Kavafis, il quale
non si sogna nemmeno
lontanamente di violare la
consecutio, di usare un gerundio
pendens, di disattendere una
concordanza. Qui insomma
non è più questione di tradurre
bene o male, di privilegiare i significati o i significanti, di belle
infedeltà o di brutte fedeltà, qui
è questione d’italiano standard.
La traduzione ha un patto di
lettura. Esso prescrive come
condizione minima e indispensabile che si conoscano le norme della lingua d’uso. Il traduttore può avere un’insufficiente
conoscenza della lingua di partenza ma deve dominare con
sicurezza la lingua di arrivo,
altrimenti si espone al biasimo
del consorzio civile come chi
viola le norme del galateo mangiando la pastasciutta con le
mani. Certo, c’è una zona del
tradurre che è insindacabile,
perché la traduzione di poesia è
una forma di “ri-creazione”. In
certo senso, pertanto, il traduttore è libero di fare quasi tutto.
Può ignorare la lingua di partenza e accontentarsi di tradurre traduzioni; può sdegnare
troppo pedestri (e laboriose)
preoccupazioni filologiche,
come fa Ceronetti; può abolire
il piano metrico e iconico del
testo come fa Yourcenar (che
traduce Kavafis in prosa); può
sacrificare il senso sull’altare
della rima, come fa (a dire il
vero piuttosto brutalmente)
Franco; può inseguire il miraggio di una mimesi totale come
fa Pontani ovvero può fraintendere (con gloria o con ignominia a seconda dei casi) il cosiddetto originale. Tuttavia chi
traduce non può scrivere una
lingua incomprensibile o claudicante che sgretola il senso e
contraddice il buonsenso. Di
fronte a traduzioni del genere
non servono naturalmente i
moralismi, non serve rimpiangere la sensibilità, la
dottrina, il rigore e l’umiltà con
cui lavoravano maestri come
Pontani. C’è solo da prendere
atto della realtà. Il guaio - diceva Kavafis - è che aspettiamo, aspettiamo, ma i barbari
non arrivano mai. Si sbagliava.
Non c’è più niente da aspettare.
I barbari sono ar rivati.
Massimo Peri
Premio
a Irene
L’Ambasciatore Gianpaolo Scarante, e il presidente della giuria,
Aldo Milesi, hanno annunciato
l’assegnazione del “Premio Roma”
per la cultura 2008 a Irene Papa.
Per l’occasione pubblichiamo alcuni
stralci di una sua intervista rilasciata ad Angelo Saracini per “Il
foglio italiano”.
Ha superato gli ottant’anni,
ma continua a dimostrarne
venti di meno, grazie alla sua
freschezza di idee e all’entusiasmo da ragazzina. Ha lavorato con i migliori registi e
scenografi di tutto il mondo, è
stata Medea ed Elettra, ha aperto scuole ovunque. Ed è, in
altri termini, fuori del tempo,
nella zona atemporale cui appartengono persone del suo
livello umano ed artistico.
Quando si parla di felicità, è
veramente categorica e bruscamente ti chiede se conosci
qualche mortale felice. Afferma di considerarsi una vecchia
signora che si sente bambina e
per di più tiene a sottolineare
che è completamente priva
della saggezza degli anziani,
(«sono una vecchia bambina»,
dice).
Nota dolente, afferma di
non avere avuto dalla madre
patria quell’appoggio e riconoscenza che invece ha avuto
all’estero, soprattutto in Italia,
per realizzare il sogno di tutta
la sua vita in Grecia. Questo
sogno consisteva nel poter lasciare alla Grecia una scuola di
teatro a livello universitario.
Una scuola che manca nel panorama teatrale greco. Sembra
un paradosso, come usa dire
spesso lei stessa, che la Grecia,
culla del teatro, non sia mai
riuscita a darsi una struttura
pedagogica teatrale di alto livello, una vera Scuola d’arte
teatrale, e ad unire all’insegna
dell’arte drammatica di Euripide l’animo comune dei
popoli del Mediterraneo.
«Molto presto smetterò di recitare - confessa - voglio dedicarmi ai giovani, all’insegnamento. Ma in modo speciale,
risvegliando coscienze e vocazioni, non imponendo un credo personale». Nel 1994, ad
Atene, Irene ha creato un’associazione dal nome “Centro
Arti Applicate per lo Spettacolo e l’Audizione”. Dopo
infinite peripezie burocratiche, ma grazie soprattutto
all’aiuto di una caparbia direttrice del demanio, al quale
appartiene l’immobile, nel
1988 riesce ad ottenere la concessione in affitto della ex fabbrica Sanis, accollandosi quasi
tutte le spese per la ristrutturazione. Come direttrice onoraria, si prodiga subito nell’opera di recupero di nove enormi sale in un edificio di
pietra nel cuore di Atene, nella
via che porta al Pireo, struttura battezzata col termine di
Scuola: era un ex magazzino
statale da cui si sono ricavati
tre teatri e sale da ballo e locali
per laboratori pratici di musica, di scenografia. «A questo
progetto ho dato l’anima, il
cuore. Sogno un centro dove
chi ha raccolto esperienze illustri offra il proprio bagaglio
a chi vuole sapere, attingere,
ascoltare, vedere. Liberamente e costruttivamente. Come
in un alveare».
Qualche anno fa, il Rettore
dell’Università di Tor Vergata,
Alessandro Finazzi Agrò, le
ha conferito la laurea “honoris
causa” in lettere, per i suoi
straordinari meriti artistici ma
anche, usando le parole del
Rettore, «per l’eccezionale impegno da lei profuso nella
ideazione e nella direzione artistica delle Scuole d’Arte di
Atene, Roma e Sagunto».
3
Aprile 2008
Lettera al direttore a proposito di un libro di Marco Travaglio sul giornalismo italiano
Una ricerca che racconta la vita della comunità ellenica a Livorno nel 700 e 800
La scomparsa dei fatti Il fiorino, il grano e i greci
SCIOPERI
E DIVORZI
Sì, cer to il diritto di sciopero è un diritto sacrosanto e inalienabile di
qualsiasi lavoratore, ma non per questo non si può tentare di sorriderci, se
non proprio di riderci sopra a questo
diritto, non fosse altro che per sopportare meglio le conseguenze che di solito gli scioperi comportano per tutti.
L’occasione me la forniscono i lavoratori della DEH che in questi
giorni ne stanno combinando più di
Carlo in Francia pur di farsi notare,
di far notare il loro disappunto su
ventilate privatizzazioni e più concrete modifiche del loro regime pensionistico.
Ma non tutti i mali vengono per
nuocere si potrebbe dire perché ricordo, per esempio, che qualche anno
fa lo sciopero dei finanzieri ave-va
bloccato l’uscita della benzina dalle
raffinerie con la conseguenza che la
circolazione in questa caotica megalopoli a poco a poco era migliorata notevolmente perché oltre alla diminuzione delle auto in giro, visto il numero di quelle che erano rimaste a
secco, anche quelle che continuavano
ad andare lo facevano ad andatura
risparmiosa, evitando brusche accelerate e improvvise fermate.
Ma parliamo di energia elettrica.
Se la sua sospensione ti becca mentre
sei in ascensore ti tocca rimanerci
chiuso dentro fino al ripristino dell’erogazione e mai una volta che ti
capiti di rimanerci chiuso con quella
tua prosperosa coinquilina e che la
stessa ti proponga di trascorrere
piacevolmente il tempo della comune
segregazione!
Il vantag gio della faccenda è che
dopo la prima esperienza, personale o
di seconda mano, decidi di fare a piedi i tre o quattro piani che non facevi
più da anni; certo le prime volte arrivi, malgrado tutte le soste, col fiatone, se tutto va bene, ma dopo un po'
ti accorgi degli effetti positivi della
ginnastica.
Ma non ci sono solo vantag gi,
perché se stai cucinando, poiché tutto
va a corrente, se sei fortunato ti tocca
mangiare gli spaghetti un po’ più al
dente di quanto non desideri, se sei
sfortunato devi buttare via tutto e
arrangiarti con quello che trovi in
frigo nella speranza che non sia tutto
andato a male a causa della precedente lunga interruzione.
E i semafori? Già, anche quelli se
manca l’elettricità smettono di lavorare e questo autorizza tutti quanti ad assumere comportamenti il cui
certo risultato è il blocco universale
visto che ciascuno ritiene suo diritto
quello di incastrare la sua auto con le
altre in base al noto principio del mal
comune mezzo gaudio: non posso più
muovermi io? E allora bloccati anche
tu!
Ma la tragedia la si sfiora quando
l’interruzione avviene di sera. Ma avete presente che cosa significa trovarsi improvvisamente a tu per tu con
il proprio partner nella tremolante
luce delle candele che proiettano inquietanti ombre sulle pareti e il televisore muto?
Sì, in teoria sembra una situazione
ideale per darsi da fare, e non escludo
che qualcuno, tanti spero, ne approfitti per recuperare il tempo perduto,
ma quando così non è il rischio che il
rimpianto di quello che era e che adesso non è più si trasformi in una
resa dei conti: c’è tutto e il merito o la
colpa, a seconda dei punti di vista,
dell’imprevisto aumento delle nascite
controbilanciato da un altrettanto
imprevisto aumento dei divorzi che le
statistiche registreranno a fine anno
agli scioperanti sarà da attribuire.
Alfonso Lamartina
Egregio Direttore, mi rivolgo a te in quanto fai parte di
quella categoria che oggi chiamiamo ancora giornalisti; e mi
rivolgo a te ponendo un quesito: dov’è finito il vero giornalismo da qualche anno a
questa parte, quello obiettivo,
quello imparziale che dovrebbe raccontare i fatti, soprattutto quelli politici, con una lucidità ed analisi non propriamente schierata?
Basta leggere certi quotidiani, guardare la tv, ascoltare i
vari telegiornali ed assistere a
varie tribune elettorali, che il
grande cantautore Franco
Battiato definiva “demenziali”, per capire come la quasi
interezza dei giornalisti è sfacciatamente di parte e nasconde
la verità dei fatti perché nato
“servo”, perché non può
tradire la linea editoriale del
suo editore o semplicemente
perché poi la gente capisce
tutto.
Og gigiorno non tutti purtroppo hanno la fortuna di
usare internet o leggere dei libri per approfondire certi
argomenti, e così bisogna
accontentarsi di fatti e misfatti
che giornali e tv ci fanno fagocitare smussati di tutto quanto
possa urtare il potente di
turno, infarcendoli di commenti bipartisan per rispettare
la cosiddetta par condicio, che
non scontenta i politici ma
tiene all’oscuro di quanto succede l’ignaro cittadino.
Incuriosito dall’argomento,
sono incappato in un libro intitolato La scomparsa dei
fatti (Il Saggiatore) di Marco
Travaglio, che molti accusano
essere giornalista di sinistra ed
anti berlusconiano, ma che invece ha la sola colpa di riportare le notizie come esse realmente stanno e per di più ben
documentate.
Apriti cielo! Da Mani Pulite
alla guerra in Iraq, da Calcio-
poli a Vallettopoli, nel libro ci
viene fornito un inquietante e
sconsolato ritratto del giornalismo italiano, troppo spesso
complice dei politici e troppo
spesso bugiardo verso i lettori
o gli spettatori.
E così scopriamo che sono
due anni che ci sentiamo dire
che un ex sette volte presidente del Consiglio è stato
pienamente assolto dall’accusa
di avere avuto rapporti con la
mafia quando invece è stato dichiarato colpevole ma prescritto per decorrenza dei termini; giornalisti della “statura”
di Giuliano Ferrara, ex ministro di un precedente governo
e fondatore di un “interessante” partito oggi, che si
scopre essere stato sul libro
paga della CIA come informatore ma nessuno ne sa nulla; il
giornalista di “Libero”, Renato
Farina, meglio noto come agente Betulla, al soldo del Sismi per diffondere notizie false a danno di politici avversari.
E via di seguito: Belpietro, il
Iannuzzi pluricondannato,
Giordano, direttore de “Il
Giornale” che sta facendo rigirare nella tomba persino il
fondatore di quel quotidiano
Montanelli a suon di bufale. Ci
rimane Milena Gabanelli, con
le sue inchieste su “Report” e
qualche volta Santoro, che si
ostinano a mostrare pezzi di
realtà nudi e crudi, accompagnati dall'ostilità dell'intera
classe, o forse meglio casta,
politica. Ma purtroppo non
basta.
E allora caro Direttore, ti rigiro la domanda: dove è finita
la tradizione portata avanti
dallo stesso Montanelli e da
Biagi per citare due esempi?
Ho l’impressione che il giornalismo sia praticamente morto
in Italia, e che se invece di mettersi a fare gli scoop da “eva
tremila” un po’ di gente si
mettesse a fare seriamente il
proprio lavoro ci guadagnerebbe tutto il Paese.
Marco Della Puppa
Caro Marco, non si possono fare
esempi diacronici, citando Montanelli e Biagi quali esempi di un giornalismo ormai scomparso. Del primo vorrei citare una sua celebre
frase: «La sconfitta è il blasone dell’anima nobile». E forse per questo
che cominciò col mettersi nei guai
quando, pur essendo fascista,
giovane inviato in Spagna descrisse
una battaglia come era effettivamente andata e non come avrebbe amato raccontarla il regime. Il risultato fu che finì ad insegnare
italiano in Estonia. In esilio, cioè.
Col bel risultato di sentirsi poi chiamare fascista, per lunghi decenni, da
tutta la stampa di sinistra.
Mi chiedi dove sia finito il ver o
giornalismo. La risposta è sotto i nostri occhi: su internet. Il giornalismo
svincolato da interessi extra-giornalistici, di battaglia, di denuncia ha
trovato sfogo sui blogs. La prova? Il
numero di utenti (lettori) che ogni
giorno si collega al famoso sito di
Beppe Grillo. Questo, sia chiaro,
non vuole essere un elogio alla linea
editoriale del blog, bensì la banale
constatazione che la sete di notizie,
non filtrate, ha trovato il suo spazio.
E con quello di Grillo, migliaia di
altri siti ci raccontano una realtà
diversa da quella che leggiamo su
certa stampa, quella stampa, sottolinei tu, che riesce a far scomparire
i fatti. Concorderai con me che il
giornalismo è lo specchio di una società (noi possiamo confermare
questo assioma in quanto abbiamo
il privilegio di fare dei paragoni). E
la nostra stampa non fa altro che
riproporre gli italici difetti: familismo, clientelismo, nepotismo e
lottizzazione. Siamo anche l’unico
paese che ha instaurato l’ordine dei
giornalisti. Che cosa significa? Che
se non hai agganci non vieni assunto,
quindi niente diciotto mesi di “praticantato” indispensabili per l’esame
di ammissione all’ordine. È una selezione sociale e politica che ha limitato la libertà di stampa.
Dal 1453 con la caduta di
Costantinopoli i greci avranno
uno stato nazionale se non
dopo quattro secoli. Inizialmente la «turcocrazia» reciderà quasi completamente le
relazioni fra il mondo greco e
il resto d'Europa. Ma, con
l’estromissione dei mercanti
genovesi e veneziani dal Mar
Nero e con la stabilizzazione
del dominio ottomano nei
Balcani, si assiste ad un’ascesa
dei mercanti greci non solo nei
commerci dentro l’impero
ottomano ma anche esternamente, verso l’Ucraina e la
Russia e nel Mediterraneo verso Venezia, Trieste, Livorno,
Napoli, Marsiglia. In queste ed
in altre città nasceranno per
questi rapporti commerciali
importanti comunità elleniche. Comunità che avranno
per fulcro una dinamica ed intraprendente borghesia commerciale, ma che saranno autonome in tutte i loro aspetti
sociali, con le loro chiese, le
loro scuole tenute da religiosi
dediti a diffondere l’ellenismo
ed i principi dell’ortodossia, i
loro cimiteri e i loro ospedali.
La vita culturale e sociale di
queste comunità, che facevano da ponte fra due mondi,
era molto vivace, non certo
paragonabile con la vita che
svolgevano gran parte dei greci sotto il giogo ottomano.
Per questa ragione non è da
ritenersi un caso che proprio
in una di queste comunità,
quella di Odessa, ha avuto origine la Filikì Eterìa, la società
segreta che fu da detonatore
della rivolta del 1821. I suoi
fondatori Skufàs, Tsakàlof e
Xànthos provenivano proprio
da quel mondo commerciale
nel quale non avevano avuto
fortuna, ma che aveva
permesso loro di essere in
contatto con i più avanzati
movimenti politici e culturali
europei.
Un altro por to a svolgere un
ruolo importante per le comunità elleniche della diaspora fu Livorno, dal 1500 porto
principale della Toscana dei
Medici. Questa, già presente
dalla seconda metà del '500
quando era sostanzialmente
composta da marinai originari
dei domini veneziani, si sviluppò all’inizio del ‘700 tanto
da segnare la storia della città.
Dèspina Vlàmi è una ricercatrice ateniese che dopo essersi laureata in Scienze
Politiche all’Università di Atene ha proseguito i suoi studi a
Firenze e a Londra. Attualmente collabora con alcuni
periodici e con il quotidiano
“Kathimerinì”. Si è interessata
della storia delle comunità
della diaspora e ha pubblicato
un lavoro sulla comunità ellenica di Livorno dal titolo, Il
fiorino, il grano e le vie del
giardino. Mercanti greci a
Livorno 1750-1868, edizioni
Themèlio, Atene. Il testo, oltre
cinquecento pagine, è un dettagliato studio della vita della
comunità ellenica della città
toscana nel suo periodo di
massimo splendore che si
chiuse qualche anno dopo la
nascita dell'Italia unita quando
a Livorno fu abolito il porto
franco e perse quei privilegi
che avevano fatto la sua fortuna.
L’importanza della comunità ellenica fu ufficializzata
nel 1757 con un decreto del
Granduca di Toscana che concesse fra l’altro la libertà di edificazione di un luogo di culto
ortodosso. Precedentemente
erano autorizzate solamente
chiese greche di rito cattolico.
Studiando i traffici portuali
gestiti dalla comunità ellenica,
e analizzando il periodo 17701789, la Vlàmi scopre che circa
il 12% dei traffici fra Smirne e
l’Europa passavano da tre porti italiani : Genova, Livorno e
Messina. Livorno fra questi tre
aveva in alcuni annate una
grande importanza: ad esempio nel 1776 gestiva il 10% delle esportazioni della città dell’Asia Minore verso l’Europa.
Ma i dati, che nel libro sono
espressi in numerose tabelle,
nascondono anche elementi
che apparentemente l’aridità
dei numeri non dovrebbe mostrare. Veniamo così a sapere
che fra le elenco delle merci
esportate nel 1797 verso Salonicco ci sono anche 5000 dozzine di fez, prodotti a Prato
città toscana con una tradizione nell’industria tessile che
affonda le sue radici nel Medio
Evo. È singolare scoprire gli
ortodossissimi mercanti greci
di Livorno impegnati nel commercio di un copricapo simbolo emblematico dei mussulmani ottomani, un simbolo
così forte che la repubblica di
Ataturk si preoccupò di proibirne l’uso per affermare anche in questo modo il suo laicismo.
Il libro studia non solo i
commerci ed i traffici ma la vita della comunità nel suo complesso, il suo rapporto con la
città dove si era insediata e
dove vivevano altre comunità
straniere, gli armeni, gli ebrei
sefarditi, gli olandesi.
Importante fu il ruolo delle
grandi famiglie come i Maurocordato e i Rodocanacchi,
che hanno lasciato due grandi
ville situate ai margini della
città. Con la crescita ed il
consolidamento della comunità aumentarono anche le sue
esigenze, oltre la chiesa fu aperto un cimitero ortodosso,
fu fondata una scuola e dal
1796 nell’Ospedale della Misericordia fu aperto un padiglione ellenico. La comunità
mantenne sempre, e non solo
per ovvie ragioni commerciali,
i rapporti con la madrepatria, e
come tutte le comunità
elleniche della diaspora ma
finanziò e sostenne la rivolta
antiturca del 1821 che portò
all'indipendena della Grecia.
Un lavoro, quello di Dèspina Vlàmi, che descrivendo i
rapporti con i nostri vicini
nemmeno nel periodo del più
buio dominio ottomano, ed è
per questa ragione che è un
lavoro apprezzabile.
Mauro Faroldi
«Greci più bravi a letto!» Opsis: le note di De Andrè
Da una recente ricerca della “Online Publisher Association” risulta che circa il
73% degli intervistati si collega ad internet dal proprio
ufficio e navighi durante le ore
di lavoro. Le mete preferite
sono i grandi portali dell’informazione, che si sono trasformati nel tempo in scatoloni dai contenuti che spaziano dalla grande finanza al
gossip più bieco. Se una volta
l’uso di internet in ufficio era
collegato alla necessità di
reperire informazioni utili in
tempo reale, oggi la stragrande maggioranza dei
navigatori perde semplicemente tempo a sbirciare sulla
rete ogni volta che si accende
un feed, una sorta di allarme
che scatta all'arrivo di notizie
fresche. Le grandi aziende
multinazionali hanno raffinato i sistemi di filtro, in passato
quasi esclusivamente relegati
a bloccare l’accesso a siti dai
contenuti osceni, ma gli sforzi
sono stati vanificati da una
flessione generalizzata nella
qualità dell’informazione sui
portali più gettonati e da
un’eccessiva indulgenza nell’accostare notizie importanti
e di portata globale ad immagini e commenti pruriginosi.
I due più frequentati siti
italiani dell’informazione non
si sono sottratti a questo
inesorabile processo. L’uso di
materiale fotografico più o
meno esplicito e di messaggi
ad alto impatto emotivo è
indubbiamente il modo più
efficace per attirare un maggior numero di navigatori,
aumentando la quota di mer-
cato e quindi gli introiti pubblicitari.
Proprio pochi giorni fa è
improvvisamente apparsa
sulla home page di Repubblica.it
una notizia allarmante circa
un sondaggio condotto dalla
Durex, noto produttore di
profilattici, che ha coinvolto
26mila persone in rete e sulla
base del quale i greci risultano
essere i più soddisfatti sia per
frequenza che per durata delle
prestazioni. «Greci più bravi a
letto, italiani quinti» recita il
titolo-sentenza dell’articolo.
Già di per sé la notizia amena,
impaginata accanto a quelle di
nuovi terribili casi di cronaca
nera e alle foto di una sempre
raggiante Hillary Clinton, è
fuori contesto.
Ma è solo soffermandosi sui
commenti dei lettori che si
denota la pluralità di vedute e
la varietà del bacino d’utenza.
C’è chi laconicamente rivela
quante ore “dura” un suo cugino italiano. Altri, paternalisticamente, danno buoni
consigli: «Basta prendere un
cucchiaio d’olio extravergine e
si arriva a dieci senza difficoltà». Qualcuno (e probabilmente anche noi) è
molto più severo: «Notizia di
importanza e rilevanza cosmica. Voglio fare anch’io il
giornalista, e guadagnare soldi
con queste boiate».
Il commento dell’utente
Ciccio Bello, che poi si scopre
vivere in Grecia, è poi il meno
diplomatico in assoluto: «Immagino chi possa rispondere a
un intervista del genere...
sono primi in classifica quelli
che l’hanno sparata più
grossa! Vivo in Grecia da 5
anni e il maschio locale tipo
assomiglia più al Verdone di
“Troppo Forte” che a Rocco
Siffredi!».
Internet sembra purtroppo
aver ridato voce a chi giornalista o lettore aveva rinunciato in passato a divulgare
notizie inutili e a diffondere
idee strampalate. La realtà si è
tramutata in reality, e le relazioni umane sono state incanalate in blogs e forums privi
di censura ed al di fuori di ogni
regola, se non altro di buon
gusto.
E come in un g rande reality i
lettori possono assegnare un
voto alla notizia, anche se poi
non si capisce perché mai gli
argomenti meno votati e più
frivoli siano riproposti nel
tempo più degli altri. Probabilmente quello che conta è
la quantità di click sulla testata
e non la bontà dei contenuti.
Vogliamo comunque dare un
consiglio al simpatico utente
Ciccio Bello: nonostante e
per ragioni diverse è molto
probabile che Carlo Verdone
e Rocco Siffredi siano poco
conosciuti sulla piazza ellenica, continua pure a mantenere l’anonimato, perché in
caso di necessità qui si è in
pochi e anche male organizG.C.
zati.
Opsis: dal g reco antico, visione, punto di vista. Dall’italiano contemporaneo, progetto musicale nobile e ambizioso. Sei i protagonisti, guidati da
Francesco Longo, di Galatina,
provincia di Lecce, ma da anni
residente ad Atene che ha avuto l’idea, quasi la necessità di
tradurre Fabrizio De Andrè in
greco. Arduo il compito, soprattutto perché non è certo
un autore come tanti altri, De
Andrè, che annovera un posto
di tutto rispetto nello scenario
tanto musicale quanto
letterario italiano, con quella
urgenza e necessità di musica e
parole che va di pari passo con
l'urgenza di operatività e di
azione sociale. È anche merito
del supporto morale e dell’entusiasta carica che ha trasmesso loro l'ormai non più console
d’Italia, Fabrizio Lobasso,
anch’egli virtuoso musicista, se
questa idea, all’inizio proibitivo sogno, si è poi trasformata in realtà.
E così, con tutte le difficoltà
che si possono facilmente immaginare, canzoni indimenticabili come “Amico fragile”,
“Creuza de ma”, “La bomba in
testa”, “Nella mia ora di libertà”, “Sogno n.2”, “La canzone del padre”, “Un malato di
cuore”, “Khorakhanè”, “Sidun”, “Canzone per l’estate” e
la “Cattiva Strada” si possono
finalmente ascoltare e capire in
lingua greca.
Appar tenente alla numerosa
comunità italo-ellenica di Atene, Francesco Longo desiderava che i suoi tre figli, cresciuti in Grecia con una lingua
diversa dalla sua, avessero
l’opportunità di capire appieno il significato del pensiero sociale di De Andrè,
scrupoloso osservatore degli
eventi che negli ultimi quarant’anni hanno caratterizzato i cambiamenti sociopolitici dell’Italia.Tra gli intenti
nobili del progetto che più
stanno a cuore al gruppo, vi è
soprattutto la sensibilizzazione nei confronti del disagio
mentale, della schizofrenia e
della depressione e a questo
impegno è legato anche il loro
esordio, lo scorso ottobre,
presso il teatro “Dionisios
Aeropagitos” al termine di un
convegno internazionale sulla
schizofrenia. E mentre si
lavora alacremente alla produzione discografica, Dori
Ghezzi e la fondazione De Andrè collaborano moralmente
all’iniziativa, gratificando il
4
progetto con il proprio patrocinio.
Il progetto musicale “Opsis”, insieme al fondatore
Francesco Longo, voce e buzuki, vede protagonisti anche
Emanuele Coluccia, virtuoso
del sax, Francesco Congedo
contrabbassista, Pasquale
D’Intino, medico e appassionato chitarrista, anch’egli
residente ad Atene, Flavio
Giannandrea, percussionista e
Francolino Viva, liuto e chitarra, tutti salentini che, non
tralasciando di esprimere
ognuno la propria sensibilità
musicale, in una chiave musicale che rispetta le partiture
originali.
M.G.
Aprile 2008
Unico rappresentante della Chiesa Cattolica lancia un appello per la biblioteca
Dopo quattro anni di inerzia si chiede ai consiglieri un gesto di responsabilità
Luca, francescano a Rodi Comites: dimettetevi!
«Abbiamo bisogno di libri di teologia, di
catechesi, di testi che riflettano su la spiritualità e sulla liturgia della messa. Soprattutto
abbiamo bisogno di Bibbie e di Vangeli».
Padre Luca, francescano dei frati minori, diciassette anni passati a Gerusalemme, da appena due nell’isola di Rodi, è l’unico
rappresentante della Chiesa cattolica sull’isola.
Nato in Inghilterra, padre Luca non manca
di pragmatismo anglosassone. Quest’anno ha
un progetto che intende realizzare: riempire
gli scaffali della grande biblioteca che ha allestito nei locali della sua curia. «Ci aiuterà la
provvidenza» dice, ma intanto si dà da fare
perché la notizia circoli. Li accetta in qualsiasi
lingua, in italiano sono ancora più preziosi,
perché molti cattolici dell’isola (circa tremila)
ancora lo parlano, i più anziani l’hanno
imparato a scuola - quando il Dodecanneso
diventò colonia italiana - i giovani spesso per
aver studiato in Italia, soprattutto all’Università. Poi d'estate arrivano i turisti, molti
dall’Italia.
Padre Luca si occupa da solo delle cinque
parrocchie dell’isola: Santa Maria della Vittoria, la principale all’interno della città fortificata, San Francesco, Sant'Anna, il Sacro
Cuore e la chiesina cattolica del cimitero.
«Dico messa almeno una volta alla settimana
in ognuna delle chiese dellisola. Adesso tocca
a me mantenere vivo il culto cattolico e la presenza francescana sull’isola di Rodi. I
francescani sono arrivati qui 700 anni fa». Il
primo convento di frati a Rodi risalirebbe al
XIV° o addirittura al XIII° secolo. Ancora testimonianza che i frati erano già a Rodi prima
del 1300, il racconto di Pachymero, uno
storico ellenico vissuto tra 1242-1310, che usa
per la prima volta la parola “frerii”, senza altre
specificazioni, il che fa pensare a frati minori,
narrando che Michele Paleologo, imperatore
di Costantinopoli, inviò come ambasciatori al
Papa, il vescovo di Crotone e due nunzi,
“frerii” appunto, di cui uno proveniva da
Rodi.
Bisogna, però, arrivare alla Bolla papale del
1309 per conoscere il nome di un francescano
arrivato nell’isola: fra Pietro. Un frate francese, non di nobili o ricche origini, che poi fu
Patriarca a Gerusalemme e infine cardinale a
Roma. La Bolla di Papa Clemente V°, del 6
febbraio 1309, ingiunge al gran maestro degli
Spedalieri, Fulco de Villaret, di prestare ogni
assistenza al suo legato fra Pietro e di trasportare lui e il suo seguito sulle navi dell’ordine cavalleresco. Il frate è nominato legato apostolico in Oriente e il Papa gli concede
di condurre con sé quanti frati minori e
predicatori voglia con «la facoltà più ampia sul
conferimento di benefici e dispense nell’ufficio della sua legazione ed ogni sorta di onori
e privilegi».
Og gi frate Luca scherza, svelando che lui,
tutto solo, ricopre anche l’antica carica di arcivescovo di Rodi. Una carica che risale
proprio al 1300, quando il clero latino
nell’isola era molto più numeroso. Il titolo ufficiale allora dell’arcivescovo latino di Rodi
era quello di archiepiscopus colossensis (dal Colosso di Rodi) mentre l’arcivescovo dei greci
ortodossi si chiamava, semplicemente, rhodiensis. Il primo arcivescovo dell’area metropolita di Rodi è fra Bernardo, eletto alla carica il 13 novembre del 1324. L’archeologo
medioevalista Giuseppe Gerola ai primi del
1900 rintracciò la lapide sepolcrale di fra Bernardo nel pavimento della sezione femminile
di un bag no turc o di una mo schea di Ro di, da
cui si evinceva che Bernardo era stato vescovo
di Cos (isola vicina) e apparteneva all’ordine
dei frati minori.
Tra il 1482 e il 1484, periodo durante il quale
padre Francesco Suriano soggiorna a Rodi, i due
conventi che possedevano i frati, regalati ai
francescani dal gran maestro dei cavalieri
ospedalieri Giacomo da Milly nel 1457, erano
andati pressoché distrutti. Il convento fuori città
era stato raso al suolo dall’assedio dei turchi del
1480 mentre quello all'interno era stato danneggiato dal terremoto del 1482. Il gran maestro
D’Abusson aveva però dato inizio ai lavori di
una nuova chiesa con annesso convento per
ricompensare i frati del loro aiuto durante l’assedio dei turchi. La chiesa fu chiamata, infatti,
Santa Maria della Vittoria, in ricordo della
vittoria contro i turchi del 1480, ma non è la
stessa che si può vedere oggi a Rodi, perché fu
distrutta dagli ottomani quando conquistarono
Rodi nel 1522. Sconfitta che lascerà l’isola fino al
1912, quando fu conquistata dagli italiani, sotto
il dominio dei mussulmani.
Da quel momento non esiste alcun documento che attesti una presenza francescana
sull'isola fino al 14 ottobre 1719, anno in cui la
Sacra Congregazione di Propaganda Fide riuscì
a far arrivare nell’isola due francescani con il
permesso del sultano Ahmad III°. I padri
Benedetto Saijer della provincia di San Salvatore
in Ungheria e Basilio da Perpoli della provincia
di Roma arrivarono sull’isola nel 1720 e «vi trovarono - riporta padre Ciro Ortolani nel suo Costantinopoli e i francescani del 1930 - 44 cristiani e abitarono un fabbricato avente una piccola e sacra cappella in vicinanza del mare ad occidente della città»
Elisabetta Galeffi
L’Osservatore Romano
Delta: la nuova filosofia Lancia
(Continua da pagina 1) Data la cronica situazione
di stallo, il Comites non ha più alcuna ragione di
continuare a far spendere inutilmente soldi (sarebbe comunque interessante conoscere l’ammontare della somma a disposizione del comitato) allo Stato Italiano perché ha perso rappresentatività, autorevolezza e credibilità. È arrivato il momento di prenderne atto. D’altra parte
questo Comites aveva il destino già segnato fin
dalla sua costituzione: un sostanziale pareggio
tra le due liste: sei consiglieri contro sei consiglieri, un capolista - con il maggior numero di
preferenze, 673, che si era presentato come
l’uomo “al servizio della comunità” - per nulla
intenzionato però a lavorare in favore della comunità stessa, ma determinato ad usare quei
voti per ottenere il lasciapassare per i palazzi
romani, l’altro capolista che non ha accettato
che venisse applicato l’articolo riguardante
l’elezione del presidente e si è impuntato a non
mollare la presidenza per una questione di
“anzianità”, un altro ancora, pochi giorni la sua
nomina, distribuiva carte da visita con stampata
la sua carica. Alla fine di una lungo tira e molla, i
sei consiglieri “azzurri” hanno espresso un presidente, appartenente all’altra lista, che però
non ha mai goduto della loro fiducia. Perché un
presidente andava espresso, pena lo scioglimento. Tanto basta.
Ma spesso ci si dimentica che questo Comites
è nato con un “vizio di sostanza” che ne ha
bloccato ogni possibilità di funzione. Per tutti
questi anni è circolata la voce che le elezioni si
fossero svolte nonostante “irregolarità” nella
raccolte delle firme: era il segreto di Pulcinella.
Per cui ritorniamo a quattro anni fa, al tempo
della presentazione delle due liste partecipanti.
E analizziamo la tabella qui a fianco. Di norma
è la somma che fa il totale, tuttavia nella tabella a
fianco che riporta il computo delle firme raccolte da “Azzurri nel Mondo” per avere il diritto
a presentare una sua lista alle elezioni Comites,
questa regola non è stata applicata. La somma fa
96, ma il totale fa 104. Come è possibile? È
possibile se si applica la matematica “creativa”,
o nello specifico, “politica”: la lista “Azzurri nel
Mondo” doveva partecipare alle elezioni, a qualunque costo. Seguiamo la tabella. Firme raccolte: 118, da controllare 52, il che significa che
le altre 66 sono valide (è bene ricordarsi di questo numero). Dalle 52 vengono sottratte 2 più 3
più 8, per cui il totale delle firme valide è 39,
come correttamente riportato in tabella. A questo punto le firme valide (66+39) dovrebbero
essere 105. Tuttavia la tabella scrive 113, specificando che il numero corrisponde al «totale
delle firme apposte regolar mente…». Perché
aggiungere otto firme che in precedenza erano
state sottratte perché «non è possibile verificare» la loro autenticità?. Ancora dalla tabella:
da queste 113 vengono sottratte altre 9 firme,
totale: 104 firme. Ma il risultato corretto
sarebbe stato 96 firme valide: 105 (66 più 39)
meno 9. Ma con 96 firme valide Massimo Romagnoli di “Azzurri nel Mondo” non avrebbe
potuto presentare la sua lista.
Si può sor volare sul fatto che due firme fossero false, sorvolare sulla procedura seguita - si
legge dal verbale: «Il Console riferisce di aver interpretato il messaggio ministeriale come una
autorizzazione a non invalidare le firme apposte
Totale firme apposte
Totale firme da controllare
Firme cancellate perché contraffatte
Firme cancellate perché non apposte
in presenza di coll. Cons. Onorario
Totale firme che non è possibile verificare
Totale firme controllate e giudicate valide
Totale firme apposte regolarmente
da controllare con i Comuni
Firme cancellate perché apposte
a) da conn. non iscritti AIRE
b) da conn. assenti nell’anagrafe consolare
Totale firme sicuramente valide
118
52
2
3
8
39
113
7
2
104
regolarmente su fogli contenenti fir me apposte
irregolarmente» (ma gli ar ticoli del c.p.c. 479 e
483 sono espliciti al riguardo) - ma il vulnus di
irregolarità resta e ha creato un precedente di
conflittualità. È importante sottolineare che si
era messo fine alle “indagini” sulla autenticità di
alcune firme presentate da “Azzurri nel Mondo” per il bene della comunità: «Al fine di non
rischiare - si legge nel verbale - di privare la comunità della possibilità di scegliere tra almeno
due liste i propri rappresentanti, di dare un senso a tutto il processo elettorale… ».
In buona sostanza è stato il senso di responsabilità e di rispetto verso la comunità a
cancellare l’irregolarità del processo elettorale?
È stata presa una decisione per il “bene della
comunità”, o per gli interessi specifici di “Azzurri nel Mondo”? E di quale “senso”, se non
quello di riammettere una lista che aveva barato
nella raccolta delle firme? Quindi il tutto si è
svolto a “norma di legge”? Gli eventi successivi
hanno fornito numerose risposte e svelato le
diverse strategie individuali. Ad esempio, il capolista di AnM doveva a tutti i costi partecipare
alle elezioni Comites del 2004: era il suo biglietto da visita per il partito, in vista della sua
strategia che lo avrebbe portato a Montecitorio.
Senza elezione, niente presidenza Comites,
niente nomina a consigliere CGIE, e dunque
niente candidatura al Parlamento nel 2006. Per
queste ragione che, si dice, che le pressioni affinchè la lista di AnM venisse riammessa sono
state fortissime e sono state esercitate usando
appoggi politici romani di una certo peso.
Da una breve cronistoria che andava resa pubblica alla proposta: dimissioni di tutti i consiglieri, inclusi i supplenti. Ma dimissioni confermate da tutti, al di là di ogni ragionevole ripensamento. Sarebbe un gesto apprezzato dalla
comunità e sarebbe una dichiarazione di rispetto per coloro che hanno espresso il loro voto. D’altra parte, la logica democratica impone
ad un organismo rappresentativo, incapace di
decidere e di agire, il dovere di sciogliersi.
In caso di dubbi e ripensamenti, preghiamo i
consiglieri di leggere il primo comma dell’articolo
2 della legge istitutiva dei Comites : «Il comitato
promuove - in collaborazione con l’autorità consolare ed enti, associazioni e comitati operanti nell’ambito della circoscrizione - idonee iniziative
nelle materie attinenti alla vita sociale e culturale,
all'assistenza sociale e scolastica, alla formazione
professionale, alla ricreazione, allo sport ed al tempo libero della comunità italiana residente nella
circoscrizione». Ma il comitato fino ad oggi che
cosa ha «promosso»?
**
Notizie dalle Aziende
www.fiat.gr
Enelco. Il gestore della rete elettrica greca ha
assegnato ufficialmente ad Enel il contratto per
la costruzione di un impianto a ciclo combinato
nell’area di Livadia, nella Grecia centrale, a nord
ovest di Atene. Ad aggiudicarsi la gara è stata la
controllata ellenica di Enel, Enelco. La centrale,
che sarà alimentata a gas naturale, avrà una potenza di 447 megawatt. L’elettricità prodotta
sarà venduta sul mercato ellenico. Enel detiene
il 75% di Enelco, mentre il restante 25% del
capitale fa capo a Prometheus Gas, a sua volta è
partecipato al 50% della russa Gazprom e al
50% della società ellenica Copelouzos Group.
Enel è già attiva in Grecia in particolare nel
settore dell’eolico. Nel maggio scorso ha firmato un accordo per l’acquisto di impianti eolici per una potenza complessiva di 127 MW, di
cui 84 MW già in funzione, il resto in costruzione. Il consorzio Enelco sta considerando
ulteriori possibilità di investimento in Grecia,
che riguarderebbero la realizzazione di due
centrali per un totale di 800 MW, della
costruzione di nuovi impianti a lignite e alla
distribuzione di gas naturale ad Atene. Enelco,
che ha già due licenze per impianti a ciclo combinato in Grecia, a Viotia nel centro e ad Evros
nel Nord-Est, guarda anche al settore delle
rinnovabili, in particolare all’energia eolica. La
gara vinta da Enelco ha fatto seguito alla dichiarazione del regolatore ellenico del mercato
elettrico, circa la necessità del sistema di quel
Paese di disporre di una nuova centrale da 400
MW all’anno per soddisfare la sempre crescente
domanda di energia del mercato ellenico, che ha
un tasso di crescita della domanda di energia
elettrica superiore alla media europea. La
Grecia, ha precisato il gestore della rete elettrica
ellenica, ha bisogno di 3.000 MW di nuova
capacità proveniente da impianti che dovrebbe
essere costruiti entro il 2012 ed l’Enel ha programmato nel Paese investimenti per circa un
miliardo di euro da realizzare entro lo stesso periodo. L’operazione risponde alla strategia di
crescita di Enel nel Sud-Est Europa. Enel è già
presente con suoi investimenti in Romania e
Bulgaria e punta ad entrare in Turchia dove
sono in atto privatizzazioni nel settore elettrico.
Enel, in cooperazione con Prometheus Gas, intende affermarsi come un importante player nel
mercato greco in via di liberalizzazione, ed avrà
inoltre la possibilità di esportare energia verso
l’Italia utilizzando le interconnessioni esistenti.
Aprilia. Presentati, in occasione del Salone
della Motocicletta, dal marchio del Gruppo
Piaggio, alcuni nuovi modelli: Borsoduro, una
ipermotard, SX 125 una motard, e la RX 125
una enduro. Ha creato molto interesse il prototipo futuristico di design FV 1200 che monta
un nuovo motore bicilindrico raffreddato ad acqua di 1200 c.c. Accanto a questi modelli, il marchio ha presentato tutta la sua attuale gamma,
tra cui la Shiver e la Mana. I nuovi modelli,
spiega Manolo Lanaro, saranno disponibili per
il mercato ellenico a maggio.
Stalle
e stelle
In un quartiere ateniese con
fabbriche abbandonate e dismesse, accanto alla ex centrale del
gas, da diversi anni ritrasformata in parco culturale del Comune di Atene (Tecnopolis), in
via Pireos, tra pochi mesi sorgerà un nuovo tempio della
Musica. Sono stati necessari dieci
anni per l’approvazione di questo
progetto, il quale, data l’eccezionalità del luogo, è stato anche
pubblicato in tutte le sue parti
progettuali su due edizioni delle
Gazzette Ufficiali del Governo.
Le principali complicazioni risalgono ad un edificio in pietra
del 1800 di notevole importanza
storica e vincolato dal Ministero
dei Beni Culturali, che si trovava
all’interno della superficie in questione. Li si trovava la Scuderia
reale (stavlos) che ospitava le
carrozze e i cavalli di Ottone,
primo re di Grecia. Era rimasto
in disuso, poi, per molti anni, agli
inizi del 900 e fino al 1999 venne
utilizzato come filanda.
Il nuovo complesso architettonico sarà composto di due
edifici: le vecchie stalle con
struttura in pietra e copertura a
capriata e teg ole, e uno nuovo di
zecca, che al suo interno ospiterà
un Auditorium. Un connubio tra
antico e moderno che riesce anche ad equilibrare un tessuto edilizio circostante che negli ultimi
anni aveva portato al degrado
urbanistico di uno dei più vecchi
quartieri di Atene denominato
GAZI.
Le due architetture appunto ospiteranno eventi culturali e
artistici di notevole livello
nazionale ma anche internazionale con predilezione per il
settore musicale. Nello specifico:
al piano terra la hall principale di
650mq per 500 persone con un
palcoscenico profondo 9 metri e
altezza 16 metri fino il proscenio.
Su tre livelli intorno alla scena
sono previsti i camerini e i servizi
annessi. Nella parte opposta al
palcoscenico si trovano scale,
ascensori per i piani che portano
a due gallerie con superficie totale di 660 mq con capacità di accogliere circa 440 persone. Al terzo livello ci sarà un collegamento
con una terrazza sulla quale
trionferà uno dei più bei
ristorante della capitale con vista
verso l’Acropoli e il Partenone.
La g rande sala adibita ad
auditorium sarà la parte più
“emblematica” di quest’edificio
con i suoi volumi chiusi, tagliati
lateralmente e sul fronte principale di via Pireos, da quattro
piloni metallici che al piano del
marciapiede sorreggono dei
portici associati ad una dinamica
maglia strutturale a vista che, si
solleva sulla strada, e conclude
nella copertura inclinata, sorretta
da travi in traliccio. L’articolazione spaziale interna dell’Auditorium nella sua volumetria
interna permette adattamenti
scenici e funzionali in maniera da
soddisfare qualsiasi esigenza artistico-musicale.
Raffaello Saracini
Progettista
.gr
Aut. Trib. Torino, n.5362 del 10.03.2000
Mensile in lingua italiana
Chiuso in tipografia il 31 Marzo 2008
Editore (Εκδότης): Maurizio De Rosa
Direttore(∆ιευθυντής): Sergio Coggiola
Sede: Arrianu 25, 11635 Atene
Tel: +30.210.7248240
In redazione: Valeria Arnaldi,
Maurizio De Rosa, Mauro Faroldi,
Luca Focardi, Vincenzo Greco,
Federico Nicolaci
Redazione romana: Salvatore Viglia
Via Veneto 108 - Cell: 338.3693774
Impaginazione: Maria Tsantila
Tipografia (Τυπογραφείο):
Pillar A.E. - Pertsemli 26
Virona 16231 - Atene
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il pensiero della direzione del mensile