I Don`t Want To Sleep Alone

Transcript

I Don`t Want To Sleep Alone
NON VOGLIO DORMIRE DA
SOLO
(I Don’t Want to Sleep Alone)
HEI YAN QUAN
Il IX° film di
TSAI MING-LIANG
In co-pruduzione con
Soudaine Compagnie, Homegreen Films
New Crowned Hope
Festival Vienna 2006
con la partecipazione del
Centre National de la Cinématographie
G.I.O of Republic of China
Questo film fa parte del Festival New Crowned Hope
Prodotto dal Wiener Festwochen
Vienna Mozart Year 2006
Sponsor principali: Telekom Austria, JCDecaux
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TROUPE
Regia
Sceneggiatura
Fotografia
Luci
Suono
Montaggio
Scenografia
Costumi
Produzione malese
TSAI Ming-Liang
TSAI Ming-Liang
LIAO Pen-Jung
LEE Long-Yu
TU Duu-Chih
TANG Shiang-Chu
CHEN Sheng-Chang
LEE Tian-Jue
GAN Siong-King
SUN Hui-Mey
Paperheart SDN BHD
Produttori
Bruno PESERY
Vincent WANG
Produttori esecutivi
Simon FIELD, Keith GRIFFITH
- Illuminations Films for New Crowned Hope
Wouter BARENDRECHT, Michael J. WERNER
- Fortissimo Films
INTERPRETI PRINCIPALI
CHEN Shiang-Chyi
LEE Kang-Sheng
Norman ATUN
Pearlly CHUA
la cameriera della sala da tè
l’uomo vagabondo (Hsiao Kang) e
l’uomo in coma
Rawang
la proprietaria della sala da tè
© 2006 Homegreen Films/Soudaine Compagnie
Redattore del materiale promozionale Tony Rayns
SPECIFICHE TECNICHE
Taiwan, Austria, Francia
35mm Eastman
Color Dolby SR
Durata: 118 minuti
Formato: 1:1,85
SINOSSI
Girando senza meta per le vie di Kuala Lumpur il vagabondo Hsiao Kang si imbatte in
una banda di impostori i quali lo derubano e lo malmenano in modo brutale dopo averlo
trovato senza soldi, né documenti e approfittando del fatto che non parla la lingua.
Mentre giace ferito a terra viene notato e portato a casa da un gruppo di lavoratori del
Bangladesh. Uno di loro, Rawang, lo lascia dormire accanto a sé su un vecchio materasso
che ha trovato per strada. Egli comincia a provare uno strano senso di calma ed
appagamento nell’accudire il corpo ferito di Hsiao Kang. È a causa del fatto che può
finalmente permettersi un materasso – pur vecchio, sporco e malmesso che sia - o è a
causa del fatto che da ora c’è finalmente qualcuno che dorme al suo fianco – seppur solo
un estraneo?
Anche Chyi, che serve ai tavoli di una piccola sala da tè, sta accudendo qualcuno: il figlio
in coma della sua padrona, il quale vegeta in un letto. Chyi ha sempre provato disprezzo
per questa sua odiata vita, ma all’incontro con Hsiao Kang il suo corpo si riempie di
desideri lascivi. Sarà proprio la difficoltà di trovare un posto dove fare del sesso con lui,
che la porterà ad aver coscienza di quanta poca libertà dispone.
Non appena Hsiao Kang si rimette in salute, si ritrova preso tra Rawang e Chyi,
implorante attenzione come un gatto randagio, eppure ugualmente in grado di volar via
libero come una bellissima falena regina. Anche la padrona di Chyi, ancora avvenente
nonostante l’età, inizia a sviluppare sentimenti di lascivia verso il giovane corpo di Hsiao
Kang, trovandolo sempre più somigliante al figlio che continua a vegetare nel letto.
Nel frattempo una fitta foschia avvolge la città, che è così umida da trasudare del sudore
della sua popolazione multietnica. Uomini, donne e materassi che si perdono nella
foschia, ma che forse si ritrovano fra loro.
NOTE DEL REGISTA
Questa è la prima volta che giro un film nel mio Paese natale, la Malesia. Avevamo
scoperto uno straordinario posto per girare un esterno vicino al Penitenziario di Pudu a
Kuala Lumpur. Si tratta di un enorme edificio abbandonato. Nei primi anni ’90, come
parte del suo sviluppo economico, il governo malese aveva attirato un gran numero di
lavoratori stranieri da impiegare nei suoi numerosi progetti di costruzione. Uno di questi
era costituito dalle due torri gemelle Petronas, all’epoca l’edificio più alto del mondo.
Alla fine degli anni ’90, molti di questi progetti vennero però abbandonati a causa della
crisi economica in Asia. I lavoratori provenienti dai paesi più poveri si ritrovarono
disoccupati da un giorno all’altro e senza possibilità di tornare indietro; molti dovettero
cominciare a vagare per nascondersi, diventando bassa manodopera illegale. Tale edificio
è un residuo di quell’epoca. Entrando, rimanemmo sorpresi di quanto grande fosse
all’interno. Sembrava quasi un teatro dell’opera post-moderno. Al centro trovammo una
profonda pozza d’acqua scura (probabilmente acqua piovana lì accumulatasi). Mi fece
pensare al Flauto Magico di Mozart. L’eroe, la principessa, gli spiriti e i mostri
avrebbero potuto fare di questa giungla di cemento il loro palcoscenico. Mi fece pensare
anche ad alcuni versi del poeta cinese Bei Dao:
Andiamo,
Poiché non abbiamo perso il ricordo,
Andiamo a cercare il lago della vita.
Prima di cominciare le riprese, avevo incontrato un giovane indovino. Mi riconobbe
anche se non sapeva quale film mi accingevo a girare. Inaspettatamente mi disse che nel
mio nuovo film ci sarebbe stata una pozza d’acqua scura, come un ricordo molto
profondo, e che quando avessi trovato la pozza, il mio film avrebbe potuto trovare la sua
giusta conclusione.
Tsai Ming-Liang (2006)
IL PROBLEMA DEL SOTTOPROLETARIATO
DA UN’INTERVISTA A TSAI MING-LIANG
Come mai un film ambientato in Malesia questa volta?
Ero tornato a Kuala Lumpur nel 1999 e per la prima volta avevo sentito l’inquietudine di
quella città. L’allora Primo Ministro Mahatir aveva destituito Anwar dalla sua carica di
vice Primo Ministro, denunciandolo per diversi reati, tra cui corruzione e uno scandalo a
sfondo sessuale; Anwar venne giudicato colpevole e fu condannato a diversi anni di
prigione. Il partito d’opposizione, in risposta, organizzò delle imponenti proteste di strada
e la polizia dovette far uso dei gas lacrimogeni per disperdere i dimostranti...
In quel periodo era impossibile non notare l’ingente numero di lavoratori stranieri che
vagabondavano per le strade di Kuala Lumpur. Erano stati attirati dal boom economico
della metà degli anni ’90 e ora avevano perduto tutto – anche i loro sogni – con il crollo
dell’economia. Provai pietà per loro. Come loro, anch’io avevo abitato e lavorato
all’estero per molti anni. Quindi ebbi l’idea di fare un film su di loro, sul sottoproletariato
sociale che essi rappresentavano. Tuttavia, a causa di motivi finanziari, dovetti allora
abbandonare il progetto.
Perché Kuala Lumpur invece della zona rurale in cui era cresciuto?
Sono nato a Kuching, relativamente più piccola e tranquilla di Kuala Lumpur, ma sarebbe
difficile definirla una zona rurale. Kuala Lumpur mi sembra più interessante in quanto
attrae chiunque, non solo gente da altre parti della Malesia, ma lavoratori da altri Paesi.
Ciò la rende un’interessante miscela sociale multietnica. La Malesia è affascinante per
chiunque sia interessato al sottoproletariato dei lavoratori immigrati. La Malesia stessa
esporta in grande quantità manodopera in Paesi maggiormente sviluppati, come
Singapore o il Giappone, mentre, allo stesso tempo, dà lavoro a gente proveniente da
Paesi più poveri, come il Indonesia. E in effetti il Indonesia può a ben ragione esser
considerato il Paese con il maggior numero di lavoratori emigranti, tutti privati di una
loro identità personale e in cerca di una nuova.
Lei è noto per far continuare a vivere i suoi personaggi da un film all’altro, ma i
personaggi interpretati qui dai suoi attori usuali, Lee Kang-Sheng e Chen ShiangChyi, non sono quelli che gli abbiamo visto interpretare in passato...
Quando il disegnatore dei poster pubblicitari dei miei film ha visto il film, la prima cosa
che mi ha detto è che Hsiao Kang sembrava praticamente uscito fuori dal Fiume! In ogni
caso ha ragione, questa volta ho volontariamente spinto i due personaggi principali in un
mondo estraneo e sconnesso, un mondo in cui loro occupano il gradino più basso della
scala sociale e in cui la lingua e la cultura sono altamente sconosciute. Qui vengono
facilmente riconosciuti come stranieri ma nessuno si preoccupa mai di sapere da dove
essi provengano. Durante le riprese del film a Kuala Lumpur, un operatore locale della
troupe, una volta, mi ha chiesto perché riprendessi questo tipo di gente e il loro ambiente
piuttosto che ignorarli, così come fanno tutti. Gli ho risposto che lo facevo perché questa
gente non è “invisibile”. Dovrebbe essere notata, non ignorata.
Ma è certo che nessuno si sognerebbe mai di definirLa un regista socio-realista e il suo
approccio a questi personaggi è ben lontano dalla critica sociale convenzionale...
Di certo sono interessato all’esclusione sociale di questo sottoproleriato, ma non ero
partito con l’idea di fare un film incentrato sui problemi di classe. L’unico personaggio
abbiente, almeno nel senso che si trova nella posizione di assumere altra gente a lavorare
per lei, è la padrona della sala da tè – e in ogni caso anche lei non ha una posizione così
stabile, come possiamo vedere quando il figlio tenta di vendere il locale. Non era mia
intenzione neppure concentrarmi sulle diverse etnie della società malese. Piuttosto, sono
tornato indietro ai simboli a me più familiari per raccontare la storia in un modo
metaforico. È un fatto che i poveri lavoratori immigrati tendano a perdere la loro identità.
Eppure, chissà? Forse proprio la loro posizione di impotenza potrebbe portarli verso
un’identità completamente nuova.
Pensa che nel Suo film sopravviva qualche traccia dello scandalo di Anwar Ibrahim?
Non dimentichi il materasso! Durante il processo ad Anwar per lo scandalo a sfondo
sessuale, il materasso che fu portato in aula a testimonianza dei fatti lasciò una profonda
impressione nella mente della gente. Inizialmente avevo pensato di usarne uno più
moderno, a molle, ma poi ho trovato questo tipo più vecchio in un motel a buon mercato.
È grande, pesante, sporco e piuttosto puzzolente, ma è visto come fosse un tesoro dai
poveri.
Lei non specifica l’etnia del terzo personaggio principale del film, l’uomo che si prende
cura di Hsiao Kang fino a riportarlo in salute.
Inizialmente avevo pensato a quel personaggio come originario dell’India o del
Bangladesh e abbiamo fatto provini a centinaia di Indiani e Bangladesi ma senza trovare
una persona adatta al ruolo. Poi mi sono ricordato di un tipo che avevo incontrato
camminando per un mercato notturno locale. Era un venditore di frittelle al mercato e
aveva l’aria di un lavoratore straniero. Tra l’altro aveva un bell’aspetto e così mandai un
assistente a contattarlo. L’assistente mi chiamò al telefono: “Niente da fare! È malese,
non indiano, e ha una brutta dentatura!” Lasciai cadere l’idea. Ma continuai a comprare
frittelle da lui al mercato e a scambiarci qualche parola ogni tanto. Si chiama Norman e
viene dalla campagna. Da piccolo aveva trascorso alcuni anni con suo padre in una
foresta primitiva guadagnandosi da vivere con la raccolta di canne di bambù per fare
mobili, bevendo acqua di sorgente e mangiando pesce fresco di fiume. A volte si
imbatteva in qualche tigre, ma senza averne mai paura. Una volta cresciuto, si trasferì in
città in cerca di una vita nuova e passò un po’ di tempo con un gruppo di lavoratori
stranieri... più lo conoscevo, più lo volevo nel film. Gli spiegai la storia in linee generali,
e lui la capì immediatamente. Lo misi davanti alla macchina da presa e recitò subito in
modo molto naturale, come se la macchina da presa non ci fosse.
Norman è musulmano e io inizialmente volevo un uomo indiano per girare magari delle
scene erotiche con Hsiao Kang. Ma dal momento che avevo deciso di far interpretare il
ruolo a Norman – e l’omosessualità è un grosso tabù per la religione islamica – dovetti
ripensare la relazione tra i due uomini.
Quali altri cambiamenti ha subito la sceneggiatura?
Cinque anni fa, quando cominciai a scrivere la sceneggiatura, la mia attenzione era
rivolta alla vita dei lavoratori stranieri in un momento di inquietudine sociale. La
sceneggiatura però rimase incompleta e quando la ripresi in mano la mia attenzione si era
spostata sul concetto di libertà. Ognuno di noi ha a disposizione un determinato arco di
tempo nella vita e un corpo impermanente. Quando possiamo dirci veramente liberi? Le
prime scene che ho girato sono state quelle che ritraggono Norman mentre mette Hsiao
Kang sul quel materasso trovato per strada e lava con cura il suo corpo ferito. Mi sono
commosso nel guardare quei movimenti così semplici e così dettagliati di Rawang e
improvvisamente ho avuto una rivelazione. Quei gesti così quotidiani, sinceri e minuziosi
erano andati a sostituirsi alla necessità di articolati dialoghi complicati e sentimentali. Fu
allora che decisi di semplificare enormemente la sceneggiatura.
Il luogo dove sono stati girati la maggior parte degli esterni, l’edificio abbandonato in
cui dormono i senzatetto, è piuttosto impressionante. L’ha trovato così com’è o ha
dovuto riadattarlo?
I lavori di costruzione dell’edificio erano stati interrotti nel 1999 e tutto il cantiere era
stato sigillato con pali e chiodi, per questo non avevo avuto la possibilità di entrarvi
all’epoca. Quando siamo tornati a Kuala Lumpur per iniziare la pre-produzione del film
ho avuto modo di accedervi e sono rimasto sbalordito nel vedere tutto il piano
seminterrato inondato in quel modo. No, non abbiamo cambiato nulla. L’abbiamo solo
illuminato.
Può spiegarci come mai è così preoccupato dalla metafora della “malattia”?
Qualunque spiegazione di cosa significhe la “vita” deve fare i conti anche con la
“malattia”. Entrambi i personaggi interpretati da Lee Kang-Sheng nel film sono “malati”.
Uno è praticamente paralizzato in uno stato vegetativo. L’altro è il vagabondo, che viene
assistito e curato fino a rimettersi completamente in salute dopo essere stato picchiato e
lasciato per terra mezzo morto. Nel caso di questo secondo personaggio, qualcuno che
potrebbe essere il sogno di sé stesso nella mente del primo, volevo che venisse
rappresentato nel suo passare attraverso un tunnel. C’è un po’ come un senso di rinascita
per lui – come un ritorno alla sua infanzia, nel momento in cui viene nutrito ed assistito.
Ritengo che questo tipo di relazione interpersonale – quella tra chi si prende cura di
qualcuno e la persona fatta oggetto di tali cure – sia la relazione interpersonale più
meravigliosa al mondo. Un amore assoluto, un “dare-avere” incondizionato.
E poi anche il nostro cieco inseguimento del progresso e dello sviluppo ha dato luogo già
da lungo tempo alla malattia del mondo. Quindi l’improvviso smog non è un sintomo
senza causa.
I personaggi interpretati da Lee Kang-Sheng nei suoi film non sono mai stati molto
energici (almeno fino a “Rebels of the Neon God”), ma l’uomo senza casa che
interpreta qui sembra interamente passivo. Come mai?
Penso che il vagabondo Hsiao Kang somigli molto alla grossa falena che a un certo punto
gli si posa sulla spalla. Egli rappresenta una certa idea di libertà, un’idea che
probabilmente non esiste nel mondo reale. La sua è una passività “aperta”. Tutti gli altri
personaggi ritrovano sé stessi solo dopo essere entrati in contatto con lui. Prendersi cura
di Hsiao Kang aiuta l’uomo malese a rendersi conto dei propri bisogni e desideri. Ed è
grazie all’incontro con Hsiao Kang e al desiderio che prova verso di lui che Chyi arriva
ad aver coscienza della situazione di oppressione in cui vive. Sognamo tutti di aver
qualcuno vicino di notte quando dormiamo. Nella mia mente risuona un detto cinese che
fa: è nei momenti di difficoltà che ci si deve ritrovare e confortare l’un l’altro pur con i
pochi mezzi che si hanno a disposizione (detto di pesci che si bagnano l’un l’altro con la
propria saliva per sopravvivere ad un’estate torrida che ha prosciugato tutta l’acqua di
una sorgente).
Da un’intervista condotta da Tony Rayns (Taipei, luglio 2006), tradotta da Jane Yu
FILMOGRAFIA DEL REGISTA
1992
1994
1996
1998
2001
2002
Rebels of the Neon God
Vive L’amour
Il fiume
Il buco
Che ora è laggiù?
The Skywalk is Gone
Arrivederci, Dragon Inn
2004 Il gusto dell’anguria
2006 A nessuno piace dormire da solo
NEW CROWNED HOPE
Il festival New Crowned Hope è stato inaugurato e finanziato dalla città di Vienna
nell’ambito del Wiener Mozartjahr 2006, dando al direttore artistico Peter Sellars la
possibilità di creare una celebrazione di nuovo tipo per il 250° anniversario del
compositore austriaco.
Piuttosto che creare lavori su o di Mozart, Sellars commissiona lavori
completamente nuovi a artisti contemporanei internazionali nei campi di musica,
teatro, danza, architettura, arti visive e cinema. L’obiettivo del festival New
Crowned Hope è usare temi mozartiani come ispirazione e trampolino per opere
contemporanee che si interroghino su temi cruciali per questo nuovo secolo.
Assieme ai produttori esecutivi di Illumination Films Simon Field e Keith Griffiths,
Peter Sellars ha chiamato sette registi di culture non-occidentali a partecipare al
New Crowned Hope.
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Alessandra Thiele - [email protected]
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