produzione dei lApislAzzuli
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produzione dei lApislAzzuli
Alcune considerazioni sulla glittica post-antica: la cosiddetta «produzione dei lapislazzuli» Gabriella Tassinari Abstract The well-known lapis lazuli set of gems, called “lapis lazuli workshop”, is a group of mass-produced gems, carnelians, agates and especially lapis lazulis, not attributed, often of low quality, engraved in sixteenth and seventeenth centuries. Their subjects and style may have been inspired by gems of the later Roman Empire; therefore they are frequently confused with ancient specimens. The output of these gems has been huge; one finds many such gems in each public and private collection; however most of them are yet unpublished. The question as to the provenance of the lapis lazuli group is not yet satisfactorily answered. The lapis gems with figures and those with heads were cut in the same workshops; the recurrent characteristics and the similarity of many products (they can be divided in some groups with a uniform style) points to a limited number of workshops situated in proximity to one another. Most scholars think that likely these gems come from somewhere in northern Italy, particularly Venice or Milan. 1. Definizione, obiettivi e limiti del lavoro Nell’ambito della glittica anonima post-classica – una realtà molto ampia, variegata e complessa, finora parzialmente nota, soprattutto per i secoli XV - prima metà del XVIII – una delle produzioni più riconosciute è quella della cosiddetta «officina dei lapislazzuli». Poiché gli esemplari sono assai numerosi, nelle pubblicazioni si incontrano molto frequentemente: talvolta sono stati oggetto di analisi, talaltra non si sono identificati. Lo studio dei nuovi cataloghi che arricchiscono il panorama, ma, data la sede, spesso si limitano a riportare alcuni dati conosciuti, senza approfondire l’argomento, l’esame degli intagli della collezione conservata a Verona, ai Civici Musei d’Arte, la visione di alcune raccolte pubbliche e private, inedite, mi hanno indotto ad affrontare uno studio specifico su tale produzione. Infatti mi sembra giunto il momento di esaminare lo status quaestionis, ripercorrendo brevemente la storia degli studi, richiamando i punti salienti della problematica, benché alcuni di essi siano ben noti, presentando una serie di dati sistematizzati e rielaborati, tentando un bilancio, offrendo alcuni spunti per ricerche future e una serie di ipotesi di lavoro, che non paiono azzardate o arbitrarie, la cui validità potrà esser verificata dai prossimi studi. Ma problematico ed arduo si è rivelato, in vari casi, selezionare ed isolare gli esemplari appartenen- ti alla produzione dei lapislazzuli, riorganizzare ed elaborare il materiale per meglio delinearne i connotati. Infatti la produzione in esame è solo una delle varie correnti stilistiche nell’ambito di una realtà poco conosciuta; la distinzione dalle altre correnti è spesso accettabile più in sede teorica che pratica. Se il principale filo conduttore per individuare questa produzione rimane il lapislazzuli, ad esso si affiancano varie altre pietre, in primis la corniola, aumentando notevolmente la documentazione. Tuttavia, un eccessivo ampliamento, giustificato dal copioso materiale, rischia di diventare onnicomprensivo e sfuggente ad ogni definizione. Perciò, al fine di circoscrivere i contorni di una ricerca che si dilatava oltre i confini prefissati, ho scelto di rimandare ad altra sede l’analisi di quegli insiemi di gemme individuati, che hanno rapporti, più o meno stretti, con questa produzione, ma non sembrano ad essa riconducibili. Si è comunque perfettamente consapevoli di come i criteri adottati possano parere opinabili e distinzioni e delimitazioni siano a volte non ben precisate. Il presente contributo rispecchia lo stato degli studi; non ha certo la pretesa di offrire un quadro definitivo della produzione dei lapislazzuli, ma si pone come una riflessione su quegli aspetti che la ricerca consente attualmente di esaminare e discutere. Vanno perciò precisati il taglio dello studio e i suoi limiti, per giustificare delle omissioni che sono scelte deliberate. Operata una definizione del 68 GABRIELLA TASSINARI campo di indagine, non si sono esaminate le varie iconografie nell’ambito della temperie figurativa dell’epoca, né, tranne qualche caso particolarmente significativo o fondamentale, è stato analizzato il modo in cui alcune di queste gemme erano spiegate, interpretate o discusse nei testi del periodo. Infatti eruditi, esperti antiquari, collezionisti, che godevano di prestigio e fama, come, ad esempio, Leonardo Agostini, Paolo Alessandro Maffei o Antonio Francesco Gori – che con il suo monumentale Museum Florentinum (1731-1732) poneva a disposizione di tutti le riproduzioni di oltre 1200 gemme e raccoglieva numerosi calchi di gemme, anche in lapislazzuli – mirano all’identificazione dei soggetti raffigurati sulle gemme attraverso interpretazioni, citazioni di fonti letterarie e iconografiche, congetture più o meno verosimili, fondate sul costume degli antichi o sull’autorità degli scrittori. Le discussioni, i riferimenti eruditi, le disquisizioni morali, i commenti di tipo antiquariale, spesso ai nostri occhi aleatori o meglio oziosi, ma emblematici della cultura del tempo, se affrontati in modo adeguato e esaminati nel loro contesto, avrebbero fatto lievitare a dismisura il lavoro già voluminoso; e comunque non sarebbero serviti al fine di questo contributo. Non sono stati presi in considerazione tutti i casi, antichi e non, in cui il lapislazzuli è stato usato per scopi chiaramente magici o comunque legati a contesti magici e rituali, che preferiscono il lapislazzuli, come appunto le gemme magiche. Non sono stati esaminati anche quegli esemplari in lapislazzuli connessi in modo più o meno diretto con l’Egitto, perché inquadrabili in un fenomeno, una tradizione ed un contesto culturale ben differente, che esula dallo scopo di questo studio. Un altro spinoso problema – che mi riservo di indagare in futuro – riguarda le riproduzioni in vetro che imitano pietre incise in lapislazzuli. Infatti in linea generale è arduo e spesso impossibile discernere esemplari in vetro antichi, realizzati nello stesso periodo degli originali, da quelli moderni, cioè eseguiti dopo vari secoli, e specie nel XVIII secolo, quando vengono prodotte quantità cospicue di paste vitree 1. Comunque le imitazioni vitree del lapislazzuli (almeno quelle edite con la relativa immagine) non presentano le caratteristiche più tipiche della produzione qui esaminata. 1 [RdA 34 Così, oggetto di un prossimo contributo saranno i cammei in lapislazzuli: un insieme differente, spesso di alta qualità, che non mostra alcuna analogia con le peculiarità dell’officina dei lapislazzuli; sembra si possa definirla una produzione diversa. Uno dei risultati più interessanti emersi dall’analisi dei pezzi – ma anche una delle difficoltà dalla ricerca – è che nell’ambito della produzione dei lapislazzuli si distinguono vari gruppi, a livello iconografico e stilistico, che si possono definire ‘insiemi’, ‘correnti’, ‘filoni’. Dunque, si evidenzia che pezzi, tra loro più o meno simili e a volte pressoché identici, si possono riunire e collocare in diversi ‘filoni’: ma, data la situazione degli studi, il tentativo di ricollegarli a singole ‘officine’ si potrebbe rivelare prematuro, più che arbitrario. Potrebbero provenire da un solo atelier quegli intagli, in lapislazzuli e in corniola (ma anche in altri materiali), con tipi ricorrenti, resi nello stesso modo (ad esempio l’Amore stante del filone 1, gruppo B); il confronto tra le gemme è stringente, talvolta sino nei particolari, uguali. Un altro esempio è un insieme di intagli con Vulcano al lavoro come fabbro che presenta uno schema compositivo comune (filone 1, gruppo D). Va però ribadito che non è una classificazione rigida: pezzi che presentano caratteristiche di più ‘filoni’ (ad esempio per il tipo di panneggio o il profilo dei visi) evidenziano che si tratta comunque di un ‘comune denominatore’, cioè di una produzione assai vasta all’interno della quale si situano differenti correnti in relazione più o meno stretta. La divisione di questa produzione in filoni (non in ordine cronologico; contrassegnati da un numero) e in gruppi (contraddistinti da una lettera) – differenti ma contemporaneamente in rapporto – e la separazione dei pezzi, qui seguita, ha come obiettivo da una parte di evidenziare appunto il ‘comune denominatore’, dall’altra la varietà di motivi e di stili riscontrata, con tanti influssi e scambi iconografici e stilistici. Anche l’inserimento di alcuni intagli nell’ambito di questa produzione, che a prima vista potrebbe sembrare arrischiato, risulta invece giustificato in base al confronto con altri simili pezzi ormai senza dubbi ad essa attribuiti. Delle variazioni iconografiche e stilistiche si è tenuto conto, evitando però di disperdersi nella creazione di una serie infinita di varianti – inte- Per un’analisi delle numerose questioni relative alle varie imitazioni con il vetro delle pietre preziose, si veda da ultimo Tas2009a, pp. 171-174; Tassinari 2009b; Magni, Tassinari 2009; Tassinari 2010a. sinari 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA se nell’accezione di particolarità più o meno significanti riscontrabili all’interno di pezzi con caratteristiche comuni – la cui utilità diviene, alla fine, nulla. Perciò spesso si è preferito semplificare, evidenziando pochi filoni con più gruppi. Comunque, le continue revisioni apportate ai gruppi sono la spia delle difficoltà incontrate (ad esempio si è oscillato tra il rischio di dividere troppo e troppo riunire) e testimoniano come la classificazione viene effettuata in virtù di criteri ovviamente non sempre oggettivi: è questo in realtà un limite comune a molte ricerche analoghe. Si riscontra l’esistenza di filoni non solo nei lotti più cospicui di questi intagli, cioè quelli del Museo Archeologico Nazionale di Madrid 2, del Kunsthistorisches Museum di Vienna 3, di Monaco (Staatliche Münzsammlung) 4, della collezione Sloane al British Museum 5, del Museo degli Argenti di Firenze 6, ma anche nei minori, come quelli dei Civici Musei d’Arte a Verona 7, dei Civici Musei di Udine 8, di Nimega (Provinciaal Museum G. M. Kam) 9, del Museo Nazionale Ungarico di Budapest 10. L’allargamento dei confini di questa produzione (necessario, come dimostra questo studio) implica che vada cambiata la stessa definizione. Tuttavia appare prematuro proporne una univoca e adeguata. Senza dubbio va mantenuto il concetto di ‘massa’, ‘di vasta scala’, evidente nel termine Massenware in Lapislazzuli e Massenware in Karneol della Zwierlein-Diehl 11. Infatti il primo risultato lampante è la gran quantità dei pezzi. Manneristic Gems, come ha denominato questi intagli la Maaskant-Kleibrink 12, è una caratterizzazione che punta più sullo stile. Per comodità di riferimento, in questo studio sarà tenuta la definizione, ormai invalsa, di ‘officina’ o ‘produzione dei lapislazzuli’. Senza pretesa di completezza si è cercato però di rintracciare e menzionare più esemplari possi- bili, per non perdere la massa di informazioni raccolte (talvolta ha prevalso la linea di un recupero dei dati sulla loro interpretazione che non sarebbe stata sicura), proprio per fornire elementi, anche quantitativi, per una più ampia ricostruzione di questa produzione glittica. I paragrafi sono strutturati in modo diverso, secondo le esigenze della ricerca. In molti casi è parso necessario ridurre le indicazioni al minimo, dando solo l’attuale collocazione, a volte la collezione (per lo più per pezzi inediti), la datazione (generalmente riportata in nota) fornita dal testo in cui la gemma è pubblicata, anche se non condivisa e/o errata; invece ho proposto una datazione per gli intagli inediti o documentati solo da disegni (ad esempio quelli di Gronovius, di de Wilde) o i calchi del Gori e del Tassie. Si sono organizzate le citazioni in ordine alfabetico secondo il luogo di conservazione, prima in Italia poi all’estero. Dato lo scopo di questo studio, alcune immagini sono state prese dai testi, in cui le gemme sono pubblicate. Si sono privilegiati gli esemplari più significativi, quelli più chiaramente leggibili, ma anche gemme inedite o tratte da testi dei secoli XVII e XVIII. Per non offrire un panorama limitato e selettivo è sembrato essenziale – sia in presenza di varianti sia di somiglianze stringenti – fornire più fotografie di esemplari analoghi. Proprio a dimostrare affinità iconografiche e stilistiche si pubblicano le fotografie per insiemi omogenei, iconografici e stilistici, cercando, ove possibile, di presentare i pezzi dal più ‘classico’ al meno ‘classico’. Ne risultano tavole che dovrebbero costituire un’utile integrazione visiva alle teorie qui esposte. 2. Breve storia degli studi Il primo a parlare della produzione dei lapislazzuli, attribuendola al XVI e XVII secolo, fu il Casal García 1990. Zwierlein-Diehl 1991. 4 AGDS I, 3; Weber 1992; Weber 2001. 5 Dalton 1915, passim; inediti (visione autoptica). 6 Gennaioli 2007. 7 Tassinari 2009. 8 Tomaselli 1993; Anceschi 2006. Le gemme post-classiche conservate nei Civici Musei di Udine sono in corso di studio da parte della sottoscritta. 9 Maaskant-Kleibrink 1986. 10 Gesztelyi 2000. 11 Zwierlein-Diehl 1991, pp. 25-26. 12 Maaskant-Kleibrink 1997. 2 3 69 70 GABRIELLA TASSINARI Furtwängler 13. A proposito dei lapislazzuli ripetutamente impiegati nel tardo Impero per sigilli e anche per talismani, osservava che grandi quantità di lavori in questa pietra venivano eseguiti in modo molto superficiale (allerflüchtigster) e grossolano (rohester) sulla scia di antichi motivi e perciò talvolta non erano facilmente distinguibili dai rozzi esemplari tardoromani. E lo studioso riconosceva che appartenevano all’epoca moderna e andavano ricollegati alla produzione in questione quegli intagli del suo catalogo di Berlino (egli scrive: nn. 8733 e seguenti, ma per l’esattezza sono i nn. 87338821) da lui invece ritenuti antichi e classificati alla fine delle pietre antiche di ordinaria e cattiva esecuzione 14. Già nel 1912 Osborne doveva aver fatto sue le conclusioni del Furtwängler, quando sottolineava che era necessario un esame molto attento per discernere il grande numero di intagli in lapislazzuli imitanti l’antico, incisi in maniera grossolana, dai cattivi lavori del tardo Impero, dal momento che la rozzezza era simile in entrambi i gruppi 15. In seguito lo Zazoff 16, la Maaskant-Kleibrink 17, la Casal Garcia 18 e la Zwierlein-Diehl 19 hanno avuto il merito di aver richiamato l’attenzione su questa produzione. Un passo in avanti nella ricerca è stato l’individuazione di vari elementi – iconografici e stilistici – che si rifanno, in modo più o meno diretto, alle opere di Valerio Belli, detto Valerio Vicentino (Vicenza 1468-1546), e di Giovanni Bernardi da Castel Bolognese (1494-1553), i più notevoli e famosi incisori italiani del periodo, che hanno rivestito somma importanza nel panorama glittico 20. La qualità, l’influenza e la fortuna di cui godevano le opere del Belli e del Bernardi le rendevano punto di riferimento; va quindi loro riconosciuto un apporto [RdA 34 determinante al repertorio glittico. Così, ad esempio, un elemento tipico di vari intagli dei due Mae stri, come il mantello che si allaccia sotto il collo con una scollatura a V, svolazzante al vento, viene alterato e reso con quella schematizzazione a doppia o tripla V sul davanti e con quella grossolana velificatio del panneggio, che è una delle caratteristiche dei pezzi di questa produzione. Sono rilevanti due altri dati acquisiti dalla ricerca. Il primo è che le stesse immagini sono intagliate in lapislazzuli e in corniola (e in altre pietre), cioè nelle medesime officine venivano realizzate gemme del tutto analoghe con pietre diverse. Inoltre dalle stesse officine responsabili della produzione di intagli con figure proviene anche quella serie di intagli, prevalentemente in lapislazzuli e in corniola, con teste di profilo, con corone radiate o con tenie, prodotte in massa e che quindi formano nuclei molto consistenti (cfr. filoni nn. 10-12). In particolare, per quanto riguarda le teste radiate, la Maaskant-Kleibrink rileva che esse possono aver avuto la loro ispirazione nelle monete di Tetrico coniate in Gallia nel III secolo d.C., molto popolari in Renania, Britannia, Olanda 21; la Zwierlein-Diehl 22 pensa anche possano esser copiate dalle gemme con la testa del Sole. Ma ricordiamo che secondo la Vollenweider questa caratteristica tecnica di intaglio, espressiva e molto rozza, con l’estrema stilizzazione dei tratti fisionomici, risentiva dell’influsso della glittica sassanide e barbara e andava perciò attribuita al III-IV secolo d.C. 23. Così, seguendo la Vollenweider, sono state datate al IIIIV secolo d.C. varie di queste teste, che invece sono da ricollegare alla produzione in lapislazzuli. Ma già Furtwängler riteneva testimonianza di un genere di lavori rozzi e numerosi del XVI-XVII secolo una corniola con una testa coronata, anche Furtwängler 1900, vol. III, p. 362 e nota 1. Furtwängler 1896, pp. 320-322, nn. 8733-8821. 15 Osborne 1912, p. 180. 16 Zazoff 1983, p. 343, nota 295. 17 Maaskant-Kleibrink 1986; Maaskant-Kleibrink 1997. 18 Casal García 1990; Chaves Tristan, Casal García 1993, pp. 315-316. 19 Zwierlein-Diehl 1991, pp. 25-26; Zwierlein-Diehl 1993. 20 Kris 1929, I, p. 59; Zwierlein-Diehl 1991, p. 26; Tassinari 1996. 21 Maaskant-Kleibrink 1986, pp. 88, 93. Va ricordato che la Maaskant-Kleibrink rileva che anche gli intagli con figure, di questa produzione, possono aver avuto la loro ispirazione dai rovesci delle monete, ad es. per il tipo di Atena-Minerva-Roma stante o seduta: ibidem, p. 90, nn. 181, 183, 184. 22 Zwierlein-Diehl 1991, p. 248. 23 Vollenweider 1958, pp. 283-284; Vollenweider 1976-79, pp. 257-258, tav. 83, fig. 3, n. 269; Vollenweider 1983, pp. 187-188, n. 238. Però va sottolineato che in questi intagli non sono evidenti le caratteristiche della produzione. 13 14 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA se regolare e senza alcun indizio della produzione in esame, creduta infatti antica 24. Concludendo, sembra sorpassata la tesi della Vollenweider e corretta e ormai accettata la stessa datazione per le teste radiate e per le figure. 3. Datazione Giustamente – e sulla scia di quanto rilevato dal Furtwängler – la Zwierlein-Diehl sottolinea che proprio la fattura molto superficiale ( flüchtig è l’aggettivo che la studiosa usa per questa produzione), la qualità misera, l’uso di pochi strumenti fa sì che gli intagli della produzione in lapislazzuli appaiano simili ai rozzi intagli della più tarda età imperiale e che appunto a quell’epoca siano stati di frequente ascritti 25. Dunque per le analogie iconografiche e stilistiche con gli esemplari tardo-romani le gemme della produzione in esame sono state spesso (all’inizio degli studi, ma anche in seguito) con essi confuse. Esempi significativi e sempre citati sono gli intagli, in lapislazzuli e in agata zonata, datati al più tardo III secolo d.C., con Bonus Eventus (?) e con Ercole contro Cerbero 26, e un diaspro verde, lavorato su entrambi i lati, su uno dei quali un giovane stante si appoggia con il gomito ad un pilastrino e in una mano protesa tiene un elmo, ascritto al III o IV secolo d.C. 27, che presentano una serie di caratteristiche stilistiche tipiche della produzione in questione, a cui appunto appartengono e a cui sono stati in seguito giustamente ricondotti 28. Così spesso era lasciato aperto il discorso sulla cronologia delle gemme dell’offi- 71 cina dei lapislazzuli; per esempio la Mandrioli Bizzarri ascriveva al III-IV secolo d.C. una corniola con il solito tipo dell’erote stante (filone 1, gruppo B) 29 e proponeva una datazione al III-IV secolo d.C. o al XVII-XVIII secolo per una serie di intagli in lapislazzuli, appartenenti appunto alla produzione in esame. Ancora recentemente si ipotizza che questo tipo dell’erote possa esser tardo-romano 30. Per quanto riguarda la datazione della produzione in lapislazzuli, lo Zazoff la assegna ai secoli XVII e XVIII 31. Invece la Maaskant-Kleibrink osserva che se i lapislazzuli pubblicati dal noto filologo, professore e antiquario olandese Iacobus Gronovius (1645-1716), nella seconda parte delle sue due nuove edizioni (1695; 1707) dell’opera di Abraham Gorlaeus (1549-1609; esperto antiquario e collezionista che pubblicò la sua ampia raccolta di anelli e gemme) 32 non furono tutti presi dalle raccolte del XVII secolo, ma anche da quella di Gorlaeus, la loro datazione va anticipata e deve risalire al XVI o persino al XV secolo 33. Più di recente la studiosa ha ribadito i motivi per i quali questa produzione molto probabilmente è circoscritta principalmente al XVI secolo 34. La Zwierlein-Diehl ritiene esatte queste considerazioni: le affinità stilistiche delle corniole incastonate nella piccola anfora di smalto, della metà del XVII secolo, a Vienna (Kunsthistorisches Museum), con gli intagli di lapislazzuli dimostrano che essi non possono esser nati più tardi della metà del XVII secolo; l’inizio della produzione si può porre nella prima metà del XVI secolo e lo sviluppo nell’ambito dello stesso secolo 35. Furtwängler 1900, p. 309, tav. LXVII, n. 31. L’intaglio è stato qui inserito nel filone n. 10, gruppo B. Lo studioso citava come esempio un intaglio privo di immagine: Furtwängler 1896, p. 326, n. 9016 (cfr. anche ibidem, n. 9017, definito uguale). 25 Zwierlein-Diehl 1991, p. 25; Zwierlein-Diehl 1993, pp. 386, 393. 26 Rispettivamente Furtwängler 1896, p. 322, n. 8770 (senza illustrazione), tav. 62, n. 8792; Zwierlein-Diehl 1969, p. 186, tav. 89, n. 515, pp. 190-191, tav. 92, n. 535. Sono stati qui inseriti: il primo nel filone 1, gruppo A, il secondo nel filone 9, gruppo A. 27 Sena Chiesa 1966, p. 323, tav. XLVII, n. 928. L’intaglio è ripubblicato e datato al III secolo d.C. in Aquileia 1996, p. 96, n. 183. La figura incisa su un lato è stata inserita nel filone 1, gruppo A, e la testa laureata dell’altro lato nel filone 11, gruppo C. 28 Maaskant-Kleibrink 1970, p. 188; Zazoff 1983, p. 343, nota 295; Maaskant-Kleibrink 1986, p. 91; Casal García 1990, I, p. 73; Zwierlein-Diehl 1991, p. 259, n. 2562; Chaves Tristan, Casal García 1993, p. 316; Sena Chiesa 1996, p. 485 e nota 43; Tassinari 1996, p. 170; Sena Chiesa 2005, p. 492, fig. 5. 29 Mandrioli Bizzarri 1987, p. 90, n. 143. 30 Gennaioli 2007, p. 361, n. 486. 31 Zazoff 1983, p. 394, nota 40. 32 Gronovius 1695. 33 Maaskant-Kleibrink 1986, pp. x, xii-xiii. 34 Maaskant-Kleibrink 1997, p. 236 e passim. 35 Zwierlein-Diehl 1991, p. 26. 24 72 GABRIELLA TASSINARI Ora sembra prevalente una datazione di questo complesso di intagli al XVI-XVII secolo 36. A mio parere questa produzione va appunto contenuta nel XVI e nel XVII secolo, preferibilmente nella prima metà del XVII secolo, e comunque non arriva al XVIII secolo, quando sarebbe stata troppo stridente nel panorama glittico noto, con un repertorio iconografico e stilistico assai differente e con il fenomeno degli incisori che firmano e divengono anche famosi. Insomma questa produzione dovrebbe esaurirsi nell’ambito del XVII secolo. Concludendo, vanno tutti ricondotti alla produzione in esame quegli intagli qui inseriti nei vari filoni, che invece sono stati ascritti al II secolo d.C., al III secolo d.C. o addirittura al I secolo a.C. Ricordiamo però – e rimane per ora un problema aperto – che esiste una produzione di età romana, spesso di qualità ‘bassa’, che appunto non è sempre distinguibile da quella non antica (cfr. paragrafo 12). Le generali e notevoli difficoltà di determinazione cronologica della glittica post-classica non consentono una datazione più circoscritta dei pezzi in esame. Per quanto concerne la cronologia interna della produzione in lapislazzuli, non sembra giusto, tranne nei casi segnalati, stabilire la priorità di un filone o di un gruppo rispetto ad un altro. Forse però non è scorretto pensare che, in alcuni gruppi, siano cronologicamente più vicine al modello ‘classico’ – antico o rinascimentale – quelle gemme che, con il loro impianto formale e rendimento stilistico più o meno accurato, gli si attengono fedeli così da [RdA 34 esser talvolta non agevolmente riconoscibili dalle antiche. Perciò dovrebbero esser relativamente più tarde le gemme dove la resa generale è imprecisa, a volte proprio scadente. Ad esempio è probabile siano cronologicamente posteriori alcuni intagli del gruppo A del filone n. 1 che risultano più disorganici, più schematici e immiseriti 37. Ma non va escluso che questo invece indichi diversa officina. Lo prova un’altra totale semplificazione degli intagli del gruppo A del filone n. 1: un intaglio del filone n. 8 38 che appartiene appunto ad una produzione dei Paesi Bassi. Lo stesso progressivo sfaldarsi e deteriorarsi della struttura si rileva in molti esemplari del lotto più cospicuo, quello del Museo Archeologico Nazionale di Madrid, sia con le teste radiate (filone n. 10, gruppo A) sia con quelle laureate (filone n. 11, gruppo A). 4. Il lapislazzuli L’indizio più usato, per identificare i pezzi della produzione in esame, è l’impiego del lapislazzuli 39. Opaco, dal caratteristico bellissimo colore azzurro o blu intenso, talora sbiadito e tendente al verde o al violaceo, non sempre uniforme, di frequente punteggiato di macchie biancastre e giallastre e giallo oro, per le picchiettature di pirite che creano un effetto maculato inconfondibile, corrisponde al Lapis sapphirus di Plinio 40, che ne dà una descrizione precisa, annotando le ‘scintille’ d’oro. I principali giacimenti di lapislazzuli – e di qualità ottima – sono situati nel Badakhshan, nell’Afghanistan settentrionale; altri ce ne sono in Siberia Platz-Horster 1988, p. 566 (XVI-XVII secolo); Casal García 1990, I, p. 74 (per alcuni intagli, non prima del XVII secolo); Guepin 1990, p. 168 (XVII secolo o anche XVI secolo); Chaves Tristan, Casal García 1993, p. 316 (non prima del XVII secolo); Seidmann 1993 (XVI-XVII secolo); Sena Chiesa 1996, p. 484 (XVII secolo); Seidmann 1997, p. 152 (XVI - prima metà del XVII secolo); Maaskant-Kleibrink 1997, pp. 236-237, 241 (XVI-XVII secolo); Gesztelyi 2000, pp. 86-87 (XVI-XVII secolo); Weber 2001, passim (con varie datazioni ma sempre contenute nel XVI-XVII secolo); Gennaioli 2007, passim (per lo più XVII secolo); Tassinari 2009 (XVI-XVII secolo). Così la Guiraud ha rivisto alcune sue posizioni e datazioni, giustamente riconducendo al XVI-XVII secolo e alla produzione in esame alcuni intagli già da lei considerati antichi. È il caso, ad es., di un’agata con Mercurio (?) appartenente al filone n. 5: cfr. nota 346 e Tav. XXXVIII d. Si vedano inoltre, le datazioni nelle singole attestazioni. 37 Casal García 1990, I, pp. 207-208, II, pp. 118-119, nn. 164-166,168; Tamma 1991, p. 94, n. 172. 38 Casal García 1990, I, p. 208, II, p. 119, n. 171. 39 Per un’analisi del lapislazzuli, Miner, Edelstein 1944-45; Lipinsky 1975, pp. 297-300; Cavenago Bignami Moneta 19804, vol. II, pp. 1101-1104; Devoto 1985, pp. 87-88; Pampaloni Martelli 1988, pp. 270-271; Von Rosen 1988; Von Rosen 1990; Devoto, Molayem 1990, pp. 134-139, 186, 189-191, 227; Zwierlein-Diehl 1992; Giusti 1992, p. 270, tavv. 138-139; Casanova 1999, pp. 189-210; Moretti 2001, pp. 49, 95, 104-105; Gagetti 2006, pp. 79-84; Zwierlein-Diehl 2007, p. 306. 40 Per un esame delle fonti antiche, classiche e medievali, relative al lapislazzuli, cfr. Zwierlein-Diehl 1992, pp. 390-391; Gagetti 2006, pp. 79-84. 36 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA (la scoperta di questi giacimenti, alla fine del ‘700, ne fece il maggior centro di esportazione in Europa), nella zona del lago Baikal, nelle montagne del Pamir sovietico; gli altri, sparsi nel resto del mondo, sono ben minori. Determinante era la mediazione mesopotamica riguardo sia al controllo del commercio del lapislazzuli sia alla sua lavorazione: nel Badakhshan, dove nessuna officina è stata trovata, la pietra era solo estratta, sgrossata e tagliata. La struttura del lapislazzuli, la qualità e l’ineguaglianza dei suoi componenti (che hanno una durezza diversa, oscillando in media tra i 5 e 6, 5 della scala di Mohs e i 3, con la conseguenza che spesso durante la lavorazione la pietra si scheggiava) creavano dei problemi, rendendo più difficile e delicato il lavoro sia nell’incisione sia nella lucidatura manuale. Pertanto, in età antica e non, era considerato un materiale particolare, difficile da incidersi. Senza entrare nel merito di un così interessante argomento come la ‘storia’ dell’impiego del lapislazzuli, ricordiamo solo che fu sempre uno dei minerali più apprezzati (la bellezza del colore è senza dubbio uno dei fattori che hanno determinato il suo pregio), costosi e richiesti, che non ha mai conosciuto periodi di oblio. È comunque raro rinvenire intagli e cammei in lapislazzuli in epoca greca 41 ed ellenistica 42. Non è fuor di luogo ricordare che il lapislazzuli 73 è scarsamente impiegato anche per le piccole sculture antiche e – non casualmente – sembra riservato pressoché esclusivamente all’ambito imperiale e all’immagine di Serapide 43. Il lapislazzuli è più frequente nelle gemme magiche e nell’ambito culturale egiziano, grazie anche alla connessione sincretistica Afrodite/Iside/ Hathor, relazione che si fonda probabilmente su una tradizione dell’antico Egitto 44. L’associazione con Venere torna anche in quelle pietre magiche in lapislazzuli dove Afrodite Anadio mene è accompagnata dall’appellativo arwrifrasi e da formule magiche che sono incantesimi d’amore; perciò almeno parte di queste gemme sono talismani d’amore 45. E non è escluso che nelle immagini di principesse realizzate a tutto tondo in lapislazzuli si possa vedere anche una loro assimilazione a Venere 46. Così, su questa direttrice, si può avanzare l’ipotesi che nei vari esemplari della produzione in esame con le immagini di Venere, o comunque legate al suo mondo, l’uso del lapislazzuli abbia lo scopo di ‘aumentare’ la valenza erotica e la potenza fecondatrice e magica connessa alla sfera della raffigurazione. Del resto, a proposito di un bellissimo cammeo in lapislazzuli con Cristo inciso su un lato e Maria sull’altro, parte di un rosario, opera dell’officina di Praga dei Miseroni, probabilmente una speciale commissione in cui la scelta della pie- Ad es. uno scaraboide con Venere nuda, accovacciata, con le braccia alzate a tenere un drappo, che le ricade sul davanti, datato al tardo V secolo a.C. (Furtwängler 1900, tav. XII, n. 33 = Walters 1926, p. 65, tav. IX, n. 530 = Richter 1968, p. 93, n. 302); ascritti alle gemme greco-persiane uno scaraboide con un leone, dato al IV secolo a.C. (Spier 1992, pp. 57-58, n. 111) e un intaglio con un leone, di stile globulare, del III secolo a.C. (?), proveniente dall’India nord-occidentale, per cui si osserva che il materiale è “locale” (Boardman, Vollenweider 1978, pp. 46-47, tav. XXXV, n. 203). 42 Ad es. un intaglio con testa barbata di Perseo di Macedonia, assimilato all’eroe Perseo, con elmo alato, con cresta a forma di testa di gallo, e spada (Walters 1926, p. 135, tav. XVII, n. 1183); un altro con un ritratto d’uomo, dai tipici attributi egizi, come la falsa barba e un elmo aderente, sormontato da un disco solare (anello di III secolo a.C., pietra del II secolo a.C. (?); Walters 1926, p. 136, tav. XVII, n. 1191 = Richter 1968, p. 165, n. 663 = Plantzos 1999, p. 118, tav. 25, n. 141). Cfr. inoltre, Boardman, Vollenweider 1978, p. 71. 43 Zwierlein-Diehl 1992, pp. 386-390; Gagetti 2006, pp. 82-84, 227-230, 233-234, 238-241, 359-360, 367-368, 405, tavv. XX, XXII, LIII, LVII, LVIII, LXIV; Zwierlein-Diehl 2007, p. 437, tav. 132, fig. 628, tav. 133, fig. 629. Per una lista preliminare dei busti plastici di Serapide, anche in lapislazzuli, v. Veymiers 2009, pp. 26-27, nota 30. 44 Zwierlein-Diehl 1992, p. 392; Zwierlein-Diehl 1992a, pp. 57-59, tavv. 2-3, n. 3; Gagetti 2006, pp. 82-84; Zwierlein-Diehl 2007, p. 213. 45 Per un’analisi degli intagli con Afrodite Anadiomene con iscrizione, si veda Delatte, Derchain 1964, pp. 183-186, nn. 241, 245; Michel 2001, pp. 52-53, tav. 11, nn. 77-80 (III secolo d.C.; ove estesa bibliografia); Sylloge 2003, pp. 331-333, 335-337, nn. 290, 292-293 (M. Monaca). Cfr. anche Gagetti 2002, pp. 207-208, n. 46; Gagetti 2006, pp. 82-83. Da notare che la stessa formula arwrifrasi si trova sul retro di un intaglio in lapislazzuli, eccezionalmente inciso con il fanciullo seduto sul fiore di loto, con cui parrebbe non avere relazione precisa; ma Horus o Harpocrate possono esser confusi con Eros. Cfr. Delatte, Derchain 1964, p. 113, n. 141. 46 Gagetti 2006, pp. 83-84. V. anche Zwierlein-Diehl 1992, p. 392: a proposito dei ritratti delle donne della famiglia Giulia in lapislazzuli la studiosa ricorda la connessione con Venere, che del resto era la dea protettrice della dinastia. Cfr. anche Zwierlein-Diehl 2007, p. 154. 41 74 GABRIELLA TASSINARI tra giocava un ruolo preciso, si ricorda la credenza dell’epoca riguardo alla magica azione del lapislazzuli sulle femmine gravide a cui portava una nascita fruttuosa 47. 5. Le altre pietre L’altra pietra prevalente nella produzione in esame, e talvolta pressoché esclusiva in alcuni filoni, risulta la corniola, come noto la pietra più usata e comune in tutte le epoche, grazie alle sue caratteristiche intrinseche. Ma, come è stato già notato 48, il lapislazzuli e la corniola non sono gli unici materiali di questa produzione. Frequente è anche l’agata, spesso zonata; giustamente la Zwierlein-Diehl rileva che le agate zonate erano amate e richieste nel XVII secolo 49. Seguono a distanza il diaspro, l’eliotropio, il plasma, l’ametista e la sardonice; altre pietre attestate, ma di rado, sono il prasio, l’onice, il nicolo e il granato. 6. Le caratteristiche stilistiche Sono state più volte sottolineate le peculiarità stilistiche degli intagli di questa produzione: una strana pettinatura con i capelli a fiocchi, a formare una specie di cercine, o ritti (un curioso copricapo? una corona di lauro?), il profilo dei visi a semplificati tratti orizzontali, spesso schematici e marcati, che risultano quasi uguali, la singolare resa a solchi rotondi dei muscoli dell’addome e delle gambe, il rendimento a ‘salsiccia’ degli arti, le ginocchia stilizzate e quasi piegate, l’eccessiva accentuazione della parte inferiore del corpo delle figure stanti, esageratamente spostata in fuori, i piedi leggermente sollevati dal suolo, i panneggi a elementi curvilinei alternati ad altri a V (in particolare a V sotto il collo), a volte piegati ad arco e fluttuanti, [RdA 34 con una serie di linee sinuose e superflue ad indicare la clamide svolazzante. Tali caratteristiche sono più o meno spiccate, più o meno evidenti, appena percepibili, presenti in parte o anche addirittura assenti. Comunque ci sono altre peculiarità, di solito non ricordate, come testimonia questo studio. Uno dei motivi che ricorre più volte nella produzione in esame 50 è costituito dell’albero: in scene diverse, come sedile o riempitivo o come ramo d’albero che i personaggi tengono in mano. 7. Una produzione di ‘massa’ Questa produzione si rivela molto copiosa, anche solo da quanto è pubblicato. Ma va sottolineato che ci sono tanti esemplari inediti. Zazoff ne indicava molti nella collezione del Cabinet des médailles di Parigi e osservava che quasi tutte le grandi raccolte ne possiedono almeno alcuni; solo a Kassel (Antikensammlung, Staatliche Museen) ce ne sono più di un centinaio 51. Così a San Pietroburgo, al Museo Statale dell’Ermitage, sono conservati circa duecento pezzi di questa produzione, con figure e con teste, pressoché tutti inediti: in lapislazzuli, ma anche in altre pietre, come la corniola, l’agata, il prasio; in molti casi la loro provenienza non è chiara 52. Anche nel Museo Nazionale Ungarico di Budapest vi sono parecchi intagli con teste, appartenenti alla produzione 53. Un esempio illustre è la collezione Farnese al Museo Archeologico di Napoli: un vasto complesso di gemme, rimasto unito, così da presentare affiancati pezzi antichi e moderni, buona parte dei quali è inedita 54; tra questi vi sono vari intagli in lapislazzuli. Lo testimoniano, ad esempio, le impronte di intagli in lapislazzuli che l’incisore Francesco Ghinghi (1689-1762) mandava, insieme alle sue lettere, ad Anton Francesco Gori 55. Prag um 1600 1988, p. 512, n. 382 (B. Bukovinska). Cfr. ad es., Maaskant-Kleibrink 1986, p. 91, n. 184; Zwierlein-Diehl 1991, p. 25; Chaves Tristan, Casal García 1993, p. 316; Maaskant-Kleibrink 1997, p. 237. Cfr. anche Furtwängler 1900, vol. II, p. 308, n. 21. 49 Zwierlein-Diehl 1998, p. 379, n. 292. 50 Come del resto già osservato in Maaskant-Kleibrink 1986, p. xii; Zwierlein-Diehl 1991, p. 258, n. 2558, pp. 262-263, n. 2578, p. 266, n. 2594. 51 Zazoff 1983, p. 343, nota 295, p. 394. 52 Devo queste informazioni alla gentilezza di Sveta Kokareva, che ringrazio. 53 Ringrazio per questa informazione Tamás Gesztelyi. 54 Gasparri 1995, p. 132; Gasparri 2006, pp. 13, 18, 23, 27, nota 1. 55 V. Tassinari 2010c. 47 48 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA Nel sommario catalogo delle gemme Farnese che si trovavano nel Real Museo, compilato da Pietro Piovene intorno al 1730, su 1823 gemme, i lapislazzuli sono 28 56. Durante il regno di Ferdinando IV di Borbone furono preparate, assai probabilmente da Bartolomeo Paoletti, specialista in materia 57, circa 600 riproduzioni in vetro delle gemme Farnese e inviate in dono alla zarina Caterina II a San Pietroburgo, accompagnate da un inventario manoscritto, tuttora conservato al Museo Statale dell’Ermitage. In questo fascicoletto figurano tre lapislazzuli: uno è il cammeo con la testa di Tiberio laureata, già nella collezione di Fulvio Orsini 58, un altro è un rilievo con una testa di fronte 59 e il terzo (non è specificato se intaglio o cammeo) è una testa di putto di fronte 60. Un’altra testa di fanciullo in rilievo in lapislazzuli, ora al Museo Archeo- 75 logico di Napoli 61, potrebbe essere la testa di giovane, che figura nell’inventario della collezione di Fulvio Orsini, datato al 1600 62. Un’altra famosa raccolta che annovera diversi pezzi della produzione in esame – editi di recente – è quella medicea, a Firenze, al Museo degli Argenti 63. Analogamente, nell’ampia collezione di Sir Hans Sloane (1660-1753) conservata al British Museum, solo in parte edita, sono parecchi gli esemplari di questa produzione 64. Va infine ricordato che vi sono anche gli intagli in lapislazzuli menzionati o pubblicati, ma senza illustrazione (non va perciò escluso che alcuni possano essere antichi). Basti citare gli intagli al British Museum 65, quelli numerosi del Museo di Berlino 66, a Vienna, al Kunsthistorisches Museum 67, a Parigi, Strazzullo 1979, pp. 76-78. Pirzio Biroli Stefanelli 2006, p. 101. 58 Pannuti 1995, p. 162, n. 43; Gemme Farnese 2006, p. 130, fig. 204; Giove, Villone 2006, p. 142, n. 124. 59 Pannuti 1995, p. 164, n. 75; Giove, Villone 2006, p. 147, n. 396 (senza immagine). 60 Pannuti 1995, p. 167, n. 219. 61 Giove, Villone 2006, p. 147, n. 411 (senza immagine). 62 De Nolhac 1884, p. 165, n. 265. 63 Numerose opere in lapislazzuli vengono elencate, senza illustrazione, in Aschengreen Piacenti 1968, passim, ora pubblicate in Gennaioli 2007. 64 La visione della collezione Sloane mi è stata possibile grazie alla disponibilità e alla liberalità di Judy Rudoe (Assistant Keeper, Department of Medieval and Modern Europe, British Museum) che qui ancora ringrazio. Va ricordato che alcuni degli esemplari Sloane sono stati editi; cfr. nota seguente. 65 Dalton 1915, p. 82, n. 579 (testa di Giove?), p. 90, n. 632 (Marte (?) seduto su una corazza tiene un elmo nella destra e afferra una spada nella sinistra; eliotropio, ma citato come appartenente alla produzione), p. 94, n. 662 (Cupido stante tende il suo arco), p. 144, n. 988 (due figure con elmo, una seduta, l’altra stante), n. 993 (figura maschile stante con mantello fluttuante), n. 995 (figura femminile drappeggiata incedente, con bilancia), p. 145, n. 997 (leone), p. 146, n. 1010 (vaso con fiori), n. 1012 (trofeo), nn. 1017-1019 (lettere): tutti gli intagli sono datati al XVII secolo o alla seconda metà del XVI - prima metà del XVII secolo e appartengono alla collezione Sloane; Walters 1926, p. 157, n. 1406 (Hermes su un ariete, con borsa nella destra, caduceo nella sinistra), p. 163, n. 1464 (Psiche (?), con lungo chitone e himation, tiene un piatto nelle mani e con la sinistra una piega del suo panneggio a cui è sospesa una farfalla dalle ali bruciate; nel campo, un tirso), p. 164, n. 1481 (Eros stante, con un arco nella sinistra e un fiore (?) nella destra), p. 187, n. 1747 (Fortuna tiene un ramo nella destra e un timone nella sinistra), p. 230, n. 2234 (uomo nudo stante fa una libagione su un altare), p. 239, n. 2369 (montone); tutti gli intagli sono collocati tra le gemme greco-romane; solo per il n. 1464 si avanza l’ipotesi non sia antico. 66 Furtwängler 1896, pp. 320-322, 326, n. 8725 (tre divinità capitoline in trono), n. 8726 (Artemide cacciatrice), n. 8728 (Hermes su montone), n. 8729 (donna seduta davanti ad un altare?), n. 8731 (scorpione), n. 8732 (caduceo tra due spighe), nn. 8734-8740, 8742-8746, 8748-8752 (tutti guerrieri stanti), nn. 8754-8756 (Atena), n. 8759 (figura femminile con scettro e ramo), n. 8761 (Nike), nn. 8762-8763 (guerrieri), nn. 8764, 8766, 8768 (figure femminili con fiaccole (?), scettro o spada [?]), nn. 87718772 (figure maschili con armi), nn. 8773-8777 (Eroti con arco, con ramo, davanti ad altare), nn. 8779-8784, 8786-8790 (figure sedute con in mano diversi oggetti), nn. 8793-8794, 8796-8797 (teste), nn. 8798-8799 (uccello davanti a un cespuglio), nn. 88008803 (ramo con melograne), n. 8804 (ciotola con pianta), nn. 8806-8821 (figure non specificate), n. 8938 (testa sconosciuta). Va precisato che non tutte le pietre sono lapislazzuli, ma si possono bene assegnare a questa produzione, perché Furtwängler li considera come un unico insieme, già da lui ritenuto antico e poi ricollegato alla produzione in questione. Inoltre, ibidem, p. 325, n. 8890 (Zeus in trono con una Nike in mano), p. 326, nn. 9019-9123 (tra le altre pietre, cinquanta lapislazzuli, senza indicazione di soggetto; dall’indice sono i nn. 9032-9082; XVI-XVII secolo), p. 333, n. 9342 (guerriero che tiene una testa nella sinistra, accanto l’iscrizione EA TICIA; XVIII-XIX secolo). 67 Zwierlein-Diehl 1991, p. 251, n. 2540 bis. La studiosa data i 23 intagli (anche in altre pietre, oltre al lapislazzuli) al XVI - prima metà del XVII secolo, riconducendoli alla produzione in esame. 56 57 76 GABRIELLA TASSINARI al Cabinet des Médailles 68, a San Pietroburgo, al Museo Statale dell’Ermitage 69, nel Tesoro del Delfino, a Madrid, al Museo Nazionale del Prado 70, al Museo Correr a Venezia 71, all’Historisches Museum di Basilea 72, al Thorvaldsen Museum di Copenaghen 73, tra le gemme della collezione Devonshire a Chatsworth 74 o di quella Praun, confluita nella collezione Mertens-Schaaffhausen e dispersa (cfr. oltre), tra le impronte del Cabinet reale a L’Aja 75 o tra gli intagli venduti all’asta 76. Senza relativa immagine vi sono intagli in lapislazzuli, per lo più dispersi, ma di cui si ha notizia 77; oppure non si specifica se sono intagli o cammei 78; altri intagli sono conosciuti solo da disegni 79. Un caso particolare è costituito dagli intagli [RdA 34 identificati dalla Maaskant-Kleibrink tra le gemme pubblicate da Iacobus Gronovius nella seconda parte delle sue due edizioni (1695; 1707) dell’opera di Abraham Gorlaeus (cfr. supra) 80. Come infatti indicava lo stesso Gronovius, riconoscente agli esperti conoscitori che l’avevano aiutato, tra cui J. Georgius Graevius e Johannes Smetius, molte delle numerose gemme da lui aggiunte non appartenevano a Gorlaeus, bensì erano prese da altri testi o da celebri collezioni del XVII secolo. E appunto tra le gemme incluse da Gronovius ve ne sono parecchie di moderne. La cattiva resa degli intagli 81 e le brevi spiegazioni di Gronovius non rendono facile riconoscere i pezzi della produzione in esame e attribuire con sicurezza le singole gemme ai vari filoni individuati in questa ricerca 82. Chabouillet 1858, p. 77, n. 418 (= Babelon 1897, pp. 245-246, n. 450) (su un lato un cammeo con il busto di Minerva armata, sull’altro un intaglio con una scena di offerta all’Amore: su un altare è la statua di Cupido, nudo, che sembra benedire l’unione di due personaggi, avanzanti uno incontro all’altro, un giovane presentando nelle mani un’offerta e una fanciulla che fa un gesto d’assenso; XVI secolo), p. 331, n. 2410 (Giulio Cesare stante, coronato di alloro, tiene il globo del mondo e si volge verso un personaggio che lo segue; età moderna), p. 617, n. 3503 (cavaliere di corsa), n. 3504 (atleta nudo, inginocchiato, tiene una palma) (entrambi non datati, definiti lavori grossolani). 69 Dalla collezione di Pierre Crozat: Mariette 1741, p. 20, n. 390 (testa di imperatore del tardo impero con corona radiata), p. 26, n. 497 (teste femminili). 70 Iñiguez 1989, p. 66, n. 52 (leone e uccello), p. 67, n. 82 (busto di uomo coronato d’alloro), p. 68, n. 127 (Vittoria), n. 136 (busto probabilmente femminile). 71 Lazari 1859, p. 134, n. 628 (Curzio a cavallo che si getta nella voragine; nel fondo piccole figure in atteggiamento di dolore, che escono da un tempio; definito come pezzo antico, non ben conservato). 72 Historisches 1995, p. 102 (guerriero stante; attribuito all’Italia settentrionale e al XVI - metà del XVII secolo). 73 Fossing 1929, p. 238, n. 1769 (figura stante; lavoro molto rozzo, tra le gemme tardo-romane). 74 Scarisbrick 2003, p. 73 (Annibale; non datato, ma si ricorda che il lapislazzuli era popolare nel XVI secolo). 75 De Jonge 1837, p. 13, n. 302 (Minerva seduta tiene una vittoria), p. 31, n. 600 (lira d’Apollo), p. 32, n. 610 (sagittario), p. 62, n. 1118 (pavone); tutti ascritti ad età antica. 76 Scarisbrick 1977, p. 9, n. 83 (Ercole combatte contro Anteo; non antico), p. 11, n. 124 (Minerva stante con lancia e scudo; non antico); Fine Jewels 1992, p. 88, n. 375 (figura femminile e delfino; XVII secolo), p. 89, n. 382 (Venere tiene la mela d’oro portata da Cupido; XVII secolo), p. 97, n. 433 (Diana-Selene; XVII secolo), p. 92, n. 402 (atleta; XVIII secolo). 77 Marshall 1907, p. 189, n. 1203 (un uomo nudo stante di fronte a un altare fa una libagione; tardo-romano); Catalogue 1921, p. 19, n. 112 (Leda e il cigno; dalla collezione di Paolo II. Praun; antica?), p. 31, n. 219 (testa di Caligola; dalla collezione Mertens-Schaaffhausen; tra le gemme ellenistiche e greco-romane), p. 33, n. 234 (rozza testa femminile), p. 34, n. 241 (tempio con tre colonne ioniche su ogni lato e al centro una statua di un dio su un piedistallo), p. 36, n. 253 (colomba e una stella, rettangolare; tutti e tre gli esemplari tardo-romani); Guiraud 1988, p. 143, nota 42 (testa di un imperatore del Basso Impero); Zwierlein-Diehl 1994, p. 69 (un satiro; dalla collezione di Paolo II. Praun); Spier, Vassilika 1995, p. 91, p. 98, nota 4, p. 101, nota 62 (una scena cristiana; considerata un “falso”). 78 Illustrated Catalogue 1885, n. 11 (disegno di un busto di guerriero; non datato); Femmel, Heres 1977, p. 217, n. 5, p. 226, n. 5 (Giove seduto in trono con scettro e Vittoria; senza immagine, in un elenco di gemme antiche di Filippo Hackert, precedente il 1810); La Monica 2002, p. 70, n. 8, n. 11, p. 73, n. 93, n. 97, p. 74, n. 105 (inventario manoscritto seicentesco della collezione Boncompagni Ludovisi; tutti i pezzi sono senza immagine e non datati: teste di Commodo e Crispina; teste di Nerone con Agrippina; Morfeo giacente con il papavero; Venere e amore; due prigionieri legati a un albero). 79 Mariette 1750, vol. II, n. 67 = Chabouillet 1858, p. 272, n. 2094 (testa di Faustina maggiore, moglie di Antonino Pio; Chabouillet non ne dà l’immagine e lo pone tra gli intagli antichi); Guiraud 1996, p. 196, tav. LXII, n. 964 (un personaggio nudo di fronte, in un anello di II secolo d.C.). 80 Maaskant-Kleibrink 1986, pp. xii-xiii e passim; Maaskant-Kleibrink 1997, pp. 237, 241. 81 Per le forti critiche alle tavole di Gronovius, v. Tassinari 1994, p. 50. 82 Per i motivi suddetti non è stato possibile assegnare ai vari gruppi alcuni esemplari pubblicati da Gronovius, qui citati per arricchire quantitativamente il panorama. Si tratta di intagli in lapislazzuli e corniole con figure femminili sedute o maschili 68 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA Analogamente le incisioni imprecise e trascurate dei volumi che illustrano la collezione di gemme raccolta da Johannes Martinus Ebermayer (16641743), stimato commerciante di Norimberga, sconsigliano di attribuire alla produzione in esame quegli intagli che forse le appartengono ma non sono in lapislazzuli 83. Va infine sottolineato che gli studiosi dei secoli XVII-XVIII talvolta usavano diverse definizioni per la stessa pietra, in questo caso il lapislazzuli. Ad esempio un intaglio (non inserito in questo studio) con Ercole piegato, inginocchiato, soggiogato da Cupido con una freccia in mano, è indicato dal Beger, che lo pubblica, in un testo come lapislazzuli 84, in un altro come smeraldo 85. Così, Gori definisce ‘diaspro blu’ quattro intagli in lapislazzuli, uno con la raffigurazione di Alessandria, un altro con un busto femminile, forse Giulia figlia di Tito, il terzo con testa di satiro e siringa (cfr. oltre) e l’ultimo con Giove (?) seduto con l’aquila ai piedi, documentato da un’impronta in gesso della raccolta di Luisa Rasponi Murat 86. L’intaglio, già nella Galleria di Firenze, è disperso (?), ma quasi sicuramente è giusta la diversa identificazione della pietra, appunto come ‘lapislazzuli’, data da Tommaso Puccini nel suo inventario (1799) 87. Concludendo – e tenendo presente tutti i limiti inerenti ad assumere, in vari casi, il lapislazzuli come unico indizio per individuare le gemme della produzione per cui ‘sfuggono’ gli intagli nelle altre pietre – il panorama è ben più ricco di quanto emerga dagli esemplari menzionati 88. Che la produzione dei lapislazzuli sia sempre anonima, così vasta e spesso di ordinaria esecu- 77 zione, tanto da potersi definire di ‘massa’, si comprende inserendola in quel noto fenomeno di glittica corrente dei secoli XVI e XVII. Viene realizzata una schiera di cammei, per lo più piccoli, con busti di imperatori, papi, filosofi, negri, dame in guisa di Cleopatra, Flora, Diana, Venere, Menade e figure di tipo anticheggiante. Questa produzione di ‘massa’ si spiega con la moda dell’uso del cammeo non come opera d’arte preziosa, ma come ornamento indossato in abiti e cappelli, incastonato in gioielli o applicato come decorazione sugli oggetti più diversi 89. Così, la Zwierlein-Diehl 90 ricorda che le corniole e i lapislazzuli della produzione in esame erano impiegati non tanto singolarmente, quanto in maniera decorativa. Lo dimostrano la già citata anfora di smalto, della metà del XVII secolo, e una cassetta d’avorio del XVII secolo, conservate a Vienna, al Kunsthistorisches Museum, dove sono accostati pezzi antichi e non (quelli appunto dell’officina dei lapislazzuli), disposti secondo un punto di vista puramente ornamentale, in una alternanza tra figure e teste (radiate e filosofi barbati). Anche in altri casi è possibile constatare che queste gemme erano inserite nel vasellame. Menzioniamo le varie coppe, piatti, boccali, coperchi in pietre dure e oro, databili all’incirca dalla metà del XVI secolo alla metà del XVII secolo, al Louvre, su cui sono fissati intagli e cammei, con teste e figure, mescolati antichi e non, alcuni della produzione in esame, incastrati anche capovolti o all’interno o nella base 91. O il cofanetto, opera francese (1630-1640), nel Tesoro del Delfino, al Museo Nazionale del Prado, stanti, con un oggetto in mano, a volte vicino a un’ara o circondate da rami, in un caso una vittoria stante incorona un vincitore di giochi, in un altro due figure stanti fanno un sacrificio; oppure sono teste femminili o maschili: Gronovius 1695, p. 23, n. 201, p. 24, nn. 208, 217, p. 27, n. 242, p. 52, nn. 600-601, pp. 53-54, nn. 610, 611, 617, 623, p. 55, n. 637, pp. 56-57, nn. 650, 652-654, 659, 661-663. 83 Gemmarum affabre 1720, passim. Per i giudizi negativi su questa opera, cfr. Tassinari 1994, pp. 51-57. 84 Begerus 1685, p. 40, tav. XXXI. 85 Begerus 1696, pp. 34-35. 86 Reinach 1895, p. 32, tav. 28, n. 55 (= Gori 1731-32, I, n. 557). La definizione del Gori è seguita dal Raspe (Raspe 1791, p. 88, n. 955). Per l’impronta Rasponi Murat: Montevecchi 1998, p. 47, n. 91. 87 P. 328, n. 410 (visione autoptica). 88 Ad es. potrebbero appartenere alla produzione in esame quei molti altri intagli nel Museo Archeologico Nazionale di Madrid che la Casal Garcia non pubblica perché la loro modernità è evidente: Casal García 1990, p. 74. 89 Su questa produzione, cfr. ad es. Dalton 1915, pp. lxxvi-lxxvii; Kris 1929, pp. 90, 177, 180, tav. 97, nn. 418, 419, tav. 98, nn. 416-417, tav. 117, n. 470; Wentzel 1958, pp. 294-296; Gasparri 1995, p. 137; Gasparri 1995a, pp. 422-424; Seidmann 1996, p. 259; Aschengreen Piacenti 1997; Weber 2001, p. 21; Gasparri 2006, p. 18 e passim; Hein 2008, pp. 69-73. 90 Zwierlein-Diehl 1991, pp. 24-26, 246, tav. 181, n. 2540 bis; Zwierlein-Diehl 1993, p. 390. 91 Alcouffe 2001, pp. 88-89, n. 23, pp. 184-186, n. 63, p. 380, n. 183, p. 398, n. 191, pp. 413-414, n. 197, pp. 421-422, n. 203 e passim. 78 GABRIELLA TASSINARI ricoperto di cammei di differenti epoche e incisori; inframmezzati tra i cammei ci sono vari medaglioni in lapislazzuli ovali lisci o in forma di conchiglia scanalata 92. Teste ritratto in lapislazzuli incastonate in oggetti sono ripetutamente menzionate negli inventari delle collezioni di Monaco, senza che si possa precisare il personaggio raffigurato 93. Infine, anche le dimensioni assai ridotte di varie di queste gemme provano il loro impiego decorativo. 8. La localizzazione delle officine Per ora non è risolta in modo soddisfacente la questione riguardo all’ubicazione delle officine produttrici di questi intagli. Zazoff 94 la porrebbe forse a Parigi, considerati i molti esemplari nella colle zione del Cabinet des Médailles. Secondo la Maa skant-Kleibrink, lo stile si adatta con le generali tendenze manieristiche dell’arte dell’epoca e la fabbricazione può perciò esser attribuita a qualsiasi centro con note attività incisorie, come le città del nord Italia, Roma, Praga o Parigi 95. Ma la studiosa rilevando giustamente un gran numero di questi intagli anche al Museo degli Argenti a Firenze, e in altre raccolte italiane, conclude a favore di una possibile produzione in Italia 96. Inoltre osserva che la somiglianza di queste gemme conduce ad un limitato numero di officine situate vicine una all’altra. Così la Zwierlein-Diehl pensa che le officine, presumibilmente poche e vicine, sarebbero da ricercare in Italia settentrionale (Venezia? Padova?); lo fa supporre il fatto che quasi tutti i numerosi intagli della produzione in esame, ora a Vienna, vengono dalla collezione del XVII secolo, prima conservata nel castello “Il Catajo” a Este; dall’Italia, dove fu realizzata la maggioranza delle gem- [RdA 34 me, antiche e pseudoantiche, esse si sarebbero diffuse in tutta Europa 97. Attualmente la maggior parte degli studiosi ritiene probabile che gli ateliers siano localizzati nell’Italia settentrionale; in particolare talvolta si propone Venezia e Padova 98. Non è certo il caso di affrontare qui l’analisi dei grandi centri della produzione glittica post-antica. Ricordiamo solo che i più importanti in Italia – che mantenne la sua supremazia fino al declino dell’incisione – sono Roma, Firenze, Milano e Venezia. Richiamiamo alcuni dati, deliberatamente limitati e strettamente pertinenti allo scopo della ricerca, che depongono a favore di una localizzazione settentrionale delle officine dei lapislazzuli; e precisamente a Venezia e a Milano. A Venezia era fiorente l’arte di contraffare le gemme con il vetro, che ben si prestava alla loro imitazione; e il patrimonio di conoscenze, tra cui le formule della falsificazione delle pietre preziose, era rigorosamente conservato segreto 99. Venezia era centro di lavorazione del cristallo di rocca e delle pietre dure ed emporio per il commercio delle stesse. I traffici con l’Oriente facevano arrivare nella città molti minerali che venivano lavorati grazie alle notevoli conoscenze tecnologiche. Dal lapislazzuli si estraeva un pigmento molto ricercato per riprodurre il blu intenso, l’oltremare, così chiamato perché proveniva appunto da oltremare. A Venezia già nel ‘300 avveniva la preparazione di questo pigmento ricercato, raro, costoso, noto e apprezzato in tutta Europa sino alla fine del ‘ 700. Come recita una testimonianza di un miniaturista inglese vissuto nel ‘500: “the darkest and highest blew is ultermaryne of Venice” 100. Inoltre l’ambiente veneziano-padovano è quello in cui si forma il famoso Valerio Belli. Ma altri fattori inducono ad ipotizzare una collocazione delle officine a Milano. Iñiguez 1989, pp. 59-63, n. 31 (cofanetto), pp. 60-63, nn. 14-15, 32-33, 39-40, 57-58, 70, 80-81, 87-88, 103-106, 110-113 (medaglioni) = Arbeteta Mira 2001, pp. 230-232, n. 71 (cofanetto), pp. 230-232, nn. 14-17, 43, 52-55, 67-70, 101-104, 112-115 (medaglioni). 93 Weber 1992, p. 81, n. 27. 94 Zazoff 1983, p. 343, nota 295. 95 Maaskant-Kleibrink 1997, p. 237. 96 Maaskant-Kleibrink 1986, pp. xii, 88, 91. 97 Zwierlein-Diehl 1991, pp. 25-26; Zwierlein-Diehl 1993, p. 393. 98 Cfr. ad es. Weiss 1996, p. 165; Tassinari 1996, p. 190; Sena Chiesa 1996, p. 484; Maaskant-Kleibrink 1997, pp. 236-238; Weber 2001, passim (dove per molti intagli si specifica un’origine cisalpina); Sena Chiesa 2005, p. 492. 99 Cfr. da ultimo Tassinari 2009b, pp. 389-391; Tassinari 2010a, pp. 193-199, ove bibliografia precedente. 100 Lazzarini 2003, pp. 164-165, 173, 175. 92 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA Così Kris 101, nel valutare l’influsso che hanno avuto i lavori del Belli e del Bernardi sull’evoluzione della glittica, insiste sull’importanza dell’opera del Bernardi nella cerchia milanese, per la somiglianza del linguaggio formale e del modo di lavorare. È nota la straordinaria fioritura dell’oreficeria milanese, specie nella seconda metà del XVI secolo, e l’insuperabile virtuosismo tecnico con cui si lavorava il cristallo di rocca, abilità in cui spiccarono celebri dinastie di orafi e intagliatori, come i Miseroni e i Saracchi, o un incisore, ‘plasticatore’, medaglista come Annibale Fontana 102. Nel ‘500 Milano diventò il più qualificato centro di produzione di vasi in pietra dura, produzione che soddisfaceva le corti europee, che si disputavano i più illustri incisori. E non pochi sono gli oggetti – piatti, tazze, brocchette – in cui è impiegato il lapislazzuli, ascritti ai Miseroni, ai Saracchi o ad Annibale Fontana 103. Da Milano si trasferirono a Firenze, al servizio dei Medici, dal 1572 i fratelli Giovanni Ambrogio e Gian Stefano Caroni e dal 1575 Giorgio di Cristofano Gaffuri, acquistando fama nella lavorazione dei cristalli, dei vasi in lapislazzuli e dei cammei incisi 104. Essi operavano nelle botteghe granducali fiorentine, dove fu realizzata da Jaques Bylivelt, su disegno di Bernardo Buontalenti, quel capolavoro di fiasca in lapislazzuli (1583-84) con montatura d’oro e smalti policromi, ora al Museo degli Argenti 105. Nello stesso Museo, nel Tesoro dei Medici, sono numerosi i vasi e i vasetti con coperchio, tazze, coppe, ciotole, tutti sempre in lapislazzuli, ascritti soprattutto al terzo quarto e alla seconda metà del XVI secolo e sino alla fine del secolo, molti at- 79 tribuiti a manifattura milanese (e talvolta più precisamente ai Miseroni), ma anche a quella fiorentina 106. Un’altra tazza di lapislazzuli fu acquistata da Cosimo I da Gasparo Miseroni (1563 circa) ed è ora al Museo di Mineralogia dell’Università di Firenze 107. Il lapislazzuli, oltre che apprezzato per i vasi, era tra le pietre più usate nei mosaici e nei commessi di pietre dure, specialità della manifattura granducale fiorentina; perciò dovevano essercene grandi quantità, nel XVI secolo 108. Concludendo, ci sfuggono ancora molti elementi per poter stabilire con sicurezza la localizzazione precisa delle officine della produzione di lapislazzuli. Né si riescono pienamente a valutare i veri motivi della presenza/assenza, dell’esiguità o del cospicuo numero degli esemplari di questa produzione in alcune collezioni. Inoltre ricordiamo che quasi sicuramente non tutta la produzione in esame è stata realizzata in Italia. Infatti gli intagli del filone n. 8 assai probabilmente erano incisi, secondo la convincente ipotesi della Maaskant-Kleibrink, nei Paesi Bassi, più tardi rispetto alla fabbricazione italiana, nel tardo XVI secolo e nella prima metà del XVII secolo. Per quanto riguarda l’ipotesi che le officine siano poche e vicine, da questo studio emerge una gamma di situazioni: i pezzi possono essere pressoché identici o possono diversificarsi solo per lievi modifiche o per un differente rendimento stilistico e/o iconografico; oppure i particolari connotanti ricorrono in gemme di vari gruppi. Senza dubbio si riscontrano scambi, influssi, trasposizioni, strette interdipendenze … Kris 1929, I, pp. 72-73 e passim. Quanto all’influsso del Belli sull’officina milanese dei Sarachi, ibidem, pp. 111-112 e passim. Distelberger 1988, pp. 457-459; Venturelli 1996, pp. 50, 53-54, pp. 202-204 (Miseroni; attestati dal 1453 al 1684), pp. 206-207 (Saracchi; notizie dal 1561 al 1617) e passim; Arbeteta Mira 2001, pp. 51-60; Venturelli 2002, pp. 240, 246 e passim; Distelberger, Seipel 2002, pp. 79-99 e passim (R. Distelberger) (bibliografia essenziale). Sui Miseroni cfr. anche Venturelli 2009, ad indicem. 103 Ad es. Iñiguez 1989, pp. 28, 252, n. 4 (= Arbeteta Mira 2001, p. 174, n. 40), pp. 132-135, n. 80 (= Arbeteta Mira 2001, pp. 45, 49, 116-118, n. 10), p. 105, nn. 60-61 (= Arbeteta Mira 2001, pp. 45, 200-201, n. 56); Venturelli 1996, pp. 98-99; Distelberger, Seipel 2002, pp. 176-178, n. 92, pp. 307-308, n. 191 (R. Distelberger). 104 Venturelli 1996, pp. 30, 56; Giusti 1997, p. 381; Giusti 2003, pp. 520, 523 (bibliografia essenziale). Sui Caroni cfr. anche Venturelli 2009, ad indicem. 105 Da ultimo, Venturelli 2009, p. 73, n. 33, p. 208, tav. XVI, n. 33, ove bibliografia precedente. 106 Da ultimo, Venturelli 2009, pp. 69-71, nn. 26-30, p. 72, n. 32, p. 93, nn. 43-44, p. 104, n. 60, p. 105, n. 62, p. 119, n. 70, pp. 121-122, n. 75, p. 129, n. 86, pp. 205-207, tavv. XIII-XV, p. 212, tav. XX, p. 219, tav. XXVII, p. 222, tav. XXX, p. 225, tav. XXXIII, pp. 254-256, nn. 135-138, p. 261, nn. 147, 149, pp. 267-269, nn. 157-160, p. 300, n. 238, p. 301, n. 241, p. 304, n. 247, p. 307, n. 256, p. 313, n. 274, p. 323, n. 306, p. 330, n. 333. 107 Dolcini 2003; Venturelli 2009, pp. 50-51, fig. 10. 108 Pampaloni Martelli 1988, pp. 270-271; Giusti 1992, pp. 269-270, tavv. 138-139 (bibliografia essenziale). 101 102 80 GABRIELLA TASSINARI 9. Le collezioni: alcuni dati L’esame delle collezioni in cui gli intagli della produzione si trovano possono fornire dati per delineare i percorsi delle gemme, per precisare le datazioni avanzate e anche per ipotizzare la localizzazione di eventuali officine. Va premesso che purtroppo in genere non è possibile ricostruire le raccolte di cui fecero parte originariamente gli intagli o che non si possono ancorare i pezzi ad un preciso momento di acquisto o che esso non risulta determinante o infine come siano ignote le modalità con cui le gemme sono entrate nella collezione. Pertanto ricordiamo solo le collezioni principali o più documentate o i cui dati sono più significativi, tralasciando quelle informazioni che non risultano di una qualche utilità. Innanzitutto sono assai rari i casi in cui si conosce il luogo di rinvenimento. Tre intagli in corniola con teste laureate (i primi due appartenenti al filone n. 11 gruppo B, il terzo al gruppo C), già considerati antichi, sono stati recuperati uno vicino ad una villa, a Aiguefer (Ouveillan, Linguadoca) 109, l’altro presso l’anfiteatro di Xanten 110, e il terzo – definito Giulio Cesare – a Londra nel Tamigi, nel 1853 111. Alcuni intagli in corniola e in lapislazzuli con figure, conservati a Budapest, al Museo Nazionale Ungarico, sono stati trovati a Nyitracsalád, oggi in Slovacchia, a Árpás, in Komitat Sopron, a Kispetri, in Komitat Kolos, in Romania (questo particolarmente interessante perché appartiene a un tesoro con diversi lavori d’argento del XVI-XVII secolo) e a Eszék (Osijek), in Croazia 112. Nella valle inferiore del Guadalquivir è stato rinvenuto un intaglio in lapislazzuli datato alla [RdA 34 fine del I secolo d.C. 113; altri nelle antiche città del Ponto Eusino 114. Ma si ignora la provenienza della stragrande maggioranza delle gemme confluite nelle collezioni. Le descrizioni molto sommarie dei 2436 esemplari della eterogenea collezione del Museo Archeo logico Nazionale di Madrid 115 non permettono di identificare con sicurezza le singole gemme. Comunque, una parte viene dagli scavi di Ercolano, di Pompei e della Spagna, un’altra da quella raccolta reale, che ha assorbito quasi tutti i pezzi stranieri, specie francesi, e ancora un’altra è frutto di numerosi acquisti da collezionisti di Spagna, Francia e Italia. Sempre a Madrid, al Prado, si custodisce quel l’insieme (il Tesoro del Delfino) che Filippo (16831746) – monarca di Spagna con il nome di Filippo V – ricevette come eredità di suo padre Luigi (16611712), Gran Delfino di Francia, unico figlio superstite di Luigi XIV ed erede della corona 116. Vari intagli di questa produzione, ora al museo G. M. Kam di Nimega, provengono dalla collezione (con molti esemplari di raccolte più antiche) riunita da P. Ch. G. Guyot, da lui donata alla città nel 1850, come da quella del mercante G. M. Kam iniziata intorno al 1900 e poi lasciata allo Stato 117. Altri intagli appartengono alla raccolta, formata a Nimega nella prima metà del XVII secolo, dal famoso antiquario Johannes Smetius e dal figlio, inclusa anche tra le gemme pubblicate dal Gronovius, venduta nel 1704 all’Elettore Palatino, Johann Wilhelm, e quindi ora a Monaco (Staatliche Münzsammlung) 118. La collezione glittica conservata a Monaco risulta una delle più cospicue: è costituita dai beni della Schatzkammer della residenza di Monaco, del- Gallia 1966. Platz-Horster 1987, p. 41, tav. 14, n. 73. L’intaglio, ascritto dalla Platz-Horster alla prima metà del I secolo d.C., è stato datato al XVI o al XVII secolo (Sena Chiesa 1990, p. 485) o al XVI - prima metà del XVII secolo (Zwierlein-Diehl 1990, p. 643). 111 Richter 1971, p. 97, n 461 = Henig 1978, p. 247, tav. XV, n. 481. Henig datava questo intaglio al I secolo a.C. o più tardi, ma in seguito non lo ha più ritenuto romano (Maaskant-Kleibrink 1986, p. 88, n. 174). 112 Gesztelyi 2000, pp. 87-88, nn. 297, 300, 305, 308. 113 Chaves Tristan, Casal García 1993, pp. 330-331, n. 75, fig. 3, n. 75. 114 Kibaltchitch 1910, passim. 115 Per la storia della collezione glittica del Museo Archeologico, Casal García 1990, pp. 55-60; Chaves Tristan, Casal García 1993, pp. 316-317. Cfr. anche De Gabinete 1993. 116 Per un’analisi delle raccolte e dei vari aspetti del collezionismo di Luigi XIV e di suo figlio Luigi, Gran Delfino di Francia, Arbeteta Mira 2001, pp. 19-33 (pp. 33-38 fonti documentarie). 117 Per un’analisi delle collezioni del Museo cfr. Maaskant-Kleibrink 1986, pp. ix-xiv; Guepin 1990, p. 168. 118 Maaskant-Kleibrink 1986, pp. ix-xii; Guepin 1990, p. 168; Weber 1992, pp. 15-16 e passim. 109 110 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA la famiglia bavarese dei Wittelsbach e dei principi elettori del Palatino. Per quanto riguarda la gran quantità di esemplari della produzione in esame (tra l’altro, come già notato 119 con numerosissimi e forti paralleli con i pezzi di Madrid), si è detto che una parte viene dalla collezione dell’Elettore Palatino Johann Wilhelm von der Pfalz-Neuburg (regnò 1690-1716) 120, che nella sua residenza a Düsseldorf, tra il 1696 e il 1716, aveva formato una delle più famose raccolte tedesche (più di 400 gemme), di epoca barocca. Probabilmente sua ispiratrice fu anche la seconda moglie, la figlia di Cosimo III Anna Maria Luisa de’ Medici, di cui è noto il gran interesse per le gemme, che dopo la morte del marito ritornò a Firenze con gemme e gioielli. Non sono note le fonti di acquisto di Johann Wilhelm. Sappiamo dei suoi buoni rapporti con il Langravio Karl di Hessen-Kassel; entrambi potevano comprare dagli stessi agenti artistici; ma finora non vi è alcun dato di archivio al proposito. Uno degli eredi di Johann Wilhelm, Karl Theodor, nel 1785 trasferì la sua residenza a Monaco e vi portò la raccolta glittica. Un altro blocco di Monaco, che conserva varie gemme della produzione in esame, viene dal principe abate del monastero di St. Emmeram a Regensburg, Coelestin Steiglehner 121, appassionato collezionista di monete e pietre incise. Si ignora la storia di questa raccolta, venduta al Münzkabinett nel 1812 – se era solo la collezione personale dell’abate o comprendeva anche una parte di più antiche raccolte del monastero, e le modalità di acquisto dei pezzi – che contiene 844 cammei e intagli antichi e non, e anche belle paste vitree di opere di artisti famosi come Giovanni Pichler (1734-1791) e Nathaniel Marchant (1739-1816). Conservato sempre a Monaco, ma di provenienza ignota, è un esemplare assai interessante per diversi aspetti. Si tratta di un lapislazzuli inciso su entrambi i lati: in uno un cammeo con il busto di Anna d’Austria (1601-1666), moglie del re di Francia Luigi XIII, nell’altro un intaglio con Apol- 81 lo e Dafne, inserito nel gruppo F del filone 1 (Tav. XXXIV g) 122. Secondo la Weber il cammeo si basa su una medaglia di Jean Varin, coniata intorno al 1645, il cui retro mostra Luigi XIV come bimbo, mentre l’intaglio è più antico del cammeo, probabilmente un lavoro francese del 1600 circa. Comunque sia, questo esemplare testimonia come il lapislazzuli venisse usato per un cammeo ufficiale a cui non si disdegnava di associare una tipica figurazione della produzione in esame, di cui fornisce un terminus ante quem. Tre collezioni costituiscono la base della raccolta glittica ai Musei di Berlino 123: quella della corte di Brandeburgo, quella del Margravio di Ansbach e la collezione Stosch. Va sottolineato che un terzo di tutti i lapislazzuli appartengono alla Kunstkammer della corte di Brandeburgo con circa 300 pietre, sostanzialmente radunata dai grandi principi elettori e da Federico I. Nell’inventario molto sommario del 1649 non è citata la raffigurazione ma solo il materiale delle 67 gemme, quasi tutti intagli (e tra questi anche lapislazzuli); nell’inventario del 1672 è documentata la succitata agata con Ercole e Cerbero; quindi è questo un utile terminus ante quem. Nel 1696 Lorenz Beger, conservatore e bibliotecario di corte di Heidelberg, pubblicò il suo Thesaurus Brandeburgicus Selectus: sive Gemmarum …: gran parte delle gemme ritenute da Beger antiche sono state più tardi riconosciute moderne. La collezione del Margravio di Ansbach, al Museo di Berlino dal 1758, presenta le caratteristiche dei gabinetti di gemme principeschi: è composta di 256 intagli e cammei, di cui vari moderni, ritenuti antichi a causa dei loro soggetti classici, e tra questi anche vari intagli in lapislazzuli. Il poliedrico barone Philipp von Stosch (16911757) 124, esperto ed insaziabile collezionista di gemme, prima a Roma, poi a Firenze, riunì una eccezionale raccolta di cammei e intagli antichi e non, paste vitree e calchi; Winckelmann ne stese il catalogo. Nel 1764 Federico II comprò gemme, impron- Casal García 1990, p. 73. Weber 1992, pp. 11-16 e passim; Weber 2001, pp. 13-14. Cfr. anche Seidmann 1993. 121 Weber 1992, p. 13; Seidmann 1996a; Weber 2001, pp. 16-17 e passim. 122 Weber 1992, pp. 22-23, 190-191, n. 243, tav. III. 123 Per la storia della collezione, cfr. Furtwängler 1896, pp. v-xi; Zwierlein-Diehl 1969, pp. 9-11; Gröschel 1979, pp. 52-57; Gröschel 1981, pp. 98-99; Zwierlein-Diehl 2007, pp. 271-272. 124 Da ultimo, Tassinari 2009a, pp. 175-177; Tassinari 2010, pp. 31-33. 119 120 82 GABRIELLA TASSINARI te e paste vitree: 3444 intagli di cui 887 pietre e paste riconosciute come moderne 125. La straordinaria raccolta di Stosch di 28000 impronte fu acquistata nel 1791 da James Tassie che le utilizzò per le sue riproduzioni. Quattro intagli della collezione Stosch, pubblicati da Winckelmann, sono in lapislazzuli 126. Pochi esemplari sono stati editi delle numerose gemme dei secoli XVI-XVIII della collezione di Kassel (Antikensammlung, Staatliche Museen) 127; si è già accennato come dei lapislazzuli ce ne siano più di un centinaio. Nonostante le incisioni mediocri e sommarie dell’edizione dell’opera di Abraham Gorlaeus, commentata dal Gronovius, in qualche caso è stato possibile riconoscere che i pezzi della collezione glittica di Gorlaeus sono ora a Kassel. La collezione glittica di Kassel, una delle più considerevoli in Germania – nel 1767 ammontava a circa 2500 intagli, per lo più, e cammei, antichi e moderni –, fu arricchita sia dal Langravio Karl di HessenKassel (1670-1730), che durante il viaggio in Italia nel 1701 comprò dal nobile veneziano Antonio Capello una collezione di gemme, molte non antiche, sia dal Langravio Federico II di Hessen (regnò dal 1760 al 1785) nel suo viaggio in Italia (1776-1777) e attraverso i suoi corrispondenti. Forniscono un utile terminus ante quem gli intagli in lapislazzuli appartenuti alla raccolta del commerciante e collezionista di Norimberga Paolo II. Praun (1548-1616). Secondo von Murr, autore della descrizione del Cabinet 128, Praun cominciò a collezionare all’età di 28 anni (nel 1576) in Germania e in Italia; già nel 1589 aveva in Norimberga una raccolta rilevante di pitture, statue, busti, bassorilievi, bronzi, monete, disegni, curiosità, e, appunto, pietre incise e non. Va sottolineato che questa collezione – una delle più importanti, non principesche, del XVI secolo – è stata costituita soprat- [RdA 34 tutto in Italia; in particolare la maggior parte delle gemme è stata acquistata a Bologna, dove Praun morì. Nella descrizione di von Murr sono elencate 1163 gemme (1083 intagli e 80 cammei); prevalentemente gemme romane, ma anche etrusche, italiche e del Rinascimento italiano. Solo 5 cammei e 8 intagli von Murr ritiene siano moderni, mentre sono definiti greci o romani lavori sicuramente del XVI secolo, con soggetti antichi. Dunque, tra le gemme considerate antiche vi sono quasi una trentina di intagli e due cammei in lapislazzuli. Tutti senza immagini, questi esemplari mostrano una gamma ampia e varia di raffigurazioni: Giove circondato dallo zodiaco, Minerva seduta con lancia o vittoria, Venere con Cupido, Cerere, Leda e il cigno, Iole con la clava di Ercole, sacrifici, figure di Vittorie, Cupidi, eroi, filosofi, astronomi, geni, teste di imperatori romani 129. Nel 1772 von Murr inviò 60 impronte a Philipp Daniel Lippert, che le inserì nel suo Supplemento del 1776; tra le paste vitree di Lippert ora a Würzburg (Martin-von-Wagner-Museum der Universität) che documentano 80 gemme della collezione Praun, tra cui 26 gemme del XVI secolo, vi è un intaglio in lapislazzuli (cfr. oltre). Comprata nel 1839 da Sibylle Mertens-Schaaffhausen (1797-1857), la raccolta Praun condivise la sorte della vendita e dispersione della collezione Mertens-Schaaffhausen. Molti intagli della produzione in esame, ora a Vienna, al Kunsthistorisches Museum, vengono o dalla collezione Estense (la maggior parte) o da quella costituita dall’Arciduca Ferdinando che morì nel 1595 130. Il marchese Tommaso, ultimo erede degli Obizzi (morto nel 1803), impiegò il suo ingente patrimonio per trasformare il castello-villa, “Il Catajo”, dimora della famiglia a Este, in un vero e proprio museo. Grazie ai viaggi e ad una rete Furtwängler 1896, pp. vi-vii, 323-340, nn. 9423-9725. Cfr. anche Zwierlein-Diehl 1969, p. 9. Winckelmann 1760, II, p. 61, n. 185 (= Furtwängler 1896, p. 325, tav. 63, n. 8903), II, p. 76, n. 286 (= Furtwängler 1896, p. 320, tav. 62, n. 8726), II, p. 92, n. 397 (= Furtwängler 1896, p. 320, n. 8728), IV, p. 450, n. 331 (= Furtwängler 1896, p. 326, n. 8938). 127 Sulla collezione glittica di Kassel, Zazoff 1965, pp. 1-6; Zazoff 1970, pp. 179-181; Höcker 1987-88, pp. 8-9. Ulteriore bibliografia in Tassinari 1994, pp. 50-51. 128 Murr 1797. Per un’analisi del collezionista, della raccolta e delle sue vicende, si rimanda, oltre che a Murr 1797, a Zwierlein-Diehl 1994; Zwierlein-Diehl 1994a; Zwierlein-Diehl 2007, p. 273. 129 Murr 1797, p. 274, n. 69, p. 276, n. 83, p. 280, n. 139, p. 281, nn. 146, 148, p. 282, n. 158, p. 283, n. 172, p. 291, n. 266, p. 293, n. 299, p. 295, nn. 338, 344, 349, p. 298, n. 377, p. 302, n. 458, p. 304, nn. 493-494, p. 310, n. 559, p. 314, nn. 620, 624, p. 315, nn. 636, 646, p. 316, nn. 655, 662, p. 318, n. 686, p. 326, n. 771, p. 327, n. 792, p. 329, nn. 837, 840, p. 339, n. 1018. 130 Sulle due collezioni, cfr. Zwierlein-Diehl 1991, pp. 25-26; Bernhard-Walcher 1991, pp. 28, 36-37. Per un esame del marchese Tommaso degli Obizzi e della sua eterogenea collezione, Fantelli, Fantelli 1982; Fantelli 1988; Favaretto 1989, p. 319. 125 126 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA di rapporti e corrispondenti estesi a tutta Italia e anche fuori, il marchese otteneva uno straordinario numero di ogni sorta di oggetti, sulla cui qualità venivano sollevati dubbi; ma la raccolta, quantitativamente, era divenuta una delle ‘meraviglie’. Quanto alle gemme si trattava soprattutto di lavori della glittica italiana del XV e XVI secolo. Alla morte del marchese, dopo una lunga e travagliata storia attraverso una serie di passaggi di eredità tra gli Estensi, le collezioni finirono a Vienna e in parte a Modena. Per ciò che riguarda i lapislazzuli conservati a Parigi, al Cabinet des médailles, si tratta della raccolta glittica prima nel Gabinetto del Re 131. Varie gemme vennero acquistate in Italia dai commissari del re Enrico IV, così come provenivano dall’Italia molte delle pietre incise della collezione lasciata nel 1660 dal Duca d’Orleans, zio di Luigi XIV. Ad arricchire la collezione contribuirono gli inviati nel Levante, i doni di stranieri e altre raccolte, ad esempio quella famosa di Nicolas-Claude Peiresc. Quanto agli esemplari della produzione al Museo del Louvre, i primi acquisti noti del re Luigi XIV datano al 1663, varie gemme sono entrate nella collezione del cardinale Mazzarino tra il 1653 e il 1661 o in quella del re Luigi XV tra il 1684 e il 1701 132. Conservata al Musée des Beaux-Arts di Rennes è la raccolta dell’eclettico collezionista ChristophePaul, marchese di Robien (1698-1756), uno degli ultimi grandi rappresentanti della politica, dell’erudizione e della letteratura provinciale francese 133. A Rennes, il suo celebre Gabinetto di antichità e storia naturale veniva segnalato per l’ampiezza e la varietà degli oggetti, tra cui più di 200 intagli e cammei. Quasi tutti gli intagli di questa produzione conservati al British Museum vengono dalla collezione del medico e botanico Sir Hans Sloane (16601753) 134. La sua raccolta, la maggior parte creata in circa quarant’anni, dal tardo 1680 al 1720, era una 83 straordinaria miscellanea di oggetti, tra cui disegni, strumenti scientifici, fossili, conchiglie, piante, insetti, uccelli, pesci. Sloane collezionava gemme (550 tra intagli e cammei) non per la loro qualità ma come esempi del mondo naturale e artificiale e per le informazioni che davano sulla storia del mondo. Nella grande varietà delle pietre, spesso molto belle, vi è appunto il lapislazzuli. I soggetti includono, oltre ai molti classici e biblici, anche le diverse specie di animali, a volte incisi in pietre e nei colori appropriati. Nel suo catalogo manoscritto Sloane annotava il soggetto, la pietra e se ‘antica’ o ‘moderna’. Dalton data circa 230 gemme di Sloane al XVI secolo o XVII secolo. Qualche altro intaglio della produzione conservato al British Museum appartiene alla collezione di Charles Townley acquistata nel 1814 135. Townley era interessato fondamentalmente al soggetto delle gemme e ne comprava in grandi quantità; pensava che tutte le sue gemme fossero antiche e una grande proporzione è ancora considerata tale. Un discorso a sé meritano i lapislazzuli inseriti nella parure Devonshire 136, ritenuta il capolavoro della gioielleria vittoriana, conservata ancor intatta a Chatsworth, parte di quella famosa collezione di gemme antiche e non, fondata da William, 2° duca di Devonshire (1673-1729). Granville Geor ge Leveson Gower, 2° conte Granville, nipote di William, 6° duca di Devonshire, fu invitato a condurre la missione britannica a Mosca all’incoronazione dello zar Alessandro II nel 1856. Secondo lo spirito romantico del tempo, C. F. Hancock, gioielliere di Londra incaricato di creare una parure per la contessa Granville, incorporando gemme e diamanti della collezione Devonshire, si ispirò al passato, così che la parure risulta stilisticamente eclettica, mescolanza di antico e moderno. Essa consiste di sette pezzi, con incastonati più di 300 diamanti e 88 gemme selezionate (dal II secolo a.C. al XVIII secolo d.C. circa). E se il punto focale dei vari ornamenti è una gemma di rilevante qualità, forma Sulla storia della collezione reale, Mariette 1750, vol. I, passim, vol. II, pp. i-xi; Babelon 1897, pp. 112-174; Avisseau-Broustet 1995, I, pp. 15-16. 132 Per la storia della collezione, Alcouffe 2001, pp. 11-31. 133 Cfr. Tassinari 1994, pp. 64-65, ove precedenti riferimenti bibliografici. 134 Su Sloane collezionista di gemme, cfr. Rudoe 1996, p. 198; Rudoe 2003, pp. 135-136 (bibliografia essenziale). 135 Sulla collezione di gemme Townley, cfr. Rudoe 1996, p. 198; Rudoe 2003, p. 138 (bibliografia essenziale). 136 Per un’analisi del significato storico della commissione, delle caratteristiche di questo gioiello e dei singoli pezzi, Scarisbrick 1979; Scarisbrick 1986 (con identificazione e datazione di tutte le 88 gemme); Scarisbrick 2003, pp. 68-70, 73; Barker 2003, pp. 320-326, n. 192. Per un esame della ditta Hancock cfr. Gere 2002 (per la parure, pp. 46-48, 50-51, 57-58). 131 84 GABRIELLA TASSINARI e colore, è significativo che due intagli in lapislazzuli, assegnati al Rinascimento, siano posti al centro: nella corona Ercole barbato (o Commodo) con la leontea, e nel pettorale un guerriero armato stante che tiene una clessidra e ha un leone accucciato ai suoi piedi. Ma altri lapislazzuli sono stati scelti per esser incastonati in questa parure, tutti ascritti al XVI secolo d.C.: due intagli nel diadema, una testa di Claudio e un’aquila su una colonna, fiancheggiata da due stelle e l’iscrizione IVLIVS CESAR; nel pettorale un cammeo con un busto di donna in foggia non antica. Alcuni dei pezzi qui esaminati, ora al Museo Statale dell’Ermitage, vengono dalla collezione d’Orléans 137, la cui formazione risale alla raccolta rinascimentale custodita nel castello di Heidelberg. Nel 1685 il già citato Lorenz Beger pubblicò il suo Thesaurus ex Thesauro Palatino Selectus: 111 gemme, una selezione delle più pregevoli, conservate nel castello di Heidelberg, la maggior parte realizzata nel Rinascimento. Dopo la distruzione del castello di Heidelberg, la dattilioteca passò all’ereditiera, la principessa palatina Charlotte-Elisabeth (Liselotte), moglie di Filippo d’Orléans, fratello di Luigi XIV, che la aumentò molto. In seguito alla morte della principessa nel 1722, la raccolta fu trasmessa ai duchi d’Orléans. Il duca Luigi III d’Orléans acquistò nel 1741 la celebre dattilioteca di Pierre Crozat, di cui Mariette preparò il catalogo: quasi 1400 pezzi, la maggior parte antichi ma anche del XVI e XVII secolo. Alcuni casi si pongono come testimonianza di cosa ‘circolava’ sul mercato antiquario, soprattutto nel XIX secolo. Ad esempio nel catalogo della collezione di gemme, con l’annotazione della data d’acquisto e del prezzo pagato, dell’erudito, collezionista e amatore d’arte e di antichità abate Carlo Antonio Pullini, due intagli in lapislazzuli, uno con la testa di Decio Traiano, l’altro con il busto d’una baccante, sono stati comprati rispettivamente nel 1791 e nel 1797 138. Negli anni centrali dell’800 sono state acquistate da Friedrich Wieseler, con lo scopo di formare una raccolta istruttiva, le pietre e le repliche vitree di Gottinga (Università, Archäologisches Institut) 139. Così, la cospicua raccolta glittica, ora al Fitzwilliam Museum di Cambridge, di Sir Henry Solomon Wellcome, filantropo sostenitore della ricerca medica e collezionista, consiste di acquisti particolarmente intensi dal 1913 fino alla sua morte, nel 1936 140. L’altra raccolta (400 gemme circa), nello stesso Museo, fu costituita dal Reverendo Samuel Savage Lewis (1836-1891), insegnante, antiquario, bibliotecario del Corpus Christi College, che acquistava antichità nel corso dei suoi viaggi in Italia, Grecia e Paesi orientali (ad esempio comprava a Napoli, Cherchel, Kerch, Costantinopoli e specialmente Smirne), dai suoi amici all’estero, alle aste di Londra e Parigi 141. Invece, in linea generale, non possiamo stabilire se la sua dattilioteca rifletta i percorsi dei viaggi di Alfonso Garovaglio (1820-1905), a cui è tradizionalmente attribuita la collezione – oltre cento esemplari, tra intagli e cammei, antichi e non, classici e orientali, scarabei e repliche vitree –, conservata nel Museo Civico Archeologico “Giovio” di Como 142. Archeologo, collezionista, Garovaglio intraprese diversi viaggi in Egitto, Siria, Palestina, Mesopotamia; perciò possiamo ipotizzare anche l’Oriente come suo mercato di rifornimento. Per quanto concerne le altre collezioni italiane, la maggior messe di notizie riguardano la dattilioteca dei Medici. Senza ripercorrere le vicende ampiamente note 143, ricordiamo che parecchi esemplari della produzione dei lapislazzuli non sono stati rintracciati nei vari inventari redatti nell’arco della storia della collezione. Ciò premesso, alcuni vengono menzionati nell’inventario, databile prima del 1736, di Sebastiano Bianchi, custode del medagliere e della dattilioteca granducale, e/o nell’inventario del 1786, a cura di Giuseppe Bencivenni Pelli, o nel manoscritto compilato nel 1838 da Michele Arcangiolo Migliarini, che rispecchia il riordino della Galleria, da lui curato. Un intaglio – le tre Grazie, Splendeurs 2000, pp. 14-26. Palma Venetucci 1994, pp. 33-34. 139 Gercke 1970, p. 65. 140 Su Wellcome, Nicholls 1983, pp. 7-8. 141 Henig 1975, pp. 1-3; Spier, Vassilika 1995. 142 Per una ricostruzione della raccolta del Garovaglio, Magni, Tassinari 2010. 143 Cfr. ad es. Gennaioli 2007, pp. 39-94. 137 138 [RdA 34 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA filone n. 9, gruppo D – è registrato tra le gemme di Cosimo III nell’inventario di Luigi Strozzi (1676). Qualche intaglio della produzione è stato pubblicato da Leonardo Agostini nella sua opera Le gemme antiche figurate, appartenente alla sua raccolta o a quella dell’Abate Pietro Andrea Andreini, entrambe passate nella dattilioteca medicea. Sono in genere scarsi i dati utili relativi alle gemme delle altre collezioni italiane. Purtroppo è impossibile specificare, su basi certe, quali intagli qui citati, conservati ai Civici Musei d’Arte di Verona, appartengono alla collezione del conte Jacopo Verità (1744-1827) 144. Infatti attualmente non si distinguono le gemme Verità – più di 1600 – confluite al Museo insieme ad altri, pur minori, lasciti. Quanto alle modalità di acquisizione delle gemme da parte del conte Verità, soprintendente al Museo Maffeiano, si può ricordare che nel 1791 si era recato a Roma, dove ritornò più volte, e vi è notizia di scavi da lui compiuti; altre gemme possono provenire dal mercato antiquario ‘locale’ (pensiamo solo a due centri come Venezia ed Aquileia). È molto probabile che parecchie gemme della collezione del Museo Civico Archeologico di Bologna siano state comperate a Roma e a Aquileia 145, così come è presumibilmente formata da acquisti sul mercato antiquario romano la settecentesca collezione glittica Riminaldi, donata al Museo di Ferrara e ivi conservata 146. Tutti i lapislazzuli del Museo Archeologico di Padova vengono dalla collezione di Antonio Piazza (1772-1844), notaio, avvocato e patriota; ma non conosciamo nulla circa la provenienza delle sue gemme 147. La maggior parte dei 225 pezzi conservati al Museo Archeologico di Bari è confluita in seguito ad acquisizioni effettuate negli anni tra il 1889 e il 1903 148. Così, la raccolta di gemme dei Civici Musei e Gallerie di Storia e Arte di Udine è costituita da lasciti e donazioni di collezionisti locali: un numero consistente proviene dalla raccolta di Luigi Torrelazzi, orefice e gioielliere ben noto di Udine che Da ultimo, Sena Chiesa 2009, pp. 1-6. Mandrioli Bizzarri 1987, p. 22. 146 D’Agostini 1984, p. 11. 147 Seidmann 1997, p. 123; Pellegrini 1997, pp. 124, 128-132. 148 Tamma 1991, p. 3. 149 Tomaselli 1993, pp. 19-20; Anceschi 2006, p. 115. 144 145 85 morì nel 1893, altri da quella dell’udinese conte Francesco di Toppo (1797-1883) 149. 10. I filoni della produzione 10.1. Le figure e le scene Filone n. 1 È il filone più numeroso e che presenta più spiccate quelle singolari caratteristiche stilistiche già illustrate e che qui si riassumono. Tipica è la resa del profilo del viso schematico o semplificato, a marcati e stilizzati tratti orizzontali, della strana pettinatura con i capelli a fiocchi o ritti in alto, dei muscoli dell’addome a solchi rotondi o con una specie di globuli, delle estremità indicate in modo sommario e del panneggio ad arco. All’interno di questo filone si distinguono diversi gruppi di intagli stilisticamente e/o iconograficamente omogenei, talvolta numerosi, talaltra costituiti da pochissimi esemplari. Gruppo A Gli intagli presentano, con lievi varianti, figure maschili nude, identificabili con un guerriero, con Marte, con Roma (può esservi anche una commistione delle due iconografie), sedute su un pezzo di roccia, un tronco d’albero o una corazza, da cui talvolta salgono una serie di segmenti-raggi, resi come lance o frecce; una mano è posata sul tronco o tiene una lancia, l’altra protesa un elmo (da cui a volte si dipartono tipici raggi riempitivi: per rendere il cimiero?), una Vittoria, un ramo, una freccia o un oggetto non definibile da cui spesso pendono due lunghi nastri (forse i lembi del mantello); talvolta dal terreno spuntano delle piante e dei ciuffi d’erba; in un caso vi è una colonnina e una stella, in un altro un’ara accesa. In questo gruppo sono marcate le peculiarità stilistiche della produzione. GABRIELLA TASSINARI 86 Predominano il lapislazzuli e la corniola, seguite dall’agata zonata; in un caso vi è il diaspro verde. [RdA 34 gia con il gomito ad un pilastrino. Alcuni esemplari sono pressoché identici tra loro. Attestazioni Attestazioni Bari, Museo Archeologico 150 Bologna, Museo Civico Archeologico 151 Verona, Civici Musei d’Arte 152 (Tav. XXXI a; Tav. LIII a) Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung 153 Braunschweig, Herzog Anton Ulrich Museum 154 Cambridge, Fitzwilliam Museum 155 (Tav. XXXI b) Gottinga, Università, Archäologisches Institut 156 Kassel, Antikensammlung, Staatliche Museen 157 Londra, British Museum, collezione Sloane 158 Madrid, Museo Archeologico Nazionale 159 (Tav. XXXI c) Madrid, Museo Nazionale del Prado, Tesoro del Delfino 160 Monaco, Staatliche Münzsammlung 161 Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 162 San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage 163 Ubicazione ignota, già collezione Macgowan (Tav. XXXI d) 164 Ubicazione ignota 165 Vienna, Kunsthistorisches Museum 166 Aquileia, Museo Nazionale 167 Firenze, Museo degli Argenti 168 Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung 169 Budapest, Museo Nazionale Ungarico 170 Leida, Royal Coin Cabinet 171 Monaco, Staatliche Münzsammlung 172 Ubicazione ignota 173 (Tav. XXXI e) In pochi intagli la figura è stante, con il busto di prospetto, le gambe e il viso di profilo, si appog- Gruppo B Un gruppo assai diffuso è costituito da intagli tra di loro del tutto simili per iconografia e stile: eroti stanti o incedenti con arco imbracciato nell’atto di scoccare la freccia, con le solite caratteristiche più o meno accentuate, come la tipica pettinatura a segmenti ritti, il profilo del viso espresso mediante tre-quattro tratti, le linee sinuose ad indicare la clamide svolazzante. Unica variante di rilievo: in alcuni intagli l’erote sta su un basamento con sporgenze modanate o su un globo. Le pietre, oltre al lapislazzuli e alla corniola, sono l’agata, il diaspro, l’ametista e l’eliotropio. Tamma 1991, p. 94, n. 172 (età moderna). Mandrioli Bizzarri 1987, pp. 146-148, nn. 284-286 (III-IV secolo o XVII-XVIII secolo?). 152 Tassinari 2009, p. 155, tav. XLIII, n. 661 (XVI-XVII secolo). 153 Furtwängler 1896, p. 321, tav. 62, n. 8785 (già ritenuto antico, poi ricollegato a questa produzione). 154 Seiler 2008, p. 195, fig. 158, prima fila, primo da sinistra (non datato). 155 Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, pp. 324-325, n. 679 (XVI secolo). 156 Gercke 1970, p. 128, tav. 59, n. 363 (II secolo d.C.). 157 Zazoff 1983, p. 394, nota 40, tav. 130, n. 7 (XVII-XVIII secolo). 158 Walters 1926, p. 217, tav. XXVI, n. 2077 (tra le gemme greco-romane); inediti, inv. SL.A 155, inv. SL.A 196: visione autoptica (XVI-XVII secolo). 159 Casal García 1990, I, pp. 206-208, II, pp. 114-115, 118-119, nn. 144-148, 164, 166-168 (età moderna). 160 Iñiguez 1989, p. 65, n. 17 (non datato). 161 AGDS I, 3, p. 69, tav. 232, n. 2529 (III-IV secolo d.C.), p. 103, tav. 262, n. 2783 (II secolo d.C.); Weber 2001, pp. 182, 206, nn. 371-372, 444 (seconda metà del XVII secolo). 162 Maaskant-Kleibrink 1986, p. 89, n. 180 (= ibidem, p. xii, fig. 6 = Gronovius 1695, p. 53, n. 606) (XVI-XVII secolo). 163 Inv. I. 11344; inedito, cit. in Weber 2001, p. 182, n. 371. 164 Raspe 1791, p. 679, n. 12655 (XVI-XVII secolo). 165 Gronovius 1695, pp. 29-30, nn. 272-273, pp. 52-53, n. 602 (XVI-XVII secolo). 166 Zwierlein-Diehl 1991, p. 281, tav. 204, n. 2649 (XVI - metà del XVII secolo). 167 Sena Chiesa 1966, p. 323, tav. XLVII, n. 928a (III o IV secolo d.C.). 168 Gennaioli 2007, p. 386, n. 546 (XVII secolo). 169 Furtwängler 1896, p. 321, tav. 62, n. 8769, p. 322, n. 8770 (senza illustrazione = Zwierlein-Diehl 1969, p. 186, tav. 89, n. 515) (già considerati antichi, poi ricondotti alla produzione dei lapislazzuli). 170 Gesztelyi 2000, pp. 87, 168, n. 297 (XVI-XVII secolo). 171 Maaskant-Kleibrink 1997, p. 238, fig. 9 (XVI-XVII secolo). 172 Weber 2001, p. 224, n. 518 (circa 1700). 173 Gronovius 1695, pp. 53-54, n. 615 (XVI-XVII secolo). 150 151 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA 87 Gruppo C Attestazioni Aquileia, Museo Nazionale Bologna, Museo Civico Archeologico 175 (Tav. XXXI f ) Firenze, Museo degli Argenti 176 Napoli, Museo Archeologico 177 Ravenna, Museo Nazionale 178 Torino, Museo Civico d’Arte Antica 179 Bucarest, Gabinetto Numismatico dell’Accademia Rumena 180 Gottinga, Università, Archäologisches Institut 181 Kassel, Antikensammlung, Staatliche Museen 182 Londra, British Museum, collezione Sloane 183 Madrid, Museo Archeologico Nazionale 184 Monaco, Staatliche Münzsammlung 185 Ubicazione ignota, già collezione dell’Elettore palatino a Heidelberg 186 Ubicazione ignota, già collezione Vimercati Sozzi, Bergamo 187 (Tav. XXXI g) Ubicazione ignota 188 Valencia, Museo dell’Università 189 Vienna, Kunsthistorisches Museum 190 174 Si inseriscono in questo gruppo dal punto di vista stilistico ma non sono Eroti e hanno il panneggio ad arco i seguenti intagli in onice e in corniola: Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 191 Rientra nel filone 1 un insieme piuttosto omogeneo dal punto di vista iconografico, un po’ meno stilistico: una serie abbastanza nutrita di intagli che raffigurano un Erote nudo, ad ali spiegate, stante o incedente, di prospetto, con il viso di profilo; di solito mette una mano sull’arco poggiato a terra, mentre con l’altra tiene una freccia o un ramo. Gli intagli sono quasi sempre in lapislazzuli e in corniola, di rado in agata zonata. Attestazioni Bologna, Museo Civico Archeologico 192 Udine, Civici Musei 193 (Tav. XXXI h) Verona, Civici Musei d’Arte 194 (Tav. XXXI i; Tav. XXXII a, b; Tav. LIII b) Budapest, Museo Nazionale Ungarico 195 Cluj, Museo Archeologico 196 L’Aja, Royal Coin Cabinet 197 Londra, British Museum, collezione Sloane 198 Londra, Freud-Museum, collezione Freud 199 Madrid, Museo Archeologico Nazionale 200 Monaco, Staatliche Münzsammlung 201 Mosca, Museo Puskin 202 Sena Chiesa 1966, p. 320, tav. XLVI, n. 912 (età antica). Mandrioli Bizzarri 1987, p. 90, n. 143 (III-IV secolo d.C.). 176 Gennaioli 2007, p. 361, n. 486, p. 386, n. 547, p. 410, n. 621 (III-IV secolo d.C.? XVII secolo; prima metà del XVIII secolo?). 177 Giove, Villone 2006, p. 143, n. 164 (senza immagine); visione autoptica (XVI-XVII secolo). 178 Maioli 1971, pp. 41-42, nn. 39-40, tav. III, 24 (III-IV secolo d.C.?). 179 Bollati, Messina 2009, pp. 195-196, n. 142 (XVII-XVIII secolo). 180 Gramatopol 1974, p. 53, tav. IX, n. 179 (età antica). 181 Daktyliotheken 2006, p. 201, fig. 3, n. 34 (non datato). 182 Zazoff 1983, p. 394, nota 40, tav. 130, nn. 4-5 (XVII-XVIII secolo). 183 Inv. SL.A 178, inv. SL.A 199, inv. SL.A 203; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo). 184 Casal García 1990, I, pp. 203-204, II, pp. 107-108, nn. 109-118 (età moderna). 185 Weber 2001, pp. 175-176, nn. 348, 350 (prima metà del XVII secolo). 186 Begerus 1685, pp. 24-25, tav. XVI (non datato). 187 Tassinari c.s.a, n. 395 (XVI-XVII secolo). 188 Gronovius 1695, p. 50, nn. 568-569, p. 51, n. 583, p. 53, n. 614 (XVI-XVII secolo). 189 Alfaro Giner 1996, pp. 106-108, tav. XI, n. 46 (XIX secolo). 190 Zwierlein-Diehl 1991, p. 283, tav. 205, n. 2661, n. 2662 (n. 2662 = Zwierlein-Diehl 1993, pp. 391-393, fig. 30) (XVI - metà del XVII secolo). 191 Maaskant-Kleibrink 1986, pp. 90-91, nn. 184-185 (XVI-XVII secolo). 192 Mandrioli Bizzarri 1987, p. 145, n. 280 (III-IV secolo o XVII-XVIII secolo?). 193 Tomaselli 1993, p. 155, tav. XXI, n. 396 (II secolo d.C.?). 194 Tassinari 2009, p. 155, tav. XLIII, n. 663 (= Sena Chiesa 1996, p. 485, tav. IV, n. 9), n. 664, n. 665 (XVI-XVII secolo). 195 Gesztelyi 2000, pp. 86, 167, n. 294 (XVI-XVII secolo). 196 Teposu David 1960, p. 528, n. 13, fig. 1, n. 25 (II-III secolo d.C.). 197 Maaskant-Kleibrink 1978, p. 363, tav. 176, n. 1148 (non datato). 198 Inv. SL.A 186, inv. SL.A 197; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo). 199 Weiss 2011, pp. 80-81, fig. 11, p. 112, n. 41 (XVI - metà del XVII secolo). 200 Casal García 1990, I, pp. 204-205, II, pp. 109-111, nn. 119, 126-132 (età moderna). 201 AGDS I, 3, p. 72, tav. 235, n. 2555 (IV secolo d.C.); Weber 2001, p. 176, nn. 351-352, p. 180, n. 364 (prima metà del XVII secolo). 202 Finogenowa 1993, p. 88, n. 60 (II secolo d.C.). 174 175 GABRIELLA TASSINARI 88 Neris-Les-Bains, Museo Rieckotter 203 Ubicazione ignota, già collezione de Wilde 204 Vienna, Kunsthistorisches Museum 205 Gruppo D All’interno dell’insieme in esame si distingue un gruppo di intagli con Vulcano (o un fabbro) al lavoro, di grande interesse perché dimostra come nel repertorio glittico la ricezione e l’interpretazione di un’opera di Valerio Belli o di Giovanni Bernardi (la mancanza di firma rende impossibile dirimere la questione della paternità) ha determinato la creazione di questa iconografia 206. Vulcano, seduto di profilo, alza il braccio col martello in atto di colpire, mentre con l’altra mano abbassata tiene in genere un elmo (talvolta non è chiaro il tipo di oggetto fabbricato) poggiato su un alto podio cilindrico che spesso funge da incudine. Vulcano è nudo, ma dalla spalla gli pende la clamide svolazzante che forma un’ampia curva (una velificatio più o meno pronunciata), ricade dietro il braccio e con un lembo sul femore. A questo schema comune vengono apportate le variazioni (alterazioni, addizioni o innovazioni) che fanno la specificità di un intaglio; ad esempio la scena può esser arricchita dall’aggiunta di un’altra figura stante, maschile o femminile o un erote. Gli intagli si assomigliano così tanto che appare giustificato pensare ad una sola officina. Le pietre sono: lapislazzuli, corniola, agata zonata. Attestazioni Cambridge, Fitzwilliam Museum 207 (Tav. XXXII c) [RdA 34 Madrid, Museo Archeologico Nazionale 208 (Tav. XXXII d, e) Madrid, Museo Nazionale del Prado, Tesoro del Delfino 209 Monaco, Staatliche Münzsammlung 210 Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 211 (Tav. XXXII f ) Ubicazione ignota, già collezione de Wilde 212 Solo in tre intagli Vulcano è stante: Firenze, Biblioteca Marucelliana 213 Braunschweig, Herzog Anton Ulrich Museum 214 Monaco, Staatliche Münzsammlung 215 Gruppo E Un altro piccolo gruppo prova l’influenza determinante dell’opera di Valerio Belli, ma nel processo di popolarizzazione e di volgarizzazione (e anche innovazione), la riecheggia tanto da lontano da non consentire di individuare il modello preciso. Si tratta di figure femminili stanti, con il viso di profilo e spesso il corpo di prospetto, che tengono nella mano protesa un ramo di palma, di rado una freccia; o di Eroti, in un caso posto su un basamento, che reggono una freccia, un cuore, un globo o un elemento vegetale o che si appoggiano alla freccia come bastone; oppure sono figure incedenti, verso un’ara, sacrificanti, o verso una fiaccola, Vittorie con il ramo di palma o con un erote (?). La derivazione e/o l’allusione al modello del Belli si coglie nel panneggio fluttuante o che forma un’ampia velificatio e ricade dietro il braccio, nonché nell’incedere delle figure. Le pietre sono lapislazzuli, corniole, agate zonate, un eliotropio, un’ametista. Guiraud 1996, p. 86, fig. 57 (XVII-XVIII secolo) (già datato al III secolo d.C.: Guiraud 1988, p. 127, tav. XXIV, n. 365). De Wilde 1703, pp. 50, 52-53, tav. 16, n. 58 (XVI-XVII secolo). 205 Zwierlein-Diehl 1991, p. 249, tav. 179, n. 2540/33, pp. 283-284, tavv. 205-206, nn. 2663, 2664, 2673 (= Zwierlein-Diehl 1993, pp. 391-393, fig. 29), nn. 2674-2675 (XVI - metà del XVII secolo). 206 Per un’analisi delle gemme di questo gruppo, con discussione riguardo alle singole composizioni, Tassinari 1996. 207 Nicholls 1983, pp. 44-45, nn. 205-206 (XVI-XVIII secolo); Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, p. 324, n. 678 (XVI-XVII secolo). 208 Casal García 1990, I, p. 206, II, pp. 115-116, nn. 149-152 (età moderna). 209 Iñiguez 1989, pp. 65, 68, n. 109 = Arbeteta Mira 2001, p. 347, senza immagine (non datato). 210 Weber 2001, p. 191, n. 405 (XVII secolo). 211 Maaskant-Kleibrink 1986, p. 92, n. 189 (XVI-XVII secolo). 212 De Wilde 1703, pp. 121-122, tav. 35, n. 131 (XVI-XVII secolo). 213 Gori ectypa, tav. VI, ultima fila in basso, seconda da destra (impronta di ceralacca inedita; visione autoptica) (XVI-XVII secolo). 214 Seiler 2008, p. 195, fig. 158, settima fila, quinto da sinistra (non datato). 215 Weber 2001, p. 182, n. 370 (secondo terzo del XVII secolo). 203 204 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA Attestazioni Padova, Museo Archeologico Udine, Civici Musei 217 (Tav. XXXII g) Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung 218 Budapest, Museo Nazionale Ungarico 219 Madrid, Museo Archeologico Nazionale 220 Monaco, Staatliche Münzsammlung 221 Münster, collezione privata 222 San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage 223 Vienna, Kunsthistorisches Museum 224 Ubicazione ignota, già collezione Dehn-Dolce 225 Ubicazione ignota, già collezione de Wilde 226 (Tav. XXXII h) Ubicazione ignota, da Panticapeo (Kertsch) 227 Ubicazione ignota 228 Ubicazione ignota 229 216 Gruppo F Si colloca in questo filone un gruppo particolarmente interessante, già individuato dal Kris. Lo studioso ne tratta nell’ambito di un’attività artigiana di scarsa qualità, da lui datata al XVI-XVII secolo 230: scene mitologiche e religiose, immagini monotone e popolari, incise in modo spesso rozzo: flüchtig, aggettivo che si è visto ricorrente per denotare gli intagli della produzione dei lapislazzuli. Kris ricollega l’insieme all’Italia settentrionale, in base alla comune parentela stilistica con i lavori degli incisori di cristallo milanesi del più tardo ‘500, specialmente con le opere della cerchia dei Saracchi. A mio avviso che sia corretto l’inserimento di 89 questi intagli nella produzione dei lapislazzuli e in uno stesso gruppo nel filone 1 è dimostrato dal preciso riscontro di alcuni elementi iconografici e stilistici con i gruppi precedenti. Tra l’altro, ricordiamo che Furtwängler a proposito di un intaglio di Monaco, inserito in questo gruppo, lo riteneva una caratteristica testimonianza di un genere molto numeroso di lavori rozzi ( flüchtig, aggettivo sempre ripetuto) del XVI e XVII secolo che privilegiano soprattutto il lapislazzuli, ma impiegano anche agate zonate e pietre verdi 231. E citava gli intagli nn. 9019-9123 del suo catalogo di Berlino, che in quel testo collegava ai nn. 8733 e seguenti, appunto della produzione dei lapislazzuli 232. Kris, pubblicando un intaglio in agata con un amore inginocchiato davanti ad un’ara sopra cui egli pone una pianta germogliante da un cuore, del Kunsthistorisches Museum di Vienna 233 (Tav. XXXII i), segnalava che a Firenze si trovava una replica, assieme ad altre numerose pietre della stessa feconda officina. In effetti colpisce come lo stesso schema iconografico venga ripetuto in alcuni esemplari, con le varianti apportate che connotano la specificità del pezzo. Si può pensare a schemi formali stereotipi liberamente composti e variati. Ad esempio questo stesso amore inginocchiato davanti all’ara ritorna su quattro intagli, sempre in agata: il citato pezzo viennese, uno a Firenze, al Museo degli Argenti (Tav. XXXIII a) 234, un altro Seidmann 1997, p. 152, n. 300 (XVI - prima metà del XVII secolo). Tomaselli 1993, p. 82, tav. VII, n. 129 (fine II-III secolo d.C.), p. 156, tav. XXI, n. 399 (III-IV secolo d.C. o età moderna). Dubita dell’antichità dell’intaglio n. 129 anche la Guiraud: Guiraud 1999, p. 706. 218 Furtwängler 1896, p. 321, tav. 62, n. 8760 (già considerato antico, di epoca tarda, poi ricondotto alla produzione dei lapislazzuli). 219 Gesztelyi 2000, pp. 86, 167, n. 293 (XVI-XVII secolo). 220 Casal García 1990, I, pp. 203-206, II, pp. 106, 109, 112-113, nn. 104, 120, 137-141, 143 (età moderna). 221 AGDS I, 3, p. 82, tav. 245, n. 2639 (III secolo d.C.); Weber 2001, p. 175, n. 346, p. 181, nn. 368-369, p. 189, n. 401 (primo quarto - metà del XVII secolo). 222 Stupperich 1988, p. 294, n. 2, tav. 24, n. 5 (II-III secolo d.C.). 223 Kagan 1996, p. 79, fig. 64, p. 190, n. 106 (XVII secolo). 224 Zwierlein-Diehl 1991, p. 282, tav. 205, n. 2658 (XVI - metà del XVII secolo). 225 Dehn, Dolce 1772, tomo I, p. 90, n. 9; cassetta I (9), zolfo n. 9 (non datato). 226 De Wilde 1703, p. 101, tav. 28, n. 108 (XVI-XVII secolo). 227 Kibaltchitch 1910, p. 37, tav. III, n. 84 (non datato). 228 Gronovius 1695, p. 49, n. 545 (XVI-XVII secolo). 229 Camées-Scarabées 1926, p. 19, tav. VII, n. 258 (età moderna). 230 Kris 1929, I, p. 91. 231 Furtwängler 1900, vol. II, p. 308. 232 Gli intagli nn. 9019-9123 sono stati qui citati nella nota 66, perché pubblicati senza immagine e senza indicazione di soggetto. 233 Kris 1929, I, pp. 91, 177, II, tav. 99, n. 421. 234 Gennaioli 2007, p. 376, n. 516. 216 217 90 GABRIELLA TASSINARI a Monaco (Tav. XXXIII b) 235, a cui credo si può aggiungere un intaglio in sardonice, inserito in un coperchio di una coppa, al Louvre 236, e un intaglio al Museo Statale dell’Ermitage 237. Le varianti sono costituite da un amorino con un altro ramo che vola in alto nell’intaglio di Vienna e da una stella in mezzo alle nuvole nell’intaglio di Monaco. Lo stesso particolare della stella circondata dalle nuvole compare su altri intagli del gruppo. Una variante più accentuata è rappresentata da un altro intaglio, sempre in agata, a Firenze, al Museo degli Argenti 238, dove lo stesso Amore inginocchiato accosta una fiaccola ad un triangolo posto sopra un basamento; in alto il sole in mezzo alle nuvole, sul suolo ciuffi d’erba (Tav. XXXIII c). Uguale è la composizione – cambiano solo alcuni particolari, ad esempio il cielo e la terra – su un intaglio in agata al Museo Civico d’Arte Antica di Torino 239. Vito Messina sottolinea 240 che la scena deve avere una natura allegorica; alcuni dei simboli che la compongono trovano diverse spiegazioni nell’ambito del simbolismo massonico, ermetico-alchemico e esoterico. Ma osservando che questi elementi non compaiono nello stesso contesto, lo studioso ritiene opportuno far riferimento all’araldica, al repertorio delle cosiddette ‘imprese’, nonché alle marche tipografiche, ampiamente diffuse nel ‘500. Lo studioso conclude che questa scena potrebbe simboleggiare l’amore domato (inginocchiato ha deposto le armi), che arde di fiamma divina e grazia (il sole androposopo). Analogamente l’Apollo e Marsia raffigurati su una corniola a Firenze (Tav. XXXIII d) 241, un diaspro a Madrid (Tav. XXXIII e) 242 e un diaspro a Mona- Weber 2001, p. 192, n. 407. Alcouffe 2001, pp. 421-422, n. 203 (senza immagine). 237 Inv. I 5577, inedito, cit. in Weber 2001, p. 192, n. 407. 238 Gennaioli 2007, p. 376, n. 517. 239 Bollati, Messina 2009, pp. 216-217, n. 185, p. 225. 240 Bollati, Messina 2009, pp. 216-217, n. 185. 241 Gennaioli 2007, p. 389, n. 557. 242 Casal García 1990, I, p. 202, II, p. 104, n. 99. 243 Weber 2001, p. 193, n. 410. 244 Gesztelyi 2000, p. 86, n. 295. 245 Casal García 1990, II, n. 100. 246 Kibaltchitch 1910, p. 51, tav. IX, n. 290. 247 Casal García 1990, I, p. 202, II, p. 105, n. 102. 248 Alcouffe 2001, pp. 412-413, n. 196. 249 Casal García 1990, I, p. 202, II, p. 105, n. 101. 250 Gennaioli 2007, p. 385, n. 543. 251 Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, p. 325, n. 680. 252 Collection Signol 1997, p. 59, n. 161. 235 236 [RdA 34 co (Tav. XXXIII f ) 243 sono pressoché uguali; solo la pettinatura delle figure di Monaco è più regolare, più ‘classica’. Così del tutto simili, con qualche leggera variante, sono tre intagli, in corniola a Budapest 244 (Tav. XXXIII g), in lapislazzuli a Madrid 245 (Tav. XXXIII h) e in agata trovato in Crimea, ora disperso 246 (Tav. XXXIII i): sopra un podio Amore o Marte (?) stante posa una corona sopra la testa di un giovane stante, che tiene in una mano un ramo o una freccia, nell’altra una lancia; tra di essi a volte un’ara. Un intaglio in lapislazzuli di Madrid (Tav. XXXIV a) 247 – un amore vola portando una corona verso un personaggio adagiato su una roccia (?) tra elementi vegetali – si può ritenere la versione stilisticamente immiserita della stessa scena su un’agata al Louvre 248, dove l’amore scocca una freccia verso la figura femminile distesa. Anche un altro intaglio in lapislazzuli spagnolo (Tav. XXXIV b) 249 potrebbe considerarsi la versione di qualità inferiore di un’agata a Firenze (Tav. XXXIV c) 250, dove Venere nuda stante abbraccia Amore in piedi su un’ara, tra i consueti elementi vegetali e atmosferici. Trait d’union tra l’iconografia del gruppo A e alcuni intagli di questo gruppo si può ritenere un’agata zonata di Cambridge (Tav. XXXIV d) 251 con un guerriero seduto su un trofeo, che tiene nella mano un elmo: stilema identico appunto al gruppo A; ma i particolari, come la stella tra le nuvole e i ciuffi d’erba, sono gli stessi del gruppo in esame e la corazza è uguale a quella su un intaglio di Tours (dove compaiono anche la stella e i ciuffi d’erba) 252 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA di questo gruppo con un giovane guerriero stante in tutto analogo ai guerrieri stanti del gruppo A (Tav. XXXIV e). Quasi uguali sono la citata agata zonata di Cambridge e un’agata a Firenze (Tav. XXXIV f ) 253, così come due intagli di Madrid 254 e uno di Monaco 255. Tutti questi indizi vanno interpretati come dati cronologici o vanno riferiti ad un discorso di officine? Le dimensioni degli intagli del gruppo in esame sono sempre maggiori di quelle degli esemplari degli altri gruppi: da un minimo di 2,2 × 1,9 cm si giunge anche ai 4,6 × 3,6 cm. Sono spiccate quelle singolarità stilistiche tipiche della produzione. Le scene sono più complesse, piuttosto variate, ma con alcuni elementi che si ripetono; si nota una prevalenza di composizioni legate all’ambito amoroso. Si tratta di Apollo e Marsia; Apollo tende la mano verso Dafne che si sta trasformando in albero; Venere abbraccia Marte seduto su una corazza o Amore in piedi su un’ara; Venere accompagnata da due Amori; due figure maschili, spesso interpretate come Eros e Anteros, colgono e tengono in mano alberelli e rami o si affrontano; Amore accanto a Vulcano seduto in atto di martellare; Amore inginocchiato accosta una fiaccola ad un triangolo o pone sopra un’ara una pianta che germoglia da un cuore, a volte in alto vola un altro Amore con un altro ramo; un Amore porta una corona o scocca una freccia verso una figura distesa; un Amore è piegato in avanti o verso un’ara a incoronare con una ghirlanda un cuore, a bruciare una frec- 91 cia (?) o stante tiene un cuore o un ramo o suona; sopra un podio un Amore o Marte (?) stante posa una corona sopra la testa di un giovane stante, che tiene in una mano un ramo o una freccia, nell’altra una lancia; il trionfo d’Amore che aggioga ad un carro una coppia; una figura seduta su un tronco d’albero, tiene nella mano cinque serpenti davanti a un’ara accesa, nel campo due scorpioni e dei segni, di sopra corre sulle nuvole un uomo con il dito alzato; due figure di guerrieri in relazione tra loro; un guerriero seduto o stante, appoggiato con il gomito ad un pilastrino, tiene nella mano protesa un elmo o un ramo. Spesso arricchiscono la scena piante di varie dimensioni e ciuffi d’erba; nel cielo, tra le nuvole, una stella, di rado il sole. Prevalgono nettamente le agate, spesso zonate; vari sono i lapislazzuli, poche le altre pietre: corniole, sardonici, sarde, diaspri, eliotropi, plasmi. Attestazioni Firenze, Museo degli Argenti 256 (Tav. XXXIII a, c, d; Tav. XXXIV c, f ) Torino, Museo Civico d’Arte Antica 257 Braunschweig, Herzog Anton Ulrich Museum 258 Budapest, Museo Nazionale Ungarico 259 (Tav. XXXIII g) Cambridge, Fitzwilliam Museum 260 (Tav. XXXIV d) Londra, British Museum, collezione Sloane 261 Madrid, Museo Archeologico Nazionale 262 (Tav. XXXIII e, h; Tav. XXXIV a, b) Monaco, Staatliche Münzsammlung 263 (Tav. XXXIII b, f; Tav. XXXIV g-i) Parigi, Musée del Louvre 264 Rennes, Musée des Beaux-Arts 265 Gennaioli 2007, p. 375, n. 514. Casal García 1990, I, p. 204, II, p. 109, nn. 121-122. 255 Weber 2001, p. 177, n. 354. 256 Gennaioli 2007, p. 375, nn. 513-514, p. 376, nn. 516-517, p. 385, n. 543, p. 389, n. 557 (prima metà del XVII secolo; XVII secolo). 257 Bollati, Messina 2009, pp. 216-217, n. 185, p. 225 (fine XVI secolo). 258 Seiler 2008, p. 195, fig. 158, ultima fila, secondo e terzo da sinistra, p. 196, fig. 160, prima fila, primo da destra, seconda fila tutti e tre, ultima fila, in centro (non datati). 259 Gesztelyi 2000, p. 86, n. 295 (XVI-XVII secolo). 260 Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, p. 325, n. 680 (circa 1600). 261 Dalton 1915, p. 92, n. 648 (senza figura; XVII secolo) = Rudoe 2003, p. 135, fig. 117, al centro. Si veda anche Dalton 1915, p. 92, n. 649 (senza figura; XVII secolo); inv. SL.A 24 e inv. 1966, 1208.2 (inediti; visione autoptica) (XVI-XVII secolo). 262 Casal García 1990, I, pp. 202-204, 206, II, pp. 104-106, 109-110, 115, nn. 99-103, 121-125, 148 (età moderna). 263 Weber 1992, pp. 190-191, n. 243, tav. III; Weber 2001, pp. 160-161, n. 306 (= Furtwängler 1900, p. 308, tav. LXVII, n. 21), p. 161, n. 307, pp. 176-178, nn. 353-355, p. 192, n. 407 (dal tardo XVI alla prima metà del XVII secolo). 264 Alcouffe 2001, pp. 412-413, n. 196, pp. 421-422, n. 203, primo a destra in basso e senza immagine (in due coppe databili verso il 1650-1660). 265 Robien 1972, pp. 25-26, n. 25 (III-IV secolo d.C.). 253 254 GABRIELLA TASSINARI 92 San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage 266 Tours, Musée des Beaux-Arts 267 (Tav. XXXIV e) Ubicazione ignota, trovati in Crimea 268 (Tav. XXXIII i; Tav. XXXV a) Ubicazione ignota 269 Vienna, Kunsthistorisches Museum 270 (Tav. XXXII i; Tav. XXXV b) Filone n. 2 Un altro filone numeroso è costituito dagli intagli con figure stanti maschili, meno di frequente femminili, col capo di profilo, di rado volto di tre quarti, il corpo di prospetto, per lo più nudo, a volte col solito panneggio svolazzante e con scollatura a V sul davanti, l’anca spostata in fuori, le gambe unite o leggermente divaricate, spesso si appoggiano alla lancia o a un’asta con la destra, tengono un arco e/o posano la sinistra sullo scudo; possono aver in mano diversi attributi, tra cui la lancia e appunto l’arco, uno scettro, un timone, un ramo, una cornucopia, una spiga stilizzata, una freccia, una fiaccola, una cetra, il caduceo, una specie di trofeo (?); in qualche caso si appoggiano ad un pilastrino, posano su un piedistallo oppure tengono sul capo una patera con le offerte. Alcuni intagli presentano più marcate le caratteristiche della produzione (ad esempio il panneggio e il viso resi in modo schematico e tagliente, il corpo fortemente inarcato), altri meno, tanto che, di primo acchito, sembrerebbe azzardato attribuirli all’officina dei lapislazzuli; altri ancora hanno una forma quasi disgregata. [RdA 34 Inoltre gli intagli con le figure più ‘organiche’, più allungate, dal modellato più morbido e non accentuato sono molto simili e quasi assimilabili ai pezzi classificati nel filone 3. Qualche esemplare, infine, è analogo agli amori del gruppo C del filone 1. Le figure degli intagli di questo filone non possono esser identificate o vengono interpretate le maschili come Marte, Mercurio, Apollo, Poseidone, Eracle, guerrieri o Muzio Scevola (se tengono la mano sulla fiamma di un’ara vicino), le femminili come Venere, Abundatia, Tyche-Fortuna, Giunone (?), Bellona (?), Cerere (?), personificazione della vittoria (?). Prevalenti i lapislazzuli e le corniole, vi sono anche agate, eliotropi, diaspri, ametiste, sardonici, plasmi, nicoli e onici. Attestazioni Bologna, Museo Civico Archeologico 271 (Tav. XXXVI e) Como, Museo Civico Archeologico “Giovio” 272 (Tav. XXXV c) Ferrara, Museo Civico 273 Firenze, Biblioteca Marucelliana 274 Firenze, Museo degli Argenti 275 (Tav. XXXVI c) La Spezia, Museo Civico 276 Napoli, Museo Archeologico 277 Padova, Museo Archeologico 278 Pavia, Università, Museo dell’Istituto di Archeologia 279 Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria 280 (Tav. XXXVI f, h) Roma, collezione Santarelli 281 Roma, collezione privata 282 Kagan 1996, p. 79, figg. 62-63, 65, p. 190, n. 105A, 105B, 105C (XVII secolo). Inv. I 5569, inv. I 5572, inv. I 5577, inediti, cit. in Weber 2001, p. 161, nn. 306-307, p. 192, n. 407. 267 Collection Signol 1997, p. 59, n. 161 (forse attorno al 1600). 268 Kibaltchitch 1910, p. 51, tav. IX, nn. 286, 290 (non datati). 269 Gronovius 1695, p. 53, n. 609 (XVI-XVII secolo). 270 Kris 1929, I, pp. 91, 177, II, tav. 99, nn. 420-421 (XVI-XVII secolo). 271 Mandrioli Bizzarri 1987, p. 108, n. 195 (II secolo d.C.), pp. 145-149, nn. 279, 281-283, 287-289, 291-292 (III-IV secolo d.C. o XVII-XVIII secolo?), p. 159, n. 321 (età moderna). 272 Tassinari 2010b, pp. 171-173, fig. 12 (XVI-XVII secolo). 273 D’Agostini 1984, p. 28, n. 24, p. 48, n. 83 (III secolo d.C.; non datato, considerato non finito). 274 Gori ectypa, tav. XII, n. 41, tav. XVIII, n. 41 (impronte di ceralacca inedite; visione autoptica) (XVI-XVII secolo). 275 Gennaioli 2007, p. 399, n. 584, pp. 414-415, nn. 635-637 (XVII secolo). 276 Sena Chiesa 1978, p. 83, tav. IX, n. 61 (I secolo d.C.). 277 Giove, Villone 2006, p. 145, n. 283 (senza immagine); visione autoptica (XVI-XVII secolo). 278 Seidmann 1997, pp. 152-153, n. 299, n. 301(XVI - prima metà del XVII secolo). 279 Tomaselli 1987, pp. 79-80, 219, G26 (III secolo d.C.). 280 Vitellozzi 2010, pp. 468-470, n. 566, n. 568 (XVI - prima metà del XVII secolo d.C.). 281 Del Bufalo 2009, p. 19, n. 47/113g, p. 31, n. 47/87g (non datati). 282 Inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo). 266 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA Udine, Civici Musei 283 (Tav. XXXVI a, b; Tav. LIII c) Verona, Civici Musei d’Arte 284 (Tav. XXXV d-i; Tav. XXXVI g; Tav. LIII d). Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung 285 Bonn, Rheinisches Landesmuseum 286 Braunschweig, Herzog Anton Ulrich Museum 287 Cambridge, Fitzwilliam Museum, collezione Lewis 288 Cambridge, Fitzwilliam Museum, collezione Wellcome 289 Collezione privata 290 Colonia, Römisch-Germanisches Museum 291 Gerusalemme, collezione Kloetzli 292 Gottinga, Università, Archäologisches Institut 293 Kassel, Antikensammlung, Staatliche Museen 294 Lione, collezione privata 295 Londra, British Museum, collezione Sloane 296 Londra, Victoria and Albert Museum 297 Madrid, Museo Archeologico Nazionale 298 Monaco, Staatliche Münzsammlung 299 Montréal, McGill University 300 Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 301 Parigi, Bibliothèque Nationale, collezione Séguin 302 Parigi, Louvre 303 93 Tours, Musée des Beaux-Arts 304 Ubicazione ignota, acquistato a Odessa 305 Ubicazione ignota 306 (Tav. XXXVI d) Vienna, Kunsthistorisches Museum 307 Filone n. 3 Per le sue particolarità stilistiche, è parso più opportuno isolare questo filone nonostante sia esiguo e vicino al precedente. I profili dei visi sono di solito schematici, le figure allungate e sinuose, i panneggi con numerose linee sottili e superflue, talvolta svolazzanti. Si tratta di figure stanti, maschili e femminili, a volte identificate come Fortuna-Minerva, con la cornucopia e il timone, Atena con lancia e scudo, Iside-Atena, Marte, un guerriero armato o Muzio Scevola accanto ad un altare; in un caso un guerriero seduto tiene nella mano protesa una vittoria alata; in un altro la figurazione è più complessa, con Vulcano seduto al lavoro e Atena stante. 283 Tomaselli 1993, pp. 49, 54, tav. II, n. 17, n. 35 (II secolo d.C.; II-III secolo d.C.), pp. 155-156, tav. XXI, nn. 397-398 (III-IV secolo d.C. o moderni?). Quanto all’intaglio n. 35, dubita sia antico anche la Guiraud (Guiraud 1999, p. 706). 284 Tassinari 2009, pp. 155-156, tav. XLIII, nn. 662, 666-674 (XVI-XVII secolo). 285 Furtwängler 1900, pp. 320-321, tav. 62, nn. 8733, 8747, 8753, 8757-8758; Zwierlein-Diehl 1969, p. 185, tav. 89, n. 513 (già considerati antichi, poi ricondotti alla produzione dei lapislazzuli). 286 Platz-Horster 1984, p. 58, tav. 12, n. 46, pp. 77-78, tav. 19, n. 71 (III secolo d.C.). 287 Seiler 2008, p. 195, fig. 158, seconda fila, quarto da sinistra (non datato). 288 Henig 1975, p. 31, tav. 7, n. 99 (III o IV secolo d.C.). 289 Nicholls 1983, pp. 44-45, nn. 203, 207 (XVI-XVIII secolo). 290 Martin, Höhne 2005, p. 38, n. 52 (II-III secolo d.C.). 291 Krug 1981, p. 170, tav. 137, n. 7 (età moderna). 292 Manns 1978, p. 160, n. 28 (non datato). 293 Gercke 1970, p. 84, tav. 35, n. 70, p. 97, tav. 42, n. 158, p. 126, tav. 58, n. 348 (III secolo d.C.; IV secolo d.C.). 294 Zazoff 1983, p. 394, nota 40, tav. 130, n. 6 (XVII-XVIII secolo). 295 Guiraud 1988, p. 150, tav. XXXVII, n. 536A (III secolo d.C.). 296 Inv. SL.A 54, inv. SL.A 147, inv. SL.A 177, inv. SL.A 182, inv. SL.A 192, inv. SL.A 193, inv. SL.A 202; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo). 297 Vetrina 34, I, 16; Bury 1982, p. 224, n. 16, senza illustrazione (metà del XVIII secolo); visione autoptica. 298 Casal García 1990, I, pp. 116, 129, II, pp. 33, 41, nn. 168, 228-229 (II-III secolo d.C.); I, pp. 203, 205, 207-208; II, pp. 106, 111112, 116-119, nn. 105-106, 134-136, 155-163, 169 (età moderna). 299 AGDS I, 2, p. 80, tav. 116, n. 1029 (II-I secolo a.C.); AGDS I, 3, p. 29, tav. 200, n. 2270 (I secolo d.C.), p. 66, tav. 229, n. 2509 (III-IV secolo d.C.), p. 68, tav. 231, nn. 2522a, 2524 (III secolo d.C.), p. 81, tav. 243, n. 2627 (II-IV secolo d.C.), p. 91, tav. 252, n. 2700, p. 104, tav. 262, n. 2789 (III secolo d.C.); Weber 1992, p. 204, n. 262 (I secolo a.C.), p. 211, n. 289 (I secolo a.C.), pp. 227230, nn. 338, 349-351 (II-III secolo d.C.), p. 247, n. 382 (XVII secolo); Weber 2001, pp. 179, 182-183, 196, nn. 359, 373-374, 415416 (fine XVI - inizi del XVII secolo; prima metà del XVII secolo). 300 Tees 1993, p. 51, tav. XIII, n. 68 (età imperiale, forse III secolo d.C.). 301 Maaskant-Kleibrink 1986, p. 90, n. 181, p. 91, n. 187 (= ? Gronovius 1695, p. 30, n. 284) (XV-XVII secolo). 302 Inv. n. 2682; inedito, cit. in Weber 2001, p. 195, n. 414. 303 González-Palacios 1997, p. 57, n. 11 (età moderna). 304 Collection Signol 1997, p. 46, n. 121 (età moderna). 305 Kibaltchitch 1910, p. 52, tav. IX, n. 304 (non datato). 306 Gronovius 1695, pp. 22-23, n. 198, 202, 204, 206-207, p. 30, n. 277, p. 31, n. 291, p. 49, nn. 543-544, p. 50, nn. 560, 571, p. 53, nn. 603-605, 612-613, p. 54, nn. 616, 622, p. 57, n. 660 (XVI-XVII secolo). 307 Zwierlein-Diehl 1991, pp. 282-283, tav. 205, nn. 2659-2660 (XVI - metà del XVII secolo). 94 GABRIELLA TASSINARI Questo gruppo mostra affinità più o meno strette con quegli intagli caratterizzati dalle figure snelle e slanciate, il panneggio svolazzante con linee sottili e estranee alla composizione, inseriti da Kris in quella produzione italiana di scarsa qualità, da lui datata al XVI-XVII secolo (cfr. supra, filone 1, gruppo F): per lo più grandi agate o eliotropi incisi con scene mitologiche e religiose, monotone, misere e spesso rozze immagini per il livello ‘popolare’ della Controriforma 308. Infatti sono numerose le raffigurazioni religiose; Kris rileva che tali esemplari sono in tutte le maggiori collezioni e ritiene che si possa accettare come termine ante quem l’inizio del XVII secolo. In particolare, il gruppo in esame è stilisticamente simile a un intaglio in agata del Kunsthistorisches Museum di Vienna, con una scena allegorica di difficile interpretazione, che Kris data alla fine (?) del XVI secolo e per cui osserva che lo stile fa pensare a un modello tardoantico 309 (Tav. XXXVI i). Il filone 3 è stilisticamente affine anche a vari altri pezzi con raffigurazioni cristiane, tutti del XVIXVII secolo e di produzione italiana, come un intaglio in eliotropio inciso su doppio lato, da una parte la crocefissione con la Madonna e Maddalena ai lati, dall’altro le stigmate di S. Francesco 310, e un altro esemplare con le stigmate di S. Francesco e sul retro disegni gnostici 311. Nella prospettiva e nella direttrice di ricerca seguite in questo studio, mirate a cercare di cogliere l’esistenza di linee generali stilistiche e/o iconografiche e ad individuare e caratterizzare dei ‘filoni’, pare forse prematuro il tentativo, in mancanza di elementi sicuri, di connotare questi insiemi come appartenenti a diverse officine e/o produzioni. [RdA 34 Dunque è a mio avviso preferibile una cauta posizione, cioè limitarsi a segnalare affinità significative, lasciando irrisolti alcuni interrogativi; in questo caso aperta la questione se gli intagli pubblicati dal Kris rientrino nella produzione dei lapislazzuli. Le pietre sono: lapislazzuli, eliotropi, prasi, corniole e agate. Attestazioni Torino, Museo Civico d’Arte Antica 312 Verona, Civici Musei d’Arte 313 (Tav. XXXVII a) Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung 314 (Tav. XXXVII c) Monaco, Staatliche Münzsammlung 315 Rennes, Musée des Beaux-Arts 316 Ubicazione ignota, da Panticapeo (Kertsch) 317 Ubicazione ignota, già collezione de Wilde 318 (Tav. XXXVII b) Filone n. 4 Questo filone è costituito da un insieme di intagli dai contorni non chiaramente definiti. Gli esemplari sono accomunati dalle fattezze spesso regolari, dal modellato profondo, dal panneggio (di solito le figure indossano lunghe vesti) reso a solchi, a volte numerosi, netti, spessi, rotondi, ben levigati. Si tratta di figure, soprattutto femminili, sedute o stanti, di rado incedenti, spesso con il corpo di prospetto, il capo di profilo e i tratti del viso a volte non indicati; di solito una mano è appoggiata sul sedile, su un’ancora o su una lancia, l’altra è protesa o sollevata e può tenere un oggetto (un frutto, una patera, un ramo di palma, una cornucopia, una lira, un uccello) o stringere la lancia o il caduceo (?); in un caso la figura tende la mano a qualcosa di non definibile (un’ara accesa [?], una cesta Kris 1929, I, p. 91. Kris 1929, I, pp. 91, 177, II, tav. 99, n. 427. 310 Kris 1929, I, pp. 91, 177, II, tav. 99, nn. 423-424. 311 Kris 1929, I, pp. 91, 177, II, tav. 99, n. 426. 312 Bollati, Messina 2009, pp. 193-194, nn. 138-139, p. 224 (fine XVIII secolo - XIX secolo). 313 Tassinari 2009, p. 156, tav. XLIII, n. 675 (= Sena Chiesa 1996, p. 485, tav. V, n. 2), n. 676 (XVI-XVII secolo). 314 Furtwängler 1896, pp. 320-321, tav. 62, n. 8741, n. 8778 (già considerati antichi, poi riferiti alla produzione dei lapislazzuli). 315 AGDS I, 3, pp. 79-80, tav. 242, n. 2614 (tardo III secolo d.C.), p. 96, tav. 255, n. 2728 (III-IV secolo d.C.); Weber 1992, pp. 203204, n. 261 (II-III secolo d.C.). Per una discussione sull’identificazione da parte della Maaskant-Kleibrink dell’intaglio n. 2728 tra quelli appartenenti alla collezione glittica di Johannes Smetius, finita a Monaco (e dalla studiosa attribuito al XVI-XVII secolo) cfr. Maaskant-Kleibrink 1986, p. 116, App. 41; Weber 1992, p. 204, n. 261. Cfr. anche Zwierlein-Diehl 1986, p. 299, n. 903, che ritiene difficilmente antica questa gemma di Monaco. L’intaglio n. 2614 è citato anche da Alfaro Giner 1996, pp. 103-104, come una cattiva copia post-rinascimentale. 316 Robien 1972, pp. 43-44, n. 23, fig. a destra (non antico). 317 Kibaltchitch 1910, p. 36, tav. III, n. 76 (non datato). 318 De Wilde 1703, p. 98, tav. 27, n. 104 (XVI-XVII secolo). 308 309 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA di lana [?], uno scrigno con rotoli di libri [?]) e nel campo vi sono le scritte MAR e HON. Alcuni pezzi presentano analogie iconografiche con gli esemplari del filone 1 gruppo A. Quando sono identificati i personaggi, vengono definiti Giove, Mercurio, Apollo, Giunone, Venere, Venere-Roma, Minerva, Fortuna, Speranza (?). Le pietre sono quasi esclusivamente lapislazzuli e corniole (solo quattro agate e un diaspro rosso). Il particolare tipo di panneggio a pieghe rilevate, grosse e rotonde rende simili alcuni di questi intagli ad altri inseriti nel filone seguente. Per entrambi gli insiemi va ricordata un’importante osservazione della Zwierlein-Diehl. Giustamente la studiosa, nonostante la forte differenza di qualità, rileva affinità stilistiche riguardo alle pieghe del panneggio tra un intaglio di lapislazzuli, qui inserito nel filone n. 5 319, e un intaglio in agata zonata con la deposizione di Cristo (tratto dalla placchetta del Moderno) che Kris ascrive intorno al 1500 e ritiene provenga da Venezia/Padova 320. Attestazioni Bari, Museo Archeologico 321 Bologna, Museo Civico Archeologico 322 Collezione privata 323 Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria 324 (Tav. XXXVII i) Udine, Civici Musei 325 Verona, Civici Musei d’Arte 326 (Tav. XXXVII e, f ) 95 Berna, Università, Antikensammlung 327 Braunschweig, Herzog Anton Ulrich Museum 328 Budapest, Museo Nazionale Ungarico 329 (Tav. XXXVII h) Cambridge, Fitzwilliam Museum 330 (Tav. XXXVII g) Colonia, Duomo, Altare dei tre re magi 331 Gottinga, Università, Archäologisches Institut 332 Madrid, Museo Archeologico Nazionale 333 Monaco, Staatliche Münzsammlung 334 Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 335 Ubicazione ignota 336 (Tav. XXXVII d) Vienna, Kunsthistorisches Museum 337 Xanten, collezione privata 338 Filone n. 5 Questo filone comprende intagli dalla fattura corsiva, dall’estrema stilizzazione e schematicità nel rendere i tratti del volto e la struttura del corpo, a linee incoerenti, il panneggio a pieghe grosse e rilevate. Si tratta di figure maschili o femminili, sedute, una mano è sul sedile, l’altra protesa tiene un oggetto spesso non definibile, oppure sono stanti, possono avere nelle mani un oggetto, di frequente una fiaccola, o appoggiarsi alla lancia e posare l’altra mano sullo scudo. Varie figure sono interpretate come Marte, Poseidone, Cerere, Fortuna, Mercurio (?). Già la Zwierlein-Diehl aveva sottolineato le affinità stilistiche tra alcuni intagli incastonati nella su Zwierlein-Diehl 1991, pp. 26, 282, tav. 205, n. 2657 = Zwierlein-Diehl 1993, pp. 392-393, fig. 31. Kris 1929, I, pp. 42, 159, II, tav. 29, n. 126. La Weber (Weber 1992, p. 241, tav. II, n. 370) accetta la collocazione del Kris dell’intaglio come ‘padovano-veneziano’, ma non la datazione, perché alcuni elementi, come il tipo di incisione, la resa dei corpi, dei capelli, dei visi, del drappeggio delle figure, dimostrano che la gemma è dei primi del XVII secolo. 321 Tamma 1991, p. 52, n. 42 (II-III secolo d.C.). 322 Mandrioli Bizzarri 1987, p. 110, n. 204 (III secolo d.C.). 323 Wagner, Boardman 2003, p. 40, tav. 38, n. 241 (I secolo a.C. - I secolo d.C.). 324 Vitellozzi 2010, p. 472, n. 572 (XVI-XVII secolo d.C.). 325 Tomaselli 1993, pp. 59-60, tav. IV, n. 53 (III secolo d.C.). 326 Tassinari 2009, p. 156, tav. XLIV, nn. 678-679 (XVI-XVII secolo). 327 Götter und Heroen 2003, pp. 182-183, n. 640.25 (M. Müller) (III secolo d.C., antico?). 328 Seiler 2008, p. 195, fig. 158, terza fila, quinto da sinistra (non datato). 329 Gesztelyi 2000, pp. 87-88, 168, nn. 298, 300, 305 (XVI-XVII secolo). 330 Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, p. 350, n. 733 (tardo XVIII secolo). 331 Zwierlein-Diehl 1998, p. 379, n. 292 (XVI - prima metà del XVII secolo). 332 Gercke 1970, p. 136, tav. 64, nn. 419-420 (II-III secolo d.C). 333 Casal García 1990, I, p. 207, II, p. 116, nn. 153-154 (età moderna). 334 AGDS I, 3, pp. 60-61, tav. 224, nn. 2466-2467 (II secolo d.C.), p. 80, tav. 243, n. 2620 (III secolo d.C.), p. 133, tav. 292, n. 2978 (età moderna [?]); Weber 2001, p. 183, n. 376 (primo terzo del XVII secolo), p. 191, n. 406 (secondo terzo del XVII secolo), p. 192, n. 408 (secondo quarto del XVII secolo). 335 Maaskant-Kleibrink 1986, p. 90, nn. 182-183 (XV-XVII secolo). 336 Gronovius 1695, p. 31, n. 292 (XVI-XVII secolo). 337 Zwierlein-Diehl 1991, p. 247, tav. 177, n. 2540/8, p. 284, tav. 206, n. 2672 (XVI - prima metà del XVII secolo). 338 Platz-Horster 1994, p. 225, tav. 71, n. 369 (probabilmente XVIII secolo). 319 320 GABRIELLA TASSINARI 96 citata anfora di smalto della metà del XVII secolo, a Vienna, e altri appartenenti appunto alla produzione dei lapislazzuli e riuniti nel filone in esame; questi secondi tanto omogenei che la studiosa li ritiene incisi probabilmente dalla stessa mano 339. Prevalgono i lapislazzuli, seguono la sardonice, l’agata, il granato. Attestazioni Verona, Civici Musei d’Arte 340 (Tav. XXXVIII a) Amburgo, Museum für Kunst und Gewerbe 341 Colonia, Römisch-Germanisches Museum 342 Madrid, Museo Archeologico Nazionale 343 Valencia, Museo dell’Università 344 Vienna, Kunsthistorisches Museum 345 (Tav. XXXVIII b, c) Vienne, Musée des Beaux-Arts 346 (Tav. XXXVIII d) Filone n. 6 Gli intagli di questo filone sono pochi e presentano meno accentuate le caratteristiche della produzione in esame. Tuttavia il particolare profilo del volto, e in genere il rendimento stilistico, mostrano analogie con vari altri esemplari della produzione. Sono raffigurati personaggi per lo più stanti o avanzanti, spesso identificati con Amore, con il viso di profilo, nudi, più di rado con un mantello; tra le mani possono tenere vari oggetti: un frutto, una palla, una freccia, un ramo, un tirso, un tridente, uno strumento musicale; in qualche caso reggono sul capo una patera con offerte, si avvicinano ad un’ara accesa o sono chini su un bacile, in atto di detergersi. [RdA 34 Pressoché tutti gli intagli sono in lapislazzuli e in corniola, di piccole dimensioni (non superano 1,4 × 1,1 cm) e hanno quasi sicuramente un uso decorativo. Attestazioni Bologna, Museo Civico Archeologico 347 Verona, Civici Musei d’Arte 348 (Tav. XXXVIII e, f ) Budapest, Museo Nazionale Ungarico 349 (Tav. XXXVIII g) Monaco, Staatliche Münzsammlung 350 Mosca, Museo Puskin 351 Ubicazione ignota 352 Vienna, Kunsthistorisches Museum 353 Filone n. 7 Un gruppo esiguo, di difficile identificazione e delimitazione, è costituito da intagli che – per il loro stile caratteristico – talvolta si considerano non finiti. Le figure, stanti o incedenti, hanno il corpo spesso reso in maniera sproporzionata, disorganica e molto sommaria, a volte come fosse una massa informe, il viso appena abbozzato o di profilo, delineato con due o tre tratti orizzontali; sono nude o indossano lunghi abiti, portano in mano attributi di frequente non identificabili, aste o bastoni. Talvolta sono identificate come Fortuna con cornucopia e timone, Cerere con fiaccola, Amore con arco o davanti ad altare, uomo armato che si appoggia ad un bastone. Per i suoi caratteri non chiari e approssimativi, l’idea di lavoro non finito, questo filone si può confondere con un piccolo gruppo di gemme individuato nella raccolta dei Civici Musei d’Arte di Zwierlein-Diehl 1991, p. 249, n. 2540/24, p. 282, n. 2651. Tassinari 2009, p. 156, tav. XLIV, n. 677 (XVI-XVII secolo). 341 AGDS IV Hamburg, p. 382, tav. 262, n. 62 (III secolo d.C.). 342 Krug 1981, p. 223, tav. 106, n. 274 (II-I secolo a.C.). 343 Inv. 1977/45/41/1. Inedito, cit. in Alfaro Giner 1996, p. 104, n. 44 (età moderna). 344 Alfaro Giner 1996, pp. 103-104, tav. X, n. 44 (XIX secolo?). 345 Zwierlein-Diehl 1991, pp. 247-249, tav. 177, n. 2540/10, tav. 178, n. 2540/24, pp. 281-282, tavv. 204-205, nn. 2650-2657 (n. 2657 = Zwierlein-Diehl 1993, fig. 31) (XVI - metà del XVII secolo). 346 Guiraud 1996, pp. 23, 25, figg. 5a-5b (già dato al I-II secolo d.C. in Guiraud 1988, p. 107, tav. XIII, n. 187) (XVI-XVII secolo). 347 Mandrioli Bizzarri 1987, p. 148, n. 290 (III-IV secolo o XVII-XVIII secolo?). 348 Tassinari 2009, p. 156, tav. XLIV, nn. 680-682 (XVI-XVII secolo). 349 Gesztelyi 2000, pp. 88, 169, nn. 308-310 (XVI-XVIII secolo). 350 Weber 1992, p. 205, n. 264 (I secolo a.C.), p. 227, n. 339 (II-III secolo d.C.); Weber 2001, pp. 175-176, 178-181, 196, nn. 349, 356-358, 360, 362-363, 366-367, 418 (prima metà e secondo quarto del XVII secolo). 351 Finogenowa 1993, p. 91, n. 71 (II secolo d.C.). 352 Gronovius 1695, p. 53, n. 608 (XVI-XVII secolo). 353 Zwierlein-Diehl 1991, p. 283, tav. 205, n. 2666 (XVI - metà del XVII secolo). 339 340 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA Verona, ascritto al XVI-XVII secolo 354 a cui è stato unito – per le stesse caratteristiche tecniche e stilistiche – un altro al Museo Civico Archeologico di Bologna, datato al III-IV secolo 355. Si tratta di un insieme omogeneo, per lo più granati, contraddistinto appunto da personaggi non definibili e oggetti di incerta interpretazione, eseguiti in maniera estremamente semplificata e sommaria. Le pietre di questo filone sono tutte corniole. Attestazioni Bologna, Museo Civico Archeologico 356 Modena, Musei Civici 357 (Tav. XXXVIII h) Ubicazione ignota, già collezione Vimercati Sozzi, Bergamo 358 Budapest, Museo Nazionale Ungarico 359 Vienna, Kunsthistorisches Museum 360 Filone n. 8 Gli intagli di questo filone si staccano, in modo più evidente, dalle gemme dei gruppi precedenti per il loro differente stile, goffamente e curiosamente rozzo. Essi presentano figure maschili stanti, incedenti o sedute; il corpo è sottile, le teste, di profilo, sono piccoli globi da cui sporgono spesso alcuni tratti ad indicare i lineamenti; in mano possono tenere uno strumento musicale (che suonano), un elmo, un ramo, una serpe o un globo. Quando presente, la clamide forma grossolana velificatio resa con due linee parallele curve da cui fuoriescono una serie di raggi. A volte davanti può esserci un’ara fiammeggiante, una colonnina o un barile (?), l’incudine su cui la figura martella l’elmo, e dietro un albero. Di rado la scena è arricchita da una seconda persona; in un caso identificabili come Apollo e Marsia, in un altro come due uomini intenti a tagliare e pigiare grappoli d’uva. Eccezionale, dunque, è l’intaglio conservato a Pe- 97 rugia, con una composizione più complessa: l’imperatore seduto riceve l’omaggio di un barbaro inginocchiato di fronte a lui, che gli porge un globo, accompagnato da un soldato appoggiato ad una lancia (Tav. XXXIX i). Caratteristici di questo gruppo sono gli alberisedile resi come tronchi spezzati da cui si protende un singolo ramo 361. C’è una relativa varietà nelle pietre usate: lapislazzuli, corniole, agate zonate, diaspri (per lo più verdi), plasmi e sardonici. Questo è il filone produttivo che, seguendo la Maaskant-Kleibrink, era probabilmente realizzato nei Paesi Bassi, più tardi rispetto alla fabbricazione italiana, nel tardo XVI secolo e nella prima metà del XVII secolo 362. A sostegno di questa tesi la studiosa adduce l’interesse per le gemme da parte dei collezionisti nei Paesi nordici, interesse che è una ragione sufficiente per la produzione in loco. Nei Paesi Bassi molti collezionisti di gemme, monete, amuleti erano orefici, argentieri, incisori: producevano intagli e li vendevano. Ricordiamo ad esempio Jacob de Wilde (16451721), autore anche di un libro sulla sua collezione di gemme (1703), in contatto con altri conoscitori olandesi, tra cui Iacobus Gronovius, J. Georgius Graevius e Johannes Smetius 363. Al filone n. 8 appartengono varie gemme della raccolta di de Wilde, che fu venduta il 5 aprile 1741 e che in gran parte è finita a L’Aja (Royal Coin Cabinet). Dunque, mi pare si possa pienamente condividere l’opinione della Maaskant-Kleibrink di una produzione nei Paesi Bassi. E si potrebbe avanzare la suggestiva ipotesi che se i lotti più cospicui di questi intagli sono quelli del Museo Archeologico Nazionale di Madrid e dei Paesi Bassi la spiegazione va ricercata nel fatto di essere stati entrambi possedimenti degli Asburgo? Tassinari 2009, p. 163, tav. XLVII, nn. 725-728. Mandrioli Bizzarri 1987, pp. 112-116, nn. 210-226. 356 Mandrioli Bizzarri 1987, pp. 111-112, nn. 206-209 (II-III secolo d.C.; III secolo d.C.; III-IV secolo d.C.). 357 Casarosa Guadagni 1993, pp. 111-112, n. 54 (post II-III secolo d.C.). 358 Tassinari c.s.a, n. 561 (XVI-XVII secolo). 359 Gesztelyi 2000, pp. 88, 169, n. 307 (XVI-XVIII secolo). 360 Zwierlein-Diehl 1991, pp. 283-284, tav. 205, n. 2665, tav. 206, nn. 2668-2669, 2671, 2676-2678 (XVI - prima metà del XVII secolo). 361 Ricordiamo un’osservazione della Zwierlein-Diehl (Zwierlein-Diehl 1991, p. 258, n. 2558) secondo cui questo particolare tronco diviso in due è un tipico elemento delle gemme antichizzanti del XVI-XVII secolo. 362 Maaskant-Kleibrink 1997, pp. 238-241, ove un esame dei vari motivi per sostenere quest’ipotesi. 363 Per un esame di de Wilde, la sua opera e la sua collezione, v. Maaskant-Kleibrink 1978, pp. 15-21. 354 355 GABRIELLA TASSINARI 98 Attestazioni Firenze, Biblioteca Marucelliana Firenze, Museo degli Argenti 365 (Tav. XXXIX d) Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria 366 (Tav. XXXIX i) Leida, Royal Coin Cabinet 367 (Tav. XXXIX b, f, h) Londra, British Museum, collezione Sloane 368 Madrid, Museo Archeologico Nazionale 369 (Tav. XXXIX c, e) Monaco, Staatliche Münzsammlung 370 Ubicazione ignota, già collezione de Wilde 371 (Tav. XXXVIII i; Tav. XXXIX a, g) Ubicazione ignota 372 364 Filone n. 9 L’ultimo filone è quello che potremmo definire ‘classicistico’, ‘antichizzante’, cioè che si attiene più fedelmente ai modelli antichi o rinascimentali che gli antichi imitano o riecheggiano. I pezzi che lo costituiscono si rifanno agli antichi, nella tematica e nello stile, talvolta così esattamente da poter ‘ingannare’. In particolare per il gruppo D è arduo tracciare il confine e distinguere quando si tratta di motivi effettivamente antichi o di una loro ripresa fedelissima, ma più tarda di vari secoli. Per individuare gli intagli e attribuirli a questa produzione il filo conduttore rimane il lapislazzuli; ma si è perfettamente consapevoli dei limiti di questa operazione. Innanzi tutto il fatto di insistere sulla ‘modernità’ di tanti lapislazzuli non può deformare la realtà a sfavore di una collocazione antica di vari esemplari. Inoltre, poiché non si hanno criteri precisi per determinare con relativa sicurezza la cronologia, sono stati inseriti nell’ambito della produzione gli intagli con altre pietre solo quando vi fosse strettissima somiglianza iconografica e/o stilistica. [RdA 34 Ma con tale cautela, pur necessaria, non sono stati assegnati a questa produzione vari esemplari in altre pietre che probabilmente vi rientrano. Tuttavia, adottare questo criterio empirico è sembrata, per ora, l’unica alternativa possibile. Gruppo A In questo gruppo gli intagli riproducono più o meno fedelmente e comunque si richiamano all’opera delle prestigiose personalità di Valerio Belli e Giovanni Bernardi 373. Il Belli introdusse il canone formale classicistico, con la sua impronta di armonia e di misura, il Bernardi si distingue per maggior concitazione ed enfasi in scene movimentate e stipate di figure; ma frequenti sono i casi in cui l’attribuzione proposta è tuttora discussa. Infatti entrambi furono fecondissimi e abilissimi incisori in pietre dure e in cristallo di rocca, orefici, medaglisti; entrambi godettero di onori e di larga fama e operarono in una simile atmosfera artistica, prima in Italia settentrionale e poi a Roma. Entrambi erano orgogliosi di servirsi dell’ispirazione, puntuale o vaga, e dell’imitazione dell’antico, di cui avevano assimilato i principi formali. Entrambi utilizzarono le placchette per documentare e diffondere le loro opere e fornire un considerevole materiale di modello all’artigianato; e proprio grazie alle innumerevoli placchette di bronzo e piombo, spesso attestate in più esemplari e con varianti, derivate dalle loro incisioni, si conoscono la maggior parte delle numerose opere che sono oggi perdute o disperse. Si tratta di soggetti classici, ‘all’antica’, religiosi e profani: scene ispirate al mito, alla storia, sacrifici, raffigurazioni bacchiche, battaglie, cacce e lotte; frequenti sono le figure femminili, allegoriche o Gori ectypa, tav. VIII, n. 33 (impronta inedita di un intaglio in plasma; visione autoptica) (XVI-XVII secolo). Gennaioli 2007, p. 380, n. 530 (XVII secolo). 366 Vitellozzi 2010, p. 479, n. 582 (fine del XVI secolo - inizi del XVII secolo). 367 Maaskant-Kleibrink 1997, p. 241, fig. 14 (= De Wilde 1703, pp. 68, 70-71, tav. 21, n. 78; Maaskant-Kleibrink 1978, p. 17, fig. 2a-b), pp. 241-242, fig. 16 (= De Wilde 1703, pp. 6-8, tav. 3, n. 9), pp. 241-242, fig. 17, p. 247, nota 59; Maaskant-Kleibrink 1996, p. 85, n. 69, p. 196, n. 120 (= De Wilde 1703, pp. 133-135, tav. 39, n. 145) (XVI-XVII secolo). 368 Inv. SL.A 102, inv. SL.A 184; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo). 369 Casal García 1990, I, pp. 208-209, II, pp. 119-122, nn. 170-186 (età moderna). 370 Weber 2001, p. 190, n. 402 (secondo terzo del XVII secolo). 371 De Wilde 1703, pp. 68, 71, tav. 21, n. 81, pp. 127-129, tav. 37, n. 140, p. 136, tav. 39, n. 147 (XVI-XVII secolo). 372 Gronovius 1695, p. 38, n. 478, p. 49, n. 546 (XVI-XVII secolo). 373 Si danno qui solo alcune notizie sui due Maestri, essenziali allo scopo di questa ricerca. Belli e Bernardi vantano un’ampia bibliografia; rimando solo ai seguenti contributi specifici, recenti: Donati 1989; Burns, Collareta, Gasparotto 2000; Donati, Casadio 2004. 364 365 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA divinità greco-romane, di moduli allungati, di profilo, incedenti o danzanti, spesso con qualcosa in mano, dai panneggi classicheggianti, a volte fluttuanti e con mantello piegato ad arco. Assai complessi, problematici, ancora in parte da chiarire, sono sia la circolazione delle gemme dei due Maestri una volta immesse nel mercato, sia l’intreccio delle interrelazioni nella trasmissione dei motivi iconografici. Comunque, attraverso le placchette ricavate, calchi, repliche e copie, di tutti i formati e materiali, queste opere di successo continuavano a girare oltre l’epoca di esecuzione, venivano più volte e a lungo riprodotte, in diverse dimensioni e con varianti, diffuse e rese popolari. Proprio il processo di divulgazione e di volgarizzazione determina la produzione di molteplici repliche, con aggiunte o soppressioni di particolari, semplificazioni o riduzioni nella qualità, adattamenti … Dunque le gemme di questo gruppo possono esser redatte in aree culturali diverse dalla creazione del prototipo, e non in base alla sua conoscenza, in momenti differenti e anche molto distanziati nel tempo. Però forse non è scorretto ritenere che siano precedenti, cioè più ‘antiche’, quelle gemme che, con la loro qualità formale alta, sono fedeli al modello. Invece dovrebbero esser relativamente più tardi gli esemplari dove l’iconografia è più o meno modificata e lo stile è impreciso e meno curato 374. A questo proposito va specificato che se Belli e Bernardi si giovavano delle composizioni antiche, traendone iconografia e stile, è sembrato qui più opportuno indicare non il prototipo originale antico, spesso di difficile individuazione, al di là dei riferimenti generici, bensì la gemma del Belli o del Bernardi, cioè il modello che l’incisore cinque-seicentesco più aveva ‘sottomano’. Un’ultima osservazione. Tra le varie opere del- 99 la celebre e ricca collezione del Belli – sculture, pitture, disegni, monete antiche, cristalli, intagli, cammei – vi erano anche corniole e lapislazzuli, purtroppo non meglio specificati 375. In questo gruppo sono analizzati singolarmente i pezzi, spesso di dimensioni maggiori, e indicato il modello del Belli e/o del Bernardi. Sono tutti intagli in lapislazzuli, tranne i pochissimi casi specificati. Un intaglio con Vulcano barbato seduto, nudo con la clamide svolazzante, che alza il braccio col martello in atto di colpire un elmo, mentre sullo sfondo si stagliano due lance, datato erroneamente al II-III secolo d.C. 376 (Tav. XL a; Tav. LIII e), si differenzia dal modello – una gemma del Belli o del Bernardi, dispersa, ma testimoniata da una placchetta di bronzo 377 – solo per lievi particolari, come la mancanza delle ghirlande che ornano il sedile e il basamento su cui è posta l’incudine. Presentano un’interessante modifica della figurazione del Belli/Bernardi tre intagli: uno in lapislazzuli, della collezione Praun, testimoniato dai calchi di Lippert 378 e di Tassie 379, e gli altri due, in agata, del tutto simili tra di loro, uno già appartenente a Johann Friedrich Christ, a Lipsia, disperso, sempre documentato dai calchi di Lippert (Tav. XL b) e Tassie 380, l’altro a Monaco, datato alla prima metà del XVII secolo 381. Essi riflettono la commistione di due composizioni analoghe: uno ‘scambio’ di attributi tra l’iconografia di Vulcano al lavoro su un pezzo di armatura posto sull’incudine e quella di Dedalo occupato a fabbricare l’ala. Infatti Vulcano seduto forgia all’incudine un’ala, tenendola con una mano, come un pezzo di armatura. Nel suo commento ai calchi del Lippert, Christ propone sia l’interpretazione di Vulcano intento alla sua opera, sia quella di Dedalo. Invece il Lippert spie- Si pone su questa direttrice l’osservazione della Maaskant-Kleibrink (Maaskant-Kleibrink 1997, p. 238): esaminando lo sviluppo dei due temi nelle gemme del ‘500 – Apollo e Marsia e Vulcano alla forgia (questo è il filone 1, gruppo D) – si nota che gradualmente svanisce l’ “high taste”. 375 Cfr. Tassinari 1996, pp. 180-181, ove riferimenti bibliografici. Più in generale, Jestaz 2000 (in particolare per le gemme, pp. 164-165). 376 Tassinari 1996, pp. 164-165, fig. 9, ove correzione della datazione e bibliografia anteriore. È conservato a Roma, ai Musei Capitolini. 377 Tassinari 1996, pp. 164-166, fig. 10 (impronta della gemma), p. 174, fig. 14 (placchetta di bronzo attribuita a Giovanni Bernardi); Gasparotto 2000, p. 363, n. 178 (data a Valerio Belli). 378 Lippert 1755, n. 137. 379 Raspe 1791, p. 381, n. 6459. 380 Tassinari 1996, pp. 165-167, fig. 11, ove bibliografia e discussione se questa gemma appartiene alla collezione dell’antiquario Alfonso Miliotti (la cui Description fu pubblicata nel 1803), ora a San Pietroburgo. 381 Weber 2001, p. 170, n. 333. 374 100 GABRIELLA TASSINARI ga i due calchi della sua dattilioteca come Vulcano che forgia un’ala per i calzari di Mercurio o per il fulmine di Giove 382 (identificazione questa seguita dal Raspe che non nomina Dedalo) e interpreta una farfalla che vola sopra l’incudine nell’intaglio in lapislazzuli come l’immagine dell’anima e quindi del Genio che mette il dio nel suo lavoro. L’intaglio di Monaco è ascritto alla prima metà del XVII secolo, mentre gli autori settecenteschi, come di consueto, non avanzano datazioni per gli altri due pezzi, che possono esser collocati nel XVI secolo. Manca appunto una divisione tra pezzi antichi e moderni nella cospicua dattilioteca del tedesco Philipp Daniel Lippert (1702-1785): tre serie ordinate di 1000 bei calchi da gemme, che egli stesso realizzava, vendute nel 1755 e nel 1756 (con testo latino del filologo Johann Friedrich Christ di Lipsia) e nel 1762 (commentata dal filologo Christian Gottlob Heyne); seguirono una scelta di 2000 pezzi e un supplemento (1767; 1776) 383. Gli esemplari della dattilioteca di Lippert sono presenti anche nella straordinaria collezione di 15800 paste di vetro colorato, smalti bianchi e zolfi, accurate repliche di cammei e intagli, eseguite dal più famoso riproduttore di gemme James Tassie (1735-1799), spiegate nel catalogo di Rudolf Erich Raspe 384. Come spesso rilevato, la stessa composizione si può trovare su esemplari in diverse pietre. È il caso di una Diana incedente, che tiene al guinzaglio un levriero e nell’altra mano una freccia, su un intaglio in lapislazzuli ascritto al XVII secolo 385 e su uno in agata zonata dato ai primi del XVII secolo 386. Si tratta di un’imitazione fedele di un intaglio di Giovanni Bernardi, documentato da una placchetta di piombo 387. [RdA 34 In un intaglio del XVI-XVII secolo (Tav. XL c) 388 una figura femminile incedente, identificata come la dea Roma, tiene in una mano un globo, nell’altra uno scettro; ai suoi piedi uno scudo e delle lance (?). Il soggetto deriva da un intaglio del Belli, ora documentato da una placchetta di piombo, con Minerva, che nella mano sollevata ha l’elmo e non il globo 389. Punto di riferimento sono le figure femminili, tipiche del repertorio del Belli, di profilo, incedenti, dai panneggi all’antica, spesso svolazzanti, di solito con qualcosa in mano, un piatto, un crivello, una torcia, o che si avvicinano ad un altare, ripetute, in molteplici versioni e con opportuni cambiamenti per adattarle alle differenti composizioni, diversamente definite Salomé, Tuccia, baccante … 390 Riecheggiano in modo immiserito tali figure del Belli (cfr. anche supra, filone 1, gruppo E) un intaglio in lapislazzuli di Madrid 391, due in corniola a Bologna 392 e a Verona (Tav. XL d) 393, e un altro in lapislazzuli, pubblicato dal Gronovius (Tav. XL e) 394. Sono appunto figure femminili, di profilo, con le vesti fluttuanti e il mantello gonfiato ad arco, che portano qualcosa in mano, incedenti, in un caso verso un’ara, in un altro verso un vaso. Un intaglio di Monaco, datato al secondo terzo del XVII secolo (Tav. XL f ) 395, raffigura un eroe nudo seduto, nella mano protesa tiene una vittoria, ai suoi piedi elmo, corazza, scudi, lance. Sebbene vi sia un modello antico, come Minerva/Roma con la vittoria, sembra più giustificato presupporre una derivazione – con varianti come le armi e l’abbigliamento differenti – da un intaglio del Bernardi, un eroe con la Vittoria, documentato da una placchetta di bronzo 396. Pare lo confermi un particolare specifico, come Tassinari 1996, p. 166. Su Lippert, cfr. Zwierlein-Diehl 1986, pp. 13-17; Daktyliotheken 2006, ad indicem (bibliografia essenziale). 384 Sui Tassie cfr. Zwierlein-Diehl 1986, pp. 17-19; Daktyliotheken 2006, ad indicem (bibliografia essenziale). 385 Dalton 1915, p. 84, tav. XXI, n. 595 (British Museum). 386 Weber 1992, pp. 244-245, n. 377 (Monaco, Staatliche Münzsammlung). 387 Donati 1989, pp. 226-227, tav. CI. 388 Gesztelyi 2000, pp. 87, 168, n. 299 (Budapest, Museo Nazionale Ungarico). 389 Gasparotto 2000, pp. 353, 516, n. 134. Cfr. anche molto simile, ibidem, n. 133. L’intaglio n. 134 è spiegato come figura allegorica di guerriera in Donati, Casadio 2004, p. 161, n. 178. 390 Gasparotto 2000, pp. 343, 353-355, 506, 516-518, nn. 96, 132, 137-139, 144 (placchette di bronzo e di piombo). 391 Casal García 1990, I, p. 97, II, p. 22, n. 84 (dato al I secolo a.C.). 392 Mandrioli Bizzarri 1987, p. 110, n. 202 (ascritto al II-III secolo d.C.). 393 Tassinari 2009, pp. 156-157, tav. XLIV, n. 683 (XVI-XVII secolo). 394 Gronovius 1695, p. 50, n. 563 (XVI-XVII secolo). 395 Weber 2001, pp. 183-184, n. 377. 396 Donati 1989, pp. 230-231, tav. CVII. 382 383 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA il pilastro (a cui sono sospese armi) con in cima un globo, presente appunto nella placchetta del Bernardi, che ritorna in intagli, sempre di dimensioni notevoli, del tutto simili all’esemplare di Monaco, dove cambiano alcuni dettagli: uno in agata, ascritto probabilmente al XVII secolo (Tav. XL g) 397 e l’altro tra i calchi del Tassie, senza indicazione di pietra, ma di cui Raspe sospetta l’antichità (Tav. XL h) 398. Su un esemplare al Museo Archeologico di Napoli, anch’esso di grande formato, databile agli anni iniziali del XVII secolo 399, con un cammeo inciso sull’altro lato, ritorna la stessa composizione con alcune innovazioni come la figura che regge un vaso, il mantello gonfiato ad arco, la colonna su cui arde un fuoco. Anche nel caso di un intaglio in lapislazzuli disperso, noto solo dalla tavola che ne dà Gronovius 400 (Tav. XL i), sembra più corretto individuare come modello non i prototipi antichi, ma gli intagli del Belli, che a quelli si ispirano, con la Pace che brucia le armi. Una figura femminile stante, panneggiata, tiene in una mano un grande ramo d’olivo o una cornucopia mentre con l’altra dà fuoco con una face accesa ad un trofeo di armi di fronte a lei. Si tratta di uno dei motivi tipici del repertorio del Belli che ritorna su intagli, come uno in cristallo di rocca conservato a Braunschweig (Herzog Anton Ulrich Museum) 401, su placchette e su medaglie con varianti relative all’abbigliamento (mantello svolazzante o no), alle armi (lance, scudi, elmo, corazza), al pilastrino e alla cornucopia al posto del ramo d’ulivo 402, come nell’intaglio pubblicato dal Gronovius. Purtroppo solo dalla tavola del Gronovius non si può giudicare se e quanto 101 l’intaglio in esame sia modificato rispetto all’esemplare belliniano 403. Una semplificazione e riduzione nella qualità di un intaglio del Belli 404, nonché alterazione iconografica, è testimoniata da un intaglio del Museo degli Argenti a Firenze (XVII secolo) (Tav. XLI a) 405, dove Apollo sta per prendere Dafne che ha le braccia alzate già in parte tramutate in rami d’alloro, così come i capelli. Alcuni particolari dell’analogo intaglio del Belli sono stati soppressi – come l’arco e la faretra sulle spalle di Apollo – e altri aggiunti, pittorici, come i ciuffi d’erba e le pianticelle che si è visto elementi tipici del gruppo F del filone 1. Così – ovvio ‘errore’ – anche le dita di una mano di Apollo vengono mutate in rami. Analogamente un intaglio con Venere incedente di profilo, con il panneggio al vento, che tiene una corona che Cupido stante di profilo afferra per i nastri, della collezione di Brandeburgo, ora ai Musei di Berlino, inserita dal Furtwängler tra le pietre del XVI-XVII secolo 406, richiama una gemma del Belli o del Bernardi, testimoniata da una placchetta di bronzo 407. Così, l’intaglio con Apollo stante che tiene una mano sulla lira appoggiata a terra e guarda Marsia seduto mentre suona il flauto, appartenente alla collezione Di Castro (Roma) 408, si differenzia solo per lievi particolari da un intaglio in calcedonio del Museo degli Argenti a Firenze, già ritenuto un lavoro fiorentino anonimo della metà del XVI secolo e ora ricondotto al Bernardi 409; del resto attribuita al Bernardi è l’analoga placchetta di bronzo 410. Un altro intaglio in calcedonio, appena diverso in qualche dettaglio dall’esemplare fiorentino, è Wagner, Boardman 2003, p. 94, tav. 90, n. 659 (collezione privata). Raspe 1791, p. 456, n. 7846. 399 Gasparri 1995a, pp. 421-422, n. 200. 400 Gronovius 1695, p. 23, n. 198. 401 Gasparotto 2000, pp. 228, 319, n. 18. 402 Per gli esemplari del Belli, la produzione artistica a lui contemporanea con questo soggetto, nonché il riferimento ai modelli antichi, Gasparotto 2000, p. 319, n. 18, p. 341, n. 90, p. 355, nn. 141-142, p. 374, n. 209. 403 Analogamente, per quell’intaglio in lapislazzuli, non documentato da immagini, con la Pace che appicca il fuoco alle armi, sul retro di un medaglione che reca sul lato anteriore una testa femminile in rilievo, già nella collezione Crozat e ora al Museo Statale dell’Ermitage, a San Pietroburgo (?): Mariette 1741, p. 81, n. 1266. 404 Gasparotto 2000, pp. 352, 515, n. 129 (placchetta di piombo). 405 Gennaioli 2007, p. 389, n. 556. 406 Begerus 1696, pp. 42-43 = Furtwängler 1896, p. 323, tav. 63, n. 8853. 407 Donati 1989, p. 232, tav. CIX (attribuita al Bernardi); Gasparotto 2000, pp. 363, 526, n. 174 (data al Belli). 408 Pirzio Biroli Stefanelli 2009 (datato alla seconda metà del XVI secolo). 409 Gennaioli 2007, pp. 365-366, n. 493, tav. XLIII. Per un esame della questione cfr. anche Maaskant-Kleibrink 1997, pp. 241, 246-247, nota 57. 410 Donati 1989, pp. 216-217, tav. XCII. 397 398 102 GABRIELLA TASSINARI considerato un originale del Bernardi o di un atelier vicino all’artista 411. E anche la già citata agata zonata con Ercole contro Cerbero, a Berlino, prima datata al più tardo III secolo d.C. ma poi giustamente ricondotta alla produzione in questione 412, si può confrontare (ad esempio per l’atteggiamento di Ercole e il solito panneggio impoverito e schematizzato) con una gemma del Belli o del Bernardi con Ercole e l’idra, documentata da una placchetta di piombo 413. È ancora una placchetta di piombo sicuramente del Bernardi (all’esergo vi è la scritta IO.BER.F.) 414 a testimoniare il modello di un intaglio in eliotropio di Monaco, assegnato ai primi del XVII secolo 415, dove Marte siede, vicino alle sue armi, abbracciato da Venere, accompagnata da Amore (Tav. XLI b). Naturalmente l’esemplare di Monaco è diverso dal pezzo del Bernardi, sia per lo stile, sia per alcune incomprensioni iconografiche: si veda solo Amore che nella placchetta del Bernardi sospinge Venere verso Marte, mentre nell’intaglio di Monaco mette un ramoscello tra le gambe della dea. A proposito della diffusione di questa composizione attraverso le placchette, va ricordato un cammeo in onice, privo di firma (seconda metà del XVI secolo; Vienna, Kunsthistorisches Museum), con lo stesso soggetto ma diverso stilisticamente tanto da far ritenere probabile sia stato inciso non dal Bernardi, ma da un’altra mano 416. Già Mariette sospettava fosse una copia dall’antico, eseguita da un incisore del XV o XVI secolo 417, un intaglio del Gabinetto del Re, ora al Cabinet des médailles, a Parigi, documentato da un calco nella [RdA 34 collezione del Tassie 418, con Apollo seduto su una roccia, tenendo una lira appoggiata alla gamba, dietro di lui la faretra con le frecce, davanti due flauti piantati nel terreno (Tav. XLI c). L’espressione del viso ha perso quel tocco ‘classico’, presente nel suo diretto modello, un intaglio del Belli o del Bernardi, documentato da una placchetta di piombo 419. Allo stesso intaglio del Belli/Bernardi si rifà, con minime varianti, l’Apollo citaredo seduto di un intaglio, ipotizzato come moderno, al Museo Archeologico di Firenze 420. In un intaglio di Monaco, datato ai primi del XVII secolo e interpretato come Ercole e Onfale (?) (Tav. XLI d) 421, la figura di Ercole seduto ripete – immiserita – una composizione del Belli, che riscosse successo, come si vede dal gran numero di placchette: Ercole al bivio, con Minerva, Venere e Cupido 422. Ercole è l’esatta citazione dell’Ignudo a destra del profeta Gioele nella cappella Sistina, secondo la convincente connessione con Michelangelo, notata dal Kris 423. Analoga è la figura di Orfeo su una corniola a Vienna, già creduta antica e ora data alla prima metà del XVI secolo 424. Nell’intaglio di Monaco la donna, che stante guarda Ercole e tiene un ramo, è simile a varie figure femminili del Belli: a Venere, nella citata placchetta di Ercole al bivio (principale differenza è che la dea porge una mano al piccolo Cupido e nell’altra, abbassata, non ha nulla), e a una delle due donne che regge un serpente avvolto nel braccio sinistro, in una scena di discussa interpretazione 425 di una famosa placchetta in cui la figura maschile è ripresa da un altro schiavo della Sistina 426. Maaskant-Kleibrink 1997, pp. 240-241, figg. 12, 13, pp. 246-247, nota 57. L’intaglio è conservato a Leida (Royal Coin Cabinet). 412 Cfr. note 26 e 28. 413 Donati 1989, p. 230, tav. CVI (data al Bernardi); Gasparotto 2000, p. 364, n. 184 (data al Belli). 414 Bange 1922, p. 119, tav. 72, n. 898; Donati 1989, pp. 94-95, tav. XXIV. 415 Weber 1992, p. 244, n. 376. 416 Eichler, Kris 1927, p. 107, fig. 53, tav. 25, n. 169. 417 Mariette 1750, vol. II, tav. XII. L’intaglio è pubblicato tra i moderni in Chabouillet 1858, p. 317, n. 2298 (senza immagine) e tra le gemme problematiche e moderne in Richter 1971, p. 156, n. 729. 418 Raspe 1791, p. 208, n. 2987, dove l’intaglio è ascritto al ‘500. 419 Donati 1989, pp. 216-217, tav. XCI (Bernardi); Gasparotto 2000, p. 363, n. 177 (Belli). 420 Tondo, Vanni 1990, p. 170, n. 53, p. 198. 421 Weber 2001, p. 162, n. 310. 422 Gasparotto 2000, pp. 350-351, 514, n. 124. 423 Kris 1929, I, p. 49, II, tav. 35, nn. 154, 156 (disegno di Michelangelo). 424 Zwierlein-Diehl 1991, p. 266, tav. 193, n. 2594; Zwierlein-Diehl 1993, pp. 378-379, 381-382, fig. 8. 425 Gasparotto 2000, pp. 336-337, 501, n. 81. 426 Kris 1929, I, p. 49, II, tav. 35, n. 153 (placchetta), n. 155 (disegno di Michelangelo). 411 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA Edito dal Maffei (Tav. XLI e) 427, presente nelle raccolte di calchi del Lippert, del Tassie (Tav. XLI f ), del Cades 428, documentato dalle placchette di bronzo 429, ma non rintracciato è un intaglio in lapislazzuli con una scena di sacrificio all’antica: una fanciulla ammantata, accompagnata da un sacerdote barbato, sacrifica sopra un altare su cui arde la fiamma; in secondo piano altre due figure, una maschile, l’altra femminile; nel campo un albero. Se Maffei si giustifica di pubblicare un intaglio (in possesso del Signor Carlo Albani), perché lodevole e di perfetto disegno, ma in cui l’artista moderno non ha imitato bene il costume antico e il rito dei sacrificanti, Raspe giustamente osserva che stile e maniera sono del Belli. Infatti l’intaglio ripete – cambiando solo alcuni particolari – una composizione del Belli, documentata da una placchetta di bronzo 430. Del tutto simile a entrambi gli intagli una sardonice conservata a San Pietroburgo, al Museo Statale dell’Ermitage 431. Un’altra scena di sacrificio all’antica compare su un intaglio in lapislazzuli disperso, già del Cardinale Albani, documentato nelle raccolte di impronte del Lippert e del Tassie (Tav. XLI g) 432. Un gruppo di sei figure (tra cui un giovane che porta una patera, un uomo barbuto con un’ascia sulla spalla, un altro col capo velato e una donna ammantata) accompagnano un toro al sacrificio, in direzione di un’ara raffigurata sulla destra; sullo sfondo un tempio con quattro colonne. Raspe osserva che l’intaglio è nello stile del Belli. In effetti una placchetta di bronzo del Belli 433 è del tutto simile: principale differenza è il tempio, sempre tetrastilo ma con timpano triangolare. Secondo Gasparotto 434 la placchetta deriva dal calco modificato di un bell’intaglio in diaspro sanguigno conservato al British Museum che lo studioso crede possa esser del Belli. Invece Dalton, che pubblica l’intaglio del British Museum come eliotropio, lo dà al XVI secolo e a produzione italiana ma non lo attribuisce al Bel- li 435. Comunque l’intaglio in lapislazzuli del calco del Tassie sembrerebbe uguale all’intaglio del British Museum. Gruppo B Gli intagli di questo gruppo non suscitano dubbi riguardo alla loro ‘modernità’. La maggior parte di questi esemplari sono famosi o sono famosi i modelli; spesso sono presenti nelle più note raccolte di impronte e talvolta hanno riscontro nelle placchette e/o nelle medaglie. Il Trattato sulle pietre incise (1750) di PierreJean Mariette – collezionista, conoscitore di storia dell’arte e uno dei più celebri esperti di gemme del XVIII secolo –, un influente e imprescindibile punto di riferimento, raccoglie le più belle e interessanti pietre incise del Gabinetto del re di Francia. Tra di esse vi è un intaglio, al Cabinet des Médailles, noto, per ora, solo dalla tavola del Mariette (Tav. XLII a) e dal calco nella collezione del Tassie (Tav. XLII b) 436; infatti Chabouillet, che giustamente lo colloca tra gli intagli moderni, non ne dà l’immagine 437. Mariette spiega la scena: Caco, famoso brigante, tira un bue per la coda, facendolo entrare nella sua caverna. Con questa astuzia egli svia i derubati, perché più essi seguono le tracce che sembrano loro indicare il cammino dei loro buoi, più essi si allontanano da dove gli animali sono stati condotti. Ercole scopre lo stratagemma e libera il mondo da quell’insigne ladro. Secondo il Mariette (ricordiamo la sua autorità indiscussa) è un lavoro assai mediocre, concepito interamente nel modo di pensare degli artisti di questi ultimi secoli; le figure principali sono copie, ma molto imperfette, dall’antico. E lo studioso sottolinea proprio quei particolari pittorici e/o narrativi, indizi appunto di modernità; qui una volpe, simbolo della frode, che si vede da lontano, e il fondo di paesaggio. Probabilmente questo intaglio apparteneva alla Maffei 1707-1709, vol. IV, p. 150, tav. XCVII. Rispettivamente Lippert 1755, n. 955; Raspe 1791, p. 493, n. 8390; Cades, libro 61, n. 5, Inst. Neg. 61.2053. 429 Molinier 1886, p. 80, n. 302; Bange 1922, p. 113, tav. 71, n. 846. 430 Gasparotto 2000, pp. 347-348, 510, n. 113. 431 Gasparotto 2000, pp. 347, 510. 432 Rispettivamente Lippert 1755, n. 965; Raspe 1791, p. 500, n. 8501. 433 Gasparotto 2000, pp. 357, 520, n. 151. 434 Ibidem. 435 Dalton 1915, p. 121, tav. XXX, n. 831. Un’ottima immagine in Burns, Collareta, Gasparotto 2000, p. 245. 436 Raspe 1791, p. 346, n. 5784. 437 Mariette 1750, vol. II, tav. LXXXIX; Chabouillet 1858, p. 328, n. 2379 (senza immagine; tra gli intagli moderni). 427 428 103 104 GABRIELLA TASSINARI collezione di gemme di Nicolas-Claude Fabri de Peiresc (1580-1637), studioso famoso per la sua vasta conoscenza dell’antichità. Infatti Peiresc in un suo manoscritto descrive un intaglio con questo soggetto 438. Va rilevato che l’episodio era notissimo grazie a Virgilio che lo pone in relazione con la fondazione di Roma. E infatti lo stesso motivo di Caco che ruba i buoi di Ercole tirandoli per la coda, inserito in una scena più complessa di paesaggio, con alberi, una città murata, un’altra testa di bue che fa capolino e in primo piano Ercole che dorme, ritorna in placchette di bronzo di forme diverse e con varianti, firmate e non, del Moderno (Galeazzo Mondella; Verona 1467-Roma 1528) 439. Un intaglio del tutto particolare e strano (Tav. XLII e) è presente nella serie di calchi di cammei e intagli in zolfo rosso – esemplari tratti dalle più celebri raccolte italiane ed europee, tra cui la Stosch, ma anche dalle minori – prodotta dalla famosa manifattura romana Dehn-Dolce, una delle quali, cui si farà qui riferimento, terminata entro la fine del 1772, è conservata presso il Gabinetto Numismatico delle Raccolte Artistiche di Milano 440. Francesco Maria Dolce nel suo catalogo, indispensabile accompagnamento dei calchi, spiega la scena in modo ridondante e appesantito, come spesso, da notazioni erudite. Piritoo, amico di Teseo, dopo aver ripudiato la moglie Ippodamia, fece voto di non prenderne nessun’altra, se non era figlia di Giove. Così, Piritoo e Teseo scesero all’Inferno per rapire Proserpina, l’unica rimasta. Piritoo venne ucciso e divorato dal cane Cerbero e Teseo rimase prigioniero di Plutone, finchè venne liberato da Ercole 441. Il calco di questo intaglio – che il Dolce definisce un originale antico, nel museo Dehn – è presente nelle raccolte di impronte del Tassie 442 e dei Paoletti, cioè di Bartolomeo e del figlio Pietro, famosi per [RdA 34 produrre e commerciare serie di calchi di intagli e cammei, antichi e moderni 443. Alcuni intagli in lapislazzuli sono pubblicati da Leonardo Agostini, esperto e famoso antiquario, commissario delle Antichità di Roma e del Lazio, collezionista, che organizzava e dirigeva scavi e commerciava in oggetti antichi. Il suo “Le gemme antiche figurate” – primo volume edito nel 1657, secondo nel 1669; i due volumi sono riuniti e riorganizzati nell’edizione del 1686 –, con la collaborazione del suo amico, il celebre storiografo dell’arte, antiquario, erudito Giovanni Pietro Bellori, incontrò una straordinaria fortuna e divenne opera di riferimento, grazie anche al prestigio e all’autorità di cui godevano Agostini e Bellori. Tradotta in latino dal Gronovius, l’opera fu ristampata nel 1685, nel 1694 e nel 1699; sono queste le edizioni più diffuse 444. Infine vi è una ristampa allargata e arricchita delle più belle gemme dai musei romani o stranieri, con le spiegazioni dell’Agostini a cui Paolo Alessandro Maffei ha aggiunto le sue osservazioni 445. Tipico esempio di una raffigurazione che dà adito a dotte esegesi, interpretazioni, riferimenti eruditi, citazioni di fonti letterarie e iconografiche, è un intaglio con una composizione complessa 446 (Tav. XLII c, d). Una figura con in capo la sacra mitra con il fiore del loto, sedente in riva al fiume, che Agostini pensa sia il genio di Alessandria di Egitto in forma di donna, appoggia il gomito sulla testa del Nilo, tenendo lo scettro con una mano e posando l’altra sopra un paniere, pieno di grano, simbolo della fertilità di quella regione. Il fanciullo, che pone la mano sul paniere, denota l’alimento del grano, necessario alla vita; dietro la testa del Nilo c’è uno scorpione, per indicare che a novembre comincia la fecondità dell’Egitto. Sullo sfondo sono situati tre edifici, che possono esser sia i tre templi, dedicati a Iside, Osiride, Arpocrate, sia i fa- Van Der Meulen 1997, pp. 198-199, fig. 6, pp. 222-223, App. 2.12.7. Da ultimo, Rossi 2007, ove esame della scena e sua interpretazione, elenco degli esemplari e bibliografia precedente. Rossi ritiene che questa placchetta sia stata eseguita intorno al 1487. 440 Sostanzialmente inedita, la collezione milanese è in corso di studio da parte della scrivente. La divisione della raccolta corrisponde alla descrizione e sistemazione del catalogo del Dolce (che però manca). Sulla manifattura Dehn-Dolce, cfr. Daktyliotheken 2006, ad indicem; Tassinari c.s., ove bibliografia. 441 Dehn, Dolce 1772, tomo II, P, p. 49, n. 53; cassetta P (15), zolfo n. 53. 442 Raspe 1791, p. 512, n. 8680. 443 Pirzio Biroli Stefanelli 2007, p. 133, tomo II, n. 183. Sui Paoletti e la loro collezione, cfr. da ultimo, ibidem, pp. 13-24. 444 Sull’Agostini, sull’intricato problema delle varie edizioni dell’opera, Tassinari 1994, pp. 41-43, ove bibliografia anteriore. Cfr. inoltre Agostini 1960; Tondo 1993, pp. 244-248. 445 Maffei 1707-1709. 446 Agostini 1686, vol. II, pp. 54-55, n. 87. 438 439 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA mosi granai di Alessandria, che provvedevano al mantenimento di Roma. Le barche in acqua indicano la particolare posizione di quel porto ricco e importante. Vi sono incisi anche vari animali con un pastore (essi significano gli armenti, i pascoli e l’opulenza della regione), e un coccodrillo, sacro, simbolo del Nilo e dell’Egitto. Agostini conclude che, se altri vuol interpretare i vari simboli e riconoscere la fertilità dell’Africa lascia a ciascuno il proprio parere. Maffei (Tav. XLII c) 447 aggiunge le sue osservazioni relative ai tre edifici (che secondo il Raspe sono alveari) come templi e da chi furono fabbricati, esaminando il culto di Arpocrate, il simbolo del coccodrillo, le diverse raffigurazioni nelle medaglie di Alessandria. Appartenevano all’Agostini quegli esemplari privi della menzione del possessore e quindi anche questo. Esso è stato pubblicato dal Gori come diaspro blu 448, è presente nelle collezioni di calchi del Lippert 449, del Dehn (Dolce nel suo prolisso ed erudito commento, menziona e riprende l’Agostini) (Tav. XLII d) 450, del Tassie 451, del Cades e dei Paoletti 452. Nessuno mette in dubbio l’antichità di questo intaglio – pastiche; anzi lo si considera prezioso e tra i più curiosi dell’antichità. E infatti il problema cronologico, che ci assilla, non è generalmente motivo di preoccupazione per gli studiosi dei secoli XVI-XVIII: prioritario è il soggetto rappresentato e la sua identificazione. Così per un’esposizione adeguata di un intaglio pubblicato dall’Agostini (Tav. XLII f ) 453 che raffigura Venere o una Nereide che nella destra sollevata tiene un ramo, portata da un mostro marino tra i flutti del mare, mentre un amorino la segue, sollecitando l’animale, l’Agostini e il Maffei sfoggiano erudite spiegazioni, osservazioni e citazioni di fonti. 105 Analogamente Domenico Augusto Bracci non fornisce una collocazione temporale dell’intaglio, che pubblica nel secondo volume (1786) della sua opera sulle gemme antiche firmate 454 (Tav. XLIII a). Bracci ha donato in segno di gratitudine e amicizia al conte Alessandro di Voranzoff l’intaglio ‘di elegante lavoro’ che rappresenta, secondo i versi di Virgilio, riportati, Vulcano che alle preghiere di Venere comanda a un ciclope di forgiare le armi di Enea. In questo intaglio Vulcano siede sopra una corazza, dietro alla quale vi è uno scudo, abbracciando Venere, nuda, in piedi a guardare il Ciclope che siede e tiene il martello in atto di colpire l’oggetto che sta fabbricando, posto sopra un’incudine; sotto il sedile del Ciclope sta Cupido con l’arco tra le mani. La scena di Vulcano, in diverse versioni, che forgia armi o frecce per Cupido, spesso alla presenza di Venere stante, che di frequente tiene la mano di Cupido, di rado con altri dei, ricorre ripetutamente nella glittica, nelle placchette e in altre opere; è infatti una delle favorite in quel mondo rinascimentale di emblemi e personificazioni, caricandosi di valenze allegoriche e simboliche 455. Più semplice la composizione di un altro intaglio che raffigura Vulcano con il suo berretto e il martello, seduto sopra il tronco di un albero, e Minerva stante armata accanto a lui. Questo esemplare compare nella dattilioteca di Lippert e tra le riproduzioni del Tassie; Raspe nel suo catalogo lo definisce una bella incisione (Tav. XLIII b) 456. Un intaglio conservato a San Pietroburgo, al Museo Statale dell’Ermitage, datato al XVII secolo (Tav. XLIII c; Tav. LIII f ) 457, reca un’inconsueta scena di sacrificio: una figura femminile panneggiata stante immola su un’ara fiammeggiante un ariete; accanto a lei un amore tiene una torcia accesa volta Maffei 1707-1709, vol. IV, pp. 42, 44-45, n. XXX. Reinach 1895, p. 61, tav. 60, n. 52 (= Gori 1731-32, II, n. 52). 449 Lippert 1762, n. 410. 450 Dehn, Dolce 1772, tomo II, O, p. 31, n. 33; cassetta O (14), zolfo n. 33. 451 Raspe 1791, p. 471, n. 8052, che dà un commento eccezionalmente lungo. 452 Pirzio Biroli Stefanelli 2007, tomo I, p. 77, n. 709. 453 Agostini 1686, vol. II, pp. 25-26, n. 48 = Maffei 1707-1709, vol. III, pp. 13-14, n. 6. 454 Bracci 1786, p. 231, tav. XVIII, n. II. Sul Bracci (Firenze 1717-1795), erudito mediocre, privo di capacità di giudizio e di nozioni storiche, ma con il merito di insistere sugli inganni delle false firme sulle gemme, e sulla sua opera, si rimanda a Parise 1971. 455 Per alcuni dei molteplici livelli di lettura del ‘successo’ del motivo iconografico di Vulcano nel Rinascimento, v. Tassinari 1996, pp. 186-187. 456 Lippert 1762, n. 97; Raspe 1791, p. 383, n. 6474. 457 Splendeurs 2000, p. 77, n. 32/13. 447 448 106 GABRIELLA TASSINARI verso l’alto. Tralasciando le solite considerazioni ed elucubrazioni a proposito dell’amore da parte del Beger, che per primo pubblica l’intaglio, appartenente alla raccolta nel castello di Heidelberg 458, per meglio comprendere la scena ricordiamo la sua interpretazione della gemma come sacrificio della cupidine, considerata la natura libidinosa dell’ariete; premio alla pietas della donna è l’amore onesto. Priva di qualunque indicazione, la gemma è pubblicata anche da Michel Philippe Lévesque de Gravelle, nella sua Recueil de pierres gravées antiques (Paris 1732, 1737) 459. Un’altra gemma edita da Lévesque de Gravelle nella sua Recueil, e sulla cui antichità Reinach nutriva dubbi 460, apparteneva alla collezione Arundel, poi passata nella Marlborough e ora pubblicata 461. Si tratta di un intaglio con Mercurio nudo, con petaso, mantello e caduceo, che offre una borsa ad una donna drappeggiata, velata, seduta su una base di colonna, con una mano alzata. Se Lévesque de Gravelle osservava che la donna non era caratterizzata, anche di recente si sottolinea che rimane oscuro il soggetto di questo intaglio, ascritto agli inizi del XVII secolo 462. Un intaglio di Monaco, dato a produzione italiana e al XVI secolo, raffigura una menade danzante, un pugnale nel petto, la testa piegata all’indietro, in atteggiamento estatico, con capelli, chitone e mantello al vento (Tav. XLIII d) 463. Del tutto analogo un altro intaglio (impossibile stabilire, in base al disegno, se si tratta dello stesso) in lapislazzuli, pubblicato dall’Agostini e riedito dal Maffei (Tav. XLIII e) 464, conservato nel Museo di Marco Antonio Sabbatini, famoso antiquario, erudito e abile commerciante, proprietario di pietre incise di altissima qualità 465. Agostini lo definisce un eccellente lavo- [RdA 34 ro, spiega la scena, racconta il mito, citando la fonte antica. Coreso non riuscendo in nessun modo a far sì che Calliroe, vergine della Calidonia, ricambiasse il suo amore, pregò Bacco che la punisse. Per far cessare la morte dei Calidoni, l’oracolo rispose che Calliroe doveva esser sacrificata da Coreso all’altare di Bacco, se non si fosse offerto in sacrificio nessuno al posto suo. Quando la fanciulla aspettava il colpo sull’altare, Coreso, vinto dall’amore e dalla compassione, si uccise. Calliroe pentita, volendo seguire nella morte quell’amante così fedele, si ferì il petto, come appunto nella gemma. Nelle sue osservazioni Maffei ricorda un’altra differente versione. Questa raffigurazione (la qualità dell’immagine non consente di definire se è la stessa) compare in una placchetta di piombo ascritta agli inizi del XVI secolo 466 e, diversa solo per minimi particolari, su una matrice vitrea della collezione Paoletti, spiegata appunto come Calliroe che si uccide per amore di Correso 467. Il riferimento più diretto dell’intaglio di Monaco e dell’Agostini – unica differenza che la figura non ha il pugnale piantato nel petto – è un bell’intaglio in corniola, nella raccolta medicea, pubblicato dal Gori erroneamente come giacinto 468, al Museo Archeologico di Firenze, datato al I secolo a.C. - I secolo d.C. 469. Questo preciso tipo iconografico della Menade danzante in atteggiamento estatico non è diffuso solo in antico 470, come dimostrano due intagli (non appartenenti alla produzione in esame) del tutto simili al già citato intaglio antico fiorentino: uno, ritenuto appunto una sua copia, in calcedonio, probabilmente della fine XVII - inizi del XVIII secolo, del Museo degli Argenti di Firenze 471, l’al- Begerus 1685, p. 106, tav. XLVIII. Reinach 1895, p. 77, tav. 77, n. 84. Giustamente Reinach sospetta dell’antichità di questa pietra. 460 Reinach 1895, p. 78, tav. 78, n. 9. 461 Marlborough Gems 2009, p. 85, n. 134. 462 Marlborough Gems 2009, ibidem. 463 Weber 1992, p. 236, n. 361. 464 Rispettivamente, Agostini 1686, vol. II, p. 72, n. 17; Maffei 1707-1709, vol. IV, p. 48, n. XXXIII. 465 Su Sabbatini cfr. ad es. Micheli 2000, p. 545; Guerrieri Borsoi 2004, p. 168. 466 Bange 1922, p. 15, tav. 22, n. 107. 467 Pirzio Biroli Stefanelli 2007, tomo I, p. 66, n. 538. 468 Reinach 1895, p. 44, tav. 42, 871 (= Gori 1731-32, I, 871) = Furtwängler 1900, pp. 196-197, tav. XLI, n. 28. L’Antiquario granducale Giovanni Battista Zannoni rileva (Zannoni 1824, vol. I, pp. 259-260, tav. 33, n. 3) che lo stile di questo intaglio è veramente egregio e la pietra – una corniola – è così bella e pura che il Gori l’ha reputata un giacinto. 469 Tondo, Vanni 1990, p. 168, p. 192, n. 34. 470 Confronti puntuali, ad es., in Vollenweider 1966, pp. 34-35, 101, tav. 26, n. 3, n. 4 (= n. 7). 471 Gennaioli 2007, p. 406, n. 606. 458 459 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA tro in sardonice, del XVI secolo, al Museo Statale dell’Ermitage 472. Posto al centro – e quindi in una posizione preminente – del pettorale della parure Devonshire, conservata a Chatsworth, è un grande intaglio, dato al XVI secolo d.C., con un guerriero stante armato che appoggia sulle spalle la spada, tiene una clessidra e ha un leone accucciato ai suoi piedi 473: il soggetto enigmatico può esser un emblema personale che si riferisce al valore strategico della pazienza e della forza. Al XVII secolo è datato un intaglio al British Museum, con un satiro che afferra una ninfa, che allunga il suo braccio verso un albero attorno a cui è un serpente 474. Un intaglio con i busti accollati di profilo di Ercole e Onfale (o Jole), ascritto a produzione italiana e al XVI secolo, al Museo Statale dell’Ermitage (Tav. XLIII f; Tav. LIII g) 475, il cui calco è presente nella collezione del Tassie 476, rappresenta una variazione di un intaglio noto. Infatti in questo pezzo sono aggiunte la clava e la pelle di leone sulla schiena di Ercole, ma è assente l’iscrizione, rispetto a un intaglio in corniola, firmato KARPO, a Firenze, nella collezione granducale 477. Questo intaglio fiorentino era noto tramite paste vitree e calchi nelle più famose collezioni, come quella di Stosch 478, di Lippert 479, di Tassie 480, di Cades, dei Paoletti 481; era anche riprodotto nei medaglioni in avorio 482; assai simile, ma senza la firma, una placchetta di bronzo data al XVI secolo 483. Un intaglio, giustamente considerato moderno, a New York, The Metropolitan Museum of Art 484, è inciso su entrambi i lati: da una parte il busto to- 107 gato di Alessandro Magno di profilo con le corna di Zeus Ammone; dall’altra Apollo e Venere stanti vicini, nudi; Apollo tiene la lira e si appoggia a un tronco d’albero, mentre un altro albero gli è accanto; Venere sta accarezzando Amore al suo fianco. Particolarmente interessante e complesso è il caso di un intaglio con Mercurio con il caduceo in mano e Fortuna con la cornucopia, stanti uno accanto all’altro nell’atto di stringersi la mano, datato al XVII secolo, al Museo Statale dell’Ermitage (Tav. XLIII g; Tav. LIII h) 485. Il pezzo è pubblicato dal Beger 486 che nel suo solito prolisso commento sottolinea che la dextrarum iunctio indica la concordia, il caduceo la pace e la cornucopia la felicità che da essa nascono; in base alle monete egli riconosce Marco Aurelio e Faustina, simbolo della concordia maritale. La stessa raffigurazione, con varianti – ad esempio è assente il timone di Fortuna, mentre la figura maschile è identificabile come l’imperatore, laureato – è riprodotta sul retro di una medaglia di bronzo firmata da Cristoforo di Geremia 487, orafo e medaglista, di Mantova, che svolse la sua attività a Roma, dal 1456 alla morte, avvenuta prima del 22 febbraio 1476. Si presume sia stata eseguita nel 1468 in occasione della visita a Roma dell’imperatore Federico III, per commemorare la pace della Chiesa (rappresentata dalla figura femminile), come testimoniano le scritte CONCORDIA AVG. e PAX (?), racchiusa entro il caduceo; sul diritto il busto dell’imperatore diversamente identificato con Augusto o Costantino. La figurazione in esame ha avuto una discreta ‘fortuna’. Infatti si ritrova anche sul rovescio di una medaglia di papa Sisto IV attribuita a Andrea Gua- Splendeurs 2000, p. 120, n. 120/27. Scarisbrick 1986, pp. 243, 248, tav. XCIb, n. 26. 474 Dalton 1915, p. 105, tav. XXVI, n. 727. 475 Splendeurs 2000, p. 109, n. 94/1. 476 Raspe 1791, p. 784, n. 15342. 477 Pirzio Biroli Stefanelli 2007, tomo I, p. 73, n. 636. Però l’intaglio non figura in nessuna delle recenti pubblicazioni delle collezioni fiorentine. 478 Winckelmann 1760, II, pp. 292-293, n. 1796 = Furtwängler 1896, p. 341, n. 9849. 479 Zwierlein-Diehl 1986, p. 287, tav. 150, n. 867. 480 Raspe 1791, p. 208, n. 6019. 481 Pirzio Biroli Stefanelli 2007, tomo I, p. 73, n. 636, ove riferimento anche alla collezione di calchi Cades. 482 Pirzio Biroli Stefanelli 1993, pp. 31-32, n. 7, fig. 38 (Pesaro, Museo Oliveriano), fig. 61 (già a Castle Howard). 483 Bange 1922, p. 17, tav. 22, n. 124. 484 Richter 1920, pp. 201-202, tav. 84, n. 431. 485 Splendeurs 2000, p. 75, n. 28/9. 486 Begerus 1685, pp. 86-87, tav. XXVII. 487 Hill 1930, p. 197, tav. 127, n. 755. Su Cristoforo di Geremia, ibidem, pp. 195-201. 472 473 108 GABRIELLA TASSINARI cialoti o Guazzalotti (1435-1495) 488, che la riprende esattamente da Cristoforo di Geremia, dove la figura allegorica femminile rappresenta la Chiesa, come anche dichiarato dalla scritta ECCLESIA, così come su una medaglia, realizzata da un anonimo artista romano per Guillaume de Poitiers, ambasciatore francese presso papa Innocenzo VIII (1489), dove l’Imperatore è sostituito da Mercurio nudo con caduceo 489. Derivano dal retro della medaglia di Cristoforo di Geremia una serie di placchette di bronzo, che ne differiscono per l’aggiunta di un tripode tra le due figure e per la forma quadrangolare (forma che insieme alla cornice modanata suggerisce dovessero ornare un calamaio o uno scrigno), diversamente definite come Augusto e l’Abbondanza, Augusto o un imperatore e la Concordia, allegoria della Pace della Chiesa 490. Leggermente diverso dall’intaglio dell’Ermitage è l’esemplare testimoniato dai calchi Dehn-Dolce (La Pace e l’Abbondanza; da un intaglio antico) 491 (Tav. XLIII h), Tassie (spiegato come l’Abbondanza dà la mano a un imperatore romano in toga, che tiene un caduceo) 492, Cades e Paoletti (La Pace e l’Abbondanza) 493. Documentati dai calchi nella collezione del Tassie sono un intaglio inciso su un lato con Nettuno stante nel suo carro tirato da due cavalli, e dall’altro due mani unite con in mezzo un caduceo, due cornucopie e al di sotto l’iscrizione PAX (Tav. XLIV a) 494; un intaglio con Venere e Adone (?) stanti che si abbracciano (entrambi i pezzi appartenevano al barone von Gleichen) (Tav. XLIV b) 495; un intaglio con una donna stante orante verso Artemide Efesia, senza attributi (Tav. XLIV c) 496. Testimoniato solo dalla tavola di Jacob de Wil- [RdA 34 de 497, prima nella sua collezione e ora disperso (?), è un intaglio con Muzio Scevola in piedi, coronato dalla Vittoria, una lancia in una mano pone l’altra sul braciere ardente di fronte al re Porsenna, seduto con scettro e una mano alzata (Tav. XLIV d). Gruppo C Anche questi intagli sono agevolmente riconoscibili come moderni. Infatti l’iconografia antica è ripresa, ma a volte non pienamente compresa, è stata alterata o un po’ deformata; sono presenti particolari non documentati sugli analoghi esemplari antichi, la resa stilistica è di solito meno curata, sono aggiunte iscrizioni non chiare: indizi tutti, questi, che depongono appunto a favore della modernità. Comunque si tratta di formule figurative antiche e schemi iconografici di solito noti: Afrodite seduta su una roccia ed Eros che vola verso lei con le braccia aperte, nel campo le lettere G.P.Ω.; Apollo; Hermes incedente con caduceo e un grande cerchio; Dioniso si appoggia al tirso; Serapide stante con lo scettro; Ercole contro Anteo; Icaro vola sulle acque; Eroti seduti, stanti (in un caso che ruba il miele, circondato da api) o correnti verso un’ara; figure maschili e femminili che tengono un ramo, un globo o un oggetto non ben definito; un vecchio astronomo seduto con una sfera davanti a sé e un compasso, che guarda il firmamento in cui la pirite rende il sole, la luna e le stelle. Attestazioni Ferrara, Museo Civico 498 Padova, Museo Archeologico 499 Roma, collezione Di Castro 500 Hill 1930, p. 195, tav. 127, n. 753. Per un esame di Guacialoti, ibidem, pp. 192-195. Hill 1930, p. 224, tav. 139, n. 864. 490 Molinier 1886, pp. 59-60, n. 90; Bange 1922, p. 83, tav. 41, n. 611; Maclagan 1924, pp. 46-47, tav. XI, 7496-1881; Rossi 1974, pp. 14-15, n. 20, fig. 24; Toderi, Vannel Toderi 1996, p. 58, n. 95, ove ulteriore bibliografia e esemplari. 491 Dehn, Dolce 1772, tomo I, K, p. 109, n. 70; cassetta K (10), zolfo n. 70. 492 Raspe 1791, p. 486, n. 8280. 493 Pirzio Biroli Stefanelli 2007, tomo I, pp. 74-75, n. 669. 494 Raspe 1791, p. 183, nn. 2577-2578. 495 Raspe 1791, p. 384, n. 6501. Citando un bel cammeo del barone von Gleichen, Winckelmann ricorda che era il Ciambellano del sovrano danese (Winckelmann 1760, p. 139). 496 Raspe 1791, p. 153, n. 2077. 497 De Wilde 1703, p. 99, tav. 28, n. 105. 498 D’Agostini 1984, p. 30, n. 30 (II-III secolo d.C.). 499 Seidmann 1997, p. 152, n. 298 (XVI - prima metà del XVII secolo). 500 Pirzio Biroli Stefanelli 2009 (seconda metà del XVI secolo). 488 489 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA Verona, Civici Musei d’Arte 501 (Tav. XLIV e, f; Tav. LIII i; Tav. LIV a) Berna, Università, Antikensammlung 502 Budapest, Museo Nazionale Ungarico 503 Londra, British Museum 504 Madrid, Museo Archeologico Nazionale 505 Monaco, Staatliche Münzsammlung 506 Tours, Musée des Beaux-Arts 507 Ubicazione ignota, già collezione Arundel, poi Marlborough 508 Ubicazione ignota, già collezione Montigny, poi Southesk 509 Ubicazione ignota, già collezione Praun, poi StoryMaskelyne 510 Vienna, Kunsthistorisches Museum 511 Gruppo D Più difficile è provare i sospetti di non antichità di queste gemme, perché si attengono fedelmente agli antichi modelli, nella tematica e nello stile, accurato. Per identificare i pezzi come non antichi e attribuirli a questa produzione rimane per lo più, come unico rilevante indizio, il lapislazzuli, con tutti i limiti già esplicitati. Significativo esempio di come non sono sicuri i criteri per distinguere gemme antiche/non antiche sono tre intagli, a Copenaghen, a Verona e a Monaco 512, con la cosiddetta Venus victrix, nel consueto schema iconografico: la dea stante seminuda, con le gambe avvolte in un mantello panneggiato, effigiata di spalle, con il gomito appoggiato a una colonnina, tiene in una mano un elmo o un 109 ramo di palma, mentre con l’altra regge una lancia o un elmo, ai piedi della dea può esserci uno scudo; nell’intaglio di Monaco due eroti ai fianchi di Venere le offrono uno un elmo, l’altro una mela. Gli intagli di Verona e Monaco sono incisi su due lati; sul retro recano il primo un fascio di fulmini, legato nel mezzo, il secondo l’iscrizione VENVS/ VIC/TRIX (Tav. XLIV g; Tav. LIV b). Tenendo presente che il soggetto di Venere vincitrice è attestato e frequente da età cesariana per tutta l’età imperiale ed ancora nel III secolo d.C., e tutto quanto sopra osservato sull’associazione lapislazzuli – Venere – talismani d’amore, non è escluso che questi tre intagli, qui inseriti nella produzione, possano esser antichi 513. Analogo è l’esempio costituito da un intaglio in lapislazzuli, con Venere nuda stante di profilo, piegata a scherzare con Cupido in passo di danza vicino a lei (Tav. XLIV h). Il pezzo apparteneva alla raccolta di Paolo II. Praun che, si è già specificato, era formata da molte gemme non antiche. L’originale, disperso, è documentato da una pasta vitrea del Lippert ora a Würzburg (Martin-von-WagnerMuseum der Universität) 514, da un calco nella collezione del Tassie 515 e forse è la gemma pubblicata, senza indicazioni, da Lévesque de Gravelle, nella sua Recueil 516. La Zwierlein-Diehl data l’intaglio al I secolo a.C. - I secolo d.C. 517, Reinach sospetta dell’antichità della gemma edita da Lévesque de Gravelle 518. A mio parere la fortuna nel mondo rinascimentale del soggetto di Venere con Cupido, Tassinari 2009, p. 157, tav. XLIV, nn. 686-687 (XVI-XVII secolo). Vollenweider 1984, pp. 274-275, n. 477 = Götter und Heroen 2003, pp. 70-71, n. 13 (D. Willers) (IV secolo d.C.). 503 Gesztelyi 2000, pp. 87, 168, n. 301 (XVI-XVII secolo). 504 Walters 1926, p. 157, tav. XIX, n. 1397, con iscrizione sul retro: ORCRAQOMCA NICAROPHS, p. 191, tav. XXIII, n. 1779, con iscrizione AIEI/NEIKA (tra le gemme greco-romane) (= Veymiers 2009, p. 297, III. C19, tav. XV: età imperiale). 505 Casal García 1990, I, pp. 153-154, II, p. 53, n. 333 (II-III secolo d.C.); I, p. 206, II, p. 113, n. 142 (età moderna). 506 AGDS I, 3, p. 58, tav. 222, n. 2453 (tardo III secolo d.C.), p. 72, tav. 235, n. 2556 (I-II secolo d.C.); Weber 1992, p. 215, n. 303 (età tardoantica); Weber 2001, p. 184, n. 378 (prima metà del XVII secolo). 507 Collection Signol 1997, p. 16, n. 6 (età ellenistica o imperiale?). 508 Marlborough Gems 2009, p. 101, n. 171 (età rinascimentale). 509 Carnegie 1908, vol. I, pp. 42-43, tav. IV, C 23 (età antica). 510 Catalogue 1921, p. 27, tav. III, n. 176 (tra le gemme ellenistiche e greco-romane). 511 Zwierlein-Diehl 1991, p. 258, tav. 188, n. 2558, p. 267, tav. 194, n. 2599 (XVI - prima metà del XVII secolo; XVII secolo). 512 Rispettivamente Fossing 1929, p. 232, tav. XIX, n. 1724; Tassinari 2009, p. 157, tav. XLIV, n. 685; AGDS I, 3, p. 64, tav. 227, n. 2491. 513 L’intaglio di Verona è stato pubblicato da Attilio Mastrocinque come antico, tra le gemme magiche: Sylloge 2007, p. 190, n. 13. 514 Zwierlein-Diehl 1986, p. 156, tav. 61, n. 334. 515 Raspe 1791, p. 373, n. 6334. 516 Reinach 1895, p. 75, tav. 75, n. 16. 517 Zwierlein-Diehl 1986, p. 156, n. 334; Zwierlein-Diehl 1994a, p. 378, n. 202. 518 Reinach 1895, p. 75, tav. 75, n. 16. 501 502 110 GABRIELLA TASSINARI che ricorre ripetutamente e in scene diverse, caricandosi di valenze simboliche, nonché la presenza del lapislazzuli, induce ad ascrivere questo intaglio al XVI secolo. Gli intagli di questo gruppo, dunque, si collocano perfettamente nell’ambito del repertorio figurativo ‘classico’, riprendendo accuratamente un modello, antico, ma anche quattro-cinquecentesco. Si tratta di soggetti diffusi, di divinità rappresentate con i loro attributi canonici, come Venere, Zeus seduto, Apollo citaredo stante o seduto, Poseidone seduto, Mercurio seduto o incedente, Marte con le armi o incoronato dalla Vittoria, Minerva armata seduta o stante che in mano solleva una Nike o tiene una lancia o una coppa, Amore con arco e freccia, tauroctono o che brucia con una fiaccola le ali di una farfalla, Leda e il cigno, le tre Grazie, guerrieri stanti con le armi, o più generiche figure stanti, talvolta con oggetti non chiari in mano. A volte tradiscono l’innovazione (pur lieve) moderna alcuni particolari. È il caso, ad esempio, di un intaglio di Vienna, datato al XVII-XVIII secolo 519, con Onfale incedente con la testa abbassata, in parte coperta dalla pelle di leone, con gli attributi di Ercole, la pelle di leone e la clava, motivo comunissimo sulle gemme, soprattutto nel I secolo a.C. - I secolo d.C. 520. L’esemplare riprodotto può esser assai noto, come l’intaglio in corniola 521, ascritto con grandi probabilità a Felix, incisore di età augustea, con Mercurio stante nudo, in parte coperto da un pan- [RdA 34 neggio, il viso di profilo, la destra alla bocca, nella sinistra abbassata il caduceo; perduto, già della collezione Strozzi, era stato pubblicato dal Gori 522; secondo Furtwängler 523 vi sono varie repliche su gemme molto ‘sospette’. E tra queste si può annoverare un intaglio inedito, in lapislazzuli, della collezione Sloane, al British Museum 524. Una composizione famosa, imitata e replicata nel Rinascimento 525 è l’Apollo e Marsia, già della collezione Medici, poi Farnese, ora al Museo Archeologico di Napoli, un intaglio in corniola datato all’ultimo quarto del I secolo a.C. Una modificazione e probabilmente semplificazione si ha con l’iconografia di Marsia stante che suona i flauti davanti ad Apollo con la lira, seduto su un tronco d’albero, come si riscontra su un intaglio, in lapislazzuli, già della collezione de Wilde 526 (Tav. XLV a). Un ultimo indizio depone a favore della non antichità di alcuni di questi pezzi: essi presentano dimensioni maggiori degli analoghi antichi. Attestazioni Collezione privata 527 Firenze, Museo degli Argenti 528 Verona, Civici Musei d’Arte 529 (Tav. XLIV g; Tav. XLV c, d; Tav. LIV b, d, e) Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung 530 Copenaghen, Thorvaldsen Museum 531 Madrid, Museo Archeologico Nazionale 532 Madrid, Museo Nazionale del Prado, Tesoro del Delfino 533 Monaco, Staatliche Münzsammlung 534 Zwierlein-Diehl 1991, p. 268, tav. 195, n. 2604. Per un esame di questo motivo, della sua diffusione nella glittica antica e del XVIII secolo, v. da ultimo Tassinari 2009a, pp. 196-198, tav. LV, nn. 854-859. 521 Furtwängler 1900, p. 210, tav. XLIII, n. 71 (ove bibliografia precedente); Vollenweider 1966, p. 44, tav. 39, fig. 5. 522 Reinach 1895, p. 37, tav. 34, 702 (= Gori 1731-32, I, 702). 523 Furtwängler 1900, p. 210. 524 Inv. 1959, 0209.52; visione autoptica. 525 Per un esame della fortuna di questo famoso intaglio nelle gemme e nelle placchette del Rinascimento, rimandiamo solo a Caglioti, Gasparotto 1997; Maaskant-Kleibrink 1997, pp. 238-241 (con particolare riferimento alle gemme dei Paesi Bassi). 526 De Wilde 1703, pp. 155-156, tav. 44, n. 164. Per un esame, Maaskant-Kleibrink 1997, pp. 240-241. 527 Wagner, Boardman 2003, p. 59, tav. 58, n. 415 (I secolo d.C.). 528 Casazza, Gennaioli 2005, p. 305, n. 184 = Gennaioli 2007, p. 388, n. 554 (prima metà del XVII secolo). 529 Tassinari 2009, p. 157, tav. XLIV, n. 684, n. 685, n. 688 (= Sena Chiesa 1996, p. 485, tav. IV, n. 10), n. 689 (XVI-XVII secolo). L’intaglio n. 688 è pubblicato come antico in Sylloge 2007, p. 193, n. 24 [A. Mastrocinque]. 530 Furtwängler 1896, p. 321, tav. 62, n. 8765 (già considerato antico, poi ricondotto alla produzione dei lapislazzuli). 531 Fossing 1929, p. 232, tav. XIX, n. 1724 (età tardoromana). 532 Casal García 1990, I, pp. 115-116, II, p. 33, n. 167 (I-II secolo d.C.). 533 Iñiguez 1989, pp. 64, 66, n. 27 (non datato). 534 AGDS I, 3, p. 57, tav. 221, n. 2445 (II secolo d.C.), p. 64, tav. 227, n. 2491 (II-III secolo d.C.); Weber 1992, p. 236, n. 361 (XVI secolo); Weber 2001, pp. 162-163, n. 311, pp. 183-185, nn. 375, 379-380, p. 223, n. 516 (ultimo quarto del XVI - secondo quarto del XVII secolo; intorno al 1700). 519 520 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA New York, The Metropolitan Museum of Art 535 San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage 536 (Tav. XLV b; Tav. LIV c). Ubicazione ignota, già collezione de Wilde 537 (Tav. XLV a) Ubicazione ignota, già collezione Pullini, Torino 538 Ubicazione ignota, già collezione Praun, poi MertensSchaaffhausen 539 (Tav. XLIV h) Vienna, Kunsthistorisches Museum 540 Xanten, collezione privata 541 10.2. Le teste Assai vasto è l’insieme di intagli costituito da teste maschili e femminili, di profilo, collocabili nell’ambito di una produzione ‘all’antica’, classificate come filosofi, poeti, sovrani/e, apostoli … La serie è numerosissima, con altrettante numerosissime varianti, sia stilistiche, sia relative ai tratti somatici, la pettinatura, i baffi e la barba; le teste possono esser assai vicine al modello classico, tanto da esser credute antiche, o discostarsene, più o meno decisamente, trasformandolo, con un effetto complessivo sempre diverso. Allo stato attuale degli studi questa serie non risulta avere connotati ben definiti. Infatti in particolare per questo folto gruppo si rileva una mancanza di suddivisione. Solo in parte è stata risolta 542 la questione antico/non antico che, nel caso degli intagli con le teste, è particolarmente delicata e complicata dalla dipendenza e dall’imitazione del modello e dai cosidetti ritratti di ricostruzione: cioè tipi creati e diffusi in antico spesso difficilmente si distinguono da riprese ‘moderne’, eseguite in base alla conoscenza o all’ispirazione dei pezzi antichi. Così, per molte gemme l’analisi stilistica non può fare chiarezza e resta aperto o dubbio l’inquadramento cronologico. Sembra ora necessario il tentativo di suddivi- 111 dere gli esemplari, raggruppare quelli simili, individuare vari insiemi omogenei, dal punto di vista stilistico e iconografico (a volte i pezzi sono tanto simili che sembrano davvero incisi ‘da una stessa mano’), e definirne i caratteri. In questa fase della ricerca spesso non si riesce a cogliere pienamente il significato di analogie e differenze e si stenta a stabilire se esse possano o no esser ricondotte a eventuali diversi ateliers. E infatti per quanto riguarda le officine produttrici di alcuni di questi intagli sembra lasciato aperto il discorso. Le loro strette affinità inducono a supporre che essi provengano dallo stesso atelier o comunque da ateliers vicini 543. Ricordiamo che le teste radiate (filone 10, gruppo A) appartengono alla produzione dei lapislazzuli e dovrebbero quindi venire dalle stesse officine. Giustamente la ZwierleinDiehl 544 rileva una somiglianza di stile tra le teste radiate e le teste di filosofi (filone 12, gruppo A) e anche alcune teste di sovrani con corona o con la tenia (filone 11, gruppo B). La studiosa ritiene probabile vengano dalle stesse o simili officine. Si porrebbe nella stessa ottica la Maaskant-Kleibrink 545 quando, accennando ai molti intagli raffiguranti teste in questa produzione dei lapislazzuli, considera insieme le teste radiate (filone 10, gruppo A) e quelle dei filosofi (filone 12, gruppo A). Tuttavia, come precedentemente specificato, ancora più complesso che per le figure si rivela il tentativo di estrapolare dalla cospicua serie degli intagli con le teste quelli appartenenti alla produzione in esame. Il solito criterio empirico – aver come filo conduttore il lapislazzuli – è qui particolarmente limitante e condizionante, poiché numerosissime sono le attestazioni in corniola. Comunque, si è scelto di presentare alcuni insiemi più o meno ben definiti, che sembrano inquadrabili sicuramente nella produzione. Richter 1920, pp. 190-191, tav. 81, n. 405 (età moderna). Splendeurs 2000, p. 116, n. 111/18 (fine del XVI - inizi del XVII secolo). 537 De Wilde 1703, pp. 155-156, tav. 44, n. 164 = Maaskant-Kleibrink 1997, p. 239, fig. 11 (XVI-XVII secolo). 538 Micheli 1994, p. 117, pp. 173-174, n. 273 (considerato antico dal Pullini, moderno dalla Micheli). 539 Zwierlein-Diehl 1986, p. 156, tav. 61, n. 334; Zwierlein-Diehl 1994a, p. 378, n. 202 (I secolo a.C. - I secolo d.C.). 540 Zwierlein-Diehl 1991, p. 268, tav. 195, nn. 2603-2604 (XVII secolo; XVII-XVIII secolo). 541 Platz-Horster 1994, p. 224, tav. 71, n. 367 (XVII secolo [?]). 542 Per la discussione sulla collocazione cronologica di questi intagli, cfr. ad es. Sena Chiesa 1978, pp. 102-103; Tamma 1991, p. 79; Zwierlein-Diehl 1991, pp. 287-288. 543 La Weiss (Weiss 1996, pp. 165-166) giustamente ritiene vengano da officine simili alcuni degli intagli qui citati. 544 Zwierlein-Diehl 1991, pp. 248-249, 287-288; Zwierlein-Diehl 1993, p. 390. 545 Maaskant-Kleibrink 1997, p. 237. 535 536 GABRIELLA TASSINARI 112 Le classificazioni possono risultare a volte un po’ fittizie: le analogie, gli scambi, le strette interdipendenze, la molteplicità di ‘varianti’, fanno sì che i contorni di alcuni insiemi siano incerti e sfuggenti; e infatti l’assegnazione di un intaglio all’uno o all’altro gruppo può anche incontrare difficoltà, come già sottolineato per gli intagli con le figure. Filone n. 10 È un filone cospicuo di intagli, con teste di profilo, con i lineamenti del viso più o meno semplificati e marcati, i capelli resi a trattini obliqui, mediante solchi paralleli più o meno profondi, e cinti da una corona radiata. Merita riproporre all’attenzione come le gemme con questo soggetto venivano spiegate dal Gronovius, un autore in un certo senso rappresentativo della cultura del tempo. Le interpretazioni sono differenti, anche se gli intagli hanno tutti la stessa raffigurazione: “Videtur Antiochi Evergetae, qui e Sidetes, caput”; “Regum externorum vultus radiati IV radiis; ad quorum tamen alterum accedit Victorinus junior. An Orientis, vel providentiae typos dicemus? Quales sunt in Tristan. I, 464 6 2, 162”; “Caput Regis radiatum, altero oculo capti, certe obducti”. Gruppo A Questo è il gruppo più consistente e, nonostan- [RdA 34 te le leggere molteplici varianti 546, il più omogeneo e standardizzato, come iconografia e come stile. Le più numerose sono le teste radiate di profilo, con i tratti del viso molto schematici e spesso marcati; il busto, quando presente, è nudo e talvolta è reso con due-tre grossi incavi tondeggianti. Sono spiegate come teste di reali o di Helios-Sole. Più di rado la caratteristica testa radiata è impostata su un busto, con un panneggio segnato a grosse pieghe; a volte i capelli, sempre resi a trattini obliqui paralleli, scendono sulla nuca. Questi soggetti sono definiti giovani imperatori o semplicemente armati. Le pietre sono per lo più corniole e lapislazzuli, seguite a distanza da agate e diaspri verdi. Attestazioni Bologna, Museo Civico Archeologico 547 (Tav. XLV i) Ferrara, Museo Civico 548 Firenze, Museo degli Argenti 549 Torino, Museo Civico d’Arte Antica 550 Verona, Civici Musei d’Arte 551 (Tav. XLV e-h; Tav. LIV f, g) Bonn, Rheinisches Landesmuseum 552 Budapest, Museo Nazionale Ungarico 553 Colonia, Römisch-Germanisches Museum 554 Francoforte, Historisches Museum 555 Hyères, Musée 556 Londra, British Museum, collezione Sloane 557 Madrid, Museo Archeologico Nazionale 558 Monaco, Staatliche Münzsammlung 559 Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 560 A quanto mi è noto, l’unico intaglio che si distacca fortemente (e che perciò si è preferito non inserire nelle attestazioni) è costituito da una corniola, non datata, con una testa di profilo, talmente schematica e stilizzata che la corona (?) e la barba sono rese a tratti: Del Bufalo 2009, p. 18, n. 47/27g (Roma, collezione Santarelli). 547 Mandrioli Bizzarri 1987, p. 124, nn. 252-253, p. 155, n. 312 (III-IV secolo d.C.; età antica?). 548 D’Agostini 1984, p. 40, n. 59 (III-IV secolo d.C.). 549 Gennaioli 2007, p. 377, n. 520, p. 446, n. 716, p. 453, n. 741, p. 501, n. 881 (XVII secolo). 550 Bollati, Messina 2009, pp. 201-202, n. 153 (XVII?-XIX secolo). 551 Tassinari 2009, p. 157, tav. XLIV, nn. 690-691, tav. XLV, nn. 692-694 (XVI-XVII secolo). 552 Platz-Horster 1984, p. 119, tav. 32, n. 133 (non antico? IV secolo d.C.?). 553 Gesztelyi 2000, pp. 92, 175, n. 335 (XVI-XVII secolo). 554 Krug 1981, p. 170, tav. 136, n. 4, tav. 137, n. 6 (non antico). 555 Förschner 1984, p. 44, nn. 17-19 (XIX secolo). 556 Guiraud 1988, p. 92, tav. IV, n. 53 (III secolo d.C.). 557 Inv. SL.A 31, inv. SL.A 47, inv. SL.A 60, inv. SL.A 61, inv. SL.A 77, inv. SL.A 85, inv. SL.A 86, inv. SL.A 156, inv. SL.A 158, inv. SL.A 173, inv. SL.A 180; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo). 558 Casal García 1990, I, pp. 195-197, II, pp. 87-92, nn. 1-33 (età moderna). 559 Weber 1992, p. 228, n. 343 (la datazione al II-III secolo d.C. è stata corretta dalla Weber (Weber 2001, p. 185, n. 384) al XVII secolo; Weber 2001, pp. 185, 187-189, nn. 384, 390-391, 394-398 (secondo quarto - metà del XVII secolo). 560 Maaskant-Kleibrink 1986, pp. 88-89, nn. 175, 176 (XVI-XVII secolo). Cfr. ibidem, p. xii, fig. 6, una di queste teste radiate pubblicate da Gronovius. 546 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA Norimberga, Germanisches Nationalmuseum 561 Poitiers, Musée Sainte-Croix 562 Rennes, Musée des Beaux-Arts 563 San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage 564 Tours, Musée des Beaux-Arts 565 Ubicazione ignota 566 Vienna, Kunsthistorisches Museum, da Carnuntum 567 Vienna, Kunsthistorisches Museum 568 Gruppo B In alcuni intagli le fattezze dei visi sono più ‘umane’, assomigliando così a vere teste di reali; di rado sono impostate su un busto panneggiato. Da notare che cambia anche la percentuale delle pietre e sono assenti i lapislazzuli: sono agate, corniole, un’ametista e – caso assai raro – un nicolo. Attestazioni Udine, Civici Musei 569 (Tav. XLVI a) Alessandria, Museo 570 Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung 571 Berna, Università, Antikensammlung 572 Bonn, Rheinisches Landesmuseum 573 Cambridge, Fitzwilliam Museum 574 (Tav. XLVI b) Francoforte, Historisches Museum 575 Monaco, Staatliche Münzsammlung 576 Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 577 Parigi, Museo del Louvre 578 Ubicazione ignota, trovato a Chersoneso 579 113 Filone n. 11 L’insieme più numeroso è costituito dalle teste cinte da una corona di lauro o da lunghe tenie o da nastri. Gruppo A Le più vicine alle teste radiate sono le teste con i capelli resi a fitte striature parallele, talvolta disposte a spina di pesce sulla calotta cranica, raccolti con lunghe tenie o nastri; ciocche ondulate possono circondare il viso, sempre sbarbato. I tratti fisionomici, maschili e femminili, di rado sono regolari, quasi sempre disorganici e schematici, a volte sommari, col naso molto pronunciato e grandi labbroni; il busto può essere tagliato, accennato o terminare con due-tre strane protuberanze; è nudo, solo in due casi è indicato il panneggio a grossi e sommari segmenti. Nell’ambito di una relativa varietà, alcune teste sono molto simili e quasi uguali. Prevale nettamente la corniola; le altre pietre sono: lapislazzuli, agate zonate, diaspri, eliotropi, sardonici. Attestazioni Bologna, Museo Civico Archeologico 580 Cambridge, Fitzwilliam Museum 581 (Tav. XLVI c) Colonia, Römisch-Germanisches Museum 582 Weiss 1996, p. 165, n. 471 (XVI - prima metà del XVII secolo). Guiraud 1988, p. 92, tav. IV, n. 54 (III secolo d.C. [?]). 563 Robien 1972, pp. 24-25, n. 24 (III-IV secolo d.C.). 564 Inediti, citati in Weber 2001, p. 185, n. 384. 565 Collection Signol 1997, p. 22, n. 31 (epoca imperiale?). 566 Gronovius 1695, p. 24, n. 214, p. 27, nn. 236, 237, p. 30, n. 275 (XVI-XVII secolo). 567 Dembski 2005, p. 123, tav. 70, n. 699 (III secolo d.C.). 568 Zwierlein-Diehl 1991, pp. 248-249, tav. 178, n. 2540/17, tav. 179, n. 2540/25; Zwierlein-Diehl 1991, p. 390, fig. 26 (XVI - prima metà del XVII secolo). 569 Inv. n. 755, inv. n. 833, inv. n. 1024; inediti; visione autoptica (XVI-XVII secolo). 570 Boussac, Starakis-Roscam 1983, p. 492, n. 102, fig. 101 (IV secolo d.C. o moderno?). 571 Furtwängler 1900, p. 309, tav. LXVII, n. 31 (XVI-XVII secolo). 572 Götter und Heroen 2003, pp. 182-183, n. 640.23 (M. Müller) (II-III secolo d.C., antico?). 573 Platz-Horster 1984, p. 120, tav. 33, n. 134 (non antico? IV secolo d.C.?). 574 Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, p. 318, n. 665 (1600 circa?). 575 Förschner 1984, p. 55, n. 80 (XIX secolo). 576 Weber 2001, p. 210, n. 457 (secondo terzo - metà del XVII secolo). 577 Maaskant-Kleibrink 1986, p. 88, n. 177, p. 93, n. 191 (XVI-XVII secolo). 578 Alcouffe 2001, pp. 398-399, n. 191 (pietra e montatura verso 1640). 579 Kibaltchitch 1910, p. 44, tav. VI, n. 190 (età greco-romana). 580 Mandrioli Bizzarri 1987, p. 126, n. 257 (III-IV secolo d.C.). 581 Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, p. 287, n. 598 (XVI-XVII secolo). 582 Krug 1981, p. 170, tav. 136, n. 1 (non antico). 561 562 GABRIELLA TASSINARI 114 Debrecen, Déri Múzeum 583 Madrid, Museo Archeologico Nazionale 584 Praga, Museo di letteratura ceca 585 Siviglia, collezione privata 586 Ubicazione ignota, da Olbia 587 Gruppo B Questo insieme è analogo al precedente ma le fattezze sono meno stilizzate, più umane, a volte ben delineate, con un effetto finale di buona qualità. Il gruppo è estremamente variato ed eterogeneo. Il volto, maschile, sempre privo di barba, può presentar lineamenti classici, più o meno dettagliati, o stilizzati e grossolani, con profilo schematico e grandi labbroni. I capelli, cinti da una corona d’alloro o da tenia che termina con nastri talvolta svolazzanti, sono indicati mediante le solite striature parallele (ma a volte sono molto più regolari e lisci) e talora sono lunghi e ricadenti a ciocche sul collo. Il busto è tagliato sotto il collo e non finisce mai con quelle particolari protuberanze del gruppo precedente. Vengono identificate come teste di Cesare, di un imperatore romano, di Zeus, di Mercurio, di Apollo. [RdA 34 Le corniole sono prevalenti; seguono le agate zonate, i diaspri verdi e rossi, i lapislazzuli, gli eliotropi, le ametiste, i plasmi. Attestazioni Bari, Museo Archeologico 588 Bologna, Museo Civico Archeologico 589 Firenze, Museo degli Argenti 590 La Spezia, Museo Civico 591 Modena, Musei Civici 592 (Tav. XLVI g) Roma, collezione privata 593 Trieste, Civici Musei di Storia ed Arte 594 Udine, Civici Musei 595 (Tav. XLVI e, h-i) Verona, Civici Musei d’Arte 596 (Tav. XLVI f ) Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung 597 Budapest, Museo Nazionale Ungarico 598 Cambridge, Fitzwilliam Museum, collezione Lewis 599 Cambridge, Fitzwilliam Museum, collezione Wellcome 600 Francoforte, Historisches Museum 601 Le Fief-Sauvin, La Ségourie, collezione privata 602 Londra, British Museum, collezione Sloane 603 Londra, collezione Phillips Ltd, già collezione Harari 604 Madrid, Museo Archeologico Nazionale 605 Monaco, Staatliche Münzsammlung 606 Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 607 Norimberga, Germanisches Nationalmuseum 608 Gesztelyi 1987, pp. 173-174, n. 102 (non antico). Casal García 1990, I, pp. 197-201, II, pp. 92-93, 97-101, nn. 34, 40, 60-85 (età moderna). 585 Orlinski-Raidl 2000-2001, pp. 96-97, figg. 1/1, 1/7 (II secolo d.C.). 586 Lopez De La Orden 1990, p. 137, tav. X, n. 95 (fine I secolo a.C. - 30 d.C.). 587 Kibaltchitch 1910, p. 43, tav. VI, nn. 175, 177 (non datati). 588 Tamma 1991, pp. 84-85, n. 123 (età antica?). 589 Mandrioli Bizzarri 1987, p. 125, n. 255 (II-III secolo d.C.). 590 Gennaioli 2007, p. 453, nn. 738-739 (XVII secolo). 591 Sena Chiesa 1978, pp. 108-109, tav. XVI, n. 111 (fine I secolo a.C. - inizi I secolo d.C.). Per una datazione non antica di questo intaglio e dei nn. 91, 100-102, 107-108, 110, 112-116 (v. oltre), cfr. Henig 1979, p. 218. 592 Casarosa Guadagni 1993, pp. 107-108, n. 34 (I-II secolo d.C.). 593 Inedito, visione autoptica (XVI-XVII secolo). 594 Ciliberto 2008-2009, p. 132, fig. 2 (non datato). 595 Inv. n. 83, inv. n. 688, inv. n. 692, inv. n. 717, inv. n. 718, inv. n. 806, inv. n. 834, inv. n. 856, inv. n. 897, inv. n. 946, inv. n. 985, inv. n. 1038, inv. n. 1044, inv. n. 1109, inv. n. 1115; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo). 596 Tassinari 2009, p. 157, tav. XLV, n. 696 (XVI-XVII secolo). 597 Furtwängler 1896, p. 322, tav. 62, n. 8795 (già considerato antico, poi ricondotto alla produzione dei lapislazzuli). 598 Gesztelyi 2000, pp. 92, 174, nn. 330, 334 (XVI-XVIII secolo). 599 Henig 1975, p. 79, tav. 22, n. 370 (età moderna). 600 Nicholls 1983, pp. 44-45, n. 201 (XVI-XVIII secolo). 601 Förschner 1984, p. 44, n. 16 (non datato). 602 Guiraud 1988, p. 91, n. 42, fig. 5 (I secolo a.C.). 603 Inv. SL.A 152; inedito, visione autoptica (XVI-XVII secolo). 604 Boardman, Scarisbrick 1977, pp. 65-66, n. 151 (XVI secolo). 605 Casal García 1990, I, pp. 197-199, II, pp. 93-96, nn. 36-39, 41-57 (età moderna). 606 Weber 1992, p. 217, nn. 308-310 (II-III secolo d.C.); Weber 2001, p. 186, n. 387 (secondo terzo del XVII secolo). 607 Maaskant-Kleibrink 1986, pp. 87-89, nn. 172-174, 178 (XVI-XVII secolo). 608 Weiss 1996, p. 166, tav. 64, n. 473 (XVI - prima metà del XVII secolo). 583 584 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA Ouveillan, collezione privata 609 Parigi, Museo del Louvre 610 Saint-Denis, tesoro 611 Tours, Musée des Beaux-Arts 612 Ubicazione ignota, già collezione Vimercati Sozzi, Bergamo 613 (Tav. XLVI d) Ubicazione ignota, trovati a Panticapeo (Kertsch) e a Olbia, Ponto Eusino 614 Xanten, collezione privata 615 Xanten, Regionalmuseum 616 Gruppo C Questi intagli hanno le stesse caratteristiche del gruppo precedente, ma sono anche, sebbene di rado, femminili e soprattutto presentano una porzione più o meno ampia del busto, nudo, più spesso armato o con mantello drappeggiato, oppure indicato in modo sommario a grossi segmenti orizzontali e/o arrotondati: essi richiamano ritratti imperiali o di principi. Vengono definiti come busti di Apollo, di armati, di Cesare, di uno dei dodici Cesari, di un imperatore romano. Le pietre sono varie: corniole, agate, lapislazzuli, eliotropi. 115 Attestazioni Aquileia, Museo Nazionale 617 Firenze, Museo degli Argenti 618 (Tav. XLVII a) Modena, Musei Civici 619 (Tav. XLVII f ) Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria 620 (Tav. XLVII e) Roma, collezione Santarelli 621 Udine, Civici Musei 622 (Tav. XLVII b-d) Francoforte, Historisches Museum 623 Londra, British Museum 624 Madrid, Museo Archeologico Nazionale 625 Monaco, Staatliche Münzsammlung 626 Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 627 Parigi, Museo del Louvre 628 Tours, Musée des Beaux-Arts 629 Ubicazione ignota 630 Vienna, Kunsthistorisches Museum 631 Xanten, collezione privata 632 Gruppo D Nonostante le varianti, questo gruppo è così standardizzato e omogeneo che si può pensare ad un’unica officina. Perciò non si sono operate distinzioni, come invece in altri gruppi. Si tratta di teste maschili e femminili di profilo, con barba o senza, il naso pronunciato, le lab- Guiraud 1988, p. 143, tav. XXXIII, n. 481 (-50 a.C. / +50 d.C.). Alcouffe 2001, pp. 184-186, n. 63, pp. 398-399, n. 191 (XVI secolo; pietra e montatura verso 1640). 611 De Montesquiou-Fezensac, Gaborit-Chopin 1975, p. 154, n. 29, p. 162, fig. 54 (non datato). 612 Collection Signol 1997, p. 15, n. 4 (epoca imperiale o imitazione moderna?). 613 Tassinari c.s. a, n. 383 (XVI-XVII secolo). 614 Kibaltchitch 1910, p. 43, tav. VI, nn. 183, 185 (non datati). 615 Platz-Horster 1994, p. 230, tav. 74, n. 386 (XVI secolo?). 616 Platz-Horster 1987, p. 41, tav. 14, n. 73 (prima metà del I secolo d.C.). Per una più corretta datazione al XVI-XVII secolo, v. nota 110. 617 Sena Chiesa 1966, p. 323, tav. XLVII, n. 928b (III o IV secolo d.C.). 618 Gennaioli 2007, p. 449, n. 723, p. 467, n. 789 (XVII secolo; fine del XVII - inizio del XVIII secolo?). 619 Casarosa Guadagni 1993, pp. 108-109, n. 39 (XVIII-XIX secolo). 620 Vitellozzi 2010, p. 487, n. 596 (XIX secolo d.C.). 621 Del Bufalo 2009, p. 32, n. 47/104g (non datato). 622 Inv. n. 683, inv. n. 684, inv. n. 685, inv. n. 707, inv. n. 763, inv. n. 768, inv. n. 769, inv. n. 799, inv. n. 1046, inv. n. 1050, inv. n. 1065; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo). 623 Förschner 1984, p. 44, n. 21 (non datato). 624 Henig 1978, p. 247, tav. XV, n. 481 (già datato al I secolo a.C. o più tardi). Per la correzione della datazione v. nota 111. 625 Casal García 1990, I, p. 199, II, p. 96, nn. 58-59 (età moderna). 626 Weber 2001, pp. 185-186, 209, nn. 381-383, 385, 453 (secondo terzo - seconda metà del XVII secolo). 627 Maaskant-Kleibrink 1986, pp. 93-94, n. 194 (XVIII secolo?). 628 Alcouffe 2001, pp. 421-422, n. 203, primo a sinistra in basso (pietra e montatura verso 1655-1660). 629 Collection Signol 1997, p. 69, n. 197 (età moderna). 630 Gronovius 1695, p. 53, n. 607 (XVI-XVII secolo). 631 Zwierlein-Diehl 1991, pp. 248-249, tav. 178, n. 2540/23, tav. 179, n. 2540/28 (XVI - prima metà del XVII secolo). 632 Platz-Horster 1994, pp. 229-230, tav. 74, n. 383 (XVIII secolo). 609 610 GABRIELLA TASSINARI 116 bra sproporzionate, espresse con grosse linee, il collo robusto, che prosegue nell’accenno del busto, a volte panneggiato; i capelli resi a solchi paralleli, spessi o radi, possono esser cinti da una tenia, terminare in una crocchia in alto, in una coda o in una treccia sulla nuca; a volte la testa è coperta da un elmo, spesso con lungo lophos; di rado c’è una spada nel campo. La pietra è la corniola. Attestazioni Bari, Museo Archeologico 633 (Tav. XLVII g) La Spezia, Museo Civico 634 Udine, Civici Musei 635 (Tav. XLVII h) Bucarest, Gabinetto Numismatico dell’Accademia Rumena 636 Londra, Freud-Museum, collezione Freud 637 Ubicazione ignota, da Olbia 638 Gruppo E Le teste di questo gruppo, sempre maschili e di rado con la barba, hanno i capelli resi a striature parallele, cinti sia da una corona radiata stilizzata sia da una tenia con le estremità svolazzanti. I lineamenti sono piuttosto regolari o stilizzati e sommariamente trattati; il busto è tagliato sotto il collo, più di rado panneggiato. Le pietre sono la corniola (prevalente), l’agata, l’onice e il diaspro. Attestazioni Firenze, Biblioteca Marucelliana 639 Modena, Musei Civici 640 (Tav. XLVII i) Udine, Civici Musei 641 Autun, Musée Rolin 642 Bucarest, Gabinetto Numismatico dell’Accademia Rumena 643 [RdA 34 Monaco, Staatliche Münzsammlung 644 Xanten, collezione privata 645 Filone n. 12 Questo insieme risulta numeroso e piuttosto caratterizzato, dal punto di vista iconografico e stilistico, per la peculiare resa della pettinatura e dei lineamenti fisionomici. Le variazioni dallo schema compositivo e stilistico sono molteplici, ma circoscritte entro margini tali da poter riunire gli intagli in un solo filone. Gruppo A Le teste, sempre maschili, generalmente hanno il profilo a tratti marcati, il naso evidenziato, le labbra più o meno pronunciate; i capelli, spesso cinti da una corona d’alloro, un diadema, una benda o una tenia, con nastri pendenti o fluttuanti, sono espressi con sottili linee parallele (assai di rado anche concentriche), lisci sulla calotta cranica e a ciocche, piatte o rilevate, dalle tempie alla nuca; oppure la testa è quasi calva, con pochi capelli resi mediante file di segmenti, formanti una corona dalle tempie alla nuca; la barba e i baffi (spesso presenti) sono resi a fitti trattini paralleli, o la barba è folta, di solito costituita da due o più ordini di ricci, talvolta termina con uno strano pizzetto o con una ciocca scomposta; il busto è tagliato alla fine del collo o è accennato o ne è data un’ampia porzione, dove spesso è indicato il panneggio della veste o il mantello, a volte reso con un ampio sinus. Gli intagli di questo insieme sono interpretati come teste di filosofi (a volte con una ulteriore specificazione di ‘Socrate’ poiché lo si considera un Tamma 1991, pp. 85-90, nn. 125-140, 142-156 (età antica?). Formentini 1975, p. 71 (età romana). 635 Inv. n. 789, inv. n. 954, inv. n. 1083, inv. n. 1087, inv. n. 1105, inv. n. 1116, inv. n. 1118; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo). 636 Gramatopol 1974, p. 72, tav. XXI, n. 430 (età antica). 637 Weiss 2011, pp. 80-81, figg. 12-13, p. 112, nn. 42-43 (XVI-XVIII secolo) 638 Kibaltchitch 1910, p. 43, tav. VI, n. 179 (non datato). 639 Gori ectypa, tav. VI, n. 46 (impronta di ceralacca inedita; visione autoptica) (XVI-XVII secolo). 640 Casarosa Guadagni 1993, p. 108, n. 37 (XVIII secolo). 641 Anceschi 2006, pp. 119-120, figg. 14-15 (XVII-XVIII secolo?); inv. n. 808, inv. n. 1092; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo). 642 Guiraud 1988, p. 144, tav. XXXIII, n. 490 (età antica?). 643 Gramatopol 1974, p. 71, tav. XX, nn. 415-416 (età antica). V. anche Krug 1976, p. 483. 644 Weber 2001, p. 216, nn. 486-487 (tardo XVII secolo). 645 Platz-Horster 1994, p. 232, tav. 76, n. 391 (XVII-XVIII secolo?). 633 634 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA tipo ispirato ai ritratti del filosofo), di apostoli (in particolare Pietro e Paolo), in rarissimi casi come imperatori, re o Zeus. La pietra impiegata risulta in prevalenza assoluta la corniola; rari sono l’agata zonata, il diaspro, l’eliotropio. Attestazioni Adria, Museo Nazionale 646 Aquileia, Museo Nazionale 647 Bari, Museo Archeologico 648 Bologna, Museo Civico Archeologico 649 Como, Museo Civico Archeologico “Giovio” 650 (Tav. XLVIII c) Firenze, Biblioteca Marucelliana 651 La Spezia, Museo Civico 652 Milano, basilica di Sant’Ambrogio, Altare d’oro 653 Modena, Musei Civici 654 (Tav. XLVIII d) Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria 655 (Tav. XLVIII f, g) Roma, collezione Santarelli 656 117 Roma, collezione privata 657 Roma, Museo Nazionale Romano 658 Torino, Museo Civico d’Arte Antica 659 Udine, Civici Musei 660 (Tav. XLVIII e, h) Venezia, Museo Archeologico Nazionale 661 Verona, Civici Musei d’Arte 662 (Tav. XLVIII a, b) Bucarest, Gabinetto Numismatico dell’Accademia Rumena 663 Cambridge, Fitzwilliam Museum 664 (Tav. XLVIII i; Tav. XLIX a-b) Collezione privata 665 Colonia, Duomo, Altare dei tre re magi 666 Colonia, Römisch-Germanisches Museum 667 Exeter, Royal Albert Memorial Museum 668 Londra, British Museum, collezione Sloane 669 Londra, mercato antiquario 670 Lubiana, Museo Nazionale di Slovenia 671 Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 672 Norimberga, Germanisches Nationalmuseum 673 Saarbrücken 674 Spalato, Museo Archeologico 675 Tarragona, Museo Nazionale Archelogico 676 Tours, Musée des Beaux-Arts 677 Inv. 21185. Inedito, cit. in Weiss 1996, p. 166, n. 472. Inv. 47878. Inedito, cit. in Sena Chiesa 1978, p. 103. 648 Tamma 1991, pp. 78-82, 99-101, nn. 101-103, 105-114 (età antica?), nn. 198, 200-201, 203 (età moderna). 649 Mandrioli Bizzarri 1987, p. 66, nn. 71-72 (seconda metà e fine del I secolo a.C.), p. 168, n. 345 (età moderna). 650 Tassinari 2010b, pp. 171-173, fig. 15; D3075 (inedito, visione autoptica) (XVI-XVII secolo). 651 Gori ectypa, tav. XV (impronte di ceralacca inedite; visione autoptica) (XVI-XVII secolo). 652 Sena Chiesa 1978, p. 96, tav. XIV, n. 91 (II secolo d.C.), pp. 101-103, tav. XV, nn. 100-102 (metà e seconda metà del I secolo a.C.). 653 Gagetti 2002, pp. 78-79, 83, nn. 7, 11; Gagetti 2002b, pp. 29-30, figg. 4-5, nn. 9, 13 (XVII - prima parte del XIX secolo). 654 Casarosa Guadagni 1993, p. 107, n. 31 (I secolo a.C.). 655 Vitellozzi 2010, pp. 482-483, nn. 588-589 (XVI-XVII secolo d.C.). 656 Del Bufalo 2009, p. 33, n. 47/26g (non datato). 657 Inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo). 658 Inv. 126316. Inedito, cit. in Sena Chiesa 1978, p. 103. 659 Bollati, Messina 2009, pp. 209-211, nn. 168, 171, pp. 227-228, n. 203 (XVIII-XIX secolo). 660 Anceschi 2006, pp. 120-121, fig. 16. Inv. n. 720, inv. n. 756, inv. n. 767, inv. n. 798, inv. n. 812, inv. n. 944, inv. n. 1017, inv. n. 1078, inv. n. 1081, inv. n. 1088; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo). 661 De Paoli 2003 (XVIII secolo?). 662 Tassinari 2009, p. 157, tav. XLV, nn. 699-700 (XVI-XVII secolo). 663 Gramatopol 1974, p. 71, tav. XX, nn. 409, 413 (età antica). 664 Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, p. 286, n. 597, pp. 297-298, n. 626 (XVII-XVIII secolo). 665 Martin, Höhne 2005, pp. 89-90, n. 139 (XVIII-XIX secolo). 666 Zwierlein-Diehl 1998, pp. 381-382, nn. 294-295 (XVI - prima metà del XVII secolo). 667 Krug 1981, p. 170, tav. 136, n. 2 (non antico). 668 Hoey Middleton 1998, p. 104, n. 84 (XVI-XVIII secolo?). 669 Inv. SL.A 153, inv. SL.A 154, inv. SL.A 159, inv. SL.A 175, inv. SL.A 176; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo). 670 Inediti; visione autoptica (XVI-XVII secolo). 671 Nestorovič 2005, pp. 37-38, tavv. 8, 15, n. 82 (probabilmente XVI-XVII secolo). 672 Maaskant-Kleibrink 1986, pp. 94-96, nn. 198, 203 (XVI-XVIII secolo). 673 Weiss 1996, pp. 165-166, tav. 64, n. 472 (XVI - prima metà del XVII secolo). 674 Henkel 1913, p. 125, n. 1360, tav. LXXVI, n. 222, tav. LII, n. 1360a (non datato). 675 Antički Portret 1987, p. 189, n. 130 (II secolo d.C.). 676 Recoma I Vallhorat 1982, pp. 38-39, n. 9 (II-III secolo d.C.). 677 Collection Signol 1997, p. 16, n. 5, p. 63, n. 175 (epoca imperiale o imitazione moderna?). 646 647 GABRIELLA TASSINARI 118 Ubicazione ignota, già collezione Vimercati Sozzi, Bergamo 678 Ubicazione ignota 679 Ubicazione ignota 680 Ubicazione ignota, acquistato a Kichinev 681 Valencia, Università 682 Vienna, Kunsthistorisches Museum 683 Xanten, collezione privata 684 Zagabria, Museo Archeologico 685 Gruppo B Questo gruppo è variato. Si tratta di teste con capelli, spesso cinti da tenia e in un caso raccolti in un ciuffo sulla sommità del capo, a linee parallele sulla nuca, di solito lunghi e fluenti, talvolta scompigliati, così come la barba. Quando il modellato è più regolare questi intagli sono assai vicini ai busti ‘classicistici’ (filone 13). Le teste di questo gruppo non sono identificate o ipoteticamente considerate come Omero, Giove, apostolo, barbaro. Le pietre sono corniole, agate e lapislazzuli. Attestazioni Verona, Civici Musei d’Arte 686 (Tav. XLIX c) Cambridge, Fitzwilliam Museum 687 (Tav. XLIX d) Colonia, Duomo, Altare dei tre re magi 688 [RdA 34 Colonia, Römisch-Germanisches Museum 689 Karlsruhe, Badisches Landesmuseum 690 Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 691 Tours, Musée des Beaux-Arts 692 Zagabria, Museo Archeologico 693 Gruppo C Alcune teste per lo più giovanili – maschili e femminili – presentano la tipica pettinatura a sottili linee parallele cinta da una tenia e il profilo più o meno schematico, ma non la barba che invece figura sempre nei gruppi precedenti. Gli intagli non sono assolutamente uniformi: variano i lineamenti, i capelli, talvolta lunghi, e il busto, nudo, in qualche caso panneggiato. Le pietre sono corniole, agate e diaspri. Attestazioni Bari, Museo Archeologico 694 Como, Museo Civico Archeologico “Giovio” 695 (Tav. XLIX e; Tav. L c) La Spezia, Museo Civico 696 Udine, Civici Musei 697 (Tav. L a, d, e) Verona, Civici Musei d’Arte 698 (Tav. L b) Bonn, Rheinisches Landesmuseum 699 Budapest, Museo Nazionale Ungarico 700 Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 701 Tours, Musée des Beaux-Arts 702 Tassinari c.s.a, nn. 371, 381-382 (XVI-XVII secolo). Sternberg 1988, p. 110, tav. XXXVIII, n. 772 (primi del XVIII secolo). 680 Camées-Scarabées 1926, p. 22, tav. IX, n. 303, p. 23, tav. X, n. 325 (XVIII secolo). 681 Kibaltchitch 1910, p. 47, tav. VII, n. 235 (non datato). 682 Alfaro Giner 1996, pp. 44-45, tav. II, n. 8 (I secolo a.C.?). 683 Zwierlein-Diehl 1991, pp. 287-288, tav. 208, nn. 2694-2695 (= Zwierlein-Diehl 1991, pp. 390-391, figg. 27-28) (XVI - prima metà del XVII secolo). 684 Platz-Horster 1994, pp. 231-232, tav. 75, n. 389 (XVI - prima metà del XVII secolo). 685 Antički Portret 1987, p. 190, n. 131; Arte e cultura 1993, p. 167, n. 240 (A. Rendić -Miočević ) (II secolo d.C.). 686 Tassinari 2009, p. 157, tav. XLV, n. 697 (XVI-XVII secolo). 687 Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, p. 317, n. 661 (XVIII secolo). 688 Zwierlein-Diehl 1998, p. 383, n. 296 (XVIII secolo). 689 Krug 1981, p. 209, tav. 94, n. 189 (I secolo d.C.). 690 Antike Gemmen 1968, pp. 77-78, n. 4, fig. 7 (età antica). 691 Maaskant-Kleibrink 1986, p. 94, nn. 196-197 (XVII-XVIII secolo?; XVI o XVIII secolo?). 692 Collection Signol 1997, p. 63, n. 174 (non datato). 693 Arte e cultura 1993, p. 161, n. 216 (D. Nemeth-Ejrlich) (I secolo d.C.). 694 Tamma 1991, p. 84, nn. 121-122 (età antica?). 695 Tassinari 2010b, pp. 171-173, fig. 13, fig. 14 (XVI-XVII secolo). 696 Sena Chiesa 1978, pp. 109-110, tav. XVI, n. 113 (fine del I secolo a.C.). 697 Inv. n. 864, inv. n. 879, inv. n. 1036, inv. n. 1040, inv. n. 1047; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo). 698 Tassinari 2009, p. 157, tav. XLV, n. 698 (XVI-XVII secolo). 699 Platz-Horster 1984, p. 119, tav. 32, n. 132 (non antico?). 700 Gesztelyi 2000, pp. 92, 174, n. 332 (XVI-XVIII secolo). 701 Maaskant-Kleibrink 1986, p. 93, n. 192 (XVI secolo?). 702 Collection Signol 1997, p. 43, n. 107 (epoca imperiale o imitazione moderna?). 678 679 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA Ubicazione ignota, già collezione Vimercati Sozzi, Bergamo 703 Ubicazione ignota, acquistato a Kertch 704 Vienne, Musée des Beaux-Arts 705 Xanten, collezione privata 706 Zagabria, Museo Archeologico 707 Gruppo D Questi intagli presentano teste, maschili e femminili, che indossano un copricapo o un elmo, solcato da linee, a volte concentriche; talvolta fuoriescono dall’elmo nastri, pendenti o svolazzanti. I lineamenti possono esser regolari o schematici e marcati, con o senza baffi e barba, i capelli, a volte lunghi, sono resi a ciocche o a tratti paralleli, anche grossi e rilevati, il busto è tagliato o panneggiato. Alcuni intagli sono identificati come Ares/Marte e Atena/Roma. Le pietre sono corniole e lapislazzuli; più di rado agate zonate e ametiste. Attestazioni Bari, Museo Archeologico 708 La Spezia, Museo Civico 709 Modena, Musei Civici 710 (Tav. L f ) Padova, Museo di Mineralogia dell’Università 711 Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria 712 (Tav. LI c) Udine, Civici Musei 713 (Tav. L g, h) Verona, Civici Musei d’Arte 714 (Tav. LI a-b; Tav. LIV h, i). Autun, Musée Rolin 715 Bucarest, Gabinetto Numismatico dell’Accademia Rumena 716 Budapest, Museo Nazionale Ungarico 717 (Tav. LI d) Cambridge, Fitzwilliam Museum 718 (Tav. LI e) Exeter, Royal Albert Memorial Museum 719 Ubicazione ignota, già collezione Pullini, Torino 720 Ubicazione ignota, già collezione Vimercati Sozzi, Bergamo 721 Ubicazione ignota 722 Ubicazione ignota 723 Ubicazione ignota 724 Filone n. 13 Sono pochissimi gli intagli in lapislazzuli che raffigurano teste, da inserire nel filone qui definito ‘classicistico’, ‘antichizzante’, cioè che riprende fedelmente i modelli antichi o vi si attiene. Si tratta di: un busto di giovane panneggiato, al British Museum 725; due teste femminili di profilo con i capelli raccolti, a Bologna, Museo Civico Archeologico 726, e a Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam 727; Ercole barbato (o Commodo) con la leontea, inciso sul retro con uno scarabeo e la formula ABRAXAS, nella collezione Devonshire, Tassinari c.s.a, n. 384 (XVI-XVII secolo). Kibaltchitch 1910, p. 45, tav. VI, n. 206 (età antica). 705 Guiraud 1988, p. 145, tav. XXXIV, n. 501 (III-IV secolo d.C.). 706 Platz-Horster 1994, p. 233, tav. 76, nn. 392-393 (XVI-XVII secolo?). 707 Antički Portret 1987, p. 189, n. 128; Arte e cultura 1993, p. 167, n. 241 (A. Rendić -Miočević ) (II secolo d.C.). 708 Tamma 1991, p. 77, nn. 95-96, p. 80, n. 104, pp. 83-84, n. 119, p. 88, n. 141 (età antica?). 709 Sena Chiesa 1978, p. 110, tav. XVI, n. 114, tav. XVII, n. 115 (fine del I secolo a.C.). 710 Casarosa Guadagni 1993, p. 107, n. 32 (XVIII secolo). 711 Zanettin 2003, p. 99, fig. 15, in alto a sinistra (non datato). 712 Vitellozzi 2010, p. 484, n. 591 (XVI-XVII secolo d.C.). 713 Inv. n. 694, inv. n. 842, inv. n. 859, inv. n. 1018, inv. n. 1058; inediti, visione autoptica (XVI-XVII secolo). 714 Tassinari 2009, p. 157, tav. XLV, n. 695 (XVI-XVII secolo). 715 Guiraud 1988, p. 144, tav. XXXIV, n. 492 (non datato). 716 Gramatopol 1974, p. 66, tav. XVII, n. 350 (sul retro iscrizione), p. 72, tav. XXI, n. 430 (età antica). 717 Gesztelyi 2000, pp. 91, 174, nn. 328-329 (XVI-XVIII secolo). 718 Henig, Scarisbrick, Whiting 1994, pp. 335-336, n. 704 (XVII-XVIII secolo). 719 Hoey Middleton 1998, p. 105, n. 85 (XVIII secolo?). 720 Palma Venetucci 1994, p. 26, figg. 16-17; Micheli 1994, p. 119 (considerato antico dal Pullini, moderno dalla Micheli). 721 Tassinari c.s.a, n. 496 (XVI-XVII secolo). 722 Gronovius 1695, p. 56, n. 651 (XVI-XVII secolo). 723 Kibaltchitch 1910, p. 66, tav. XIX, n. 509 (età moderna). 724 Camées-Scarabées 1926, p. 21, tav. VIII, n. 286 (età moderna). 725 Dalton 1915, p. 156, tav. XXXVI, n. 1091 (XVI secolo). 726 Mandrioli Bizzarri 1987, p. 126, n. 259 (III-IV secolo d.C.). 727 Maaskant-Kleibrink 1986, p. 89, n. 179 (XVI-XVII secolo). 703 704 119 120 GABRIELLA TASSINARI a Chatsworth 728; un busto coperto da elmo, da cui fuoriescono i lunghi capelli, con una maschera sulla visiera (Minerva? Alessandro Magno?), dalla collezione Stosch, ora ai Musei di Berlino 729; un busto di Atena elmata a Rennes, Musée des Beaux-Arts 730. A Firenze, al Museo degli Argenti, sono conservati un intaglio con una figura femminile effigiata a metà, la cornucopia tra le mani e il chitone allacciato sulla spalla, variamente interpretata come baccante, Cerere, personificazione dell’Abbondanza 731, e un altro busto panneggiato, di profilo, di baccante, con corona di foglie tra i lunghi capelli 732 (Tav. LI f ). Nonostante l’identificazione non compaia nella scheda relativa, si può affermare che la seconda gemma è uno di quegli intagli dell’Agostini 733, già appartenente alla sua raccolta, quindi passato in quella granducale. Invece non figura nelle pubblicazioni delle collezioni medicee un altro intaglio edito dall’Agostini 734 e poi dal Maffei (Tav. LI g) 735 che merita un’attenzione particolare: due teste affrontate, identificate e commentate come Germanico e Agrippina, simbolo dell’amore coniugale tenace, una coppia d’eroi, unita da egual valore e dalla fine infelice, bersaglio della tirannide. Le due teste sono copiate da una moneta – un aureo dell’ottobre-dicembre 54 d.C. – con Nerone e sua madre Iulia Agrippina 736. Ma Nerone certo ha brutta fama; perciò si è scelto di definirlo Germanico, aggiungendogli la barba, per dar l’idea di ‘anzianità’. Non è chiaro il rapporto tra questo intaglio e un altro pezzo, già della collezione Stosch, descritto dal Winckelmann, come un intaglio in lapislazzuli con due teste, di Nerone giovane e della madre [RdA 34 Agrippina 737 e dal Furtwängler come una pasta vitrea blu con due punti d’oro, imitante il lapislazzuli, con una testa di un romano non barbato di fronte ad una testa femminile con pettinatura all’Agrippina 738. 10.2.1. Gli altri intagli con teste Sono stati qui riuniti quegli intagli che presentano caratteristiche tali da non poter esser inseriti in nessun gruppo, ma che tuttavia, in alcuni casi, condividono elementi dei filoni n. 11 e n. 12. Un gruppo esiguo di intagli con teste femminili e maschili, imberbi, presenta una pettinatura variata, ma sempre resa con le solite striature più o meno evidenti e grosse, senza corona, né tenia; i profili sono più o meno schematici e marcati, di solito il busto è tagliato, in qualche caso è loricato. Le pietre sono: corniola, lapislazzuli, agata, eliotropio, plasma. Sono attestati a Ferrara, Museo Civico 739, a Roma, collezione Santarelli 740, a Madrid, Museo Archeologico Nazionale 741 e a Monaco, Staa tliche Münzsammlung 742. Un rendimento a linee parallele e incrociate caratterizza un intaglio in lapislazzuli, con un busto maschile di tre quarti con i capelli pettinati all’indietro, la barba a pizzetto, il vestito guarnito di pelliccia (Monaco, Staatliche Münzsammlung). La Weber ipotizza sia il ritratto del re Carlo I di Inghilterra e lo data al secondo quarto del XVII secolo 743. La stessa resa a linee grosse e rilevate si riscontra nella barba, capelli, cresta dell’elmo e panneggio Scarisbrick 1979, fig. 4; Scarisbrick 1986, p. 251, n. 79 (dato al Rinascimento). Furtwängler 1896, p. 325, tav. 63, n. 8903 (XVI-XVII secolo). 730 Robien 1972, pp. 43-44, n. 24 (non antico). 731 Gennaioli 2007, p. 387, n. 550 (XVII secolo). 732 Gennaioli 2007, p. 391, n. 562 (XVII-XVIII secolo). 733 Agostini 1686, vol. I, p. 32, n. 32. 734 Agostini 1686, vol. I, p. 44, n. 81. 735 Maffei 1707-1709, vol. I, p. 26, n. 20. 736 Sutherland 1984, I, p. 150, n. 1. 737 Winckelmann 1760, IV, p. 444, n. 240. 738 Furtwängler 1896, p. 142, tav. 26, n. 3187. 739 D’Agostini 1984, p. 40, n. 58 (III-IV secolo d.C.). 740 Del Bufalo 2009, p. 19, n. 47/86g (non datato). 741 Casal García 1990, I, pp. 201-202, II, pp. 101-103, nn. 86-96 (età moderna). 742 Weber 1992, p. 229, n. 344 (II-III secolo d.C.); Weber 2001, p. 187, nn. 392-393 (prima metà - secondo quarto del XVII secolo). 743 Weber 2001, pp. 31, 34, 186, n. 388. 728 729 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA in un busto di armato, dal profilo regolare, identificato con Ares, di un intaglio in lapislazzuli, ascritto a epoca moderna, in una collezione privata 744. Due intagli quasi uguali, uno in agata, l’altro in lapislazzuli (moderni; Madrid, Museo Archeologico Nazionale), recano un busto di armato di profilo, senza barba, a tratti pronunciati, uno strano elmo dal pennacchio reso come una fronda d’albero, la corazza a linee grosse (Tav. LII a) 745. Singolare l’intaglio in diaspro variegato (New York, The Metropolitan Museum of Art) 746 con due teste barbate unite, di profilo, una a sinistra, l’altra a destra, impostate su un solo busto togato; il profilo è regolare ma i capelli e la barba sono resi con le solite linee parallele e fitte. Uno zolfo di questo intaglio, già nella collezione Stosch, poi in quella del Tassie, è spiegato come Giano (Tav. LII b) 747. 11. Gli intagli di soggetto cristiano Sono pochi gli intagli cristiani sicuramente attribuibili alla produzione in lapislazzuli. Pressoché identici sono gli intagli con la Madonna stante con in braccio Gesù bambino benedicente: due intagli in lapislazzuli, uno a Firenze, Museo degli Argenti (seconda metà del XVI secolo) 748, l’altro a Monaco, Staatliche Münzsammlung (ultimo quarto del XVI o primo quarto del XVII secolo) 749 (Tav. LII c), e uno in diaspro verde a Madrid (Museo Archeologico Nazionale) 750 che la Casal Garcia situa non prima del XVII secolo e ritiene giustamente opera dello stesso incisore di un intaglio in corniola con S. Francesco che riceve le stig- mate 751. Ad essi assai probabilmente se ne può aggiungere un altro in lapislazzuli 752. Del tutto simile alla Madonna è un intaglio in corniola con S. Andrea (seconda metà del XVI - prima metà del XVII secolo; Vienna, Kunsthistorisches Museum) 753 (Tav. LII d). Tutti questi intagli sono inseribili nel filone n. 2. Ricordiamo un intaglio in agata con la Crocefissione, ascritto al XVII secolo 754, affine al gruppo F del filone n. 1, e quegli intagli con raffigurazioni cristiane, del XVI-XVII secolo, stilisticamente simili al filone n. 3. Non rientrano in nessuno dei filoni individuati altri esemplari in lapislazzuli: un intaglio con una figura maschile in tunica corta che minaccia con il sacro labaro un serpente antropomorfico, che alza le braccia in gesto di sottomissione, dalla collezione Lewis, al Fitzwilliam Museum di Cambridge, datato al IV secolo d.C. 755 o al XIX secolo 756, un altro intaglio non antico, acquistato insieme al precedente, nella stessa collezione Lewis, ma ora non più a Cambridge, con una figura inginocchiata che alza una croce e alcune scritte 757; un rilievo rettangolare con Cristo in trono in maestà, con il vangelo e ai lati della testa le lettere greche IC XC (XI-XIII secolo; collezione Guy Ladrière) 758; un’altra placca non antica in rilievo con il monogramma di Cristo e pesci (New York, The Metropolitan Museum of Art) 759; il cosiddetto ‘Phocas’, il busto di fronte di un imperatore barbato e coronato, con una mano alzata a reggere un globo con una croce, classificato come un ritratto moderno copiato dalle monete, già nella collezione Montigny 760; un intaglio con il Henig, Whiting 1987, p. 43, n. 472. Casal García 1990, I, p. 203, II, p. 107, nn. 107-108. 746 Richter 1920, p. 184, tav. 80, n. 388 (III secolo d.C.). 747 Raspe 1791, p. 78, n. 773. 748 Gennaioli 2007, pp. 480-481, n. 834. Sull’altro lato di questo intaglio è incisa una crocefissione. 749 Weber 2001, p. 163, n. 312. 750 Casal García 1990, I, pp. 74, 210, II, p. 124, n. 200. 751 Casal García 1990, I, pp. 74, 210, II, p. 124, n. 201. 752 Gronovius 1695, p. 49, n. 547. 753 Zwierlein-Diehl 1991, p. 287, tav. 208, n. 2690 = Zwierlein-Diehl 1993, pp. 392-393, fig. 33. 754 San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage: Kagan 1996, p. 79, fig. 66, p. 190, n. 107. 755 Henig 1975, p. 39, tav. 9, n. 141. 756 Spier, Vassilika 1995, p. 91, fig. 7. 757 Spier 2007, p. 179, tav. 134, X 96. 758 The Art of Gem 2008, pp. 175, 348-349, n. 201. 759 Spier 2007, p. 182, tav. 136, X 141. 760 Spier 2007, p. 173, tav. 130, X 23. 744 745 121 122 GABRIELLA TASSINARI monogramma del nome di Gesù con sopra la croce e sotto tre chiodi della Crocefissione (problematico o non antico; Museo Civico di Ferrara) 761. 12. Gli intagli in lapislazzuli di età ‘antica’ Si è già sottolineato come non è assolutamente agevole, quando proprio nulla depone a favore della non antichità, distinguere gli intagli in lapislazzuli di età romana. Il problema è più spinoso e complicato da affrontare di quanto possa sembrare. Infatti non è corretto stabilire una correlazione diretta lapislazzuli – produzione di massa/moderna, né giudicare tutte erronee le datazioni antiche e ascrivere le attestazioni appunto a questa produzione e al XVI-XVII secolo. Perciò appare veramente arbitrario assegnare tutti gli intagli in lapislazzuli alla produzione in esame. Innanzi tutto ricordiamo che intagli in lapislazzuli – senza dubbio pochissimi, ma questa è la sorte comune a tutta la glittica – sono stati ritrovati in contesti da scavo, antichi 762. Inoltre teniamo presente tutto quanto sopra sottolineato in relazione al lapislazzuli. Il carattere propiziatorio e profilattico attribuito al lapislazzuli può costituire un indizio appunto di antichità; ma tale valore non sempre è evidente. Il lapislazzuli, raramente impiegato per le piccole sculture antiche, è comunque e non a caso riservato quasi esclusivamente all’ambito imperiale (cfr. supra paragrafo 4). Questa connessione non va dimenticata e induce ad una certa attenzione a determinare la datazione delle teste di reali o principi in lapislazzuli. Un caso emblematico è un bell’intaglio in lapislazzuli, con un busto femminile panneggiato, [RdA 34 dall’elaborata acconciatura, guarnita da un diadema, conservato a Firenze, al Museo degli Argenti 763 (Tav. LII e). L’intaglio è pubblicato dal Gori che lo definisce “diaspro blu” e Giulia, figlia di Tito (?) 764. Creduto antico da Sebastiano Bianchi e Giuseppe Pelli Bencivenni (ricordiamo: esperti studiosi e custodi del medagliere e della dattilioteca granducale) che identificarono il busto con Giulia, figlia di Tito, la resa dell’incisione e la pietra fanno propendere Gennaioli per una datazione intorno ai primi decenni del XVII secolo. Molto probabilmente lo studioso ha ragione, ma a mio avviso non è da escludere si tratti di un lavoro antico, sulla base appunto di quanto rilevato a proposito delle piccole sculture di principesse realizzate in lapislazzuli e la loro assimilazione a Venere. Un altro esempio significativo è un intaglio in lapislazzuli con una testa di profilo coronata, già conservato nella dattilioteca dell’erudito e collezionista Carlo Antonio Pullini (Torino 1746-1816) 765. Pullini specifica che esso compariva tra le impronte di Federico Dolce 766, cioè del figlio di Francesco Maria Dolce, erede della manifattura Dehn-Dolce, in Roma. Nella sua lunga spiegazione erudita, Francesco Maria Dolce definisce il calco in zolfo rosso Dehn-Dolce tratto da un antico intaglio in lapislazzuli e lo identifica come la testa dell’imperatore M. Aurelio Claudio, detto il Gotico, mentre non sa cosa significano le due lettere male incise, A D 767 (Tav. LII f ). Invece Federico Dolce, nel suo testo che accompagna l’impronta in scagliola della gemma in esame, riconosce l’effigie di Claudio il Gotico, ipotizza che le due lettere potrebbero significare il titolo ‘Divo Augusto’ e osserva che il lavoro senza espressione e il cattivo disegno evidenziano quanto fossero infelici le belle arti nei tempi di tale imperatore 768. D’Agostini 1984, p. 51, n. 90. Ad es. Schmidt 1971, pp. 219-220, tav. 20, n. 5 (Satiro nudo; seconda metà del II - prima metà del III secolo d.C.); Guiraud 1988, p. 157, tav. XLI, n. 586 (cacciatore con un bastone sulla spalla a cui sono sospesi i suoi trofei; da un tesoro sotterrato nella seconda metà del III secolo d.C.). Ricordiamo anche un frammento subcilindrico di lapislazzuli, purtroppo di età indefinita, tra le 28 gemme provenienti dall’area della Crypta Balbi, a Roma; il materiale è stato sepolto nel VII secolo d.C. (più precisamente tra 650 e 700 d.C.), ma le gemme sono più antiche, collocabili tra la fine dell’età repubblicana e il VII secolo d.C. Cfr. Andreozzi, Graziani, Saguì 1996, pp. 175-188, in particolare p. 178, n. 16. 763 Gennaioli 2007, pp. 426-427, n. 670. 764 Gori 1731-32, I, 6 (= Reinach 1895, p. 18, tav. 7, 6). 765 Micheli 1994, pp. 111, 117, 125; Pullini 1994, p. 260, n. 37 (senza immagine). 766 Sull’opera di Federico Dolce, cfr. da ultimo Tassinari c.s. 767 Dehn, Dolce 1772, tomo III, pp. 52-53, n. 191; cassetta AA (25), zolfo n. 191. 768 Descrizione 1792, IV, n. 177. 761 762 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA Il calco di questo intaglio è presente anche nelle raccolte di impronte del Tassie 769 e dei Paoletti 770, sempre definito Claudio il Gotico, mentre è spiegato come Appio Claudio nella collezione Cades conservata al Gabinetto Numismatico delle Raccolte Artistiche di Milano 771. Il Pullini ritiene l’intaglio la testa di Decio Traia no e lo crede antico; la Micheli lo considera moderno 772 ed è presumibile lo sia, anche se, in effetti, nulla lo svela. Così, un intaglio con la testa di un imperatore romano di profilo, laureato, dallo stile squadrato e rude, tipico dell’età tetrarchica, datato appunto dal Furtwängler intorno al 300 d.C. 773, viene da Spier 774 classificata come un’opera moderna che copia un ritratto di una moneta. Analogamente un altro intaglio con la testa di un imperatore romano improntata dallo stile caratteristico dei successori di Costantino (identificato come Costante II, Graziano, Onorio, Valente o Valentiniano) è considerato antico dal Furtwängler 775, non antico e basato su una moneta da Spier 776. Vi sono intagli in lapislazzuli di cui non è mai stata messa in discussione l’antichità. Va sottolineato – e non sembra casuale in base a quanto osservato sul lapislazzuli – che questi esemplari sono riservati alla sfera reale/imperiale o sono connessi in modo più o meno diretto con l’Egitto, per soggetto o ambito culturale. Proviene appunto dall’Egitto l’intaglio a Parigi, al Cabinet des médailles, identificato dal Plantzos come il consueto busto di Ercole con il capo coperto 123 dalla pelle di leone 777 e dalla Vollenweider come un giovane principe assimilato a Alessandro Magno e datato agli inizi del I secolo a.C. 778. Sempre al Cabinet des médailles sono conservati l’intaglio con il ritratto di Juba I, re di Numidia (60-46 a.C.), con tenia, clamide e lo scettro sulla spalla 779, e quello con la testa di un imperatore romano di profilo, laureato, con lettere al di sotto del busto, II, e davanti, OA, ascritto probabilmente a dopo il IV secolo d.C.: si rileva che questo pezzo, dall’incisione rude e sommaria, si inserisce nel quadro dei contorniati e degli intagli tardi, attraverso cui l’aristocrazia romana ricordava il buon tempo antico 780. D’altra parte è risaputo come l’artista ‘moderno’ possa imitare in modo preciso l’iconografia antica, evitando alterazioni, rielaborazioni, fraintendimenti, cioè quegli ‘errori’ che lo svelano. È questo il caso di un intaglio in lapislazzuli con un motivo antico – Ercole in lotta con il leone nemeo – nella collezione di W. Gedney Beatty, a New York 781. Saremmo stati ‘traditi’ senza la preziosa testimonianza di Osborne 782, che dichiara l’intaglio esser opera di Mariano Macceroni, un incisore della seconda metà dell’800, che, copiando dalla serie di calchi Cades di intagli e cammei, incideva seguendo fedelmente iconografia e stile antichi 783. Un caso ancora più problematico e non facilmente risolvibile è costituito dagli intagli in lapislazzuli con animali, oggetti e lettere. Se mancano indizi connotanti non si riesce a classificare tali esemplari. Ed infatti nei testi si verifica una gamma di datazioni – quando vengono fornite 784 –: età Raspe 1791, p. 663, n. 12101. Pirzio Biroli Stefanelli 2007, tomo III, p. 227, n. 285. 771 Tra i calchi della maniera latina, seconda epoca, cassetta 40, n. 1996. 772 V. nota 765. 773 Furtwängler 1900, p. 231, tav. XLVIII, n. 34. 774 Spier 2007, p. 172, tav. 130, X 15. 775 Furtwängler 1900, p. 231, tav. XLVIII, n. 38. Di entrambi i pezzi non è specificata l’attuale collocazione. 776 Spier 2007, p. 173, tav. 130, X 18. 777 Plantzos 1999, p. 127, tav. 59, n. 393. 778 Vollenweider 1995, vol. I, pp. 52-53, n. 34, vol. II, p. 29, n. 34. 779 Mariette 1750, vol. II, n. 91; Raspe 1791, p. 562, n. 9653; Chabouillet 1858, p. 268, n. 2062; Richter 1968, p. 166, n. 668; Plantzos 1999, p. 117, tav. 23, n. 130. 780 Vollenweider, Avisseau-Broustet 2003, vol. I, p. 60, n. 63, vol. II, p. 55, n. 63. 781 Osborne 1912, p. 195, p. 389, tav. XXXII, n. 3. 782 Ibidem. 783 Di Macceroni non è noto nulla. Oltre alla menzione in Osborne, viene citato solo come incisore di gemme contemporaneo a Roma, in Forrer 1930, vol. VIII, suppl., p. 1. 784 Non vengono datati i seguenti esemplari. Maschera satirica, con zampogna (Firenze, già collezione granducale: Zannoni 1824, vol. II, pp. 36-37, tav. 40, 3); Reinach 1895, p. 29, tav. 23, 471 (= Gori 1731-32, I, 471); maschera di commedia (Gergovia: Guiraud 1988, p. 189, tav. LVIII, n. 893); uno scorpione, un uccello davanti a una croce (da ana e da Panticapeo (Kertsch): 769 770 GABRIELLA TASSINARI 124 repubblicana 785, II-IV secolo d.C. 786, XVI-XVII secolo 787, età moderna 788. Concludendo, in assenza di elementi sicuri e/o di particolari significativi, è sembrata la più corretta una cauta posizione: semplicemente qui di seguito elencare, indicando i soggetti, non distinguendo figure/teste, una serie di intagli in lapislazzuli, per i quali il tentativo di classificazione antico/moderno apparirebbe infondato e azzardato. Attestazioni Collezione privata Yüksel Erimtan: divinità femminile non identificata, stante, con un ramo in mano (II secolo d.C.) 789 Collezione privata: Fortuna con modius e cornucopia (fine del I secolo d.C.) 790 Collezione privata: busto di un’imperatrice romana, con corona (non datato) 791 [RdA 34 Firenze, Museo degli Argenti: busto femminile panneggiato (antico o inizi del XVII secolo) 792 (Tav. LII e) Firenze, già collezione granducale: testa di satiro con siringa (non datato) 793 Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria: Minerva Pròmachos; Vittoria alata (II-III secolo d.C.; I-II secolo d.C.) 794 (Tav. LII g, h) Alnwick Castle, collezione duca di Northumberland: eroe nudo inginocchiato, con scudo e una corta spada (IV secolo a.C. o non datato) 795 Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung: Marte stante tiene una lancia, nella mano sollevata un globo (?), per terra elmo e scudo (età imperiale) 796 Bloomington, Indiana University Art Museum: Mercurio stante, con caduceo e borsa; ai piedi un gallo, ai lati una stella e un crescente lunare (I-IV secolo d.C.) 797 Chabournay, collezione Laurent Bricault: busto di Se- Kibaltchitch 1910, p. 33, tav. II, n. 39, p. 53, tav. X, n. 315); melograno (già collezione Vimercati Sozzi, Bergamo: Tassinari c.s.a, n. 473); un pesce, uno scorpione, un vaso con fiori, un uccello sopra una tartaruga (?) (Gronovius 1695, p. 23, n. 199, p. 54, nn. 618-619, p. 57, n. 655); questi ultimi tutti di ubicazione ignota. 785 Scrofa (Tours, Musée des Beaux-Arts: Collection Signol 1997, p. 78, n. 237); montone davanti a due spighe (Philadelphia, Università della Pennsylvania, Museum of Archaeology and Anthropology: Berges 2002, p. 35, tav. 22, n. 103; I secolo a.C. - I secolo d.C.). 786 Albero su cui si attorciglia una vite o un serpente; due forconi incrociati; un papavero (?) (Monaco, Staatliche Münzsammlung: AGDS I, 3, p. 45, tav. 212, n. 2368; I secolo d.C.; Weber 1992, p. 222, nn. 325-326; età imperiale; II secolo d.C.); montone (Malibu, J. Paul Getty Museum: Spier 1992, p. 140, n. 384; II-III secolo d.C.); oca presso un altare; vasi (Bologna, Museo Civico Archeologico: Mandrioli Bizzarri 1987, pp. 118, 122, nn. 235, 245-246; II-IV secolo d.C.); leoni; due topolini (Madrid, Museo Archeologico Nazionale: Casal Garcia 1990, I, pp. 169, 177, II, pp. 64, 70, nn. 405-406, 448; III-IV secolo d.C.); nave (Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung: Furtwängler 1896, p. 320, tav. 62, n. 8730; età imperiale); uccello (Copenaghen, Thorvaldsen Museum: Fossing 1929, p. 244, tav. XXI, n. 1827; età tardoromana); due pesci affrontati e un’ancora; lettere; monogramma (Berlino, Staatliche Museen; collezione privata; ubicazione ignota: Spier 2007, p. 43, tav. 29, n. 231, p. 84, tav. 59, n. 481, p. 195, M 38, tav. 151, M 39 (senza figura); età tardoantica-protocristiana); due pesci (Tours, Musée des Beaux-Arts: Collection Signol 1997, p. 84, n. 264; età imperiale?). 787 Aquila con le ali aperte su una colonna tuscanica, fiancheggiata da due stelle e l’iscrizione IVLIVS CESAR (Chatsworth, collezione Devonshire: Scarisbrick 1986, pp. 250-251, n. 67, tav. XCIIId; XVI secolo); lepre; anatre; tazze con foglie (Monaco, Staatliche Münzsammlung: Weber 2001, pp. 163-164, nn. 314-316, pp. 166-167, nn. 326-327 (il n. 327 è una corniola, ma è identica al n. 326); ultimo quarto del XVI secolo - prima metà del XVII secolo); fallo alato; brocca fallica (Padova, Museo Archeologico: Seidmann 1997, pp. 152-153, nn. 304-305; XVII secolo). 788 Lettera W sormontata da una stella (Bologna, Museo Civico Archeologico: Mandrioli Bizzarri 1987, p. 167, n. 340); tre frecce incrociate rivolte verso il basso dove è un cuore, ai lati due stelle (Ferrara, Museo Civico: D’Agostini 1984, p. 50, n. 89); uccello; papaveri; stella a sei punte; stella e cuore; lettere; anagramma (Madrid, Museo Archeologico Nazionale: Casal Garcia 1990, I, pp. 185-186, 209-210, II, pp. 75-76, nn. 488-491, pp. 122-123, nn. 190, 193-197). 789 Konuk, Arslan 2000, p. 119, n. 95. 790 Chaves Tristan, Casal García 1993, pp. 330-331, n. 75, fig. 3, n. 75. 791 El-Mohsen El-Khachab Abd 1963, p. 155, n. 24, tav. XXVI, 7. 792 Gennaioli 2007, pp. 426-427, n. 670. 793 Zannoni 1824, vol. II, pp. 36-37, tav. 40, 3; Reinach 1895, p. 29, tav. 23, 471 (= Gori 1731-32, I, 471). 794 Vitellozzi 2010, pp. 228-229, n. 242, p. 259, n. 287. 795 Raspe 1791, p. 436, n. 7481; Knight 1921, p. 20, tav. IV, n. 90 (IV secolo a.C.); Pirzio Biroli Stefanelli 2007, tomo II, p. 126, n. 67 (spiegata come Achille ferito). 796 Furtwängler 1896, p. 320, tav. 62, n. 8727. Del tutto probabile sia l’intaglio pubblicato dal Beger, che lo interpreta come imperatore (Begerus 1696, pp. 133-134). Cfr. anche ibidem, p. 136, n. 3045: Eros davanti a un albero spoglio; datato dal Furtwängler a età romana, privo di illustrazione. 797 Berry 1968, p. 61, n. 111. 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA rapide e busto di Iside; al di sopra una stella e un crescente lunare, al centro un sistro (II-III secolo d.C.) 798 Copenaghen, Thorvaldsen Museum: Atena armata e un’altra dea si tengono le mani, tra di esse un maiale; pastore stante si appoggia al suo bastone, accompagnato da una capra rampante su un albero (tra le gemme tardoromane) 799 Londra, British Museum: busto maschile barbato, laureato, panneggiato (tra le gemme greco-romane) 800 Madrid, Museo Archeologico Nazionale: scena di sacrificio con due eroti; Vibia Sabina; Antonino Pio; atleta (I secolo d.C.; III secolo d.C.) 801 Madrid, Museo Nazionale del Prado, Tesoro del Delfino: busto femminile (non datato) 802 Péronne, Museo, collezione Danicourt: un satiro tiene un tirso e un grappolo, dietro di lui un albero di vite, davanti un cesto pieno di grappoli (III secolo d.C.) 803 San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage: busto di Serapide (età imperiale) 804 Tours, Musée des Beaux-Arts: busto di imperatore (età imperiale?) 805 Ubicazione ignota, già collezione Pullini, Torino: testa di Decio Traiano o Claudio il Gotico; busto di baccante coronata d’edera (considerati antichi dal Pullini, moderni dalla Micheli) 806 (Tav. LII f ) Ubicazione ignota, già collezione Rothschild: Giove fiancheggiato da due divinità, al di sotto Poseidone emerge dall’oceano, bordo con i simboli dello zodiaco (II-III secolo d.C.) 807 Ubicazione ignota, già collezione Seriman, Venezia: buon pastore con dodici figure e scritte, tra cui probabilmente ICQC (gemma cristiana) 808 Ubicazione ignota, già collezione von Gleichen: Marte gradivo che porta un trofeo (non datato) (Tav. LII i) 809 Ubicazione ignota, già collezione Wellington: Melpomene tiene una maschera tragica; Iside con il suo scettro (età romana) 810 Ubicazione ignota: Zeus-Serapide stante (II secolo d.C.) 811 Ubicazione ignota: busto di donna velato (tra le gemme greco-romane) 812 Ubicazione ignota (San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage?): due busti maschili identificati come Crisippo e come Vitellio (non datati) 813 Ringraziamenti Desidero esprimere la mia riconoscenza a Adriano Maggiani e Luigi Sperti, che hanno accolto questo studio, nonostante sia un po’ eccentrico rispetto alla linea della “Rivista di Archeologia”, accettando così di superare quella barriera antico/non antico, comoda, ma spesso, soprattutto nel caso delle gemme, artificiosa. Per aver autorizzato l’utilizzo a fini scientifici delle fotografie delle gemme ringrazio Paola Marini, Direttore dei Musei Civici di Verona, Margherita Bolla, Curatore del Museo Archeologico al Teatro romano e del Museo Maffeiano di Verona, Denise Modonesi, già Conservatore della Sezione numismatica dei Civici Musei d’Arte di Verona, Lanfredo Castelletti, già Direttore dei Musei Civici di Como, Isabella Nobile e Marina Uboldi, Conservatori del Civico Museo Archeologico “Giovio” di Como. Sono grata a Maurizio Buora, già Direttore dei Civici Musei di Udine, per avermi affidato lo studio delle gemme post-classiche conservate negli stessi Musei, per avermi permesso di citarle e pubblicarle, nonché per avermi inviato le fotografie delle gemme edite in Tomaselli 1993. Una particolare menzione, gradita e doverosa, Veymiers 2009, p. 309, V.AAB 6, tav. XVII. Fossing 1929, p. 226, tav. XIX, n. 1669, p. 238, tav. XX, n. 1768. 800 Walters 1926, p. 213, tav. XXVI, n. 2039. 801 Casal Garcia 1990, I, pp. 135, 157-158, 162, II, pp. 44, 56, 59, 122-123, nn. 256, 350-351, 369. 802 Iñiguez 1989, pp. 64, 66, n. 25. 803 Boardman 2003, n. 65. 804 Veymiers 2009, p. 278, I.G 4, tav. 31. 805 Collection Signol 1997, p. 68, n. 194. 806 Micheli 1994, pp. 116-117, 260, n. 37 (senza immagine), pp. 195-196, n. 19 (24). 807 Treasures 2003, p. 20, n. 5. 808 Spier 2007, p. 82, n. 467. 809 Raspe 1791, p. 426, n. 7351 (ma è stato scritto, errato, n. 7451). 810 Scarisbrick 1977, p. 12, n. 145, p. 24, n. 391.2. 811 Veymiers 2009, p. 359, VI. DA 12, tav. 66. 812 Camées-Scarabées 1926, p. 11, tav. III, n. 137. 813 Begerus 1685, pp. 67-68, tav. X, pp. 83-84, tav. XXIV. 798 799 125 126 GABRIELLA TASSINARI spetta a Rodolfo Martini, Conservatore del Gabinetto Numismatico delle Raccolte Artistiche di Milano, per la Sua consulenza numismatica, per facilitarmi in ogni modo lo studio delle collezioni di calchi ivi conservate e per avermene consentito la pubblicazione. Ringrazio sentitamente Judy Rudoe (Assistant Keeper, Department of Medieval and Modern Europe, British Museum), che mi ha permesso l’esame della collezione Sloane al British Museum. Con grande gentilezza Tamás Gesztelyi (Università di Debrecen) mi ha inviato le fotografie delle gemme da lui pubblicate (Gesztelyi 2000), fornendomi l’informazione che nel Museo Nazionale Ungarico di Budapest vi sono parecchi intagli, con teste, della produzione dei lapislazzuli. Con altrettanta squisita cortesia Claudia Wagner (FSA Beazley Archive, Classics Centre, Oxford), mi ha mandato le fotografie delle gemme nel Fitzwilliam Museum di Cambridge (edite in Henig, Scarisbrick, Whiting 1994), dell’intaglio in collezione privata (pubblicato in Wagner, Boardman 2003), nonché dei calchi di gemme della collezione di James Tassie (Beazley Archive: http://www.beazley. ox.ac.uk) con il relativo permesso di pubblicarle. Devo alla disponibilità di Sveta Kokareva (Department of Western European Decorative Art, Museo Statale dell’Ermitage, San Pietroburgo) le informazioni riguardo ai pezzi, inediti, di questa produzione conservati in quel Museo. Per l’autorizzazione alla pubblicazione delle fotografie di gemme edite, ringrazio Alfred BernhardWalcher (Stv. Direktor, Kunsthistorisches Museum, Antikensammlung, Vienna), Virgine Durand (Vienne, Musée des Beaux-Arts), Vladimir Matveyev (Deputy Director, Museo Statale dell’Ermitage, San Pietroburgo), Olga Novoseltseva (Manager Rights and Reproductions Office, Museo Statale dell’Ermitage, San Pietroburgo), Francesca Piccinini (Di- [RdA 34 rettrice, Museo Civico d’Arte di Modena), Cristina Stefani (Archivio fotografico del Museo Civico d’Arte di Modena). Desidero esprimere i miei più vivi ringraziamenti ad Annalisa Zanni (Direttrice del Museo Poldi Pezzoli di Milano) e Andrea Di Lorenzo (Conservatore di Pittura e Arti Decorative dello stesso Museo) per avermi affidato lo studio e la pubblicazione del taccuino di disegni, conservato al Museo Poldi Pezzoli, che documenta parte della collezione glittica del conte Paolo Vimercati Sozzi (18011883). Ho avuto la possibilità di fotografare e pubblicare le gemme edite da Iacobus Gronovius nella sua opera (Gronovius 1695) grazie alla cortesia di Rina La Guardia (Direttore del Centro di Alti Studi sulle Arti Visive, della Biblioteca d’Arte, della Biblioteca Archeologica e Numismatica di Milano), nonché la gemma edita in Bracci 1786, grazie a Isabella Fiorentini (Direttore della Biblioteca Trivulziana di Milano). Ringrazio Riccardo Gennaioli per le fotografie tratte dal suo libro (Gennaioli 2007); Giovanni Frumusa per la fotografia e le indicazioni relative all’intaglio pubblicato dal Formentini, conservato al Museo Civico di La Spezia; Elisabetta Gagetti per le scannerizzazioni di fotografie dai libri della sua ricca biblioteca. Molto del mio lavoro di questi anni non sarebbe stato possibile senza Fabrizio Slavazzi, per il suo aiuto costante e amichevole, lo scambio di idee, l’accesso alla sua eccezionale biblioteca. Infine un particolare ringraziamento a Paolo Vitellozzi, affascinato come me dallo straordinario mondo delle gemme, che mi ha consentito sia la visione della sua opera mentre era in corso di stampa (Gemme e Cammei della Collezione Guardabassi nel Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria a Perugia) sia la pubblicazione di alcune fotografie. 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA 127 Elenco delle tavole Tav. XXXI a) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile, seduta su di un trofeo di armi (corazza, due lance e scudo) a cui si appoggia con una mano; con l’altra protesa tiene un elmo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 661 (Foto E. Ceolin); b) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile, seduta su di un trofeo di armi (corazza, tre lance e scudo?) a cui si appoggia con una mano; con l’altra protesa tiene un elmo. Cambridge, Fitzwilliam Museum. Beazley Archive (Foto B. Wilkins); c) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile, seduta su di un tronco d’albero, tiene nella mano protesa un elmo. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Casal García 1990, II, p. 118, n. 166; d) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile, seduta su di un tronco d’albero, tiene nella mano protesa una Vittoria. Ubicazione ignota, già collezione Macgowan. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 12655. Beazley Archive, Oxford University; e) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile stante si appoggia ad una colonnina e tiene un elmo nella mano protesa; dietro la colonnina alcune armi (?). Ubicazione ignota. Da Gronovius 1695, pp. 53-54, n. 615; f ) intaglio in corniola. Erote incedente con clamide svolazzante e arco imbracciato nell’atto di scoccare la freccia. Bologna, Museo Civico Archeologico. Da Mandrioli Bizzarri 1987, p. 90, n. 143; g) intaglio in lapislazzuli. Erote incedente con clamide svolazzante e arco imbracciato nell’atto di scoccare la freccia. Ubicazione ignota, già collezione Vimercati Sozzi, Bergamo. Tassinari c.s.a, n. 395; h) intaglio in lapislazzuli. Erote stante con arco (?) e freccia (?). Udine, Civici Musei. Foto Musei; i) intaglio in lapislazzuli. Erote stante mette una mano sull’arco poggiato a terra, mentre tiene una freccia (?) nell’altra. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 663 (Foto E. Ceolin). Tav. XXXII a) intaglio in corniola. Erote stante mette una mano sull’arco poggiato a terra, mentre tiene nell’altra una freccia. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 664 (Foto E. Ceolin); b) intaglio in agata zonata. Erote stante mette una mano sull’arco poggiato a terra, mentre tiene nell’altra una freccia. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 665 (Foto E. Ceolin); c) intaglio in corniola. Vulcano (o un fabbro) sembra ma non è seduto, poggia solo l’ampia curva del suo mantello; alza il braccio col martello (?) in atto di colpire un oggetto, non chiaro, poggiato su un podio cilindrico; sullo sfondo due lance oblique e una serie di ghirlande (?) dritte e capovolte. Cambridge, Fitzwilliam Museum. Da Tassinari 1996, p. 163, n. 7, fig. 6; d) intaglio in agata zonata. Vulcano (o un fabbro), con la clamide che forma un’ampia curva, seduto di profilo, alza il braccio col martello in atto di colpire un elmo poggiato su un podio cilindrico. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Tassinari 1996, pp. 161-162, n. 1, fig. 1; e) intaglio in corniola. Vulcano seduto di profilo, con la clamide che forma un’ampia curva, alza il braccio col martello in atto di colpire un elmo poggiato su un podio e tenuto da un erote. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Tassinari 1996, p. 162, n. 3, fig. 3; f ) intaglio in agata zonata. Vulcano seduto di profilo, con la clamide che forma un’ampia curva, alza il braccio col martello in atto di colpire un elmo (?) poggiato su un podio. Sullo sfondo una figura maschile nuda (Achille? Enea? Un guerriero?) stante, di profilo, una lancia in una mano, tocca con l’altra uno scudo verticale. Nimega, Provinciaal Museum G. M. Kam. Da Tassinari 1996, pp. 162-163, n. 5, fig. 4; g) intaglio in corniola. Figura femminile stante, con panneggio ad arco, tiene nella mano protesa un ramo di palma; nel campo in basso una stella. Udine, Civici Musei. Foto Musei; h) intaglio in corniola. Figura femminile, con panneggio ad arco, incedente, tiene nella mano protesa una patera (?) sopra una face accesa, nell’altra mano uno scettro e un ramo. Ubicazione ignota, già collezione de Wilde. Da De Wilde 1703, tav. 28, n. 108; i) intaglio in agata. Amore inginocchiato davanti ad un’ara sopra cui egli pone una pianta germogliante da un cuore; in alto un altro Amore vola portando una corona, in basso piante e ciuffi d’erba. Vienna, Kunsthistorisches Museum. Da Kris 1929, tav. 99, n. 421. Tav. XXXIII a) intaglio in agata. Amore inginocchiato davanti ad un’ara sopra cui egli pone una pianta germogliante da un cuore; sul suolo piante e ciuffi d’erba. Firenze, Museo degli Argenti. Da Gennaioli 2007, p. 376, n. 516 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); b) intaglio in agata zonata. Amore inginocchiato davanti ad un’ara sopra cui egli pone una pianta germogliante da un cuore; in alto una stella in mezzo alle nuvole, sul suolo ciuffi d’erba. Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da Weber 2001, p. 192, n. 407; c) intaglio in agata zonata. Amore inginocchiato accosta una fiaccola ad un prisma posto su un basamento; in alto il sole tra le nuvole, in basso ciuffi d’erba. Firenze, Museo degli Argenti. Da Gennaioli 2007, p. 376, n. 517 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); d) intaglio in corniola. Apollo con la lira incede verso Marsia seduto e legato ad un albero. Firenze, Museo degli Argenti. Da Gennaioli 2007, p. 389, n. 557 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); e) intaglio in diaspro. Apollo con la lira incede verso Marsia seduto e legato ad un albero. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Ca- 128 GABRIELLA TASSINARI [RdA 34 sal García 1990, II, p. 104, n. 99; f ) intaglio in diaspro. Apollo con la lira incede verso Marsia seduto e legato ad un albero. Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da Weber 2001, p. 193, n. 410; g) intaglio in corniola. Amore stante su un podio posa una corona sopra la testa di un giovane stante, che tiene in una mano un ramo, nell’altra una lancia. Budapest, Museo Nazionale Ungarico. Gesztelyi 2000, p. 86, n. 295; h) intaglio in lapislazzuli. Marte (?) stante su un podio posa una corona (?) sopra la testa di un giovane stante, che tiene in una mano un ramo, nell’altra una lancia; tra di essi un’ara fiammeggiante. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Casal García 1990, II, p. 104, n. 100; i) intaglio in agata. Amore stante su un podio posa una corona sopra la testa di un giovane stante, che tiene in una mano una freccia, nell’altra una lancia; tra di essi un’ara. Ubicazione ignota. Da Kibaltchitch 1910, tav. IX, n. 290. Tav. XXXIV a) intaglio in lapislazzuli. Un amore vola portando una corona verso un personaggio adagiato su una roccia (?) tra elementi vegetali. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Casal García 1990, II, p. 105, n. 102; b) intaglio in lapislazzuli. Venere nuda stante abbraccia Amore in piedi su un’ara, tra piante e ciuffi d’erba; nel cielo una stella tra le nuvole. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Casal García 1990, II, p. 105, n. 101; c) intaglio in agata. Venere nuda stante abbraccia Amore in piedi su un’ara, tra piante e ciuffi d’erba; nel cielo una stella tra le nuvole. Firenze, Museo degli Argenti. Da Gennaioli 2007, p. 385, n. 543 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); d) intaglio in agata zonata. Guerriero, seduto su un trofeo, afferra con una mano la lancia e tiene nell’altra un elmo; in alto una stella tra le nuvole, in basso ciuffi d’erba. Cambridge, Fitzwilliam Museum. Beazley Archive (Foto B. Wilkins); e) intaglio in agata zonata. Guerriero stante si appoggia col gomito ad una colonnina e tiene nella mano protesa un elmo; in alto una stella tra le nuvole, in basso sul suolo erboso corazza, scudo e lance. Tours, Musée des Beaux-Arts. Da Collection Signol 1997, p. 59, n. 161; f ) intaglio in agata. Guerriero, seduto su di un trofeo di armi, tiene nella mano protesa un elmo e nell’altra un’asta; in alto una stella tra le nuvole, in basso ciuffi d’erba. Firenze, Museo degli Argenti. Da Gennaioli 2007, p. 375, n. 514 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); g) intaglio in lapislazzuli. Apollo tende la mano verso Dafne che si sta trasformando in albero. Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da Weber 1992, pp. 190-191, n. 243; h) intaglio in agata zonata. Eros e Anteros (?) colgono e tengono in mano alberelli e rami Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da Weber 2001, pp. 160-161, n. 306; i) intaglio in agata. Figura maschile, seduta su un tronco d’albero, tiene nella mano cinque serpenti davanti a un’ara accesa; nel campo due scorpioni e dei segni, in alto corre sulle nuvole un’altra figura maschile con il dito alzato. Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da Weber 2001, pp. 177-178, n. 355. Tav. XXXV a) intaglio in corniola. Due figure maschili, una seduta su una roccia (?) dietro la quale vi è un albero, un’altra stante con una freccia in mano. Ubicazione ignota. Da Kibaltchitch 1910, tav. IX, n. 286; b) intaglio. Una coppia è aggiogata ad un carro sul quale sta in piedi Amore con una spada in mano e nell’altra una bilancia; nel campo un cuore trafitto da frecce, sul suolo fiori e ciuffi d’erba. Vienna, Kunsthistorisches Museum. Da Kris 1929, tav. 99, n. 420; c) intaglio in corniola. Figura maschile nuda stante tiene una freccia in una mano. Como, Museo Civico Archeologico “Giovio”. Tassinari 2010b, p. 172, fig. 12; d) intaglio in corniola. Guerriero nudo stante si appoggia all’asta e tiene forse un arco nella mano abbassata. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 666 (Foto E. Ceolin); e) intaglio in corniola. Guerriero nudo stante si appoggia alla lancia e posa una mano sullo scudo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 667 (Foto E. Ceolin); f ) intaglio in corniola. Guerriero nudo stante si appoggia all’asta e tiene una frusta (?) nella mano. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 668 (Foto E. Ceolin); g) intaglio in corniola. Guerriero nudo stante si appoggia all’asta e posa la mano abbassata sullo scudo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 671 (Foto E. Ceolin); h) intaglio in corniola. Ercole stante impugna l’arco con una mano e poggia l’altra sulla clava a terra. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 672 (Foto E. Ceolin); i) intaglio in corniola. Armato stante con asta in una mano, braccio al fianco, manto rigonfio ad arco. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 673 (Foto E. Ceolin). Tav. XXXVI a) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile stante, nuda, con un braccio flesso e alzato e in mano un oggetto tondo, l’altro abbassato tiene un ramo con foglie; per terra è ritta una fiaccola (?). Udine, Civici Musei. Foto Musei; b) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile stante, nuda, tiene nelle mani due attributi non chiari. Udine, Civici Musei. Foto Musei; c) intaglio in lapislazzuli. Muzio Scevola stante tiene una mano sulla fiamma di un’ara e con l’altra stringe un’asta. Firenze, Museo degli Argenti. Da Gennaioli 2007, p. 415, n. 637 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); d) intaglio in lapislazzuli. Muzio Scevola stante tiene una mano sulla fiamma di un’ara e con l’altra stringe un’asta. Ubicazione ignota. Da Gronovius 1695, p. 23, n. 207; e) intaglio in eliotropio. Muzio Scevola stante tiene la mano sulla fiamma di un’ara e con l’altra stringe un’asta. Bologna, Museo Civico Archeologico. Da Mandrioli Bizzarri 1987, p. 147, n. 287; f ) intaglio in corniola. Apollo citaredo incedente, con un lungo mantello sulle spalle. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, p. 468, n. 566 (Foto P. Vitellozzi); g) intaglio in lapislazzuli. 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA 129 Figura femminile stante, in un lungo chitone, tiene un bastone in una mano e una spiga o una fronda nell’altra. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 662 (Foto E. Ceolin); h) intaglio in corniola. Cerere stante, con scettro e fiaccola o Tyche con timone. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, pp. 469-470, n. 568 (Foto P. Vitellozzi); i) intaglio in agata. Figura femminile incedente porta tra le mani una patera con offerte (?) verso un’altra figura femminile (?) stante che ha in mano una freccia e nell’altra un ramo; tra le due figure un vaso con rami; in alto delle stelle, in basso ciuffi d’erba. Vienna, Kunsthistorisches Museum. Da Kris 1929, tav. 99, n. 427. Tav. XXXVII a) intaglio in eliotropio, frammentario. Fortuna-Minerva stante, con elmo e chitone, tiene in una mano la cornucopia, nell’altra il timone. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 675 (Foto E. Ceolin); b) intaglio in agata. Fortuna-Minerva stante, con elmo e chitone, tiene in una mano un ramo, nell’altra il timone. Ubicazione ignota, già collezione de Wilde. Da De Wilde 1703, tav. 27, n. 104; c) intaglio in lapislazzuli. Vulcano seduto, in atto di martellare un oggetto che però manca; accanto a lui Atena stante. Berlino, Staatliche Museen, Antikensammlung. Da Tassinari 1996, pp. 163-164, n. 8, fig. 8; d) intaglio in corniola. Figura femminile, incedente di profilo, porta un ramo in una mano. Ubicazione ignota. Da Gronovius 1695, p. 31, n. 292; e) intaglio in corniola. Mercurio stante solleva una patera e stringe il caduceo (?). Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 678 (Foto E. Ceolin); f ) intaglio in corniola. Minerva (?) stante, con chitone e himation, in una mano sollevata tiene la lancia, nell’altra un frutto. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 679 (Foto E. Ceolin, G. Fogliata); g) intaglio in corniola. Figura femminile stante posa una mano su un’ancora, tiene l’altra sollevata con un dito puntato verso l’alto. Cambridge, Fitzwilliam Museum. Beazley Archive (Foto B. Wilkins); h) intaglio in corniola. Figura femminile seduta che nella mano protesa tiene un ramo di palma. Budapest, Museo Nazionale Ungarico. Gesztelyi 2000, p. 169, n. 305; i) intaglio in agata striata. Venere-Roma, seduta su una corazza cui sono appoggiati due scudi, alza le braccia e posa la mano sulla lancia; davanti a lei una fiiaccola accesa. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, p. 472, n. 572 (Foto P. Vitellozzi). Tav. XXXVIII a) intaglio in agata. Guerriero nudo, stante, si appoggia alla lancia e posa una mano sullo scudo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 677 (Foto E. Ceolin); b) intaglio in lapislazzuli. Figura femminile incedente, nella mano protesa tiene una tazza (?) sopra un altare a forma di colonna (?) e nell’altra mano una fiaccola (?). Vienna, Kunsthistorisches Museum. © Kunsthistorisches Museum Wien, Antikensammlung (Foto I. Luckert); c) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile, seduta, protende una mano verso un sostegno non precisabile e appoggia l’altra al sedile. Vienna, Kunsthistorisches Museum. © Kunsthistorisches Museum Wien, Antikensammlung (Foto I. Luckert); d) intaglio in agata zonata. Figura maschile, seduta, in una mano protesa tiene una patera (?); dietro un caduceo (?). Vienne, Musée des Beaux-Arts. Foto Musées de Vienne; e) intaglio in corniola. Personaggio stante nudo, di profilo, con un oggetto non definibile. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 680 (Foto E. Ceolin); f ) intaglio in corniola. Eros avanzante, di profilo, tra le mani tiene un frutto o una palla. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 682 (Foto E. Ceolin); g) intaglio in corniola. Amore stante, di profilo, con le mani stese tiene un tridente. Budapest, Museo Nazionale Ungarico. Gesztelyi 2000, p. 169, n. 310; h) intaglio in calcedonio. Figura stante con un’asta in una mano e un bastone (?) nell’altra. Modena, Museo Civico d’Arte. Modena, Archivio fotografico del Museo Civico d’Arte (Foto G. Roncaglia); i) intaglio in agata zonata. Figura maschile seduta su un tronco d’albero su cui appoggia una mano; nell’altra protesa tiene un elmo. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Casal García 1990, II, p. 119, n. 171. Tav. XXXIX a) intaglio in corniola. Figura maschile seduta su un tronco d’albero in atto di suonare uno strumento. Ubicazione ignota, già collezione de Wilde. Da De Wilde 1703, tav. 39, n. 147; b) intaglio in agata. Figura maschile inginocchiata, con panneggio ad arco, in atto di suonare uno strumento. Leida, Royal Coin Cabinet. Da De Wilde 1703, tav. 3, n. 9; c) intaglio in diaspro zonato. Figura maschile seduta su un tronco d’albero con un albero tra le mani. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Casal García 1990, II, p. 120, n. 176; d) intaglio in corniola. Mercurio seduto su un tronco d’albero su cui appoggia una mano; nell’altra protesa tiene il caduceo; al di sotto un elemento vegetale. Firenze, Museo degli Argenti. Da Gennaioli 2007, p. 380, n. 530 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); e) intaglio in diaspro. Figura maschile seduta su un tronco d’albero con un globo tra le mani. Madrid, Museo Archeologico Nazionale. Da Casal García 1990, II, p. 120, n. 177; f ) intaglio in agata verde (?). Una figura maschile stante taglia uno dei grappoli d’uva, un’altra li pigia in una tinozza. Leida, Royal Coin Cabinet. Da De Wilde 1703, tav. 39, n. 145; g) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile incedente, con panneggio ad arco, tiene in mano una serpe. Ubicazione ignota, già collezione de Wilde. Da De Wilde 1703, tav. 37, n. 140; h) intaglio in corniola. Apollo stante posa una mano sulla lira e l’altra su un tronco d’albero; Marsia suona, seduto su un tronco d’albero. Leida, Royal Coin Cabinet. Da De Wilde 1703, tav. 21, n. 78; i) intaglio in sardonice. L’imperatore, seduto, riceve l’omaggio di un barbaro inginoc- 130 GABRIELLA TASSINARI [RdA 34 chiato che gli porge un globo; sulla destra un soldato; sullo sfondo un albero. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, p. 479, n. 582 (Foto P. Vitellozzi). Tav. XL a) intaglio in lapislazzuli. Vulcano barbato, seduto di profilo, alza il braccio col martello in atto di colpire un elmo collocato su una piccola incudine posta su un basamento cilindrico; sullo sfondo si stagliano due lance. Roma, Musei Capitolini. Da Tassinari 1996, pp. 164-165, n. 9, fig. 9; b) intaglio in agata. Figura maschile (Vulcano o Dedalo) barbata, seduta di profilo, alza il braccio col martello per forgiare un’ala collocata su una piccola incudine posta su una roccia. Disperso, già appartenente a Johann Friedrich Christ, a Lipsia. Calco nella collezione di Philipp Daniel Lippert (Foto Istituto Archeologico Germanico, Roma); c) intaglio in lapislazzuli. Figura femminile incedente, con mantello ad arco, tiene in una mano protesa un globo e nell’altra uno scettro (?); ai suoi piedi uno scudo e delle lance. Budapest, Museo Nazionale Ungarico. Gesztelyi 2000, p. 168, n. 299; d) intaglio in corniola. Figura femminile, di profilo, con veste svolazzante e mantello ad ampio arco, incedente a braccia tese in avanti, porta una benda (?) tra le mani; davanti a lei un’asta (?) o una colonnina (?). Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 683 (Foto G. Fogliata); e) intaglio in lapislazzuli. Figura femminile, incedente di profilo, con veste svolazzante e mantello ad ampio arco, porta nella mano protesa un fiore (?); davanti a lei un vaso di fiori. Ubicazione ignota. Da Gronovius 1695, p. 50, n. 563; f ) intaglio in lapislazzuli. Eroe nudo seduto, nella mano protesa tiene una Vittoria; ai suoi piedi elmo, corazza, scudi, lance; davanti un pilastro con in cima un globo. Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da Weber 2001, pp. 183-184, n. 377; g) intaglio in agata. Eroe nudo, seduto, nella mano protesa tiene una Vittoria; dietro di lui un elmo, davanti un pilastro con in cima un globo e sotto corazza, scudi, lance. Collezione privata (Foto C. Wagner); h) intaglio. Eroe nudo, seduto, nella mano protesa tiene una Vittoria; davanti un pilastro con in cima un globo. Ubicazione ignota. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 7846. Beazley Archive, Oxford University; i) intaglio in lapislazzuli. Figura femminile stante, panneggiata, appoggiata ad un pilastrino, tiene una cornucopia mentre con l’altra mano brucia con una face accesa un trofeo di armi di fronte a lei. Ubicazione ignota. Da Gronovius 1695, p. 23, n. 198. Tav. XLI a) intaglio in lapislazzuli. Apollo stante sta per prendere Dafne con le braccia alzate già in parte mutate in rami di alloro. Firenze, Museo degli Argenti. Da Gennaioli 2007, p. 389, n. 556 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); b) intaglio in eliotropio. Venere abbraccia Marte seduto, Amore tiene in mano un ramo; una corazza è appesa ad un albero. Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da Weber 1992, p. 244, n. 376; c) intaglio in lapislazzuli. Apollo seduto tiene una lira appoggiata alla gamba; dietro di lui la faretra con le frecce; davanti due flauti piantati nel terreno. Parigi, Cabinet des médailles. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 2987. Beazley Archive, Oxford University; d) intaglio in lapislazzuli. Una figura femminile stante (Onfale?) tiene un ramo e guarda Ercole seduto con la clava. Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da Weber 2001, p. 162, n. 310; e) intaglio in lapislazzuli. Scena di sacrificio: una fanciulla ammantata e un sacerdote barbato sacrificano sopra la fiamma di un altare; in secondo piano due figure, una maschile e una femminile; nel campo un albero. Disperso. Da Maffei 1707-1709, vol. IV, tav. XCVII; f ) intaglio in lapislazzuli. Scena di sacrificio: una fanciulla ammantata e un sacerdote barbato sacrificano sopra la fiamma di un altare; in secondo piano due figure una maschile e una femminile; nel campo un albero. Disperso. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 8390. Beazley Archive, Oxford University; g) intaglio in lapislazzuli. Scena di sacrificio: un gruppo di sei figure (tra cui un giovane con una patera, un uomo barbuto con un’ascia sulla spalla, un altro col capo velato e una donna ammantata) accompagnano verso un’ara un toro al sacrificio; sullo sfondo un tempio tetrastilo. Disperso, già del cardinale Albani. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 8501. Beazley Archive, Oxford University. Tav. XLII a) intaglio in lapislazzuli. Il brigante Caco tira un bue per la coda; sullo sfondo un paesaggio con una volpe e degli alberi. Parigi, Cabinet des médailles. Da Mariette 1750, vol. II, tav. LXXXIX; b) intaglio in lapislazzuli. Il brigante Caco tira un bue per la coda; sullo sfondo un paesaggio con una volpe e degli alberi. Parigi, Cabinet des médailles. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 5784. Beazley Archive, Oxford University; c) intaglio in lapislazzuli. Una figura femminile (il genio di Alessandria di Egitto?), sedente in riva al fiume, appoggia il gomito sulla testa del Nilo, tiene lo scettro con una mano e posa l’altra sopra un paniere, pieno di grano, su cui pone la mano anche un fanciullo; sullo sfondo tre edifici (templi o i granai di Alessandria), un coccodrillo e vari animali con un pastore; in basso barche in acqua. Disperso, già della collezione di Leonardo Agostini. Da Maffei 1707-1709, vol. IV, n. XXX; d) intaglio in lapislazzuli. Una figura femminile (il genio di Alessandria di Egitto?), sedente in riva al fiume, appoggia il gomito sulla testa del Nilo, tiene lo scettro con una mano e posa l’altra sopra un paniere, pieno di grano, su cui pone la mano anche un fanciullo; sullo sfondo tre edifici (templi o i granai di Alessandria), un coccodrillo e vari animali con un pastore; in basso barche in acqua. Disperso, già della collezione di Leonardo Agostini. Calco in zolfo rosso Dehn-Dolce, Milano, Gabinetto Numismatico, Raccolte Artistiche, cassetta O (14), n. 33. Foto Gabinetto Numismatico; e) intaglio in lapislazzuli. Piritoo, amico di Teseo, viene ucciso e divorato dal cane Cerbero, all’inferno. Disperso, già del museo Dehn. Calco 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA 131 in zolfo rosso Dehn-Dolce, Milano, Gabinetto Numismatico, Raccolte Artistiche, cassetta P (15), n. 53. Foto Gabinetto Numismatico; f ) intaglio in lapislazzuli. Venere o una Nereide tiene un ramo, portata da un mostro marino tra i flutti del mare; un amorino la segue, sollecitando l’animale. Disperso, già della collezione di Leonardo Agostini. Da Maffei 1707-1709, vol. III, pp. 13-14, n. 6. Tav. XLIII a) intaglio in lapislazzuli. Vulcano seduto sopra una corazza, dietro alla quale vi è uno scudo, abbraccia Venere, nuda, in piedi a guardare il Ciclope seduto a forgiare un’arma (?) posta sopra un’incudine; sotto il sedile del Ciclope sta Cupido con l’arco. Già del Conte Alessandro di Voranzoff. Da Bracci 1786, tav. XVIII, n. II; b) intaglio in lapislazzuli. Vulcano con il martello, seduto sopra il tronco di un albero, Minerva stante armata accanto a lui. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 6474. Beazley Archive, Oxford University; c) intaglio in lapislazzuli. Figura femminile stante sacrifica su un’ara fiammeggiante un ariete; accanto a lei un amore tiene una torcia accesa. San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage. Foto Museo; d) intaglio in lapislazzuli. Menade incedente, con un pugnale nel petto, la testa piegata all’indietro, in atteggiamento estatico. Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da Weber 1992, p. 236, n. 361; e) intaglio in lapislazzuli. Menade incedente, con un pugnale nel petto, la testa piegata all’indietro, in atteggiamento estatico (Calliroe si ferisce il petto). Già nel Museo di Marco Antonio Sabbatini. Disperso (o forse da identificare con l’intaglio precedente). Da Maffei 1707-1709, vol. IV, n. XXXIII; f ) intaglio in lapislazzuli. Busti di profilo di Ercole e Onfale (o Jole). San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage. Foto Museo; g) intaglio in lapislazzuli. Mercurio con il caduceo in mano e Fortuna con la cornucopia, stanti uno accanto all’altro, si stringono la mano. San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage. Foto Museo; h) intaglio in lapislazzuli. La Pace e l’Abbondanza. Calco in zolfo rosso Dehn-Dolce, Milano, Gabinetto Numismatico, Raccolte Artistiche, cassetta K (10), n. 70. Foto Gabinetto Numismatico. Tav. XLIV a) intaglio in lapislazzuli. Su un lato Nettuno stante nel suo carro tirato da due cavalli; sull’altro lato due mani unite con in mezzo un caduceo, due cornucopie e al di sotto l’iscrizione PAX. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, nn. 2577-2578. Beazley Archive, Oxford University; b) intaglio in lapislazzuli. Una figura femminile e un’altra maschile stanti si abbracciano (Venere e Adone?). Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 6501. Beazley Archive, Oxford University; c) intaglio in lapislazzuli. Una figura femminile stante, orante verso Artemide Efesia. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 2077. Beazley Archive, Oxford University; d) intaglio in lapislazzuli. Muzio Scevola in piedi tiene una lancia in una mano e pone l’altra sul braciere ardente di fronte al re Porsenna, seduto con scettro e una mano alzata; in alto vola una Vittoria con una corona su Muzio Scevola. Disperso, già collezione de Wilde. Da De Wilde 1703, tav. 28, n. 105; e) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile incedente tiene un oggetto indefinito in una mano protesa; accanto un albero. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 686 (Foto E. Ceolin); f ) intaglio in lapislazzuli. Roma (?), con elmo, regge un globo; un braccio e una gamba sono tese in avanti. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 687 (Foto E. Ceolin); g) intaglio in lapislazzuli. Venere vincitrice stante, di spalle, seminuda, con il gomito si appoggia a una colonnina; tiene in una mano un elmo, mentre con l’altra regge una lancia, ai piedi della dea uno scudo. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 685 (Foto E. Ceolin, G. Fogliata); h) intaglio in lapislazzuli. Venere nuda stante, di profilo, piegata a scherzare con Cupido. Disperso, già collezione Praun. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 6334. Beazley Archive, Oxford University. Tav. XLV a) intaglio in lapislazzuli. Marsia stante suona i flauti davanti ad Apollo con la lira, seduto su un tronco d’albero. Ubicazione ignota, già collezione de Wilde. Da De Wilde 1703, pp. 155-156, tav. 44, n. 164; b) intaglio in lapislazzuli. Le tre Grazie. San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage. Foto Museo; c) intaglio in lapislazzuli, spezzato. Minerva stante, con elmo e lungo chitone, solleva in una mano una Nike, nell’altra abbassata tiene l’asta. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 684 (Foto E. Ceolin); d) intaglio in lapislazzuli. Un erote o una Vittoria sacrifica un toro, sollevandone la gola. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 689 (Foto E. Gagetti); e) intaglio in corniola, scheggiato. Testa di re con corona o di Helios, di profilo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 691 (Foto E. Gagetti); f ) intaglio in corniola. Testa di re con corona o di Helios, di profilo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 692 (Foto E. Gagetti); g) intaglio in lapislazzuli. Testa di re con corona o di Helios, di profilo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 693 (Foto E. Gagetti); h) intaglio in lapislazzuli. Testa di re o di Helios, di profilo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 694 (Foto E. Gagetti); i) intaglio in agata zonata. Busto maschile armato con testa radiata di profilo. Bologna, Museo Civico Archeologico. Da Mandrioli Bizzarri 1987, p. 155, n. 312. Tav. XLVI a) intaglio in corniola. Busto maschile panneggiato con testa di profilo con corona. Inv. n. 1024; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; b) intaglio in corniola. Testa maschile di profilo con corona. Cambridge, Fitzwilliam Museum. 132 GABRIELLA TASSINARI [RdA 34 Beazley Archive (Foto B. Wilkins); c) intaglio in lapislazzuli. Testa di profilo con i capelli cinti da una tenia. Cambridge, Fitzwilliam Museum. Beazley Archive (Foto B. Wilkins); d) intaglio in corniola. Testa maschile di profilo con i capelli cinti da una corona di alloro. Ubicazione ignota, già collezione Vimercati Sozzi, Bergamo. Tassinari c.s.a, n. 383; e) intaglio in corniola. Testa maschile di profilo con i capelli cinti da una tenia. Inv. n. 717; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; f ) intaglio in lapislazzuli, scheggiato. Testa maschile di profilo con i capelli cinti da una corona di alloro. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 696 (Foto G. Fogliata); g) intaglio in diaspro rosso. Testa maschile di profilo con i capelli cinti da una tenia; nel campo un caduceo (?). Modena, Museo Civico d’Arte. Modena, Archivio fotografico del Museo Civico d’Arte (Foto G. Roncaglia); h) intaglio in corniola. Testa maschile di profilo con i capelli cinti da una tenia. Inv. n. 83; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; i) intaglio in corniola. Testa maschile di profilo con i capelli cinti da una tenia. Inv. n. 806; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei. Tav. XLVII a) intaglio in eliotropio. Busto maschile di profilo armato, con i capelli cinti da una corona di alloro. Firenze, Museo degli Argenti. Da Gennaioli 2007, p. 449, n. 723 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); b) intaglio in corniola. Busto maschile di profilo panneggiato, con i capelli cinti da una corona di alloro. Inv. n. 763; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; c) intaglio in corniola. Busto maschile di profilo panneggiato, con i capelli cinti da una corona di alloro. Inv. n. 1065; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; d) intaglio in corniola. Busto maschile di profilo panneggiato, con i capelli cinti da una corona di alloro. Inv. n. 769; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei); e) intaglio in corniola. Busto femminile di profilo, con i capelli raccolti dietro la nuca in uno chignon da cui discende un doppio nastro. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, p. 487, n. 596 (Foto P. Vitellozzi); f ) intaglio in corniola, scheggiato. Busto femminile di profilo, con i capelli che terminano in un alto chignon e cinti da un diadema (?). Modena, Museo Civico d’Arte. Modena, Archivio fotografico del Museo Civico d’Arte (Foto G. Roncaglia); g) intaglio in corniola. Testa femminile di profilo, con i capelli che terminano in una crocchia in alto e cinti da una tenia. Bari, Museo Archeologico. Da Tamma 1991, p. 90, n. 152; h) intaglio in corniola. Testa maschile di profilo, coperta da un elmo. Inv. n. 1118; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; i) intaglio in calcedonio. Testa maschile di profilo con corona stilizzata e capelli avvolti intorno ad un cercine (?). Modena, Museo Civico d’Arte. Modena, Archivio fotografico del Museo Civico d’Arte (Foto G. Roncaglia). Tav. XLVIII a) intaglio in corniola. Busto maschile panneggiato di profilo, con barba e baffi; la testa è quasi calva, con pochi capelli. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 699 (Foto E. Gagetti); b) intaglio in agata zonata, scheggiato. Busto maschile panneggiato di profilo, con barba e baffi; la testa è quasi calva, con pochi capelli. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 700 (Foto E. Gagetti); c) intaglio in corniola. Busto maschile panneggiato di profilo, con barba, baffi e capelli cinti da un nastro. Como, Museo Civico Archeologico “Giovio”. Tassinari 2010b, p. 172, fig. 15; d) intaglio in diaspro rosso. Busto maschile panneggiato di profilo con barba, baffi e capelli cinti da un nastro. Modena, Museo Civico d’Arte. Modena, Archivio fotografico del Museo Civico d’Arte (Foto G. Roncaglia); e) intaglio in corniola. Busto maschile panneggiato di profilo con barba, baffi e capelli cinti da un nastro. Inv. n. 190; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; f ) intaglio in corniola. Busto maschile panneggiato di profilo, con barba e baffi; la testa è in parte calva, con ciocche di riccioli che circondano la nuca. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, pp. 482-483, n. 588 (Foto P. Vitellozzi); g) intaglio in corniola. Busto maschile di profilo con barba e capelli cinti da un diadema. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, p. 483, n. 589 (Foto P. Vitellozzi); h) intaglio in corniola. Busto maschile di profilo con barba e baffi. Inv. n. 1081; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; i) intaglio in calcedonio. Busto maschile di profilo con barba, baffi e capelli cinti da una tenia. Cambridge, Fitzwilliam Museum. Beazley Archive (Foto B. Wilkins). Tav. XLIX a-b) intaglio in corniola. Busto maschile panneggiato di profilo con barba, baffi e capelli cinti da una tenia; sul retro le insegne della famiglia Johnson. Cambridge, Fitzwilliam Museum. Beazley Archive (Foto B. Wilkins); c) intaglio in lapislazzuli. Busto maschile panneggiato, testa di profilo, con barba fluente e capelli lunghi e raccolti in parte in un ciuffo sulla sommità del capo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 697 (Foto E. Gagetti); d) intaglio in agata. Testa maschile di profilo, con barba fluente e capelli lunghi cinti da un nastro. Cambridge, Fitzwilliam Museum. Beazley Archive (Foto B. Wilkins); e) intaglio in corniola. Testa maschile giovanile di profilo con folti capelli. Como, Museo Civico Archeologico “Giovio”. Tassinari 2010b, p. 172, fig. 13. Tav. L a) intaglio in corniola. Testa maschile giovanile di profilo con folti capelli. Inv. n. 1047; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; b); intaglio in corniola. Testa maschile giovanile di profilo con capelli cinti da una tenia. Verona, Civici 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA 133 Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 698 (Foto E. Gagetti); c) intaglio in corniola. Testa giovanile di profilo con lunghi capelli cinti da una tenia. Como, Museo Civico Archeologico “Giovio”. Tassinari 2010b, p. 172, fig. 14; d) intaglio in corniola. Testa giovanile di profilo con lunghi capelli cinti da una tenia. Inv. n. 864; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; e) intaglio in corniola. Testa di giovane di profilo con i capelli cinti da una tenia e raccolti in uno chignon. Inv. n. 879; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; f ) intaglio in corniola. Busto panneggiato, testa maschile di profilo con baffi e barba, coperta da un elmo. Modena, Museo Civico d’Arte. Modena, Archivio fotografico del Museo Civico d’Arte (Foto G. Roncaglia); g) intaglio in corniola. Busto panneggiato, testa maschile di profilo con baffi e barba, coperta da un elmo. Inv. n. 1018; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei; h) intaglio in agata zonata, mancante di una parte inferiore. Busto panneggiato, testa di profilo che indossa un elmo, da cui fuoriescono lunghi capelli. Inv. n. 694; inedito. Udine, Civici Musei. Foto Musei. Tav. LI a-b) intaglio in lapislazzuli esagonale con un foro, inciso su entrambi i lati con una testa maschile di profilo con elmo (?). Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 695 (Foto E. Gagetti); c) intaglio in corniola. Testa maschile di profilo, barbata, con elmo. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, p. 484, n. 591 (Foto P. Vitellozzi); d) intaglio in corniola. Busto panneggiato, testa maschile di profilo coperta da un particolare copricapo. Budapest, Museo Nazionale Ungarico. Gesztelyi 2000, p. 174, n. 328; e) intaglio in corniola, frammentario. Testa maschile di profilo con elmo. Cambridge, Fitzwilliam Museum. Beazley Archive (Foto B. Wilkins); f ) intaglio in lapislazzuli. Busto femminile panneggiato, di profilo, con corona di foglie tra i lunghi capelli. Firenze, Museo degli Argenti. Da Gennaioli 2007, p. 391, n. 562 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); g) intaglio in lapislazzuli. Una testa maschile e una femminile affrontate, identificate come Germanico e Agrippina. Disperso, già della collezione di Leonardo Agostini. Da Maffei 1707-1709, vol. I, p. 26, n. 20. Tav. LII a) intaglio in lapislazzuli. Busto maschile armato di profilo, con uno strano elmo e pennacchio. Madrid, Museo Archeo logico Nazionale. Da Casal García 1990, II, p. 107, n. 108; b) intaglio in diaspro variegato. Due teste barbate unite, di profilo, una a sinistra, l’altra a destra, impostate su un busto togato (Giano?). New York, The Metropolitan Museum of Art. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 773. Beazley Archive, Oxford University; c) intaglio in lapislazzuli. La Madonna stante con in braccio Gesù bambino benedicente. Monaco, Staatliche Münzsammlung. Da Weber 2001, p. 163, n. 312; d) intaglio in corniola. S. Andrea stante. Vienna, Kunsthistorisches Museum. © Kunsthistorisches Museum Wien, Antikensammlung (Foto I. Luckert); e) intaglio in lapislazzuli. Busto femminile panneggiato, di profilo, con un’elaborata pettinatura. Firenze, Museo degli Argenti. Da Gennaioli 2007, pp. 426-427, n. 670 (Su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali); f ) intaglio in lapislazzuli. Busto maschile con barba e baffi, panneggiato, di profilo, con corona; al di sotto due lettere A D (imperatore M. Aurelio Claudio, il Gotico). Disperso. Calco in zolfo rosso Dehn-Dolce, Milano, Gabinetto Numismatico, Raccolte Artistiche, cassetta AA (25), n. 191. Foto Gabinetto Numismatico; g) intaglio in lapislazzuli. Minerva incedente, con elmo corinzio e lungo peplo, impugna la lancia, mentre l’altro braccio proteso sorregge lo scudo. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, pp. 228-229, n. 242 (Foto P. Vitellozzi); h) intaglio in lapislazzuli. Vittoria alata incedente, con lungo chitone, con una mano sorregge una corona, con l’altra impugna una fronda di palma che porta in spalla. Perugia, Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria. Vitellozzi 2010, p. 259, n. 287 (Foto P. Vitellozzi); i) intaglio in lapislazzuli. Marte gradivo che porta un trofeo; nel campo una stella. Ubicazione ignota, già collezione von Gleichen. Calco nella raccolta Tassie. Raspe 1791, n. 7351 (ma è scritto, errato, n. 7451). Beazley Archive, Oxford University. Tav. LIII a) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile, seduta su di un trofeo di armi (corazza, due lance e scudo) a cui si appoggia con una mano; con l’altra protesa tiene un elmo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 661 (Foto E. Ceolin); b) intaglio in lapislazzuli. Erote stante mette una mano sull’arco poggiato a terra, mentre tiene una freccia (?) nell’altra. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 663 (Foto E. Ceolin); c) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile stante, nuda, con un braccio flesso e alzato e in mano un oggetto tondo, l’altro abbassato tiene un ramo con foglie; per terra è ritta una fiaccola (?). Udine, Civici Musei. Foto Musei; d) intaglio in lapislazzuli. Figura femminile stante, in lungo chitone, tiene un bastone in una mano e una spiga o una fronda nell’altra. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIII, n. 662 (Foto E. Ceolin); e) intaglio in lapislazzuli. Vulcano barbato, seduto di profilo, alza il braccio col martello in atto di colpire un elmo collocato su una piccola incudine posta su un basamento cilindrico; sullo sfondo si stagliano due lance. Roma, Musei Capitolini. Da Tassinari 1996, pp. 164-165, n. 9, fig. 9; f ) intaglio in lapislazzuli. Figura femminile stante sacrifica su un’ara fiammeggiante un ariete; accanto a lei un amore tiene una torcia accesa. San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage. Foto Museo; g) intaglio in lapislazzuli. Busti di profilo di Ercole e Onfale (o Jole). San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage. Foto Museo; h) intaglio in lapislazzuli. Mercurio con il caduceo in mano e Fortuna con la cornucopia, stanti uno accanto all’altro, si stringono la mano. 134 GABRIELLA TASSINARI [RdA 34 San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage. Foto Museo; i) intaglio in lapislazzuli. Figura maschile incedente tiene un oggetto indefinito in una mano protesa; accanto un albero. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 686 (Foto E. Ceolin). Tav. LIV a) intaglio in lapislazzuli. Roma (?), con elmo, regge un globo; un braccio e una gamba sono tese in avanti. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 687 (Foto E. Ceolin); b) intaglio in lapislazzuli. Venere vincitrice stante, di spalle, seminuda, con il gomito si appoggia a una colonnina; tiene in una mano un elmo, mentre con l’altra regge una lancia, ai piedi della dea uno scudo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 685 (Foto E. Ceolin, G. Fogliata); c) intaglio in lapislazzuli. Le tre Grazie. San Pietroburgo, Museo Statale dell’Ermitage. Foto Museo; d) intaglio in lapislazzuli, spezzato. Minerva stante, con elmo e lungo chitone, solleva in una mano una Nike, nell’altra abbassata tiene l’asta. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 684 (Foto E. Ceolin); e) intaglio in lapislazzuli. Un erote o una Vittoria sacrifica un toro, sollevandone la gola. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLIV, n. 689 (Foto E. Gagetti); f ) intaglio in lapislazzuli. Testa di re con corona o di Helios, di profilo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 693 (Foto E. Gagetti); g) intaglio in lapislazzuli. Testa di re o di Helios, di profilo. Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 694 (Foto E. Gagetti); h-i) intaglio in lapislazzuli esagonale con un foro, inciso su entrambi i lati con una testa maschile di profilo con elmo (?). Verona, Civici Musei d’Arte. Tassinari 2009, tav. XLV, n. 695 (Foto E. Gagetti). 2010] ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLA GLITTICA POST-ANTICA 135 ABBREVIAZIONI BibliografiCHE AGDS I, 2, E. Brandt, E. Schmidt, Antike Gemmen in Deutschen Sammlungen. Band I. Staatliche Münzsammlung München. I, 2. Italische Gemmen etruskisch bis römisch-republikanisch. Italische Glaspasten vorkaiserzeitlich, München 1970. AGDS I, 3, E. Brandt, A. Krug, w. Gercke, E. Schmidt, Antike Gemmen in Deutschen Sammlungen. Band I. Staatliche Münzsammlung München. I, 3. Gemmen und Glaspasten der römischen Kaiserzeit sowie Nachträge, München 1972. AGDS IV Hamburg, M. Schlüter, G. Platz-Horster, P. Zazoff, Antike Gemmen in Deutschen Sammlungen. Band IV. Hamburg, Museum für Kunst und Gewerbe, Wiesbaden 1975. Agostini L. 1686, Le gemme antiche figurate, I-II, Roma. Agostini 1960, Dizionario Biografico degli Italiani, s.v. Agostini Leonardo, Roma, vol. 1, p. 464. Alcouffe D. 2001, Musée du Louvre. Département des objets d’art. Catalogue. 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