Marinella Senatore JE.indd

Transcript

Marinella Senatore JE.indd
IN PRIMO PIANO
Marinella Senatore
TAGLI DI LUCE ED ESPERIENZA COLLETTIVA
Gigiotto Del Vecchio
60 Flash Art
• MAGGIO 2010
MARINELLA SENATORE
GIGIOTTO DEL VECCHIO: Vorrei cominciare
con una domanda che credo sia importante per
l’analisi del tuo lavoro. Mi racconteresti dei tuoi
studi all’Accademia di Belle Arti di Napoli, della
tua tesi di laurea su Hans Richter e dell’esperienza al Centro sperimentale di Cinematografia di
Roma? Il tuo maestro è stato il grande direttore
della fotografia Giuseppe Rotunno…
Marinella Senatore: Di Hans Richter mi affascinava il percorso linguistico, il passaggio
dalla pittura alla pellicola, con tutto quello che
avrebbe comportato in termini di fruizione del
tempo e del ritmo, e quindi di “montaggio”, un
concetto che mi interessa molto, ancor più se
applicato a lavori installativi o pittorici e non
esclusivamente filmici. Mi piaceva anche il
fatto che fosse un artista che lavorava con il cinema, che si era avvicinato a questo linguaggio
per necessità espressive, e non fosse etichettato
nei termini rigorosi dei generi e degli stili.
Ho studiato cinema, invece, solo per conoscere
la luce; di tutti gli elementi che costruiscono il
linguaggio filmico, la luce è da sempre quello che attira la mia attenzione e ammetto di
aver avuto sempre una relazione speciale con
l’illuminazione, molto intuitiva in una prima
fase. La figura di Giuseppe Rotunno è stata
fondamentale per la mia formazione, innegabilmente, soprattutto per capire le possibilità
evocative, di sintesi, costruzione e traduzione
della luce stessa; di grande importanza è stato
anche il suo particolare punto di vista rispetto
all’immagine e alla fotografia cinematografica, dove “la fotografia non è fine a se stessa,
è tanto più bella quanto più valorizza i messaggi che sono nel racconto, e trasmette al
pubblico tutti i significati che regia, scenografia e suono riescono a mettere insieme”. La
dimensione narrativa dell’illuminazione è un
punto fondamentale del mio lavoro, permet-
Manuale per i viaggiatori (foto dal set), 2007. Video installazione, colore, stereo, 15 min. Prodotto da Museo MADRE, Napoli. Courtesy Umberto Di Marino, Napoli.
te di creare un senso d’attesa e una certa tensione narrativa. Ritrovo queste suggestioni
nel lavoro di Edward Hopper, per esempio,
o quando si parla di “luce verbale” nella pratica cinematografica di David Cronenberg.
GDV: Quanto conta la narrazione nel tuo
lavoro?
MS: I personaggi che appaiono nelle mie storie sono pretesti per parlare di qualcos’altro,
eroi inutili fugacemente apparsi nelle pagine
di un quotidiano degli anni Cinquanta e di
cui non si sa molto altro.
Utilizzo come materiale di ricerca fotografie di
famiglia — non necessariamente la mia — riviste d’epoca, notizie estrapolate da bollettini
MAGGIO 2010 •
Flash Art
61
IN PRIMO PIANO
radiofonici ascoltati per caso, articoli di cronaca, ecc. Ci sono anche cose che decido di non
mettere in scena o di non dipingere. Attraverso
una miscellanea di riferimenti, ritrovo molti
punti comuni di ricerca; mi è di grande ispirazione la micro-narrativa, nella cronaca locale
e in tutte quelle tonalità emozionali sparse,
vicende che fondono autobiografismo, storia e
sguardo esterno. La narrazione è sicuramente
uno dei fulcri del mio lavoro, è probabilmente
il meccanismo che genera il progetto visivo, ma
il modo in cui la utilizzo è volutamente libero,
sempre in bilico tra i poli della realtà e della finzione, tra la verità e l’invenzione (che ancor più
mi parla della realtà…).
Per il video How Do U Kill the Chemist, realizzato nel 2009 durante la residenza all’Art Omi
International Artists’ Residency di New York,
ho collaborato con dei rapper che hanno scritto
con me la sceneggiatura e hanno interpretato il
racconto con il loro particolare slang. La costruzione della narrazione in tutte le sue declinazioni mi affascina moltissimo: anche il formato
del musical e l’utilizzo della canzone rientrano
in questa mia ricerca sulle modalità narrative. Il
racconto, in tutte le sue forme, diventa la miccia
che permette di snodare attorno a sé una serie
di immagini, molto spesso centrate su tensione,
attesa ed euforia, che la luce (e i suoi tagli a volte duri) sottolinea fortemente.
GDV: Le arti visive e il cinema si sono continuamente scambiati estetica, ispirazione, poetica, concetti, immagini. Tu credi ci sia ancora
la possibilità di porre in relazione le due esperienze o sei convinta che la definizione stilistica
e di medium sia riduttiva?
62 Flash Art
• MAGGIO 2010
MS: Ridurre a una definizione stilistica propria,
soprattutto in questo momento mi sembra limitativo, in quanto l’opera di tanti artisti percorre
ormai più campi e possibilità espressive. Non
credo che il mio lavoro nello specifico sia il
video o il cinema in senso classico: ricerco
una base operativa allargata, un confronto dialettico che utilizza i diversi linguaggi
come strumento e non come fine. Lavoro
con la pittura, il video, il film, la performance, l’installazione e il disegno in maniera
cosciente ma libera e seppure in diversi momenti — soprattutto legati alla progettazione — il filtro della drammaturgia cinematografica sia presente, quello che davvero
m’interessa è dar corpo a una percezione
intensa della realtà, utilizzando il confine
tra visioni oggettive e costruzioni artificiali.
Del resto, non è un caso che per indagare alcune condizioni esistenziali e conflitti sociali concentro lo sguardo su qualcosa solitamente lontano sia dalla mia formazione sia
dalle esperienze quotidiane: la middle class
americana come l’architettura coloniale o il
paesaggio nordamericano.
GDV: Per te l’insegnamento è una pratica molto
importante. In che modo l’esperienza didattica
entra nella dimensione poetica. Esiste una relazione tra le due esperienze?
MS: Insegno in Spagna, all’Università Complutense di Madrid e all’Università di Castilla - La Mancha, e ho sempre sentito l’attività
didattica in forte relazione con il mio lavoro, il
quale si alimenta di un processo preciso, fatto
di progettazione, discussione, condivisione,
partecipazione collettiva, considerando il ri-
Speak Easy, 2009. Still da video, 15 min. Courtesy Umberto Di
Marino, Napoli.
sultato filmico, fotografico (ma anche pittorico
o installativo) il punto d’arrivo di un’attività
ben più dinamica. Il coinvolgimento di attori e
tecnici non professionisti sul set, i casting popolari, l’inserimento “del dietro le quinte”, la
trasformazione di un semplice processo di realizzazione di un’opera in un prodotto corale,
in cui l’evidenza dello sforzo collettivo e di tutti
coloro che contribuiscono al risultato rappresenta un atto politico imprescindibile, sono da
tenere sempre presente al fine di una corretta
lettura generale. Gli studenti vengono coinvolti
nella realizzazione (o sono protagonisti) delle
mie opere. È soprattutto in quest’ottica che la
mia attività pedagogica trova un forte riscontro
nella mia metodologia poetica.
GDV: In una variante del tutto contemporanea,
mi verrebbe da associare il tuo lavoro ad alcune delle esperienze più intensamente politiche
dell’opera partecipata e dell’happening — l’aspetto aggregativo, la necessità di dialogo e di discussione, la costruzione del lavoro attraverso livelli di
collaborazione collettivi — ma anche, per citare
possibilità più attuali, al rigore al limite con la
fotografia di Manon De Boer e all’interdisciplinarietà — le contaminazioni tra testo, disegno ed
esperienza teatrale — nel lavoro di Keren Cytter.
Cosa ne pensi di queste associazioni? E chi consideri un punto di riferimento nella tua formazione
artistica e intellettuale?
MS: Mi ritrovo nelle esperienze che citi, ma
guardo anche a realtà più “pop”, così come
a registi e scrittori. Penso a Hopper, Wilhelm
MARINELLA SENATORE
Manuale per i viaggiatori (foto dal set), 2007. Video installazione, colore, stereo, 15 min. Prodotto da Museo MADRE, Napoli. Courtesy Umberto Di Marino, Napoli.
Sasnal, ma anche Stan Douglas, Douglas Gordon, Tacita Dean, Félix González-Torres, o addirittura Ingmar Bergman e David Lynch.
Negli ultimi anni, la dimensione sociopolitica sostanzia fortemente i miei lavori, soprattutto in termini di prassi; mi interessa il
ruolo dell’artista come “attivatore” di alcuni
processi, senza imposizioni di alcun genere,
morali o falsamente educative. Sento di essere parte di quei processi partecipativi che
vedono l’artista come un regista che ha uno
spartito attraverso il quale i partecipanti
negoziano, o contestano, la loro partecipazione. In questo senso cerco di mettere
in atto uno scambio affettivo, che passa di
storia in storia, di voce in voce. Il racconto
stesso diventa scambio e, secondo modalità
che inevitabilmente si modificano rispetto
ai contesti, molto spesso si costruisce una
situazione di laboratorio aperto, dove chi
lavora impara qualcosa e lo porta con sé assieme al ricordo di essere stato sul set, per
questo mi interessa ribaltare la posizione di
chi guarda da passivo a partecipante.
GDV: In che modo credi ciò sia percepibile nelle
tue opere e quale credi sia il momento in cui questo scambio diventa evidente?
MS: Credo sia chiaro soprattutto nel momento
della produzione, ma anche nello stesso stile
di ripresa o nell’uso dell’illuminazione — mostrando il dispositivo —, arrivando a un risul-
tato filmico o comunque estetico che, sebbene in lavori di partecipazione corale sia stato
lungamente caratterizzato da un’estetica più
documentaristica, sento invece per formazione
e tensione molto più vicino a un artista come
Omer Fast o all’estetica formale di Manon de
Boer. Del resto quello che posso condividere è ciò che sono, la mia formazione, la
tradizione della composizione che viene
dalla scuola fotografica del cinema italiano,
il particolare utilizzo della luce e la sintesi
della visione.
Non lavoro sull’immaginario visivo delle
comunità con le quali opero ma con la loro
diversa forma di raccontare, per questo in
America ho collaborato, come ti dicevo prima, con un gruppo di rapper di New York.
È un dovere politico per me che l’opera venga
realizzata e i dati estetici, che sono iscritti nel
film, sono la testimonianza che c’è un modo
in cui il film (o l’installazione, la fotografia o
qualunque altro lavoro finale) può raccontare le relazioni umane che lo hanno prodotto. Il risultato è sempre il punto d’arrivo di
un’attività ben più dinamica, frutto della cooperazione con un pubblico sempre più vasto
che viene coinvolto come attore, co-autore e
addirittura produttore, laddove il valore della
condivisione di un’esperienza è più rilevante
rispetto a quello di una mera scelta stilistica.
Anche per questo non presento dei prodotti
finiti, ma opere che rilanciano all’osservatore
la possibilità di essere completate.
GDV: Con quale obiettivo?
MS: Certamente quello di mettere in connessione comunità differenti, luoghi dove non si
è creato un senso di comunità o dove ritengo
che il valore della condivisione possa essere un
elemento significativo. Nel musical Speak Easy,
il lavorare con il pubblico si è andato definendo
sempre più come un fine, non come un mezzo;
il video, realizzato nel 2009 a Madrid è il frutto
della cooperazione di quasi 1800 cittadini: oltre
94 studenti della Complutense che hanno ricoperto tutti i ruoli della creazione cinematografica (dal costume alla scenografia, dalla camera
all’illuminazione), associazioni di donne che
hanno realizzato i costumi, gruppi di artigiani
in pensione, impegnati nella costruzione di tutte le scenografie (il musical è ambientato a New
York negli anni Cinquanta). Tre comunità provenienti da tre quartieri limitrofi molto differenti fra loro e in grande conflitto sociale hanno
scritto la sceneggiatura originale con gli studenti preposti al ruolo di sceneggiatori. Tutti hanno
partecipato a un laboratorio aperto e continuo,
condividendo tempo, esperienze, imparando,
ballando, scrivendo i testi delle canzoni originali, fino a toccare il nodo della produzione. Con
la campagna “1 € to be a producer” — che ha
caratterizzato molti dei miei progetti realizzati
in Spagna negli ultimi anni —, attraverso la donazione di un euro, circa 1200 persone hanno
interamente prodotto gli ultimi video dandomi
la possibilità di interpretare l’intero processo in
chiave politica e di riconsiderare il ruolo dell’artista e il sistema produttivo dell’opera d’arte. „
Gigiotto Del Vecchio è critico d’arte e curatore. Vive e lavora
a Berlino.
Marinella Senatore è nata a Cava dei Tirreni (SA) nel 1977.
Vive e lavora tra Roma e Madrid.
MAGGIO 2010 •
Flash Art
63