Cortazar Correzione di bozze 11.indd
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littleSUR 2 Julio Cortázar Correzione di bozze in Alta Provenza titolo originale: Corrección de pruebas en Alta Provenza traduzione di Giulia Zavagna Opera pubblicata nell’ambito del Programma «Sur» di sostegno alla traduzione del Ministero degli Affari Esteri e Culto della Repubblica Argentina. Obra editada en el marco del Programa «Sur» de apoyo a las traducciones del Ministerio de Relaciones Exteriores y Culto de la República Argentina. © Eredi di Julio Cortázar, 1972 per la prefazione: © Juan Villoro, 2012 per le fotografie: © Eredi di Julio Cortázar © SUR, 2015 Tutti i diritti riservati Edizioni SUR redazione: via della Polveriera, 14 • 00184 Roma tel. e fax 06.83514309 sede legale: viale Parioli, 73 • 00197 Roma [email protected] www.edizionisur.it I edizione: marzo 2015 ISBN 978-88-97505-62-4 Progetto grafico di Riccardo Falcinelli Composizione tipografica degli interni: Miller (Matthew Carter, 1997) Julio Cortázar Correzione di bozze in Alta Provenza traduzione di Giulia Zavagna prefazione di Juan Villoro C orrezione di bozze in Alta Provenza: espressione dal doppio senso immediato e inquietante, perché se è un fatto che questa mattina ho ricevuto a Saignon le bozze del Libro de Manuel e le correggerò lontano da casa, solo in un drago perduto nelle colline o in riva al mare (del drago parleremo più avanti), c’è allo stesso tempo il secondo significato che tira fuori le sue zampette insidiose per mostrarmi l’altro lato della questione: correggere un libro è anche affrontarlo, come una prova di stampa, verificare se davvero è prova di qualcosa, vita lavoro idee condotta errori gusti speranze fallimenti rinsecchimenti sbavature per non parlare del concreto hic et nunc, ovvero 27 linguaggio temi scrittura idioma prospettive contrattempi desinenze divergenze convergenze necessità gratuità narcisismo impegno destino ad libitum idem e in questa condizione salire il 4 settembre del 1972 su un furgoncino e dirigersi da solo verso un angolo qualsiasi della Provenza per valutare più da vicino ciò che si è già fatto e ciò che resta da fare; correzione di bozze, come si vede, ben al di là di meri accenti, strafalcioni, refusi e cancellature. In certo modo questo sarà il diario di una routine da scrittore, ma vorrebbe anche essere altro, un raffronto di ciò che succede mentre si lavora e che nel mio caso è oggi molto diverso rispetto ad altri tempi. La musica, per esempio, e i bollettini radio, anni fa sarebbe stato impossibile concentrarmi senza essere in una specie di studio (sebbene fosse solo mentale, prodotto volontario dell’astrazione nel bel mezzo di un caffè o in una casa piena di rumori domestici); contro ogni previsione, la vecchiaia e la storia mi rendono più poroso, reclamano qualcosa di simile a un’osmosi con ciò che mi circonda. Faccio delle scelte, ovviamente: nessuno va allo stadio per correggere le bozze di un libro, eppure la mia scelta non è più la penombra della scrivania ma questo furgoncino nell’area di sosta di Avignone o di Vaison-laRomaine, una radio che mi dà notizie ogni quarto d’ora e un sottofondo musicale non sempre intollerabile; si vedrà quasi subito l’influenza di questi elementi, che anni fa non mi avrebbero suscitato il minimo commento. E 28 così, ogni tanto smetto di lavorare e me ne vado per le strade, entro in un bar, guardo che cosa succede in città, dialogo con il vecchio che mi vende le salsicce per il pranzo perché il drago, ormai è tempo di presentarlo, è una specie di casa con le ruote o lumaca che le mie ostinate predilezioni wagneriane hanno definito drago, un Volkswagen rosso che dispone di un serbatoio d’acqua, una seduta che si trasforma in letto, e che ho dotato di radio, macchina da scrivere, libri, vino rosso, zuppe in scatola e bicchieri di carta, costume da bagno che non si sa mai, una lampada a butano e un fornelletto grazie al quale un barattolo di conserve si trasforma in pranzo o cena mentre si ascolta Vivaldi o si scrivono queste paginette. Il fatto del drago deriva da un’antica necessità; non ho quasi mai accettato il nome delle cose e credo che sia evidente nei miei libri, non vedo perché dobbiamo tollerare invariabilmente ciò che ci arriva da fuori, e così alle persone che ho amato e amo ho messo di volta in volta nomi che nascevano a loro modo da un incontro, dal contatto di combinazioni segrete, e allora le donne sono state fiori, sono state uccelli, sono state animaletti del bosco, e ci sono stati amici con nomi che addirittura cambiavano dopo aver compiuto un certo ciclo, l’orso poteva diventare una scimmia, come qualcuno dagli occhi chiari è stato una nube e poi una gazzella e una notte è diventato una mandragora, ma per tornare al drago dirò che due anni fa l’ho visto arrivare per la prima volta: risaliva rue Cambronne, a Parigi, era uscito fresco fresco da un’officina e quando mi si è parato di fronte gli ho visto la grande faccia rossa, gli occhi bassi e accesi, un’aria tra l’infastidito e il simpatico, è stato un semplice clic mentale ed era già il drago e non un drago qual29 siasi ma Fafner, il guardiano del tesoro dei Nibelunghi, che secondo la leggenda e Wagner sarà anche stato tonto e perverso, ma che mi ha sempre ispirato una simpatia segreta sebbene fosse solo per il fatto che era condannato a morire per mano di Sigfrido e queste cose io non gliele perdono agli eroi, come trent’anni fa non perdonai a Teseo di aver ucciso il Minotauro. Solo adesso metto in relazione le due cose, quel pomeriggio ero troppo preoccupato per i problemi che mi avrebbe posto il drago in materia di marce, altezza e larghezza molto superiori alla mia ex, una Renault, eppure mi sembra chiaro che ho obbedito allo stesso impulso di difendere coloro che l’ordine costituito definisce come mostri e stermina appena può. In due o tre ore sono diventato amico del drago, gli ho detto chiaramente che per me non si chiamava più Volkswagen, e la poesia come sempre si è dimostrata puntuale perché quando sono andato all’officina in cui avrebbero dovuto montare la targa definitiva e l’iniziale del paese in cui vivo mi è bastato vedere il meccanico attaccare una grande F sul retro per confermare la verità; ovviamente a un meccanico francese non si può dire che quella lettera non significa Francia ma Fafner, però il drago se n’è accorto e al ritorno mi ha dimostrato la sua gioia salendo parzialmente su un marciapiede con particolare spavento di una signora carica di ortaggi. 30