340 Bauhaus:Layout 1 - Fondazione Internazionale Menarini

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340 Bauhaus:Layout 1 - Fondazione Internazionale Menarini
n° 340 - maggio 2009
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Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it
Bauhaus, punto di arrivo
e punto di partenza
L’evoluzione di un percorso che vuole risolvere il contrasto tra il momento dell’ideazione e quello della produzione industriale, generato dal superamento dei metodi
artigiani, per mettere la qualità alla portata di tutti
“ Formiamo dunque una
nuova corporazione di artigiani, senza però quell’arroganza di classe che
vorrebbe erigere un muro
di alterigia tra artigiani
e artisti!”
Dal primo programma
del Bauhaus di Weimar
Dalla rivoluzione industriale del XIX secolo comincia un graduale ripensamento sul
metodo della produzione
seriale, si fanno confronti
col metodo di lavoro artigianale e si comincia
a pensare a un nuovo approccio per migliorare
il ciclo produttivo dal
momento in cui l’ideazione e la realizzazione
non fanno più riferimento
a un’unica persona come
nel caso dell’artigiano.
La produzione industriale
aveva portato a un graduale impoverimento
sul lato estetico e alla
perdita del “sapore” caratteristico del manufatto artigianale. Proprio per opporsi a queste perdite e in favore
di un’estetica sociale,
l’artista e scrittore William Morris insieme al
filosofo John Ruskin fondano in Inghilterra il
movimento Arts and
Crafts. Ispirandosi al
periodo medievale, nel
quale si riconosceva
l’ideale di bellezza estetica, vogliono ritrovare
un’arte “del popolo per
il popolo”, attraverso
una produzione artigianale ottenuta mediante
la creazione di laboratori atti a produrre oggetti “belli” e disponibili a tutti. Col tempo
accettando un compromesso con l’industria e
sostenendo l’importanza
della progettazione per
una “buona” produzione
seriale, compiono una
prima mossa verso quello
che diventerà il “disegno industriale” e un
esempio famoso di questo passo è rappresentato dalla Sedia Thonet
disegnata da Michael
Thonet nel 1859.
L’esempio costituito dalle
Arts and Crafts inglesi
sarà seguito dall’Art Nouveau della fine del XIX
secolo, che trova larghi
consensi in tutta Europa e negli Stati Uniti
e che riesce a esprimersi
in modo caratteristico
in ogni paese, grazie al
fatto che ne viene di volta
in volta interpretato lo
spirito, spirito che, intuendo subito i vantaggi
che può offrire la produzione industriale, dà
alla luce prodotti di arredo domestico e urbano
di notevole pregio e che
si pone alla base del successivo approccio funzionalista.
Attraverso queste esperienze si arriva alla fondazione, nel 1907 in Germania, del Deutscher Werkbund (Federazione Tedesca del Lavoro) che
si propone di colmare
la distanza tra le arti applicate e l’industria migliorando la qualità del
lavoro industriale. L’esponente principale, l’architetto Peter Behrens,
introduce il concetto
moderno di edilizia che
prende in considerazione,
già in fase progettuale,
sia le esigenze funzionali che l’ottimizzazione
dei costi di produzione
ed è proprio nello studio di Behrens che si formano alcuni dei maggiori esponenti dell’architettura moderna, come
Mies Van Der Rohe, Le
Corbusier e Walter Gropius.
Il risultato di tutte queste tendenze si concretizza in Germania nel
1919, quando Walter
Gropius, chiamato a dirigere sia la Scuola di
Arti Applicate, sia l’Accademia d’Arte di Weimar, crea, dalla fusione
di questi due istituti,
il Sächsische Bauhaus.
Sul primo manifestoprogramma appare la
Logo del Bauhaus apparso
nel manifesto-programma del 1919
Catalogo di sedie dei fratelli Thonet
pag. 2
xilografia di Lyonel Feininger che raffigura una
cattedrale, simbolo della
realizzazione dell’opera
d’arte totale: nelle intenzioni della scuola,
infatti, c’è la volontà di
creare una comunità di
lavoro simile a quelle
dei costruttori delle cattedrali gotiche dove convergevano tutti i saperi,
artistici, tecnici, intellettuali e manuali tutti
tesi in egual misura al
compimento dell’opera.
Obiettivo del Bauhaus
è quello di integrare completamente l’arte alla
vita superando i contrasti che la contrappongono alla tecnica per
non opporsi alla “macchina”, ma anzi imparare a utilizzarne le nuove
opportunità. La produzione industriale è affrontata sia in termini
sociali, sia in termini
espressivi, cercando un
linguaggio che prenda
in considerazione le nuove
tecnologie e le necessità fisiologiche e psicologiche dell’uomo.
L’artigianato non deve
essere recuperato con
spirito romantico, ma
utilizzato come mezzo
per preparare i moderni
progettisti dando loro
la capacità di caratterizzare formalmente il
prodotto industriale.
Tra i primi collaboratori ci sono lo scultore
tedesco Gerhard Marcks,
il pittore americano Lyonel Feininger e la figura
carismatica del pittore
svizzero Johannes Itten. Il corso di base che
tiene Itten, obbligatorio al primo anno, intende liberare le personali creatività per mettere in condizione ogni
studente di valutare le
proprie attitudini.
Gropius assume l’impegno di mantenere un
approccio di apertura
verso tutti i movimenti
contemporanei senza
cedere a nessun particolare coinvolgimento,
ma presto questa promessa si rivela molto
difficile se non impossibile da mantenere. La
presenza di personaggi
forti e carismatici mette
a rischio questo sforzo
e col tempo si produce
un’insanabile frattura
tra Gropius e il docente
svizzero Itten, disaccordo esasperato dall’arrivo, tra il ’21 e il
’22, di due personalità
allo stesso tempo solide
e contrastanti: il pittore russo Wassily Kandinsky, invitato dallo
stesso Itten e l’artista
olandese Theo van Doesburg appartenente al
gruppo De Stijl. Il primo
incita un avvicinamento
all’arte di tipo emotivo,
mistico, mentre il secondo si appella a un
approccio anti-individualista per un’estetica
razionale. Queste due
scuole di pensiero provocano tali tensioni interne da portare a una
revisione dell’orientamento artigianale nel
programma e alle conseguenti dimissioni di
Itten sostituito dall’ungherese Moholy-Nagy
che sposta l’attenzione
verso un “elementarismo costruttivista” a
dimostrazione del quale
possiamo prendere a
esempio il carattere tipografico stampatello
(Bauhaus) di Herbert
Bayer e Joost Schmidt
del ’23.
Gli effetti di questa transizione si possono verificare nelle due “case
modello” costruite: la
Casa Sommerfeld progettata da Gropius e Meyer nel ’22 e la Casa Sperimentale progettata da
Muche e Meyer per
l’esposizione del Bauhaus del ’23. La prima
è concepita nel modo
più tradizionale, è una
casa in tronchi di legno
Heimatstil (stile in voga
tra il XIX e il XX secolo basato sulle tradizioni locali), mentre la
seconda, affine al movimento della Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività), è semplice,
lineare e dotata di tutti
i possibili congegni atti
a far risparmiare lavoro
Lampione della metropolitana di Parigi
Lyonel Feininger: Xiligrafia per il primo manifesto-programma del Bauhaus
pag. 3
con l’obiettivo di creare
la Wohnmaschine, la macchina per abitare.
In questo periodo, di
disagi e di forte crisi economica, comincia a crescere una certa ostilità
da parte degli abitanti
di Weimar nei confronti
della scuola, piena di
personaggi bizzarri e
impegnata in compiti
poco comprensibili. È
solo grazie all’incessante
mediazione di Gropius
e a un leggero miglioramento economico nel
’24, che consente al Bauhaus di ricevere ordinazioni dall’industria, che
si evitano ripercussioni
negative, ma i progressi
dell’istituto, avvertiti
in Germania e all’estero,
ne aumentano anche
l’esposizione e di conseguenza le critiche nei
suoi confronti. Paradossalmente il movimento
riceve attacchi sia dalla
sinistra, che gli lancia
l’accusa di scarsa incisività e di perpetrare
l’eclettismo del compromesso, che dalla destra che parla di atteggiamento sovversivo e
di mancanza di rispetto
delle eredità storiche.
Gli sforzi di Gropius
per tenere la scuola lontana dalla politica si scontrano con i principi stessi
del movimento e perdono così la loro efficacia, tanto che nel 1924
è costretto a lasciare Weimar per Dessau, un ambiente più tranquillo e
con meno tensioni politiche.
La città di Dessau offre
alla scuola oltre che la
possibilità di continuare
a operare anche quella
di dare una concreta dimostrazione delle proprie idee con realizzazione “totale” dell’edificio del Bauhaus. L’edificio diventa un manifesto per la scuola e poi
un riferimento fondamentale per la storia del
movimento razionalista europeo. È la sintesi completa di tutte
le ricerche fino allora
condotte: costruito in
cemento armato e vetro e articolato secondo
una estrema funzionalità distributiva che compone spazi e volumi tali
da ottenere uno straordinario equilibrio compositivo, si struttura con
una volumetria articolata, risultato dell’assemblaggio di corpi geometrici dai volumi squadrati. I materiali leggibili sono il ferro, il vetro e l’intonaco bianco
senza alcuna decorazione
che non interagisca direttamente con la struttura.
In quegli anni si realizza anche la progressiva affermazione di un
vero e proprio “metodo
Bauhaus” che dà risalto
alla deduzione della forma
degli oggetti direttamente dal criterio produttivo, dalle esigenze
funzionali e dalle condizioni imposte dai materiali. Importanti novità arrivano dal laboratorio dei metalli dove
Moholy-Nagy si dedica
agli apparecchi di illuminazione elettrica in
ferro nichelato o cromato, e da quello dei
mobili che comincia a
produrre tavoli e sedie
in tubolari di acciaio,
tutti con struttura leggera, maneggevoli ed
economici, per esempio la Sedia Wassily di
Marcel Breuer o la Sedia Cantilever di Mart
Stam dedotta dalle proprietà alla tensione dell’acciaio. Una parte di
questa produzione riceve il consenso dell’industria, consenso che,
portando a contratti e
brevetti, assicura finanziamenti e fama internazionale all’istituto.
Nel 1928 il direttore,
Walter Gropius, presenta le proprie dimissioni al sindaco di Dessau: la personale carriera in evoluzione, la
raggiunta stabilità della
scuola e i continui attacchi contro di lui, lo
convincono che è giunto
il momento di lasciare;
conclude così la sua opera
Herbert Bayer e Joost Schmidt:
Carattere di stampa “Bauhaus”
Walter Gropius e Hannes Meyer: Casa Sommerfeld e Hannes Meyer e Georg Muche: Casa sperimentale
pag. 4
didattica: per dieci anni
si è dedicato completamente a questa impresa,
spendendo la sua autorità e le capacità di mediazione in tutti i momenti critici e lascia ora,
dimostrando accortezza
e coraggio, quando la
sua impresa è all’apice
del successo, indicando
come suo successore Hannes Meyer.
Lontano dall’influenza
esercitata da Gropius
l’orientamento della
scuola si sposta ancora
più a sinistra, verso una
progettazione più responsabile nei confronti
della società: si producono mobili semplici,
in legno compensato,
smontabili e poco costosi considerandone
più gli aspetti sociali
che estetici. Nonostante
l’impegno di Meyer nel
far sì che la scuola non
diventi uno strumento
nelle mani della sinistra, egli non riesce a
impedire il crescere delle
proteste contro di lui,
proteste che costringono
il sindaco a chiederne
le dimissioni. Al suo posto subentra Mies van
der Rohe, ma questo non
basta ad accontentare
una destra che vuole la
definitiva chiusura del
Bauhaus, e che ottiene
nel 1933, per riportare
la “sana tradizione ariana
al posto che le spetta”
in sostituzione di tutti
quegli aspetti sachlich
che i marxisti e gli émigrés liberali della scuola
avevano introdotto.
La storia fa poi il suo
corso, ma dimostra anche che è proprio grazie all’impegno di tutti
questi artisti che è nato
Edificio principale del Bauhaus di Dessau
sopra, Mart Stam: Sedia
Cantilever
a lato, Marcel Breuer: Sedia
Wassily
l’approccio moderno e
contemporaneo nei confronti di una progettazione industriale, una
ricerca tesa a sfruttare
al meglio le potenzialità dell’industrializzazione senza però perdere di vista le qualità
estetiche. Il Bauhaus
ha tracciato il percorso
per risolvere il conflitto
che vede contrapposte
le qualità della produzione artigianale alle
potenzialità quantita-
tive dell’industria. Approccio che oggi porta
il nome di Industrial Design, ma che già nei primi
decenni del secolo scorso
ha visto la luce e che ha
fatto nascere oggetti che
ancora oggi sono “in produzione” e che, impreziositi dalla storia, arredano le nostre case.
francesca bardi

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