quali possibilita` ha la teologia di essere presente nella cultura?

Transcript

quali possibilita` ha la teologia di essere presente nella cultura?
QUALI POSSIBILITA' HA LA TEOLOGIA DI ESSERE PRESENTE NELLA CULTURA?
Sono p articolarmente lieto di inte rvenir e all’interno di un’istituzione accademica
così prestigi o sa come l’università di Fr iburg o, a nche perché ho condotto buona parte della
mia esistenza proprio nell’ambito dell’insegnamento nella Facoltà di Teologia dell’Ita lia
Settentr ionale. Il mio sarà, perciò, un discorso essenziale in un’atmosfera di familia rità
tra alunni e docenti ai quali va il mio salu to e augurio più affettuoso. La riflessione che
propongo sarà mol to semplificata perch é i due poli del tema che mi è stato asseg nato
sono di loro nat ura complessi e variegat i e ammetterebbero un’infinita trama di percorsi
analitici.
Da un lato, inf att i, la teologia, così com e il messaggio religioso, rivela moltep lici
fisionomie. Come scriveva Karl Barth nella sua famosa Einführung in die evangelisch e
Theologie, «tra l e scienze, la teologia è la più bella, la sola che tocchi la mente e il
cuore arricche ndoli , che tanto si avvicini a lla r ealtà umana e getti uno sguardo lumin o so
sulla verità… Ma è anche la più difficile ed esposta a rischi; in essa è più facile cad e re
nella disper azione o, peggio, nell’arro ga nza ; più di ogni altra può diventare la caricatura
di se stessa». E ssa, inoltre, nella societ à contemporanea si trova coinvolta in sfide di
particolare difficoltà e originalità, a par tire d all’onda lunga della secolarizzazione per
approdar e pe rò anche alle nuove insor ge nze del sacro che talora oscillano tra l’acce sa
eccitazione del fondamentalismo e de ll’int egra lismo e la piatta confusione del sincretismo,
tra il tradizionalismo devozionalistico e la conformazione inerte ai nuovi modelli di massa .
D’altro lato, anche la cultur a, concepita in passato come aristocrazia delle
arti e delle scienze, si è trasformata in una categoria antropologica di indole gene rale
che com prende trasversalmente l’int er o pensare e agire sociale nelle sue più dive rse
elaborazioni, al punto tale da assumere tu tte le forme produttive contemporanee. Si pen si
solo cosa signi fi chi l’evoluzione del linguaggio e della comunicazione con l’arrivo del
digitale, di int ernet, della cybercultura. Similmente l’arte ha adottato nuove grammatich e
espressive ben lontane da quelle classiche , mentre le culture giovanili rivelano mode lli
esistenziali e intellettuali del tutto inediti rispetto a quelli delle generazioni precede nti.
Inoltre l’impero dell e t ecnoscienze si fa sem pr e più potente e condiziona la stessa mo rale
comune, come è attestato nell’ambito della bioetica. Infine i fenomeni migratori e la
globalizzazione hanno creato una so cietà nella quale domina l’interculturalità, con tu tti i
corollari che essa comporta.
La fede cristiana, di sua natu ra “ incarn ata”, esige necessariamente il confro nto
con un sim ile orizzont e fluido e mo lt ep lice . Per questo è da evitare ogni tentativo d i
arroccamento solo dif ensivo, ma si deve assu mere la fatica del dialogo. Esso supp one
innanzitutto la tutela della propria identità e la coscienza delle verità custodite, ma
comporta anche il confronto e l’asco lt o co n l’altro lógos, con le sue tesi e verità. Ce rto,
come indicava Marit ain, il se poser nella socie tà significa anche s’opposer , genera cioè
anche un rapporto dialettico. Tuttavia il se p oser non deve mai trasformarsi in imporsi , se
non con l’evidenza delle argomentazion i e dei valori, deve piuttosto comporsi in un dialo go
che scopra le coincidenze ma conser vi in a rmonia anche le diversità. Al duello si d eve,
dunque, sostit uire il duetto che in mu sica può coniugare in armonia tra loro un basso e
un soprano che non ri nunciano al timbro delle loro voci radicalmente differenti, eppu re si
compongono in un progetto “sin-fonico ”.
È questo il significato del “Cortile dei Gentili” che, con grande successo, su impulso
di Benedetto XVI , il Pontificio Consiglio della Cultura sta attuando in una vera e pr opria
costellazione di città e nazioni europ ee e a mericane, in attesa di approdare negli a ltri
-1-
continenti. Cr edenti e non credenti si espongono sui grandi temi dell’essere e dell’esistere ,
sull’etica e sul la cultura, sull’immanen te e sul trascendente, cercando di confrontare le
rispettive opzi oni, generando spesso un dia logo fecondo. In questa operazione, pe rò,
si cerca di ra ggiungere anche gli am biti p op olari, le esperienze giovanili, fino a crea re
sorprendenti e vivaci “Cortili dei bambini” di f amiglie credenti, indifferenti o esplicitamente
aliene da interessi religiosi.
P ropr io per l a vastità di percorsi po ssibili ho scelto di proporre in questo tempo
limitato solo un emblema del nesso e del confronto tra teologia e cultura, dedicand o
una r iflessione molt o semplificata su uno dei dialoghi più ardui e problematici, quell o tra
teologia e scienza.
Partiremo dal famoso e provocat or io asserto di Einstein sulla scienza zoppa e
sulla religione ci eca, se esse si ignor ano. Que sto assioma è stato echeggiato anch e dal
discorso di Giovanni P aolo II proprio in occa sione del centenario della nascita (1879-1 979 )
dello stesso Einstein. Il Papa, infatt i, cita nd o il documento del Concilio Vaticano II
Gaudium et Spes (n. 7), ricordava: «Anche la vita religiosa è sotto l’influsso delle nuo ve
situazioni… Un più acuto senso critico la pur if ica da ogni concezione magica del mo ndo
e dalle sopravvi venze superstiziose». Anco r p iù sintetico ed esplicito era stato il famo so
scienziato Ma x Pl anck che, nel suo sag gio sulla Conoscenza del mondo fisico (1 906 ;
1947), affermava: «Sci enza e religio ne n on sono in contrasto, ma hanno bisogno una
dell’altra per completarsi nella mente di un uo mo che pensa seriamente».
Da un lato, è, al lora, necessario che lo scienziato lasci cadere quell’orgog liosa
autosufficienza che l o spinge a relegare la te ologia nel deposito dei relitti di un paleolitico
intellettuale e quell’hybris che lo illud e di dichiarare la capacità onnicomprensiva d e lla
scienza nel conoscere, circoscrivendo ed esaurendo la totalità dell’essere e dell’esistere ,
del senso e d ei valori. Ma, d’altro lat o, si deve vincere anche la tentazione del teo logo
desideroso di perimetrare i campi de lla r icer ca scientifica e di finalizzarne o piegarn e i
risultati apologeticamente a sostegno delle sue tesi. Bisogna ribadire la necessità che
scienziato e teologo ri mangano aderenti ai loro specifici canoni di ricerca, pronti p e rò
anche a rispettare e a tenere in considera zione i metodi e i risultati degli altri approcci a lla
realtà che ent rambi prendono in esam e.
Già sant’Agostino ne era consape vole quando, nel Dibattito con Felice Maniche o,
afferm ava che: «N on si legge nel Van ge lo che il Signore abbia detto: Vi manderò il
Paraclito che vi insegnerà come vanno il so le e la luna. Voleva formare dei cristiani, non
dei m atematici». Sempre valida rimane, qu indi, la linea di demarcazione tracciata pr oprio
da Galileo Galilei nel la celebre lettera a ll’abat e benedettino Benedetto Castelli: «L’autorità
dello Spirito Santo ha avuto di mira a persu ad er agli uomini su quelle verità che, sen d o
necessarie all a loro salvezza e supe rando ogni umano discorso, non potevano per a ltra
scienza né per altro mezzo essere con osciut e se non per bocca dell’istesso Spirito Sa nto» .
Si delinea, co sì, l a «verità» genuina che la Bib bia vuole comunicare, una verità non di tipo
scientifico m a teologico, come ribadirà la Dei Verbum nel Concilio Vaticano II: «I libri della
S. Scr ittura in segnano con certezza, fedelm ente e senza errore la verità che Dio, a ca usa
della nostra salvezza, volle che fosse consegnata nelle Sacre Lettere» (n. 11).
È, du nque, importante, propo rre innanzitutto una sorta di rispetto reciproc o a
livello m etodo logi co, una specie di co esiste nza pacifica tra scienza e fede, lasciando a lle
spalle quello scontro che ha avuto un ver tice n el positivismo del filosofo Auguste Comte ,
negatore della «legi tt imità di ogni interr ogazio ne al di là della fisica». Un impulso ulterio re
a questa discrasia radicale è riconoscib ile anche nel neopositivismo del Novecento . Il
Tractatus logico-phil osophicus di Lud wig Wit t genstein (1921) dichiarava come prive d i
senso scientifico le proposizioni della m et afisica, dell’etica e dell’estetica, perché e sse
non sono immagine di nessun fatto del m ondo.
Se fosse anco rata al solo orizzonte scientifico, tale affermazione sarebbe comprensibile .
Tuttavia, i ne oposit ivi sti del cosiddetto « Cir colo di Vienna» (Schlick, Neurath, Carn ap e
-2-
così via) andarono oltre e interpretar on o in senso svalutativo radicale l’affermazione di
Wittgenstein riguardo ai discorsi non str et tamente “scientifici”. In realtà, per il filosofo
viennese – che non era certo un agn ost ico – si trattava solo di un’“ineffabilità” i nsita
in quelle prop osizi oni, per cui «su ciò di cu i non si può parlare, si deve tacere», e n o n
certo di una loro assurdità. Anche se sopra vvivono ancora ben vigorosi epigoni delle
tesi del “Ci rcolo”, come i difensori di uno scientismo a oltranza (Dawkins, Hitch ens,
Onfray, Odifreddi ), t ale impostazione vien e o rmai considerata anche da molti autori “la ici”
o “umanisti secolari” come semplifica toria.
Inf att i attualmente ci si muove sempre di più secondo un reciproco e
coerente risp ett o tra i due campi: la scienza si dedica ai fatti, ai dati, alla “sce na”,
al “ come” ; la metafisica e la religion e si consacrano ai valori, ai significati ultimi, al
“fondam ento”, al “perché”, secondo specifici pro tocolli di ricerca. È quella che lo scien ziato
statunitense Stephen J. Gould, mo rt o ne l 2002, ha sistematizzato nella formula d e i
Non-Overlapping-Magisteria (NOMA), ossia de lla non-sovrapponibilità dei percorsi d ella
conoscenza filosofico-t eologica e della co no scenza empirico-scientifica. Essi incarn a no
due livelli m etodologici, epistemologici, linguistici che, appartenendo a piani differenti,
non possono i ntersecarsi, sono tra lor o incommensurabili, risultano reciprocame n te
intraducibili e si rivelano in tal modo non conflittuali. Come scriveva già nel 1878 Nietzsch e
in Umano, troppo umano : «Fra religion e e scienza non esistono né parentele né amicizia
ma neppure inimici zia: vivono in sfere d iver se» .
Riconosciuta la positività di tale impost azione, che rigetta facili concordismi sincretistici
e assegna pari dignità ai diversi tracciat i di analisi della realtà, bisogna però opporre
una riser va ch e è ben evidente già a par tire dalla stessa esperienza nella storia sia della
scienza sia delle disci pline umanistic he . I nfa tti, entrambe, scienza e teologia (o filoso fia),
hanno in comune l’ oggetto della loro inve stiga zione (l’uomo, l’essere, il cosmo) e – come
ha osser vato acutamente lo studioso p olacco Micha# Heller, nel suo saggio Nuova fisica
e nuova teologia (1996) - «esistono alcu ni tipi di asserzioni che si lasciano trasferire da l
campo delle sci enze sperimentali a quello f ilosofico senza confondere i livelli», anzi, con
esiti fecondi (si pensi al contributo che la filosofia ha offerto alla scienza riguardo a lle
categorie “ tempo” e “spazio”).
Inoltre, cont inua Heller, «la d ist inzione dei livelli non dovrebbe legittimare
l’esclusione apri oristica della possibilità di qu alsiasi sintesi». È così che ha preso vigo re,
accanto alla sempre valida (a livello di m et odo) “teoria dei due livelli”, una sussidia ria
“teoria del dial ogo” propugnata da un a lt ro st udioso, Józef Tischner, che fa leva sul fatto
che ogni uomo è dotato di una coscie nza u nificante e, quindi, ogni ricerca sulla vita
umana e sul rapporto con l’universo esige un a pluralità armonica di itinerari e di e siti
che si intrecciano tra l oro nell’unicità della per sona. Non è soddisfacente, allora, per una
più com piuta ri sposta dissociare radicalment e i contributi scientifici da quelli filosofici e
viceversa, pena una perdita della ver a “ concr etezza” della realtà e dell’autenticità della
stessa conoscenza umana che non è m on od ica, cioè solo razionale e formale, ma a nche
simbolico-affettiva (l e pascaliane “rag ioni del cuore”).
Questa “teoria del dial ogo” – che, per altr o, faceva parte dell’eredità dell’umanesimo
classico – è fatta balenare anche nella Lett er a che Giovanni Paolo II aveva indirizzato n el
1988 al direttore dell a S pecola Vatica na : «I l dialogo [tra scienza e fede] deve contin uare
e pr ogredir e in profondità e in ampiezza . I n questo processo dobbiamo superare o gni
tendenza r egressiva che porti verso fo rme di riduzionismo unilaterale, di paura e di
autoisolamento. C iò che è assolutam en te im portante è che ciascuna disciplina continu i
ad arr icchire, nutrire e provocare l’altr a ad essere più pienamente ciò che deve essere e
contribuire alla nostra visione di ciò che siam o e di dove stiamo andando». Distinzione ma
non separ atezza, dunque, tra scienza e f ede; esperienza e “trascendenza” sono distin te
nei livelli ma non i solat e e incomunicabili.
Siamo, dunque, in presenza d i due profili dello stesso volto: cancellato un o ,
il v iso si sfigura o almeno risulta incom plet o. In sintesi possiamo ribadire l’appel lo ai
credenti perché sappiano rispettare, senza p revaricazioni “apologetiche”, dati scientifici
-3-
e dati teologici , ricerca scientifica e itiner ar io teologico, sperimentazione e rifless ione ,
scienza e fede. A nalogamente i non cre de nt i che operano nell’orizzonte scien tifico
dovrebbero riconoscere la non esauribilità dell’essere e dell’uomo ricorrendo so lo a
parametri di verificabilità scientifica. Ciascuno sappia custodire il proprio ambito di analisi,
ma riconoscendo anche che i due t er r en i di ricerca non sono tra loro esclusivi né
reciprocament e repellenti o repulsivi.
È, quindi, necessario riaprir e la stagione del dialogo, proprio in que sto
cinquantenario del C oncilio Vaticano I I, consapevoli delle difficoltà e delle comple ssità
che esso comporta in una società e in una cultura così fluida e spesso lontana d alle
grandi interr ogazioni metafisiche e religiose . Eppure, proprio come il Lógos s’intreccia
intimamente con la sarx , come la stessa S. Scrittura si è posta in confronto dinamico
con le varie civiltà – dalla nomadica alla f en icio-cananea, dalla mesopotamica all’egizia ,
dall’hittita alla persi ana e alla grec o- ellenistica – e come il cristianesimo si è ap erto
all’inculturazi one nei vari secoli della sua sto ria e nei vari continenti, così anche ogg i
la teologia d eve ritornare al corag gio del confronto con la cultura contempora nea ,
senza reazioni integral istiche che son o se gn o di paura e debolezza ma anche se nza
minimalismi teoreti ci, senza rigidità ide nt it ar ie ma anche senza incolori uniformismi o
derive relativistiche.
Nella sua Prima Apologia s. G iu stino scriveva: «Del Lógos divino fu parte cipe
tutto il genere umano e coloro che visser o secondo il Lógos sono cristiani, anche se
furono giudicati atei, come fra i Greci So crate ed Eraclito e altri simili a loro» (4 6 ,
2-3). La consapevolezza che il Lógo s d ivin o diffonde i suoi “semi” nel mondo delle
culture deve, qui ndi, spingere la te ologia cr istiana, con la sua secolare ricchezza di
elaborazione intellettuale e di testimonian za, a entrare senza imbarazzo nel vasto e
multiforme areopago della modernità.
-4-