Per la vita del mondo

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Per la vita del mondo
Alexander Schmemann
Per la vita del mondo
Il mondo come sacramento
“È il tempo quando fiorisce il tiglio”
Lipa
Indice
© 1988 St Vladimir’s Seminary Press
© Serge Schmemann
© 2012 Lipa Srl, Roma
prima edizione: luglio 2012
Lipa Edizioni
via Paolina, 25
00184 Roma
& 06 4747770
fax 06 485876
e-mail: [email protected]
http: //www.lipaonline.org
Prefazione........................................................
7
Introduzione..................................................
11
1. La vita del mondo ...................................
17
2. L’Eucaristia...............................................
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3. Il tempo della missione ..........................
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4. Dall’acqua e dallo Spirito........................
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5. Il mistero dell’amore................................ 104
Autore: Alexander Schmemann
Titolo: Per la vita del mondo
(titolo originale: For the Life of the World)
Sottotitolo: Il mondo come sacramento
Traduzione: Maria Campatelli
Collana: Pubblicazioni del Centro Aletti
Formato: 130x210 mm
Pagine: 192
In copertina: “La pesca miracolosa”, mosaico nella cappella della Conferenza
Episcopale Spagnola, Madrid, eseguito dall’Atelier del Centro Aletti
Stampato nel luglio 2012
Impianti e stampa: Graficapuntoprint, Roma
Proprietà letteraria riservata Printed in Italy
codice ISBN 978-88-89667-45-3
6. Con la morte ha calpestato la morte........ 122
7. Di questo voi siete testimoni .................. 138
Appendice I:
Il culto in un’epoca secolarizzata ............. 147
Appendice II:
Sacramento e simbolo................................ 170
Qual è il misterioso ostacolo che rende impossibile ai cristiani
essere cristiani? E perché, nonostante l’enorme profusione di sforzi, di impegni, di energie spesi per l’evangelizzazione, non succede niente? Perché i cristiani non sono interessanti per il mondo?
A quasi 50 anni dalla prima uscita del libro, l’originalità e
la freschezza della risposta offerta da Schmemann rimangono intatte. Schmemann afferma con decisione che proprio questo è il
peccato originale: pensare a Dio in termini di religione, cioè opponendolo alla vita. Da qui nasce una mentalità che dà origine
ad una doppia riduzione della fede cristiana. Da una parte ci sono coloro che credono che la nostra esistenza concreta non abbia
niente a che vedere con la vita che Dio ci promette, se non come
esercizio e prova per l’aldilà. Dall’altra ci sono coloro che credono che questa vita sia l’unica vita e che quindi tocchi a noi riempirla di significato e di felicità quanto piú è possibile. Nell’uno e
nell’altro caso, i cristiani rendono opaco il mondo, invece di trasformarlo in “vita in Dio”.
Ma è la rivelazione stessa a dirci che il mondo – il mondo in
cui viviamo, in cui camminiamo, che costituisce il nostro corpo, di
cui ci nutriamo – è creato come mezzo di comunione e di partecipazione alla vita di Dio. All’origine del mondo c’è il mistero
di un Dio che parla, e parlando crea. Ogni creatura è allora una
parola che Dio ci rivolge e la creazione è una realtà personale, che
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Per la vita del mondo / A. Schmemann
contiene in sé la traccia del Lógos, che suscita e struttura le creature ed è presente in esse in maniera salvifica. Il mondo è una teofania e tutto l’universo è un linguaggio attraverso il quale Dio parla a noi in ogni cosa.
Ma se la creazione si definisce in relazione al suo principio,
la vita, per essere tale, deve rimanere in contatto con la Vita. La
vita non è il semplice moltiplicarsi degli esseri sulla terra, la cui
esistenza è sempre minacciata, ma implica una finalità da raggiungere. L’esistenza ricevuta simboleggia (cioè è e non è allo stesso tempo) la vita che Dio vuole concedere all’uomo. L’uomo è invitato a vivere, ma può farlo solo ricevendo da Dio questa vita,
accogliendola come dono e facendone un’azione di grazie. Solo
in questa relazione con Dio il mondo resta ancorato all’essere.
Quando si rende “autonomo”, si recide dalle proprie radici.
È questo che determina la tragedia: prendere il mondo e la propria esistenza senza vedervi un dono, cioè senza scorgervi il
Donatore. Questo chiude il mondo nella sua finitudine, nella sua
mortalità, perché il mondo non ha la vita in sé e la sua vita diventa tale solo quando è unita a Dio. Dopo il peccato, il progetto di Dio – fare del mondo una comunione con Lui – è ripreso
in un contesto ormai tragico, ed esige un’ascesi violenta che culmina nella croce di Cristo, che restituisce finalmente agli uomini
la possibilità di trasfigurare l’universo. Tutto il mondo è stato creato come sacramentale perché Cristo è il Verbo per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, è Colui che, facendosi uomo, ha
assunto nel suo corpo la creazione e l’ha liberata dalla corruzione di cui era stata segnata con il peccato, e perché Lui è il compimento di tutto, come si rivelerà negli ultimi tempi. Il primo chicco di grano della creazione è già voluto da Dio come cristico e quindi ha in sé la verità sotto forma di promessa, esiste potenzialmente
come corpo del Signore.
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È qui che si coglie l’importanza di quanto Schmemann sottolinea con forza: la necessità di recuperare da parte della Chiesa
il vero spirito della liturgia come una visione onniabbracciante della vita, che include cielo e terra, tempo ed eternità, spirito e materia, e come potere di questa visione di trasformare la vita.
La liturgia è un vero potere di trasformazione di questo mondo: è la liturgia infatti a esorcizzare il profano del mondo, cioè a
liberare il mondo dall’illusione della sua autonomia, a rinnovare
il suo essere vero nella relazione con Dio che essa confessa e celebra, a nutrire di Dio la profondità delle cose, a manifestare le radici e il compimento dell’universo in Cristo. La liturgia libera l’aspirazione del mondo ad essere trasformato in cieli nuovi e terra nuova, dà voce alla sua lode asfissiata, e fa respirare il mondo perché
gli dona lo Spirito. La liturgia è questo grande movimento di adorazione nella quale si trova trascinato il cosmo intero, dove la creazione stessa riconosce il suo Creatore e lo rivela, suscitando presso gli uomini l’azione di grazie e la lode. Si guarda la liturgia per
capire la vita, non all’inverso, perché la liturgia è l’occhio che, al
di là della crosta superficiale delle cose, riesce a vedere l’intensità
di significato che le cose hanno negli occhi di Dio.
La liturgia è allora conoscenza di Dio e conoscenza del mondo e ci svela come ogni cosa della vita – il cibo, l’amore tra un uomo e una donna, persino la malattia, la sofferenza e il male per
cui si chiede perdono – in Cristo riceve il potere di diventare il
segno, il sacramento, la proclamazione, il passaggio alla vita sovrabbondante della comunione con Dio nel suo regno.
Qui ci imbattiamo in un’altra delle affermazioni categoriche
di Schmemann: è solo a partire dalla liturgia, che trasporta la
Chiesa nel regno dei cieli e la trasforma in ciò che è, è solo accettando il potere trasformante della liturgia e valorizzando la sua
capacità formativa che comincia la missione.
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Per la vita del mondo / A. Schmemann
Introduzione
Si tratta di temi tradizionali nel cristianesimo, ma divenuti inconsueti alla riflessione teologica occidentale e che pure costituiscono
il nucleo della fede cristiana. Schmemann, con un profondo radicamento nella tradizione, con una spiccata sensibilità alla cultura contemporanea di cui forse ha intuito con grande anticipazione
alcuni esiti, ci fa rivisitare questi contenuti facendone scoprire l’impatto esistenziale e con ciò anche la freschezza e la gioia della vita nuova.
È questo forse il segreto del successo che ha avuto il libro, ristampato a piú riprese nel corso degli anni. Una traduzione italiana della sua prima versione, ormai introvabile, era apparsa nel
1969. Questa nuova traduzione vede l’aggiunta delle due appendici che Schmemann ha inserito nell’ultima edizione e delle
due introduzioni che l’autore ha premesso alle sue diverse edizioni.
Maria Campatelli
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Introduzione alla prima edizione
Questo libro, scritto da un sacerdote ortodosso, vorrebbe essere un contributo – seppure modesto e parziale
– al grande dibattito spirituale del nostro tempo. Questo
dibattito, nel quale sono coinvolti tutti i cristiani di oggi,
riguarda il ruolo della fede cristiana nel nostro mondo moderno. Il libro è un tentativo di collegare i problemi, le speranze e le difficoltà del mondo all’esperienza sacramentale che ha sempre costituito il nucleo della visione del
mondo dell’ortodossia. Cosí facendo, noi scopriremo le
dimensioni cosmiche e universali della leitourgia cristiana
che, per la sua natura e il suo scopo, abbraccia, assume, trasfigura tutte le cose.
Anche se la tradizione liturgica ortodossa è la fonte
principale della mia ispirazione, ho la viva coscienza di
quanto devo al rinnovamento spirituale e teologico che ha
segnato in modo cosí decisivo l’occidente cristiano nel nostro tempo e, piú in particolare, al movimento liturgico.
Questa breve introduzione vuole essere un riconoscimento di tale debito.
Per tanti secoli, le due “metà” che hanno costituito la
cristianità fin dal suo apparire nella storia – l’orientale e l’occidentale – hanno vissuto non solo nella separazione ecclesiastica e dottrinale, ma anche in un’ignoranza reciproca quasi completa. Benché abbiamo certamente una interpretazione e una spiegazione differente delle cause e del11
Per la vita del mondo / A. Schmemann
la natura delle nostre divisioni, nessuno negherebbe oggi che
uno dei loro risultati piú tragici è stato che tali divisioni hanno favorito, all’interno di ciascuno di questi “mondi” separati, un sentimento di autosufficienza che, a sua volta, ha
portato a un restringimento della visione spirituale e ad un
impoverimento della prospettiva teologica.
Ci sono state molte polemiche, ma nessuno sforzo di
comprensione; molte accuse, ma nessun interesse reale; due
monologhi piuttosto che un dialogo. Non è esagerato dire che proprio il movimento liturgico, prima ancora
dell’esistenza di un movimento ecumenico organizzato, è
stato il primo a rompere l’ignoranza e l’indifferenza, a creare le condizioni di un nuovo incontro, basato non piú sulla paura e sul sospetto, ma sull’amore, sul rispetto reciproco
e, soprattutto, su un terreno comune. Il lavoro di uomini come Odo Casel e Lambert Beauduin, J. A. Jungmann
e Louis Bouyer, Romano Guardini e H. A. Reinhold, per
citarne solo alcuni, ha fatto piú che gettare le basi di un
rinnovamento liturgico nel cattolicesimo romano. Questo
lavoro ha contribuito ad aprire una prospettiva teologica
e spirituale comune, a ristabilire un linguaggio veramente cattolico senza il quale nessun incontro fruttuoso, nessuna conversazione ecumenica sarebbe possibile. I loro
scritti sono stati e restano ancora significativi sia per noi
ortodossi che per i nostri fratelli occidentali. Essi infatti non
solo ci hanno aiutato a capire meglio l’eredità liturgica e
spirituale dell’occidente, ma, per quanto paradossale possa sembrare, ci hanno aiutato anche a conoscere meglio la
nostra stessa lex orandi. Ciò non significa un accordo su tutti i punti, ma con uomini come loro persino i disaccordi
sono costruttivi e pieni di significato. Infatti, sollevando le
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Introduzione
giuste questioni, collocando lo studio della liturgia in una
prospettiva missionaria, teologica ed ecumenica e, soprattutto, con il loro spirito di carità, essi hanno tracciato la via che dobbiamo riconoscere come nostro comune cammino. A loro, che siano vivi o che riposino già nel
Signore, sono felice di dedicare questo piccolo libro.
Tutto questo significa che le pagine che seguono non
vogliono essere una “lezione” ortodossa all’occidente. Le
posizioni e gli atteggiamenti qui criticati non sono il monopolio di nessuna area ecclesiastica o geografica. E se le
idee qui proposte e difese mi sono state suggerite dalla mia
fede e dalla liturgia ortodossa, hanno potuto avere altrove interpreti migliori e piú qualificati. È chiaro che non
cerco di cancellare o minimizzare i punti di disaccordo
dottrinale, perché fare cosí sarebbe in contraddizione con
i princípi stessi di uno spirito veramente ecumenico.
L’ecumenismo non significa un atteggiamento relativistico, un compromesso, ma prima di tutto la prontezza ad
ascoltare e ad essere ascoltati, a fare della ricerca della verità un compito comune, per quanto difficile e doloroso
possa essere.
Originariamente questo libro è stato scritto e diffuso
in una tiratura limitata come una guida di studio per un
incontro della World Christian Student Federation. Non
era rivolto ai teologi e perciò non ha un apparato scientifico. È mia speranza, tuttavia, che in questa forma popolare possa essere di beneficio spirituale ai suoi lettori.
1965
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Per la vita del mondo / A. Schmemann
Introduzione alla seconda edizione
Questo piccolo libro è stato scritto dieci anni fa come
una guida di studio per l’incontro quadriennale della sezione americana della World Christian Student Federation
tenutosi ad Athens, Ohio, nel dicembre del 1963. Non voleva essere, e non lo è, un trattato di teologia sistematica
sulla tradizione liturgica ortodossa. Il mio unico scopo nello scriverlo era descrivere – per degli studenti che si preparavano a discutere della missione – la “visione del mondo” cristiana, cioè l’approccio al mondo e alla vita dell’uomo in esso che deriva dall’esperienza liturgica della Chiesa
ortodossa.
È successo che il libro ha raggiunto una cerchia di lettori molto piú ampia del gruppo di studenti per i quali era
stato scritto. Ristampato nel 1965 da Herder & Herder
(con il titolo I sacramenti e l’ortodossia), poi in Inghilterra
(Il mondo come sacramento), tradotto in francese, italiano e
greco, è stato addirittura “pubblicato” recentemente in una
traduzione russa anonima dal samizdat clandestino in
Unione Sovietica. Tutto ciò attesta, ne sono sicuro, non
tanto le qualità particolari del libro in sé – piú di ogni altro sono consapevole dei suoi molti difetti e delle sue insufficienze –, ma l’importanza della questione sollevata, la
cui urgenza, già chiara dieci anni fa, è oggi persino piú evidente ed è la sola giustificazione per questa nuova edizione.
Fondamentalmente tale questione è quella del secolarismo – la progressiva e rapida estraneazione della nostra cultura, delle sue stesse fondamenta, dall’esperienza cristiana
e dalla “visione del mondo” che in origine ha plasmato tale cultura – e la profonda polarizzazione che il secolarismo ha provocato tra gli stessi cristiani. Cosí, mentre al14
Introduzione
cuni sembrano salutare il secolarismo come il miglior
frutto del cristianesimo nella storia, altri trovano in esso la
giustificazione per un rigetto quasi manicheo del mondo,
per una fuga in una “spiritualità” disincarnata e dualistica. E di conseguenza ci sono quelli che riducono la
Chiesa al mondo e ai suoi problemi e quelli che semplicemente equiparano il mondo al male e si crogiolano in
maniera quasi morbosa nella loro tristezza apocalittica.
Sono convinto che entrambi gli atteggiamenti distorcono la pienezza, la cattolicità della genuina tradizione ortodossa, che ha sempre affermato allo stesso tempo sia la
bontà del mondo, per la vita del quale Dio ha dato il suo
Figlio unigenito, sia la malvagità del male nel quale giace
il mondo. Perciò questa stessa tradizione ha sempre proclamato e continua a proclamare ogni domenica che “con
la croce la gioia è entrata nel mondo”, eppure dice a coloro che credono in Cristo che “sono morti e la loro vita è nascosta con Cristo in Dio” (cf Col 3,3).
La nostra questione si potrebbe anche formulare cosí:
come possiamo mettere insieme – nella fede, nella vita, nel
nostro agire – queste affermazioni apparentemente contraddittorie della Chiesa, come possiamo superare la tentazione di optare per una di loro e di “assolutizzarla”, cadendo cosí nelle scelte sbagliate – o “eresie” – che hanno
tanto spesso afflitto il cristianesimo nel passato?
Sono certo che la risposta ci venga non da teorie intellettuali chiare e distinte, ma soprattutto da quella esperienza viva e ininterrotta della Chiesa rivelataci e comunicataci nella sua liturgia, nella leitourgia che sempre la rende ciò che è: il sacramento del mondo, il sacramento del
regno – il dono del mondo e del regno a noi in Cristo. Ed
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Per la vita del mondo / A. Schmemann
è questa esperienza che ho cercato, non tanto di spiegare
o di analizzare, quanto semplicemente di confermare in
questo libro.
Se lo avessi dovuto scrivere oggi, lo avrei fatto probabilmente in modo diverso. Ma non credo che si possa riscrivere ciò che una volta con tutto il cuore, anche se imperfettamente, si è già scritto – almeno io non ne sono capace. Perciò questa nuova edizione ha solo poche correzioni e modifiche. Ho anche aggiunto come appendice
due testi scritti in un modo un po’ diverso, che spero tuttavia possano aiutare a comprendere meglio alcune delle
implicazioni del libro.
Infine, mi piacerebbe usare l’opportunità datami da
questa nuova edizione per esprimere la mia profonda gratitudine a coloro le cui reazioni al mio lavoro sono state
per me fonte di grande gioia: a Zissimos Lorenzatos di
Atene che, di sua iniziativa, semplicemente perché, come
mi ha scritto, “sentiva che lo doveva fare”, ha pubblicato
una bellissima traduzione greca del libro; ai miei amici sconosciuti in Russia: venire a sapere della loro umile edizione
dattiloscritta del libro è stata una delle esperienze piú
toccanti della mia vita; a tutti coloro che mi hanno scritto e i cui messaggi sono stati per me l’affermazione gioiosa della loro unità “nella fede e nell’amore”; infine, ai miei
amici David Drillock e Anthony Pluth che non si sono risparmiati per la preparazione di questa nuova edizione.
Gennaio 1973
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1. LA
VITA DEL MONDO
“L’uomo è ciò che mangia”. Con questa affermazione
il filosofo materialista tedesco Feuerbach pensò di aver
messo fine a tutte le speculazioni “idealistiche” sulla natura umana. In realtà, senza saperlo, stava esprimendo l’idea
piú religiosa dell’uomo. Infatti, molto tempo prima di
Feuerbach, la Bibbia aveva dato la stessa definizione dell’uomo. Nella storia biblica della creazione, l’uomo è presentato anzitutto come un essere affamato, e il mondo intero
come suo cibo. Secondo l’autore del primo capitolo della Genesi, subito dopo il comandamento di moltiplicarsi e
di dominare la terra, Dio insegna all’uomo a nutrirsi della terra: “Ecco, io vi do ogni erba che produce seme... e
ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno
il vostro cibo...” (Gen 1,29). L’uomo deve mangiare per vivere. Deve prendere il mondo nel proprio corpo e trasformarlo in se stesso, in carne e sangue. Egli è realmente
ciò che mangia, e il mondo intero è presentato come la tavola di un banchetto universale. E questa immagine del
banchetto rimane, da un capo all’altro della Bibbia, come
l’immagine centrale della vita. È l’immagine della vita alla sua creazione ed anche l’immagine della vita al suo termine e al suo compimento: “... perché possiate mangiare
e bere alla mia mensa nel mio regno” (Lc 22,28).
Comincio con questo tema apparentemente secondario del cibo – secondario in riferimento ai grandi “problemi religiosi” del nostro tempo – perché lo scopo stesso di questo libro è di rispondere, se possibile, alla domanda: di quale vita parliamo, quale vita predichiamo, pro17
Per la vita del mondo / A. Schmemann
clamiamo ed annunciamo quando, come cristiani, confessiamo che Cristo è morto per la vita del mondo? Quale
è questa vita che è allo stesso tempo la motivazione, il principio e lo scopo della missione cristiana?
Le risposte esistenti sono grosso modo di due generi.
Ci sono quelli fra noi per i quali la vita, quando se ne parla in termini religiosi, significa la vita religiosa. E questa vita religiosa è un mondo a sé, che esiste separatamente dal
mondo profano e dalla sua vita. È il mondo della “spiritualità”, e ai nostri giorni sembra acquistare sempre piú popolarità. Perfino le librerie degli aeroporti sono piene di
scritti mistici: La mistica elementare – è un titolo che ho visto in una di esse. Perduto e disorientato nel chiasso, nel
ritmo frenetico e nelle frustrazioni della “vita”, l’uomo accetta facilmente l’invito ad entrare nel santuario interiore della sua anima ed a scoprirvi un’altra vita, a godere di
un “banchetto spirituale” ampiamente fornito di cibo
spirituale. Questo cibo spirituale lo aiuterà. Lo aiuterà a ritrovare la sua pace interiore; a sopportare quell’altra vita
– la vita “profana” –, ad accettare le sue tribolazioni, a condurre una vita piú sana e piú “donata”, a “mantenere il
sorriso” in maniera profonda, religiosa. In questo caso, la
missione consiste nel convertire gli uomini a questa vita
“spirituale”, nel renderli religiosi.
Esistono una grande varietà di accentuazioni e perfino di teologie dentro questo orizzonte di pensiero, dalla
rinascita popolare all’interesse sofisticato per dottrine mistiche esoteriche. Ma il risultato è lo stesso: la vita “religiosa” rende insignificante la vita profana – la vita del mangiare e del bere –, la svuota di ogni senso reale, tranne
quello di essere un esercizio di pietà e di pazienza. E
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1. La vita del mondo
quanto piú il “banchetto religioso” è spirituale, tanto piú
profane e materiali diventano le insegne al neon degli autogrill che si vedono lungo le nostre autostrade.
Ma ci sono anche quelli per i quali l’espressione “per
la vita del mondo” sembra significare semplicemente “per
una vita migliore del mondo”. Questa volta gli “spiritualisti” sono controbilanciati dagli attivisti. Certo, oggi siamo
lontani dall’ottimismo ingenuo e dall’euforia del “vangelo sociale”. Tutte le implicazioni dell’esistenzialismo con
le sue angosce, della neo-ortodossia con la sua pessimistica e realistica concezione della storia, sono state assimilate e tenute nella dovuta considerazione. Ma la credenza
fondamentale che il cristianesimo è anzitutto azione è rimasta intatta, e anzi ha acquistato un nuovo vigore.
Quando si vedono le cose in questa maniera, il cristianesimo ha semplicemente perduto il mondo. E il mondo deve essere recuperato. La missione cristiana, perciò, è di inseguire la vita che si è smarrita. L’uomo che “mangia” e
che “beve” è preso molto sul serio, quasi troppo sul serio.
È lui lo scopo quasi esclusivo dell’azione cristiana, e noi siamo continuamente invitati a pentirci di aver dedicato
troppo tempo alla contemplazione e all’adorazione, al silenzio ed alla liturgia; di non esserci occupati sufficientemente dei problemi sociali, politici, economici, razziali e
di tutti gli altri che sono i veri problemi della vita. Ai libri sul misticismo e sulla spiritualità corrispondono quelli su “Religione e Vita” (o Società, Urbanesimo, Sessualità...). E tuttavia la questione fondamentale rimane senza
risposta: che cos’è questa vita che dobbiamo riguadagnare per Cristo, rendere cristiana? Qual è, in altre parole, il
fine ultimo di tutto questo fare, di tutta questa azione?
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Per la vita del mondo / A. Schmemann
Supponiamo di aver raggiunto almeno una di queste
mete pratiche, di aver “vinto” – e poi? La domanda può
sembrare ingenua, ma non si può realmente agire senza conoscere il senso non solo dell’azione, ma anche di questa
vita in nome della quale si agisce. Si mangia e si beve, si
combatte per la libertà e la giustizia per essere vivi, per avere la pienezza della vita. E poi? Che cos’è la vita della vita
stessa? Qual è il contenuto della vita eterna? Alla fin fine,
scopriamo inevitabilmente che l’azione in sé e per sé non
ha alcun senso. Quando tutti i comitati hanno realizzato
il loro compito, quando tutti i volantini sono stati distribuiti e tutti i fini pratici sono stati raggiunti, allora dovrebbe sopraggiungere una gioia perfetta. Perché? Se non
lo sappiamo, rimane la stessa dicotomia tra la religione e
la vita che abbiamo segnalato nella soluzione spiritualista.
Sia che noi “spiritualizziamo” la nostra vita, sia che noi “secolarizziamo” la nostra religione, che invitiamo gli uomini
ad un banchetto spirituale, o semplicemente ci uniamo al
loro banchetto profano, la vita reale del mondo, per la quale ci è stato detto che Dio ha dato il suo Figlio unigenito, rimane disperatamente al di là della nostra comprensione religiosa.
2
“L’uomo è ciò che mangia”. Ma che cosa mangia e
perché? Queste domande sembravano ingenue e irrilevanti
non solo a Feuerbach, ma ancora di piú ai suoi avversari
religiosi. Per loro, come per lui, mangiare era una funzione
materiale, e l’unica questione importante era se, in piú,
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1. La vita del mondo
l’uomo possedesse una “sovrastruttura” spirituale. La religione diceva di sí. Feuerbach diceva di no. Ma entrambe le risposte erano date all’interno della stessa opposizione
fondamentale dello spirituale al materiale. “Spirituale”
opposto a “materiale”, “sacro” opposto a “profano”, “soprannaturale” opposto a “naturale”: queste sono state per secoli le sole forme e categorie accettate dal pensiero e
dall’esperienza religiosa, le uniche comprensibili. E
Feuerbach, con tutto il suo materialismo, era di fatto un
erede naturale dell’“idealismo” e dello “spiritualismo”
cristiano.
Ma abbiamo visto che anche la Bibbia comincia con
l’uomo considerato come un essere affamato, con l’uomo
che è ciò che mangia. La prospettiva, tuttavia, è completamente diversa. Infatti, da nessuna parte nella Bibbia troviamo le dicotomie che per noi sono la struttura ovvia di
ogni approccio alla religione. Nella Bibbia, il cibo che l’uomo mangia, il mondo che deve consumare per vivere, gli
è dato da Dio e gli è dato come comunione con Dio. Il mondo come cibo dell’uomo non è qualcosa di “materiale” e
di limitato alle funzioni materiali, quindi diverso e opposto alle funzioni specificamente “spirituali” con cui l’uomo è messo in relazione con Dio. Tutto ciò che esiste è
dono di Dio all’uomo e non esiste che per far conoscere
Dio all’uomo, per fare della vita dell’uomo una comunione
con Dio. È l’amore divino fatto cibo, fatto vita per l’uomo. Dio benedice tutto quello che ha creato e, nel linguaggio biblico, ciò significa che Egli fa della creazione il
segno e il mezzo della sua presenza e della sua sapienza, del
suo amore e della sua rivelazione: “Gustate e vedete quanto è buono il Signore!” (Sal 34,9).
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Per la vita del mondo / A. Schmemann
L’uomo è un essere che ha fame. Ma ha fame di Dio.
Dietro a tutte le fami della nostra vita c’è Dio. Ogni desiderio è, in ultima analisi, un desiderio di Lui. Certo, l’uomo non è l’unico essere ad aver fame. Tutto ciò che esiste vive perché “mangia”. La creazione intera dipende dal
cibo. Ma la posizione unica dell’uomo nell’universo è
che egli è il solo a cui sia chiesto di benedire Dio per il cibo e per la vita che riceve da Lui. Egli solo deve rispondere alla benedizione di Dio con la sua benedizione. Il fatto significativo che caratterizza la vita nel paradiso terrestre è che l’uomo deve dare nome alle cose. Non appena gli
animali sono stati creati per tenere compagnia ad Adamo,
Dio li conduce ad Adamo per vedere come li chiamerà:
“in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno
degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome” (Gen
2,19). Ora, nella Bibbia un nome è infinitamente piú
che un mezzo per distinguere una cosa da un’altra. Il nome rivela l’essenza stessa di una cosa, o piuttosto la sua essenza in quanto dono di Dio. Dare il nome ad una cosa
è manifestare il senso e il valore che Dio le ha dato, riconoscerla come proveniente da Dio e conoscere il suo posto e la sua funzione nel cosmo creato da Dio.
In altri termini, dare il nome ad una cosa significa benedire Dio per quella cosa e in quella cosa. E nella Bibbia
benedire Dio non è un atto “religioso” o “cultuale”, ma
è il modo stesso di vivere. Dio ha benedetto il mondo, ha benedetto l’uomo, ha benedetto il settimo giorno (cioè, il
tempo). E ciò significa che ha riempito tutto quel che esiste del suo amore e della sua bontà, che ha fatto tutto questo “molto buono”. Cosí, la sola reazione naturale (e non
“soprannaturale”) dell’uomo, a cui Dio ha dato questo
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1. La vita del mondo
mondo benedetto e santificato, è a sua volta di benedire
Dio, di ringraziarlo, di vedere il mondo come lo vede
Dio, e – in quest’atto di gratitudine e di adorazione – conoscere il mondo, dargli il nome e possederlo. Tutte le
qualità razionali, spirituali e le altre qualità dell’uomo,
che lo distinguono dalle altre creature, hanno il loro centro e la loro realizzazione ultima in questa capacità di benedire Dio, e per cosí dire di conoscere il senso della fame e della sete che costituiscono la sua vita. Homo sapiens,
homo faber, ... sí, ma, prima di tutto, homo adorans. La prima, la fondamentale definizione dell’uomo è che egli è il
sacerdote. Egli sta al centro del mondo e lo unifica nel suo
atto di benedire Dio, di ricevere il mondo da Dio e insieme di offrirlo a Dio e, riempiendo il mondo di questa
eucaristia, egli trasforma la propria vita, quella vita che egli
riceve dal mondo, in una vita in Dio, in comunione. Il
mondo è stato creato come la “materia”, il materiale di
una eucaristia universale, e l’uomo è stato creato come il
sacerdote di questo sacramento cosmico.
Gli uomini comprendono tutto questo istintivamente,
se non razionalmente. Secoli di secolarismo non sono
riusciti a trasformare l’atto di mangiare in qualcosa di
strettamente utilitario. Il cibo è tuttora trattato con rispetto.
Un pasto è ancora un rito – l’ultimo “sacramento naturale” della famiglia e dell’amicizia, della vita che è piú del
“mangiare” e del “bere”. Mangiare rappresenta ancora
qualcosa di piú che mantenere le funzioni del corpo. Può
darsi che gli uomini non comprendano che cosa sia questo “qualcosa di piú”, e tuttavia desiderano celebrarlo.
Sono ancora affamati e assetati di vita sacramentale.
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