Economic Briefing n.25
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Economic Briefing n.25
Commercio mondiale – un successo sul banco di prova. Economic Briefing n. 25 Il commercio, volàno del benessere. La concorrenza e il commercio cambiano i mercati. Organizzazione mondiale del commercio: priorità del diritto sul potere. Economic Research & Consulting Con il dialogo verso nuovi orizzonti di liberalizzazione. Sommario Introduzione / Riassunto 3 1. Vantaggi del commercio 4 2. Evoluzione dei flussi commerciali mondiali 5 3. Importanza dell’economia estera 9 4. Organizzazione mondiale del commercio (OMC) 12 5. Sfide per l’ordinamento commerciale globale 14 6. Prospettive 20 Indicazioni bibliografiche 22 Editore CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting Casella postale 100, CH-8070 Zurigo Responsabile della collana Economic Briefing Cesare Ravara, telefono +41 1 333 59 12 [email protected] Autori Cesare Ravara, telefono +41 1 333 59 12 [email protected] Christian Rütschi, telefono +41 1 333 42 58 [email protected] Manuel Rybach, telefono +41 1 334 39 40 [email protected] Cooperazione Anita Barbara Raaflaub, telefono +41 1 333 13 89 [email protected] Dr. Bernd Schanzenbächer, telefono +41 1 333 80 33 [email protected] Impaginazione e grafici Helena Rupp, telefono +41 1 333 66 49 [email protected] Stampa Wyss Offsetdruck, Quellenstrasse 27, CH-8031 Zurigo Chiusura redazionale 17 agosto 2001 Periodicità 6 pubblicazioni circa all’anno a seconda dell’attualità delle tematiche. Per numeri arretrati cfr. pag. 23. Abbonamenti e ordinazioni Direttamente presso il vostro consulente o in ogni sede del CREDIT SUISSE. 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Accettate il fatto che i farmaci svizzeri costino meno all’estero? In occasione di un viaggio in paesi lontani vi è capitato di vedere bambini in tenera età al lavoro in fabbriche di tappeti o terrecotte e poi, acquistando un souvenir, vi siete chiesti se mercanteggiare il prezzo richiesto – come usanza in molti di quei paesi – oppure se pagarlo senza discussioni o persino arrotondarlo per eccesso? Non vi sorprendete di fronte al basso prezzo – in rapporto al nostro potere d’acquisto – di banane, caffè e yogurt, malgrado i primi debbano essere trasportati per migliaia di chilometri e richiedano, nel caso dei latticini, un processo di valorizzazione assai impegnativo sul piano delle risorse umane e tecnologiche? Cosa pensate confrontando il prezzo di un litro di benzina a quello di un litro d’acqua minerale, e come reagite di fronte a un loro aumento di cinque centesimi? Sapete quanti posti di lavoro creano le imprese svizzere all’estero mediante investimenti diretti, contribuendo nel contempo a difendere l’occupazione interna? Sicuramente, cercando le risposte a questi interrogativi vi baleneranno nella mente molti pensieri, e non pochi di essi ruoteranno intorno al grande tema del commercio internazionale, ma anche a due scenari sovrani del nostro tempo, la concorrenza e la globalizzazione. Questo fascicolo, il n. 25 della collana Economic Briefing, intende aprirvi lo sguardo sui benefici e le sfide del commercio mondiale e della sua ulteriore liberalizzazione. La risposta alla domanda se per voi il commercio, tutto sommato, è una fortuna più che una disgrazia (o viceversa), potete trovarla solo voi. Una delle conseguenze più vistose della globalizzazione è la massiccia crescita del commercio mondiale osservata negli ultimi cinquant’anni. Soprattutto gli interscambi di prodotti industriali e artigianali hanno fatto registrare, unitamente alla quota del commercio nella produzione mondiale, una rapidissima progressione nel secondo dopoguerra, accompagnata negli ultimi dieci anni da una netta espansione degli investimenti diretti all’estero. I benefici del commercio internazionale non sono affatto una scoperta recente e sono soprattutto i piccoli paesi a farvi tradizionalmente affidamento. Nel complesso, un’economia nazionale trae vantaggio dall’accesso ai mercati di approvvigionamento e di vendita esteri, anche se taluni settori vengono messi a dura prova dalla concorrenza dei beni importati e avversano perciò l’abbattimento delle barriere commerciali. Tuttavia, non tutti gli stati del pianeta partecipano in uguale misura agli interscambi: in particolare i paesi in via di sviluppo appaiono ancora largamente in ritardo rispetto a quelli industrializzati. L’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) rappresenta dal 1995 il fondamento legale e istituzionale del sistema commerciale multilaterale e ha già dichiarato il suo orientamento a intensificare gli sforzi volti alla liberalizzazione, nel quadro di una nuova tornata di negoziati. In questa cornice, l’OMC avrebbe l’opportunità di confrontarsi con una serie di temi nodali per lei ancora ampiamente «inesplorati», tra i quali spicca la problematica della relazione tra il commercio da una parte e gli investimenti e la politica concorrenziale dall’altra. A tutt’oggi non è ancora noto se queste prossime trattative avranno luogo a un grande tavolo comune, come fu il caso l’ultima volta, al cosiddetto Uruguay round. Questa soluzione richiede dapprima una sagace opera di piallatura dei più disparati conflitti d’interessi – ad esempio tra i paesi in via di sviluppo e quelli industrializzati – nonché la cementazione di una solida piattaforma di ancoraggio per i compromessi politici. Sullo sfondo della crescente impopolarità della globalizzazione, le serpeggianti paure per i mutamenti economici strutturali devono essere prese sul serio, specialmente se l’obiettivo è quello di gettare un fondamento politico per la conservazione e l’ulteriore evoluzione dell’ordinamento commerciale liberale. CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting Economic Briefing n. 25 3 1. Vantaggi del commercio Il commercio non è un’invenzione del nostro tempo, tanto è vero che già antiche civiltà, come i Greci e i Romani, lo praticavano intensamente. In tempi meno lontani, le Repubbliche marinare italiane, come Genova e Venezia, affidavano gran parte del loro fulgido divenire alle relazioni commerciali. Poi, nel XVIII secolo la politica estera di gran parte degli stati europei fu guidata da un principio apparentemente illuminato: una nazione, massimizzando le esportazioni e minimizzando le importazioni, riesce a conseguire un attivo commerciale e perciò a incrementare la ricchezza interna. Ma per approdare al successo, questa politica richiese come mai prima d’allora il favoreggiamento dei prodotti indigeni e l’imposizione di dazi su quelli d’oltrefrontiera. Questa idea, nota come mercantilismo, diede lo spunto allo sviluppo dell’economia politica e fu fortemente contestata dai padri dell’economia nazionale, che ebbero a dimostrare come la discriminazione di competitori esteri favorendo una stretta cerchia di privilegiati imprenditori interni creasse distorsioni concorrenziali a tutto svantaggio dei consumatori. Oggi, tuttavia, forse nessuno di noi rinuncerebbe a prodotti provenienti da altri paesi, e moltissime aziende perirebbero senza il cordone ombelicale che le tiene legate ai mercati di acquisto e di vendita internazionali. Il Messico importa ad esempio dagli Stati Uniti modernissimo software e vi esporta le sue apprezzate confezioni. La teoria del vantaggio comparativo dell’economista David Ricardo spiega come e perché un paese, anche in caso di assoluta inferiorità concorrenziale (ovvero una minore produttività in tutti i settori rispetto a quella di un partner commerciale) può trarre profitto dagli interscambi. Infatti, tale paese si concentrerà sulla produzione e sull’esportazione di quei beni in cui vanta la maggiore produttività relativa, conseguendo quindi maggiori ricavi attraverso una più razionale allocazione delle risorse, giacché queste ultime non verrebbero impiegate per la produzione di beni acquisibili a minore prezzo sul mercato mondiale. Questa teoria è bene avvalorata dall’esempio delle relazioni commerciali tra Svizzera e Taiwan. Nel 2000, la Svizzera ha importato dalla Cina di Taipei ben 770 milioni di franchi in prodotti meccanici ed elettronici, ossia beni che essa stessa potrebbe produrre, forse persino a un maggiore regime di produttività, ma che invece escono dalle fabbriche taiwanesi non da ultimo grazie al 4 Economic Briefing n. 25 minore costo del lavoro. Nel contempo, l’export di orologi «Made in Switzerland» verso Taiwan è aumentato a 270 milioni di franchi e, nel complesso, la Svizzera vanta oggi un saldo attivo netto delle esportazioni pari a 450 milioni di franchi nei confronti di questo partner. Nella valutazione dei vantaggi derivanti dall’interscambio, per la Svizzera non ha alcun’importanza se il vantaggio di prezzo taiwanese sia imputabile a una maggiore produttività oppure al minore costo del lavoro. È determinante unicamente il fatto che per l’economia elvetica è più conveniente produrre orologi, esportarli e con il ricavato acquistare elettronica a Taiwan anziché produrla nel circuito interno. Tuttavia, le teorie dei classici riescono ormai a spiegare solo in parte i flussi commerciali odierni. Accade spesso che due paesi vendano i medesimi prodotti in un rapporto di reciprocità: la Volkswagen distribuisce sul mercato americano molti suoi modelli prodotti negli stabilimenti tedeschi, mentre la General Motors traghetta oltre Atlantico le sue automobili. Il desiderio dei consumatori di una più ampia scelta di prodotti è la forza motrice di questo meccanismo commerciale. Probabilmente, le scelte dei consumatori e quindi gli interscambi si presenterebbero assai diversi se sui prezzi di vendita fossero effettivamente ricaricati i costi ecologici della produzione e del trasporto, un fenomeno già da tempo in discussione sotto l’etichetta tematica della «internalizzazione delle esternalità». Ma anche volendo prescindere dagli aspetti economici, il trasporto di prodotti per migliaia di chilometri ha difficilmente senso anche nella pura ottica economica. Per i produttori è spesso vantaggioso essere vicini ai mercati di sbocco, e ciò conduce a un’altra forma di scambio internazionale: l’investimento di capitali all’estero, attraverso il quale, ad esempio, la ditta statunitense Dell produce in Irlanda tutti i suoi computer destinati al mercato europeo e la Heineken fa altrettanto con la sua birra a Coira. E tutto ciò accade senza che i consumatori avvertano il benché minimo cambiamento. I vantaggi di un sistema commerciale liberale per i consumatori acquistano ancora più spessore se i loro rispettivi mercati interni sono egemonizzati da monopoli o cartelli. In questi casi le importazioni creano la necessaria pressione concorrenziale, notoriamente moderatrice dei prezzi e sovente anche promotrice di una migliore qualità. Inoltre, i competitori esteri impongono agli operatori che controllano il mercato nazionale una maggiore innovazione, di cui essi stessi traggono vantaggio a lungo termine. CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting 2. Evoluzione dei flussi commerciali mondiali 2.1 Rapidissima crescita Negli ultimi 50 anni le barriere commerciali sono state gradualmente abbattute. Questo progresso ha contribuito in misura ragguardevole alla crescita, in parte esplosiva, non solo del commercio mondiale, ma di conseguenza anche del benessere in molti paesi. Gli interscambi sono inoltre stati favoriti dal progressivo miglioramento, in termini di qualità e di economicità, delle soluzioni di trasporto e di comunicazione. Nel secondo dopoguerra, il commercio di prodotti agricoli, industriali e artigianali, di materie prime e di servizi ha conosciuto uno sviluppo differenziato (fig.1) 1. Gli scambi di beni industriali e artigianali (prodotti industriali) e il commercio mondiale sono cresciuti nel complesso a un ritmo di un multiplo superiore a quello della produzione globale, la cui progressione è stata invece superata solo di poco dal commercio delle materie prime. Gli scambi di prodotti agricoli si sono grossomodo mantenuti in linea con l’evoluzione generale. Mentre nel 1970 il commercio mondiale rappresentava una quota del 10% della produzione mondiale (somma di tutti i prodotti interni lordi, PIL), oggi questa cifra si presenta più che raddoppiata, situandosi al 25% (fig. 2). Da una parte, questa bruciante accelerazione ha potuto fare leva sul comportamento dei consumatori e sulle attività di innumerevoli piccole e medie imprese, che con la loro domanda e offerta influenzano profondamente gli intrecci economici planetari. Dall’altra, i flussi interni di beni e servizi nelle società multinazionali hanno fornito un consistente apporto, che viene stimato a circa un terzo del volume complessivo degli scambi internazionali. L’integrazione delle piccole e medie imprese (PMI) nel commercio mondiale non appare omogenea: ad esempio, solo il 12% delle PMI statunitensi praticano l’export, mentre in Italia questa cifra tocca una punta dell’80%; negli Stati Uniti e in Thailandia esse alimentano circa il 10% del volume nazionale di esportazioni, accusando quindi un vistoso ritardo 1 Merci (per es. prodotti industriali) e servizi sono riuniti sotto il termine generico di «beni». Per le finalità perseguite dal presente studio, la voce «materie prime» comprende minerali metallici e altri minerali, combustibili e metalli non ferrosi. 2 OCSE (1998) 3 I classici paesi industrializzati di un tempo sono oggi definiti società dei servizi oppure economie mature o progredite. CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting Figura 1: Evoluzione mondiale di export, produzione e popolazione 1950 – 2000* * I servizi sono rilevati con maggiore precisione solo dagli anni ’70. Fonti: OMC, International Trade Statistics 2000, US Census; calcoli propri Figura 2: Quota del commercio (merci + servizi) all’interno del PIL mondiale 1970 – 2000 Fonte: FMI, Database World Economic Outlook May 2001 su quelle di Taiwan (56%), Italia (53%) e Svizzera (40%) 2. Sulla scia della terziarizzazione nei paesi industrializzati 3, il commercio di servizi sta progressivamente accrescendo la sua rilevanza: secondo le stime dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), nel 1999 esso ha totalizzato un valore di 1350 miliardi di USD, decisaEconomic Briefing n. 25 5 mente inferiore a quello dei prodotti industriali e artigianali (4186 mia. di USD), ma di gran lunga superiore nel confronto con materie prime (556 mia. di USD) e prodotti agricoli (544 mia. di USD). 2.2 Ascesa e declino di mercati e settori Le merci e i servizi possono trovarsi in un rapporto complementare o sostitutivo. Lo stesso vale per i fattori di produzione, che inoltre devono ubbidire alla legge della scarsità. Acquirenti di prodotti, importatori e consumatori hanno le loro preferenze, ma non possono sempre e comunque concretizzarle, poiché le loro scelte devono basarsi – per ovvi motivi di budget – su un’opportuna ponderazione delle diverse opzioni di utilizzo dei loro mezzi. Le imprese competono quindi sui mercati dei fattori, di approvvigionamento e di vendita: una vera e propria corsa per la conquista delle migliori risorse, delle opportunità più promettenti di ricavo e di profitto. I processi di formazione, le innovazioni e i guadagni di produttività sono tappe obbligate su questo percorso. Tuttavia, la competizione e il commercio cambiano costantemente il volto dei mercati. Ed è questa metamorfosi continua che crea rischi ma anche opportunità. Ascesa e declino dell’industria svizzera delle macchine tessili Le origini dell’industria svizzera delle macchine tessili risalgono a 200 anni or sono, quando a Zurigo e Winterthur (Tösstal e Oberland zurighese) si insediarono numerose filature e tessiture meccaniche, che lavoravano il cotone trasformandolo dapprima in filato e quindi in tessuto. La materia prima – ovvero il cotone – e i telai meccanici allora utilizzati provenivano dall’Inghilterra, potenza commerciale e coloniale, culla della rivoluzione industriale e patria dell’industria meccanica. Nel 1806, gli sviluppi della guerra napoleonica condussero la Francia a imporre un blocco continentale contro l’Inghilterra, che rese problematiche le relazioni commerciali e implicò un rincaro delle importazioni di cotone per l’industria tessile elvetica. Inoltre, poiché l’Inghilterra era l’unico paese titolare di esperienze nella costruzione di macchine tessili, l’esportazione di queste ultime e delle loro componenti fu rigorosamente vietata fino al 1843. Le filande e gli stabilimenti svizzeri dovettero quindi improvvisare: avviando dapprima la fabbricazione delle parti di ricambio necessarie e in seguito persino degli interi telai, curandone inoltre il perfezionamento. Ques6 Economic Briefing n. 25 Le variazioni dell’offerta e dei prezzi influenzano le opportunità e i rischi di produttori e venditori, nonché di esportatori e importatori. A questa dinamica ambientale sono soprattutto sensibili quelle imprese direttamente Figura 3: Quota delle varietà di merci nel commercio mondiale 1950 –1999 Fonte: OMC, International trade Statistics 2000; calcoli propri to può essere considerato l’autentico atto di nascita dell’industria svizzera delle macchine tessili, che in seguito avrebbe conquistato i mercati di tutto il mondo: le filande di cotone e gli stabilimenti tessili ad esse direttamente collegati rappresentarono un comparto di crescita sino al 1870 e conferirono importanti impulsi. In tempi successivi, la produzione di filati e tessuti fu sempre più trasferita in paesi dove erano direttamente disponibili materie prime e /o manodopera a basso costo. L’industria svizzera delle macchine tessili ha superato lo zenit intorno al 1980. Il ridimensionamento – come in altri settori della meccanica elvetica – è stato soprattutto determinato da tre fattori: in primo luogo, i prodotti offerti corrispondevano ormai troppo poco alle esigenze del mercato; concretamente, negli anni Ottanta sono stati sviluppati telai che integravano le più moderne tecnologie, ma essi non hanno praticamente incontrato alcun interesse ad esempio in India e Pakistan, paesi con un’abbondante disponibilità di manodopera, ma poco qualificata. In secondo luogo, la concorrenza estera ha potuto vincere, grazie alla flessibilità e alla creatività, il confronto con le macchine da filatura e tessitura «Made in Switzerland». E infine, gli esuberi di capacità sul piano mondiale hanno innescato un radicale processo di selezione nel comparto della meccanica tessile. CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting Figura 4: Composizione delle esportazioni nel 1999 Africa Totale 112 mia. di USD Medio Oriente Totale 170 mia. di USD Europa occidentale Totale 2353 mia. di USD Fonte: OMC, International Trade Statistics 2000 esposte al mutamento le preferenze e del reddito dei consumatori finali. Ad esempio, questi ultimi palesano nei paesi industrializzati una certa saturazione e disaffezione nei confronti della tecnologia, che si ripercuote negativamente sulla domanda di computer per uso privato e di telefoni cellulari, riducendo ulteriormente i margini. Gli esuberi di capacità su scala mondiale sono responsabili dell’aspra lotta per la sopravvivenza nella quale sono ingaggiati un po’ tutti gli operatori sul fronte della produzione e della distribuzione. Dopo una fase di carenza di personale assistiamo oggi a un’ondata di licenziamenti, che verosimilmente si abbatterà anche sugli approvvigionatori. Sul versante zootecnico, l’epidemia di afta epizootica ha portato alla fibrillazione, soprattutto in Inghilterra e Scozia, interi settori: dall’allevamento ai trasporti, dalla fornitura di mangimi e zoofarmaci alla lavorazione delle carni, sino a contagiare persino commercio e turismo. Quest’ultimo avrebbe subito a causa dell’afta danni stimati in circa 12 miliardi di franchi. A prescindere dalla maggiore pressione a ripensare l’atteggiamento nei confronti della zootecnia, questa crisi dovrebbe aver favorito quanto meno un incremento della domanda di carni equine e di struzzo, di pesce e in generale di alternative alla carne. Su scala globale, negli ultimi cinque decenni la quota del commercio di prodotti industriali e artigianali è circa raddoppiata all’80%, a discapito delle materie prime e soprattutto dei prodotti agricoli (fig. 3). Se nel 1950 queste due ultime voci occupavano insieme circa il 60% dell’intero volume commerciale, oggi il loro singoCREDIT SUISSE Economic Research & Consulting lo peso si è ridotto intorno al 10%, evidenziando sullo scenario attuale l’incontrastata egemonia dell’interscambio di prodotti industriali e artigianali, nel quale appare peraltro integrato un crescente numero di paesi. L’evoluzione settoriale nei singoli stati e nel confronto internazionale non si presenta tuttavia omogena; questa realtà è confermata ad esempio dal declino dei cantieri navali tedeschi sul Mare del Nord, che hanno dovuto cedere massicce quote di mercato a competitori di paesi emergenti come la Corea del Sud. Le opportunità degli esportatori di beni ad alto contenuto di lavoro e tecnologia evolvono a seconda delle variazioni di intensità – perlopiù dettate dall’innovazione – delle risorse impegnate e del loro impatto sui prezzi. Il prezzo dei fattori di produzione è determinato dalla loro rilevanza nella catena di creazione del valore nonché dal gioco della domanda e dell’offerta. Anche se il teorema – peraltro inconfutabile – della sostituzione di manodopera ad alto costo con forze lavoro meno onerose e mediante il capitale resta stabilmente alla ribalta, bisogna pensare che i fattori di produzione sono connotati in un rapporto reciprocamente complementare. I mercati agricoli attraversano una fase di crollo globale dei prezzi indotto dalla concorrenza e dalla produttività, e che rappresenta una minaccia esistenziale specialmente per alcune economie africane, caratterizzate da un’elevata dipendenza dall’export di prodotti agrari (fig. 4) e da uno scenario occupazionale fortemente sbilanciato verso il settore primario (oltre il 50% contro il 4,9% nell’UE e il 4,6% in Svizzera). Le minori entraEconomic Briefing n. 25 7 te delle esportazioni non solo diminuiscono il reddito nazionale, ma complicano anche alle economie interessate e ai consumatori l’importazione e rispettivamente l’acquisto di beni richiesti o persino di prima necessità. L’offerta di prodotti semilavorati, finiti e di consumo si impoverisce, e può accadere che merci indispensabili debbano essere prodotte internamente a un regime solo relativo di efficienza. Questo fenomeno colpisce segnatamente i paesi che, da un lato, esportano prodotti facilmente sostituibili – ma anche gravati da una forte sudditanza a prezzi e corsi di cambio – e, dall’altro, vantano poche possibilità di diversificare l’output economico su alti livelli di efficienza. La flessione globale dei prezzi dei prodotti agricoli costringe molti contadini ad abbandonare le loro terre, mentre altri tentano di incrementare la produttività con il ricorso a mezzi tecnici più moderni, ma nel contempo più onerosi da finanziare. Analogamente a quanto accadde in Europa prima dell’industrializzazione, l’agricoltura sta liberando nel sistema economico sempre più manodopera disoccupata, che ha perso il proprio reddito a causa di mancanza di alternative di lavoro. Su questo sfondo appare ancora più significativo il calo della quota africana sull’intero volume del commercio mondiale, che si è contratta da un 6% a circa il 2% negli ultimi 20 anni. La diminuzione della quota di scambi di materie prime non significa in effetti un calo delle esportazioni, ma 8 Economic Briefing n. 25 Figura 5: Giacimenti petroliferi accertati nel mondo per regioni 1979 –1999 Fonte: OPEP, Annual Statistical Bulletin 1999 unicamente una crescita meno sostenuta del volume (= prezzo × quantità) dei beni trattati nel confronto con altre merci. La scoperta di nuovi giacimenti nonché l’impiego di efficienti metodi di estrazione, trasporto, stoccaggio e lavorazione si traducono in un incremento delle riserve mondiali disponibili calcolate con criteri economici, come chiaramente confermato dalla fig. 5. CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting 3. Importanza dell’economia estera Figura 6: Grado di apertura* a raffronto 1970** e 1999 3.1 Integrazione nel commercio mondiale Il rapporto tra l’import-export di un paese e il PIL esprime il grado di apertura della sua economia (fig. 6). Se ora poniamo il dato relativo al commercio estero in rapporto alla produzione mondiale oppure al volume globale di importazioni ed esportazioni di uno stesso gruppo di beni, possiamo ricavare indicazioni sull’importanza relativa di un paese nel commercio mondiale in qualità di esportatore e importatore (fig. 7). I piccoli paesi, rispetto ai grandi, devono fare maggiore ricorso alla ripartizione del lavoro nell’economia mondiale. In altri termini, essi dispongono spesso di insufficienti risorse e capacità produttive proprie per soddisfare la domanda interna e, pertanto, si trovano nella necessità di dover finanziare con esportazioni di beni ad alto contenuto di specializzazione le importazioni dei prodotti di cui necessitano. Gli investimenti, assolutamente vitali per il successo dell’export, destinati alla ricerca e allo sviluppo, alla creazione di nuove capacità produttive e manageriali e all’allestimento di reti di distribuzione, possono essere meglio ammortizzati se i mercati di sbocco sono grandi. Quanto maggiore è la dimensione di un’economia nazionale, tanto più essa può fare affidamento su grandi mercati di approvvigio- * Grado di apertura = (export di merci e servizi + import di merci e servizi) / (2 × PIL) ** Nel caso del Bangladesh: 1973 Fonte: FMI, International Financial Statistics Yearbook 2000; calcoli propri namento e di vendita interni. Ciò riduce tendenzialmente la necessità sia di importare ed esportare merci e servizi, sia di gestire le incertezze insite nei mercati esteri. Questo vantaggio rientra ad esempio nel corredo Figura 7: I principali paesi importatori ed esportatori di merci e servizi nel 2000 Quota nello scambio di merci Quota nello scambio di servizi Importazioni (%) Esportazioni (%) 12 1. Stati Uniti 2. Germania 9 2. Germania 8 3. Giappone 8 3. Giappone 6 4. Francia 5 4. Gran Bretagna 5 5. Gran Bretagna 4 5. Francia 5 6. Canada 4 6. Canada 4 7. Cina 4 7. Italia 3 8. Italia 4 8. Cina 3 9. Paesi Bassi 3 9. Paesi Bassi 3 1. Stati Uniti Importazioni (%) Esportazioni (%) 19 19 1. Stati Uniti 2. Gran Bretagna 7 2. Germania 9 3. Francia 5 3. Giappone 8 4. Germania 5 4. Gran Bretagna 6 5. Giappone 5 5. Francia 4 6. Italia 4 6. Italia 4 7. Spagna 4 7. Paesi Bassi 4 8. Paesi Bassi 4 8. Canada 3 9. Hong Kong 3 9. Belgio / Luss. 3 1. Stati Uniti 14 10. Belgio 3 10. Messico 3 10. Belgio / Luss. 3 10. Cina 2 14. Spagna 2 13. Spagna 2 16. Svizzera 2 12. Spagna 2 1 15. Svizzera 19. Svizzera Rimanenti Mondo 41 100 100% = 6358 mia. di USD Rimanenti Mondo 1 38 100 100% = 6662 mia. di USD 27. Svizzera Rimanenti Mondo 39 100 100% = 1415 mia. di USD Rimanenti Mondo 1 40 100 100% = 1400 mia. di USD Fonte: OMC, Focus June 2001 CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting Economic Briefing n. 25 9 degli Stati Uniti e spiega la loro quota relativamente ridotta di importazioni (13,5%); tuttavia, misurata in cifre assolute, la domanda di beni, servizi e capitali esteri dell’economia americana è molto consistente e rappresenta persino la più potente locomotiva per l’economia mondiale. L’Occidente europeo e l’UE hanno creato – rispettivamente con lo Spazio economico europeo (SEE) e l’introduzione dell’euro – premesse fondamentali per avvicinare ulteriormente i consumatori, lavoratori, importatori ed esportatori, produttori e investitori del Vecchio continente ai benefici dei grandi mercati comuni. 3.2 Interessi settoriali contrastanti Come già accennato, l’importanza del commercio estero a livello di economia reale si manifesta in una scelta più ampia, sul piano qualitativo e quantitativo, per i consumatori e gli imprenditori indigeni. In Svizzera, ad esempio, dei quasi 60 principali settori, circa 10 del ramo industria /artigianato e 5 del ramo servizi denotano una dipendenza molto forte dalle esportazioni 4. Tra questi figurano meccanica, orologeria e bigiotteria, chimica, tessile e abbigliamento, banche e turismo. L’andamento degli affari di molte aziende di ogni dimensione è sovente legato, direttamente o indirettamente, alle sorti del commercio estero. Proprio per questo non solo le imprese fortemente orientate all’import e all’export, ma anche l’intera economia nazionale, non possono che trarre profitto da un accesso il più possibile agevole ai mercati di approvvigionamento e di vendita esteri. E per difendere stabilmente la loro competitività su questi ultimi, gli esportatori devono poter contare su un circuito interno di fornitura efficiente sul piano qualitativo e dei prezzi, nonché su attraenti fattori di piazza. In contropartita per il suo libero accesso ai mercati internazionali, l’economia estera richiede a quella di orientamento domestico la disponibilità ad aprirsi alla concorrenza di operatori di altri paesi. Questa esigenza contrasta in parte con gli interessi di ambienti con scarsa dedizione al commercio estero e quindi propensi a considerare in primo luogo l’importazione una sgradita concorrenza più che un contributo migliorativo all’offerta e alla competizione e, in secondo luogo, l’esportazione come una pericolosa antagonista nell’acquisizione di risorse (ad esempio la manodopera). 10 4 Ufficio federale di statistica, Die aussenwirtschaftliche Verflechtung der Schweiz, Erwerbsleben 3, Berna 1998. 5 CREDIT SUISSE, Economic Briefing n.18 Economic Briefing n. 25 Le regolamentazioni dei mercati sono tra gli strumenti più tipici per difendersi dall’importazione. Ad esempio, secondo le nostre stime, in Svizzera i settori con una deregolamentazione da grande a molto grande e media occupano ciascuno il 36% delle forze lavoro; ciò significa che la parte rimanente, ben il 28%, opera in settori con un’apertura di mercato da scarsa a molto scarsa 5. I conflitti d’interessi sono perciò inevitabili. Possiamo affermare che il commercio e la concorrenza hanno il maggiore seguito, in termini di consenso, presso coloro che ne traggono profitto, mentre incontrano avversione laddove vengono percepiti come svantaggio. Per questo l’abbattimento delle barriere commerciali è un’impegnativa sfida politica e commerciale. Da sola, una politica commerciale liberale non può comunque garantire benessere. Questo obiettivo può essere raggiunto unicamente con l’apporto e la concertazione di molti altri contesti politici 6. 3.3 Rilevanza dei paesi non industrializzati Nei paesi industrializzati i cosiddetti «altri» stati (ovvero quelli in via di trasformazione, di sviluppo ed emergenti) vengono spesso considerati concorrenti. Le diffidenze nei confronti della globalizzazione che si vanno diffondendo nel «mondo occidentale» derivano in parte dal cambiamento strutturale innescato dai trasferimenti della produzione e dalle relative incertezze, nonché dalle pressioni di importazione esercitate dai paesi non industrializzati, anche se il maggiore volume di interscambi si svolge ancora tra paesi industrializzati. La quota del PIL globale accreditabile alle cosiddette «altre» economie è ancora relativamente modesta ma denota una continua crescita. Quest’ultima crea un potere d’acquisto con il quale esse possono generare una nuova domanda di importazione, che in ultima analisi torna a vantaggio delle economie mature. Attraverso una maggiore integrazione nel commercio mondiale, i paesi in via di sviluppo moltiplicano le loro opportunità di contrastare con successo fenomeni come la sperequata ripartizione della ricchezza e la migrazione forzata. La figura 8 illustra, sull’esempio della Svizzera, la struttura geografica delle importazioni e delle esportazioni. In cifre assolute e anche percentuali, il «Made in Switzerland» esportato nelle «altre» economie presenta un volume quasi doppio rispetto alle importazioni da quei paesi. 6 Ad esempio politica concorrenziale, regionale, strutturale, dell’istruzione, sociale, d’investimento, innovativa, ambientale, energetica e così via. CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting Figura 8: Commercio estero svizzero 2000 Esportazioni di merci 127 mia. di CHF Figura 9: Investimenti diretti (FDI), esportazioni e PIL globali 1990 – 2000 Fonti: FMI, Database World Economic Outlook 1997 – 2001, UNCTAD, World Investment Report 1995 – 2001; calcoli propri Importazione di merci 129 mia. di CHF Fonte: BNS, Statistisches Monatsheft Juni 2001 3.4 Importanza degli investimenti diretti Attraverso gli investimenti diretti all’estero (Foreign Direct Investment, FDI), le imprese di orientamento internazionale si assicurano un accesso privilegiato a mercati di approvvigionamento e di vendita stranieri, nonché ulteriori capacità produttive e know how, condizioni di piazza più favorevoli e via dicendo 7. In particolare, sono qualificabili come FDI gli investimenti destinati all’insediamento di impianti di produzione e reti di distribuzione oppure l’acquisto di imprese già esistenti, che a seconda dei casi vengono totalmente rilevate o controllate attraverso partecipazioni strategiche. Gli investimenti diretti sono un inequivocabile segno della globaCREDIT SUISSE Economic Research & Consulting lizzazione 8: il loro volume cresce a un’andatura molto più rapida rispetto alle esportazioni e al PIL globale (fig. 9). Mentre nel 1991 la loro consistenza annua ammontava, su scala mondiale, a 198 miliardi di USD, nel 1999 aveva già raggiunto gli 865 miliardi. Nello stesso periodo, gli FDI della Svizzera all’estero sono lievitati da 9 miliardi di franchi a circa 54 miliardi, mentre a loro volta gli investimenti diretti esteri in Svizzera sono passati da 4 miliardi di franchi a circa 17 miliardi. Le imprese elvetiche investono l’80% di questi mezzi in paesi industrializzati e quindi non in paesi di bassa fascia di reddito, come molti critici affermano. Il clima di investimento è decisivo per la crescita economica. Per questa ragione numerosi paesi si prodigano in un’intensa opera di miglioramento delle condizioni di piazza, nell’intento di accattivarsi le simpatie degli investitori. Gli FDI sono reciprocamente vantaggiosi: di regola, essi inducono un transfer di conoscenze che favorisce la qualità e la produttività del capitale umano. 7 Cfr. CREDIT SUISSE, Bulletin 5 / 00 8 «Globalizzazione» è l’iperonimo di un processo d’integrazione mondiale crescente che abbraccia tutte le sfere della vita. Ai fini del presente studio l’accento è posto sulla globalizzazione economica, che si riflette in primo luogo nell’estensione degli scambi di merci e servizi, poi nei crescenti flussi transfrontalieri di capitali e, in terzo luogo, nella maggiore rilevanza rivestita dalle attività svolte da multinazionali. Una delle principali forze motrici della globalizzazione economica è l’accelerazione del progresso tecnologico osservata negli ultimi due decenni, in particolare il drammatico crollo dei costi di comunicazione e trasporto. Economic Briefing n. 25 11 4. Organizzazione mondiale del commercio (OMC) 4.1 Dal GATT all’OMC Dal 1995 l’Organizzazione mondiale del commercio OMC (rispettivamente WTO, World Trade Organization), con sede a Ginevra e che annovera attualmente 142 paesi partecipanti, rappresenta il fondamento del sistema multilaterale di scambi commerciali. L’OMC è l’organizzazione continuatrice del GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), ovvero dell’accordo generale sui dazi doganali e il commercio siglato nel 1947 dai rappresentanti di 23 paesi. L’accordo fu il frutto di sforzi pluriennali profusi dagli Stati Uniti al fine di istituire, dopo il Secondo conflitto mondiale, un ente da preporre al commercio mondiale che corrispondesse ai loro principi politici ed economici liberali. La costituzione dell’OMC venne preceduta da intensi negoziati condotti nel quadro dell’Uruguay round dal 1986 al 1994 fra i paesi membri del GATT. Il compito che l’OMC è chiamata a svolgere è di conferire al sistema commerciale multilaterale un fondamento giuridico e istituzionale, fungere da forum permanente per colloqui imperniati su quesiti di carattere commerciale e attendere progressivamente all’ulteriore liberalizzazione dell’interscambio di merci e servizi fra un numero crescente di paesi partecipanti. Il meccanismo che presiede al processo decisionale all’interno dell’OMC e dei suoi comitati è il consenso. Le decisioni acquistano validità giuridica solo quando i singoli partner le hanno ratificate attraverso le procedure prescritte dal rispettivo diritto nazionale. L’OMC dispone di un’istanza preposta alla composizione delle controversie. Nel corso degli ultimi cinque decenni la liberalizzazione del commercio internazionale avvenne a tappe, ovvero in round di negoziati (fig. 10) multilaterali conosciuti anche come conferenze o sessioni tariffarie. I primi cinque furono dedicati esclusivamente alla riduzione delle tariffe dei dazi doganali nei settori di economia reale inclusi nel GATT, mentre il sesto round impresse una spinta decisiva all’abbattimento dei dazi doganali e preparò un terreno fertile per il codice antidumping. Con il settimo round i negoziati divennero più complessi e si articolarono sull’arco di più anni. La rimozione degli ostacoli non tariffari frapposti agli scambi internazionali (ad esempio impedimenti tecnici, sovvenzioni) acquistò una crescente importanza in rapporto agli sforzi spesi per ridurre i dazi doganali. L’ottavo, e sinora ultimo, round o ciclo di negoziazioni multilaterali avviato in Uruguay durò otto anni e fu decisivo ai fini dell’ulteriore sviluppo degli scambi commerciali internazionali (cosiddetto Uruguay round). In primo luogo, il consenso dovette essere ottenuto con un numero sensibilmente superiore di paesi membri rispetto a quanto avveniva agli albori del GATT. In secondo luogo, nella cornice di questo round furono conferite ulteriori spinte alla liberalizzazione nel quadro del GATT (economia agricola, prodotti tessili) e, in terzo luogo, l’applicazione delle regole del gioco venne estesa ai servizi, agli appalti pubblici e alla proprietà intellettuale e si definirono altresì le fasi di sviluppo future. In più, si riconobbe la necessità di armonizzare fra loro – laddove opportuno e possibile – le sfide di politica commerciale con le esigenze poste dalla politica finanziaria, ambientale e di sviluppo e con quesiti inerenti alla libera circolazione dei capitali. Infine, l’organizzazione del GATT venne trasposta nella nuova OMC, che si regge su tre pilastri (fig.11). Il GATT originario, che di- Figura 10: Round di negoziati nel quadro del GATT nel periodo 1947–1994 Anno Luogo del vertice / Nome Argomento Paesi partecipanti 1947 Ginevra Tariffe doganali 1949 Annecy Tariffe doganali 13 1951 Torquay Tariffe doganali 38 23 1956 Ginevra Tariffe doganali 26 1960 –1961 Dillon round Tariffe doganali 26 1964 –1967 Kennedy round Tariffe doganali e antidumping 1973 –1979 Tokyo round Tariffe doganali, ostacoli e accordi quadro non tariffari 102 1986 –1994 Uruguay round Tariffe doganali, ostacoli non tariffari, norme, servizi, proprietà intellettuale, regolamento delle controversie, tessili e abbigliamento, agricoltura, istituzione dell’OMC 123 62 Fonte: OMC 12 Economic Briefing n. 25 CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting sciplina il commercio internazionale di merci, venne integrato nell’OMC e i suoi principi furono ripresi. In più vennero integrate le normative sullo scambio di servizi (General Agreement on Trade in Services, GATS) e sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights, TRIPS) e uniformato il meccanismo di regolamentazione delle controversie. Gli accordi OMC furono siglati nell’aprile 1994 a Marrakesh, in Marocco, dai rappresentanti di 123 paesi ed entrarono in vigore all’inizio del 1995. La Svizzera, che aveva aderito al GATT nel 1966, è uno dei paesi fondatori dell’OMC. 4.2 Principi basilari dell’OMC L’obiettivo precipuo dell’OMC è promuovere lo sviluppo economico dei paesi partecipanti attraverso la rimozione degli ostacoli che si frappongono agli scambi internazionali. Maggiore è il numero dei paesi che aderiscono all’OMC, più numerosi sono le imprese, forze lavoro e consumatori, offerenti e richiedenti che possono beneficiare del benessere indotto dal libero scambio. Al pari di tutti i paesi fortemente integrati nel commercio internazionale, anche la Svizzera può tutelare ancora meglio i suoi interessi economici se gli esportatori e investitori svizzeri possono fruire di un accesso più agevole ai mercati esteri, ma se anche agli importatori svizzeri è offerta la possibilità di introdurre più facilmente beni dall’estero. Alla certezza del diritto è tributata un’importanza cruciale ai fini della salvaguardia di questi interessi, un aspetto che l’OMC promuove ispirandosi ai principi basilari seguenti: Non discriminazione: l’idea portante del sistema commerciale multilaterale enuncia che nessun membro dell’OMC può discriminarne un altro. Trattamento della nazione più favorita: le agevolazioni commerciali che un membro dell’OMC accorda a un paese terzo devono essere concesse a tutte le parti contraenti dell’OMC. Le zone di libero scambio e le preferenze doganali per paesi in via di sviluppo sono consentite a determinate condizioni come deroga al principio del trattamento della nazione più favorita. Trattamento nazionale: i beni importati sono a tutti gli effetti simili ai beni prodotti all’interno della nazione, vale a dire che a parità di tipologia devono essere applicate le medesime disposizioni. Trasparenza: le condizioni di accesso al mercato e le misure di restrizione al commercio ugualmente adottate CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting Figura 11: I tre pilastri dell’OMC OMC Accordo generale sui dazi doganali e il commercio (GATT) Accordo sullo scambio di servizi (GATS) Riduzione dei dazi doganali Commercio di prodotti tessili Economia agricola Investimenti all’estero Investimenti Sovvenzioni Ostacoli tecnici al commercio Dumping Telecomunicazioni Regolamento delle controversie Accordo sulla proprietà intellettuale (TRIPS) Banche Protezione brevettuale Assicurazioni Diritti d’autore Turismo Design industriale Trasporto aereo Marchi Trasporto marittimo Arte, letteratura Movimento delle persone fisiche Falsificazioni Regolamento delle controversie Regolamento delle controversie Non discriminazione Trattamento della nazione più favorita Trattamento nazionale Trasparenza per motivi d’ordine superiore (ad es. ambiente, sicurezza, salute) devono configurarsi in modo trasparente e prevedibile. I principi esposti poc’anzi rafforzano l’obbligatorietà degli impegni assunti, che sono perciò da considerarsi «consolidati»; in linea generale non è infatti consentito revocare posteriormente riduzioni delle tariffe doganali una voltache sono state concesse. I paesi partecipanti possono richiamarsi a questi principi qualora constatassero o dovessero supporre che i loro partner hanno violato le norme dell’OMC. Gli eventuali disaccordi commerciali che dovessero sorgere fra i singoli partner possono essere sottoposti all’organismo di appello per la regolamentazione delle controversie dell’OMC, che mira a conciliare le parti in conflitto e a mitigare o comporre le controversie commerciali secondo procedure esattamente definite. Qualora l’organo preposto al regolamento delle controversie confermasse una violazione delle norme OMC, il partner inadempiente è tenuto a ripristinare la conformità contrattuale. Se non si giunge ad alcun accordo, l’attore a cui è stata riconosciuta la ragione è legittimato a sospendere l’adempimento degli obblighi assunti – ad esempio mediante la reintroduzione di dazi doganali su importazioni – sino a concorrenza del danno subito. Economic Briefing n. 25 13 5. Sfide per l’ordinamento commerciale globale 5.1 Tematiche già integrate Alla Conferenza ministeriale OMC tenutasi alla fine del 1999 a Seattle, alcuni paesi protagonisti della scena commerciale avevano progettato di indire un nuovo round di negoziazioni multilaterali inteso alla liberalizzazione del commercio mondiale, ma a seguito soprattutto di radicali divergenze d’opinioni sorte fra paesi industrializzati e altri in via di sviluppo nonché di conflitti d’interessi sulle sovvenzioni all’agricoltura non si riuscì a giungere a un’intesa. Azioni di protesta di grande impatto pubblicitario promosse da una schiera eterogenea di manifestanti del movimento antiglobalizzazione ostacolarono inoltre lo svolgimento del summit. Tuttavia, relativamente ai settori dell’agricoltura e dei servizi già alla conclusione dell’Uruguay round ci si era dati appuntamento all’inizio del 2000 per l’avvio di negoziati settoriali. Per questo nel quadro della cosiddetta «built-in-agenda» si stanno attualmente conducendo a livello multilaterale colloqui di politica commerciale imperniati su questi due argomenti. Il commercio di prodotti agricoli riveste una certa importanza per la Svizzera, in quanto nel nostro paese si pone l’accento sulla multifunzionalità dell’agricoltura. In proposito si argomenta ad esempio che i contadini di montagna forniscono un contributo prezioso alla colonizzazione decentrata del nostro paese e alla produzione rispettosa dell’ambiente di generi alimentari di primissima qualità. A seguito delle sue banche e assicurazioni a vocazione internazionale, per la Svizzera anche l’ulteriore liberalizzazione dell’interscambio di servizi rappresenta un tema di straordinaria importanza. I primi negoziati del GATT videro esclusi i servizi e bisognò attendere 47 anni per assistere alla ratifica, avvenuta nel 1994, del GATS. Per effetto della vigorosa crescita espressa negli ultimi decenni dagli scambi internazionali di servizi, verso la metà degli anni Ottanta si riconobbe la necessità di avviare negoziati multilaterali in questo settore. All’inizio dell’Uruguay round soprattutto i paesi industrializzati caldeggiarono un’apertura del mercato nell’ambito dei servizi, un’iniziativa che venne però avversata in particolare dal Brasile e dall’India che, temendo pregiudizi concorrenziali per il settore nazionale dei servizi, mossero l’appunto che la liberalizzazione non avrebbe tenuto sufficientemente conto del transfer di 14 Economic Briefing n. 25 know how e della mobilità internazionale delle persone. Il fatto che un’apertura dello scambio di servizi richieda una riduzione o un adeguamento dei regolamenti interni dei paesi concorse a sua volta a ostacolare il raggiungimento di un accordo nell’ambito dei servizi. Viceversa, nella circolazione delle merci vennero adottate solo disposizioni di rilievo in tema di confini. Il GATS si distingue in alcuni punti essenziali dal GATT: – Pur se applicato, nel GATS il principio del trattamento della nazione più favorita consente, accanto a deroghe di carattere generale, anche altre eccezioni per singoli paesi che figurano su liste negative. – Fondamentalmente, il principio della parità di trattamento nazionale non è applicato, a meno che i singoli paesi non abbiano assunto relativi impegni da inserire in liste positive. Quanto appena esposto fa sì che nuovi servizi non ancora considerati nel trattato o ancora sconosciuti non siano automaticamente inclusi nel GATS in quanto si difetta della necessaria regolamentazione interna generale. Occorre ogni volta un impegno specifico dei paesi, ciò che agevola loro il mantenimento di regimi di monopolio e politiche protezionistiche. Nell’ambito dei negoziati successivi in corso gli Stati Uniti e l’UE propongono di trattare il settore dei servizi finanziari tributandogli una maggiore importanza. Essi richiedono più trasparenza relativamente alle disposizioni in vigore nonché alle premesse da soddisfare per l’esercizio dell’attività nel segmento appunto dei servizi finanziari. La conoscenza di queste normative s’impone per poter erogare effettivamente dei servizi. Nella griglia degli obiettivi figurano uno standard di vigilanza e diligenza comune nonché ulteriori impegni nazionali nell’ambito dell’apertura di filiali. Altri paesi propongono l’integrazione di settori come le telecomunicazioni, il trasporto marittimo, il trasporto aereo, la distribuzione (rete di agenti, franchising ecc.), come pure i servizi a imprese. I prossimi negoziati sveleranno se per alcuni settori si riuscirà ad allineare le liste dei paesi e a stabilire così, quantomeno in parte, un grado di liberalizzazione unitario. In avvenire l’OMC dovrà chinarsi maggiormente sulla problematica degli ostacoli non tariffari posti al commercio. Sullo sfondo dei considerevoli progressi compiuti nell’ambito del disarmo tariffario (fig. 12) numerosi paesi membri dell’OMC fanno vieppiù ricorso a restrizioni commerciali non tariffarie come standard tecnici o misure sanitarie. A giustificazione di questi provvedimenti si adduce perlopiù la salvaguardia di interessi CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting pubblici, come ad esempio la salute, ancorché i reali motivi all’origine di queste restrizioni siano spesse volte di natura protezionistica. Occorre perciò assicurarsi che le restrizioni commerciali poste per motivazioni superiori siano conciliabili con il principio, fondamentale per l’OMC, della trasparenza. 5.2 Ampliamento della lista degli argomenti A dispetto dell’insuccesso del vertice di Seattle, numerosi paesi membri dell’OMC chiedono con insistenza l’avvio di un nuovo ciclo di negoziazioni multilaterali per le quali vi sarebbero sufficienti argomenti. Al pari dello scambio dei servizi, un settore in rapida crescita, il regime commerciale globale arrischia di non agganciarsi per tempo allo sviluppo dell’economia mondiale anche con riferimento ai sempre più importanti investimenti diretti. Nel quadro dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) si è tentato invano di elaborare un accordo multilaterale sugli investimenti (Multilateral Agreement on Investment, MAI). L’intento era di dar vita a una normativa completa che – proprio nei paesi in via di sviluppo e in quelli prossimi a varcare la soglia dell’industrializzazione – tutelasse gli investimenti diretti esteri richiamandosi a principi come la non discriminazione e adottando un sistema di regolamentazione delle controversie efficace. Ma a seguito di profonde divergenze d’opinioni e delle massicce pressioni esercitate da un movimento internazionale di protesta che si opponeva al MAI, alla fine del 1998 l’OCSE abbandonò ogni tentativo di perfezionare l’accordo sugli investimenti. Non è dato sapere se l’OMC potrebbe ottenere il consenso a norme multilaterali in materia di investimenti. È altresì affatto ipotizzabile che nell’ambito dell’OMC si rivolga la mente al rapporto fra commercio e politica concorrenziale. Il tema figura sul tavolo degli argomenti all’ordine del giorno, giacché molte società internazionali detengono pingui quote di mercato al di fuori del loro mercato nazionale. Ne consegue che le fusioni di aziende statunitensi o dell’UE con potere di mercato al di là dell’Atlantico devono essere approvate dalle autorità in materia di concorrenza dell’Unione europea e degli Stati Uniti. Tuttavia, come avvenuto recentemente nel caso della fusione squisitamente americana di General Electric e Honeywell vietata dalla Commissione UE, questi due organi di vigilanza possono giungere a risultati diversi riguardo all’ammissibilità della fusione, ciò che può destare disappunti transatlantici. In questa prospettiva, una certa armonizzazione internazionale del CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting Figura 12: Riduzione dei dazi doganali nel quadro del GATT dal 1947 * Beni industriali e commerciali Fonte: Die Volkswirtschaft 11/1999 diritto della concorrenza all’interno dell’OMC potrebbe contribuire a evitare in futuro siffatti conflitti. 5.3 Settori selezionati In questa sede non si intende fornire un elenco definitivo ed esauriente di argomenti proponibili per un nuovo round sul commercio mondiale, tuttavia giova soffermarsi brevemente sui tre settori selezionati descritti qui di seguito. Il rapporto fra commercio e sviluppo è un tema che torna puntualmente d’attualità nell’agenda della diplomazia commerciale. Diversamente da quanto sperato, in numerosi paesi in via di sviluppo non si è finora riusciti a ridurre il divario di prosperità rispetto alle economie mature, per cui l’argomento acquisterà ulteriore rilevanza in avvenire. Anche i rapporti di forze numerici in seno all’OMC indicano questa direzione: se più di cinquant’anni or sono i paesi promotori del GATT erano costituiti per una metà da nazioni industrializzate tradizionali e per l’altra dalle rimanenti macroeconomie, oggi questo rapporto è circa di 20 a 80. Come sempre, i paesi in via di sviluppo ed emergenti devono fronteggiare in primo luogo il protezionismo agrario e tessile dei paesi industrializzati. Pur se durante l’Uruguay round le nazioni meno sviluppate sono riuscite a ottenere una certa liberalizzazione del commercio dei prodotti tessili, visto che i contingenti bilaterali alle importazioni di tessili negli Economic Briefing n. 25 15 scambi fra la maggior parte dei paesi industriali e in via di sviluppo convenuti nel quadro del Multifiber Arrangement (MFA) cesseranno di avere vigore dal 2005, su molti Stati del Meridione planetario, in particolare dell’Africa, incombe la minaccia di un’ulteriore regressione delle quote all’interno del commercio internazionale (fig. 13). Vari stati industriali stanno cercando di incentivare la compartecipazione dei paesi in via di sviluppo all’economia mondiale mediante accordi doganali preferenziali. Al riguardo, essi rinunciano – nei limiti delle deroghe al principio della non discriminazione dell’OMC consentite – in parte o integralmente alla riscossione di dazi doganali sulle merci che importano dai paesi meno sviluppati. L’apertura dei paesi meno favoriti è promossa anche attraverso il canale di una più ampia cooperazione tecnica. In quest’ottica, ai rappresentanti della diplomazia commerciale provenienti dai paesi in via di sviluppo vengono dispensate conoscenze approfondite sul diritto dell’OMC, al fine appunto di consentire a questi paesi un migliore utilizzo degli strumenti dell’organizzazione mondiale del commercio – primo fra tutti il sistema di regolamentazione delle controversie – e di tutelare più efficacemente i loro interessi. Gli ambientalisti ammoniscono da parecchio tempo che la crescita può produrre impatti negativi sull’ambiente e che le risorse non sono inesauribili (cfr. «Limiti della crescita», Club di Roma), perciò il rapporto fra il commercio che promuove la crescita e l’ambiente figura nell’ordine del giorno dell’OMC. Viceversa, i fautori della liberalizzazione del commercio internazionale sostengono la tesi che gli scambi commerciali accrescono il reddito pro capite di un’economia, per cui nel corso dell’evoluzione economica l’impatto ambientale si riduce. Questo contesto teorico è illustrato dalla Environmental Kuznets Curve (fig.14). Altri dubitano della validità della relazione descritta e affermano a loro volta che una diminuzione dell’impatto ambientale accompagnato da un reddito crescente può essere ottenuta solo «esportando» detto impatto in paesi più poveri, in cui i beni sono prodotti sotto l’egida di normative ambientali meno severe. L’opinione pubblica è spesso indotta a credere che la sfera d’intervento dell’OMC sia circoscritta al libero scambio di merci e servizi e ignori del tutto gli aspetti ecologici. Meno noto però è che l’accordo OMC accoglie una serie di clausole che tengono in debita considerazione – almeno teoricamente – queste realtà. Ne è del resto una prova la premessa del trattato, che defini16 Economic Briefing n. 25 Figura 13: La modesta quota dell’Africa nel commercio mondiale Esportazioni di merci nel 1999 Fonte: OMC, International Trade Statistics 2000 sce chiaramente come «componente fondamentale» delle norme OMC lo sviluppo sostenibile (quindi l’interazione di aspetti economici, ecologici e sociali). D’altro lato, l’articolo XX dell’accordo GATT autorizza esplicitamente l’adozione di «misure a tutela della vita di uomini, animali e piante». Altre disposizioni ancora nell’ambito delle normative OMC sono intese alla salvaguardia dell’ambiente e della salute. A titolo di esempio, nell’accordo sull’agricoltura si ammette il versamento di sovvenzioni se queste sono destinate alla protezione dell’ambiente naturale. Il primo caso concreto relativo alla tutela ambientale portato dinanzi al tribunale arbitrale del GATT fu il cosid- Figura 14: Environmental Kuznets Curve Fonte: OMC, Special Study Trade and Environment 1999 CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting detto caso tonno-delfino risalente al 1991 (cfr. riquadro). Negli anni che seguirono vennero promosse altre azioni inerenti all’ambiente, pensiamo ad esempio al divieto d’importazione di petrolio greggio sulfureo oppure al commercio di carni bovine nel cui ciclo di produzione si fa uso di ormoni. Le disposizioni di rilievo sotto il profilo ecologico statuite dall’accordo OMC rappresentano in ampia misura delle norme interpretative ed è appunto per questo che l’Organizzazione mondiale del commercio creò nel 1994 il Committee for Trade and Environment (CTE), il cui programma di lavoro verte fra l’altro sul rapporto fra l’OMC e i Multilateral Environmental Agreements (MEA), che sono oltre 200 in tutto il mondo. Di questi però, solo una ventina di MEA prevedono esplicitamente restrizioni o divieti al commercio a salvaguardia dell’ambiente. Gli esempi più illustri di MEA sono il Protocollo di Montreal, che vieta il commercio di sostanze nocive per l’ozono, e l’Accordo sulla protezione delle specie siglato a Washington, che proibisce il commercio di avorio e di altri prodotti ottenuti da specie animali e vegetali a rischio di estinzione. Pur se finora non è stata intentata alcun’azione dinanzi all’OMC in merito a un MEA, è evidente che alcuni di questi accordi violano le norme OMC. In questo contesto è soprattutto dubbio se il diritto dell’OMC o del MEA interessato possa rivendicare la priorità. Pure insoluto è l’interrogativo teso a sapere chi infine deve essere chiamato a decidere nell’eventualità di un’azione legale. Nessuno dubita della competenza dell’OMC in materia di diritto commerciale internazionale, ma l’Organizzazione mondiale del commercio è davvero in grado di valutare con cognizione di causa questioni di carattere ambientale? In numerosi negoziati di politica commerciale condotti negli ultimi anni i diritti dei lavoratori – i diritti umani fondamentali dei lavoratori – si erano rivelati un punto assai controverso. L’attualità della tematica non deve tuttavia trarre in inganno e indurre a credere che il quesito del rapporto fra commercio e diritti dei lavoratori sia una novità: a livello di organizzazioni internazionali i diritti precitati furono oggetto di dibattito già nell’ambito dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) istituita nel 1919. Va tuttavia precisato che l’inclusione dei diritti dei lavoratori in accordi o leggi commerciali fu sempre controversa. L’aspetto problematico di queste «clausole sociali» è che all’occorrenza si ricorre anche a sanzioni che limitano il commercio per indurre gli esportatori con standard troppo bassi a rispettare i diritti dei lavoratori. CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting Il caso tonno – delfino Nel Pacifico, come peraltro in molti altri mari, i tonni e i delfini vivono spesso insieme nelle stesse acque. Nelle reti a strascico utilizzate dal Messico per la pesca al tonno rimanevano catturati e uccisi dei delfini. La legge statunitense sulla protezione dei mammiferi vieta esplicitamente queste tecniche di pesca, per cui gli Stati Uniti decisero di proibire l’importazione di tonno dal Messico o da paesi che lavorano tonno messicano. Nel 1991 il Messico e alcuni altri paesi interessati sottoposero il caso all’istanza preposta al regolamento delle controversie del GATT (Panel), che giunse alla conclusione che l’embargo decretato dagli Stati Uniti non era conciliabile con le norme GATT. La decisione fu da un lato motivata con il fatto che gli Stati Uniti non possono influire in alcun modo sulle modalità di pesca del tonno in Messico, in quanto il prodotto finale non si distingue dal pesce catturato con metodi rispettosi della vita dei delfini. Si tratta nella fattispecie di un punto di cruciale importanza poiché la discriminazione di prodotti identici («like products») non può legittimamente avvenire sulla base di cosiddetti Production and Process Methods (PPM). D’altro lato, nel giudizio arbitrale si osservò che in virtù delle norme GATT un paese non è autorizzato a esigere il recepimento coattivo di proprie leggi in altre nazioni. Agli Stati Uniti venne tuttavia concesso di introdurre un’etichetta ecologica che consentisse di riconoscere il tonno pescato con metodiche rispettose dell’ambiente marino e quindi dei delfini, mettendo così il consumatore nelle condizioni di operare una scelta d’acquisto consapevole. Il caso non contribuì ad accrescere la fiducia degli ambientalisti nell’OMC. La sentenza arbitrale fu accolta come una conferma che la liberalizzazione del commercio conduce fatalmente a una diminuzione degli standard ambientali. I critici vi intravedono un tentativo, camuffato con la retorica dei diritti dell’uomo, di eliminare attraverso l’armonizzazione la concorrenza per la competitività dei propri mercati, che promuove notoriamente l’efficienza. Di più, nonostante o proprio per la pluralità delle convenzioni OIL, non vi fu alcun consenso internazionale unanime su quali standard andassero infine inseriti fra i diritti umani inalienabili e universali dei lavoratori. A questo riguardo, un cambiamento importante nell’ambito dell’OIL si verificò solo nel 1998 (cfr. riquadro p. 18). Economic Briefing n. 25 17 Sotto l’egida dell’OMC, negli ultimi anni furono soprattutto gli Stati Uniti ad adoperarsi a fondo in favore dei diritti dei lavoratori. Quasi in solitario, l’allora amministrazione statunitense cercò, in occasione della prima Conferenza ministeriale dell’OMC tenutasi nel 1996 a Singapore, di formare un gruppo di lavoro su questo tema nell’ambito appunto dell’Organizzazione mondiale del commercio, ma il suo tentativo fallì per la massiccia opposizione mossa da numerosi paesi in via di sviluppo, i cui governi vedevano nell’invito a tutelare i diritti dei lavoratori una sorta di velato protezionismo rivolto contro i loro vantaggi comparativi. Un’ulteriore tematizzazione dei diritti dei lavoratori nel quadro dell’OMC venne pertanto ricusata e si consolidò la competenza di principio dell’OIL in questo ambito. Cionondimeno, ampi strati dell’opinione pubblica nei paesi industrializzati come pure molte delle politicamente sempre più influenti organizzazioni non governative (ONG) si indignano sempre più per le condizioni di lavoro (in cosiddetti «sweatshops») che vigono in numerose nazioni del mondo. Già solo per quanto dianzi menzionato l’OMC non potrà esimersi in avvenire dall’occuparsi di quesiti che attengono ai diritti dei lavoratori. Peraltro, il rispetto dei diritti umani fondamentali non si contrappone all’incentivazione della crescita economica nei paesi in via di sviluppo. Anzi: un mercato del lavoro che non conosce la discriminazione – ad esempio delle donne – è più efficiente di uno in cui determinati gruppi sociali sono penalizzati. Pur se ancora oggi il lavoro minorile rappresenta in molti paesi meno sviluppati una fonte di reddito irrinunciabile per numerose famiglie, nel lungo periodo il potenziale di crescita di queste macroeconomie sarà assottigliato per il fatto che esse non incentivano lo «human capital stock» mediante opportune misure formative. Anche in una prospettiva futura la diplomazia commerciale internazionale sarà sollecitata a trovare una regolamentazione istituzionale adeguata per disciplinare la questione dei diritti fondamentali dei lavoratori senza ostacolare il potenziale di creazione di prosperità insito nei mercati globali. Un approccio ipotizzabile risiede in una maggiore cooperazione fra OMC e OIL. La problematica può essere mitigata anche con un particolare contrassegno (cosiddetti labels) che informa il consumatore sulle condizioni di lavoro alle quali un prodotto è stato realizzato. In ogni caso, oggi la tesi – predominante ancora sino a pochi anni or sono – che diritti dei lavoratori e interscambi commerciali siano due realtà del tutto disgiunte fra loro non è ormai più sostenibile. 18 Economic Briefing n. 25 Diritti fondamentali dei lavoratori Nel giugno 1998 i rappresentanti dei Governi, sindacati e datori di lavoro di tutto il mondo presenti alla Conferenza dell’ONU hanno votato all’unanimità una Dichiarazione Internazionale dei principi e dei diritti sul lavoro (Declaration of Fundamental Principles and Rights at Work), accordandosi così sul contenuto fondamentale dei diritti che i governi devono rispettare globalmente e indipendentemente dal livello di sviluppo di un paese. Ai sensi della Dichiarazione OIL, nello spettro di questi principi figurano i punti seguenti: – la libertà di associazione e il diritto a trattative collettive, – il divieto di tutte le forme di lavoro coatto, – l’abolizione del lavoro minorile nonché – il divieto di discriminazione nell’ambito dell’assunzione e dell’occupazione. Il divieto del lavoro minorile rimane però controverso. Nella Convenzione n.182 (Worst Forms of Child Labour Convention) del 1999, che concretizza la Dichiarazione OIL sui diritti fondamentali dei lavoratori, l’Organizzazione internazionale del lavoro si limita perciò a vietare ogni forma di lavoro o di attività che possa danneggiare la salute, la sicurezza o la moralità dei bambini. La Convenzione n.182 è intesa soprattutto a combattere il lavoro forzato dei bambini, la prostituzione infantile, l’impiego di bambini come corrieri della droga e in processi di trasformazione pericolosi, ad esempio nell’industria e nelle miniere. Secondo dati dell’OIL, oggi sono circa 80 milioni i bambini costretti a svolgere queste attività pericolose. 5.4 Disparati conflitti d’interessi Con riferimento a eventuali nuove negoziazioni multilaterali, i principali blocchi commerciali continuano a nutrire preferenze diverse. Gli Stati Uniti hanno richiesto in origine un round limitato nel tempo («market access round») che avesse per oggetto soprattutto lo scambio di prodotti agricoli e servizi, settori in cui l’economia statunitense intravede le migliori opportunità di esportazione. Ultimamente però si stanno moltiplicando i segnali che anche Washington potrebbe caldeggiare l’avvio di un ciclo di negoziati commerciali di più ampio spettro, il che significherebbe un avvicinamento del punto di vista americano a quello dell’UE. Bruxelles auspica negoziati quanto più ampi e completi possibile che includano CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting Figura 15: Le svariate sfide dell’ordinamento commerciale globale in sintesi Argomenti già integrati Ampliamento della lista degli argomenti – Built-in-agenda: PScambio di servizi PScambio di prodotti agricoli – – – – – – – Ostacoli non tariffari al commercio – Ammissione di nuovi membri – Aumento della trasparenza Commercio e sviluppo Commercio e ambiente Commercio e diritti dei lavoratori Commercio e investimenti Commercio e politica concorrenziale Liberalizzazione commerciale regionale e multilaterale a confronto Conflitti d’interessi – «Contrasto Nord – Sud»: gli interessi dei paesi in via di sviluppo rispetto agli interessi dei paesi industrializzati – Conflitti all'interno dei paesi industrializzati: gli interessi dei governi e dei circoli economici rispetto agli interessi di ONG e della (autonominatasi) «civil society» gli aspetti del commercio e degli investimenti nonché della concorrenza e dell’ambiente. L’UE raccomanda un round di ampia impostazione al fine di compensare con esiti negoziali favorevoli in altri dossier le eventuali concessioni fatte nel settore della protezione agricola, assai sviluppato in Europa. Questo «pacchetto di massima» era già stato la chiave del successo dell’Uruguay round; a quel tempo i paesi in via di sviluppo si erano inizialmente opposti con fermezza all’integrazione dei diritti di proprietà intellettuale, ma in contropartita per la loro capitolazione riuscirono poi a strappare concessioni in altri ambiti ai paesi industrializzati. I paesi emergenti e in via di sviluppo a loro volta rivendicano una quota più equa nel commercio mondiale. Già solo per le proporzioni maggioritarie all’interno dell’OMC, la cui procedura decisionale è fondata sul consenso, occorrerebbe avere una maggiore considerazione per le esigenze dei paesi in via di sviluppo. Questi ultimi lamentano che le misure di liberalizzazione adottate sinora hanno avvantaggiato soprattutto gli stati industriali, mentre il tuttora diffuso protezionismo nei paesi del Nord preclude loro la messa a profitto dei rispettivi vantaggi comparativi – in particolare in ordine ai prodotti agricoli, ma anche con riguardo ai beni ad alta incidenza di lavoro, come i tessili. Del resto, molti paesi meno favoriti non vogliono neppure un nuovo ciclo di negoziazioni, poiché hanno già abbastanza problemi a rispettare gli impegni assunti nell’Uruguay round. Le difficoltà riguardano in particolare alcuni aspetti dei diritti di proprietà intellettuale: le economie meno progredite deplorano le lunghe scadenze dei brevetti per i nuovi prodotti farmaceutici messi a punto nei paesi industrializzati. Essi sostengono che il carattere di diritto di monopolio rivestito dalle disposizioni di privativa CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting industriale sfocia in un protezionismo velato che nel caso dei costosi farmaci antiAids comporta inoltre conseguenze fatali per la salute pubblica di intere regioni. Per questo il Sud Africa e il Kenya hanno recentemente rivisto le loro leggi sui brevetti, con l’effetto che ora le medesime consentono l’importazione di farmaci generici e tecnologie farmaceutiche antiAids a prezzi più contenuti. Nella posizione negoziale della Svizzera, la considerazione della multifunzionalità dell’agricoltura figura come esigenza particolare. L’UE e il Giappone adducono argomenti in parte analoghi. Al pari degli Stati Uniti, la Svizzera nutre inoltre un vivo interesse per l’ulteriore apertura dei mercati dei servizi finanziari. Molte ONG infine si oppongono fermamente a qualsiasi altra liberalizzazione del commercio mondiale. Invero nel loro schieramento oltremodo eterogeneo non vi è alcuna concordanza di idee sull’assetto auspicato del sistema di scambi internazionali. Come anticipato, la maggior parte delle richieste avanzate da oppositori della liberalizzazione in paesi industrializzati (ad esempio nel contesto della salvaguardia ambientale o dei diritti dei lavoratori) viene rifiutata dai governi dei paesi in via di sviluppo. È quindi fuori dubbio che negli anni a venire la sfida più grande che l’ordinamento commerciale globale e liberale dovrà raccogliere consisterà nel trovare un compromesso fra gli interessi, perlopiù diametralmente opposti, delle ONG negli stati industriali e le preferenze dei governi dei paesi in via di sviluppo (fig.15). Per favorire il consenso politico a nuove misure di liberalizzazione l’OMC dovrà inoltre prodigarsi per accrescere la trasparenza. Comunque vadano le cose, i giorni della diplomazia commerciale a porte chiuse appartengono ormai definitivamente al passato. Economic Briefing n. 25 19 6. Prospettive Il passato più recente – ricordando in particolare gli eventi del 1999, in occasione della Conferenza ministeriale OMC a Seattle – ci ha consegnato un’inconfutabile certezza: in taluni strati della popolazione si annidano profonde diffidenze riguardo all’ulteriore liberalizzazione del commercio. Da allora non vi è praticamente incontro internazionale di vertice, a livello di capi di Stato o di Governo, che abbia potuto sottrarsi alle veementi e talora rabbiose contestazioni di eterogenei movimenti di protesta nei confronti dei diversi aspetti della globalizzazione. Negli stati democratici di diritto il ricorso alla violenza per scopi politici è certamente condannabile, ma i clamorosi risvolti di queste azioni amplificano a livello mediatico l’attualità e il potenziale destabilizzante dei temi che le scatenano. L’OMC deve sovente sostenere lo scomodo ruolo di capro espiatorio per tutte le problematiche relative alla globalizzazione. In effetti, il processo di crescente integrazione delle economie mondiali implica molte sfide e sarebbe quindi del tutto inopportuno mentire a proposito delle ripercussioni, in parte dolorose, che molte economie dovranno metabolizzare a seguito dei cambiamenti strutturali. L’apertura dei mercati gioverà a molti, ma sicuramente non a tutti. Alla crescente interdipendenza economica non esiste tuttavia alcun’alternativa, e tenendo in debita considerazione il benessere indotto dal commercio non sarebbe forse neppure auspicabile. Lo scambio internazionale di beni, servizi e investimenti rappresenta ancora uno dei migliori strumenti di permanente incentivazione dello sviluppo economico di un paese. È altrettanto certo, però, che una politica commerciale liberale non può da sola rendersi garante della crescita e tanto meno del benessere. L’apertura dei mercati deve essere affiancata da un’intelligente politica economica e da adeguate condizioni quadro. Questo vale soprattutto per la grande comunità dei paesi in via di trasformazione, di sviluppo ed emergenti, che a causa della loro bassa quota nella produzione mondiale e della ancora scarsa integrazione nel commercio mondiale beneficiano solo in ragione di un terzo delle plusvalenze di ricchezza generate dall’Uruguay round. Queste ultime vengono stimate sino a 200 miliardi di USD all’anno, gran parte dei quali sono appannaggio di paesi industrializzati con una spiccata integrazione nel commercio mondiale 9. Contrariamente a quanto sostenuto finora, i paesi in via di sviluppo sono 20 Economic Briefing n. 25 perciò troppo emarginati dal circuito economico e commerciale globale. Questi stati, senza il commercio e l’accesso ai capitali esteri, si troverebbero in una posizione ancora più debole. La loro integrazione nel commercio mondiale deve dunque essere promossa, sgombrando il campo dagli ostacoli che ancora si frappongono a questo traguardo. A questo proposito deve essere segnalato il protezionismo agrario e tessile dei paesi industrializzati, a tutt’oggi ancora piuttosto massiccio: secondo le stime, infatti, le economie mature devolvono annualmente circa 300 miliardi di USD per sostenere le rispettive agricolture 10. Indipendentemente dagli esiti della Conferenza ministeriale OMC in programma a Doha (Qatar) nel mese di novembre 2001, con particolare riguardo alla possibile decisione di indire un nuovo round mondiale di negoziati, nei prossimi due anni il sistema commerciale internazionale dovrà confrontarsi con la problematica dell’integrazione di nuovi membri nell’OMC. L’elenco dei circa 30 candidati all’adesione – tra i quali la Repubblica popolare cinese, la Russia e l’Arabia Saudita – si presenta assai eterogenea. Soprattutto il previsto ingresso a breve termine della Cina, con i suoi circa 1,3 miliardi di abitanti, implicherà profonde conseguenze per gli importatori ed esportatori dei settori più diversi e per i consumatori di tutto il mondo. Sul versante dei consumatori, l’integrazione dei mercati e l’intensificazione delle relazioni commerciali significano in primo luogo un arricchimento, in termini qualitativi e di prezzo, della scelta di beni e servizi. Nelle discussioni politiche si tende spesso a dimenticare che i vantaggi del commercio internazionale non risiedono solo nelle esportazioni, ma anche nelle importazioni. Le imprese sono chiamate a sfruttare attivamente le opportunità proposte dal commercio mondiale grazie all’estensione dei mercati di approvvigionamento e di vendita, impiegando in modo ottimale le diverse opportunità di finanziamento e di incentivazione delle esportazioni oggi disponibili. L’architettura normativa dell’OMC offre alle aziende una garanzia giuridica per le loro attività internazionali e anche una difesa contro facili contraffazioni, grazie alle clausole sulla proprietà intellettuale. Nel contempo, esse devono sapersi preparare tempestivamente a una più aspra concorrenza di operatori esteri; inoltre, al fine di scongiurare proattivamente i cosiddetti rischi di reputazione, sarebbe raccomandabi9 OCSE (1998) 10 Economist, 28 luglio 2001, pag. 25 CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting le un’opportuna sensibilità verso gli aspetti ambientali e i diritti internazionali dei lavoratori. In tal modo, l’esigenza di «corporate social responsibility» (responsabilità sociale delle imprese), sempre più sentita anche negli ambienti degli investitori, troverebbe adeguate risposte concrete. Per gli investitori è essenziale la capacità di individuare precocemente le imprese in grado di adeguarsi con rapidità alla deregolamentazione e alla liberalizzazione nei rispettivi settori, ma anche di svolgere un ruolo d’avanguardia nell’applicazione o nello sviluppo di nuove tecnologie ambientali. Inoltre, il commercio estero resta un importante fattore congiunturale, che merita assoluta considerazione nelle previsioni di borsa e nelle transazioni sui mercati finanziari. E non da ultimo, l’ulteriore liberalizzazione della circolazione di capitali nel quadro del GATS, nonché la progressiva integrazione di nuovi membri nell’OMC, non potranno che accrescere per gli investitori i preziosi vantaggi della diversificazione internazionale. L’Organizzazione mondiale del commercio dovrà confrontarsi con problematiche di ampia portata nel prossimo futuro: tra queste figura il tema, proposto all’attualità dai paesi in via di sviluppo, dell’implementazione dei risultati dell’Uruguay round, nella prospettiva di tutelare gli interessi delle economie meno evolute. L’agricoltura rimarrà uno dei maggiori punti controversi nelle future trattative: su questo terreno gli interessi dei singoli partner commerciali appaiono in netta rotta di collisione. In ultima analisi l’OMC dovrà decidere se e come integrare «nuovi» temi – come ad esempio commercio e concorrenza oppure commercio e investimenti - nel regime multilaterale di trattative. Guardando al principio del consenso vigente nell’OMC e dei conflitti d’interessi sul tappeto, la strada dei compromessi appare l’unica percorribile. La diplomazia commerciale di tutto il mondo non dovrebbe tuttavia scoraggiarsi di fronte al tentacolare pro- CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting blema dell’incompatibilità degli interessi. Fondamentalmente dovrebbe essere privilegiata la soluzione di un nuovo round globale di negoziati. Se un accordo in tal senso non sarà raggiunto alla prossima Conferenza ministeriale OMC, esiste il rischio che la politica commerciale debba essere affidata in futuro a trattative bilaterali o regionali, uno scenario che si presenterebbe problematico sotto diversi aspetti. In primo luogo, un’efficiente impalcatura regolamentare multilaterale aiuta a neutralizzare i contrasti commerciali transatlantici – sempre più acuti negli ultimi tempi – nonché a impedire una possibile escalation delle tensioni tra USA e UE. In secondo luogo, la regionalizzazione dei negoziati metterebbe a rischio l’ulteriore liberalizzazione del commercio mondiale, poiché solo un round multilaterale potrebbe offrire lo spazio a una ricerca di compromessi di formato non strettamente locale. Infine, le trattative bilaterali sono gravide di potenziali svantaggi soprattutto per gli stati più piccoli e per i paesi in via di sviluppo. Le opportunità di un paese di migliorare il proprio destino economico sono direttamente proporzionali alla sua capacità di garantire il proprio benessere attraverso la competitività e l’integrazione nell’economia globale. E proprio in questa prospettiva deve essere considerata l’appartenenza a un’affidabile organizzazione commerciale mondiale. La potenza economica svolge spesso un ruolo rilevante nell’ambito di negoziati internazionali. Per i piccoli stati con una forte economia estera – come la Svizzera – l’OMC è perciò un’istituzione particolarmente importante, perché in questo edificio normativo il diritto ha la priorità sul potere. Per questo motivo, proprio la Svizzera dovrebbe essere interessata a un ordinamento commerciale globale efficiente. Ma solo la creazione di un’ampia base di consenso nell’opinione pubblica a favore del libero commercio e del suo supremo garante, l’OMC, potrà mantenere in vita, rafforzare e valorizzare a ciclo continuo il sistema commerciale multilaterale. Economic Briefing n. 25 21 Indicazioni bibliografiche BISKUP, Reinhold (edit.): Globalisierung PORTER, Michael E.: Nationale Wettbewerbsvorteile, und Wettbewerb, Berna 1996 Monaco 1991 UFFICIO FEDERALE DI STATISTICA: SCHOTT, Jeffrey J. (edit.), Launching New Global Die aussenwirtschaftliche Verflechtung der Schweiz, Erwerbsleben 3, Berna 1998 Trade Talks – An Action Agenda, Washington, D.C. 1998 CREDIT SUISSE: Der Welthandel hebt ab, Bulletin 5 /1999, pagg. 32 – 34 BANCA NAZIONALE SVIZZERA (BNS): CREDIT SUISSE: Spiel ohne Grenzen – Grenz- SENTI, Richard: Entstehung und Bedeutung der WTO, überschreitende Investitionen legen stark zu, Bulletin 5 / 2000, pagg. 48 – 50 in: Die Volkswirtschaft – Magazin für Wirtschaftspolitik 11/ 99 CREDIT SUISSE: Die Schweiz im internationalen SENTI, Richard: WTO – System und Funktionsweise Wettbewerb, Economic Briefing n.18, 8 / 2000 der Welthandelsordnung, Zurigo / Vienna 2000 HAUSER, Heinz / SCHANZ, Kai-Uwe: Das neue GATT– Die Welthandelsordnung nach Abschluss der UruguayRunde, Monaco/Vienna 1995 SEGRETARIATO DI STATO DELL’ECONOMIA (SECO): FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE (FMI): THÜRER, Daniel / KUX, Stephan: GATT 94 und die International Financial Statistics – Yearbook 2000, Washington, D.C. 2000 Welthandelsorganisation – Herausforderung für die Schweiz und Europa, Zurigo / Baden-Baden 1996 FMI: World Economic Outlook 2001, Washington, D.C. 2001 CONFERENZA DELLE NAZIONI UNITE PER IL Statistisches Monatsheft, giugno 2001 Die Schweiz in der Welthandelsorganisation WTO, http: // www.seco.admin.ch / welthandel / wto.htm COMMERCIO E LO SVILUPPO (UNCTAD): World Investment Report, 2001 KAPPEL, Rolf / LANDMANN, Oliver: Die Schweiz im globalen Wandel, Zurigo 1997 ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO (OMC): Special Study – Trade and Environment, 1999 MEADOWS, Donella H. / MEADOWS, Dennis / RANDERS, Jorgen: The Limits to Growth, OMC: Background Document on Trade and New York 1972 Environment, Ginevra 1999 ORGANIZZAZIONE PER LA COOPERAZIONE E LO OMC: International Trade Statistics 2000, SVILUPPO ECONOMICO (OCSE): Open Markets Matter Ginevra 2000 – The Benefits of Trade and Investment Liberalisation, 1998 OMC: Annual Report 2001, Ginevra 2001 ORGANIZZAZIONE DEI PAESI ESPORTATORI DI OMC: Focus June 2001 PETROLIO (OPEP): Annual Statistical Bulletin 1999 22 Economic Briefing n. 25 CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting Nella collana «Economic Briefing» sono stati pubblicati i seguenti numeri: N. Titolo N. mat. italiano N. mat. tedesco N. mat. francese N. mat. inglese 1 Europäische Währungsunion: Ein Jahr vor der Entscheidung (4 /97) – esaurito esaurito – 2 L’unione monetaria europea: Le vostre domande – le nostre risposte (7/97 e 5/98) 1521023 1521021 1521022 1521024 3 Inflation: Totgesagte leben länger (10 / 97) – 1510331 – – 4 Die EWU: Spreads and more... (10 / 97) – esaurito – esaurito 5 Schweizerische Sozialpolitik: Quo Vadis (10 / 97) – esaurito 1510352 – 6 Elchtest für den Euro: Der Weg zur Einheitswährung (3/98) – esaurito esaurito esaurito 7 Mercato svizzero del credito: nessi economici retrospettiva e prospettive (7/ 98) 1510773 1510771 1510772 – 8 Imprese ed euro: Ho pensato a tutto? (5/98) esaurito esaurito esaurito – 9 Der Euro kommt: Mechanik und Dynamik im Euroland (7/98) – esaurito esaurito esaurito 10 Kantonale Finanzen: Die Herausforderungen der Zukunft verlangen Teamarbeit (9/98) – 1510871 1510872 – 11 Das Jahr-2000-Problem: Keine Rezession in Sicht (6/99) – esaurito esaurito esaurito 12 Finanza globale: non nuova, ma assai promettente (10/99) 1510993 1510991 1510992 – 13 Neuer Glanz für Gold... (10/99) – 1540701 1540702 – 14 Aktien als langfristige Kapitalanlage (11/99) – 1540711 1540712 1540714 15 Electronic Commerce: (R)evolution für Wirtschaft und Gesellschaft (1/00) – 1511361 1511362 1511364 16 Europäische Union: Gestern, heute, morgen (3/00) – 1511381 1511382 1511384 17 Shareholder Value: Viel mehr als ein Schlagwort (6/00) – 1540801 – 1540804 18 Die Schweiz im internationalen Wettbewerb (8/00) – 1540811 1540812 1540814 19 L’assetto del mercato svizzero del lavoro – un ostacolo per la crescita? (9/00) 1540833 1540831 1540832 – 20 Diversifikation – Strategie für eine erfolgreiche Kapitalanlage. (12/00) – 1540871 1540872 1540874 21 L’euro alla ricerca della sua identità. (1/01) 1511493 1511491 1511492 1511494 22 Viaggio al centro dei crediti. (3/01) 1511503 1511501 1511502 – 24 Politica dell’istruzione – fattore chiave della società del sapere. (8 /01) 1511703 1511701 1511702 – 25 Commercio mondiale – un successo sul banco di prova. (9/01) 1511713 1511711 1511712 1511714 CREDIT SUISSE Economic Research & Consulting Economic Briefing n. 25 23 BUE / n. mat. 1511713 / 9.2001 Stampato su cellulosa sbiancata al 100 % senza cloro