FARFALLE NELLO STOMACO

Transcript

FARFALLE NELLO STOMACO
FARFALLE NELLO STOMACO...
di Giulia Bianchi
Ero tutta presa dai tipici discorsi di noi ragazze, quando una pallina di neve mi riportò
alla realtà.
Mentre i pezzi di neve mi scendevano lungo la schiena lo vidi, il ragazzo più bello della
scuola, quello a cui fanno tutte il filo, che si avvicinava imbarazzato per aver colpito me
invece dell'amico che distava pochi metri.
Avvicinandosi a me mi chiese scusa con un filo di voce e, togliendosi la favolosa sciarpa
che avvolgeva il suo pomo d'Adamo, me la offrì dopo essersi accorto che ero infreddolita
e imbarazzata. A questo suo gesto il mio cuore accelerò, le mani incominciarono a
sudare e, come una bambina che comincia a parlare, "mangiavo" le consolanti
pronunciando parole incomprensibili.
Per la prima volta fui felice del suono assordante della campanella.
Mentre ci incamminavamo verso la porta d'ingresso, lui mi si avvicinò e mi invitò a
prendere una cioccolata calda nel pomeriggio per rimediare al suo danno. Già pendente
dalle sue labbra risposi «A-a-a dopo».
Entrai e non seguii una parola di tutta la lezione di francese, il pensiero dei suoi occhi
azzurro-grigi come il cielo di quella mattina e la sua voce calda mi restarono in mente
insieme alle migliaia di farfalle che volavano nel mio stomaco, dal momento in cui la
palla di neve mi aveva colpito il collo.
Passarono le sei ore tranquille, riuscii giusto a concentrarmi per la verifica di storia delle
ultime due.
Suonò la campanella e tutti gli studenti si fiondarono nel cortile della scuola dove le
amiche di classi diverse si stringono come se non si vedessero da anni e i ragazzi si
organizzarono per andare in oratorio nel pomeriggio.
In mezzo alla folla lo vidi avvicinarsi a me è con un dolce sorriso.
Ci incamminammo verso casa mia, dove alle 3 di quel pomeriggio sarebbe venuto a
prendermi per offrirmi la cioccolata più buona e romantica di tutta la mia vita.
Credo che il suo sorriso sia stata la cosa più bella di tutta la mia vita di adolescente...
LA MIA AMATA INGHILTERRA
di
Emma Cucchi
Avevo deciso mi sarei opposta.
Per l’ennesima volta avrei dovuto fare ciò che i miei genitori sceglievano per me
ed ero stufa di tutto questo.
Ero grande ormai e avrei potuto iniziare a fare qualche lavoretto per poter
mantenermi in Italia.
La mia famiglia dopo un lungo periodo di benessere economico era rimasta a
secco: la ditta di mamma aveva chiuso da pochi mesi a causa degli altri debiti
contratti e il lavoro di papà era ormai diventato instabile.
I miei genitori avevano a cuore la propria immagine sociale e quindi, per evitare
i giudizi della gente, decisero di iniziare a cercare un nuovo lavoro, una scuola
per me e una casa, all’estero.
Impiegai un po’ di tempo ad entrare nell’ottica del trasferimento, ma alla fine
riuscii ad accettare l’idea: dopotutto, pensai, anche per mamma e papà sarebbe
stato un cambiamento drastico.
Era giugno, ed era anche l’ultima settimana di scuola, dove gli alunni esausti
dallo studio iniziano a liberare la mente dai pensieri.
Arrivai in classe e dopo un grande sospiro comunicai la notizia alla professoressa
e ai miei compagni, che rimasero un po’ scossi.
L’unica persona felice della mia partenza era Francisca che avrebbe potuto
prendere il mio posto, diventando finalmente la prima della classe.
Tutto era pronto.
In Inghilterra papà aveva trovato finalmente un lavoro che gli permetteva di
potare a casa il triplo del precedente stipendio, oltre che dargli molte
soddisfazioni, e mamma dopo mesi era riuscita ad aprire un suo negozio di
abbigliamento, realizzando il sogno di una vita.
Ma, per quanto potessi essere felice per loro, non lo ero per me.
Passai l’intera estate in casa a prendere lezioni di inglese da una madrelingua:
non avevo più una vita sociale.
Fortunatamente, a settembre, iniziò la scuola.
Devo ammettere che, per la prima volta, l’idea di riprendere gli studi mi piaceva.
Avrei potuto finalmente confermare le mie teorie sui college inglesi e vedere
realmente se, come nei film, c’erano le divise, gli armadietti e se le mense erano
più belle rispetto a quelle italiane.
Dopo aver fatto compilare alcuni moduli a mia madre, la preside mi presentò
alla classe, che mi accolse con grande festa.
Ma tra tutti, l’occhio mi cadde su un ragazzo: gli occhi azzurri e i mille ricci
castani, che rimbalzavano come molle sulla sua testa ad ogni movimento;
indossava una felpa grigia e un paio di jeans strappati che non facevano di lui
un ragazzo dall’aspetto curato.
Passò un mese, e nel frattempo diventai anche qui la prima della classe.
Ormai ero diventata amica di tutti e per fortuna non mi ero ancora fatta “nemici”,
m sentivo dentro di me che i guai stavano per avvicinarsi.
Sesto senso femminile!!
L’ unica persona a cui non avevo ancora rivolto parola era proprio lui, quello del
primo giorno.
Ricordo ancora quando la professoressa mi chiese di aiutare in matematica un
certo Troy.
Non sapevo chi fosse fin quando non varcai la soglia della biblioteca, l’aula in cui
mi era stato detto di recarmi.
E lo vidi, era lui. Non pensavo si chiamasse Troy, in classe era soprannominato
Zac.
Il cuore batteva e le mani tremavano.
Era la prima volta che mi accadeva, non avevo mai provato un’emozione simile.
Eppure non ero quel tipo di ragazza che credeva nelle farfalle nello stomaco, ma
quella sensazione che attraversava il mio corpo diceva tutt’altro.
Mi avvicinai, gli sfiorai la spalla, e dissi:” Are you Troy?”.
Si voltò mi guardò, con quegli occhi azzurri, fu tutto più chiaro: non era una
semplice cottarella quella che stavo iniziando a provare io, era qualcosa di più.
Mi sedetti e dopo un lungo silenzio riempito da sguardi iniziammo a parlare, ma
non di matematica.
Gli spiegai il motivo per il quale mi ero trasferita e lui fu molto comprensivo, mi
disse che aveva vissuto anche lui un’esperienza simile tre anni prima dovendosi
spostare dalla Spagna a causa di un problema di suo padre con la legge.
L’avevo capito subito, fra noi c’era complicità.
Si fece tardi e mi incamminai verso l’uscita, quando una mano mi afferrò, era lui
che mi chiedeva se avremmo potuto rivederci e io, senza esitare, accettai.
IL COLPO DI FULMINE
Di
AliceDehò
L’unica cosa di cui sono certa quando si parla delle cose strane della vita è che
non ci si può innamorare del primo sconosciuto che si ha davanti. Andiamo, come
puoi innamorarti di una persona che ha occupato un millesimo di secondo del
tuo tempo? è impossibile! Ho imparato che chi dice di aver avuto un “colpo di
fulmine”, non sa di cosa parla. Credo a stento nell’amore tra due persone,
figuriamoci se credo nei colpi di fulmine!
Lily non la pensa come me, invece. Crede che il colpo di fulmine capiti a tutti
nella vita, almeno una volta. E dice che in molti casi si tratta dell’amore che tutti
cercano. Non ho problemi se lei vuole credere in queste cavolate, smielate e
senza senso o base per essere considerate vere e proprie teorie: ma lei tende a
voler parlare di questo argomento ogni volta che ci incontriamo, cercando
sempre di convincermi dell’esistenza di persone che si innamorano al primo
sguardo. Io non intendo convertirmi alla sua idea, ma questo non lo vuole capire,
quindi si ostina a tediarmi con le sue follie fino alla nausea.
-Quindi, se io ti racconto la storia di mia cugina Laura e di suo marito Paolo,
continuerai a non credere nel colpo di fulmine? –domanda insistente prendendo
posto davanti a me. Alzo gli occhi al cielo: non è possibile che sia così…
Inarrestabile e noiosa. Cosa le cambia se io credo in qualcosa di diverso da quel
che crede lei? Cosa le costa smettere di insistere e comportarsi da amica
normale?
-No, non ci credo- Scuoto la testa, per poi bere il cappuccino che ho ordinato al
bar non troppo tempo fa. Lei incrocia le braccia al petto, sbuffando. Lei deve
sbuffare? Lei? Sono io quella che la subisce ogni giorno che vengo a scuola. Non
è una cosa normale! mi chiedo come siamo diventate amiche: quel giorno potevo
benissimo stare zitta e continuare a leggere il mio libro, mentre il treno ci portava
a Milano. Ma no! Ho dovuto fare il di più, come sono stupidamente solita fare! A
volte mi dimentico del perché siamo amiche. E sinceramente non lo ricordo
neanche ora.
-Oh, fai male: sono sposati da un anno e sono felici e contenti. Ma ora cambiamo
argomento- Esulto in silenzio, sperando che la mia espressione rimanga neutra.
Finalmente si è resa conto che non cambierò idea, assolutamente no –Dopo
lezione andiamo a mangiare insieme? Prometto che non parlerò più di amore e
di quelle altre cose fantastiche che non ti piacciono- ah, ecco perché siamo
amiche: perché ogni volta che smette di essere noiosa diventa la persona più
simpatica che si possa trovare sulla faccia della Terra, o almeno in Italia. Di solito
Lily mantiene le promesse, quindi mi fido. Annuisco, felice che abbia smesso di
parlare di roba smielata, e ancora più felice sapendo che non intende tornare
sull’argomento.
-Mi piacerebbe andare in centro, per comprare un paio di cose. Ho bisogno di un
vestito e di accessori. Non voglio andarci da sola, quindi potremmo andare
insieme dopo pranzo. A meno che tu non abbia lezione.
-Sì, non vedo perché no- dico alzandomi e dirigendomi verso il bancone a portare
la tazza sporca di caffè che ho appena usato. Mi piace aiutare i baristi di solito.
Sara è così gentile con me ed è giusto ringraziarla. Come sempre, mi sorride e
mi dice un grazie mormorato, ma che mi dà una tale soddisfazione che pochi
possono immaginare! Anche da piccola adoravo aiutare la gente. Ogni volta che
ero al bar o al ristorante, o al fastfood o ovunque si debba sparecchiare aiutavo
i camerieri.
Lily mi segue con lo zaino in spalla e il suo solito sorriso dipinto sulle sottili labbra
rosee. È una bella ragazza, bassa di statura, con i capelli castano chiaro e gli
occhi azzurri sempre truccati. Attira sempre una marea di ragazzi, come se loro
fossero pesci e lei del cibo per pesci. Di certo ne attira più di me, ma non mi
lamento. Rammento che non credo nell’amore e che preferisco un amico con cui
scherzare e ridere che un ragazzo con cui fare cose che al sol pensiero mi viene
il voltastomaco. Di nuovo.
Ovviamente Lily sorride a chiunque incontra per il corridoio, una volta uscite dal
bar affollatissimo. Tra studenti e docenti che fanno colazione e chiacchierano c’è
un forte vociare da far venire il mal di testa, al quale sono abituata.
-A che ora hai lezione? - mi domanda Lily, io le dico che devo essere in aula alle
10.30. La informo subito del prossimo esame segnato sul calendario,
precisamente mercoledì di settimana prossima. Non ho di certo voglia di svolgere
un altro esame, ma non posso far altrimenti. Ho intenzione di passarlo, e di
passarlo con il massimo dei voti, quindi intendo vivere sui libri. Non che prima
non lo facessi già, eh.
-Appena sei fuori mi fai uno squillo, ci troviamo in mensa?
-No! Non avrai intenzione di mangiare in mensa? Almeno oggi, andiamo fuori
dall’edificio, per favore! – squittisco, guardandola, provocando un risolino da
parte sua. Non capisco cosa ci trovi di divertente, a me non piace il cibo della
mensa. Assolutamente no! Mi soffermo quel poco che basta per ascoltare la sua
risata: bella, più della mia. Ci sono un sacco di qualità che posso invidiare in
Liliana Mancini e che, nonostante tutto, non faccio. Il che è decisamente strano,
dopotutto.
-Stai tranquilla, non mangiamo in mensa- dice sorridendo, io tiro un sospiro di
sollievo: menomale! Anche la mia mente e il mio stomaco dicono menomale e
tirano un sospiro di sollievo –Ho intenzione di mangiare fuori. Sai, nei negozi ai
piedi dei palazzi in cui abita… Quel tipo… Occhi meravigliosi, capelli rossi…
Lentiggini bellissime…- non capisco: chi abita in un appartamento davanti
all’università con i capelli rossi, le lentiggini a sua detta bellissime e due occhi
meravigliosi? Osservo la direzione in cui puntano i suoi occhi e vengo a scoprire
che sta osservando uno studente. E posso garantire che le piaccia di aspetto
fisico. Fantastico! Si è persa nello sguardo di uno che ha una faccia per di più
orribile! La osservo: sembra incantata, è ridicola. Le schiocco le dita davanti al
naso per risvegliarla dal suo stato ma non funziona. È messa male, allora.
-Lily? Santo Cielo, non vorrai farmi credere di esserti “innamorata” di Charles
Bingley 2? –è ridicolo! Non posso credere che si comporti in questo modo per un
ragazzo che non si è mai visto. È stupido ed insensato.
Poi, purtroppo per le mie teorie e la mia reputazione, lo vedo. È alto ma non
troppo, snello e un paio di occhi azzurri che solo a guardarli… Oh, Cielo! E poi ha
i capelli più belli che io abbia mai visto, lunghi e biondi, che gli sfiorano le spalle.
Sembrano di seta. E poi ha un sorriso che… Credo di essermi innamorata. Il
cuore comincia a battere velocemente, lasciandomi senza fiato. E a questo punto
non mi interessa se è impossibile. Ah, non mi importa se sembro una stupida ad
osservare un ragazzo così, in mezzo alla gente. È bello, è bellissimo. Dà l’idea di
essere la persona più simpatica della Terra-speriamo che Lily non si offendascavalcando di gran lunga la mia amica. Che voce vellutata deve avere, e quanto
dev’essere divertente. È un brutto segno che affianchi una ragazza molto più
bella di me? Ora sì che mi importa del mio aspetto, mentre in me cresce una
sensazione di gelosia allucinante. Stupida Jennifer, che al posto dei capelli hai
uno scopettone rosso e hai due semplici occhi marroni.
Ma lasciamo perdere un attimo i miei capelli e il mio corpo: devo parlargli. Non
so come, non so quando, non so se riuscirò nel mio intento, ma non importa. Lui
è talmente bello che mi fa venir voglia di fare tantissime figuracce in pubblico.
Mi fa venir voglia di… Non lo so. Di fare qualcosa di insensato. Sono abbastanza
nascosta per poterlo ammirare senza che lui se ne accorga, mentre si passa una
mano tra i capelli biondi e sorride a Bingley. Devono essere amici. L’unica
persona che non mi va giù è la biondina che gli sta da parte, tanto bella che ai
miei occhi sembra brutta. O forse è solo gelosia. D’un tratto mi sembra di essere
in una vecchia canzone di Justin Bieber o di altra gente che compone testi
smielati e irrealizzabili, ma che –ironia della sorte- si stanno realizzando proprio
ora. Mi piace, mi piace tantissimo. Ripeto, il mio cuore batte veloce e le ginocchia
mi tremano. Mi fa sorridere improvvisamente. È lui, è l’amore che non mi
aspettavo di trovare.
Devo comunque farmi fretta e parlargli: magari posso trovarmi passargli da
parte e chiedergli indicazioni, oppure posso chiedergli che ore sono. Oppure
posso… Non ho altre idee. L’esperta di questo genere di cose ora è presa dal
rosso che parla con il ragazzo più bello di questo pianeta. Forse è meglio chiedere
l’orario, non indicazioni.
Mi avvicino di soppiatto al ragazzo bellissimo e lo accosto, appoggiando i gomiti
alla ringhiera, mi guardo un po’ intorno, cercando di farmi coraggio. È solo una
frase, solo una semplicissima frase. Devo solo chiedere l’orario. Dopo qualche
secondo infinito passato a far finta di guardarsi intorno gli rivolgo la parola: Scusa, che ore sono? Ho una lezione alle 10.30, non voglio arrivare in ritardo.
Bella mossa, Jenni. Ora devo solo pregare che risponda gentilmente e che dal
terreno che ho appena annaffiato nasca un bellissimo fiore. Lui è ancora più bello
da vicino: gli occhi sono azzurri come il mare, i capelli biondi sembrano dorati.
Ah, quanto è perfetto.
Lui mi sorride e risponde, dopo aver guardato il quadrante dell’orologio: -Sono
le 10.15- si limita a mormorare, lasciandomi sorpresa. La sua voce è roca,
musica per le mie orecchie. Lo rende ancora più bello. Mi aspettavo dicesse
qualcosa di più. Ci rimango improvvisamente male. L’amore che non mi
aspettavo di trovare non ha lo stesso pensiero su di me, evidentemente. Com’è
possibile?
Lo ringrazio a bassa voce, faccio per andarmene e lui mi prende delicatamente
il polso, fermandomi. Mi volto di scatto e lo guardo: -Comunque sono Marco e
anche io ho una lezione alle 10.30. Tu cosa studi?
Lo guardo, scommetto che sul mio volto si è dipinto un sorriso: -Io sono Jennifer,
piacere. Studio economia, tu?
Ed è così che ci ritroviamo a parlare del più e del meno, come in uno di quei film
americani. Si chiama Marco e viene da Milano, è al terzo anno come me e studia
economia. Ha lezione con me, quindi ha chiesto se possiamo sederci vicini, come
due bambini che si vogliono bene. Ha detto che gli piacciono i miei occhi e i miei
capelli, così io ho fatto una battuta pessima sul mio aspetto. Poi ha detto che gli
ricordo sua sorella, alla quale lui vuole bene. E dopo che abbiamo parlato del più
e del meno, mi chiede se dopo lezione mi andava di venire a pranzo con lui. E
Lily? Non posso lasciarla sola. Ma lei sembra contraria al non farmi conoscere
meglio Marco, e mentre lei e Travis si danno appuntamento davanti alla scuola,
io accetto la proposta del bel ragazzo che mi fronteggia. Sono sicura al 99% di
sapere che Marco è la persona che stavo aspettando.
CAPELLI BIONDI
di
Leonardo Festini
Emh....cioè.....non so che cosa sia successo.
La scorsa settimana ho incontato una ragazza bellissima con dei capelli biondi
occhi grandi color nocciola alta, magra e con dei bellissimi capelli biondi. Non so
se l'ho già detto, ma aveva dei bellissimi capelli biondi di un biondo dorato come
il sole. Stavo portando fuori il cane quando l'ho incontrata e subito mi sono
innamorato.Ero in via Gavazzeni.Una via strana, dato che ha due parchetti di cui
uno ristrutturato e sempre strapieno e l'altro quasi sempre per non dire sempre
vuoto.
Stavo camminando per il parchetto deserto fin quando non l'ho vista. Il mio
sguardo è stato simile a quello di un fan di beautiful che guarda sempre le
puntate fatte e rifatte e viene a sapere che fra un giorno ci saranno le puntate
nuove e allora corre a casa entusiasta a fare maratone di pubblicità televisiva
per conoscere quanto prima le anticipazioni delle nuove puntate che verranno
trasmesse su Canale 5.
Mi sono avvicinato a lei, aveva un viso limpido con un naso perfetto e occhi da
wow. Ah! E anche dei bellissimi capelli biondi.
Ad un certo punto il cuore ha iniziato a battere così forte che me lo sentivo in
gola, ma ho preso coraggio e l'ho salutata con un banalissimo e timido “ciao”.
Lei ha contraccambiato immediatamente il mio saluto e poi c'è stato un attimo
che un attimo non era di ben due minuti di silenzio perchè io non sapevo più che
dire e eravamo entrambi imbarazzatissimi.
Il mio cane mi ha dato l'input per rompere il ghiaccio perchè ad un certo punto
ha iniziato ad abbaiare, allora agganciandomi al comportamento del mio cane,
mentre la fissavo dritta negli occhi le ho chiesto se anche lei stava portando a
fare una passeggiata il suo cane.
Lei mi ha guardato attonita. Solo due secondi dopo, guardando in basso, ho
realizzato che non c'era nessun animale con lei e allora mi son reso conto d'aver
fatto una figuraccia, come quando durante una spiegazione di un insegnante
intervieni facendo una domanda decisamente non pertinente e tutta la classe ti
guarda sconvolta.
Sentivo nella mia testa una voce come nei film che diceva: ”Chiedile di uscire”.
Mentre l'imbarazzo che era dovuto a quei silenzi lunghissimi aumentava, ho
trovato in me e non so come la forza per sussurrare un: “Ti va di uscire con me?”
Sfortuna della sorte non mi aveva sentito ma dato che non l'avevo capito, sono
rimasto a fissarla come un pesce lesso, come quando racconti una barzelletta ad
una cerchia di persone e nessuno capisce l'umorismo della battuta e allora
aspetti fissando il nulla sperando in una risata. Ecco come mi sentivo!
Mi ha guardato, mi ha sorriso e mi ha chiesto se abitavo in quelle zone. Ho
annuito e con un briciolo di coraggio le ho chiesto il numero di telefono. Me lo
ha dato senza tentennamenti e prima di andare via mi ha detto: ”Scrivimi, mi
raccomando” e si è allontanata.
A questo mondo mancano persone così. Persone come lei. Persone che ti fanno
sentire speciale. Persone che portano bellissimi capelli biondi, biondi proprio
come il sole.
ODIO LE CRAVATTE
di
Aurora Mirto
I fiocchi di neve scendevano lentamente dal cielo e Spencer nel suo caldo e accogliente
salotto osservava tranquillamente la televisione o almeno all’apparenza poteva
sembrare tranquilla, ma dentro la sua testa giravano mille pensieri. Non stava
ascoltando quello che dicevano in televisione, considerato da lei inutile visto che il
programma era basato sul cibo ed esattamente pochi minuti prima avevano fatto un
programma su come tenersi in forma, bah… la coerenza era estranea alla televisione.
Spencer quella mattina sarebbe dovuta andare al centro commerciale con sua madre,
ma odiava entrambe le cose. Lo shopping con le mamme era così noioso secondo lei, le
piaceva molto di più rimanere a casa e guardare, o meglio commentare i film in
televisione, con i suoi pensieri senza dover complicarsi la vita con “Maglietta blu o
rossa?”, alla fine i suoi vestiti erano sempre quelli, pantaloni neri e maglietta, ma
purtroppo dopo i numerosi lamenti della madre sul fatto che lei e sua figlia non
passassero del tempo insieme, aveva deciso di accontentarla.
L’aria gelida e la neve di Logan Circle1 travolse Spencer, aveva sempre adorato la neve,
era come una poesia per lei, e adesso era proprio puntuale, ricopriva tutto
silenziosamente come una tovaglia, le sembrava di ritrovarsi in un piccolo paradiso, la
neve la tranquillizzava in qualche modo a lei sconosciuto, ma le piaceva. Ma purtroppo
la vita non è come la neve, prima o poi smette di nevicare per sempre. Si avvicinò alla
panchina fuori casa sua, si tolse il guanto sinistro, regalatole da sua zia e accarezzò
delicatamente la neve che si trovava al di sopra; era candida, bianca e gelida, al tocco
rabbrividì, ma era questo quella che adorava della neve. Con le dita rosse dal freddo
disegnò sopra un cuore e alla vista sorrise, per sbaglio il suo cappello cadde
nell’immensa distesa di neve, il suo importante cappello, glielo aveva regalato sua
sorella due natali fa, ma purtroppo sua sorella ormai non passava più il Natale con loro,
era troppo occupata con la sua nuova vita che veniva tre o quattro volte all’anno a
salutarla, le mancava così tanto; il cappello era totalmente fradicio quando lo mise in
testa e così si bagno tutti i capelli, iniziamo bene, pensò.
Arrivate al centro commerciale, sua madre volle subito iniziare con lo shopping, Spencer
voleva dirle di calmarsi, ma sua madre era troppo entusiasta per farlo.
Esattamente sedici negozi dopo, migliaia di vestiti provati nei camerini, imbarazzanti
discussioni con le cassiere e le assistenti, Spencer e sua madre cercarono posto tra i
diversi tavoli per sedere e gustare una cioccolata calda.
-Io vado in fila, ci metterò un po’, ci sono molte persone, tu aspettami qui- disse la
madre per avvisare Spencer.
Effettivamente quando Spencer girò lo sguardo e vide la fila per il bar strabuzzo gli
occhi, c’era veramente tanta gente, a quanto pare tutti volevano una cioccolata.
1
Logan Circle è un quartiere di Washington, con maestosa architettura, cafè trendy, locali più alla moda della città, tra
cui una famosa birreria. Ci sono molte fermate della metropolitane nei dintorni, ma nessuna arriva a Logan Circle, motivo
del grande traffico notturno della gente. Con il suo look antiquariato, cibi integrati e case a schiera, è un quartiere in cui
si mischiano spirito aristocratico e ambizione.
Spencer sbatteva ritmicamente i piedi e si chiedeva per quale assurdo motivo la fila non
si era ancora mossa, era tentata di dire a sua mamma che la cioccolata non era
importante ma un ragazzo si avvicinò al tavolo correndo con il fiatone.
-Scusami, è occupato? – indicò il tavolo riferendosi al posto sulla sedia, ma nemmeno
il tempo di rispondere che questo si sedette.
-Emh…scusa ma- Spencer voleva richiamarlo per la sua maleducazione ma ancora una
volta il ragazzo la zittì.
-Ssh… vedi quelli? – Non le diede nemmeno il tempo di rispondere che continuò: - Non
devono vedermi- alzò il cappuccio della sua felpa rossa, abbassò la testa e tiro fuori dal
i suoi pantaloni neri troppo stretti il cellulare e iniziò ad usarlo.
Spencer era senza parole, proprio lì vicino passarono le due persone indicate dal ragazzo
prima, erano una signora e un signore che si tenevano per mano, urlavano il nome di
un ragazzo e sul volto avevano un’aria preoccupata, poveri, pensò Spencer. Ormai si
erano allontanati e il ragazzo alzò il volto e si tolse il cappuccio mostrando due grandi
occhi verdi e dei ribelli capelli ricci.
-Sono andati via? – sussurrò il ragazzo a Spencer.
Spencer annuì lievemente, ma cosa era successo? Questo ragazzo era apparso così
all’improvviso senza una spiegazione logica, la giornata stava prendendo una strana
piega.
-Scusa la mia improvvisa apparizione, ma vedi sono qui con i miei genitori da
stamattina, è una vera tortura, odio i centro commerciali e le cravatte- disse il ragazzo,
la faccia di Spencer assunse un’espressione interrogativa, anche lei odiava i centri
commerciali ma cosa c’entravano le cravatte? Provò sempre più pena verso i suoi
genitori. Come leggendole nel pensiero il ragazzo rispose con uno splendido sorriso e
due meravigliose fossette.
-Emh…ti spiego, fra un po’ di giorni l’amica della cugina di mia mamma si sposa e oggi
dovevo comprare qualcosa di elegante per questo stupido matrimonio. Siamo entrati in
questo negozio e la signorina mi stava quasi strozzando con la cravatta, per carità era
molto carina ma in questo modo mi uccideva, così sono andato via di corsa, meno male.
Comunque io sono Harry e tu sei? –
Che grande perdita, pensò Spencer che osservava con un piccolo sorriso sul volto, il
ragazzo. Era buffo mentre parlava, gesticolava con le mani e si toccava ripetutamente
i lati della bocca da cui ogni volta che sorrideva spuntavano due splendide fossette, era
così bello, ma a risvegliarla dai suoi pensieri fu ancora la sua voce.
-Allora, come ti chiami? Sei per caso muta? – chiese il ragazzo con un pizzico di ironia
nella voce e le sue adorabili fossette
-Cos-cosa? No no, ma scusa, non ti conosco- rispose lei con imbarazzo.
-Beh no, ma a me piacerebbe conoscerti se mi rispondi e poi sai che mi chiamo Harry,
allora tu sei? –
-Spencer - Beh, Spencer, come mai anche tu al centro commerciale? –
Harry parlò ancora, era così strana questa situazione, la fissava, avrà avuto qualcosa in
faccia?
-Beh sono venuta qui per fare shopping con mia madre e ora è in fila per il bar- rispose
Spencer andando in panico, sua madre?! Se veniva e le chiedeva chi era? “Beh è uno
sconosciuto però so che si chiama Harry e sta scappando dai suoi genitori perché odia
le cravatte (?)” non aveva senso, diede un occhiata alla fila, era ancora a metà.
-Capisco, quindi quando arriva devo andare via – Disse Harry con un tono quasi di
dispiacere.
-Dove mi nasconderò, meglio i bagni o mi travesto da cameriere? – domandò Harry con
ironia.
Spencer rise e rispose: - Secondo me sei nato per fare il cameriere.
Così iniziarono a parlare mentre la madre di Spencer si stava avvicinando, con un
vassoio in mano e due cioccolate fumanti al di sopra.
-Harry, devi andare- disse Spencer con dispiacere.
-Oh beh, ciao Spencer e grazie mille- e così se ne andò, facendogli un occhiolino e
portandosi via con lui le sue adorabili fossette e il cuore di lei.
-Come mai sorridi? – le chiese sua madre.
Non si accorse di star sorridendo, non rispose, fece un piccolo cenno a sua mamma e
iniziò a sorseggiare la sua cioccolata.
Oramai stavano andando via e Spencer lasciò un ultimo sguardo a quel tavolo di
avventura che si lasciava dietro le spalle, ma vide un figura che la salutava, osservò
con attenzione e vide che era Harry vestito come un cameriere, le fece l’occhiolino e lei
scoppiò a ridere, era matto, poveri i suoi genitori.
Harry è un po’ come la neve, pensò Spencer, imprevedibile e bella. La faceva sentire
bene in qualche modo a lei sconosciuto, e le piaceva. Forse il cuore disegnato stamattina
su quella panchina significava qualcosa.
Alla fine i centri commerciali, lo shopping e le file immense non sono poi così male.
OCCHI COLOR DEL CIELOdi
Maddalena Chiara Moioli
Sono le 8 di mattina e i miei occhi verdi appena aperti vedono il sole d’estate
specchiarsi nell’ oblo di camera mia.
Velocemente penso alle cose che devo fare oggi: colazione, compiti, preparare
il pranzo, doccia, mi stiro e mi alzo infilandomi le ciabatte riposte sotto il letto.
Ludovica sta ancora dormendo nel suo letto sommerso di pupazzi.
Arrivo in cucina e sul tavolo bianco illuminato dalla luce vedo un bicchiere di
succo d’arancia di fianco un panino con la nutella, i miei occhi luccicano di felicità.
Accanto alla collazione, un biglietto:
Buon giorno amori miei, papà è al lavoro e io sono andata con la nonna a fare
un controllo, quello che vi ho spiegato ieri sera, chiamatemi quando siete sveglie,
buona mattinata. Vi voglio bene. Mamma.
Sorrido e incomincio la colazione. Fuori dalla finestra, vedo la bellissima giornata
che incomincia, il cielo azzurro, gli alberi verdi che riempiono il prato di fronte a
casa mia, gli uccellini si librano nel cielo infinito, è tutto bellissimo, è estate
finalmente, i miei occhi si incantano a guardare quella meraviglia, nulla sarai
mai bello come tutto ciò, penso.
Ho quasi finito la colazione e sono ancora incantata davanti alla più meravigliosa
meraviglia del mondo, ma una bici rosso Cars irrompe in quella scena magnifica
di quel film altrettanto bello, facendomi rivolgere lo sguardo al ciclista.
Lo fisso, chi è lui perché il sole gli si riflette nei capelli e il cielo negli occhi e di
chi è quel sorriso da rivista, quelle gambe abbronzate al punto giusto, è la
perfezione, è bellissimo…se ne è andato, perché se ne è andato? No, sta
ritornando, sei più bello da davanti, girati, fermati sulla panchina a leggere,
guardami, no è meglio di no non sono presentabile, sì ha parcheggiato la
bicicletta, sì si siede siiiiiii, alzo le mani in segno di vittoria ma le riabbasso
velocemente vedendolo voltare il capo dalla mia parte. È più bello persino dello
spettacolo che ha interrotto.
Una tempesta di pensieri senza senso si scatena nella mia testa, guardando quel
ragazzo, seduto sulla panchina, che sembra stia aspettando qualcuno ed ecco
un'altra sfuriata di pensieri: sta aspettando me, è un angelo, no è il principe, ora
prende la sua principessa (cioè io) e cavalchiamo insieme un cavallo bianco, sta
girando un film, è il protagonista, io potrei fare la comparsa e successivamente
la sua fidanzata…
Il bicchiere di succo si è rovesciato, facendo un rumore che fa fermare la
tormenta dentro la mia testa, e incomincio a ragionare cercando di tenere a
freno i pensieri senza senso. Ora ricordo,sì l’avevo visto in una foto a casa di
Bea, in foto era bello, ma non così bello, ora ricordo è suo fratello. L’opposto di
Bea, lei ha i capelli e gli occhi scuri e la pelle color caramello è una bella ragazza,
siamo amiche da poco e ho visto suo fratello solo in foto perché era sempre in
giro per montagne.
Questa volta una leggera brezza di pensieri sensati soffia dentro la mia testa: -Gioele, si chiama Gioele, è nato nel 2000, è il fratello di Bea, so di lui più di quel
che credevo e lui non saprà nemmeno che esisto. La tristezza buca il mio cuore
rigonfio di felicità, ma non posso/ voglio subire, non questa volta, deve sapere
della mia esistenza è giusto, come i seguaci di instagram, io ho sempre più
seguaci che seguiti, quindi, deve essere così anche questa volta, se io lo conosco,
lui deve conoscere me.
Metto una maglietta e dei pantaloncini, mi lego i capelli in una coda e mentre mi
lavo i denti scarabocchio due parole su un post-it, per mia sorella.
Esco di casa e penso a un piano che possa reggere, prendo il cane e con un
sospiro di speranza apro il cancellino, Black incomincia a correre oltrepassando
il parco e passando proprio davanti a Gioele, lo rincorro con il guinzaglio in mano,
il mio piano sta funzionando, se solo Gioele si alzasse e mi aiutasse, sarebbe
perfetto.
…Bum sì, si alza, cavalca la sua bicicletta rossa e incomincia a seguire me e il
mio cane, FASE 2: OK.
Da adesso è tutto un fuori programma, non avevo avuto il tempo di pensare a
un piano dettagliato e preciso, il vento gli scosta la bionda frangia dalla fronte
faccio la curva in fondo alla strada e riesco a vederlo, mi supera, ma in quel
mentre inciampo in una radice, sono a terra, riesco ad alzarmi velocissima, lui
mi guarda, ma continua a pedalare…
Non riesco più a correre, il mio ginocchio perde sangue, dopo qualche secondo
Gioele afferra Black per il garrese, lo mette nel cestino e me lo riporta.
-Grazie, scusa, ma è bellissimo… piccolo… - mi correggo, il bellissimo era per lui,
ride e mi risponde – Nulla, bel cane comunque- sorrido, per non ripetermi, lui
scende dalla bicicletta e io lego Black,
- Ti sei fatta male? -No, nulla di che, un graffietto- Che soldatessa, tieni un fazzoletto, se no ti dissangui- mi pone un fazzoletto e
ride – GrazieMentre mi tampono il ginocchio,un'altra tempesta di pensiero vortica nella mia
testa: penserà che so dire solo grazie, nooo ansia, cosa dico, sei qua, rimani qua
quanto è bello, sono al 100° cielo si dice settimo, sto entrando in panico cosa
dico, cosa dico, sembrava tutto più facile nella mia mente, cosa hai fatto Sere,
cosaaa.
Mi rialzo, e ci incamminiamo, rifacendo la stessa strada percorsa per prendere
Black, c’è un silenzio imbarazzante, meno male è lui che lo interrompe - Sei tu
l’amica di Bea? -Sì, e tu come fai a saperlo? - Bea è mia sorella e parla sempre di te, di me non parla mai?- dice in modo
ironico
- Si, ogni tanto parla di te- Meno male - mi pone la mano in segno di saluto e io gli do la mia, mettendo il
guinzaglio sul polso. –Gioele- e me la stringe facendo passare il suo pollice
leggermente sul dorso della mia facendomi una carezza quasi impercettibile, dei
piccoli brividi mi percorrono la schiena, gli rispondo lasciando la sua mano
–SerenaSiamo quasi arrivati a casa mia, ancora silenzio, parlo io, mi sembra giusto e
non mi viene altro – Ma cosa ci facevi seduto sulla panchina? -Cercavo ispirazione, volevo andare in un altro posto, dovevo trovare un nuovo
luogo di ispirazione, quello di prima non mi faceva venire in mente più niente-Un buon metodo, dovrei provare anch’io- faccio una risata imbarazzata
-Mi sembra tutto tanto strano, sapevamo i nomi e siamo riusciti a collegarli a un
volto, io lo sapevo perché mia sorella mi ha mostrato una tua fotografia, ma tu?
-Idem- ridiamo insieme, arrivando davanti a casa mia.
-Buona giornata, ci vediamo in giro- la mia voce esce così veloce e tremolante
che non so se ha capito
- Buona giornata, magari in un uscita organizzata- mi fa l’occhiolino e schizza
via con la bicicletta rosso Cars.
Maddalena Chiara Moioli
DIANA
di Aisha Beatrice Thiam
Sbuffo per quella che sembra la centesima volta dall’inizio del viaggio.
Sono stanca, a quest’ora dovrei essere a casa, magari sdraiata sul mio letto a
navigare in internet o a guardare film in straming. Invece mi ritrovo nella
macchina di mio zio, con mia cugina che dorme poggiata sulla mia spalla,
diretta ad uno stupido stadio per assistere ad un altrettanto stupido concerto.
Infatti, qualche mese fa, quando hanno messo in vendita i biglietti di quella
“fantastica” (almeno così dice mia cugina) band anglo-irlandese, sono stata
costretta a comprarli e ad accompagnare Iris (appunto mia cugina) a San Siro.
Già, avete capito bene, andrò al concerto degli “One direction” (o come li
chiamo io “One di-bleah”). Molte ragazzine in preda agli ormoni vorrebbero
essere al mio posto (e giuro che io glielo cederei volentieri) ma sono stata
costretta dai miei zii, e così è la vita. Mia cugina ci ha obbligato a partire
stamattina verso le 7:30a.m. nonostante e così dopo ben due ore di viaggio
finalmente l’auto si ferma e zio Paolo scarica me e mia cugina davanti allo
stadio già pieno di “directioners” (appunto le fan di quei cosi) che urlano come
delle malate mentali (o forse sono malate mentali...).
Mia cugina, nonostante si sia appena svegliata, salta fuori dalla macchina e
corre incontro a delle ragazze che, sinceramente, io non ho mai visto prima.
Prendo lo zaino dal portabagagli e saluto mio zio avvicinandomi al gruppetto di
ragazze che urlano e e saltano come delle gazzelle impazzite.
-Ragazze, lei è mia cugina Diana- mi presenta Iris alle altre e io porgo loro la
mano in segno di saluto, ma loro la scansano e mi avvolgono in un abbraccio
caloroso complimentandosi per il mio nome, anche se, sinceramente,non
capisco il perchè. Iris inizia a raccontarmi di come si sono conosciute in un
gruppo di directioners su whatsapp e che da allora si vedono almeno una volta
al mese nonostante Serena, una ragazza dai capelli lunghi nero pece, abiti a
Bologna e non a Milano come tutte le altre. Mi stupisco un po’ del fatto che
un’amicizia possa nascere su whatsapp, dato che non sai con chi stai
chattando, ma se lo dicono loro.
La giornata passa velocemente tra chiacchiere e presentazioni, alla fin fine se
sei una directioners fai amicizia velocemente con le tue simili. Nonostante
tutto, le directioners non sono antipatiche come pensavo, al contrario sono
amichevoli e divertenti. Ma io mi annoio lo stesso. L’ho ammesso, sono
divertenti, ma parlano solo delle fossette di Harry, degli occhi di Niall, degli
acuti di Zayn e delle lotte d’acqua tra Louis e Liam (a me sinceramente fa
soltanto pensare che sono ancora più immaturi di quello che dicono). Alle
cinque del pomeriggio i gate finalmente si aprono e il nostro gruppo (saremo
state circa una decina di ragazze alla fine) si dirige verso l’entrata del parterre
dove un centinaio di persone sono già in attesa di qualche controllore che
faccia passare i biglietti. Una volta dentro, mi guardo intorno.
Lo stadio è veramente grande e un palco a centro ne domina la scena. Sono
stata a moltissimi concerti, ma non ne ho mai visto uno così grande: oltre
all’enorme palco principale c’è una passerella illuminata che porta a un piccolo
palco secondario rialzato. È veramente tutto stupendo.
Seguo Iris che mi conduce quanto più possibile vicino al palco, cercando di
farsi spazio e passare tra la gente. Dato che eravamo tra le prime ad entrare,
siamo riuscite ad arrivare alle transenne abbastanza facilmente e da lì abbiamo
atteso l’inizio del concerto. Ho praticamente passato il mio pomeriggio ad
osservare le varie specie di directioners (sembrava di essere in uno zoo): c’era
chi urlava, chi piangeva, chi era tranquillo, chi dormiva, e chi come me non
sembrava proprio entusiasta di essere lì.
Dopo altre tre stancanti ore lo schermo sul fondo del palco si illumina e parte
un video dei ragazzi che io non seguo molto dato il mio disinteresse e la mia
stanchezza. Sento soltanto mia cugina urlare quando passa l’immagine di
Louis, il suo “boyfriend”. Qualche minuto dopo cinque ragazzi salgono sul palco
e si mettono a cantare.
Devo dire che la musica non è così male, sinceramente pensavo peggio. Hanno
uno stile misto tra il pop e il rock e ,a parte alcune canzoni, le altre non sono
così commerciali come si dice in giro. La prima canzone che cantano è
STRONG, da quello che mi dice mia cugina. Non sono una madrelingua inglese,
ma la maggior parte del testo l’ho capita e le parole sono davvero belle. Inizio
a ballare (più o meno) con mia cugina e le sue amiche e ,in quelli che a me
sembrano 10 minuti ma che in realtà è 1 ora e mezza, il primo tempo finisce.
Durante la prima canzone del secondo tempo i ragazzi (ora li chiamerò così)
iniziano a spostarsi per la passerella, ma quella canzone non l’ho proprio
ascoltata, perchè è lì che lo vedo per la prima volta.
Ha i capelli castani, nè troppo chiari nè troppo scuri (praticamente un castano
perfetto), gli occhi color cioccolato e un sorriso smagliante sul viso mentre
guarda tutte le sue fan. E la sua voce... La sua voce è veramente bellissima,
forse la più bella tra le cinque. Improvvisamente non sento più le altre voci,
ma soltanto la sua e rimango come in trans, travolta dal suo profumo quando
si abbassa verso di noi e strizza l’occhio per poi rialzarsi e andare via. E lì
finisce tutto.
Aspetto per tutto il concerto che Liam torni verso di noi, ma non è così. Di
sicuro non mi ha nemmeno notato, ma io certamente ho notato lui. È perfetto,
più di quanto dicano le directioners (altro che Leonardo Di Caprio). Potrà
sembrare una cosa sciocca ma sono sicura di essermi innamorata di lui, non un
amore normale, un amore irraggiungibile, impossible. Quello di cui si parla nei
libri... A momenti faccio venire le carie anche a una formica sdentata.
Una volta fuori salutiamo tutti e raggiungiamo la macchina di mio zio, che ci
aspetta all’esterno dello stadio. Appena saliamo Iris si mette a raccontare tutto
a suo padre e io rivivo tutta la giornata, capendo che quella canzone sarebbe
stata la nostra canzone per sempre (nonostante solo io l’avrei saputo). E
chissà perchè quella canzone si chiamava proprio Diana.
Coincidenze?