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FOCUS
ASSEGNI PER IL CONIUGE E I FIGLI. QUANDO E QUANTO1
Fiorella Buttiglione
Già Consigliere presso la Corte d’Appello di Cagliari
1. Premessa
Il riconoscimento concreto di un assegno di mantenimento del coniuge o di divorzio trova la sua
disciplina nell’art. 156 c.c. e nell’art. 5, commi 6, 7 e 8, l.div. ed è ispirato al principio della tutela
del coniuge più debole e dell’obbligo del coniuge economicamente più forte di assicurargli, ove
consentito dai suoi redditi, la conservazione dello stesso tenore di vita2.
Il minimo comune denominatore delle due norme è costituito dalla ormai pacifica natura assistenziale degli assegni di mantenimento e di divorzio.
La giurisprudenza ha applicato, anche in tema di assegno di divorzio, il criterio guida sancito con
riferimento all’assegno di separazione; infatti, in entrambi i casi deve essere assicurato al coniuge
debole il mantenimento di “un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio”.
E tale linea interpretativa dell’art. 5 l.div. è costante a partire dalla sentenza della Cassazione a Sezioni unite n. 11492/19903.
Contemporaneamente, la giurisprudenza, interpretando le norme in esame, ne ha confermato la sostanziale differenza affermando che:
a) l’assegno di mantenimento deve essere parametrato, tenuto conto delle “circostanze” e dei “redditi” dell’obbligato, sul solo tenore di vita che il coniuge debole ha diritto di conservare anche
dopo la separazione;
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Relazione tenuta all’incontro di aggiornamento e approfondimento in diritto di famiglia organizzato dalla sezione di Treviso
dell’AIAF Veneto, 15 dicembre 2010.
2 Vedi relazione dell’incontro di studio “Prassi nelle cause di separazione e di divorzio”, organizzato dal Consiglio Superiore
della Magistratura, Roma 26-28 ottobre 2005; è consultabile all’indirizzo http://astra.csm.it/incontri/menu1.php (codice incontro n.
1539).
3 Cass. n. 11492/1990: “L’assegno periodico di divorzio, nella disciplina introdotta dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987 n. 74,
modificativo dell’art. 5 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, ha carattere esclusivamente assistenziale, atteso che la sua concessione trova presupposto nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che sia necessario uno stato di bisogno, e rilevando invece l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate, per ristabilire un certo equilibrio. Ove sussista tale presupposto, che dovrà essere valutato anche con riferimento ai mezzi che possono
essere acquisiti attraverso una attività lavorativa, confacente alla qualificazione della persona ed alla sua posizione sociale e di
fatto, possibile nelle condizioni sia personali (per età e condizioni di salute) che ambientali (per le concrete possibilità offerte dal
mercato del lavoro), la liquidazione in concreto dell’assegno deve essere effettuata in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri enunciati dalla legge (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da
ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio), con riguardo al momento della pronuncia di divorzio. A quest’ultimo fine, peraltro, il giudice del merito,
purché ne dia adeguata giustificazione, non è tenuto ad utilizzare tutti i suddetti criteri, anche in relazione alle deduzioni e richieste delle parti, salva restando la valutazione della loro influenza sulla misura dell’assegno stesso (che potrà anche essere escluso sulla base dell’incidenza negativa di uno o più di essi)”.
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b) l’assegno di divorzio, invece, può subire, al momento della determinazione del quantum, una
certa falcidia, per effetto dell’applicazione degli altri criteri indicati dall’art. 5 l.div., sino a giungere alla sua riduzione e anche all’azzeramento, con totale perdita del diritto del coniuge debole di riceverlo.
La differente disciplina, che in qualche modo penalizza il coniuge che ha diritto all’assegno di divorzio, ben si comprende ove si consideri la speranza del legislatore che la separazione sia una fase patologica reversibile, una specie di interruzione del rapporto, una frattura destinata a ricomporsi. In tale ottica, esclusi o attenuati alcuni obblighi derivanti dal matrimonio, resta per intero
l’obbligo di mantenimento. Nel divorzio, invece, cessato definitivamente il vincolo matrimoniale –
pur permanendo, per effetto di un principio di solidarietà che supera la rottura del vincolo, l’obbligo del coniuge forte di assicurare un assegno che consenta all’altro lo stesso tenore di vita –, si
è prevista, con l’obiettivo di evitare “rendite puramente parassitarie”, una più ampia valutazione
della complessiva posizione delle parti al momento della definitiva cessazione della vicenda matrimoniale, che può portare anche alla negazione dell’assegno di divorzio.
Nel solco di tale interpretazione delle norme in esame, si inseriscono le decisioni della Cassazione4:
• dell’irrilevanza, ai fini del riconoscimento dell’assegno di separazione, dell’attitudine al lavoro
del coniuge debole quando in costanza della convivenza matrimoniale si era convenuto che lo
stesso non lavorasse, perché deve essere conservato il “tipo di vita di ciascuno dei coniugi”;
• dell’irrilevanza, ai fini del riconoscimento e della quantificazione dell’assegno di divorzio, del
precedente regime dell’assegno di mantenimento stabilito in sede di separazione giudiziale o
consensuale5.
2. Assegno di mantenimento per il coniuge separato
Funzione dell’assegno è, dunque, quella di realizzare un riequilibrio economico delle posizioni dei
due coniugi separati per garantire, ove consentito dalle capacità economiche dell’altro coniuge, la
continuazione del precedente tenore di vita.
Sul punto va subito chiarito che il tenore di vita va identificato con “lo standard reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi”6.
È importante rilevare come il riferimento alle “potenzialità economiche complessive dei coniugi du4
Cass. n. 5555/2004: “Il diritto del coniuge separato senza addebito al mantenimento da parte dell’altro è subordinato dall’art. 156 cod. civ. alla condizione che chi lo pretenda ‘non abbia adeguati redditi propri’, a differenza di quanto previsto, in materia di divorzio, dall’art. 5, comma sesto, legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987,
n. 74, del divorzio, che condiziona altresì il diritto al fatto che chi lo pretende non possa procurarseli per ragioni oggettive; ciò in
quanto se – ad esempio – prima della separazione i coniugi avevano concordato o, quanto meno, accettato (sia pure soltanto
‘per facta concludentia’) che uno di essi non lavorasse, l’efficacia di tale accordo permane anche dopo la separazione, perché
la separazione instaura un regime che, a differenza del divorzio, tende a conservare il più possibile tutti gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza e, quindi, anche il tenore e il ‘tipo’ di vita di ciascuno dei coniugi”.
5 Anche di recente la Cassazione ha ribadito tale differenza. Vedi sentenza n. 25010/2007: “La determinazione dell’assegno di
divorzio, alla stregua dell’art. 5 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987 n. 74, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti e in virtù di decisione giudiziale, in vigenza di separazione dei coniugi, poiché, data la diversità delle discipline sostanziali, della natura, struttura e finalità dei relativi trattamenti, correlate e diversificate situazioni, e delle rispettive decisioni giudiziali, l’assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento del
matrimonio, prescinde dagli obblighi di mantenimento e di alimenti, operanti nel regime di convivenza e di separazione, e costituisce effetto diretto della pronuncia di divorzio, con la conseguenza che l’assetto economico relativo alla separazione può rappresentare mero indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione.
Vedi sentenza n. 1758/2008: “La determinazione dell’assegno divorzile, alla stregua dell’art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898,
modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti in vigenza di separazione dei coniugi, con la conseguenza che il diniego dell’assegno divorzile non può fondarsi sul rilievo che negli accordi
di separazione i coniugi pattuirono che nessun assegno fosse versato dal marito per il mantenimento della moglie, dovendo comunque il giudice procedere alla verifica del rapporto delle attuali condizioni economiche delle parti con il pregresso tenore di vita coniugale”.
6 Cass. n. 20638/2004.
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rante il matrimonio” può rendere irrilevante l’accertamento delle somme spese concretamente per
il mantenimento della famiglia in costanza di convivenza, perché, secondo la Cassazione, l’assegno
deve tenere conto non dell’eventuale più modesto tenore di vita subìto o tollerato, bensì delle esigenze e delle aspettative del coniuge richiedente rapportate alle oggettive disponibilità di risorse
economiche del coniuge onerato.
In tale prospettiva è anche irrilevante che il coniuge richiedente abbia eventualmente una propria
autonomia economica (tale da consentirgli di provvedere alle normali esigenze di vita sin da epoca antecedente al matrimonio e ancora al momento della separazione) se, comunque, il suo reddito non gli consente di riprodurre il tenore di vita goduto durante e per effetto del matrimonio.
La Cassazione ha affermato tali princìpi in relazione a un caso di redditi molto elevati di entrambi
i coniugi, in cui ha ritenuto il diritto della moglie a conservare il tenore di vita precedente; a tal fine ha rinviato la causa al giudice di merito per il rigoroso accertamento, sulla base della documentazione prodotta e della consulenza espletata, delle capacità economiche complessive dell’uno e dell’altro coniuge, evitando una valutazione sommaria e una comparazione approssimativa delle due posizioni patrimoniali e reddituali7.
È utile ricordare che, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede la determinazione dell’esatto importo dei redditi posseduti attraverso l’acquisizione di dati numerici o rigorose analisi contabili e finanziarie, essendo sufficiente una seria e attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi8.
Peraltro, come precisato di recente dalla Cassazione, la valutazione in ordine alle capacità economiche del coniuge obbligato ai fini del riconoscimento e della determinazione dell’assegno di mantenimento a favore dell’altro coniuge non può che essere operata sul reddito netto e non già su
quello lordo, poiché in costanza di matrimonio, la famiglia fa affidamento sul reddito netto e rapporta a esso ogni possibilità di spesa9.
2.1 Presupposti per il riconoscimento dell’assegno di mantenimento
Da quanto già detto emerge che un presupposto per il riconoscimento dell’assegno di mantenimento è la disparità economica tra i coniugi che sussiste – e dà diritto all’assegno – sia nel caso
che il coniuge richiedente non lavori sia nel caso che abbia una propria indipendenza economica,
ma non abbia comunque adeguati redditi propri o mezzi.
Il diritto del coniuge debole all’assegno di mantenimento in caso di separazione spetta anche quando non vi sia stata convivenza tra i coniugi per effetto di una libera scelta e ciò in quanto in tale
situazione permangono diritti e obblighi che nascono dal matrimonio10.
Nella pratica delle controversie familiari, a volte, si pone il problema se il coniuge debole che gode di elargizioni da parte della famiglia di origine abbia comunque diritto all’assegno di mantenimento.
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Cass. n. 20638/2004: “Condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la
separazione sono la non titolarità di adeguati redditi propri, ossia di redditi che gli permettano di mantenere un tenore di vita
analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, e la sussistenza di una disparità economica tra le parti, occorrendo avere riguardo, al fine della valutazione della adeguatezza dei redditi del coniuge che chiede l’assegno, al parametro di riferimento costituito dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l’entità delle aspettative del medesimo richiedente, non assumendo rilievo il più modesto tenore di vita subito o tollerato. Peraltro, benché la separazione determini normalmente la cessazione di una serie di benefici e consuetudini di vita ed anche il diretto godimento di beni, il tenore di vita goduto in costanza della convivenza va identificato avendo riguardo allo ‘standard’ di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi, tenendo quindi conto di tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro”. Nello stesso senso Cass. n. 5061/2006.
8 In tal senso Cass. n. 23051/2007 e n. 25618/2007.
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Cass. n. 9719/2010.
10 Cass. n. 17537/2003.
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L’originaria posizione affermativa della Cassazione11, basata sulla considerazione che ciascuno dei
coniugi separati, per effetto del dovere reciproco di solidarietà e di assistenza materiale che nasce
dal matrimonio, è sottratto alla dipendenza economica della famiglia di origine, per cui eventuali
aiuti di parenti o di terzi non possono escludere l’obbligo di mantenimento a carico del coniuge
economicamente più forte, risulta successivamente contraddetta.
Infatti, con la sentenza n. 5916/1996, la Corte di legittimità ha espresso il principio secondo il quale “il giudice dovrà tenere conto di ogni reddito disponibile da parte del richiedente, ivi compresi
quelli derivanti da elargizioni da parte di familiari che erano in corso durante il matrimonio e che
si protraggono nel regime di separazione con carattere di regolarità e continuità tali da influire in
maniera stabile e certa sul tenore di vita dell’interessato”.
2.2 Criteri di liquidazione dell’assegno di mantenimento
La determinazione dell’assegno deve essere rapportata, secondo quanto anticipato, al tenore di vita goduto durante il matrimonio e, altresì, alle circostanze e ai redditi dell’obbligato.
Del tenore di vita ho già parlato, quindi mi limito a precisare che: “Il concetto è chiaro: significa
assicurare ai soggetti deboli della famiglia – per il tempo successivo alla separazione – la possibilità
di godere delle stesse utilità e di fare le stesse cose di prima; ciò comporta, in ultima analisi, che deve essere consentita al coniuge debole, per sé e per i figli, la stessa capacità di spesa; egli deve disporre degli stessi soldi che, prima della rottura della unità familiare, erano necessari per mantenere
quel tenore di vita”.
Ovviamente il coniuge debole ha diritto a un assegno che gli garantisca la conservazione del medesimo tenore sempre che i redditi del coniuge obbligato lo consentano, perché in caso contrario
dovrà contrarre le proprie esigenze, come del resto gli altri componenti della famiglia separata.
Interessante, in proposito, il chiarimento contenuto nella sentenza della Cassazione n. 18613/200812
che afferma che nell’assegno non vanno comprese, di regola, somme che consentano atti di spreco o di inutile prodigalità del suo destinatario. Il giudice deve tener conto solo del tenore di vita
“normalmente” godibile in base ai redditi percepiti dalla coppia e non può dare rilievo ad atti di liberalità eccezionali o straordinari dell’obbligato durante la vita coniugale, non qualificabili come
esborsi destinati “ordinariamente” alla vita anche sociale o di relazione dei coniugi o dell’avente diritto.
Infatti, si soggiunge, il mantenimento non è destinato allo svolgimento di attività diverse da quelle “strettamente” inerenti allo sviluppo della vita personale, fisica, culturale e di relazione del coniuge che lo riceve e, quindi, non serve per gli investimenti o per consentire un’eventuale attività
imprenditoriale di chi ne beneficia.
Riguardo alle “circostanze” alle quali fa riferimento l’art. 156, secondo comma, c.c., si era in un primo momento ritenuto che si trattasse di circostanze sempre con diretta valenza economica. In tal
senso si esprime la sentenza della Cassazione n. 7630/199713 e, più di recente, la n. 6712/2005.
11 Cass. n. 1691/1987.
12 Cass. n. 18613/2008: “Nella determinazione dell’assegno di mantenimento, deve tenersi conto del tenore di vita ‘normalmente’ godibile in base ai redditi percepiti dalla coppia, e, pertanto, colui al quale è riconosciuto il diritto a tale assegno, potrà chiedere, per tale titolo, le somme necessarie ad integrare entrate sufficienti a soddisfare le sue esigenze di vita personale ed in relazione
al medesimo livello già raggiunto nel corso del matrimonio, non dovendosi nell’assegno comprendere, di regola, somme che consentano atti di spreco o di inutile prodigalità del suo destinatario; ne discende che non rilevano eventuali atti di liberalità eccezionali o straordinari dell’obbligato durante la vita coniugale, non qualificabili come esborsi destinati ordinariamente alla vita
anche sociale o di relazione dei coniugi o dell’avente diritto; né il mantenimento è destinato allo svolgimento di attività diverse da
quelle strettamente inerenti allo sviluppo della vita personale, fisica, culturale e di relazione del coniuge che lo riceve, e, quindi,
non serve per gli investimenti o per consentire una eventuale attività imprenditoriale di chi ne beneficia”.
13 Cass. n. 7630/1997: “L’art. 156 cod. civ. attribuisce al coniuge al quale non sia addebitabile la separazione, sempreché non
fruisca di redditi propri idonei a fargli mantenere un tenore di vita analogo a quello che aveva prima della separazione e sussista una differenza di reddito tra i coniugi, un assegno tendenzialmente idoneo ad assicurargli detto tenore di vita. Tuttavia, poiché non sempre la separazione, aumentando le spese fisse dei coniugi, consente il raggiungimento di tale risultato, il secondo com-
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Tuttavia, sempre con riferimento alla liquidazione del quantum dell’assegno di mantenimento, si
registra un’apertura della Cassazione alla valutazione anche di criteri diversi dalle sole circostanze
di natura economica. Di recente si è infatti affermato che possono incidere sulla quantificazione
dell’assegno, sempre in applicazione del disposto dell’art. 156, secondo comma, c.c., anche la breve durata del matrimonio e il contributo alla formazione del patrimonio, precisando, tuttavia, che tali criteri non possono però portare alla negazione dell’assegno (Cass. n. 20638/2004 e Cass. n.
23051/2007).
Si tratta, invero, di fattispecie concrete non certo ricorrenti nella pratica, per cui non si ritengono
espressione di un mutamento di indirizzo giurisprudenziale applicabile in ogni caso di richiesta di
assegno di separazione14. Tant’è che la Cassazione, anche con la sentenza n. 2818/2006, ha ribadito (in motivazione) che: “La breve durata del matrimonio non preclude il riconoscimento del diritto all’assegno di mantenimento, ove di questo sussistano gli elementi costitutivi (Cass. 16 dicembre
2004 n. 23378)”, e ciò disattendendo la censura del ricorrente secondo cui la Corte d’Appello “non
aveva tenuto conto, inoltre, della breve durata del matrimonio e della circostanza che tra i coniugi
non si era formata alcuna comunione di carattere materiale né tanto meno spirituale”.
3. Presupposti per il riconoscimento dell’assegno di divorzio e criteri di liquidazione
Ho già ricordato che la Cassazione, a partire dalla Cassazione a Sezioni unite n. 11492/1990 e con
orientamento ormai consolidato15, riconosce all’assegno di divorzio, nella disciplina dettata dal ri-
ma dell’art. 156 cod. civ. stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell’assegno ‘in relazione alle circostanze ed ai redditi dell’obbligato’, con ciò riferendosi unicamente alle circostanze di ordine economico che possano influire sulla misura dell’assegno, quali l’assegnazione al coniuge beneficiato della casa coniugale e le maggiori spese alle quali possa andare incontro per
tale ragione il coniuge onerato, nonché ogni altro fatto economico, diverso dal reddito dell’onerato, suscettibile d’incidenza sulle
condizioni economiche delle parti, come il possesso di beni improduttivi di reddito, ma patrimonialmente rilevanti”.
14 Cass. n. 20638/2004: “La durata del matrimonio ed il contributo apportato da un coniuge alla formazione del patrimonio
dell’altro coniuge, ovvero di quello comune, integrano parametri utilizzabili in occasione della quantificazione dell’assegno divorzile e non possono valere al fine di escludere la spettanza dell’assegno di mantenimento in caso di separazione personale, essendo tuttavia siffatti elementi valutabili in quest’ultima sede, ai sensi dell’art. 156, secondo comma, cod. civ., allo scopo di stabilire
l’importo di detto assegno”.
Devo osservare, però, che nel caso deciso il marito apparteneva a un nobile casato romano che conserva tuttora rilevanti testimonianze dell’imponente ricchezza di un tempo, essendo proprietario di beni in ogni parte di Italia, tra i quali un prestigioso appartamento sito nel palazzo di famiglia in Roma, destinato a casa familiare; anche la moglie era in situazione di autonomo elevato benessere economico, essendo titolare di un patrimonio immobiliare di non modesta entità, costituito da tre ampi appartamenti in zona centrale della città, da rilevanti somme liquide e titoli, nonché dai proventi della redditizia attività di consulenza nel
campo architettonico e artistico.
Di recente Cass. n. 23051/2007: “La durata del matrimonio ed il contributo apportato da un coniuge alla formazione del patrimonio dell’altro coniuge sono elementi valutabili al fine di stabilire l’importo dell’assegno di mantenimento”.
Anche questa decisione è riferita a un caso non ricorrente. Il marito professore universitario di chimica analitica, esperto di informatica con studio professionale con sette/otto dipendenti, proprietario in via esclusiva della casa coniugale, nella quale viveva
con i figli, maggiorenni, al cui mantenimento provvedeva, che aveva ammesso la disponibilità, nel 1988, di un capitale di circa
mezzo miliardo di lire; che percepiva canoni di affitto per circa L. 100.0000.000 annui; che aveva avuto un notevole movimento
di danaro sui propri conti bancari, eccetera. La moglie, laureata in biologia ed ex insegnante, proprietaria di un appartamento
non dato in locazione, con oneri di una nuova sistemazione alloggiativa, proprietaria di gioielli di un certo valore e del reddito
derivante dall’assegno di mantenimento corrispostole dal marito, nonché di una somma pari a L. 200.000.000 consegnatale dallo
stesso. La Cassazione ha confermato l’assegno di mantenimento di € 4.500,00 mensili, tenuto conto, oltre che dei predetti elementi, della durata del matrimonio e del contributo apportato dalla donna alla formazione del patrimonio del coniuge, “elementi che,
secondo la giurisprudenza di questa Corte, integrano parametri utilizzabili in occasione della quantificazione dell’assegno di
mantenimento in caso di separazione personale (v., tra le altre, Cass., sent. n. 20838 del 2004)”. Vedi anche Cass. n. 23378/2004
e n. 25618/2007 annotata.
15 Cass. n. 10210/2005: “In tema di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella disciplina dettata dall’art. 5 della legge n. 898 del 1970, come modificato dall’art. 10 della legge n. 74 del 1987, il tenore di vita goduto durante il matrimonio, cui rapportare il giudizio di adeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge richiedente l’assegno di divorzio, è quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare complessivo dei loro redditi e delle loro disponibilità patrimoniali, e non già quello tollerato o subito od anche concordato con l’adozione di particolari criteri di suddivisione
delle spese familiari e di disposizione dei redditi personali residui”. Vedi anche Cass. n. 4040/2003, n. 14004/2002, n. 6541/2002,
n. 7068/2001 e n. 6660/2001.
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formato art. 5 della legge n. 898 del 1970, natura eminentemente assistenziale, condizionandone
l’attribuzione alla specifica circostanza che il coniuge debole sia privo di mezzi adeguati e si trovi
nell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.
In proposito occorre sottolineare che la capacità lavorativa del coniuge debole non deve essere valutata in via meramente astratta, ma deve essere verificata in termini di concretezza e di attualità,
accertando quali effettive possibilità di trovare un impiego egli abbia e, quindi, tenendo conto non
solo degli elementi soggettivi riguardanti quel singolo coniuge (età, condizioni di salute, titoli professionali eccetera), ma anche di ogni fattore economico-sociale, ambientale e territoriale16.
Costituisce giurisprudenza consolidata il principio secondo cui l’accertamento del diritto a ottenere l’assegno di divorzio si attua in due fasi, sicché è necessario che il giudice verifichi la sussistenza dei suoi presupposti sia in relazione all’an debeatur (verificando l’inadeguatezza dei mezzi personali del coniuge debole a mantenere lo stesso tenore di vita e l’impossibilità oggettiva di procurarseli) sia al quantum (applicando i criteri correttivi di cui all’art. 5 l.div.: condizioni dei coniugi,
ragioni della decisione, contributo economico e personale di ciascuno alla conduzione familiare e
alla formazione del patrimonio di ciascuno di quello comune).
A tal fine è necessario, anzitutto, individuare il tenore di vita dei coniugi nel corso del matrimonio,
presupposto necessario in mancanza del quale la Cassazione ha annullato le decisioni dei giudici
di merito che avevano riconosciuto, o negato, l’assegno di divorzio17.
Come già detto, il tenore di vita da prendere in considerazione anche per l’assegno di divorzio non
è solo quello fruito di fatto prima della separazione, bensì quello consentito dalle complessive condizioni economiche delle parti, con la precisazione che occorre anche tenere conto degli incrementi patrimoniali e dei miglioramenti successivi alla separazione, che siano naturale sviluppo della capacità di lavoro, di produzione di reddito e di affermazione professionale del coniuge obbligato a
corrispondere l’assegno, già presenti in precedenza18. Presupposti dei quali occorre dare idonea
prova19.
16 Cass. n. 13169/2004: “In tema di attribuzione dell’assegno di divorzio, di cui all’art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898,
modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, l’impossibilità di procurarsi mezzi adeguati di sostentamento per ragioni
obiettive costituisce ipotesi non già alternativa, ma meramente esplicativa rispetto a quella della mancanza assoluta di tali mezzi,
dovendosi, pertanto, trattare di impossibilità di ottenere mezzi tali da consentire il raggiungimento non già della mera autosufficienza economica, ma di un tenore di vita sostanzialmente non diverso rispetto a quello goduto in costanza di matrimonio, onde
l’accertamento della relativa capacità lavorativa va compiuto non nella sfera della ipoteticità o dell’astrattezza, bensì in quella dell’effettività e della concretezza, dovendosi, all’uopo, tenere conto di tutti gli elementi soggettivi e oggettivi del caso di specie
in rapporto ad ogni fattore economico-sociale, individuale, ambientale, territoriale. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva accolto la domanda di assegno di divorzio sulla base del notevole squilibrio esistente nella capacità di lavoro e di guadagno delle parti – essendo il reddito dell’un coniuge pari al triplo di quello dell’altro – così sottintendendo la mancanza di titolarità, da parte del coniuge beneficiario dell’assegno, di mezzi adeguati e l’impossibilità di procurarseli per ragioni
obiettive)”.
Cass. n. 7117/2006: “Ai fini dell’attribuzione dell’assegno di divorzio e della determinazione della sua misura, ai sensi dell’art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (nel testo modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74), l’accertamento del giudice del
merito in ordine alle condizioni economiche dei coniugi ed al reddito di entrambi deve essere compiuto, non in astratto, bensì in
concreto; pertanto, detto giudice non può basare la propria decisione su un mero apprezzamento probabilistico, non fondato su dati realmente esistenti con riferimento alla specifica fattispecie. (Enunciando il principio di cui in massima, la Corte ha cassato con
rinvio l’impugnata sentenza, la quale si era basata, oltre che sui redditi reali dei coniugi, soprattutto su quelli virtuali, considerando, quale circostanza decisiva, il fatto che ‘la laurea della donna potrebbe darle un’entrata di due, tre milioni al mese’)”.
17 Cass. n. 4319/1999: “L’assegno di divorzio ha carattere assistenziale e trova il suo presupposto nell’inadeguatezza dei mezzi
economici del coniuge istante a consentirgli la conservazione di un tenore di vita analogo a quello condotto in costanza di matrimonio; per determinare la misura dell’assegno è necessario individuare il tenore di vita goduto nel corso del matrimonio e
stabilire la somma occorrente per mantenerlo, tenuto conto che la valutazione delle precedenti condizioni economiche va operata con riferimento al momento della pronuncia di divorzio, e che essa può avere riguardo anche agli incrementi delle condizioni patrimoniali del coniuge obbligato che costituiscano naturale e prevedibile sviluppo dell’attività svolta durante il matrimonio; in relazione al tenore di vita così determinato deve operarsi la concreta commisurazione dell’assegno in ragione delle capacità economiche dell’istante e degli altri elementi di cui all’art. 5 della legge n. 898/1970 e cioè condizioni dei coniugi, ragioni
del divorzio, contributo alla vita familiare e al patrimonio comune o dell’altro coniuge, reddito di entrambi, durata del matrimonio (nella specie la S.C. ha cassato la decisione del giudice di merito che aveva determinato l’assegno in assenza di una previa individuazione del tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio)”.
18 Cass. n. 1487/2004: “Nella determinazione dell’importo dell’assegno divorzile, occorre tenere conto degli eventuali miglioramenti della situazione economica del coniuge nei cui confronti si chieda l’assegno, anche se successivi alla cessazione della con-
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FOCUS
4. Come accertare i redditi dei coniugi
4.1 Onere probatorio della parte richiedente l’assegno
Affrontando in altra occasione20 il problema dell’accertamento del tenore di vita goduto durante il
matrimonio – imprescindibile elemento di riferimento per la determinazione degli assegni di separazione e di divorzio – ho osservato che, in via generale, quell’accertamento implica sostanzialmente la dimostrazione delle spese che la famiglia affrontava per mantenere il suo abituale stile di vita, di quanto costava il ménage familiare: “... Per tradurre il tenore di vita nel suo equivalente monetario, le strade sono pertanto almeno due:
1. si accertano le ENTRATE in senso ampio della famiglia, dalle quali può implicitamente desumersi il tenore di vita;
2. si accertano le USCITE, cioè i soldi che venivano concretamente spesi per le necessità familiari.
Compito del giudice è quello di conservare ai figli ed al coniuge debole una capacità di spesa analoga a quella goduta in precedenza e, comunque, analoga a quella che può ancora permettersi il coniuge economicamente più forte.
vivenza, qualora costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio e trovino radice nell’attività all’epoca svolta e/o nel tipo di qualificazione professionale e/o nella collocazione sociale dell’onerato, adeguatamente valutando se siano riferibili al tempo anteriore o successivo alla separazione, mentre non possono essere valutati i miglioramenti che scaturiscano da eventi autonomi, non collegati alla situazione di fatto ed alle aspettative maturate nel corso del matrimonio (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto computabile l’indennità percepita per una carica elettiva assunta dal coniuge onerato successivamente alla separazione, senza motivare in ordine
al ritenuto carattere di ordinarietà e prevedibilità dell’incremento economico)”.
Cass. n. 19446/2005: “Nella determinazione dell’importo dell’assegno divorzile, occorre tenere conto degli eventuali miglioramenti della situazione economica del coniuge nei cui confronti si chieda l’assegno, qualora costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio, mentre non possono essere valutati i miglioramenti che scaturiscano da eventi autonomi, non collegati alla situazione di fatto e alle aspettative maturate nel corso del matrimonio e aventi carattere di eccezionalità, in quanto connessi a circostanze ed eventi del tutto occasionali ed imprevedibili. Tali non possono essere considerati i miglioramenti economici relativi all’attività di lavoro subordinato svolta da ciascun coniuge durante la convivenza matrimoniale, i
quali costituiscono evoluzione normale e prevedibile, ancorché non certa, del rapporto di lavoro. (Nella specie, in applicazione di
tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto computabili, ai fini della determinazione della situazione economica della famiglia al momento della cessazione della convivenza, i compensi percepiti per lavoro straordinario e i premi di presenza e di produttività)”.
Cass. n. 20204/2007: “Nella determinazione dell’assegno divorzile, occorre tenere conto degli eventuali miglioramenti della situazione economica del coniuge nei cui confronti si chieda l’assegno, qualora costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio, mentre non possono essere valutati i miglioramenti che scaturiscano da eventi autonomi, non collegati alla situazione di fatto e alle aspettative maturate nel corso del matrimonio e aventi carattere di eccezionalità, in quanto
connessi a circostanze ed eventi del tutto occasionali ed imprevedibili, con la conseguenza che non sono valutabili evoluzioni imprevedibili dall’attività lavorativa (come il passaggio da lavoratore dipendente a libero professionista). (Nella specie, la S.C. ha
ritenuto non essere collegato alla situazione di fatto ed alle aspettative maturate nel corso del matrimonio il successo economico
conseguito dal coniuge onerato, circa dieci anni dopo la cessazione della convivenza matrimoniale, dalla sua attività libero professionale, rispetto alla precedente attività di pubblico dipendente, quale comandante provinciale dei vigili del fuoco)”.
19 Cass. n. 24496/2006: “In tema di divorzio, a norma dell’art. 5 della legge n. 898 del 1970, come modificato dall’art. 10 della
legge n. 74 del 1987, l’accertamento del diritto all’assegno divorzile va effettuato alla stregua della verifica dell’adeguatezza o meno dei mezzi del coniuge richiedente alla conservazione del tenore di vita precedente nonché della impossibilità di procurarseli
per ragioni obiettive. La nozione di adeguatezza postula un esame comparativo della situazione reddituale e patrimoniale attuale del richiedente con quella della famiglia all’epoca della cessazione della convivenza, che tenga altresì conto dei miglioramenti
della condizione finanziaria dell’onerato, anche se successivi alla cessazione della convivenza, i quali costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio e trovino radice in detta attività e/o nel tipo di qualificazione professionale e /o nella collocazione sociale dell’onerato stesso. (Nella specie, in applicazione del principio di cui alla massima, la S.C.
ha cassato la decisione della Corte di merito che, descritta nella sua solidità la situazione economica della moglie, ne aveva affermato il carattere deteriore rispetto a quella che sarebbe stata ove la convivenza con l’ex coniuge non fosse cessata, senza indicare
alcun elemento idoneo a suffragare detta affermazione e limitandosi a giustificare tale inadeguatezza con l’avverbio ‘indubbiamente’ che accompagnava, nella motivazione della sentenza impugnata, la esplicitazione del relativo convincimento)”.
20 Relazione tenuta al corso di aggiornamento “I criteri di quantificazione dell’assegno per il coniuge e i figli”, organizzato da
AIAF Lombardia, Milano 14 novembre 2008, e pubblicata sulla Rivista AIAF 2/2009, 30 ss., con il titolo Criteri di quantificazione
degli assegni di mantenimento. I fogli di calcolo. Qui si affrontava anche il problema dei “fogli elettronici di calcolo” utilizzati da alcuni tribunali per liquidare gli assegni e, altresì, del noto Software Mo.Cam. applicato anche nella sentenza del Tribunale di Firenze, 3 ottobre 2007 - Pres. Aloisio - Rel. Governatori, in Famiglia e Diritto, 1/2008, 39-52.
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Onere della parte e del suo avvocato è quello di fornire gli elementi di prova utili per accertare quali fossero le ENTRATE ovvero quali le USCITE.
In sostanza, occorre ricostruire il BILANCIO dell’azienda famiglia”.
Riporto in nota alcune sentenze della Cassazione che pongono a carico del coniuge richiedente l’assegno l’onere di dimostrare, in via prioritaria, il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio21.
Per quanto riguarda specificamente l’assegno di divorzio occorre, inoltre, che il coniuge richiedente provi anche la sussistenza delle altre circostanze integranti i criteri di cui all’art. 5 l.div. che, nel
caso concreto, valutati alla luce della durata del matrimonio, possono incidere positivamente sulla
liquidazione del quantum: le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno
o di quello comune, il reddito di entrambi.
Occorre però dare conto della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in mancanza di prova da
parte del richiedente della fascia socio-economica di appartenenza della coppia e del tenore di vita adottato in costanza di matrimonio oltre che della situazione esistente al momento della domanda, il giudice può “fare riferimento, quale parametro di valutazione del pregresso stile di vita, alla
documentazione attestante i redditi dell’onerato”22.
Mi sembra veramente opportuno, per un tempestivo e più puntuale accertamento delle condizioni economiche delle parti, che gli avvocati forniscano per tempo tutte le notizie utili per il riconoscimento e la quantificazione dell’assegno richiesto.
In occasione del corso di aggiornamento professionale “Prassi nella cause di separazione e di divorzio”, organizzato nel 2005 dal Consiglio Superiore della Magistratura e strutturato in tre sessioni, è stato messo a punto l’elenco dei dati da fornire:
• Generalità del coniuge
− Nome e cognome
− Data di nascita
− Titolo di studio
21 Cass. n. 9915/2007: “In tema di separazione tra coniugi, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, il giudice del merito deve accertare, quale indispensabile elemento di
riferimento ai fini della valutazione di congruità dell’assegno, il tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato. A tal fine, il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito (sia pure molto elevato) emergente
dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti (quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso), dovendo, in caso di specifica contestazione della parte, effettuare i dovuti approfondimenti – anche, se del caso, attraverso indagini
di polizia tributaria – rivolti a un pieno accertamento delle risorse economiche dell’onerato (incluse le disponibilità monetarie e
gli investimenti in titoli obbligazionari e azionari e in beni mobili), avuto riguardo a tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il
futuro; e, nell’esaminare la posizione del beneficiario, deve prescindere dal considerare come posta attiva, significativa di una capacità reddituale, l’entrata derivante dalla percezione dell’assegno di separazione. Tali accertamenti si rendono altresì necessari
in ordine alla determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del figlio minore, atteso che anch’esso deve essere quantificato, tra l’altro, considerando le sue esigenze in rapporto al tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori e le risorse e i redditi di costoro”.
Per il giudizio di divorzio vedi Cass. n. 15610/2007: “La determinazione dell’assegno divorzile va effettuata verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontata a un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che
sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto. Ai fini di tale accertamento, correttamente il tenore di vita precedente viene desunto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare complessivo dei loro redditi e dalle disponibilità patrimoniali. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che ha desunto il carattere elevato del reddito goduto dai coniugi durante il matrimonio dalle denunce dei redditi di entrambi, dalle rispettive disponibilità d’immobili e dalla vendita di altri beni immobili)”.
22 Cass. n. 13169/2004: “L’accertamento del diritto all’assegno divorzile va effettuato verificando l’adeguatezza o meno dei mezzi del coniuge richiedente alla conservazione del tenore di vita precedente. A tal fine, il giudice del merito può tenere conto della
situazione reddituale e patrimoniale della famiglia al momento della cessazione della convivenza, quale elemento induttivo
da cui desumere, in via presuntiva, il precedente tenore di vita e può, in particolare, in mancanza di prova da parte del richiedente, fare riferimento, quale parametro di valutazione del pregresso stile di vita, alla documentazione attestante i redditi dell’onerato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva accolto la domanda di corresponsione dell’assegno divorzile in ragione dello stesso notevole squilibrio esistente, all’atto della pronuncia di scioglimento del matrimonio, nella ca-
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FOCUS
• Lavoro attuale dal ...
− Tipo (per esempio: dipendente o autonomo)
− Durata (a tempo indeterminato, a tempo determinato)
− Lavoro precedente
• Redditi: importo mensile e numero mensilità
− Redditi occasionali
− Partecipazioni societarie
− Titoli o depositi
− Conti correnti intestati, contestati o con sola delega di operare
− Uso di carte di credito
− Altri introiti periodici (per esempio: pensioni, indennità eccetera)
− Contributi non occasionali delle famiglie di origine
• Immobili
− In proprietà
− In uso per vacanze o per lavoro
− Locati a terzi
− Ubicazione, dimensioni, valore di mercato
− Titolo di acquisto
− Fondi agricoli: estensione e tipo di coltura
• Mobili registrati
− Autovettura e motocicli in proprietà o in uso
− Barche
− Velivoli
− Beni di lusso: cavalli e collezioni
• Viaggi e stile di vita dei componenti la famiglia (per esempio: ristorante, teatri, sport, frequentazione circoli)
• Collaborazioni domestiche
• Spese correnti
− utenze domestiche
− spese casa
− condominio
− vitto
• Mutui, finanziamenti e pagamenti rateali
In particolare ci sono degli indicatori che misurano il tenore di vita e che le parti possono facilmente dimostrare. Le dimensioni e le finiture della casa familiare e il tipo di arredi potranno essere documentati da planimetrie o fotografie; i viaggi fatti dalla famiglia dai passaporti o da fotografie datate; gli sport praticati o l’iscrizione a circoli con ricevute dei pagamenti effettuati; la proprietà o l’uso di barche e auto con delle foto.
Peraltro è possibile utilizzare on line23 i servizi resi dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenpacità di lavoro e di guadagno delle parti, essendo risultato che il reddito del coniuge onerato era pari a circa il triplo di quello
fruito dall’ex coniuge”.
Cass. n. 6541/02: “L’accertamento del diritto all’assegno divorzile va effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge
richiedente, raffrontate ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto. Ai fini di tale accertamento, correttamente il tenore di vita precedente viene desunto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali.
(Nella specie, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione della corte territoriale che aveva ritenuto che il forte squilibrio tra l’entità dello stipendio percepito dalla ex moglie e quello dell’ex marito rendevano evidente la non titolarità da parte della prima – una volta venuto meno l’apporto delle entrate del coniuge – di mezzi adeguati, tenuto altresì conto della circostanza dell’attribuzione, ad
opera della sentenza di primo grado, non impugnata sul punto, all’ex marito, del gratuito godimento della casa di proprietà della donna, così privata della opportunità di trarre un profitto dalla locazione di detto immobile. Al riguardo la Corte territoriale
aveva altresì ritenuto che non potesse avere alcuna incidenza, per converso, l’assegnazione alla stessa, affidataria del figlio minore, della casa coniugale, di proprietà dell’ex marito)”.
23 https://portaleavvocati.visura.it/mostraCategorieListinoPubblico.do
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za Forense proprio al fine di acquisire informazioni risultanti, per esempio, dal PRA, dall’archivio
dell’Agenzia del Territorio, per effettuare visure societarie tramite le banche dati ufficiali delle Camere di Commercio eccetera.
4.2 Prospetti riassuntivi dei redditi e delle spese
Siccome è purtroppo noto che l’assegno liquidato dal presidente in via temporanea e urgente “è destinato a durare a lungo”, maggiori elementi si mettono a disposizione del giudice, più congrua
sarà verosimilmente la misura dell’assegno stesso.
Sarebbe anche utile riportare i dati relativi rispettivamente ai redditi del marito e della moglie e così quelli riguardanti i costi affrontati dagli stessi per sé e per i figli in prospetti sinottici che possono fornire al giudice “una fotografia” della complessiva situazione, ovvero una lettura immediata
di tutti gli elementi rilevanti, a volte dispersi in carte processuali inserite nel fascicolo di parte senza ordine e non facilmente leggibili.
A titolo esemplificativo ne propongo alcuni.
Prospetto riassuntivo A
MOGLIE
MARITO
Disponibilità
economiche
Redditi finanze
Beni immobili
e mobili
1
2
3
4
5
6
7
8
...
Reddito netto
effettivo
Valore intrinseco
immobili
Disponibilità
economiche
Redditi finanze
Beni immobili
e mobili
Reddito lavoro
Depositi bancari
Casa via P. 100%
Casa via S. 50%
Studio 100%
Porsche Cayenne
Mini Cooper
Casa via S. 50%
TOTALE
TOTALE
Reddito netto
effettivo
Valore intrinseco
immobili
Prospetto riassuntivo B
MOGLIE
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2
3
4
5
6
7
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11
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COSTI ANNUALI
MARITO
COSTI ANNUALI
MANUTENZIONE CASA
COLF
CONDOMINIO
BOLLETTE:
luce, gas, acqua, telefono
ALIMENTAZIONE
SPORT
SVAGHI
CULTURA
VIAGGI
SALUTE
VARIE
AUTO
ASSICURAZIONE
TOTALE
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FOCUS
5. L’assegno per i figli
La Cassazione ha da tempo costantemente ritenuto che l’assegno di mantenimento dei figli deve
essere liquidato tenendo conto di una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo
alimentare, ma estese all’aspetto abitativo, culturale, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale.
Ora l’art. 155 c.c., come sostituito dalla l. 8 febbraio 2006 n. 54, ha recepito sostanzialmente tale
concetto prevedendo, al quarto comma, che: “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio;
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
4) le risorse economiche di entrambi i genitori;
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.
Ricordo che dall’indagine condotta dall’Associazione Nazionale Magistrati nel 2002 in oltre cinquanta Tribunali d’Italia, risultò che per il figlio venivano liquidati assegni da 50 a 400 euro e, dunque,
una situazione di inaccettabile disparità di trattamento. La domanda formulata nel questionario era
la seguente:
“Se nell’impossibilità di determinare i redditi in fase presidenziale si opera una determinazione minima dell’assegno per il mantenimento dei figli o come contributo per il mantenimento prima di rinviare innanzi al g.i. a quanto ammonta l’importo?”.
Le risposte furono le più diverse:
• minimo 50 euro per figlio
• 100 euro: 2
• 125 euro per un figlio
• 100-150 euro
• 125-150 euro per ciascun figlio
• 150 euro: 2
• 175 euro: 3
• 200 euro: 9
• 225 euro
• 200 euro per un figlio e 300-350 per due
• ogni caso va valutato singolarmente
• da 250 a 400 euro
• a seconda dei redditi: 6
• 1/3 del reddito24.
Non mi sembra che la situazione sia significativamente cambiata per effetto della riforma del 2006.
5.1 Affido condiviso e cura dei figli
Le ultime statistiche registrano un aumento dei casi di affidamento condiviso.
Ma il maggiore coinvolgimento del padre, che dovrebbe conseguire al provvedimento del giudice
della separazione che affida la cura dei figli contemporaneamente al padre e alla madre, non sembra aver comportato un sostanziale mutamento nelle precedenti modalità di gestione del rapporto
padre-figli.
24 Cfr. atti del convegno “Viaggio nei giudizi di separazione e divorzio. Come attuare un processo ragionevole” organizzato dall’Associazione Nazionale Magistrati a Roma il 3 giugno 2003, in cui vennero discussi tutti i problemi di carattere sostanziale e processuale messi in luce da un’approfondita indagine nei Tribunali di tutta Italia. E sullo specifico punto vedi la relazione: Buttiglione, Provvedimenti di natura patrimoniale.
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Intendo dire che l’esperienza sul campo ha dimostrato che il padre, che durante il matrimonio non
si occupava della cura quotidiana dei figli, non ha cambiato la qualità e la quantità della relazione
per il solo fatto che il giudice abbia disposto l’affidamento condiviso e regolato minuziosamente
modi e tempi di frequentazione e di attenzione nei confronti dei figli.
La bigenitorialità è un dato ontologico, “attiene alla struttura dell’essere in se stesso”; non è un’etichetta formale. Padre si nasce, non si diventa per ordine del giudice.
Il principio di bigenitorialità – considerato dal punto di vista del bambino – tiene conto della sua
naturale e legittima aspirazione a mantenere un rapporto stabile con entrambi i genitori, figure considerate fondamentali per il suo equilibrato sviluppo psico-fisico; quel principio – dal punto di vista dei genitori – comporta che ciascuno di loro assume, nei confronti dei figli e non dell’altro genitore, l’impegno di occuparsi della loro crescita sin dalla nascita.
Quando i genitori uniti hanno svolto entrambi il loro compito, attuando nella quotidianità del rapporto con i figli il principio di bigenitorialità inteso come sopra, la qualità del rapporto padre-figli
difficilmente potrà essere influenzata da un’eventuale separazione dei genitori e ciò a prescindere
dal fatto che il giudice disponga o meno l’affidamento condiviso.
In caso contrario, l’affidamento condiviso per provvedimento del giudice sancisce il principio di una
bigenitorialità giuridica che, non avendo riscontro in una precedente bigenitorialità naturale, il più
delle volte è destinato a rimanere lettera morta.
In proposito vale la pena di rilevare che gli ultimi dati Istat confermano la tradizionale ripartizione dei ruoli nella coppia. Nel 2008-2009 il 76,2% del lavoro familiare delle coppie risulta ancora a
carico delle donne, ciò comporta che ancora oggi il maggior peso nella cura dei figli viene sopportato dalle madri25 e la situazione resta evidentemente la medesima anche dopo la separazione.
5.2 Affido condiviso e oneri di mantenimento
Con riferimento agli oneri economici di mantenimento dei figli, la Cassazione ha precisato che l’affidamento condiviso non fa venir meno l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire,
con la corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di
vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza, e ha escluso che l’istituto stesso
implichi, come conseguenza “automatica”, che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto e autonomo, alle predette esigenze26.
La pratica dei processi ha dimostrato che i cinque parametri di riferimento così puntualmente indicati nell’art. 155, quarto comma, c.c., non hanno aiutato più di tanto i giudici a liquidare assegni
di mantenimento in misura “obiettivamente” più “giusta” in relazione al singolo caso concreto, sicché permangono le disparità nella liquidazione degli assegni denunciate nel corso degli ultimi anni
nell’ambito di più sedi.
25 Istat, La divisione dei ruoli nelle coppie, in www.istat.it. Statistiche in breve. Periodo di riferimento: Anni 2008-2009. Diffuso
il 10 novembre 2010: “Nel 2008-2009 il 76,2% del lavoro familiare delle coppie è ancora a carico delle donne, valore di poco più
basso di quello registrato nel 2002-2003 (77,6%).
Persiste dunque una forte disuguaglianza di genere nella divisione del carico di lavoro familiare tra i partner. L’asimmetria nella divisione del lavoro familiare è trasversale a tutto il Paese, anche se nel Nord raggiunge sempre livelli più bassi.
Le differenze territoriali sono più marcate nelle coppie in cui lei non lavora. L’indice assume valori inferiori al 70% solo nelle coppie settentrionali in cui lei lavora e non ci sono figli, e nelle coppie in cui la donna è una lavoratrice laureata (67,6%)”.
26 Cass. n. 18187/2006: “L’affidamento congiunto dei figli ad entrambi i genitori – previsto dall’art. 6 della legge sul divorzio (1
dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall’art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74), analogicamente applicabile anche alla separazione personale dei coniugi – è istituto che, in quanto fondato sull’esclusivo interesse del minore, non fa venir meno l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza, rimanendo per converso escluso che
l’istituto stesso implichi, come conseguenza ‘automatica’, che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo
diretto e autonomo, alle predette esigenze. (Nell’enunciare il principio in massima, la S.C. ha rilevato come esso trovi conferma
nelle nuove previsioni della legge 8 febbraio 2006, n. 54, in tema di affidamento condiviso, peraltro successiva alla sentenza impugnata)”.
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FOCUS
Si è detto27 che i giudici riducono quei criteri a clausole di stile e che in definitiva si giudica secondo il proprio “sentire”. Personalmente ho sempre ritenuto – e l’ho ripetuto in questa relazione – che
è vero che c’è il rischio che il giudice sovrapponga, anche inconsapevolmente, la propria visione
della vita e della gestione dei rapporti familiari alla ratio legis delle norme in materia, e che liquidi l’assegno a “sentimento”. Tuttavia, va considerato che le parti incontrano un’oggettiva difficoltà
nel dimostrare quali somme sono necessarie per il mantenimento dei figli. Si pensi, ad esempio, al
denaro speso per le forniture di luce, gas, telefono, per il vitto eccetera, che riguardano bisogni
soddisfatti cumulativamente anche per gli altri componenti della famiglia.
Tali difficoltà si trasferiscono sul giudice al momento della liquidazione dell’assegno, quando si devono tradurre in un determinato importo monetario i concetti astratti di “tenore di vita goduto dal
figlio” o di “valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.
In caso di affidamento condiviso risulta addirittura aggravato l’onere probatorio delle parti, dovendosi dimostrare – e anche questo è oggettivamente difficile – non solo quanto costava il figlio quando la famiglia era unita, ma anche quali sono le sue “attuali esigenze”, nonché l’incidenza del “tempo di permanenza” e dei “compiti domestici e di cura” assunti in concreto da ciascun genitore.
Al fine di liquidare un più congruo assegno di mantenimento può essere utile accertare, ad esempio, se dei figli si occupa una babysitter o anche parenti e terze persone; se alla cura della casa
provveda una collaboratrice domestica; e se ciò sia reso necessario dagli impegni lavorativi del padre o della madre, ovvero se sia espressione di una ingiustificata delega ad altri delle responsabilità genitoriali.
In definitiva, ritengo che occorre una paziente ricostruzione del concreto regime di vita della singola famiglia di cui di volta in volta ci occupiamo e che difficilmente l’attività dell’avvocato e del giudice potrà essere sostituita da fogli di calcolo elettronici dai quali,“inseriti certi dati”, si possa ottenere
“un risultato giusto”.
Si possono elaborare criteri di massima da tenere presenti nella liquidazione degli assegni di mantenimento, ma sarà sempre necessario adattare il risultato considerando le specificità del caso concreto.
Comunque, anche per i costi affrontati per il mantenimento dei figli riterrei utile allegare agli atti
un prospetto riassuntivo dei dati rilevanti per la liquidazione, di cui propongo un modello.
Prospetto riassuntivo C
FIGLIA
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
COSTI ANNUALI
ISTRUZIONE
SALUTE
ALIMENTAZIONE
ABBIGLIAMENTO
MEZZI TRASPORTO
SPORT
SVAGHI
VIAGGI
TOTALE
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27 Nell’articolo Bernardini de Pace, Simeone, È il momento dei tribunali specializzati, in “Il Sole 24 Ore”, 20 ottobre 2008, n.
290, 11, ci si lamenta del fatto che: “... molti Giudici riducono il criteri dell’art. 155 del Codice Civile a mere clausole di stile, le
disattendono come fanno anche per altri princìpi, alla fine l’ammontare dell’assegno finisce per essere l’espressione delle convinzioni del magistrato, invece che l’applicazione della legge”.
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6. Poteri officiosi del giudice
Per una più ampia disamina delle problematiche di cui ci stiamo occupando richiamo quanto ho
già scritto in altra sede28.
Qui, in sintesi, voglio ricordare che il potere istruttorio del giudice della famiglia in crisi si desume
dall’art. 5, nono comma, l.div. – dettato con riferimento ai coniugi che divorziano, ma che pacificamente si applica anche ai coniugi che si separano (vedi tra le tante Cass. n. 10344/2005) – e ora,
per quanto riguarda i figli, dall’art. 155, sesto comma, c.c. e dall’art. 155 sexies c.c. nell’attuale formulazione di cui alla l. n. 54/200629.
Il giudice della separazione e del divorzio ha pienezza dei poteri officiosi in relazione ai provvedimenti da adottare in favore dei figli, atteso che è tenuto a regolare la loro complessiva situazione di vita da ogni punto di vista, compreso quello economico.
Invece, con riferimento al coniuge economicamente debole si ritiene dai più che, nella materia dei
processi di separazione e di divorzio, vigendo pur sempre il principio dispositivo, il coniuge richiedente l’assegno sia obbligato a provare i fatti posti a fondamento della domanda (art. 115 c.p.c.),
mentre il potere officioso del giudice sarebbe solo sussidiario.
In ogni caso, vorrei sottolineare che tale potere, sia pure sussidiario, è espressione dell’intenzione
del legislatore di fare in modo che nel processo di separazione e di divorzio si arrivi, al di là delle capacità o delle possibilità probatorie delle parti, all’accertamento della verità reale. E in questa
ricerca svolge un ruolo importante innanzitutto l’obbligo di collaborazione dei coniugi, che implica
il loro dovere di mettere a disposizione dell’ufficio tutti gli elementi di valutazione della loro complessiva situazione economica (ai sensi dell’art. 5 l.div.: “... la dichiarazione personale dei redditi e
ogni documentazione relativa ai loro redditi ed al loro patrimonio personale e comune...”).
I coniugi hanno perciò un dovere di verità che, ove maliziosamente disatteso, deve essere valutato come comportamento rilevante per desumerne argomenti di prova e per fondare il convincimento del giudice. Ma, in seconda battuta, nella ricerca della verità materiale svolge un ruolo fondamentale anche il potere officioso del giudice, che gli viene attribuito per finalità di natura pubblicistica30.
Pur rilevando che nella pratica si registra una scarsa propensione dei giudici di merito a esercitare i poteri istruttori che il legislatore offre loro, deve precisarsi che, a parte le indagini di Polizia
tributaria, il giudice può disporre d’ufficio gli stessi mezzi di prova che possono dedurre le parti (salvo il giuramento decisorio), rispettando tuttavia i limiti del codice civile, diversamente da quanto
espressamente previsto dall’art. 421 c.p.c.
La previsione del dovere di indagare a tutto campo, contenuta nel citato art. 5, nono comma, appare, infatti, comprensiva della possibilità di ricorrere a ogni mezzo di prova ritenuto rilevante e
28 Buttiglione, Assegni di mantenimento del coniuge e dei figli. Assegno di divorzio. Poteri istruttori d’ufficio. Indagini tributarie. Istruzioni per l’uso, in Mariani, Passagnoli, a cura di, Diritti e tutele nella crisi familiare, Padova, 2007, 31-94. Ne riporto il
sommario: 1. Il viaggio dell’A.N.M. e del C.S.M. nei processi di separazione e di divorzio. – 2. La famiglia nel disegno del legislatore. – 3. La famiglia e il giudice oggi. – 4. Le prassi relative alle questioni patrimoniali. – 5. I criteri legali di determinazione degli
assegni di mantenimento e di divorzio. – 6. Poteri istruttori d’ufficio nell’accertamento della capacità reddituale e patrimoniale
dei coniugi. Mezzi di prova disposti dal giudice. Ordini di esibizione. – 7. Capacità reddituale e patrimoniale, la lettura delle dichiarazioni dei redditi. Studi di settore – 8. Indagini a mezzo della polizia tributaria. – 9. Anagrafe dei Conti Correnti e dei Depositi. Potenziamento delle attività di indagine della Guardia di Finanzia. Indagini sulle gestioni fiduciarie. – 10. Istruzioni per
l’uso. Modelli di provvedimenti. Prospetto delle disponibilità economiche e delle spese dei coniugi. – 11. Conclusioni.
29 Ai sensi dell’art. 155 c.c. precedente la novella n. 54/2006, si riteneva che il giudice dovesse decidere nell’interesse dei figli
anche in mancanza di specifiche istanze da parte dei genitori e in contrasto con i loro accordi, adottando i provvedimenti opportuni “dopo l’assunzione di mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti d’ufficio dal giudice” e che potesse disporre nel loro interesse anche accertamenti a mezzo della Polizia tributaria. La lettera degli artt. 155, settimo comma, c.c. e sesto e nono comma,
l.div., si riteneva di così ampia formulazione da comprendere tutti i mezzi di prova consentiti dalle norme.
30 Cass. n. 7435/2002: “Nel sistema delineato dalla legge sul divorzio, la norma che dispone che i coniugi presentino, all’udienza di comparizione davanti al presidente del tribunale, la dichiarazione dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune pone una deroga al principio sull’onere della prova, imponendo ad entrambi i soggetti interessati un obbligo di collaborazione nella formazione della prova stessa ed attribuendo al giudice, ove sorgano contestazioni, poteri di accertamento d’ufficio”. Vedi Cass. n. 6087/1996 sulla natura pubblicistica del potere officioso.
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necessario, essendosi fatto riferimento, solo a titolo di esempio, alle indagini a mezzo della Polizia
tributaria, come denunciato dall’inciso “anche”.
I coniugi, dunque, forniscono dati di indagine, piste probatorie che il giudice può e deve autonomamente percorrere per arrivare alla verità. Nell’esercizio di tali poteri istruttori non trova neppure l’ostacolo delle eventuali preclusioni già maturate per le parti, atteso che il rito della separazione e del divorzio non soffre le preclusioni e le decadenze previste per il giudizio di cognizione ordinaria laddove debba prendersi in considerazione il fatto nuovo verificatosi successivamente al
termine di decadenza. E ciò costituisce un riflesso del principio della valenza di giudicato rebus sic
stantibus che caratterizza le decisioni accessorie a quelle sullo status, adottate dal giudice della separazione e del divorzio.
Pertanto, nell’esercizio dei suoi poteri ex officio, il giudice potrà: assumere informazioni presso terzi; articolare una prova per testi, ovviamente quando dagli atti risultino le circostanze di fatto rilevanti e le fonti di conoscenza; disporre un interrogatorio formale su fatti rilevanti per l’accertamento delle condizioni economiche; dedurre un giuramento suppletorio, disporre ispezioni. Inoltre, il
giudice potrà anche emettere ordini di esibizione ex art. 210 c.p.c. “sua sponte”, proprio considerato che l’art. 5, nono comma, l.div. “deroga ai princìpi generali in materia di onere probatorio e di
esibizione delle prove” (Cass. n. 3529/1992 in motivazione).
Il giudice può emettere l’ordine di esibizione anche nei confronti di terzi. Per esempio può ordinare agli istituti di credito di esibire gli estratti del conto corrente intrattenuto dal coniuge con la
banca, o gli estratti delle carte di credito, senza che possa essere opposto il segreto bancario31.
Giova ribadire che, secondo la Cassazione32, il giudice, facendo uso della regola dettata dall’art. 116
c.p.c., può “desumere argomenti di prova... in generale da contegno delle parti stesse nel processo”.
Sicché un contegno inottemperante dell’obbligo di esibizione tenuto dalle parti – a fronte del dovere di lealtà e probità previsto in generale dall’art. 88 c.p.c. e del particolare dovere di collaborazione e in definitiva di verità previsto dall’art. 5, nono comma, l.div. – può indubbiamente costituire un serio argomento per dare credito alla versione della controparte che del contenuto di quei
documenti non esibiti poteva giovarsi ai fini della prova della fondatezza delle sue istanze.
Non mi pare che sia una buona ragione per respingere la richiesta delle parti di un ordine di esibizione il preteso eventuale carattere esplorativo dello stesso, argomentando dal dettato dell’art. 94
disp. att. c.p.c.33.
Tale conclusione non si può condividere se si considera che nei processi di separazione e di divorzio il fine, come ripetuto più volte, è quello dell’accertamento della verità reale circa le posizioni economiche delle parti e non semplicemente quello della specifica prova del fatto contenuta in
un documento. D’altronde è principio giurisprudenziale consolidato che il giudice non può non
ammettere i mezzi di prova dedotti dal coniuge ritenendone genericamente il carattere esplorativo, perché “tale carattere è insito nella richiesta di indagini” e perché è sufficiente l’avere in qualche modo delimitato e precisato l’ambito della richiesta in senso oggettivo e soggettivo34.
31 Cass. n. 7953/1990: “L’ordine di esibizione di un documento alla parte o ad un terzo a norma dell’art. 210 c.p.c. costituisce
una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito (cass. 8-6-82 n. 3465); così come è riservato
alla sua insindacabile valutazione l’accertamento del necessario requisito dell’indispensabilità di esso (cass. 23-1-78, n. 292). Inconsistente è peraltro la censura di violazione del segreto bancario, atteso che unico limite opponibile al provvedimento del giudice che ordini alla banca, come parte o come terzo, l’esibizione in giudizio di un documento o di altre cose di cui ritenga necessaria l’acquisizione è quello che l’art. 118 c.p.c. – che l’art. 210 c.p.c. espressamente richiama – pone per l’ispezione di esse, costituito (per quanto più rileva) dall’esigenza di non costringere la parte ed il terzo a violare uno dei segreti previsti dagli artt. 351
e 352 c.p.p. (tra i quali non è ricompreso il segreto bancario)”.
32 Cass. n. 3822/1995: “L’obbligo del giudice di verificare d’ufficio la presenza degli elementi costitutivi o dei requisiti di fondatezza della domanda non esclude che la prova di questi possa essere tratta dal comportamento processuale o extraprocessuale
delle parti, che può costituire non solo elemento di valutazione delle risultanze acquisite ma anche unica e sufficiente fonte di
prova”.
33 Art. 94 disp. att. c.p.c.: “L’istanza di esibizione di un documento o di una cosa in possesso di una parte o di un terzo, deve
contenere la specifica indicazione del documento o della cosa e, quando necessario, l’offerta della prova che la parte o il terzo li
possiede”.
34 Cass. n. 6087/1996 in motivazione.
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In tal senso può ritenersi fondata la richiesta di ordinare ai principali istituti di credito della città di
residenza delle parti di esibire gli estratti conto delle carte di credito e ogni altra documentazione
relativa alla posizione del cliente, senza necessità di fornire più specifiche indicazioni, bastando la
deduzione della parte che l’altra era titolare di un conto corrente e/o di carte di credito e, volendosi proprio indagare sul dato ignoto della reale capacità economica del coniuge tenuto a pagare
l’assegno, desumibile alla stregua dei risultati concreti di quell’indagine.
7. Poteri del giudice e indagini fiscali
L’art. 5, nono comma, l.div. – che come già detto si applica anche ai processi di separazione – dispone: “I coniugi devono presentare all’udienza di comparizione davanti al Presidente del Tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi ed al loro
patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il Tribunale dispone indagini sui redditi e
sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”35.
Prima dell’entrata in vigore della l. n. 54/06 si riteneva che l’art. 5, nono comma, l.div. si applicasse per identità di ratio anche nel processo relativo agli assegni di mantenimento per i figli36.
Ora la materia ha un’autonoma disciplina nell’art. 155, sesto comma, c.c. nel testo di cui alla novella del 200637 che dispone: “Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non
risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria
sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi”.
Solo accennando ai problemi che si sono posti all’attenzione dei commentatori delle nuove nor-
35 L’art. 706, terzo comma, ultima parte, c.p.c. prevede che: “Al ricorso e alla memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi”; e l’art. 4, sesto comma, l.div. con diversa formula, che: “Al ricorso e alla prima memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi rispettivamente presentate”.
36 Cass. n. 6087/1996 e n. 8417/2000.
37 Art. 155 c.c. - Provvedimenti riguardo ai figli
[1] Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli
ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
[2] Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i
provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la
possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i
tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve
contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli,
degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.
[3] La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.
[4] Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare
il principio di proporzionalità, da determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio;
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
4) le risorse economiche di entrambi i genitori;
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
[5] L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.
[6] Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi”.
Art. 155 sexies - Poteri del giudice e ascolto del minore. “Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui
all’articolo 155, il giudice può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del
figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento”.
L. 8 febbraio 2006 n. 54, art. 4 (Disposizioni finali), secondo comma. “Le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori
non coniugati”.
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me, ritengo che l’art 5 l.div. non sia stato abrogato, che sia ancora in vigore con riferimento alla
posizione dei coniugi e che sia sempre necessaria una contestazione38 “supportata da sufficienti elementi di ragionevolezza”39.
D’altra parte, con riferimento all’art. 155 c.c. riguardante i figli, il potere officioso resta ampio, sicché il giudice può disporre “accertamenti” della Polizia tributaria (cosa diversa dalle verifiche fiscali vere e proprie, come dirò infra) che riguardano anche il tenore di vita dei genitori, seppure non
espressamente menzionato.
L’esercizio del potere di disporre “indagini” o “accertamenti” rientra nella discrezionalità del giudice. Tuttavia, il giudice non può rigettare le richieste del coniuge debole di un assegno dell’importo richiesto, sotto il profilo della mancata dimostrazione degli assunti sui quali la richiesta era basata, senza avere prima disposto indagini d’ufficio.
Più recentemente la Cassazione ha precisato che ove il giudice ritenga “aliunde” raggiunta la prova dell’insussistenza dei presupposti che condizionano il riconoscimento dell’assegno di divorzio,
può direttamente procedere al rigetto della relativa istanza, anche senza aver prima disposto accertamenti d’ufficio attraverso la Polizia tributaria40.
Appare opportuno aggiungere che anche quando il giudice non ritenga di dover disporre indagini, perché per ipotesi non necessarie ai fini della decisione – in quanto già dimostrato in causa un
reddito del coniuge forte sufficiente per poter accogliere le richieste di assegno di mantenimento
dell’altro – egli, tuttavia, in presenza di una situazione anomala, ha il dovere di segnalazione al Comando della Guardia di Finanza competente in ragione del domicilio fiscale del coniuge ex art. 19,
primo comma, lett. D), l. n. 413/1991 che ha modificato l’art. 36 d.p.r. 29 novembre 1973, n. 600.
E le parti possono sollecitarlo in tal senso.
38 Cass. n. 9756/1996: “In tema di assegno di divorzio, il potere concesso al tribunale di disporre indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita dei coniugi, valendosi, se del caso, della polizia tributaria (art. 5, ottavo comma, della legge n.
898 del 1970, nel testo di cui alla legge n. 74 del 1987) è subordinato alla disponibilità delle parti, ossia alla contestazione mossa da un coniuge circa la sufficienza e la veridicità, ai fini della decisione, della documentazione depositata dall’altro coniuge.
Ne consegue che l’acquiescenza della parte interessata, che non contesti le risultanze e la completezza di detta documentazione,
preclude alla medesima di dedurre in sede d’impugnazione il mancato uso di tali poteri da parte del tribunale e, in caso di contestazione, ove il giudice non faccia uso di essi, incombe sulla parte l’onere di dedurre in sede d’impugnazione l’uso mancato, insistendo per il suo esercizio”.
39 Sulle tematiche in esame: Fanticini, Accertamento delle potenzialità economiche delle parti, anche a mezzo della Polizia Tributaria, relazione tenuta al convegno “Responsabilità genitoriale e affidamento dei figli. Regole e prospettive dopo la Legge n.
54/2006”, Reggio Emilia, 6 maggio 2006. È consultabile all’indirizzo http://www.forumdonnegiuriste.it/convegno/FANTICINI%20Accertamenti%20polizia%20tributaria.pdf
40 Ex plurimis Cass. n. 10344/2005: “L’esercizio di tale potere..., che costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della
prova, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, e non può essere considerato anche come un dovere imposto sulla base
della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche; tale discrezionalità, tuttavia, incontra un limite nella circostanza che il giudice, potendosi avvalere di siffatto potere, non può rigettare le istanze delle parti relative
al riconoscimento e alla determinazione dell’assegno sotto il profilo della mancata dimostrazione degli assunti sui quali si fondano, giacché in tal caso il giudice ha l’obbligo di disporre accertamenti d’ufficio (avvalendosi anche della polizia tributaria)”.
Cass. n. 6575/2008: “In tema di determinazione dell’assegno di mantenimento, l’esercizio del potere di disporre indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, che costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova, rientra nella discrezionalità del giudice di merito; l’eventuale omissione di motivazione sul diniego di esercizio del relativo potere, pertanto, non
è censurabile in sede di legittimità, ove, sia pure per implicito, tale diniego sia logicamente correlabile ad una valutazione sulla
superfluità dell’iniziativa per ritenuta sufficienza dei dati istruttori acquisiti”.
Cass. n. 9861/2006: “In tema di divorzio, il giudice del merito, ove ritenga ‘aliunde’ raggiunta la prova dell’insussistenza dei presupposti che condizionano il riconoscimento dell’assegno di divorzio, può direttamente procedere al rigetto della relativa istanza, anche senza aver prima disposto accertamenti d’ufficio attraverso la polizia tributaria, atteso che l’esercizio del potere officioso di disporre, per il detto tramite, indagini sui redditi e sui patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita rientra nella
discrezionalità del giudice del merito e non può essere considerato come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche”. (Richiamata anche dalla Cass. n. 12308/2007).
Cass. n. 11059/2001: “In tema di assegno di divorzio, l’art. 5 della legge n. 898 del 1970, che fa carico al tribunale di disporre indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, in caso di contestazioni, non impone un adempimento dettato a pena di nullità ma si traduce in una deroga alle regole generali sull’onere della prova, nel senso che la domanda di corresponsione
dell’assegno non può essere respinta per la mancata dimostrazione da parte dell’istante delle condizioni economiche dell’altro coniuge; conseguentemente, il giudice può avvalersi di tutti gli elementi di prova ritualmente acquisiti, può far uso di presunzioni e
ricorrere a nozioni di comune esperienza per l’accertamento delle condizioni economiche delle parti e non è tenuto ad ammettere o disporre ulteriori mezzi di prova quando ricorrano elementi sufficienti per la formazione del suo convincimento, che si sottrae a censura in sede di legittimità quando sia logicamente e congruamente motivato”.
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8. Indagini a mezzo della Polizia tributaria
8.1 Natura dell’attività di indagine della Polizia tributaria
Anche per tali questioni, e per coloro che volessero approfondire, rimando alla più ampia indagine, condotta in altra sede, che qui sintetizzo41.
La dottrina e la giurisprudenza si sono soffermate poco su tali aspetti, che attengono a specifici
profili squisitamente fiscali e che spesso non fanno parte del patrimonio di conoscenze dei giudici e degli avvocati che si occupano di processi di separazione e di divorzio; circostanza che concorre a determinare il non frequente ricorso alle indagini e che, anche quando vengono disposte,
determina la scarsa utilità di molte risposte e risultati deludenti42.
Quanto alla natura delle indagini in esame, si possono individuare due tesi contrapposte:
1. è un’attività di tipo amministrativo che rientra, una volta attivata dal giudice, tra quelle tipiche
della Polizia tributaria;
2. l’attività svolta ex art. 5, nono comma, l.div. rientra nell’area dell’attività giurisdizionale “delegata” dal giudice della separazione e del divorzio ed è caratterizzata dal solo esercizio di poteri
che sono propri del “delegante”, con la precisazione che il potere di disporre una verifica fiscale non appartiene al giudice.
In relazione a tali differenti impostazioni, mentre nell’ipotesi sub 1) si ritiene ammissibile che la Polizia tributaria, una volta incaricata di indagini, possa procedere a una verifica fiscale vera e propria, nell’ipotesi sub 2) lo si è escluso perché oggetto della delega deve necessariamente essere un
potere che il delegante è legittimato a esercitare.
Per verifica fiscale deve intendersi quella particolare procedura di controllo istituzionale e di natura esclusivamente amministrativa che “consiste nell’esercizio di una serie di poteri espressamente previsti dalla legge allo scopo di stabilire se un determinato soggetto di imposta abbia adempiuto a tutti gli obblighi formali e sostanziali che scaturiscono dal rapporto giuridico di imposta in materia di
imposizione diretta e indiretta”43. Costituisce la fase preparatoria del procedimento di “accertamento tributario” che tende alla rettifica della dichiarazione dei redditi, alla liquidazione dell’imposta e all’applicazione delle sanzioni.
Culmina con l’avviso di accertamento con il quale gli uffici finanziari richiedono al contribuente
evasore una somma a titolo di imposta e di sanzioni.
I poteri esercitati nella “verifica fiscale” sono disciplinati dagli artt. 32 e 33 del d.p.r. n. 600/1973 e
dagli artt. 51 e 52 del d.p.r. n. 633/1972; consistono, in linea di massima, in poteri di accesso e di
ispezione presso i locali dove si esercita la professione o l’attività imprenditoriale, per la ricerca e
l’esame della documentazione contabile e, successivamente, per il raffronto tra quanto dichiarato
al fisco e la reale posizione economico-finanziaria che emerge dalla realtà contabile. In particolare, va ricordata la possibilità di accesso, previe adeguate autorizzazioni, anche nei locali adibiti ad
abitazione e altresì in altri luoghi individuati dalle norme citate; di perquisizioni personali; di apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti eccetera.
Approfondendo quanto già accennato, deve rilevarsi che secondo alcuni autori44 i poteri e i limiti
dell’azione che la Polizia tributaria e l’Amministrazione finanziaria più in generale svolgono per
conto del giudice della separazione e del divorzio rientrano nella normale attività di istituto e di pro-
41 Vedi nota 39.
42 Costantini, Costantini, Le indagini della polizia tributaria nei procedimenti di divorzio e di separazione personale, in il fisco,
23/98, 7662 ss.; Pezzuto, Le indagini reddituali e patrimoniali della “polizia tributaria” nei procedimenti di separazione e di divorzio, in il fisco, 17/2003, fasc. 1, 7344 ss.; Fortuna, Le attività delegabili alla polizia tributaria da parte del giudice civile nell’ambito delle cause per lo scioglimento del matrimonio, in Rivista della Guardia di Finanza, 4/1995, 1027 ss.
43 Maraccio, Verifiche fiscali della Guardia di Finanza, in Il ragioniere professionista, 3/1994, 28.
44 Costantini, Costantini, Le indagini della polizia tributaria cit.
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cedimento amministrativo. Pertanto nel corso delle indagini l’attività di controllo potrà riguardare
ogni tipo di rapporto o fatto fiscalmente rilevante posto in atto da ciascuno dei coniugi, quali, a titolo esemplificativo, denunce dei redditi e Iva, atti di vendita e di acquisto, contratti soggetti a registrazione, denunce di successione, proprietà immobiliari accatastate e non, contabilità di impresa e contabilità privata. In sostanza, gli ufficiali, gli agenti della Polizia tributaria e gli Uffici finanziari potrebbero “autonomamente”, anche senza specifica delega del giudice, utilizzare tutti i mezzi
istruttori a loro disposizione. In particolare, la Polizia tributaria potrebbe esercitare i poteri di verifica e di indagine bancaria, raccogliendo alla fine i risultati in un rapporto-verbale da trasmettere al
giudice della separazione o del divorzio.
Secondo altri autori45, invece, la richiesta di indagini da parte del giudice ex art. 5, nono comma,
l.div., va inquadrata nell’ambito della “delega” e rientra, pertanto, nell’area dell’attività giurisdizionale in quanto il delegante può solo delegare l’atto che è legittimato a fare in proprio. Ne consegue che l’attività delegata alla Polizia tributaria non è un’attività di tipo amministrativo da annoverare tra le attività tipiche degli organi delegati una volta attivata e che il giudice non può richiedere di svolgere “verifiche fiscali”, ovvero “controlli o ispezioni fiscali” tipicamente detti.
Si ritiene, così, che con l’art. 5, nono comma, l. div., il “legislatore abbia inteso sostenere che il giudice debba, a richiesta di parte, effettuare delle indagini secondo le proprie consuete attribuzioni, avvalendosi degli organi cui tipicamente si rivolge nell’ambito delle proprie funzioni, quali consulenti
tecnici ed ausiliari”46, “se del caso avvalendosi anche della polizia tributaria” nelle ipotesi in cui occorre “una particolare professionalità proprio nel settore oggetto di approfondimento”.
Nelle due diverse posizioni si riflettono, nel primo caso, le aspirazioni dei difensori dei coniugi che
contestano le risultanze documentali, interessati a vere e proprie verifiche fiscali e, nel secondo caso, le preoccupazioni degli ufficiali della Guardia di Finanza di contenere al massimo l’ambito delle indagini e lo stesso ricorso da parte del giudice alla collaborazione del Corpo solo dopo l’infruttuosa utilizzazione, diretta o tramite ctu, dei suoi poteri istruttori.
Chi esclude che il giudice possa avvalersi della Polizia tributaria per verifiche fiscali, assume che il
suo potere dispositivo debba esercitarsi attraverso la richiesta di “specifiche indagini” utili e necessarie per verificare la fondatezza delle contestazioni delle risultanze fiscali prodotte in causa dal coniuge. È solo in tal caso che la Polizia tributaria avrebbe un dovere di esecuzione e di relazione al
termine delle stesse.
8.2 Oggetto delle indagini delegabili
Si può convenire sull’esattezza delle premesse che portano all’esclusione della possibilità di chiedere alla Polizia tributaria una verifica fiscale vera e propria, che è strutturata per consentire l’accertamento di evasioni contributive, osservando peraltro che un’indagine in tali termini neppure interessa al giudice della separazione e del divorzio il cui più limitato obiettivo è di accertare se i redditi e i patrimoni del coniuge oggetto di indagini, contrariamente a quanto appare in causa e secondo la contestazione del coniuge debole, sono sufficientemente capienti per assicurare a quest’ultimo il giusto assegno di mantenimento o di divorzio.
Ulteriori approfondimenti sarebbero ultronei perché, come già detto al paragrafo 3.1., non interessa determinare l’esatto ammontare dei redditi dei coniugi, ma si deve anche rilevare come non si
possa ridurre la collaborazione della Polizia tributaria alle sole attività che il giudice istruttore o il suo
consulente tecnico potrebbero autonomamente esperire. Come acutamente sottolineato, in tal mo-
45 Pezzuto, Le indagini reddituali e patrimoniali cit., 7346-7347; Fortuna, Le attività delegabili alla polizia tributaria cit., 10321035.
46 Artt. 118, 210, 213, 258, 261, 262 c.p.c.; artt. 194, 198 c.p.c. per nomina di un consulente tecnico che svolga indagini ed esamini documenti contabili e registri, con autorizzazione a chiedere chiarimenti alle parti, assumere informazioni da terzi eccetera;
artt. 61-68 c.p.c. per il ricorso a un consulente ovvero ad altri ausiliari nominati dal giudice civile per farsi assistere da esperti in
arti o professioni, o da persone idonee al compimento di atti che non è in grado di compiere da solo.
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do si avrebbe il totale svuotamento dello strumento di indagine apprestato dal legislatore del 1987
proprio per superare talune difficoltà istruttorie, riscontrate in precedenza, a favore dell’accertamento della verità reale sulle condizioni economiche delle parti.
In tale ottica di possibilità di più incisive indagini viene letta, in particolare, l’opzione legislativa di
delegare alla Polizia tributaria anche l’accertamento del tenore di vita dei coniugi che, ben raramente, può delinearsi con sufficiente certezza attraverso produzioni documentali o prove testimoniali. Si
ritiene così che il legislatore non abbia voluto introdurre una specie di consulenza tecnica demandata alla Guardia di Finanza ma abbia invece voluto “autorizzare il superamento dei limiti di un rigido contraddittorio e fornire il giudice, nell’ambito della sempre più delicata dinamica delle relazioni familiari, di poteri assai più incisivi e penetranti, aiutandolo a giungere, grazie alla collaborazione di funzionari dotati di specifica preparazione, con sollecitudine e garanzie di assoluta imparzialità, ad una riscontrabile ricostruzione della effettività reddituale e patrimoniale dei contendenti”47.
Ma anche i fautori di quella che sembra la tesi più riduttiva del potere del giudice della separazione e del divorzio riconoscono che possa disporre “indagini sui redditi, patrimoni e sull’effettivo tenore di vita”, chiedendo alla Polizia tributaria una serie di attività, certamente rilevanti per accertare la complessiva situazione economica del coniuge oggetto di indagine.
In particolare, è stato ritenuto48 che il giudice possa richiedere alla polizia giudiziaria:
• l’acquisizione di dati già in possesso della Guardia di Finanza contenuti negli schedari dei singoli
comandi o che possono essere acquisiti “a tavolino” consultando le banche dati dell’Anagrafe Tributaria, delle Camere di Commercio, del PRA, dell’Agenzia del Territorio...;
• l’acquisizione di atti e informazioni presso terzi con delega alla Guardia di Finanza di attivarsi ex
artt. 210 e 213 c.p.c.;
• la verifica del “tenore di vita”, ovvero di profili meno visibili della situazione reddituale e patrimoniale del soggetto che si riflettono più direttamente sul suo tenore di vita (iscrizione a circoli esclusivi, frequenza di viaggi, disponibilità di natanti, cavalli da corsa, aeromobili privati da
turismo, collaboratori domestici, cambio di costose autovetture eccetera);
• indagini bancarie “mirate” (e finanziarie in senso ampio potendo riguardare “operatori finanziari” che spesso sono proprio quelli che gestiscono i patrimoni più cospicui, come avviene per
l’attività di private banking offerta dagli enti creditizi o da loro controllate o collegate con soglie di accesso molto alte) per individuare anche le “posizioni occulte” che fanno transitare i
pagamenti in nero, magari gestiti per il tramite di un prestanome;
• indagini finanziarie a tappeto su tutto il territorio nazionale, sul presupposto che riguardino situazioni particolari e che il giudice le disponga con un provvedimento specifico e motivato che
la Polizia tributaria dovrà notificare alle banche e agli altri intermediari;
• la valutazione degli elementi acquisiti da parte della Polizia tributaria quando è necessario disporre di cognizioni tecniche specialistiche, caso in cui svolgerebbe un’attività di consulenza, pur
senza poter effettuare delle proiezioni sui redditi in base a degli indicatori, non potendo formulare ipotesi (quanto guadagna uno che ha una Ferrari o un attico prestigioso o quanto frutta
uno studio dentistico...). Infatti la Guardia di Finanza raccoglie indicatori sui quali dovrà esprimersi il giudice, che apprezzerà gli elementi individuati e stabilirà l’assegno.
47 Servetti, Gli aspetti patrimoniali nella separazione e nel divorzio, intervento al corso di formazione e aggiornamento professionale sul diritto di famiglia organizzato da AIAF Sicilia, Messina, 1 aprile 2005.
48 In proposito occorre ricordare che il tenore di vita può emergere anche sulla base del cosiddetto “accertamento sintetico” ex
art. 38, quarto comma e ss., d.p.r. n. 600/1973 che consentono di contestare maggiori redditi imponibili non sulla base delle sole entrate, ma sulla base delle spese sostenute in un dato periodo di tempo.
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FOCUS
8.3 Soggetti ai quali può essere delegata l’attività di indagine
In relazione all’individuazione dei soggetti ai quali il giudice può delegare l’attività di indagine o di
accertamento, il generico riferimento contenuto nell’art. 5, nono comma, l.div. “anche” alla Polizia
tributaria (“... il tribunale dispone indagini… avvalendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”) – e ora nell’art. 155 c.c. (“... il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria...”) –
è stato sempre inteso dai giudici nel senso che può essere delegata non solo la Guardia di Finanza, ma anche altri organi che per legge svolgono funzioni di Polizia tributaria, secondo la qualifica funzionale definita dall’art. 31 della l. 7 gennaio 1929 n. 4. Il giudice può perciò delegare le indagini non solo alla Guardia di Finanza (ufficiali e agenti di Polizia tributaria), ma anche agli Uffici
finanziari dell’amministrazione civile (funzionari addetti).
Sembra utile ricordare in proposito che la Guardia di Finanza è un corpo a se stante delle forze
militarmente organizzate, dipendente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. È un organo di
Polizia giudiziaria e tributaria oltre che di pubblica sicurezza. Svolge le funzioni di polizia economica e finanziaria a tutela del bilancio pubblico delle Regioni, degli Enti locali e dell’Unione europea con compiti di prevenzione, ricerca e repressione delle violazioni in materia tributaria, nel cui
ambito può chiedere la collaborazione degli Uffici finanziari-Agenzia delle Entrate.
Nella prassi, poi, specifiche attività di indagine vengono spesso richieste dal giudice della separazione anche all’Arma dei Carabinieri, alla Polizia di Stato o direttamente a professionisti esperti – dottori commercialisti – nominati come consulenti e autorizzati a richiedere al coniuge del
cui patrimonio si indaga di mettere a disposizione la documentazione contabile tributaria e patrimoniale utile per l’accertamento e la valutazione della complessiva situazione economica dello stesso.
9. Indagini bancarie
Si può dire che costituisca diritto vivente l’orientamento concorde dei giudici di merito di interpretare le norme in esame nel senso del potere del giudice della separazione e del divorzio di chiedere alla Polizia tributaria di svolgere accertamenti bancari.
La stessa Cassazione ha enunciato il principio secondo cui è obbligatorio per il giudice, con i limiti di cui si è già detto, “... in caso di specifica contestazione della parte, effettuare i dovuti approfondimenti – anche, se del caso, attraverso indagini di polizia tributaria – rivolti ad un pieno accertamento delle risorse economiche dell‘onerato (incluse le disponibilità monetarie e gli investimenti in titoli obbligazionari ed azionari ed in beni mobili)...”49.
49 Cass. n. 9915/2007: “In tema di separazione tra coniugi, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, il giudice del merito deve accertare, quale indispensabile elemento di
riferimento ai fini della valutazione di congruità dell’assegno, il tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato. A tal fine, il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito (sia pure molto elevato) emergente
dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti (quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso), dovendo, in caso di specifica contestazione della parte, effettuare i dovuti approfondimenti – anche, se del caso, attraverso indagini
di polizia tributaria – rivolti ad un pieno accertamento delle risorse economiche dell’onerato (incluse le disponibilità monetarie
e gli investimenti in titoli obbligazionari ed azionari ed in beni mobili), avuto riguardo a tutte le potenzialità derivanti dalla
titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative
per il futuro; e, nell’esaminare la posizione del beneficiario, deve prescindere dal considerare come posta attiva, significativa di
una capacità reddituale, l’entrata derivante dalla percezione dell’assegno di separazione. Tali accertamenti si rendono altresì necessari in ordine alla determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del figlio minore, atteso che anch’esso deve essere
quantificato, tra l’altro, considerando le sue esigenze in rapporto al tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori e le risorse ed i redditi di costoro”.
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D’altronde lo stesso giudice ha certamente il potere di ordinare alle banche l’esibizione della documentazione riguardante la posizione del cliente50. Non si condivide, dunque, la diversa tesi di chi
sostiene che la Polizia tributaria non possa fare delle indagini bancarie sulla base di un incarico del
giudice della separazione e del divorzio.
L’argomentazione secondo la quale non sarebbe possibile al giudice civile chiedere alla Polizia tributaria di acquisire copia della documentazione bancaria ex art. 32 d.p.r. n. 600/1973 e art. 51 d.p.r.
n. 633/1972 perché i comandi del Corpo devono essere autorizzati dal Comandante di zona, che fa
una autonoma valutazione della necessità di indagini bancarie, non considera la diversa funzione
che svolgono le indagini del giudice civile delle cause di separazione e di divorzio. Ma quella tesi contrasta, in particolare, con gli incisivi poteri di indagine attribuiti a quest’ultimo dalla legge sul
divorzio, addirittura ampliati dalla legge n. 54/2006 che ha recepito le prassi già in atto, e con le
norme del codice di procedura civile.
Ne consegue che, certamente, il giudice della separazione e del divorzio “può emettere ordini di
esibizione alla banca sui movimenti eseguiti” sul conto corrente dei coniugi, con delega alla Polizia tributaria di acquisire la relativa documentazione, che la banca è tenuta a esibire ex art. 210
c.p.c.
In definitiva, i poteri officiosi hanno a oggetto l’accertamento della complessiva situazione reddituale, patrimoniale e finanziaria dei coniugi (normalmente di quello più forte economicamente), la
cui utilità e rilevanza deve essere valutata dallo stesso giudice; e sono altra cosa rispetto all’ipotesi di verifica fiscale vera e propria, rimessa all’autorizzazione e alla valutazione del Comando di zona con riferimento all’accesso ai dati più sensibili del contribuente.
Sono ambiti decisionali diversi e i rispettivi poteri trovano ciascuno la propria fonte in una norma
ad hoc attributiva delle rispettive legittimazioni.
10. Anagrafe dei conti correnti e dei depositi bancari. Archivio dei rapporti finanziari: un lungo cammino
giunto al termine
10.1 Non più richieste cartacee e ampliamento dei dati acquisibili
La l. 5 luglio 1991 n. 197, che ha convertito con modificazioni il d.l. 3 maggio 1991 n. 143, ha previsto l’Archivio unico informatico, tenuto da tutti gli intermediari creditizi o finanziari e dalle Poste
italiane Spa, nel quale sono contenuti tutti gli elementi identificativi dei soggetti che intrattengono
rapporti di conto o di deposito con gli stessi.
Con l’art. 20, quarto comma, l. 4 dicembre 1991, n. 413, il legislatore ha previsto poi l’istituzione
dell’Anagrafe dei rapporti di conto e di deposito e, con decreto interministeriale 4 agosto 2000 n.
269, ha stabilito che detta anagrafe può essere realizzata con maggiore efficienza ed economicità
attraverso l’istituzione di un centro operativo in grado di collegarsi in via telematica con i predetti
archivi unici.
Con tale decreto, l’allora Ministro del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica, di
50 Cass. n. 7953/1990: “L’ordine di esibizione di un documento alla parte o ad un terzo a norma dell’art. 210 c.p.c. costituisce
una facoltà discrezionale rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito (cass. 8-6-82 n. 3465); così come è riservato
alla sua insindacabile valutazione l’accertamento del necessario requisito dell’indispensabilità di esso (cass. 23-1-78, n. 292). Inconsistente è peraltro la censura di violazione del segreto bancario, atteso che unico limite opponibile al provvedimento del giudice che ordini alla banca, come parte o come terzo, l’esibizione in giudizio di un documento o di altre cose di cui ritenga necessaria l’acquisizione è quello che l’art. 118 c.p.c. – che l’art. 210 c.p.c. espressamente richiama – pone per l’ispezione di esse, costituito (per quanto più rileva) dall’esigenza di non costringere la parte ed il terzo a violare uno dei segreti previsti dagli artt. 351
e 352 c.p.p. (tra i quali non è ricompreso il segreto bancario)”.
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FOCUS
concerto con il Ministro dell’Interno e il Ministro delle Finanze, ha adottato il regolamento, composto di dieci articoli, istitutivo dell’Anagrafe mediante la costituzione di un centro operativo presso il Ministero del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica, stabilendo tra l’altro: a
quali soggetti vanno rivolte le richieste del centro operativo relative a rapporti di conto e di deposito e quali sono i soggetti che possono avanzare richieste al centro operativo di accesso all’anagrafe; le modalità di formulazione delle richieste; i termini di trasmissione delle risposte. Il flusso
dei dati che giungono al centro operativo, su base consolidata giornaliera, transita dagli intermediari creditizi o finanziari e dalle Poste italiane Spa e, più in particolare, dai soggetti indicati nell’art. 2 del decreto alla Società interbancaria per l’automazione (SIA Spa) e, infine, al centro operativo al quale si rivolgono direttamente i soggetti richiedenti.
Più di recente, con la Finanziaria del 2005 (l. 311/2004), sono stati potenziati i poteri ispettivi del
Fisco sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo, modificando alcuni articoli del Testo unico
sulle Imposte sui redditi e del Testo unico Iva.
Nei commi 402, 403 e 404 dell’art. 1 della citata legge, sono state introdotte delle modificazioni agli
artt. 32 del d.p.r. n. 600/1973 e 51 del d.p.r. n. 633/1972, prevedendosi la possibilità per la Guardia di Finanza, a partire dal 1° gennaio 2005, di chiedere a banche, poste, intermediari finanziari,
imprese di investimento, organismi di investimento collettivo del risparmio, società di gestione del
risparmio e fiduciarie, dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto e a qualsiasi operazione effettuata con la clientela, mentre in precedenza si potevano solo chiedere informazioni relative a operazioni legate ai conti correnti. Nelle stesse disposizioni di legge si è prevista la
trasmissione esclusivamente in via telematica delle richieste e delle risposte51, con decorrenza dal
1° luglio 2005.
In realtà, l’entrata in vigore della procedura telematica è stata poi fatta slittare al 1° gennaio 200652
e solo con la circolare n. 32/E, emanata dall’Agenzia delle Entrate il 19 ottobre 2006, è stato finalmente reso operativo il sistema di trasmissione telematica dei dati acquisibili in base alle “procedure telematiche delle richieste e delle risposte”. Nella stessa circolare sono state indicate le specifiche
tecniche per gli invii on line delle risposte che banche, poste e intermediari finanziari dovranno
dare al Fisco; in particolare sono state definite alcune regole tecniche in materia di sicurezza e di
posta elettronica certificata.
Successivamente con la circolare n. 42/E del 24 settembre 2009, che ha sempre come oggetto “Archivio dei rapporti finanziari”, sono stati “forniti elementi utili al corretto utilizzo ai fini dell’attività di controllo”.
In particolare si è precisato che l’Archivio dei rapporti finanziari “costituisce apposita sezione dell’Anagrafe tributaria nella quale confluiscono le comunicazioni cui sono tenuti, a norma dell’art.
7, sesto comma, del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 605, tutti gli operatori finanziari”; che formano oggetto di comunicazione all’Archivio “i dati relativi ai rapporti esistenti, ancorché cessati, a partire
dalla data del 1° gennaio 2005”.
Inoltre, per effetto di diverse disposizioni di legge intervenute nel frattempo, gli operatori finanziari sono stati obbligati a comunicare anche l’esistenza “di operazioni di natura finanziaria poste in
essere al di fuori di un rapporto continuativo (in seguito ‘operazioni extra-conto’); di rapporti, di
qualsiasi genere, diversi da quelli intrattenuti con i titolari dei rapporti continuativi o delle operazioni extra-conto”.
Nella circolare n. 42/E del 2009 sono state definite operazioni extra conto “le operazioni che vengono effettuate per cassa o, nell’accezione bancaria, allo ‘sportello’, contro presentazione di denaro
contante o assegni, senza transito in un qualsiasi rapporto”, di valore superiore a 12.500 euro. Per
esempio si richiamano:
• i pagamenti diversi (incasso assegno circolare, cambio assegno di terzi, estinzione certificati di
51 Art. 32, terzo comma, d.p.r. n. 600/1973 e art. 51, quarto comma, d.p.r. n. 633/1972.
52 Vedi provvedimento prot. 119171 del Direttore dell’Amministrazione fiscale.
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deposito, buoni fruttiferi, rimborso o deposito su libretto di risparmio, estinzione carte prepagate);
• l’acquisto/vendita a termine di titoli, trasferimento titoli da altro istituto;
• l’addebito per estinzione di assegno e assegni vidimati;
• l’acquisto o vendita di divisa e/o banconote estere;
• bonifico a vostro favore;
• bonifico sull’estero;
• erogazione prestiti personali e finanziamenti;
• vendita/acquisto d’oro e metalli preziosi;
• servizio eurogiro e moneygram.
Secondo quanto si legge nella predetta circolare, “alla data attuale [...] l’Archivio contiene dati relativi a tutti i rapporti continuativi esistenti al 1° gennaio 2005 o costituiti dopo tale data (ancorché
cessati) ed alle operazioni extra-conto effettuate a far corso dalla stessa data, unitamente alle informazioni relative ai soggetti che agiscono in nome e/o per conto di terzi [...] La base informativa dell’Archivio risulta ora allineata con l’ambito oggettivo dei dati acquisibili mediante le indagini finanziarie, così come individuato dalla circolare n. 32/E del 19 ottobre 2006”. Ed è pertanto “possibile
inviare telematicamente le richieste informazioni a tutti gli operatori con i quali, in base alle risultanze dell’Archivio, il contribuente risulta certamente avere intrattenuto rapporti o compiuto operazioni”.
Deve ricordarsi che nell’Archivio confluiscono anche le informazioni “concernenti i soggetti che
agiscono per conto e a nome di terzi” con procure, deleghe a operare in nome e per conto del titolare nell’ambito dei rapporti continuativi o a effettuare le operazioni extra conto. E a tal fine va
comunicata all’Archivio la procura o delega “unitamente ai dati identificativi, compreso il codice fiscale del procuratore o delegato” e per le operazioni extra conto vanno comunicati anche i dati relativi al soggetto nel cui interesse l’operazione viene eseguita, nel presupposto che il rapporto con
l’operatore finanziario riguardi effettivamente il soggetto rappresentato.
In definitiva, mentre prima si disponevano indagini sui rapporti bancari intrattenuti in senso ampio
dal coniuge con delimitazione temporale e territoriale e la Polizia tributaria era costretta a notificare il provvedimento del giudice ai diversi enti, istituti e/o amministrazioni, ora non vi è più la necessità di richieste cartacee, potendosi procedere in via telematica.
10.2 Serpico
Con un unico accesso all’Archivio dell’Anagrafe tributaria, ormai è possibile acquisire un numero
sempre maggiore di dati utilizzando il nuovo sistema denominato “Serpico”, che consente la digitalizzazione di altri archivi, come quelli del Demanio, del Territorio, delle Dogane, dell’Inps, dell’Inpdap e dell’Inail, che convergono nel cervellone del Fisco e compongono la schermata del contribuente.
Patrimoni, spese e guadagni potranno essere tracciati in tempo reale con il nuovo “Servizio per le
informazioni sul contribuente” in dotazione agli 007 delle Entrate e della Guardia di Finanza.
Si tenga presente quanto segue.
Sulla sinistra del megascreen sono allineate le dichiarazioni dei redditi degli ultimi cinque anni, con
l’indicazione dei redditi percepiti, degli scontrini farmaceutici portati in detrazione, degli interessi
del mutuo, dei costi del condizionatore eccetera.
Da un’altra finestra si acquisiscono informazioni sui beni posseduti. Si possono visionare i perimetri catastali di case, appartamenti e terreni; ma anche ottenere i dati relativi ai beni mobili (automobili, moto, barche, aeroplani).
E da un’altra finestra ancora si verifica quanto si spende in un anno per le utenze (elettricità, gas,
telefono e acqua); emergono iscrizioni a circoli ippici, nautici e club esclusivi, ma anche i viaggi in
luoghi più o meno esotici.
Interagendo con altri database si possono scaricare poi le notizie sui contributi pagati per la colf,
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FOCUS
sui modelli Isee presentati per mandare il figlio all’asilo o all’università. E attraverso un altro canale, le Entrate (e le Fiamme Gialle a patto che vi sia un‘indagine penale) possono accedere ai conti correnti e all’anagrafe dei rapporti finanziari53.
11. L’accesso all’Archivio dei rapporti finanziari
11.1 L’accesso all’Archivio dei rapporti finanziari su richiesta del giudice della separazione e del divorzio
Dai pochi accenni fatti risulta evidente l’utilità di disporre di tali canali di indagine nelle cause di
separazione e di divorzio, soprattutto quando si tratta di coniugi con un alto tenore di vita, di redditi da lavoro autonomo che non hanno riscontro nelle risultanze delle dichiarazioni fiscali.
È notoria l’imponente evasione fiscale che caratterizza il nostro Paese. È altresì noto a tutti noi che
in un gran numero di casi il coniuge economicamente più forte pone in atto una strategia tesa a
nascondere i redditi e ad apparire progressivamente più povero man mano che si aggrava la crisi
coniugale e si giunge alla separazione.
In tale contesto, soprattutto quando sono ormai passati diversi anni dalla cessazione della convivenza, non è facile per il coniuge debole provare la reale e complessiva situazione economica del
coniuge, che maliziosamente si sottrae all’obbligo di collaborare, disposto, come detto, dall’art 5,
nono comma, della l.div.
L’acquisizione delle informazioni contenute negli archivi tributari e dei rapporti finanziari costituirebbe un prezioso strumento e consentirebbe di tutelare meglio il coniuge debole, con evidente
vantaggio in termini di contrazione del tempo necessario per l’istruttoria della causa, di attendibilità dei risultati e di durata dell’intero processo.
La possibilità di consultazione degli archivi tributari su delega del giudice della separazione e del
divorzio è talvolta messa in dubbio.
11.2 Posizione della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate
Reso ormai operativo il sistema di accesso a tutti i dati contenuti nell’Anagrafe tributaria, la Polizia
tributaria e la Guardia di Finanza possono attingere “a tavolino” tutte le notizie utili per accertare
in senso ampio la posizione finanziaria del contribuente, individuato attraverso il codice fiscale,
mentre prima, come già detto, in caso di indagini bancarie, si doveva notificare la richiesta alle varie banche, in funzione spesso esplorativa e con il rischio di risposte evasive.
Attualmente dall’Archivio dei rapporti finanziari risulta con immediatezza quali sono i singoli istituti di credito o, in genere, gli operatori finanziari presso i quali Tizio ha una specifica posizione,
sicché la Guardia di Finanza può successivamente acquisire le relative informazioni dai soli operatori con i quali, in base alle risultanze del predetto Archivio, il contribuente risulta certamente avere intrattenuto rapporti o compiuto operazioni extra conto.
Va precisato, infatti, che solo nell’ambito delle verifiche fiscali (diversamente da quanto accade per
le indagini disposte dal giudice penale e da quello della separazione) la Guardia di Finanza con
un unico accesso all’Archivio dei rapporti finanziari visualizza anche gli estratti del conto corrente
e il contenuto delle altre operazioni che risultano a nome del contribuente soggetto a verifica.
53 Al riguardo vedi gli articoli: Sono le tracce elettroniche che alimentano «Serpico», in “Il Sole 24 Ore”, 19 agosto 2010; Bellinazzo, Con il codice fiscale Serpico «setaccia» tutti i contribuenti italiani, in “Il Sole 24 Ore”, 12 ottobre 2010. Gli articoli sono consultabili rispettivamente agli indirizzi http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2010-10-11/sono-tracce-elettroniche-alimentano-222620.shtml?uuid=AYju36YC e http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2010-10-11/codice-fiscale-serpico-setaccia220300.shtml
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La Polizia tributaria e la Guardia di Finanza collaborano normalmente con il giudice della separazione pur suggerendo che vengano disposti gli accertamenti sulla complessiva situazione economica del coniuge debole solo quando sia strettamente necessario, e solo per le informazioni che
le parti e il giudice stesso non possono acquisire altrimenti. Sostengono che le forze di cui dispongono sarebbero appena sufficienti per raggiungere gli obiettivi che il Ministero fissa per ciascun
anno, con la conseguenza che le indagini sui coniugi costituirebbero un serio aggravio per l’espletamento dei compiti istituzionali se venissero disposte con una certa frequenza.
Tuttavia, in alcune sedi giudiziarie è capitato, per quanto riguarda in particolare l’accesso all’Archivio dei rapporti finanziari, che la Polizia tributaria o la stessa Agenzia delle Entrate abbiano rifiutato di evadere la richiesta del giudice della separazione e del divorzio, così come è avvenuto in
precedenza per la richiesta di indagini presso le banche. Le motivazioni sono le stesse con le quali si motivava in precedenza il rifiuto di indagini bancarie, ovvero la necessità della previa autorizzazione del Direttore regionale delle Entrate o, per la Guardia di Finanza, del Comandante di zona, i quali, per legge, dovrebbero fare un’autonoma valutazione della necessità di indagini bancarie e, ora si afferma, della necessità di accedere agli archivi informatici.
11.3 Potere vecchio, strumento nuovo
Si è già detto al Capitolo 7 che il riferimento all’art. 32 d.p.r. 600/1973 (e 51 d.p.r. 633/1972) non
è preclusivo del potere del giudice della separazione e del divorzio di chiedere accertamenti finanziari; potere che ha la sua fonte in specifiche e successive disposizioni di legge di pari livello (art.
5 l. 898/1970 e art. 155 c.c. modificato con la l. n. 54/2006), e che ha finalità diverse e anche un
oggetto più limitato della verifica fiscale vera e propria.
È diritto vivente che il giudice della separazione possa chiedere, tramite la Guardia di Finanza, l’acquisizione della documentazione relativa ai rapporti intrattenuti dai coniugi con le varie banche, e
che queste ultime non possano rifiutarne la consegna motivando il diniego con il rispetto del cosiddetto segreto bancario. Neppure le società fiduciarie possono invocare il cosiddetto segreto fiduciario come chiarito dalla giurisprudenza54.
E non vi è motivo di ragionare diversamente per quanto attiene al potere del giudice della separazione e del divorzio di acquisire, tramite la Guardia di Finanza o l’Agenzia delle Entrate, le informazioni di carattere finanziario contenute nell’Archivio informatico.
Ciò che cambia, infatti, è solo il nuovo strumento attraverso il quale esercitare il medesimo potere già riconosciuto dal diritto vivente, operando oramai la Guardia di Finanza in modalità telematica anziché in modalità cartacea.
11.3.1 Un caso di rifiuto di collaborazione da parte dell’Agenzia delle Entrate
Il Tribunale di Palermo55, con ordinanza del 18 gennaio 2008 G.S. c/G.G. G.I. Angelo Piraino, ha
disposto, ai sensi dell’art. 213 c.p.c., la richiesta di “informazioni all’Agenzia delle Entrate-servizio
di anagrafe tributaria dei rapporti con gli intermediari dell’Agenzia delle Entrate, in merito rapporti bancari, postali e finanziari risultanti dalla medesima anagrafe ed intrattenuti dal resistente Sig.
G.G. nato a ... in data ... C.F. ..., sia personalmente, che quale cointestatario, che quale semplice delegato o legale rappresentante”.
54 La Cassazione esclude che le banche possano rifiutare di esibire la documentazione in loro possesso opponendo la violazione del segreto bancario. Per le indagini presso le società fiduciarie tramite Guardia di Finanza vedi Ordinanza 27 marzo 2006 del
Tribunale di Reggio Emilia, giudice istruttore Giovanni Fanticini (www.finanzaediritto.it/articoli/tribunale-civile-ordinanza-27-032006-societ%C3%A0-fiduciarie-ed-obblighi-di-riservatezza-1520.html).
55 La vicenda è riassunta nell’articolo Dell’Aira, Poteri e limiti del giudice istruttore nell’accertamento dei redditi e del patrimonio dei coniugi nei giudizi di separazione e divorzio, tra accertamenti di polizia tributaria e interrogazione dell’anagrafe tributaria - poteri d’ufficio e refluenze penali, in www.diritto.it, 25 marzo 2010.
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FOCUS
L’Agenzia delle Entrate ha risposto che: “Tali informazioni, ancorché presenti in anagrafe tributaria, non sono autonomamente rilevabili, infatti le stesse possono essere acquisite solo con l’attivazione delle indagini finanziarie, le disposizioni degli articoli 32, comma uno, n. 7 d.p.r. 600/73 e art.
51 comma due, n. 7 d.p.r. 633/72, previa autorizzazione del Direttore Regionale dell’Agenzia delle
Entrate e non possono essere fornite ad altri soggetti, giuste disposizioni emanate dal provvedimento
del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 19 gennaio 2007”.
Con nota del 29 maggio 2008, il Tribunale di Palermo ha trasmesso al direttore dell’Agenzia delle
Entrate l’ordinanza emessa in data 26 maggio 2009 con la quale il giudice istruttore “ritenuto, pertanto, ingiustificato il rifiuto opposto all’Agenzia delle Entrate” disponeva “sollecitarsi l’Agenzia delle Entrate a fornire le informazioni richieste con l’ordinanza pronunciata da questo Tribunale in
data 18 gennaio 2008, significando che la mancata ottemperanza alla richiesta di informazioni
pronunziata da questo Tribunale integra gli estremi di una condotta punibile ai sensi dell’articolo
650 cod. pen.”.
L’Agenzia delle Entrate ha opposto un ulteriore rifiuto, assumendo che i soggetti legittimati a chiedere le informazioni finanziarie sarebbero solo:
1) l’Autorità giudiziaria ai sensi delle vigenti disposizioni del codice di procedura penale;
2) gli ufficiali di polizia giudiziaria delegati dal pubblico ministero;
3) l’Ufficio Italiano Cambi nell’ambito delle disposizioni di cui all’articolo 3 del d.lgs. 3 maggio
1991 n. 143 e successive modificazioni (normativa antiriciclaggio);
4) gli esperti del Secit (organismo oggi soppresso);
5) il Ministro dell’Interno, il Capo della Polizia, i Questori e il Direttore della Direzione Investigativa Antimafia.
Dopo ulteriori vani solleciti il giudice istruttore ha trasmesso gli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo per la valutazione dei profili di reato sottesi all’omesso invio delle più volte richieste informazioni.
Alla fine la Guardia di Finanza ha ottemperato a quanto disposto dal giudice della separazione, come ho personalmente accertato, informandomi sull’esito del “braccio di ferro” tra giudice istruttore e Guardia di Finanza direttamente presso gli uffici giudiziari palermitani.
11.4 Modello di ordinanza del giudice che dispone accertamenti finanziari
In definitiva, anch’io ritengo che il giudice della separazione, delegando alla Polizia tributaria i propri e autonomi poteri derivanti dall’art. 5 l.div. e dall’art. 155 c.c., come interpretati dal diritto vivente, può richiedere l’accesso alle informazioni risultanti dall’Archivio dei rapporti finanziari e altresì l’esibizione, ai sensi dell’art. 210 c.p.c., da parte degli istituti di credito o di altri enti e società interessati, della relativa documentazione riguardante il coniuge (e può anche, ex art. 213 c.p.c.,
chiedere le stesse informazioni direttamente all’Agenzia delle Entrate).
In particolare, per le informazioni contenute nell’Archivio finanziario si potrebbe provvedere con
un’ordinanza del seguente tenore:
“Il Giudice istruttore,
− ritenuto che TIZIA ha motivatamente contestato le risultanze della documentazione riguardante
i redditi di TIZIO, assumendone una più elevata consistenza e sollecitando l’uso dei poteri officiosi ai fini della liquidazione dell’assegno di mantenimento/divorzio;
− ritenuta la necessità di verificare quali siano le effettive disponibilità finanziarie di TIZIO;
− visti l’art. 5 l. div. (n. 898/70) che attribuisce al giudice del divorzio il potere di disporre ‘indagini sui redditi e sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria; l’art. 155 c.c. (come modificato dalla l. n. 54/2006) che attribuisce al giudice della separazione il potere di disporre ‘un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi’ e l’art. 210 c.p.c.;
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dispone che la Polizia Tributaria,
1- accerti l’esistenza di rapporti bancari di qualsiasi tipo intestati a TIZIO (codice fiscale) o comunque a lui riconducibili, relativamente al periodo dal ... al ... con accesso all’Anagrafe TributariaArchivio dei rapporti finanziari;
2- acquisisca, per il periodo sopra indicato, gli estratti conto e le operazioni extraconto relativi alla
posizione di Tizio, chiedendone l’esibizione agli istituti di credito o altri enti e società interessati
e la consegna in copia, ed invii la documentazione in tal modo acquisita a questo giudice, con
una relazione di sintesi;
3- autorizza la delega delle indagini nell’ambito dell’organizzazione interna della stessa Guardia
di Finanza”.
Occorre anche ricordare che la Guardia di Finanza, oltre alla consultazione dell’Archivio dei rapporti finanziari, ha la possibilità di accedere, sempre “a tavolino”, ad altre banche dati in uso al
Corpo, acquisendo ulteriori informazioni che interessano Tizio:
• sui redditi prodotti, con accesso alla banca dati dell’Anagrafe tributaria;
• sui beni mobili posseduti, con accesso alla banca dati ACI/PRA, RINA (Registro Navale Italiano),
RID (Registro Imbarcazioni Diporto) e RAN (Registro Aeromobili Nazionale);
• sui beni immobili, con rilevamento presso la banca dati SISTER-Agenzia del Territorio.
11.5 La piramide probatoria
Tuttavia, resta pur sempre onere del coniuge, che abbia interesse a ottenere un assegno di mantenimento o di divorzio, fornire le informazioni relative alla situazione economica dell’altro coniuge.
Sicché il potere officioso del giudice potrà non essere esercitato con riferimento a quelle informazioni che è certamente nella possibilità del richiedente l’assegno fornire, quali ad esempio quelle
ottenibili attraverso il servizio reso dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense. Procedendo gradualmente nella prospettazione dei vari strumenti di prova, si può immaginare l’attività probatoria nelle cause di famiglia come una piramide alla cui base vanno inserite tutte le notizie
che i coniugi hanno la possibilità di acquisire e fornire autonomamente e tutta la documentazione
in loro possesso. Solo su tali presupposti, risalendo via via verso il vertice, si potrà sollecitare il
giudice perché metta in atto specifici accertamenti mirati, indicando le singole piste da indagare
(beni mobili, immobili, rapporti finanziari eccetera) quando l’attività istruttoria delle parti trova degli ostacoli. E su tali presupposti il giudice potrà decidere quali concreti accertamenti fare e a chi
delegarli.
12. Conclusioni
Nulla potrà essere come prima, ma cerchiamo di ricucire nel miglior modo possibile quanto si è
rotto.
Istruzioni per l’uso
1. Avvocati e giudici della famiglia specializzati e “speciali”, capaci di ascolto empatico.
2. Collaborano perché la famiglia in crisi possa guardare al processo come al luogo dove avranno tutela le aspettative di ciascuno: padre, madre e figli.
3. Aiutano i coniugi a imparare a “mediare” il conflitto, interrompendo la “cattiva infinità delle liti” e salvaguardando i rapporti personali.
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