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Valutazione del riordino della scuola secondaria di secondo grado,
impatto del precariato sulla qualità dell'insegnamento e recenti iniziative
del Governo concernenti il potenziamento di alcune materie e la
situazione del personale (Atto n. 386)
Roma, 24 novembre 2014
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1. tracciare un bilancio, dopo cinque anni, del riordino della scuola secondaria di
secondo grado, onde verificare i punti di forza e di debolezza della scuola italiana;
Premessa
La riflessione sul reale impatto del riordino della secondaria di II deve avere come riferimento
ineludibile la consapevolezza che i processi messi in atto sono il frutto, in primo luogo, di un
provvedimento di riduzione della spesa nel campo dell’istruzione, senza precedenti nella storia
della Repubblica. Tali processi sono stati realizzati fondamentalmente attraverso lo strumento del
taglio lineare e indiscriminato dell’organico del personale docente, ata e dirigente scolastico.
Questa operazione è stata effettuata attraverso una ingerenza, anche questa senza precedenti,
del MEF, oltre che su elementi e parametri statistici, quali l’aumento del numero medio di alunni
per classe o di alunni per la costituzione delle istituzioni scolastiche autonome, anche nel campo
degli ordinamenti scolastici. Questa ingerenza ha avuto come cardine, sul versante del personale
docente, il principio economico secondo cui ad ogni ora di “lezione” prevista dall’ordinamento
dovrebbe corrispondere tendenzialmente la retribuzione di un solo docente. L’applicazione di
questo principio ha comportato nella scuola primaria l’eliminazione delle ore di contemporaneità,
nella secondaria di I grado la quasi completa scomparsa del tempo prolungato, nella secondaria di
II grado la pesante riduzione delle ore di laboratorio in compresenza (completamente scomparse
nei Licei, se si eccettuano le ore di conversazione nei Linguistici), la saturazione delle cattedre a
18h e la costituzione dell’organico dei docenti esclusivamente in base all’orario “frontale” previsto
dai nuovi ordinamenti. Le conseguenze sono state inevitabili: grandi difficoltà nell’attivare
percorsi curricolari di recupero e/o potenziamento anche nella prospettiva della lotta alla
dispersione scolastica, scarse possibilità di rendere più flessibile il percorso di studi (alla faccia
delle tante parole sulla valorizzazione dell’autonomia scolastica), enormi difficoltà nell’individuare
immediatamente sostituti per i docenti assenti, con conseguente adozione di prassi totalmente
fuori dell’attuale quadro normativo, quali la distribuzione degli alunni in altre classi, o l’utilizzo dei
collaboratori scolastici in ruoli impropri.
Su questo autentico campo di guerra si sono innestate le scelte culturali e ordinamentali definite
dai regolamenti di riordino DD.PP.RR. 87, 88 e 89 del 15 marzo 2010.
Segnaliamo che nel presente documento non sarà trattata l’Istruzione e Formazione Professionale
sussidiaria,
erogata
dagli
Istituti
Professionale
approfondimento.
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Statali,
che
necessita
di
uno
specifico
Bilancio del riordino
Il ruolo del MEF
Il ruolo e l’ingerenza del Ministero dell’Economia nel campo dell’istruzione in generale e nella
secondaria di II grado, in particolare, sono stati pesantemente negativi. Premesso che è
necessario un autentico cambio di rotta nelle politiche sull’istruzione e sulla formazione e un
notevole aumento degli investimenti in questi settori, l’insegnamento che si deve trarre da quanto
avvenuto in questi ultimi anni è che deve essere, in primo luogo, rinegoziato l’intervento di
questo ministero sul MIUR. Il MEF deve avere unicamente il compito di definire il quadro
complessivo
delle
compatibilità
economiche.
Al
MIUR,
in
questi
anni
sostanzialmente
commissariato, devono essere lasciati i necessari spazi per la realizzazione delle politiche
educative e per poter modificare o ricalibrare scelte già effettuate.
Dispersione scolastica
I regolamenti di riordino della secondaria di II grado non hanno fornito alcuno strumento e ne
hanno indicato alcuna strada per individuare azioni ed iniziative per combattere quell’autentica
piaga rappresentata dalla dispersione scolastica. Tutto questo è avvenuto nonostante sia a tutti
noto che la dispersione si annidi soprattutto nel primo biennio della secondaria di II grado.
Insomma la scelta “politica” che emerge dalla lettura dei regolamenti è chiara: la dispersione non
ha nulla a che fare con gli ordinamenti e il curricolo, ma esclusivamente con interventi additivi. Le
conseguenze sono inevitabili: forte riduzione delle risorse contrattuali dedicate ed episodicità degli
interventi legislativi. La lotta alla dispersione esce fuori dalle politiche pubbliche ordinarie in
campo dell’istruzione per diventare oggetto esclusivo degli interventi dei Fondi Europei o di
soggetti
esterni.
A
tale proposito
è veramente
incredibile la
lettura
del
Documento
Programmatico di Bilancio 2015 elaborato dal MEF. La Tabella II.1.15 TARGET FISSATI DALLA
STRATEGIA EUROPEA PER LA CRESCITA E L'OCCUPAZIONE (6.B) riguardo alla dispersione
scolastica, non prevede alcuna misura!
In realtà la lotta alla dispersione dovrebbe diventare una vera priorità per le politiche generali di
questo Paese e potrebbe costituire un banco di prova di un’autentica valutazione del sistema
educativo. Su questo aspetto si potrebbero verificare l’efficacia, le interconnessioni e la circolarità
tra scelte politiche nazionali, la funzionalità dei sistemi di rilevazione in tempo reale degli studenti
dispersi, la cooperazione tra i vari livelli istituzionali coinvolti nel problema, i processi e le pratiche
educative a livello di singola istituzione scolastica, il coinvolgimento delle parti sociali.
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Obbligo di istruzione
Altra vittima delle scelte ordinamentali effettuate è l’obbligo di istruzione introdotto dalla Legge
296/06 e che ha avuto la relativa regolamentazione con il DM 139/07 che individua gli assi
culturali e le competenze di cittadinanza. Attualmente la situazione è la seguente: l’obbligo può
essere adempiuto nella secondaria di II grado, nei corsi di IeFP di competenza regionale,
nell’apprendistato, nell’educazione parentale.
Nei documenti programmatici della secondaria di II grado (Indicazioni Nazionali dei Licei di cui al
DM 211/10, Linee guida del primo biennio dei Tecnici e Professionali, Direttive 57/10 e 65/10)
abbiamo una forte contraddizione: da un lato, nei Licei, il Regolamento sull’obbligo viene
sostanzialmente liquidato come un documento superato, dall’altro nei Tecnici e Professionali esso
rappresenta l’elemento fondante nella costruzione delle Linee guida relative alle discipline
afferenti agli assi culturali. Mentre tra tecnici e professionali è possibile cogliere una parte comune
a tutti i possibili percorsi ed una parte specifica differenziata per indirizzi di studio, non è possibile
individuare un terreno comune con i Licei (ma anche all’interno delle varie articolazioni degli
stessi Licei). Queste scelte hanno determinato un grado di terminalità della secondaria di I grado
che varia a seconda del percorso successivo scelto: molto marcato per i percorsi professionali (la
scelta dell’Istituto Professionale dopo la terza media comporta già una “preferenza abbastanza
chiara sull’indirizzo di studio”), meno evidente nei tecnici (la scelta diventa più chiara nel
passaggio dal primo al secondo biennio o comunque tra il primo e il secondo anno del primo
biennio),
ancor meno nei Licei (finalizzati al conseguimento di un diploma di istruzione
secondaria superiore). Tutto ciò è in palese contraddizione con la normativa istitutiva dell’obbligo
di istruzione e rendono chiaramente visibile sia l’idea di irreversibilità delle scelte che la
gerarchizzazione dei percorsi di studio
A fronte di queste insanabili contraddizioni occorre che vengano fatte alcune scelte precise:
•
affermare la titolarità dell’istruzione sull’adempimento dell’obbligo
•
spostare ai 16 anni l’accesso al lavoro con qualsiasi tipologia di contratto ivi compreso quello
di apprendistato
•
realizzare un forte raccordo tra il primo ciclo di istruzione e il biennio successivo (continuità e
unitarietà del curricolo dell'obbligo di istruzione)
•
garantire classi con un numero massimo di 25 alunni
•
declinare, per tutte le tipologie di percorsi, i saperi e le conoscenze in riferimento agli assi
culturali e alle competenze chiave di cittadinanza nell’ottica del biennio unitario
4
•
progettare interventi educativi che consentano di raggiungere sia gli obiettivi comuni per tutti,
sia di coltivare le inclinazioni di ciascuno
•
utilizzare in maniera intensiva ed estesa la didattica laboratoriale anche mediante un profondo
ripensamento nell'uso e nella progettazione degli spazi "fisici" scolastici
•
rafforzare le competenze pedagogico-didattiche e psico-relazionali dei docenti impegnati con
studenti di questa fascia di età.
Ricordiamo che tra le priorità strategiche del “Piano del lavoro” della CGIL c’è l’elevamento
dell’obbligo scolastico a 18 anni.
Il curricolo
Le scelte regressive sopra descritte hanno determinato un rafforzamento degli elementi tipici della
tradizione gentiliana della nostra scuola secondaria di II grado:
•
separazione tra cultura umanistica e quella scientifica e tecnica
•
gerarchizzazione dei saperi e dei percorsi per cui all’apice c’è il liceo e a seguire gli istituti
tecnici, gli istituti professionali, ecc.
•
canalizzazione precoce degli studenti nella scelta dei percorsi che avviene ovviamente in
primo luogo per livello economico e culturale della famiglia di provenienza.
Inoltre al di là delle parole affermate dai governanti degli ultimi anni, è ancora egemonica, in
questo segmento del sistema educativo, la cultura pedagogica d’ispirazione gentiliana che
tendeva a ridurre la didattica alla pedagogia e quest’ultima alla filosofia, ben descritta dalla frase
per cui per insegnare una cosa basta saperla o saperla fare.
La scissione tra teoria e pratica è l’aspetto più evidente che emerge dal riordino del sistema
liceale. La totale eliminazione delle ore di laboratorio e della presenza obbligatoria degli
insegnanti tecnico pratici è una scelta più arretrata persino della riforma Gentile che prevedeva,
ad esempio, in ogni liceo-ginnasio la presenza di un “un macchinista (..) dei gabinetti scientifici”
(R.D. 1054/23 art. 44 comma 2). Pesantissime sono poi le contraddizioni in relazione ad alcuni
percorsi come il “nuovo” Liceo Artistico e il Liceo delle scienze applicate. (Riguardo al Liceo
Musicale e al Liceo coreutico si rimanda ad uno specifico approfondimento, Allegato 1)
Le Linee Guida degli istituti tecnici e dei professionali rappresentano, complessivamente, un
positivo avanzamento rispetto alle Indicazioni per i Licei per:
•
il riferimento al quadro normativo dell'Unione Europea;
•
i richiami alla necessità di una forte integrazione tra cultura umanistica, scientifica e
tecnologica;
5
•
l'attenzione al problema della continuità con il primo ciclo di istruzione;
•
i richiami continui al Regolamento sull'obbligo di istruzione e agli Assi culturali;
•
le raccomandazioni alla pratica della didattica laboratoriale, alla progettazione per competenze
e, più in generale, agli aspetti didattici trasversali.
Tuttavia tali indicazioni risultano per la gran parte inattuate per:
•
la riduzione del tempo scuola;
•
il drastico ridimensionamento delle ore e delle attività nei laboratori tecnico-scientifici;
•
il conseguente taglio dell’organico dei docenti ITP;
Inoltre il forte richiamo alla pratica laboratoriale, avrebbe dovuto implicare:
•
una coraggiosa rilettura degli impianti metodologici e didattici di tutte le discipline;
•
l’abbandono della pratica della lezione frontale quale elemento preponderante nella quotidiana
pratica didattica;
•
una particolare attenzione alle dimensioni operativa, progettuale e di ricerca;
•
l’investimento sull’estensione dei laboratori in tutto il sistema della secondaria di II grado.
Le più volte promesse misure di accompagnamento si sono spente contemporaneamente alla
quasi totale scomparsa delle risorse per la formazione del personale.
Da segnalare che la maggior parte dei percorsi di studio previsti dal riordino presentano problemi
gravissimi di sostenibilità curricolare, che non sono solo determinati dalla riduzione del tempo
scuola:
•
il
rapporto
tra
laboratorio
e
progettazione,
tra
indirizzi
e
curricoli,
la
sostanziale
ingovernabilità del Laboratorio artistico orientativo del primo biennio, nei Licei artistici,
•
l’esistenza di un liceo delle scienze applicate senza laboratori scientifici e personale dedicato,
•
il passaggio totale del settore meccanico dai professionali ai tecnici (con esclusione della
Manutenzione ed Assistenza Tecnica). A tal proposito occorre denunciare il fatto che,
nonostante questa modifica ordinamentale sia entrata in vigore nel l’a.s. 2010/11, in questi
anni sono state spese risorse europee per l’acquisto di laboratori di meccanica nei
professionali. Si tratta di laboratori museo visto che sono quasi totalmente inutilizzabili
nell’ambito della Manutenzione.
•
il passaggio del settore chimico dai professionali ai tecnici
•
le problematiche connesse all’indirizzo di Trasporti e Logistica dei tecnici (soprattutto nei
settori navale e aeronautico),
•
le difficoltà di realizzazione delle attività nell’indirizzo di enogastronomia e ospitalià albergiera
dei professionali a causa di un piano orario che è poco definire sbagliato,
6
•
l’aleatorietà ed indeterminatezza delle articolazioni del settore delle Produzioni industriali e
artigianali dei professionali
(e gli esempi potrebbero continuare), sono lo specchio di una gestione del riordino priva di
qualsiasi progettualità e di una scuola lasciata volontariamente sola e che quotidianamente
sopravvive all’incuria di chi avrebbe il dovere, invece, di sostenerla.
Un peso rilevante nelle attuali difficoltà delle scuole secondarie di II grado lo hanno avuto i
processi di dimensionamento che hanno comportato l’attivazione di processi di accorpamento
selvaggio tra istituzioni e tra percorsi di studio. L’effetto è sotto gli occhi di tutti:
•
forte indebolimento dell’offerta formativa regionale coordinata di territorio e/o di filiera
•
costituzione di istituzioni scolastiche autonome che non hanno le caratteristiche di coerenza e
leggibilità, riguardo agli indirizzi di studio, e governabilità in termini di dimensioni
Utilizzo delle quote di autonomia nell’ambito del curricolo della secondaria di II grado
Assolutamente negativa è stata l’applicazione delle norme sulle quote di autonomia previste in
misura differenziata dai regolamenti di riordino. L’utilizzo di questo strumento ha comportato:
•
instabilità negli organici,
•
la crescita esponenziale di discipline flash anche con una sola ora di lezione settimanale,
•
una forte spinta a considerare come elementi totalmente indipendenti le competenze da
raggiungere al termine di ciascun periodo didattico in base alle “Linee guida” o “Indicazioni
nazionali”, rispetto alle ore di lezioni da svolgere con gli studenti,
•
una diffusissima conflittualità all’interno dei collegi dei docenti.
A questo occorre aggiungere che, laddove è stato effettivamente possibile utilizzare tale quota,
ossia in presenza di cattedre non coperte da titolari, si è raggiunto il duplice scopo di tagliare
ulteriormente l’organico per evitare la soprannumerarietà di docenti di ruolo e di aprire una
conflittualità pesante tra questi ultimi e i precari.
Per questi motivi la FLC CGIL ritiene indispensabile che le scuole orientino le loro scelte verso
l’utilizzo di quella strumentazione normativa e organizzativa che non comporta modifiche nella
definizione e assegnazione della dotazione organica dei docenti. Quindi un SI convinto all’utilizzo
delle compensazioni fra discipline e attività e alla quota del 20% dei curricoli rimessa
all’autonomia delle singole istituzioni scolastiche. Altrettanto forte è il NO all’utilizzo della quota di
autonomia previsto dai Regolamenti di riordino.
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2. ascoltare i suggerimenti per colmare le lacune del sistema scolastico italiano, anche
alla luce di quanto contenuto nella proposta de "La buona scuola", al fine di inserire
l’insegnamento della storia dell’arte, della musica, delle discipline economiche, delle
lingue straniere con la metodologia del content and language integrated learning
(CLIL) e del coding dell’informatica, non in una logica meramente additiva;
La FLC CGIL condivide la proposte relative all’inserimento delle discipline all’interno dei curricoli
scolastici con le seguenti precisazioni:
-
riguardo alla musica nella primaria è necessario prevedere specifiche attività formative per
i docenti inseriti nelle GaE della secondaria di I e II grado e che probabilmente hanno poco
o nessuna esperienza con alunni di quella fascia di età. A tal proposito appare
indispensabile che l’attività musicale sia co-progettata e svolta in compresenza con i
docenti della classe
-
anche per le attività di educazione motoria nella primaria è indispensabile che esse siano
co-progettate e svolte in compresenza con i docenti della classe
-
l’inserimento di storia dell’arte e delle discipline economiche deve andare di pari passo con
la
possibilità
che le
scuole
possano
attivare
percorsi
co-progettati
e
attuati
in
contemporaneità da docenti di più discipline.
CLIL
Il caos con cui sta entrando in ordinamento un insegnamento previsto da regolamenti approvati
oltre 4 anni fa testimonia in maniera esemplare la superficialità, la sciatteria, l'incompetenza con
cui è stato attuato il riordino. Ai tagli epocali, si è aggiunta una totale mancanza di misure di
sistema e accompagnamento relativi per lo meno agli aspetti non presenti nei precedenti
ordinamenti.
Deve essere comunque chiaro che l'insegnamento di una DNL in lingua straniera potrà avere un
impatto reale sull'offerta formativa della secondaria di II grado solo se sarà previsto un
ampliamento dell'organico d’istituto rispetto a quello previsto dai piani orari e saranno individuati
specifici dispositivi contrattuali relativi ai docenti impegnati in questa attività.
Coding
Al di la delle parole e della propaganda a chi sarà affidata questa attività, quale formazione, quali
risorse, quali i dispositivi contrattuali da attivare? Si spera che l’esperienza del CLIL sia da
insegnamento al MIUR per evitare ulteriori ed imperdonabili errori.
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3. comprendere come sviluppare serie politiche di orientamento scolastico e lavorativo
tra scuola secondaria di primo e secondo grado e tra scuola secondaria di secondo
grado e alta formazione tecnica, università e mondo del lavoro;
La FLC CGIL condivide complessivamente quanto previsto dalle “Linee guida nazionali per
l'orientamento permanente", trasmesse con la nota MIUR 4232 del 19 febbraio 2014 e chiede che
ne venga data effettiva applicazione in termini di risorse, di attività di orientamento (didattica
orientativa/orientante, attività di accompagnamento e di consulenza orientativa), di azioni
formative, di attivazione di procedure contrattuali.
Le Linee guida contengono affermazioni rilevanti e condivisibili soprattutto riguardo:
•
alla centralità del sistema scolastico, nella sua interezza, dai 3 ai 19 anni, nell’ambito del
sistema nazionale sull'orientamento permanente
•
all’importanza di un curricolo formativo unitario e verticale
•
alla predisposizione di uno specifico Piano all’interno del POF
•
alla formazione iniziale e in servizio dei docenti in tema di orientamento
•
al richiamo al Patto di corresponsabilità educativa.
Occorre inoltre azionare dispositivi contrattuali ed ordinamentali che consentano di progettare e
condurre insieme attività orientative tra i docenti delle classi terminali della secondaria di I grado
ed iniziali della secondaria di II grado, anche attraverso strumenti quale il prestito professionale.
Deve essere chiaro che le competenze orientative devono fare capo in primo luogo ai docenti e
che solo nei casi più complessi alcune attività/azioni possano essere svolte da persone esperte ed
esterne alla scuola, ma in possesso di specifiche competenze professionali.
Riguardo all’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado la FLC CGIL segnala come i
dispositivi orientativi previsti dai Decreti legislativi 21 e 22 del 2008 siano stati complessivamente
disattesi e che il tentativo di applicare solo la parte relativa al bonus maturità (poi abrogata dal
Decreto Legge 104/13) attraverso la valorizzazione dei percorsi scolastici ai fini dell’accesso ai
corsi universitari a numero programmato, è avvenuta in maniera del tutto avulsa dagli interventi
complessivamente previsti dal D.lgs. 21/08.
Pertanto la FLC CGIL chiede anche in questo che vengano attivate tutte le procedure per la dare
concreta attuazione a quanto previsto dai suddette decreti legislativi.
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4. capire come rafforzare il rapporto tra scuola e impresa, affinché la scuola possa
formare cittadini che abbiano i mezzi, le conoscenze e le competenze per vivere da
protagonisti il mondo del lavoro;
Gli interventi degli ultimi anni nell’ambito delle politiche ordinarie soprattutto sulla scuola
secondaria
di
II
grado,
sull’IeFP
e
sull’apprendistato,
sono
state
fortemente
ancorate
all'impostazione classica dell'economia dell'educazione e delle teorie tecno-funzionaliste tipiche
degli anni cinquanta - sessanta. Infatti in quegli anni “l'obiettivo era certamente l'incremento
della scolarità, ma a livelli differenziati di qualificazione in relazione ai bisogni, altrettanto
differenziati, dello sviluppo economico. Il centro del ragionamento era soprattutto la connessione
tra istruzione e livelli produttivi. Da qui la necessità di programmare i flussi della nuova mano
d'opera istruita, la determinazione di gradi diversi di qualificazione, sistemi scolastici strutturati
attraverso opportunità differenziate e gerarchizzate.” Si tratta di capire se questo paradigma
possa funzionare ancora oggi in una situazione in cui le conoscenze strettamente operative, le
technicalities pratiche, conoscono un ritmo di obsolescenza senza precedenti nella storia. In altre
parole occorre decidere se la scuola debba essere “una palestra per l'adattamento imitativo a una
società prestabilita" (con relativa allocazione delle risorse umane nella struttura dei ruoli della
società adulta) oppure servire da introduzione in una società in continua e rapidissima evoluzione.
In questo contesto la scelta della FLC CGIL è chiara: occorre evitare “la riproduzione di un’offerta
formativa secondo una logica autoreferenziale o in risposta soltanto alla domanda produttiva” (Le
Linee Guida in attuazione dell’art. 52 della Legge 35/12 Allegato A, Premessa).
Per fare questo occorrono forti investimenti nell’alternanza scuola-lavoro anche come valida
alternativa all’apprendistato per i minori.
Sul tema dell’alternanza si allega uno specifico contributo (Allegato 2)
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5. analizzare il meccanismo di valutazione degli insegnanti così come delineato ne "La
buona scuola", con particolare riferimento non solo al superamento degli scatti
d'anzianità ma anche alla nuova figura del docente Mentor.
Su questo aspetto si rimanda al dossier consegnato alla Commissione in occasione dell’Audizione
svolta il 18 novembre 2014
11
Allegato 1
Liceo Musicale
L’Italia rispetto agli altri paesi europei ha storicamente brillato per una endemica sottovalutazione
dello studio della Musica sia nella sua dimensione pratica che in quella storico-analiticacompositiva soprattutto nella secondaria di II grado. E’ una delle tante conseguenze della cultura
gentiliana secondo cui la musica deve essere studiata solo da chi dedica ad essa tutto il proprio
tempo, ossia dai musicisti. Le conseguenze sono state inevitabili: niente musica nella secondaria
superiore così come cultura generale pari a zero in chi frequentava solo il Conservatorio. Da qui la
tradizione della doppia scolarità, ossia frequenza contemporanea della secondaria di II grado e
del Conservatorio, che è un aspetto tipico della tradizione italiana.
Le poche esperienze e sperimentazioni che prevedevano lo studio della musica sono state
spazzate dal riordino. Rimangono solo due ore, una in compresenza, al secondo anno dell’istituto
professionale settore servizi indirizzo servizi socio-sanitari.
La nascita del Liceo Musicale è avvenuta nell’ambito di un approccio alla musica elitario e
unicamente legato al “talento”.
Nonostante questo, il numero di tale tipologia di Liceo è aumentato in maniera esponenziale, il
che dimostra, senza ombra di dubbio, il bisogno di musica tra i ragazzi di questa fascia di età.
Il tumultuoso sviluppo del Liceo Musicale, sta già mettendo in crisi l’impianto culturale e didattico
disegnato per le materie di Indirizzo dalle Indicazioni nazionali dei licei.
Innanzitutto l’orizzonte di riferimento dell’attuale Liceo Musicale, al di là delle apparenze, è tutto
rivolto al passato, circoscritto sostanzialmente allo sviluppo di musicisti/esecutori e al quale è
sostanzialmente precluso un approccio flessibile e largo ai saperi musicali contemporanei e al loro
utilizzo nei vari contesti sociali ed economici.
Quindi il primo elemento che andrebbe preso in considerazione è l’individuazione all’interno del
Liceo Musicale di una serie di percorsi di studio al fine di poter avviare molti studenti nel variegato
campo delle professioni e dei saperi musicali (dallo strumentista, al tecnico del suono, ecc.).
Queste possibili articolazioni potrebbero essere avviate nella direzione delle attuali discipline di
indirizzo.
Il secondo elemento è rappresentato dalla definizione dei criteri generali di costituzione
dell’organico di istituto. Nell’attuale fase transitoria esso è unicamente legato alle scelte degli
studenti. E’ chiaro che nella prospettiva della stabilizzazione di questo percorso è necessario che
venga individuato un organico base (ad esempio i tre quarti del totale) uguale per tutti i licei,
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mentre una parte potrà essere definito sulla base delle richieste che annualmente provengono
dagli studenti.
Terzo elemento che si sta insinuando pericolosamente è quello relativo alla definizione di brani
musicali standard da eseguire in prove che gli alunni effettuano davanti a “commissioni” costitute
dai docenti del Liceo Musicale e dai cui esiti scaturirebbe il voto da inserire nella scheda di
valutazione o una certificazione delle competenze. Si tratta di una modalità tipica dei vecchi
ordinamenti dei Conservatori, priva di una qualsiasi giustificazione normativa (il voto è attribuito
dal consiglio di classe), totalmente al di fuori del concetto di competenza come livello di
autonomia personale dell’alunno, in aperto conflitto con la libertà di insegnamento che ogni
docente ha nella scelta degli strumenti per raggiungere i risultati apprendimento previsti dagli
ordinamenti.
Quarto elemento è la necessità di chiarire il quadro orario di ciascuna disciplina. Ci riferisce in
particolare:
•
alle ore di primo strumento del primo biennio per “Esecuzione e Interpretazione”: 2 ore
frontali, come avviene nella maggior parte degli istituti, o un’ora frontale e un’ora di ascolto
partecipativo (attività non contemplata nel DPR 89/10 e dal D.I. 211/10), come avviene in
altri Licei Musicali?
•
alla disciplina di “Laboratorio di musica d’insieme” le cui ore, in base alle Indicazioni nazionali,
dovrebbero essere moltiplicate per quattro, modalità che non viene rispettata in numerose
istituzioni.
Quinto elemento è quello di mettere in campo tutte le possibili azioni finalizzate ad evitare che si
crei una frattura tra discipline di indirizzo e materie “comuni” che sarebbe una riproposizione,
sotto altre forme, della doppia scolarità che come, è stato prima sottolineato, è un elemento
tipico della tradizione italiana.
Infine non è più rinviabile la definizione delle specifiche classi di concorso e di modalità di
reclutamento a regime che facciano terminare al più presto l’attuale fase transitoria che si sta
prolungando oltre ogni limite.
Liceo coreutico
Questo percorso è stato completamente lasciato nelle mani dell’Accademia Nazionale di Danza.
Caso pressoché unico nel panorama nazionale, la stessa istituzione che, nell’ambito dell’alta
formazione, rilascia i titoli di studio di accesso per l’insegnamento in un percorso scolastico, cura
il reclutamento dei docenti del medesimo percorso. Si tratta di una situazione non più sostenibile
e che deve essere superata attraverso la presa in carico anche di questo indirizzo di studi da
parte del MIUR. Da segnalare che l’AND ha modificato la struttura ordinamentale di questo
indirizzo senza che ciò fosse stato recepito da atti normativi del MIUR.
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Allegato 2
Contributo della FLC CGIL sul tema dell’alternanza scuola lavoro
Il contributo che segue fa riferimento in particolare alle questioni relative all’alternanza scuola
lavoro nell’ambito del secondo ciclo del sistema educativo del nostro Paese, tenuto conto anche
delle proposte sull’argomento presenti in uno specifico capitolo del Piano scuola del Governo
Renzi che giudichiamo negativamente. Si conferma una idea di scuola che perde i connotati di
luogo democratico, sociale e culturale per essere piegata ai bisogni delle imprese.
Le idee qui
presentate rappresentano la base per ulteriori riflessioni sul tema del rapporto tra formazione e
lavoro in tutte le possibili declinazioni.
Aspetti di carattere generale
In premessa appare indispensabile definire il “campo da gioco” entro cui far rientrare l’alternanza
al fine di individuare una precisa direzione di marcia ed evitare che si continuino ad alimentare
equivoci inutili ed inopportuni.
Cosa non è l’ASL
•
L’alternanza non deve essere confusa con l’apprendistato, per una serie di ragioni abbastanza
evidenti:
o
non è un contratto di lavoro ma un percorso didattico
o
i percorsi sono progettati, attuati, verificati e valutati sotto la responsabilità
dell'istituzione scolastica
•
L’alternanza non può essere confusa con la formazione continua dei lavoratori finalizzata a
migliorare il livello di qualificazione e di sviluppo professionale delle persone che lavorano.
Un problema (non solo) terminologico
Occorre superare la “confusione terminologica” relativa al significato di stage, tirocinio, alternanza
scuola-lavoro. A questo proposito appare indispensabile riferirsi alle Linee Guida del triennio degli
istituti tecnici e professionali adottate con le Direttive 4 e 5 del 16 gennaio 2012 e pubblicate sulla
Gazzetta Ufficiale del 30 marzo 2012.
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Certificazione delle competenze
Senza voler entrare in specifici approfondimenti sull’argomento, appare tuttavia indispensabile
chiarire che si tratta di uno dei temi fonte di fortissimi fraintendimenti. Come è noto sul concetto
di competenza si confrontano/scontrano opzioni profondamente diverse. Molto schematicamente:
tra chi mette in rilievo l’aspetto di autonomia personale in contesti di studio e lavoro caratterizzati
da innovazioni continue (opzione “educativa” del concetto di competenza) e chi ritiene che la
“competenza” si riferisca principalmente al valore economico del lavoro praticato in contesti
“reali” (competenza intesa come concetto “economico”). In questo secondo caso i valutatori finali
non possono che essere il datore di lavoro e i clienti.
E’ chiaro che nell’ambito dell’alternanza scuola lavoro effettuata nei percorsi del secondo ciclo del
sistema educativo l’opzione educativa del concetto di competenza appare l’unica praticabile.
“Una freccia senza bersaglio”
E’ estraneo alle finalità dell’alternanza quello di dare una risposta ai “fabbisogni professionali del
territorio” o “richieste del mercato del lavoro”. Peraltro l’articolo 1 comma 1 del D.lgs. 77/05
descrive l’alternanza come modalità di realizzazione dei corsi del secondo ciclo.
Anche nelle Linee guida applicative del Decreto Legge 5/12 si afferma che occorre evitare “la
riproduzione di un’offerta formativa secondo una logica autoreferenziale o in risposta soltanto alla
domanda produttiva” (D.I. 7/2/2013: Linee Guida in attuazione dell’art. 52 del D.L. 5/12, Allegato
A, Premessa)
Intenzionalità educativa
L’esperienza in contesti lavorativi assume rilievo nell’ambito dei percorsi di “istruzione” se
connotata da una forte intenzionalità educativa correlata con il profilo e le competenze previste
dai percorsi della secondaria superiore. A tal proposito occorre respingere con forza qualsiasi
tentativo di delegittimazione delle istituzioni scolastiche attraverso un’operazione tutta ideologica
ed autoritaria secondo cui, in un contesto di istruzione rivolto ad adolescenti, una qualsivoglia
esperienza lavorativa assume rilievo per la costruzione del profilo in uscita dello studente della
secondaria superiore.
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Rilanciare l’alternanza scuola lavoro
“Bersaglio” fondamentale dell’alternanza scuola lavoro dovrebbe essere quello contribuire a
superare le tendenze alla iperspecializzazione, da un lato, o il rischio di una formazione generica e
astratta, dall’altro, che attraversano ancora la tradizione della Scuola italiana che risente di una
impostazione gentiliana difficile da superare.
Queste in sintesi alcune proposte della FLC sull’argomento.
1) La responsabilità e la progettazione dei percorsi in alternanza deve rimanere in capo alla
scuola.
2) Le attività attivate nell’ambito dell’alternanza scuola lavoro devono essere prioritariamente
finalizzate alla realizzazione del profilo educativo, culturale e professionale definiti dai
regolamenti della scuola superiore. Ciò al fine di dare una forte connotazione curriculare e di
intenzionalità educativa e progettuale ai percorsi.
3) Superare la dicotomia tra cultura umanistica e cultura scientifica, tra licei e istruzione tecnicoprofessionale, accentuata in maniera parossistica dal recente riordino della secondaria di II
grado. Correttamente intesa l’alternanza può contribuire in maniera significativa a ridurre la
divaricazione dei percorsi formativi di tali filiere, pesantemente accentuata dal recente
processo di riordino. Questo implica che tale offerta deve essere presente in tutte le filiere
della secondaria di II grado (Tecnici, Professionali e Licei).
4) Superare il modello proposto dal D. Lgs. 77/05 che identifica l'area comune con la dimensione
culturale di segno generale e l'area di indirizzo con la dimensione della professionalità. La
teoria e la pratica devono essere costantemente integrate ed avere carattere di circolarità.
5) I percorsi in alternanza devono essere articolati secondo criteri di gradualità e progressività
nel rispetto dello sviluppo personale e culturale degli studenti in relazione alla loro età
6) E’ estraneo alle finalità dell’alternanza quello di dare una risposta ai “fabbisogni professionali
del territorio” o “richieste del mercato del lavoro”. Essa invece può contribuire, anche in
maniera decisiva, a riorientare/confermare le scelte degli studenti.
7) Nei percorsi di alternanza devono avere adeguato spazio le problematiche relative agli
studenti disabili, agli studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) e con Bisogni
Educativi Speciali (BES).
8) Funzione tutoriale. Ribaltando le norme in vigore, è forte la spinta a individuare il tutor
esterno quale responsabile didattico – organizzativo del percorso in alternanza, mentre il tutor
interno avrebbe sostanzialmente funzioni di controllo dell’attività. Si tratta chiaramente di una
posizione non condivisibile e incoerente rispetto all’obiettivo di conseguire precisi risultati di
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apprendimento riferiti al profilo “completo” degli istituti tecnici o professionali e al profilo degli
studenti del sistema liceale come definiti dagli allegati ai regolamenti di riordino. Il rischio è
quello che l’apprendimento “professionalizzante” avvenga in realtà per copia e ripetizione del
“maestro”, in forma lineare non problematica. Si tratta della riproposizione di una cultura
pedagogica di ispirazione gentiliana che riduceva la didattica alla pedagogia e quest’ultima alla
filosofia,
ben
illustrata
dallo
slogan
“per
insegnare
una
cosa
basta
saperla
fare”.
Conseguentemente è necessaria la creazione/individuazione/rafforzamento di specifici profili
professionali all’interno di ciascun contratto collettivo nazionale di lavoro relativi alla
trasmissione di competenze/abilità/conoscenze utili nei percorsi in alternanza;
9) Individuare un quadro nazionale unitario delle caratteristiche delle imprese/laboratori in grado
di supportare i percorsi in alternanza. In particolare le imprese accreditate per i percorsi di
alternanza devono essere individuate sulla base di criteri riguardanti la propensione alla
ricerca e all’innovazione, il rispetto dei diritti contrattuali e adeguate risorse professionali. A
tal proposito appare totalmente irricevibile, oltre che disarmante, la proposta contenuta nel
Piano scuola del governo che prevede
che a fronte di contributi finanziari da parte delle
imprese alle scuole, queste ultime automaticamente riceverebbero in cambio, oltre ad
incentivi ed agevolazioni, anche la certificazione di struttura accreditata per l’alternanza.
10)
Prevedere forti investimenti nella formazione dei docenti delle discipline tecnico-
scientifiche che garantiscano un insegnamento consapevole che tenga conto dei risultati della
ricerca e degli sviluppi delle prassi nei contesti lavorativi
11)
Declinare il rapporto tra scuola/scuole e territorio. Occorre tenere ben presenti la
differenziazione delle opportunità in alcune aree del paese per la realizzazione dei percorsi in
alternanza. E’ necessario, pertanto, prevedere interventi di supporto nei territori più in
difficoltà.
12)
Le risorse. Da anni la FLC denuncia non solo la progressiva erosione delle risorse destinate
all’alternanza e provenienti fondamentalmente dalla ex legge 440/97, ma anche come la loro
quantificazione arrivi solitamente in tempi disallineati rispetto alla progettazione delle attività
formative, mentre non vi sono certezze sul loro effettivo accredito. Se l’alternanza è una
priorità e non una finzione da vendere alla Commissione Europea per dimostrare la pervasività
di tali percorsi nel sistema educativo italiano, è necessario semplicemente che il Governo
stanzi i fondi necessari. (Su questo aspetto vedi anche il precedente punto 9)
13)
I laboratori. Gli investimenti in laboratori (peraltro assai cospicui negli scorsi anni nelle
scuole delle regioni dell’Area Convergenza attraverso l’utilizzo dei Fondi Strutturali) e nella
formazione dei docenti potranno avere ricadute reali e durature, solo se inseriti in contesti di
filiera, soprattutto trasversali tra gli ordini di scuola (pensiamo alla “Manutenzione ed
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assistenza Tecnica” dei professionali con “Meccanica e Meccatronica” degli istituti tecnici, o la
filiera grafica presente nei Licei, Tecnici e Professionali; ma gli esempi potrebbero essere
tantissimi).
14)
Prevedere un coinvolgimento attivo delle parti sociali.
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