Capitolo 3

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Capitolo 3
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
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CAPITOLO
3
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LA LEGGE COSTITUTIVA
ELASTO-PLASTICA
3.1 Introduzione
Le microstruttura dei materiali policristallini è
all’origine del comportamento elasto-plastico che sarà
considerato e formalizzato in questo capitolo. Questo
comportamento è alla base del successo dei materiali
metallici in ambito strutturale. La funzione strutturale,
infatti, deve essere svolta soddisfacendo i requisiti
fondamentali di rigidezza e di resistenza, due
caratteristiche che i materiali metallici presentano in
modo peculiare. Le caratteristiche del legame metallico
conferiscono elevati valori di rigidezza e la possibilità,
quindi, di sopportare carichi elevati con limitate
deformazioni. Inoltre, il comportamento plastico,
originato dal moto e dalla generazione delle
dislocazioni come descritto nel capitolo precedente, ha
un’importanza centrale per gli aspetti tecnologici e le
prestazioni strutturali dei metalli. Tecnologicamente,
infatti, la plasticità consente l’applicazione di processi
di grande efficienza e precisione per la realizzazione di
parti strutturali e l’ottenimento di elementi metallici
semilavorati o finiti con le forme più svariate. Non
deve essere trascurato, tuttavia, anche il ruolo
strutturale della plasticità, che riduce la fragilità del
materiale, aumenta l’energia necessaria per portarlo a
rottura e conferisce un carattere progressivo ai
fenomeni di rottura. La plasticità, quindi, permette di
garantire l’integrità strutturale anche quando,
localmente, il materiale supera i limiti del campo
elastico ed è fondamentale per comprendere i criteri di
progetto applicati nelle strutture aerospaziali. La prima
parte del capitolo presenta gli aspetti di base del
comportamento
elasto-plastico
descrivendo
e
commentando i fenomeni che avvengono durante la
prova di trazione uniassiale di un provino metallico. La
seconda parte del capitolo, che può essere omessa per i
lettori in già possesso dei fondamenti della meccanica
dei continui, presenta i concetti di deformazione e
sforzo in stati di sforzo pluriassiali. Infine, l’ultima
parte del capitolo è dedicata alla formalizzazione della
legge costitutiva in campo elastico, dei criteri che
permettono l’individuazione del limite elastico dei
materiali e del comportamento in campo plastico.
3.2 Aspetti fenomenologici del
comportamento elasto-plastico
3.2.1
Sforzi e deformazioni in una prova di
trazione uniassiale
La prova di trazione uniassiale rappresenta
l’esperimento cardine per la caratterizzazione delle
proprietà dei materiali metallici. In estrema sintesi, la
prova consiste nell’applicazione di un carico a un
provino di materiale e nella misura dell’allungamento
di un tratto del provino stesso sotto l’azione del carico
applicato. Si esegue su provini di diverse tipologie e
misure, secondo il materiale da esaminare, come quelle
riportate in Figura 3.1.
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CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
La legge di applicazione del carico è impostata agendo
sul sistema di controllo della macchina di prova. La
prova può quindi avvenire applicando direttamente una
storia di carico al provino e, in questo caso, si definisce
controllata in forza. In alternativa, la prova può essere
eseguita imponendo una legge temporale di
spostamento alla parte mobile della macchina e il
sistema di controllo, grazie a un meccanismo di
retroazione, consentirà di applicare il carico necessario
a ottenere lo spostamento desiderato. In quest’ultimo
caso, la prova si definisce controllata in spostamento.
Le velocità di applicazione del carico o dello
spostamento sono, per il tipo di prova preso in esame in
questo paragrafo, molto basse e certamente tali da
permettere di assumere che il sistema evolva attraverso
una serie di stati di equilibrio.
La misura del carico applicato è eseguita da una cella
di carico, installata in serie fra il provino e una delle
due parti della macchina di prova. L’allungamento
misurato durante la prova non è lo spostamento della
parte mobile della macchina, ma si riferisce a un tratto
centrale del provino di materiale, a sezione costante. Si
deve considerare, infatti, che lo spostamento della parte
mobile della macchina non è uguale all’allungamento
del tratto a sezione costante del provino, ma comprende
anche l’allungamento delle parti di provino vincolate e
gli allungamenti o i giochi di tutto il sistema composto
da afferraggi, cella di carico, struttura fissa e mobile
della macchina.
Figura 3.1 - Forme e normative di provini per
la prova di trazione uniassiale
Una tipica modalità di esecuzione della prova è
schematizzata in Figura 3.2. Il provino è vincolato a
una macchina di prova attraverso due afferraggi, l’uno
solidale con una parte fissa e l’altro con una parte
mobile della macchina. Un sistema di attuazione,
idraulico o meccanico, è installato fra la parte fissa e
quella mobile e permette di applicare il carico al
provino.
Spostamento
Parte mobile
Per tale motivo, uno specifico strumento di misura,
generalmente un estensometro, è applicato al provino
nella zona centrale di misura. Tale strumento,
rappresentato in Figura 3.3, è in grado di misurare la
variazione della distanza fra due punti del provino
stesso, che, inizialmente, sono posti a distanza l0.
Cella di
carico
Attuatore
controllato in
forza o
spostamento
Estensometro
Forza
Parte fissa
afferraggi
Carico, P
Figura 3.3 - Estensometro installato su un
provino di trazione
La cella di carico e l’estensometro misurano il carico P
e l’allungamento 'l = l-l0 nella zona di misura del
provino. E’ intuibile che il carico P, da applicare per
ottenere un determinato allungamento 'l nella zona di
misura, sarà proporzionale alla sezione del provino, A0.
D’altra parte, se un tratto di lunghezza iniziale l0 di un
provino soggetto a un carico P subisce un
Allungamento, l – l0
Figura 3.2 - Schema di esecuzione della prova
di trazione uniassiale
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CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
allungamento 'l, un tratto di lunghezza iniziale doppia
andrà necessariamente soggetto ad un allungamento
doppio. L’allungamento è quindi proporzionale alla
lunghezza iniziale del tratto di misura.
La curva carico-spostamento ottenuta è pertanto
dipendente non solo dal materiale di cui è costituito il
provino, ma dalle dimensioni della sezione e dalla
lunghezza della zona di misura considerata. Le
precedenti considerazioni implicano che, dividendo il
carico per la sezione del provino e l’allungamento per
la lunghezza iniziale, si ottengono grandezze
indipendenti da tali caratteristiche geometriche.
In via preliminare, pertanto, si può definire uno sforzo
nominale o ingegneristico, dato dal rapporto fra il
carico applicato durante la prova e la sezione originale
del provino, A0 (Eq. 3. 1). Fissata la lunghezza della
zona di misura, quindi, si definisce inoltre una
deformazione nominale o ingegneristica come rapporto
fra l’allungamento della zona di misura e la sua
lunghezza iniziale (Eq. 3. 2).
Poisson ed è universalmente indicato con la lettera v.
La sua definizione è data in Eq. 3. 3.
Q
H~ trasv
H~
Eq. 3. 3
Il coefficiente di Poisson per i materiali isotropi deve,
per ragioni fisiche, essere minore di 0.5. Esso è
tipicamente compreso fra 0.0 e -0.5, sebbene possano
esistere materiali, detti auxetici, che presentano
coefficienti di Poisson negativi. I valori fra -1.0 e 0.0
sono infatti ammissibili.
r
r0
P
A0
Eq. 3. 1
V0
l l0
l0
Eq. 3. 2
H~
l
l0
'l
l0
X1
Assumendo che lo sforzo e la deformazione siano
costanti nella zona di misura del provino, la curva
sforzo-deformazione ottenuta misurando il carico e
l’allungamento e applicando le definizioni in Eq. 3. 1 e
Eq. 3. 2, è una caratteristica del materiale del provino.
Dimensionalmente, lo sforzo rappresenta una forza per
unità di superficie, [V0]=[F][L]-2, ed ha le unità di
misura di una pressione (Pa = Nm-2, nel SI). La
deformazione,
invece,
è
adimensionale.
La
deformazione è spesso espressa come deformazione
percentuale, moltiplicando per un fattore 100 il valore
ottenuto dall’Eq. 3. 2 o in termini di
microdeformazioni, PH, ottenute moltiplicando per 106
il valore fornito dall’Eq. 3. 2.
La deformazione nominale in Eq. 3. 2 misura
l’allungamento del provino nella direzione di
applicazione del carico, ma questa misura non descrive
completamente il cambiamento di configurazione che il
provino subisce durante la prova. Infatti, con
l’applicazione del carico di trazione, il provino si
allunga e, contemporaneamente, la sua sezione
trasversale si contrae. Tale contrazione dà luogo a una
deformazione trasversale H~ trasv .
Quando il provino si allunga la deformazione definita
in Eq. 3. 2 è positiva. Poiché la sezione si contrae
quando il provino si allunga, la deformazione
trasversale è, nella prova di trazione, negativa.
L’andamento del rapporto fra l’opposto della
deformazione trasversale e la deformazione nella
direzione di allungamento è una proprietà del
materiale. Tale rapporto è chiamato coefficiente di
x1
X2
X3
x2
x3
Figura 3.4 –– Processo deformativo di un
provino cilindrico durante la prova di
trazione uni assiale
La Figura 3.4 schematizza il processo di deformazione
durante la prova di trazione di un provino cilindrico. La
lunghezza passa da l0 a l, mentre il raggio diminuisce
da r0 a r. La deformazione trasversale, per il provino
cilindrico risulta:
H~ trasv
r r0
r0
Eq. 3.4
Poiché la sezione si contrae durante la prova, l’area
trasversale del provino, sulla quale agisce lo sforzo
cambia e, nella prova di trazione, diminuisce. Il valore
dell’area sulla quale effettivamente agisce lo sforzo
durante la prova è A < A0. Analogamente, si può
osservare che la deformazione definita in Eq. 3. 2
misura l’allungamento rispetto alla dimensione iniziale
della zona di misura, l0 che, durante la prova, cambia.
Pertanto gli sforzi e le deformazioni ingegneristiche,
definiti in Eq. 3. 1 e Eq. 3. 2 sono riferiti alle
dimensioni iniziali del provino e si pone il problema di
differenziare tali misure da quelle riferite alla
configurazione deformata.
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CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
Nella gran parte delle applicazioni strutturali dei
metalli, tale differenza è trascurabile, poiché il
materiale raggiunge, anche nelle condizioni di esercizio
più gravose, livelli di deformazione molto piccoli,
dell’ordine di 10-4y10-3 (0.01% y 0.1% o 100y1000
PH). Considerando il limite indicato in precedenza per
il coefficiente di Poisson, anche le deformazioni
trasversali saranno molto piccole.
A livelli di deformazione più elevati, quali quelli che
possono essere ottenuti nei processi di lavorazione dei
materiali, la variazione di configurazione può essere
tenuta in considerazione, utilizzando gli sforzi veri, o
di Cauchy, definiti in base alla sezione deformata del
provino, A.
La Figura 3.5 riporta l’andamento della deformazione
nominale e della deformazione logaritmica al variare
del rapporto fra lunghezza deformata e lunghezza
indeformata del tratto di misura. Appare evidente che
per piccole deformazioni le differenze siano
trascurabili. La differenza fra sforzo nominale e sforzo
vero è invece dipendente dal comportamento del
materiale, che determina la contrazione della sezione al
variare della configurazione.
3.2.2
P
A
Eq. 3. 5
Curve sforzo-deformazione di materiali
metallici elasto-plastici
La curva sforzo-deformazione nominale ottenuta in una
prova di trazione controllata in spostamento ha
tipicamente, per i materiali metallici elasto-plastico,
una forma riconducibile a una delle due tipologie
mostrate in Figura 3.6.
V
Anche le deformazioni possono essere riferite alla
configurazione deformata in cui si considera la
lunghezza effettiva l della zona di misura. A tale scopo
si introduce una deformazione incrementale
infinitesima dH, corrispondente a un allungamento dl
riferito alla configurazione indeformata, come in Eq. 3.
6.
V0, V
A’
A A’’
dl
l
Eq. 3. 6
C
B
dH
A
La deformazione vera, o logaritmica, si ottiene
integrando l’Eq. 3. 6 durante l’intero processo di
deformazione, che porta la zona di misura dalla
lunghezza l0 alla generica lunghezza l = l0 + 'l.
H
l
l
l0
l0
³ dH ³
dl
l
§ l
ln¨¨
© l0
·
¸¸
¹
§ l 'l ·
¸
ln¨¨ 0
¸
© l0 ¹
O
H
V0, V
C
A’’
ln 1 H~ A’
Eq. 3. 7
A
O
B
H
p
H
e
H
Figura 3.6 - Tipici andamenti delle curve
sforzo-deformazione in materiali elastoplastici
La curva permette di identificare diverse fasi che sono
legate a fenomeni che avvengono a livello
microstrutturale del materiale. In questo capitolo,
tuttavia, tali fenomeni saranno per lo più considerati,
classificati e modellati da un punto di vista
macroscopico, focalizzandosi sui loro effetti sulla
curva sforzo-deformazione. Tali effetti, d’altra parte,
sono quelli rilevanti per il progetto e l’analisi di
strutture realizzati con materiali metallici elastoplastici.
Figura 3.5 - Deformazione ingegneristica e
logaritmica al variare di l/l0
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CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
Da questo punto di vista è sicuramente riconoscibile, in
entrambe le curve riportate in Figura 3.6, un primo
tratto di curva in cui la risposta è lineare. In questo
tratto, OA, la rimozione del carico applicato comporta
il ritorno del provino alla configurazione indeformata.
Il comportamento del materiale si dice elastico-lineare
ed è caratterizzato dal fatto che il lavoro compiuto per
deformare il provino è conservato sotto forma di
energia elastica nel materiale ed è completamente
restituito rimuovendo il carico applicato, senza effetti
dissipativi.
Per lo stato di sforzo uniassiale corrispondente alla
prova, la relazione fra lo sforzo e la deformazione è
caratterizzata da una costante di proporzionalità, E, che
rappresenta il modulo elastico o modulo di Young del
materiale.
completamente rimosso, si può misurare il livello di
deformazione permanente, Hp. La deformazione totale
raggiunta durante la prova, può pertanto essere
decomposta in una parte elastica, He ed in una plastica
Hp, come formalizzato dall’Eq. 3. 9.
H He H p
Eq. 3. 9
Un aspetto particolarmente significativo delle
deformazioni plastiche è che l’evidenza sperimentale
mostra come esse si sviluppino mantenendo costante il
volume del materiale. Il processo di deformazione
plastica avviene dunque a volume costante e ciò ha una
conseguenza diretta sul valore del coefficiente di
Poisson, definito in Eq. 3. 3, in campo plastico.
Se si considera, infatti, un provino cilindrico come
quello rappresentato in Figura 3.4, la variazione di
lunghezza e la varazione di area per un incremento
infinitesimo di deformazione plastica, dHp, risultano:
V EH
Eq. 3. 8
Il modulo di Young rappresenta la pendenza della retta
V-H in campo elastico-lineare e ha dimensioni identiche
a quelle dello sforzo, essendo la deformazione
adimensionale. Il modulo di Young è uguale al valore
dello sforzo che è teoricamente necessario per ottenere
una deformazione pari a 1, cioè del 100%,
corrispondente al raddoppio della lunghezza del
provino per la definizione di deformazione
ingegneristica, riportata in Eq. 3.2,. Tale livello di
deformazione, com’è intuibile, è molto superiore a
quello cui possono essere sottoposti in realtà i materiali
metallici prima di subire rotture.
Dopo il tratto elastico-lineare, le curve possono anche
presentare un tratto AA’ che non è più lineare, ma è
sempre caratterizzato da un comportamento elastico e
implica, per definizione di elasticità, la restituzione
dell’intera energia di deformazione in assenza di
deformazioni residue allo scarico. L’elasticità, quindi,
non comporta necessariamente la linearità della
risposta. Il comportamento nel tratto OA è definibile
elastico e lineare, mentre nel tratto AA’ il
comportamento è solo elastico e il limite individuato
dal punto A è definito limite di proporzionalità.
Quando lo sforzo applicato supera il livello
corrispondente ad A’ si attivano meccanismi anelastici
che comportano la comparsa di deformazioni plastiche
permanenti. Tale fenomeno è definito snervamento del
materiale metallico e il carico al quale avviene è
definito limite di snervamento (VY).
Le deformazioni permanenti sono collegate al moto
delle dislocazioni e, a differenza delle deformazioni
che avvengono prima dello snervamento, sono
irreversibili. Quando il carico è rimosso, quindi, il
materiale non ritorna alla configurazione indeformata.
Tuttavia la comparsa delle deformazioni plastiche non
influenza la rigidezza del materiale in campo elastico.
Ciò è rilevabile dal comportamento del materiale allo
scarico: se lo sforzo è gradualmente rimosso dopo che
si è superato il limite A’ la curva sforzo-deformazione
allo scarico è una retta, con una pendenza identica a
quella del tratto OA’. Allo scarico, quando lo sforzo è
dl
ldH p
dA S r dr 2 Sr 2
Eq. 3.10
2Srdr
2Sr vrdH p
Se il volume rimane costante, la variazione di volume
dV deve essere nulla. I passaggi riportati in Eq. 3.11
dimostrano che la condizione dV =0 implica un valore
paro a 0.5 per il coefficiente di Poisson in campo
plastico.
A dAl dl Al
ldA Adl l 2Sr 2 vdH p Sr 2 ldH p lSr 2 2v 1dH p 0
dV
Ÿ v 0.5
Eq. 3.11
Dopo lo snervamento, i materiali metallici possono
presentare andamenti diversi. Nel comportamento in
Figura 3.6-A, tipico degli acciai dolci a basso tenore di
carbonio o degli acciai ricotti, lo snervamento è seguito
da una diminuzione dello sforzo, che si stabilizza su un
valore costante fino al punto A’’. In questo tipo di
comportamento, lo snervamento è immediatamente
rilevabile. Il valore di sforzo corrispondente ad A’ è
detto limite di snervamento superiore, mentre quello
corrispondente ad A’’ è detto limite di snervamento
inferiore. Quest’ultimo valore di sforzo è il limite
convenzionalmente utilizzato come carico di
snervamento nelle progettazione strutturale con questo
tipo di materiali. Nella curva sforzo-deformazione
descritta in Figura 3.6-A, il livello di sforzo si
mantiene costante dopo lo snervamento, fino a un
punto B, oltre il quale lo sforzo torna a salire. Il
comportamento fra A’’ e B è detto comportamento
perfettamente plastico.
In Figura 3.6-B è rappresentato il comportamento di
tipico di altri materiali metallici elasto-plastici, quali,
ad esempio, le leghe di alluminio, gli acciai legati o le
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CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
positivo dV che riesce, tuttavia, appena a compensare la
riduzione di area dA. Poiché, come sarà evidenziato
anche in seguito, la deformazione plastica avviene
pressoché a volume costante, è possibile legare la
variazione di area alla deformazione, applicando i
seguenti passaggi:
leghe di titanio. In questo tipo di comportamento non è
possibile identificare con chiarezza lo snervamento del
materiale e si usa un limite convenzionale, basato su un
livello pre-definito di deformazione plastica
sviluppatasi dopo l’attivazione dei meccanismi
anelastici. Tipicamente, si definisce come limite di
snervamento, il livello di sforzo cui corrisponde, allo
scarico, una deformazione plastica dello 0.2%. Tale
punto è indicato da A’’ in Figura 3.6-B,
In entrambi i casi riportati in Figura 3.6, dopo lo
snervamento e l’eventuale fase di comportamento
elastico-perfettamente plastico, lo sforzo ingegneristico
aumenta. E’ quindi necessario incrementare lo sforzo
applicato per generare altre deformazioni plastiche.
Questo fenomeno è noto con il nome di incrudimento.
Il valore dello sforzo ingegneristico sale fino al valore
massimo nel punto indicato con C in entrambe le curve
presentate in Figura 3.6. Si osservi che il provino, nella
condizione indicata con C, non è rotto, ma che
comunque il corrispondente livello di sforzo è il valore
massimo, ingegneristico, che può essere trasmesso
attraverso il provino. Tale valore è definito carico
unitario a rottura o resistenza a trazione del materiale
(VU). In corrispondenza di tale punto si può definire
una deformazione a rottura, HU. Questo valore di
deformazione non deve essere mai essere confuso con
l’allungamento a rottura, che verrà definito in seguito.
In realtà, oltre il punto C, gli andamenti degli sforzi
veri e degli sforzi ingegneristici divergono in modo
rilevante. L’andamento degli sforzi veri è
qualitativamente rappresentato in Figura 3.6 dalle linee
tratteggiate. Il brusco incremento della divergenza fra
le due misure di sforzo è dovuto al meccanismo di
cedimento del provino, che si attiva in prossimità dello
sforzo ingegneristico di rottura e che, per i materiali
metallici, è tipicamente caratterizzato da un fenomeno
definito strizione. A livello semplificato il fenomeno
può essere compreso con alcune considerazioni di base.
Infatti, lo sforzo ingegneristico V0 non è altro che il
carico P, applicato al provino, diviso per il fattore
costante A0. Il carico è però dato dal valore dello sforzo
vero, V (che dipende dal livello di deformazione
raggiunto secondo la curva sforzi veri-deformazioni
vere) per l’area effettiva A, che, durante la prova di
trazione, si contrae. La variazione del carico dP è
pertanto data da:
V Al cost
Ÿ dV ldA Adl
dA dl
Ÿ
H
A
l
Eq. 3. 14
Applicando l’Eq. 3. 14 nella condizione riportata in
Eq. 3. 13 si ottiene:
dV
dV
dH Ÿ
dP 0 Ÿ
V
V
dH
Eq. 3. 15
L’Eq. 3. 15 mostra che quando la pendenza della curva
sforzi veri – deformazione vere, che tende a diminuire
come indicato in Figura 3.6, eguaglia il valore dello
sforzo, il carico P non può aumentare.
Conseguentemente la curva sforzi-deformazioni
ingegneristica avrà un massimo.
Poiché il materiale non è omogeneo a livello micro
strutturale, non tutte le sezioni giungeranno
contemporaneamente alla condizione indicata dall’Eq.
3. 15 , ed il processo di cedimento inizierà in una
determinata zona del provino. Dal verificarsi di tale
condizione in poi, tuttavia, il carico trasmesso
attraverso le sezioni coinvolte nel processo può solo
diminuire e, poiché le sezioni sono poste in serie nel
provino, deve diminuire il carico applicato al provino.
Ciò comporta che le altre zone, che erano giunte in
prossimità della condizione descritta in Eq. 3. 15,
iniziano a scaricarsi elasticamente, poiché sarebbe
necessario un incremento di carico per giungere in
corrispondenza dello sforzo al quale la condizione è
verificata.
Queste considerazioni indicano come la deformazione
debba localizzarsi in una zona limitata del provino, che
soggetta a sforzi veri crescenti e a crescenti contrazioni
dell’area diviene la sede del fenomeno della strizione
rappresentato in Figura 3.7. Nell’area effettiva della
zona soggetta a strizione lo sforzo vero aumenta, ma lo
sforzo ingegneristico, che rappresenta il carico totale
applicato al provino, diminuisce.
In seguito alla strizione la curva sforzi-deformazioni
ingegneristica può tipicamente presentare un tratto
discendente, prima della rottura vera e propria. Si
osservi, tuttavia, che in tale tratto il concetto di
deformazione ingegneristica perde di significato,
poiché, a seguito della localizzazione delle
deformazioni, la deformazione non è più uniforme
nella zona di misura. Il livello di deformazione
ingegneristico misurato in tale fase è quindi un valore
medio nella zona di misura di lunghezza iniziale l0, che
è molto differente dai livelli di deformazione raggiunti
localmente nella zona di strizione e che dipende in
dP VdA AdV
Eq. 3. 12
Il carico massimo, corrispondente al punto di
stazionarietà nell’andamento dello sforzo ingeristico
(che corrisponde al punto C in Figura 3.6), si ottiene
quando dP=0. Applicando l’Eq. 3. 12 risulta:
dP
0 Ÿ
dV
V
0
dA
A
Eq. 3. 13
L’Eq. 3. 13 indica che il carico massimo può
raggiungersi anche in presenza di un incremento
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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
modo sostanziale dalla lunghezza l0 della zona di
misura. Tuttavia, l’allungamento cui è soggetto un
tratto di lunghezza definita del provino, all’interno del
quale avviene la rottura, indica la capacità del materiale
di deformarsi in campo plastico senza presentare
fratture. Tale indice è definito allungamento a rottura,
ma è difficilmente misurabile dall’andamento della
curva sforzo-deformazione ingegneristica.
3.2.3
Lavoro di deformazione e tenacità
L’applicazione di uno stato di sforzo a un continuo
provoca, in generale, un processo di deformazione. Il
legame fra lo sforzo applicato e la deformazione
ottenuta è detto legge costitutiva (o risposta costitutiva)
del materiale.
Senza specificare tale legame, si può affermare che lo
sviluppo di deformazione comporta che le componenti
dello stato di sforzo svolgano un lavoro durante il
processo di deformazione, detto lavoro di
deformazione.
Per ottenere un’espressione del lavoro di deformazione
occorre far procedere il processo di deformazione sotto
l’azione dello stato di sforzo per successivi incrementi
infinitesimi.
V
A
du d du dX
dX
l
dX
du
V
X
Y
Figura 3.7 - Strizione in provini metallici nella
prova di trazione uniassiale
Z
La procedura corretta per misurarlo consiste nel
contrassegnare con tacche equidistanti il provino e
nell’avvicinare i lembi del provino spezzato dopo la
prova. La misura dell’allungamento percentuale subito
da un tratto all’interno del quale si è verificata la
localizzazione delle deformazioni e la strizione, è
definito allungamento percentuale a rottura, ed
indicato con AR. Tale allungamento è una misura della
duttilità del materiale, cioè della possibilità di
deformarlo plasticamente senza indurre la formazione
di fratture. I materiali duttili presentano tipicamente
una marcata strizione nella prova di trazione uniassiale.
Un ulteriore misura della duttilità è la riduzione di area
della sezione trasversale in cui si è verificata la
strizione rispetto all’area originale del provino. In
prima, approssimazione, la conoscenza della
deformazione in corrispondenza dello sforzo di rottura,
HU, può fornire una indicazione della duttilità del
materiale.
Figura 3. 8 –– Lavoro di deformazione in una
prova di trazione uniassiale
La Figura 3. 8 si riferisce a una barra di area A e
lunghezza l, soggetta a una trazione uniassiale, sotto
l’azione di uno sforzo V uniforme nella sua sezione
trasversale, che è perpendicolare all’asse X del sistema
di riferimento. Lo sforzo può essere fatto aumentare
gradualmente, per permettere di considerare il
fenomeno come una successione di stati di equilibrio, e
a ciascun livello di sforzo V far corrispondere un
incremento infinitesimo di spostamento du, nella
direzione X, che determina l’allungamento dl del
provino. Si consideri l’incremento di allungamento di
un tratto lungo dX. La sezione inferiore della porzione
infinitesima, rappresentata in Figura 3. 8, sarà soggetta
ad uno spostamento du, mentre lo spostamento della
sezione superiore sarà du+(d(d u)/dX).
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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
Il lavoro infinitesimo svolto nella porzione dX della
barra è pari alla forza risultante, AV, per gli
spostamenti di entrambe le sezioni. Poiché d(du)/ dX è
il rapporto fra l’allungamento (infinitesimo) del tratto
inizialmente lungo dX e la sua lunghezza iniziale, esso
rappresenta una deformazione infinitesima dH e risulta:
V
H
wd
§
§ d du · ·
AV ¨¨ du ¨
¸dX ¸¸ AVdu
© dX ¹ ¹
©
dWd
§ d du ·
AV ¨
¸dX
© dX ¹
Eq. 3. 16
0
O
AVdHdX
H
Figura 3.9 - Rappresentazione grafica del
lavoro di deformazione per unità di volume
Per un incremento di allungamento dl, infatti, la forza
applicata alla zona di misura compie un lavoro
infinitesimo dW = Fdl. Se si considera che la
deformazione è, per l’ Eq. 3. 6, dH = dl/l, si giunge
all’Eq. 3.20.
Il lavoro calcolato nell’Eq. 3. 16 si riferisce a un tratto
di barra di lunghezza dX. L’espressione può essere
integrata in tutta la barra, che è soggetta a uno stato di
sforzo-deformazione uniforme, ottenendo:
dWd AlVdH
Eq. 3. 17
H
W
³
H
Fdl
0
Il lavoro in Eq. 3. 17 è sempre infinitesimo poiché si
riferisce ad un incremento di deformazione dH, sebbene
sia riferito all’intera barra, di volume V. E’ possibile
definire il lavoro di deformazione per unità di volume,
dato da:
³
0
H
VAldH
³
Al VdH
0
Eq. 3.20
Poiché Al rappresenta il volume della zona di misura,
l’Eq. 3.20 mostra che l’area sottesa alla curva sforzi
veri – deformazioni vere fino ad un determinato livello
di deformazione, è il lavoro per unità di volume
applicato al materiale, come già visto in Figura 3.9.
Per portare il materiale a rottura è quindi necessario
compiere un lavoro per unità di volume pari all’intera
area sottesa sotto la curva sforzi veri-deformazioni
vere. Questa energia specifica per unità di volume, che
deve essere fornita al materiale per portarlo a rottura, è
un’importante caratteristica meccanica del materiale ed
è chiamata Tenacità. La tenacità indica quindi quanta
energia il materiale può assorbire localmente senza che
si producano fratture e influenza una serie di proprietà
del materiale di grande importanza in ambito
tecnologico e strutturale. Ad esempio, aspetti
caratteristiche che sono grandemente influenzate dalla
tenacità sono la capacità di una struttura di tollerare,
senza la formazione di fratture, la presenza di difetti,
dovuti a processi tecnologici o a urti e la capacità di
assorbire energia durante un impatto.
La tenacità di un materiale non è immediatamente
misurabile dalla curva sforzi-deformazioni, soprattutto
poiché, dopo la strizione, la distribuzione degli sforzi e
delle deformazioni non è più omogenea e la curva
sforzi-veri deformazioni non può più essere ottenuta
con facilità. Tuttavia la curva sforzi-deformazioni
fornisce un’indicazione significativa del livello di
tenacità del materiale. In particolare, è possibile
comparare indicativamente la tenacità di due materiali
(o dello stesso materiale, sottoposto a diversi
trattamenti termici) valutando l’area sottesa alla curva
sforzi-deformazioni fino alla strizione e quindi fino alla
deformazione corrispondente allo sforzo di rottura, HU.
Nel caso presentato in Figura 3.11, ad esempio, il
materiale A è sicuramente più resistente del materiale
dl d VdH
Eq. 3. 18
Il processo di deformazione, compiuto sotto l’azione
dello sforzo V, può essere fatto progredire fino a uno
stato finale di deformazione, H. Si osservi, che
nell’ambito dell’ipotesi di deformazioni infinitesime,
anche la deformazione H sarà infinitesima, ma non è da
confondersi con l’incremento di deformazione
infinitesima dH. Integrando l’Eq. 3. 18 si perviene
all’espressione del lavoro di deformazione, per unità di
volume, necessario per far arrivare il materiale a uno
stato V-H.
H1
wd
³ VdH
³VdH
0
Eq. 3. 19
Il lavoro di deformazione per unità di volume è
pertanto l’area sottesa alla curva sforzi-deformazioni,
come illustrato in Figura 3.9.
Il lavoro di deformazione compiuto dagli sforzi durante
il processo di deformazione nell’intera prova di
trazione uniassiale, corrisponde al lavoro delle forze
esterne e quindi all’energia fornita al provino per
portarlo a rottura. Si osservi, infatti, che il legame fra
area sottesa alla curva sforzo-deformazione e lavoro
compiuto, può essere facilmente ottenuto considerando
le definizioni di sforzo e deformazione vere date nelle
Eq. 3. 5 e Eq. 3. 6.
8
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
B, che è tuttavia in grado di subire deformazioni molto
più grandi prima della strizione ed ha una maggiore
tenacità.
processi tecnologici e la risposta strutturale in presenza
di deformazioni plastiche.
La validità delle approssimazioni introdotte in tali
idealizzazioni del comportamento elasto-plastico
dipende dall’applicazione. In alcuni ambiti,
approssimazioni
molto
schematiche
del
comportamento potranno essere adeguate per ottenere
affidabili valutazioni quantitative, mentre in altri casi il
comportamento dovrà essere rappresentato con
maggiore dettaglio.
La più semplice di tali idealizzazioni è il
comportamento rigido-perfettamente plastico che
considera trascurabili le deformazioni elastiche e
l’incrudimento del materiale (Figura 3.11-A). Se
l’incrudimento è invece ritenuto un aspetto non
trascurabile, si può passare a un generico
comportamento rigido-plastico con incrudimento
lineare, rappresentato in Figura 3.11-B.
V
Materiale A
Materiale B
Materiale C
H
Figura 3.10 ––Confronto fra la tenacità e la
resistenza di due materiali
Si osservi che il materiale C, che è verosimilmente più
duttile del materiae B, poiché presenta probabilmente
un maggiore allungamento a rottura, è tuttavia meno
tenace di B, poiché richiede una minore energia per
essere portato a rottura. Tuttavia, i materiali più tenaci
hanno anche, in generale, buona duttilità e presentano
quindi grandi allungamenti a rottura. La rottura di un
metallo con una curva simile a quella del materiale A
in Figura 3.10 avviene tipicamente senza un’evidente
strizione e con basso allungamento a rottura. Un
materiale di questo tipo si dice fragile, mentre un
materiali con una curve simili a quelle dei materiali B e
C, si dicono duttile.
L’integrale dell’area sottesa sotto la curva sforzodeformazione fino al valore di sforzo di rottura VR è
detto modulo di tenacità, ed ha la definizione riportata
in Eq. 3.21.
V
A’’
O
A
V
VR
³ VdH
T
H
C
A’’
0
Eq. 3.21
In assenza dell’intera curva sforzo-deformazione è
possibile approssimare il modulo di tenacità mediante
di valori di sforzo di snervamento, di rottura e di
deformazione a rottura, come indicato in Eq. 3.22.
T
V Y V U
2
Eq. 3.22
3.2.4
O
H
B
HU
Figura 3.11 - Idealizzazioni rigido-plastiche
del comportamento del materiale
Il tratto elastico può essere incluso nel modello
semplificato del materiale, sempre schematizzando il
comportamento plastico con un tratto a sforzo costante
(comportamento
elastico-perfettamente
plastico,
schematizzato in Figura 3.12-A) o con un tratto a
pendenza costante (comportamento elasto-plastico bilineare, schematizzato in Figura 3.12-B).
Idealizzazioni del comportamento elastoplastico
L’andamento della curva sforzo-deformazione è, in
generale, piuttosto complesso ed esistono diversi
approcci per approssimare la curva a forme più
semplici. Le semplificazioni introdotte hanno in genere
l’obiettivo di permettere una formalizzazione più
semplice del comportamento elasto-plastico da
introdurre in formulazioni teoriche per modellare il
comportamento dei materiali in condizioni complesse, i
9
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
V
H H s H n
V
Eq. 3.25
A’’
V
A’’
O
H
C
H = H(V) o
V = V(H)
A
O
V
C
A’’
Figura 3.13 - Approssimazioni analitiche
3.2.5
O
H
Figura 3.12 - Idealizzazioni elasto-plastiche
del comportamento del materiale con
incrudimento linerare
I modelli più completi considerano un tratto elastico
lineare e introducono un’espressione analitica della
curva della curva sforzo–deformazione nel tratto AC.
Tali espressioni analitiche dipendono da parametri che
sono calcolati in modo da minimizzare la differenza fra
la
curva
sforzi-deformazione
effettiva
e
l’approssimanzione
analitica.
Una
delle
approssimazioni più utilizzate è quella di RambergOsgood (1943) che è riferita alla curva sforzi veri –
deformazioni vere e dipende da due parametri, H ed n,
come indicato in Eq. 3. 23.
V
§V ·
H¨ ¸
E
©E¹
Eq. 3. 23
n
L’approssimazione di Voce (1948), espressa in forma V
= V(H) utilizza come parametri il limite di
snervamento, VY, e il limite di rottura, VU, ed un
parametro n come espresso in Eq. 3. 24.
V
V Y V U V Y 1 e nH
Aspetti fisici del comportamento plastico
Come descritto nel Cap. 2, dedicato alla struttura dei
materiali policristallini, la deformazione in campo
elastico comporta lo spostamento degli atomi della loro
posizione di minima energia nel reticolo cristallino.
Tale deformazione è reversibile e l’energia applicata
per la deformazione è restituita se il carico è rimosso.
Le deformazioni plastiche sono invece irreversibili e
sono il risultato dello spostamento irreversibile di una
parte del reticolo cristallino rispetto al resto. Questi
spostamenti sono a loro volta riconducibili al moto
delle dislocazioni presenti nei reticoli cristallini, che
rappresentano imperfezioni nella struttura del reticolo e
alla generazione di nuove dislocazioni a causa degli
sforzi applicati (cfr. il meccanismo definito sorgente di
Frank-Read, descritto nel cap. 2).
Il moto delle dislocazioni è in prima approssimazione
indotto dagli sforzi di taglio che agiscono nel materiale.
Lo sforzo critico risolto o sforzo di Peierls-Nabarro,
introdotto dall’Eq. 3.2.2 del Cap. 2, è lo sforzo
necessario per muovere una dislocazione ed è, appunto,
uno sforzo di taglio.
E’ necessario introdurre alcuni concetti sulla natura
dello sforzo per illustrare come si possano sviluppare
sforzi di taglio nella prova di trazione uniassiale.
Infatti, nella descrizione della prova è stato introdotto
lo sforzo V, la cui risultante sull’area A equivale al
carico P applicato al provino. Trascurando in questa
sede la differenza fra sforzo ingegneristico e sforzo
vero, va osservato che lo stato di sforzo dipende in
realtà dalla giacitura della superficie su cui esso agisce.
Lo sforzo V che è stato definito nel par. 3.2.1 agisce in
una sezione ottenuta tagliando il provino con un piano
perpendicolare all’asse longitudinale del provino
stesso. Variando la giacitura della sezione, ad esempio
cambiando l’angolo - indicato in Figura 3.14, si
ottiene un valore diverso dello sforzo, V-. Lo sforzo V
introdotto nel par. 3.2.1, inoltre, rappresenta un tipo
particolare di sforzo che è caratterizzato dalla proprietà
B
H
H
Eq. 3. 24
Infine, in Eq. 3.25, è riportata l’approssimazione di
Swift (1947), riportata in Eq. 3.25, anch’essa nella
forma V = V(H) con tre parametri di calibrazione: H, HS
ed n.
10
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
i. Effetto dei bordi dei grani cristallini, che
possono saltare dalle dislocazioni applicando
sforzi maggiori a quelli necessari per muovere
la dislocazione all’’interno del grano.
ii. La presenza di precipitati dispersi nei grani del
materiale, composti da elementi di lega
introdotti nella composizione del materiale
metallico
iii. Moltiplicazione delle dislocazioni e mutua
interferenza con generazione di microautotensioni e di difficoltà cresecenti al moto
delle dislocazioni stesse.
di essere diretto perpendicolarmente alla sezione su cui
agisce. Si deve però osservare che, attraverso una
sezione ricavata in un solido, possono trasmettersi
anche componenti di sforzo paralleli alla sezione
stessa, che sono chiamati sforzi di taglio ed indicati, in
generale, con il simbolo W-.
Se si ricava una sezione tagliando con un piano avente
diversa giacitura rispetto a quella normale all’asse del
provino, nella sezione agirà, oltre a V-, anche uno stato
di sforzo di taglio che dipende dalla giacitura -, come
indicato in Figura 3.14. L’espressione dello sforzo Win funzione di -, riportata in Figura 3.14, è un caso
particolare delle formule che esprimono la variazione
dello stato di sforzo con la giacitura, che saranno
trattate in seguito.
Nella prova di trazione uniassiale, il massimo dello
sforzo di taglio si ottiene per giaciture corrispondenti a
-=45°. Per questo motivo, sotto alcune condizioni, lo
snervamento può essere evidenziato dalla formazione
di bande di scorrimento che si manifestano come linee
sottili inclinate a 45° sulla superficie del provino
(bande di Lüders o Lueders).
P
P
Tali meccanismi sono stati trattati in dettaglio nel cap.
2. E’ comunque interessante sottolineare come i primi
due tipi di ostacoli alla generazione e al moto delle
dislocazioni spieghino le influenze sul comportamento
plastico dei metalli dell’aggiunta di elementi di lega e
dei trattamenti termici, che modificano la
microstruttura del materiale (formazioni di soluzioni
solide, precipitazione degli elementi di lega, modifica
delle dimensioni dei grani cristallini).
Il terzo punto (iii), invece, è all’origine del fenomeno
dell’incrudimento e cioè l’incremento necessario dello
sforzo per generare deformazioni plastiche, descritto
nel par 3.2.2.
In sintesi, l’applicazione dello sforzo aumenta
inizialmente la distanza fra gli atomi del reticolo
cristallino, producendo una deformazione elastica e
reversibile. Quando lo stato di sforzo supera la soglia
necessaria per attivare la generazione e il moto delle
dislocazioni (indicativamente quando gli sforzi di
taglio raggiungono una determinata soglia), il reticolo
si modifica irreversibilmente e si sviluppano
deformazioni plastiche.
Se il comportamento è elastico-perfettamente plastico,
non è necessario un nuovo incremento di sforzo per
generare altre deformazioni plastiche, e la curva
sforzo-deformazione ingegneristica avrà l’aspetto
riportato in Figura 3.15-A. Questo comportamento è
tuttavia una idealizzazione cui possono avvicinarsi
alcuni tipi di materiali ma, in generale, l’interazione fra
la generazione ed il moto di molteplici dislocazioni
provocherà incrudimento e la necessità di incrementare
lo sforzo per sviluppare ulteriori deformazioni
plastiche, come indicato in Figura 3.15-B. Sulla base
delle definizioni di sforzo e di deformazione
ingegneristica (Eq.ni 1 e 2 ) si può comunque
affermare che sarà necessario compiere un lavoro, dato
dall’integrale del carico P per l’allungamento dl della
zona di misura, per deformare plasticamente il provino
anche nel caso di materiale elastico-perfettamente
plastico.
P
WV
W-
VP
sin - cos - A0
P
Figura 3.14 - Sforzi di taglio in una prova di
trazione uniassiale
Come si può evincere dalla trattazione svolta nel cap.
2, gli sforzi interni al materiale policristallino devono
superare una serie di ostacoli per attivare e far
proseguire il moto delle dislocazioni e produrre
deformazioni permanenti.
Tali ostacoli hanno pertanto un’influenza diretta sul
limite di snervamento e sul successivo andamento della
curva sforzi-deformazioni. Essi sono stati descritti nel
cap. 2 e possono essere schematicamente riassunti
nell’elenco seguente:
11
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
E’ importante osservare che un aumento di sforzo,
quale quello necessario per generare nuove
deformazioni plastiche nel materiale incrudente,
corrisponde sempre a un incremento di deformazione
elastica poiché, se lo sforzo aumenta, anche la distanza
fra gli atomi nei reticoli cristallini, che rappresenta la
deformazione elastica reversibile aumenta. Infatti, se
consideriamo la decomposizione delle deformazioni in
deformazione elastica e plastica, introdotta nell’Eq.
3.7, e’ sempre possibile scrivere:
V
A1
A3
V
A4
A2
O
H
Hp(A1)
A
He
V
E
Eq. 3.9
V
V
Pertanto, se in A3 lo sforzo V è maggiore che in A1,
anche la corrispondente deformazione elastica, HeA3,
sarà maggiore di quella in A1, HeA3, come indicato in
Figura 3.15-B. Nel caso di materiale elastico
perfettamente-plastico, al contrario, la deformazione
elastica fra A1 ed A3 non cambia.
Se giunti ad A3 si considera un nuovo ciclo di scarico
fino a uno stato caratterizzato da uno sforzo non nullo,
V , si raggiunge lo stato indicato come A4 in Figura
3.15.
Si osservi che, nell’ambito del comportamento elastoplastico, la stato di deformazione corrispondente ad un
determinato livello di sforzo non è più univocamente
definito. Infatti, dato il valore V , lo stato del materiale
potrebbe essere rappresentato da uno qualsiasi dei punti
sulla retta orizzontale di ordinata V . L’effettivo stato
del materiale, dunque, non dipende più solo dal valore
dello sforzo applicato, come avviene in campo elastico.
Per definirlo è anche necessario conoscere la storia di
carico cui è stato sottoposto il materiale stesso.
Un altro aspetto di questa dipendenza è dato da un
fenomeno che può verificarsi all’inversione del carico.
Se il carico passa da trazione a compressione, i valori
dei massimi sforzi di taglio, dati dall’espressione
riportata in Figura 3.14, rimangono uguali. Ci si
aspetta, quindi, che il materiale abbia un
comportamento elasto-plastico simmetrico a trazione e
compressione, e che, di conseguenza, il limite di
snervamento a compressione sia uguale a quello a
trazione. Questa ipotesi è in generale verificata per il
materiale allo stato vergine. Per un materiale che ha
subito un incrudimento, il comportamento simmetrico
dovrebbe implicare un identico incremento del valore
assoluto del limite di snervamento a trazione e a
compressione. Con riferimento alla Figura 3.16,
pertanto, se dopo lo scarico del provino si applica uno
stato di sforzo a compressione, il limite di snervamento
dovrebbe situarsi al valore corrispondente ad A’3, che,
in valore assoluto, corrisponde uno sforzo uguale a
quello di trazione, in A3. In realtà le microautotensioni
accumulatesi nel materiale durante il ciclo di carico a
trazione possono ridurre il valore assoluto del limite di
snervamento che può situarsi, indicativamente, in
corrispondenza di A5, come indicato in Figura 3.16. Il
modulo del limite di snervamento a compressione
diviene quindi inferiore a quello dovuto ad un processo
A4
A2
O
B
A3
A1
H
p
A1
HeA1
H
HeA3
Figura 3.15 - Sviluppo di deformazioni
plastiche
in
un
materiale
elasticoperfettamente plastico ed in un materiale
incrudente
In ogni caso, a seguito dello sviluppo di deformazioni
plastiche, si verifica un cambiamento irreversibile
rispetto allo stato originale, cui ci si riferisce come
stato vergine. Se, giunti in uno stato di sforzodeformazione oltre lo snervamento, indicato con A1 in
Figura 3.15, il carico è rimosso, solo la deformazione
elastica è recuperata, ristabilendo le distanze originarie
fra gli atomi dei reticoli cristallini, ma gli spostamenti
relativi fra le parti dei reticoli dovuti al moto delle
dislocazioni rimangono impresse nella microstruttura
del materiale. Pertanto, allo scarico, il percorso seguito
nel piano V-H dallo stato di sforzo-deformazione del
materiale è una retta con inclinazione uguale alla
pendenza iniziale, pari al modulo di Young E, fino allo
stato A2 che è caratterizzato da uno sforzo nullo (come
in O) e dalla deformazione plastica Hp(A1).
Se il materiale è nuovamente sottoposto a sforzo, non
si genereranno deformazioni plastiche fino al
raggiungimento dello sforzo necessario a muovere o
generare dislocazioni che, per un materiale incrudente,
non è più pari al limite di snervamento del materiale
vergine, ma dipende in generale dalla deformazione
plastica sviluppata nella storia precedente del
materiale.
Superato A1, la generazione di nuove deformazioni
plastiche, ad esempio fino al punto A3 indicato in
Figura 3.15, avviene a parità di sforzo, per il materiale
elastico-perfettamente plastico o con ulteriore
incremento di sforzo, per il materiale incrudente.
12
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
di incrudimento a trazione. Tale fenomeno è noto con il
nome di Effetto Bauschinger e rappresenta, pertanto, un
ulteriore possibile effetto della storia di carico sulle
caratteristiche del materiale.
storia di carico del materiale per definire il
legame fra sforzi e deformazioni nel
materiale.
3.2.6
V
O
A1
A2
A3
Il comportamento elasto-plastico descritto nei
precedenti paragrafi può essere significativamente
influenzato dall’effetto della temperatura. Tuttavia, a
temperature
minori
della
temperatura
di
ricristallizzazione, definita nel cap. 2, gli aspetti
globali, qualitativi, del comportamento non cambiano
ed è possibile sempre identificare un comportamento
elastico, un limite di snervamento ed osservare i
fenomeni di incrudimento.
L’effetto dunque, sotto la temperatura di
ricristallizazione, è soprattutto quantitativo. L’aumento
di temperatura diminuisce lo sforzo di snervamento,
aumenta l’allungamento a rottura e favorisce,
complessivamente, la duttilità e la tenacità a scapito del
limite di snervamento e dello sforzi di rottura.
A4
H
A5
A’3
Figura 3.16 - Effetto Bauschinger
V
In conclusione, la discussione degli aspetti fisici del
comportamento elasto-plastico rende evidenti alcuni
punti che sintetizzano alcuni aspetti essenziali del
comportamento elasto-plastico:
x
x
x
x
x
x
x
Dipendenza del comportamento elastoplastico dalla temperatura e dalla velocità di
deformazione
T
T1
T2
T3
il comportamento iniziale del materiale è
elastico e lineare, caratterizzato da un modulo
di Young che dipende dalla forza del legame
metallico e dalla distanza fra gli atomi nel
reticolo cristallino;
Se in campo elastico il carico è rimosso, la
deformazione è interamente recuperata e il
legame sforzi-deformazioni è univocamente
determinato (nota la deformazione è noto lo
sforzo applicato e viceversa);
Superato il limite di snervamento, si attiva il
moto delle dislocazioni e si producono delle
deformazioni permanenti;
A causa dell’incrudimento, tuttavia, il limite
di snervamento cambia durante la storia di
carico del materiale;
Anche in presenza di deformazioni
permanenti, è possibile un comportamento
elastico e lineare, ad esempio durante le fasi di
scarico e quando, in generale, lo sforzo si
trova al di sotto del limite di snervamento;
In base alle precedenti considerazioni, alcuni
rami del percorso seguito dagli stati del
materiale nel piano V-H possono essere
percorsi in un solo verso: vi è differenza fra
comportamento durante il carico e lo scarico
del materiale;
Nel comportamento plastico è necessario
conoscere o rappresentare in qualche modo la
T4
O
H
Figura 3.17 - Effetto della temperatura sul
campo
plastico
della
curva
sforzideformazioni
Un ulteriore e molto importante effetto sul campo
plastico è dato dalla velocità di deformazione. Infatti,
fino a questo punto, si è ipotizzato che il carico o lo
spostamento fossero applicati molto lentamente, in
condizioni che sono definite quasi-statiche. L’
applicazione del carico e/o di deformazione a velocità
superiori produce variazioni significative sul
comportamento plastico. La velocità di deformazione,
definita in Eq. 3.26 è il parametro più largamente
utilizzato per caratterizzare il regime di applicazioni
dei carichi
H
dH
dt
d § l l0 ·
¸
¨
dt ¨© l0 ¸¹
1 dl
l0 dt
Eq. 3.26
La velocità di deformazione ha le dimensioni [T]-1 e si
misura in s-1. Sotto determinati limiti di velocità di
deformazione, il comportamento del materiale non
cambia al variare di dH/dt. Tali limiti definiscono il
13
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
regime quasi-statico di applicazione dei carichi e
variano per differenti tipi di materiali. Per i metalli,
velocità di deformazione dell’ordine di 10-2 s-1y 10-3 s-1
sono considerate in regime quasi-statico. Tale
definizione sarebbe inadeguata, ad esempio, per un
polimero che, già a 10-3 s-4 manifesta variazioni nel
comportamento plastico. L’effetto della velocità di
deformazione sul campo plastico è qualitativamente
indicato in Figura 3.18, dove è chiaramente osservabile
un incremento del limite di snervamento con
l’aumentare di dH/dt.
V
H
H3
H2
Figura 3.19 - Incremento percentuale dello
sforzo di snervamento dinamico in funzione
del valore in condizioni quasi-statiche
H1
O
Alcuni semplici modelli sono stati proposti per
caratterizzare empiricamente la sensibilità alla velocità
di deformazione. Uno dei più utilizzati è la legge di
Cowper-Symonds che esprime l’andamento del
rapporto fra lo sforzo di snervamento dinamico e
quello in condizioni quasi-statiche, in funzione di due
parametri D e q, riportati in Eq. 3.27.
H
Figura 3.18 - Effetto qualitativo della velocità
di deformazione sul campo plastico di un
metallo
Occorre sottolineare che l’effetto riportato in Figura
3.18 è da interpretare come effetto della velocità di
deformazione sui meccanismi anelastici attivati a
livello micro-strutturale, e non è dovuto alla dinamica
del provino e alla presenza di forze di inerzia a livello
macroscopico. L’esecuzione di prove ad alta velocità di
deformazione per caratterizzare questo effetto è
particolarmente complicata e prevede, comunque, che i
fenomeni dovuti alla dinamica del provino siano
controllati in modo da misurare solo gli effetti di dH/dt
sul comportamento elasto-plastico del materiale.
Come si è detto l’aumento della velocità comporta un
incremento dello sforzo di snervamento. Definendo
uno sforzo di snervamento in condizioni dinamiche,
VYd, si può valutare l’incremento di sforzo di
snervamento rispetto a quello in condizioni quasistatiche. Per le leghe di alluminio, il materiale
metallico più utilizzato in campo aerospaziale, la
sensibilità alla velocità di deformazione è tanto
maggiore quanto minore è lo sforzo di snervamento in
condizioni quasi-statiche, come si può desumere dalla
Figura 3.19, che presenta l’andamento dell’incremento
percentuale del limite di snervamento per un valore
fisso dH/dt = 1000 s-1.
1 ·
§
¨1 § H · q ¸
¨¨ ¨© D ¸¹ ¸¸
©
¹
Eq. 3.27
V Yd
V Y0
Per le leghe di alluminio, la sensibilità alla velocità di
deformazione è tipicamente contenuta. Il parametro D,
che rappresenta in base all’Eq. 3.27 il valore di dH/dt
per il quale lo sforzo di snervamento raddoppia,
assume, secondo diversi autori, valori fra 6500 s-1 e
oltre 1000000 s-1. Il parametro q è compreso fra 4 e 5.
La sensibilità alla velocità di deformazione per gli
acciai a basso contenuto di carbonio è, invece, più
rilevante, con valori di D fino a 40 s-1 e q pari a 5. La
Figura 3.20 riporta gli andamenti del rapporto VYd/VY
per leghe di alluminio e acciai a basso tenore di
carbonio, ottenuti applicando la legge di CowperSymonds, calibrata per leghe di alluminio e acciai a
basso tenore di carbonio.
14
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
Figura 3.20 - Variazione del rapporto fra
sforzo di snervamento dinamico statico
seconda la legge di Cowper-Symonds
X
V
x
^x1
x2
in
del
x.
di
dal
x3 `T
Eq. 3. 30
E’ possibile creare una corrispondenza biunivoca, una
mappa, che lega la nuova posizione x a quella occupata
in precedenza X. Tale mappa è descrivibile da una
funzione F, introdotta in Eq. 3. 31.
3.3 Deformazione, sforzo e lavoro di
deformazione in stati di sforzo
pluriassiali
3.3.1
X 3 `T
Il cambiamento di configurazione comporta,
generale, lo spostamento di ogni punto materiale
continuo, che va ad occupare la posizione
Assumendo di utilizzare lo stesso sistema
riferimento, la nuova posizione sarà descritta
vettore definito in Eq. 3. 30.
§
§ H · ·
BH n ¨1 C ln¨¨ ¸¸ ¸
¸
¨
© H0 ¹ ¹
©
Eq. 3.28
Y
X2
Eq. 3. 29
In alternativa alla legge di Cowper-Symonds, è
possibile utilizzare la legge di Johnson-Cook, che non
descrive solo la variazione dello sforzo di snervamento,
ma rappresenta l’andamento della curva sforzodeformazione in campo plastico, al variare di dH/dt. La
legge, espressa in Eq. 3.28, prevede la conoscenza
dello sforzo di snervamento in condizioni quasistatiche, VY, e la calibrazione di tre ulteriori parametri:
B, n e C.
V
^X 1
x F X Eq. 3. 31
Deformazione in coordinate Lagrangiane
L’Eq. 3. 31 descrive la posizione della particella del
corpo nella nuova configurazione in funzione della
posizione che essa aveva nella configurazione di
riferimento. Il moto delle particelle è dunque descritto
sulla base delle loro posizioni iniziali e, per questo
motivo, il punto di vista adottato è definito
Lagrangiano.
In termini di componenti la funzione F include tre
funzioni scalari Fi, definite in Eq. 3. 32, che indica
come la coordinata k-esima del nuovo vettore
posizione possa in generale dipendere da una qualsiasi
delle componenti del vettore posizione nella
configurazione indeformata.
Per procedere allo studio del comportamento dei
materiali elasto-plastici in generici stati di sforzo e
deformazione è necessario disporre di definizioni più
complete di queste grandezze fisiche, rispetto alle
semplici
definizioni
operative
fornite
nella
presentazione della prova uniassiale, descritta nel par.
3.2.1.
La deformazione di un corpo, che sarà trattata in questo
sottoparagrafo, è un concetto cinematico, legato al
cambiamento di configurazione del corpo stesso,
completamente definibile senza conoscere le cause che
la hanno originata. Per introdurre il concetto di
deformazione, il corpo, sebbene costituito da entità
discrete quali atomi o molecole, è idealizzato come un
continuo consistente di particelle uniformemente
distribuite in un dominio spaziale tridimensionale. Per
introdurre il concetto di deformazione è necessario
considerare una configurazione di riferimento che
rappresenti la posizione delle particelle del corpo prima
del processo di deformazione. La deformazione
comporta un cambiamento di configurazione che potrà
essere indotto da cause differenti quali la variazione di
temperatura, l’applicazione di sistemi di forze in
equilibrio al corpo o l’assorbimento di umidità.
Nell’ambito
della
presente
trattazione
si
considereranno descrizioni della configurazione e della
deformazione in assi cartesiani, sebbene i concetti che
saranno introdotti possano essere generalizzati a
sistemi arbitrari di coordinate. In assi cartesiani,
dunque, la configurazione del corpo è descritta dalla
posizione di ogni particella del continuo, che è
descrivibile da un vettore X, che in notazione vettoriale
è esprimibile come in Eq. 3. 29.
x ^x1 x 2 x3 `T ^F1 X F 2 X F 3 X `T
Eq. 3. 32
Lo spostamento di ogni punto è la differenza fra X ed x
ed è espresso in funzione della mappatura F come in
Eq. 3. 33.
u ^u1 u 2
Eq. 3. 33
u 3 `T
xX
F X X
Si ipotizzi, ora che la funzione F sia derivabile, in
modo che sia possibile introdurre un operatore lineare
F, esprimibile in notazione matriciale come indicato in
Eq. 3. 34.
15
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
wF X wX
F
ª wF1 X «
« wX 1
« wF 2 X « wX
1
«
« wF 3 X «¬ wX 1
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
wF1 X wX 2
wF 2 X wX 2
wF 3 X wX 2
wF1 X º
»
wX 3 »
wF 2 X »
wX 3 »
»
wF 3 X »
wX 3 »¼
Si considerino ora due punti che, nella configurazione
di riferimento, siano separati da un tratto di lunghezza
infinitesima dS, descritto da un vettore dX, mostrato in
Figura 3.1. La lunghezza dS è il modulo del vettore dX
e vale la seguente relazione:
dS 2 dX T dX
Eq. 3. 36
Eq. 3. 34
Dopo la variazione di configurazione descritta da F, il
primo punto si sarà spostato in x F X , mentre il
L’operatore F definito in Eq. 3. 34 è chiamato
gradiente di deformazione ed è esprimibile, applicando
l’Eq. 3. 33, anche in funzione dello spostamento u.
Nell’Eq. 3. 35 si sono introdotte le derivate dello
spostamento u in funzione del vettore di coordinate X.
Tali derivate sono esprimibili, in notazione matriciale,
da matrici quadrate di ordine 3, in modo analogo
all’operatore gradiente di deformazione, definito nell’
Eq. 3. 35.
secondo sarà in F X dX . Quindi il vettore dX si
sarà trasformato in dx. La trasformazione è esprimibile
sfruttando la definizione di gradiente di deformazione,
come indicato in Eq. 3. 37.
F X dX F X F X dX F X dx
wF X wX
F
ª wu1
«
« wX 1
« wu 2
« wX
« 1
« wu 3
«¬ wX 1
w u X wu
wX
wX
º
wu1
wu1
»
wX 2 wX 3 » ª1
wu 2 wu 2 » «
0
wX 2 wX 3 » «
» «¬0
wu 3 wu 3 »
wX 2 wX 3 »¼
dX
wX
wX
0 0º
1 0»»
0 1»¼
wF X dX
wX
FdX
Eq. 3. 37
In base all’Eq. 3. 37, dunque, il gradiente di
deformazione è l’operatore lineare che trasforma il
vettore dX nella configurazione indeformata in dx.
Inoltre, la distanza ds fra i due punti dopo la variazione
di configurazione è data dal modulo di dx e si ottiene
dalla seguente relazione:ij
wu
I
wX
ds 2 dx T dx
Eq. 3. 38
Eq. 3. 35
dX T F T FdX
L’Eq. 3. 38 indica come il gradiente di deformazione F
contenga tutte le informazioni necessarie per valutare
la variazione della lunghezza, ds, rispetto a quella
originale, dS. Tale variazione è la caratteristica
distintiva di un processo deformativo poiché, se le
lunghezze rimangono uguali è evidente che ci troviamo
di fronte ad un moto rigido. Quindi se il prodotto
x+dx
X+dX
dX
x
F T F è pari alla matrice identità non esiste
deformazione, mentre tanto più il prodotto si discosta
dalla matrice identità si ha un processo de formativo.
Una misura della deformazione, che è riferita alla
configurazione iniziale, è rappresentata dalla seguente
quantità:
X
1 T
F FI
2
Eq. 3. 39
E
3
2
Sebbene E sia stato ricavato applicando una notazione
matriciale, è possibile dimostrare che, per un
cambiamento di coordinate, le nove componenti Eij
variano come le componenti di un tensore doppio. Per
definizione di tensore, come sarà accennato nel
paragrafo successivo, E è pertanto un tensore. Esso è
chiamato tensore di deformazione di Almansi-Hemel
1
Figura 3.21 - Variazione della posizione
relativa di due punti in un generico
cambiamento di configurazione
16
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
(o, in alcuni testi, tensore di deformazione di
Lagrange).
Se si considera la relazione fra F ed u, espressa in Eq.
3. 35, è possibile esprimere il tensore di deformazione
E in funzione dello spostamento u. Tale espressione è
fornita in Eq. 3. 40 e fa uso degli operatori wu/wX, già
utilizzati nell’ Eq. 3. 35.
Anche i termini di H, come quelli di E, rappresentano i
componenti di un tensore doppio simmetrico. Si
osservi che il tensore delle deformazioni infinitesime
può anche essere ottenuto in modo diretto considerando
l’espressione dello spostamento u in un intorno
infinitesimo di un punto X. In tale intorno, infatti, lo
spostamento può essere espresso noto lo spostamento
u(X) e la matrice delle derivate wu/wX, che a sua volta
può essere decomposta in una parte emisimmetrica e in
una parte simmetrica come indicato in Eq. 3. 43.
T
1 §¨ § wu
· § wu
· ·
I¸ ¨
I¸ I¸
¨
2 ¨© © wX
¹ © wX
¹ ¸¹
~
E
T
T
1 §¨ § wu · § wu · § wu ·
§ wu · ·¸
¨
¸ ¨
¸¨
¸ ¨
¸
2 ¨© © wX ¹ © wX ¹ © wX ¹
© wX ¹ ¸¹
wu
dX
wX
T
1 § § wu · § wu · ·¸
uX ¨ ¨
¸¨
¸ dX 2 ¨© © wX ¹ © wX ¹ ¸¹
uX dX uX Eq. 3. 40
3.3.2
3
wu m wu m wu j
wu
1 §¨
i
2 ¨© m 1 wX i wX j wX i wX j
¦
wu j
wX i
·
¸dX
¸
¹
wu i
wX j
Eq. 3. 44
Lo spostamento descritto dal solo secondo termine in
in Eq. 3. 43 è raffigurato un intorno infinitesimo di X
nel piano i-j in Figura 3.22. Tutti i punti sull’asse i si
muovono con una componente in direzione j pari a
(wuj/wXi)dXi. Se gli spostamenti sono infinitesimi, lo
spostamento può essere interpretato come una
rotazione dell’asse i di un angolo infinitesimo, dZ =
tan-1 (wuj/wXi) # wuj/wXi. In virtù dell’Eq. 3. 44, anche
l’asse j può essere considerato soggetto a una rotazione
infinitesima di modulo dZ, nello stesso verso: la
porzione di continuo nell’intorno di X ruota senza
cambiare forma e subire deformazioni. Pertanto,
nell’ipotesi di deformazioni e spostamenti infinitesimi,
i primi due termini dell’Eq. 3. 43 rappresentano una
rototraslazione rigida dei punti appartenenti all’intorno
di X, mentre il terzo termine rappresenta una vera e
propria deformazione.
·
¸
¸
¹
Eq. 3. 41
Se le deformazioni sono infinitesime, anche le derivate
wui/wXj saranno infinitesime ed i termini quadratici
potranno essere trascurati. Tale semplificazione dà
origine alla definizione del vettore delle deformazioni
infinitesime, la cui espressione in notazione matriciale
è fornita in Eq. 3. 42.
İ
T
Eq. 3. 43
Il terzo termine dell’espressione in Eq. 3. 43, cioè la
parte simmetrica della matrice delle derivate wu/wX,
contiene le componenti del tensore H, definito in Eq. 3.
42, che, come si è affermato, descrivono il processo di
deformazione nell’ipotesi di deformazioni infinitesime.
Il primo termine, u(X) rappresenta uno spostamento
comune a tutti punti dell’intorno di X e quindi una
traslazione del corpo nell’intorno. Per indagare il
significato del secondo termine, si supponga uno
spostamento dove sia la traslazione u(X) che la
deformazione H siano nulle. Se la deformazione H è
nulla vale l’Eq. 3. 44.
Il tensore delle deformazioni infinitesime
Il tensore di deformazione E descrive, da un punto di
vista Lagrangiano, la deformazione anche in presenza
di cambiamenti di configurazione caratterizzati da
spostamenti e da gradienti di spostamento elevati. La
deformazione descritta da E è riferita alla
configurazione iniziale del corpo. Esistono altre misure
di deformazione che permettono di riferirsi alla
configurazione deformata.
Vi sono tuttavia notevoli complicazioni insite nel
considerare variazioni di configurazione con
deformazioni finite, e, in molti ambiti, le deformazioni
si possono assumere infinitesime.
L’Eq. 3. 40 permette di valutare come il tensore di
deformazione
si
semplifica
prendendo
in
considerazione deformazioni infinitesime. In tale
equazione E è espresso in funzione delle derivate
spaziali dello spostamento u ed è possibile osservare
che, in generale, il legame fra E e le derivate di u non è
lineare. La singola componente Eij ha infatti
l’espressione data in Eq. 3. 41, dove sono presenti
termini lineari, wui/wXj, e sommatorie di prodotti fra le
diverse componenti wui/wXj, che rappresentano termini
quadratici.
Eij
1 §¨ § wu · § wu ·
¨
¸¨
¸
2 ¨© © wX ¹ © wX ¹
T
1 §¨ § wu ·
§ wu · ·¸
¨
¸ ¨
¸
2 ¨© © wX ¹
© wX ¹ ¸¹
Eq. 3. 42
17
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
j
dx1
dX 1 wu1
dX 1
wX 1
dx2
dX 2 wu 2
dX 2
wX 2
dX 2 1 H 22 dx3
dX 3 wu3
dX 3
wX 3
dX 3 1 H 33 (wui/wXj)dXj = -(wuj/wXi)dXj
dX 1 1 H11 Eq. 3. 45
dZ
dZ
Il rapporto fra il volume deformato dv e quello
originale dV è esprimibile applicando le Eq. 3. 45,
dove, con il simbolo tr(H), si indica la somma delle
componenti ad indici uguali del tensore doppio di
deformazione.
i
(wuj/wXi)dXi=
= -(wui/wXj)dXi
dx1dx2 dx3
dX 1dX 2 dX 3
dX 1 1 Hˆ11 dX 2 1 Hˆ22 dX 3 1 Hˆ33 dv
dV
Figura 3.22 - Spostamento in un intorno di un
punto materiale nell’’ipotesi di tensore delle
deformazioni infinitesime nullo
dX 1dX 2 dX 3
1 H11 1 H 22 1 H 33 # 1 H11 H 22 H 33
1 tr İ Nell’ambito delle deformazioni infinitesime è possibile
fornire un’espressione delle variazione di volume
subita, in un generico processo deformativo, da un
cubetto infinitesimo di dimensioni originali dX1, dX2 e
dX3, raffigurato in Figura 3.23.
Eq. 3. 46
Attraverso il rapporto dv/dV si definisce una
componente idrostatica di deformazione, 4, la cui
espressione è riportata in Eq. 3. 47.
dX3
X2
X3
X1
dX1
1 dv dV
3 dV
Eq. 3. 47
dV
4
dv
X2
X3
dx2
X1
1
tr H 3
Attraverso la particolare espressione di 4, è possibile
individuare, nel generico stato di deformazione, una
componente caratterizzata da una pura deformazione
volumetrica del volumetto infinitesimo, in assenza di
variazioni di forma. Questo è quanto accade quando i
rapporti dx1/dX1, dx2/dX2 e dx3/dX3 sono uguali, e
quindi H11 H 22 H 33 = 4. Se le altre componenti del
tensore di deformazione sono nulle, il cubetto
infinitesimo si dilata conservando la propria forma.
Nel generico stato di deformazione, allora, è possibile
individuare una componente responsabile della sola
deformazione volumetrica, caratterizzata da un valore
4 ottenuto dall’Eq. 3. 48.
1
H11 H 22 H 33 4
3
Eq. 3. 48
dX2
(wu1/wX1)dX1
dx3
1 § dv
·
1¸
¨
3 © dV
¹
dx1
Figura 3.23 - Variazione di volume in un
elemento infinitesimo
Le relazioni fra le dimensioni del cubetto infinitesimo
nella configurazione originale e deformata possono
essere scritte in termini di spostamenti e quindi di
deformazioni infinitesime:
Il tensore delle deformazioni infinitesime H per uno
processo di deformazione caratterizzato da una pura
variazione di volume ha quindi la forma generale
definita in Eq. 3. 49.
18
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
ª4 0 0 º
İ «« 0 4 0 »»
«¬ 0 0 4»¼
Eq. 3. 49
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
Le 9 componenti del tensore delle deformazioni
infinitesime, che è per natura simmetrico, possono
essere rappresentate da una matrice del secondo ordine,
come in Eq. 3. 53.
4I
ªH 11 H 12
İ ««H 21 H 22
«¬H 31 H 32
Eq. 3. 53
In definitiva, mediante l’introduzione di 4, è possibile
scomporre lo stato deformazione in una deformazione
volumetrica, che avviene a forma costante, e in una
deformazione responsabile del cambiamento di forma,
che avviene senza variazione di volume. Quest’ultimo
tipo di deformazione è definito deformazione
deviatorica ed ha per definizione l’espressione
riportata in Eq. 3. 50.
Essendo il tensore simmetrico, tuttavia, le componenti
indipendenti del tensore delle deformazioni
infinitesime possono essere anche convenientemente
arrangiate in un vettore di 6 componenti, come in Eq.
3. 54.
ªH 11 H12 H13 º
e ««H 21 H 22 H 23 »» 4I
«¬H 31 H 32 H 33 »¼
H12
H 13 º
ªH11 4
« H
H 22 4
H 23 »»
« 21
«¬ H 31
H 32
H 33 4»¼
Eq. 3. 50
݈ ^H 11 H 22
Eq. 3. 54
§ wu1 wu 2 ·
¨¨
¸¸
© wu 2 wu1 ¹
2H12
J 13
§ wu1 wu3 ·
¨¨
¸¸
© wu3 wu1 ¹
2H13
J 23
2H 23
Tali termini, chiamati scorrimenti, definiscono i
processi di deformazione a taglio, come sarà chiarito
nel par. 3.3.3, e consentono di semplificare
l’espressione del lavoro di deformazione quando si
utilizzando le notazioni vettoriali. Il vettore di
deformazione più usato in ambito ingegneristico è
pertanto quello descritto in Eq. 3. 56.
İ ^H ` ^H 11 H 22
Eq. 3. 56
H 33 J 12 J 13 J 23 `T
Si osservi, comunque, che le rappresentazioni
matriciali e vettoriali riportate in Eq. 3. 53 e in Eq. 3.
54 sono funzionali alla possibilità di utilizzare le
notazioni e le operazioni dell’algebra matriciale per
descrivere relazioni che coinvolgano le componenti del
tensore di deformazione. Lo stato di deformazione,
tuttavia, non è una matrice né un vettore, ma un tensore
doppio con proprietà del tutto analoghe al tensore
doppio di sforzo che sarà introdotto nel par. 3.3.4.
Sotto questa ipotesi, dunque, lo stato di deformazione
potrà quindi essere descritto dalle 9 componenti del
tensore delle deformazioni infinitesime H, che hanno
espressione
1 §¨ wui wu j
2 ¨© wu j wui
J 12
§ wu3 wu 2 ·
¨¨
¸¸
© wu 2 wu3 ¹
Eq. 3. 55
0
Nel seguito della trattazione ci si porrà, per semplicità,
sotto le ipotesi di deformazioni infinitesime. Oltre a
semplificare l’espressione delle deformazioni, con
l’eliminazione dei termini quadratici, l’ipotesi di
deformazioni infinitesime comporta anche che la
configurazione del corpo dopo il processo di
deformazione differisca in misura trascurabile dalla
configurazione originale. Tale considerazione permette
innanzitutto di trascurare la differenza fra una misura
di deformazione riferita alla configurazione originale,
quale quella descritta dal tensore E, e quella riferita
alla configurazione deformata. Si vedrà, inoltre, come
l’ipotesi di deformazioni infinitesime elimina anche le
ambiguità concernenti la configurazione da considerare
nella descrizione dello stato di sforzo del corpo.
H ij
H 33 H12 H 13 H 23 `T
Nella notazione vettoriale, che è spesso utilizzata in
ambito ingegneristico, le componenti ad indici diversi
del tensore di deformazione sono sostituite dai termini
definiti in Eq. 3. 55.
La deformazione deviatorica è, per sua natura,
anch’essa un tensore e può essere espresso in notazione
matriciale, come in Eq. 3. 50, o in notazione vettoriale.
Per come è stata ottenuta, la deformazione deviatorica
rappresenta processi deformativi a volume costante.
Infatti, applicando l’Eq. 3. 48, risulta:
tr e H 11 H 22 H 33 34
Eq. 3. 51
H 13 º
H 23 »»
H 33 »¼
·
¸
¸
¹
Eq. 3. 52
19
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
3.3.3
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
Esempi di stati di deformazione
In questo paragrafo si considereranno alcuni
cambiamenti particolari di configurazione di corpi
continui e sarà esaminato il corrispondente stato di
deformazione. Il primo caso considerato è relativo
all’allungamento e alla contrazione di un elemento
cilindrico. La variazione di configurazione considerata,
presentata in Figura 3.24, è analoga a quella di un
provino soggetto a una prova di trazione uniassiale.
u1
x1 X 1
u2
x2 X 2
u 3 x3 X 3
Eq. 3. 59
Il gradiente di deformazione F è calcolato in base alle
espressioni in Eq. 3. 57 ed assume un forma
particolarmente semplice:
r
F
R
wF X wX
ªO L 0
«0 O
R
«
«¬ 0
0
Eq. 3. 60
l
x1
X2
X3
x3
La variazione di configurazione è descritta dalla mappa
in Eq. 3. 57.
x2
wF1 X wX 2
wF 2 X wX 2
wF 3 X wX 2
wF1 X º
»
wX 3 »
wF 2 X »
wX 3 »
»
wF 3 X »
wX 3 »¼
0º
0 »»
O R »¼
ªO2L 1
0
0 º
»
1«
2
0 »
OR 1
« 0
2«
0
0
O2R 1»¼
¬
º
ª l 2 L2
0
0 »
«
2
»
« L
1«
r 2 R2
»
0
0 »
2
2«
R
»
«
r 2 R2 »
« 0
0
«
R 2 »¼
¬
Eq. 3. 61
x2
Figura 3.24 - Allungamento e contrazione di
un provino cilindrico
x1
ª wF1 X «
« wX 1
« wF 2 X « wX
1
«
« wF 3 X «¬ wX 1
Una volta noti F ed u, è possibile ricavare l’espressione
dei tensori di deformazione E ed H:
~ 1 T
E
F FI
2
§ ªO L 0
0 º ªO L 0
0 º ª1 0 0º ·
1 ¨«
»
«
» «
»¸
¨ « 0 O R 0 » « 0 O R 0 » «0 1 0 » ¸
2¨
¸
0 OR »¼ «¬ 0
0 OR »¼ «¬0 0 1»¼ ¹
© «¬ 0
L
X1
O L X 1 X 1 X 1 O L 1
O R X 2 X 2 X 2 O R 1
O R X 3 X 3 X 3 O R 1
OL X 1
OR X 2
OR X 3
x3
Eq. 3. 57
İ
Dove:
l
L
r
OR
R
Eq. 3. 58
OL
T
1 §¨ § wu ·
§ wu · ·¸
¨
¸ ¨
¸
2 ¨© © wX ¹
© wX ¹ ¸¹
ªl L
0
« L
«
rR
« 0
R
«
« 0
0
«¬
Eq. 3. 62
Nel caso di trazione si ha OL > 1 e OR < 1. Il valore di OL
e OR dipendono dal carico applicato e dalla risposta del
materiale. Il vettore spostamento u e il gradiente di
deformazione:
20
º
0 »
»
0 »
»
r R»
R »¼
0
0 º
ªO L 1
« 0
O
1
0 »»
R
«
«¬ 0
Or 1»¼
0
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
Il confronto fra Eq. 3. 61 e l’Eq. 3. 62 consente di
individuare alcune conseguenze dell’adozione di una
definizione rigorosa di deformazione (valida per
deformazioni finite relative in stati tridimensionali di
deformazione) e delle semplificazioni introdotte dal
passaggio a deformazioni infinitesime. Si osservi,
infatti, che la componente E11 non corrisponde
all’allungamento (l-L)/L, che è intuitivamente
definibile come la deformazione nella prova uniassiale.
Nel tensore di deformazioni infinitesime, d’altra parte,
la componente H11 è pari a (l-L)/L. La differenza è
limitata anche per allungamenti non rigorosamente
trascurabili. Ad esempio, ammettendo OL = 1.1, risulta
~
E11 =0.105 e H11 =0.100.
Si ricordi, inoltre, che nell’ipotesi di deformazioni
infinitesime la differenza fra la configurazione
deformata e indeformata è trascurabile e pertanto la
deformazione infintesima può anche essere assimilata
alla deformazione logaritmica.
Infine, riferendo l’esempio al comportamento di un
provino metallico in una prova di trazione uniassiale, il
rapporto fra l’opposto della deformazione nelle
direzioni perpendicolari all’allungamento, -H22 o H33, e
la deformazione longitudinale H11, definisce il
coefficiente di contrazione trasversale (o di Poisson )
del materiale:
v
H 22
H 11
X2
L2
X3
dV
L1
L3
X1
x2
l2
x3
dv
H 33
H 11
Eq. 3. 63
l3
l3
x11
Figura 3.25 - Dilatazione di un prisma
La Figura 3.25 presenta un cambiamento di
configurazione caratterizzato da una dilatazione delle
dimensioni di un corpo a forma prismatica, identica in
tutte le direzioni. Il corpo conserva quindi la forma
variando unicamente il suo volume. La mappa della
variazione di configurazione è fornita in Eq. 3. 64.
x1
x2
OX 1
OX 2
OX 3
x3
Eq. 3. 64
dove:
l
O 1
L1
l2
L2
l3
L3
Lo spostamento ed il gradiente di deformazione sono
riportati in in Eq. 3. 65 e in Eq. 3. 66.
21
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
u1
x1 X 1
u2
x2 X 2
u3 x3 X 3
Eq. 3. 65
F
dx1dx2 dx3
dv
dV dX 1dX 2 dX 3
Eq. 3. 69
OX 1 X 1 X 1 O 1
OX 2 X 2 X 2 O 1
OX 3 X 3 X 3 O 1
ª wF1 X «
« wX 1
« wF 2 X « wX
1
«
« wF 3 X ¬« wX 1
wF X wX
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
wF1 X wX 2
wF 2 X wX 2
wF 3 X wX 2
wF1 X º
»
wX 3 »
wF 2 X »
wX 3 »
»
wF 3 X »
wX 3 ¼»
Nell’ambito delle deformazioni infinitesime, il
rapporto fra i volumi del cubetto infinitesimo, calcolato
applicando l’Eq. 3. 46, non è perfettamente consistente
con la variazione di volume del prisma finito. Infatti,
applicando l’Eq. 3. 46 al caso in esame si ottiene:
dv
# 1 H 11 H 22 H 33
dV
Eq. 3. 71
La Figura 3.26 presenta il cambiamento di
configurazione della base originariamente quadrata di
un prisma con altezza indefinita, in direzione X3. La
distorsione della forma quadrata in un parallelogramma
è il tipico effetto di una deformazione a taglio. Nel caso
considerato, solo le coordinate X1 dei punti vengono
modificate e la sezione si distorce conservando
l’altezza del parallelogramma uguale al lato iniziale del
quadrato, L.
0
0 º
ªO 1
« 0
O 1 0 »»
«
«¬ 0
0
O 1»¼
º
0 »
»
0 »
»
l3 L3 »»
L3 »¼
T
1 §¨ § wu ·
§ wu · ·¸
¨
¸ ¨
¸
2 ¨© © wX ¹
© wX ¹ ¸¹
ª l1 L1
«
« L1
« 0
«
«
« 0
«¬
Eq. 3. 68
0
l2 L2
L2
0
1 3O 1
La differenza è comunque contenuta. Ipotizzando una
dilatazione con O=1.1, corrispondente dunque a un
aumento del 10% delle dimensioni lineari del prisma, si
ha det(F)= O3=1.331, mentre il risultato dell’Eq. 3. 71 è
pari a 1.3, con una discrepanza del 2.4% fra le due
misure.
1 T
F FI
2
§ ªO 0 0 º ªO 0 0 º ª1 0 0º ·
1 ¨«
»«
» «
»¸
¨ « 0 O 0 » « 0 O 0 » «0 1 0 » ¸
2¨
¸
© «¬ 0 0 O »¼ «¬ 0 0 O »¼ «¬0 0 1»¼ ¹
§ ªO2 1
0
0 º ·¸
»
1 ¨¨ «
2
O 1
0 »¸
« 0
¸
2¨«
¨ 0
O2 1»¼ ¸
0
¬
¹
©
Eq. 3. 67
İ
O3
dv
det F dV
Eq. 3. 70
I tensori di deformazione E ed H sono calcolati in Eq.
3. 67 e in Eq. 3. 68. Le differenze fra le componenti ad
indici uguali dei due tensori sono analoghe a quelle
riscontrate nel caso dell’allungamento del prisma
cilindrico considerato in precedenza.
dX 1dX 2 dX 3
Si osservi che il rapporto dv/dV risulta pari al
determinante della matrice F che contiene le
componenti del gradiente di deformazione. E’ possibile
dimostrare che questo risultato è del tutto generale, e
che, per qualsiasi variazione di configurazione risulta:
ªO 0 0 º
«0 O 0»
«
»
«¬ 0 0 O »¼
Eq. 3. 66
E
OdX 1OdX 2 OdX 3
Il prisma ha volume iniziale V=L1L2L3 che diviene
v=l1l2l3 dopo il processo di deformazione. Il rapporto
fra i due volumi è pari a O3. Tale rapporto è identico a
quello che si ottiene considerando un volumetto
infinitesimo all’interno del corpo, come riportato in Eq.
3. 69.
22
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
X2
L
L
X1
x2
İ
L
L
Figura 3.26 - Deformazione semplice a taglio
La mappa del cambiamento di configurazione è la
seguente:
x2
X2
x3 X 3
Eq. 3. 72
dove J
Lo spostamento e il gradiente di deformazione sono
espressi in Eq. 3. 73 e Eq. 3. 74.
x1 X 1
JX 2
u2
x2 X 2
0
u 3 x3 X 3
Eq. 3. 73
0
F
wF X wX
ª0 J
1«
J 0
2«
«¬ 0 0
º ª
0» « 0
» «1
0» # « M
» «2
0» « 0
»¼ «¬
0º
0»»
0»¼
1
M
2
0
0
º
0»
»
0»
»
0»
»¼
Si osservi che le componenti E12 del tensore E hanno
identico valore a H12. E presenta anche una componente
E22 non nulla, dovuta all’allungamento dei lati
originariamente verticali e lunghi L, necessario per
conservare l’altezza del parallelogramma. Questa
deformazione di ordine superiore è correttamente colta
dal tensore E, che presenta un termine E22 = J2.
Si osservi, comunque, che il processo di deformazione
avviene a volume costante, sia considerando le
deformazioni finite, poiché det(F)=0, sia considerando
le deformazioni infinitesime, essendo tr(H)=0. Il
meccanismo di deformazione considerando è quindi un
esempio di processo di deformazione puramente devia
torico.
tan M .
u1
T
1 §¨ § wu ·
§ wu · ·¸
¨
¸ ¨
¸
2 ¨© © wX ¹
© wX ¹ ¸¹
Si può osservare come, per il tensore di deformazioni
infinitesime il processo di deformazione comporta solo
componenti H12 non nulle. Estendendo i ragionamenti a
deformazioni analoghe che avvengono sugli altri piani
coordinati, si può affermare che le componenti ad
indici misti del tensore di deformazione rappresentano
deformazioni di puro taglio, come quella raffigurata in
Figura 3.26. Il valore di tali componenti è pari alla
metà dell’angolo di scorrimento M e, pertanto, il valore
degli scorrimenti, introdotti in Eq. 3. 55, è pari
all’angolo di scorrimento in una deformazione di puro
taglio.
x1
X 1 JX 2
1
ª
tan M « 0
2
«1
« tan M 0
«2
0
« 0
«¬
Eq. 3. 76
M
x1
1 T
F FI
2
§ ª 1 0 0º ª1 J 0º ª1 0 0º ·
1 ¨«
»«
» «
»¸
¨ «J 1 0» «0 1 0» «0 1 0» ¸
2¨
¸
© «¬ 0 0 1»¼ «¬0 0 1»¼ «¬0 0 1»¼ ¹
§ ª 0 J 0º ·
1 ¨«
»¸
¨ «J J 2 0» ¸
2¨
¸
© «¬ 0 0 0»¼ ¹
Eq. 3. 75
E
ª1 J 0 º
«0 1 0 »
«
»
«¬0 0 1»¼
3.3.4
Eq. 3. 74
Sforzo
La deformazione è un concetto puramente cinematico
che descrive una variazione di configurazione di un
continuo non riducibile a uno spostamento rigido. Una
delle possibilità per produrre un processo deformativo
Dalle espressioni di F ed u è possibile calcolare il
tensore delle deformazioni Lagrangiane e il tensore
delle deformazioni infinitesime, riportati in Eq. 3. 75 e
Eq. 3. 76.
23
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
superficie può essere definito come lo sforzo
superficiale unitario tn.
in un continuo è l’applicazione di un sistema di forze
che, agendo sul corpo, producono in generale moto e
deformazione.
Le forze che agiscono su un corpo possono essere
classificate come esterne o interne. Le forze esterne
possono essere a loro volta suddivise in forze di
superficie, che agiscono ai contorni del corpo e sono
tipicamente dovute ad interazioni di contatto, oppure
forze di volume, che agiscono direttamente sulle
particelle del continuo in virtù di interazioni con
sorgenti esterne, quali campi di forze gravitazionali,
elettrici o magnetici, ad esempio.
Le forze interne, invece, rappresentano azioni compiute
da una parte del corpo su un’altra parte del corpo.
L’esistenza di queste azioni interne è un’assunzione
plausibile che si può ricondurre a un postulato noto
come principio degli sforzi di Eulero-Cauchy. Secondo
tale principio attraverso ogni sezione che può essere
ricavata all’interno di un corpo si trasmettono delle
forze di superficie. Con l’introduzione di tali forze le
leggi della statica e della dinamica si applicano a ogni
regione interna del corpo nello stesso modo in cui si
applicano al corpo considerato nella sua totalità.
'p
'a o0 'a
Eq. 3. 78
tn
lim
Dalla definizione precedente è evidente che lo sforzo
superficiale unitario non dipende solo dalla posizione
del punto nell’intorno del quale si considera 'a, ma
dipende dalla giacitura del piano con cui si è tagliato il
corpo, individuata dalla normale n.
Per definire la variazione dello sforzo dalla giacitura
vanno definite, nel punto considerato, gli sforzi
superficiali unitari trasmessi attraverso piani con
normali uscenti uguali alle direzioni degli assi
coordinati, V1, V2 e V3. In assi cartesiani, le componenti
di tali sforzi superficiali unitari sono riportate in Eq. 3.
79, dove con i1, i2 e i3 si sono indicati i versori degli
assi cartesiani x1, x2 e x3.
ı1
ı2
ı3
V 11i1 V 12i 2 V 13i 3
V 21i1 V 22i 2 V 23i 3
V 31i1 V 32i 2 V 33i 3
Eq. 3. 79
x3
Tn
R1
C
-n
'a
n
'a
-V1
-V2
R2
n
O
-Tn
A
B
x2
-V3
x1
Figura 3.27 - Azioni interne all’’interno di un
continuo
Figura 3.28 - Tetraedro di Cauchy
Se un corpo è sezionato con un piano avente normale
n, le due parti R1 ed R2 in cui esso risulta diviso si
scambieranno forze interne in base alle leggi della
statica e della dinamica. Si consideri una porzione 'a
della sezione, nell’intorno di un punto individuato dalla
posizione x. Attraverso tale porzione di superficie si
trasmetterà una forza 'p, che potrà essere considerata
come il prodotto di una forza per unità di superficie Tn
distribuita sull’area 'a per l’area stessa, come indicato
in Eq. 3. 77.
Si consideri ora il tetraedro riportato in Figura 3.28,
con tre lati aventi gli assi coordinati come normali
entranti. Su tali facce agiscono gli sforzi superficiali
unitari -V1, -V2 e -V3. La quarta faccia del tetraedro, di
vertici ABC, è un piano di giacitura generica,
individuata dalla normale n con componenti cartesiane
definite in Eq. 3. 80.
n n1i 1 n 2 i 2 n3 i 3
Eq. 3. 80
'p Tn 'a
Eq. 3. 77
Le componenti n1, n2 e n3 sono i coseni direttori della
normale n. Detta 'a l’area della faccia ABC, si può
osservare che l’area delle facce OAC, OBC e OCB del
tetraedro si possono ottenere proiettando 'a sui piani
coordinati e quindi moltiplicando 'a per i coseni
direttori n1, n2 e n3 come indicato in Eq. 3. 81.
In base al principio di Eulero-Cauchy il limite del
rapporto 'p/'a per 'a o 0 esiste e non dipende dalla
forma di 'a. Il valore limite della forza per unità di
24
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
'a OBC
'a n1
'a OAC
'a n 2
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
L’applicazione dello sforzo provoca un cambiamento
di configurazione del continuo con deformazioni e
rotazioni. A rigore lo stato di sforzo deve essere riferito
a una ben definita configurazione ed è necessario
specificare se la terna di riferimento usata per definire
le componenti dello sforzo ruota per seguire il
cambiamento di configurazione del sistema. Nella
trattazione fin qui sviluppata, la configurazione che si è
presa in considerazione è quella già deformata,
modificata dall’applicazione dello stato di sforzo
stesso. Lo sforzo definito in questo modo è quindi da
intendersi come lo sforzo vero o di Cauchy. Come nel
caso delle deformazioni, l’ipotesi di deformazioni
infinitesime permette comunque di trascurare le
differenze fra configurazione deformata e indeformata.
'a OAB 'a n3
Eq. 3. 81
L’equilibrio del tetraedro di Figura 3.28 comporta
quindi:
ı 1 'a OBC ı 2 'a OAC ı 3 'a OAB t n 'a
Eq. 3. 82
0
L’applicazione delle relazioni riportate in Eq. 3. 81
conduce alla seguente relazione, detta relazione di
Cauchy:
In base alle definizioni date in Eq. 3. 79, le componenti
del tensore V aventi indici uguali sono le componenti
degli sforzi superficiali unitari che hanno direzione
uguale alla normale al piano su cui agiscono. Una
componente di sforzo di questo tipo è detto sforzo
normale ed è comunemente indicato con il simbolo V.
Le componenti ad indici diversi sono diretti invece
parallelamente alle facce su cui gli sforzi superficiali
agiscono e sono detti sforzi di taglio. In molti casi
vengono indicati con il simbolo W.
Se si considera un cubetto infinitesimo di materiale,
con facce parallele ai piani coordinati e lati dx1, dx2 e
dx3, l’insieme delle nove componenti del tensore di
sforzo V può essere rappresentato nel modo indicato in
Figura 3.29. La figura considera un campo di sforzo
variabile all’interno del continuo e indica le
componenti agenti sulle facce che presentano gli assi
cartesiani come normali uscenti. Gli sforzi agenti su
tali facce sono incrementati di un termine infinitesimo
per tenere conto della distanza dall’origine degli assi
che rappresenta il punto nel quale si vuole considerare
lo stato di sforzo. Le facce opposte del cubo, non
rappresentate per semplicità in Figura 3.29, sono in
corrispondenza dell’origine degli assi ma hanno come
normali uscenti i versori degli assi coordinati. Su di
esse, pertanto, agiscono le componenti del tensore di
sforzo V, senza termini incrementali e con il segno
cambiato. Si osservi che la variazione di segno della
componente per una rotazione di 180° di una faccia
attorno ad un asse è prevista dalle Eq. 3. 83 così come
dall’Eq. 3. 84.
t n ı 1 n1 ı 2 n 2 ı 3 n 3
Eq. 3. 83
Si osservi che l’eventuale presenza di forze di volume
non modifica l’Eq. 3. 83, poiché essa presuppone un
passaggio al limite per 'a o 0 ed in tale passaggio il
volume rappresenta un infinitesimo di ordine superiore
rispetto alla superficie. Per tale motivo le forze di
volume possono essere a rigore trascurate. Anche il
caso dinamico può essere considerato compreso,
poiché, in base al principio di D’Alembert, esso può
ricondursi al caso statico con l’introduzione di forze di
inerzia che rappresentano un caso particolare di forze
di volume.
L’Eq. 3. 83 indica che lo sforzo superficiale su una
qualsiasi giacitura, tn, è determinabile se sono noti gli
sforzi superficiali sui tre piani mutuamente ortogonali.
I tre vettori V1, V2 e V3 o le loro nove componenti
definite nell’Eq. 3. 79, che rappresentano gli sforzi
superficiali unitari su tali piani, sono dunque sufficienti
a definire completamente lo stato di sforzo nel punto
considerato. Per una rotazione del sistema di
coordinate, che comporti il passaggio da vecchi assi x1,
x2 e x3 a nuovi assi x’1, x’2 e x’3 è possibile definire una
legge di trasformazione per le 9 componenti
considerate. Detti Dij il coseno direttore fra il vecchio
asse xi ed il nuovo asse x’’j, la legge di trasformazione
può essere derivata dall’Eq. 3. 83 ottenendo il risultato
riportato in Eq. 3. 84.
V ijc
¦ ¦D
ik D jl V ij
k 1,3 l 1,3
Eq. 3. 84
La trasformazione di coordinate indicata dall’Eq. 3. 84
definisce il carattere di tensore doppio dell’ente
descritto dalle nove componenti Vij. In altri termini, se
un ente è formato da nove componenti che si
comportano al variare del sistema di riferimento come
indicato dall’Eq. 3. 84, tale ente è definito un tensore
doppio. Questa stessa regola di cambiamento di
riferimento si applica pertanto anche ai tensori di
deformazione definiti nel par. 3.3.1.
25
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
Se si eliminano i termini con infinitesimi di ordine
superiore e si semplifica, si giunge al seguente notevole
risultato:
x3
V 33 W 31 wW 31
wx3
W 23 W 32
W 31 W 13
W 12 W 21
wV 33
dx 3
wx 3
W 32 wW 32
dx3
wx3
W 23 wW 23
dx3
wx2
W 13 wW 13
dx1
wx1
W12 V 11 wW12
dx1
wx1
W 21 wW 21
wx2
dx2
dx2
V 22 wV 22
wx2
Eq. 3. 86
Si osservi che l’eliminazione degli infinitesimi di
ordine superiore porterebbe anche ad eliminare
eventuali forze di volume o di inerzia che non sono
state considerate in Figura 3.29, rendendo il risultato
ottenuto in Eq. 3. 86 del tutto generale. Per le Eq. 3. 86
dunque il tensore dello sforzo è simmetrico, poiché, in
generale è possibile scrivere:
V ij
dx2
Eq. 3. 87
x2
wV 11
dx1
wx1
In modo del tutto analogo alle componenti del tensore
delle deformazioni infinitesime, introdotto nel par.
3.3.1, le componenti del tensore degli sforzi possono
essere organizzate secondo una notazione matriciale,
che rappresenta il tensore come una matrice simmetrica
del secondo ordine, rappresentata in Eq. 3. 88.
x1
ªV 11 W 12
ı ««W 21 V 22
«¬W 31 W 32
Eq. 3. 88
Figura 3.29 - Componenti del tensore degli
sforzi in coordinate cartesiani
L’equilibrio alla rotazione del cubo infinitesimo
attorno ad un asse passante per il centro della faccia
con normale i1 deve tenere conto dei momenti originati
dalle componenti W23 e W32 sulle facce aventi
rispettivamente normali i2 ed i3. Tali momenti si
calcolano considerando la forza risultante dal prodotto
dello sforzo per l’area delle facce ed il braccio di tale
forza rispetto all’asse considerato. Ragionando in modo
analogo per le rotazioni attorno agli altri assi si
perviene alle seguenti equazioni:
dx
dx
wW 32
dx3 dx1 dx 2 3 W 32 dx1 dx 2 3
wx3
2
2
ı ^V ` ^V 11 V 22
Eq. 3. 89
wW 13
dx
dx
dx1 dx 2 dx3 1 W 13 dx 2 dx3 1
wx1
2
2
0
0
wW 12
dx
dx
dx1 dx3 dx 2 1 W 12 dx3 dx 2 1 wx1
2
2
wW 21
dx
dx
dx 2 dx3 dx1 2 W 21 dx3 dx1 2
wx 2
2
2
Eq. 3. 85
V 33 W 12 W 13 W 23 `T
Analogamente al caso del tensore delle deformazioni
infinitesime, è necessario rilevare come le Eq. 3. 88e
Eq. 3. 89 rappresentino una possibile notazione per le
componenti del tensore di sforzo che permette di
sfruttare le operazioni definite nell’algebra matriciale.
Tuttavia, le notazioni matriciali e vettoriali introdotte
sono solo un’utile rappresentazione delle componenti
dello stato di sforzo, la cui natura è tensoriale, come
sancito dalle relazioni riportate in Eq. 3. 83 e in Eq. 3.
84.
dx
dx
wW 31
dx3 dx 2 dx1 3 W 31 dx 2 dx1 3 wx3
2
2
W 13 º
W 23 »»
V 33 »¼
Tuttavia, le componenti indipendenti del tensore di
sforzo sono solo 6, in virtù delle relazioni di simmetria
introdotte dall’Eq. 3. 86. Questo permette di arrangiare
le componenti del tensore di sforzo in notazione
vettoriale, come riportato in Eq. 3. 89.
wW 23
dx
dx
dx 2 dx1 dx3 2 W 23 dx1 dx3 2 wx 2
2
2
V ji
Direzioni principali e invarianti dei tensori di sforzo e
deformazione
0
Lo stato di sforzo in un punto è caratterizzato dal
tensore degli sforzi V che è determinato se sono noti gli
sforzi superficiali unitari agenti su tre piani coordinati.
Come si è visto nel par. 3.3.4, le componenti del
tensore di sforzo possono essere suddivise in sforzi
26
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
normali, con direzione perpendicolari alle superfici
sulle quali agiscono ed in sforzi di taglio, con direzione
parallela alle superfici stesse. E’ possibile indagare la
possibilità di individuare delle direzioni di riferimento
in cui gli sforzi di taglio sui piani coordinati siano nulli
e lo sforzo superficiale unitario, t(n) comprenda
componenti normali. Una direzione con tale proprietà è
definita direzione principale del tensore di sforzo (un
ragionamento analogo porta a definire delle direzioni
principali per il tensore di deformazione).
Detto n il versore della direzione principale e VO il
modulo dello sforzo agente nel piano con normale n, la
definizione di direzione principale comporta l’Eq. 3.
90, che deriva direttamente dalla relazione di Cauchy
(Eq. 3. 83).
t n On Ÿ ı 1 n1 ı 2 n 2 ı 3 n3
Eq. 3. 90
0
L’Eq. 3. 91 rappresenta un sistema di equazioni
omogeneo che ammette soluzioni non banali solo se la
matrice dei coefficienti ha determinante nullo. Il
problema è pertanto riconducibile alla determinazione
degli autovalori e degli autovettori della matrice che
rappresenta lo stato di sforzo. Si perviene così all’Eq.
3. 92, che rappresenta l’equazione caratteristica per il
calcolo delle direzioni principali.
W 12
W 13 º ·
¸
W 23 »» ¸
V 33 V O »¼ ¸¹
V 22 V O
W 23
2
2
2
W 23
W 31
V 11V 22 V 11V 33 V 33V 22 W 12
0
ªV I
«
ı « 0 V II
«¬ 0
0
Eq. 3. 95
W 13 º ·
¸
W 23 »» ¸
V 33 »¼ ¸¹
0 º
0 »»
V III »¼
In base all’Eq. 3. 95, utilizzando i valori degli sforzi
principali, le espressioni degli invarianti dello stato di
sforzo possono essere semplificate nelle forme
riportate in Eq. 3. 96.
0
I1
tr ı V I V II V III
I2
V I V II V I V III V III V II
I 3 V I V II V III
Eq. 3. 96
L’Eq. 3. 92 rappresenta una equazione di terzo grado e
può essere ridotta alla forma seguente:
V O3 I 1V O2 I 2V O I 3
I2
Per la simmetria del tensore degli sforzi, l’Eq. 3. 93
ammette 3 soluzioni reali, gli autovalori di V, che
vengono definiti sforzi principali e indicati con i
simboli VI, VII e VIII. Sostituendo tali valori a VO
nell’Eq. 3. 91, il sistema di equazioni omogeneo
ammette come soluzione degli autovettori {n1 n2 n3}T
che individuano, a meno di una costante moltiplicativa,
i versori delle tre direzioni principali. Si può dimostrare
che tali direzioni sono mutuamente ortogonali e
definiscono una terna di assi cartesiani nello spazio
definiti assi principali.
Per loro natura, gli sforzi principali hanno un valore
indipendente dal sistema di riferimento da cui si è
partiti per impostare il problema agli autovalori. Ciò
significa che anche i coefficienti dell’equazione
caratteristica
(Eq.
3.
93)
non
dipendono
dall’orientamento del sistema di riferimento nel quale
sono espresse le componenti del tensore di sforzo. Le
quantità I1, I2 e I3 sono pertanto dette, rispettivamente
primo, secondo e terzo invariante dello stato di sforzo.
In modo analogo è possibile definire direzioni
principali e invarianti per il tensore di deformazione.
Assumendo come sistema di riferimento gli assi
principali dello sforzo, l’espressione del tensore di
sforzo in notazione matriciale diventa:
Considerando la simmetria del tensore di sforzo e
applicando la notazione matriciale per il tensore di
sforzo, l’Eq. 3. 91, che comprende la relazione di
Cauchy, può essere riscritta nel modo seguente:
§ ªV 11 V O
¨
det¨ «« W 12
¨«
© ¬ W 13
Eq. 3. 92
tr ı V 11 V 22 V 33
§ ªV 11 W 12
¨
I 3 det ¨ ««W 21 V 22
¨«
© ¬W 31 W 32
Eq. 3. 94
V On
ªV 11 W 12 W 13 º ­ n1 ½
­ n1 ½
° °
° °
«W
»
« 12 V 22 W 23 » ®n 2 ¾ V O ®n 2 ¾
°n °
«¬W 13 W 23 V 33 »¼ °¯n3 °¿
¯ 3¿
§ ªV 11 W 12 W 13 º
ª1 0 0º ·­ n1 ½
¨«
¸° °
»
=> ¨ «W 12 V 22 W 23 » V O ««0 1 0»» ¸®n 2 ¾
¨«
«¬0 0 1»¼ ¸¹°¯n3 °¿
© ¬W 13 W 23 V 33 »¼
Eq. 3. 91
I1
In effetti, utilizzando la terna di riferimento delle
direzioni principali, la descrizione dello stato di sforzo
si semplifica notevolmente sotto diversi aspetti. Detti i
iI, iII , iIII i versori delle direzioni principali, i vettori
che rappresentano lo sforzo superficiale unitario sui
piani perpendicolari ai tre assi divengono:
0
Eq. 3. 93
dove:
27
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
ıI
ı II
ı III
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
V I iI
V II i II
V III i III
principali. Ad esempio è possibile far ruotare la
normale n nel piano iII-iIII e indagare lo stato di sforzo
su piani paralleli al versore iI, come schematizzato in
Figura 3.31.
n
Eq. 3. 97
Vn
Pertanto, detti nI, nII e nIII i coseni direttori di un
generico piano rispetto alle direzioni principali, lo
sforzo t(n) su tale piano avrà l’espressione fornita in
Eq. 3. 98, ottenuta applicando la relazione di Cauchy
(Eq. 3. 83), mentre il quadrato del modulo dello sforzo
t(n) ha l’espressione riportato in Eq. 3. 99.
Wn
E
iII
t n V I i I n I V II i II n II V III i III n III
Eq. 3. 98
Figura 3.31 - Variazione dello stato di sforzo
su piani paralleli al versore iI
2
2
2
V I2 n I2 V II2 n II2 V III
n III
Eq. 3. 99
tn
Poiché per i piani in esame nI=0, n2II = cos2E e n2III = 1cos2E=sin2E, l’Eq. 3. 100 si riduce a:
La Figura 3.30 mostra lo sforzo superficiale unitario su
un generico piano, descritto utilizzando le direzioni
principali come assi di riferimento. Sul generico piano,
che non è perpendicolare ad una direzione principale,
lo sforzo avrà una componente normale Vn ed una
componente di taglioWn.
Vn
Vn=tn˜n
V II V III cos E V III
Eq. 3. 102
tn
Wn
iII
Figura 3.30 - Stato di sforzo espresso nelle
direzioni principali
Il valore della componente Vn è immediatamente
calcolabile mediante il prodotto scalare fra il vettore di
sforzo e la normale. Risulta:
V n t n ˜n
Eq. 3. 100
V II n II2
2
V III n III
2
2 2
V I2 nI2 V II2 nII2 V III
nIII V II nII2
2 2
V III nIII
t n V n2
V I nI2
Eq. 3. 101
V I V II cos 2 D V II
V I V III cos 2 J V III
V II V III cos 2 E V I
Vn
Vn
Vn
su piani // a i 3
su piani // a i 2
su piani // a i 1
Eq. 3. 103
Sempre considerando i piani paralleli ad uno dei
versori, ad esempio iI è possibile indagare l’andamento
degli sforzi di taglio applicando l’ Eq. 3. 101 che
diviene, con alcuni passaggi:
Dall’Eq. 3. 99 e dall’Eq. 3. 100 è possibile ottenere
l’espressione per il quadrato del modulo della
componente di taglio, Wn.
W n2
L’Eq. 3. 102 mostra come lo sforzo Vn vari fra un
valore estremo, VII, per cosE=1, un altro valore
estremoVIII, ottenuto per cosE=0. Tali estremi
rappresentano i massimi o i minimi dello sforzo
normale sui piani paralleli ad iI, in dipendenza del
segni della differenza VII -VIII. Se i valori degli sforzi
principali sono ordinati con VI >VII >VIII, allora VII
rappresenta il massimo dello sforzo normale sui piani
paralleli a ad iI e VIII è il minimo. Si può dimostrare che
il massimo e il minimo degli sforzi principali
rappresentano effettivamente il massimo e il minimo
valore degli sforzi normali agenti su un piano qualsiasi.
Analoghi ragionamenti possono essere sviluppati per i
piani paralleli agli altri versori, portanto alle seguenti
equazioni:
iIII
V I n I2
V II cos 2 E V III 1 cos 2 E
2
n
iI
tn
iIII
W n2
2
V II2 cos 2 E V III
sin 2 E V II cos 2 E V III sin 2 E 2
2
cos 2 E 1 cos 2 E V II2 V III
2V II V III
V
Lo stato di sforzo può essere esaminato considerandone
l’andamento su piani paralleli ad una delle direzioni
II
V III
Eq. 3. 104
28
2
1 2
sin 2E
4
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
1
V 11 V 22 V 33 3
Eq. 3. 107
p
Applicando analoghi passaggi per rotazioni attorno agli
altri versori, il modulo dello sforzo di taglio risulta
pertanto:
Wn
V I V II
sin 2D
2
V II V III
sin 2 E
Wn
2
V III V I
Wn
sin 2J
2
Eq. 3. 105
Lo stato di sforzo che, sovrapposto a pI, ricostruisce lo
stato di sforzo originale è chiamato sforzo devia torico
ed ha espressione:
su piani // a i 3
W 12
W 13
ªV 11 p
« W
V
p
W
22
23
« 12
«¬ W 13
W 23
V 33 Eq. 3. 108
su piani // a i 2
s
su piani // a i 1
Tali equazioni mostrano che, ruotando la normale del
piano su cui agisce lo sforzo superficiale attorno ai
versori delle direzioni principali, la componente di
taglio passa da valori nulli, in corrispondenza delle
direzioni principali (per angoli pari a 0°, 90°, 180°,
270°) a valori massimi nelle direzioni dove sin2D,
sin2E o sin2J è uguale a 1 cioè per 45°, 135°, 225° e
315°. Complessivamente, il valore massimo dello
sforzo di taglio agente nel materiale ha l’espressione
data in Eq. 3. 106.
§ V V III V I V II V II V III
max¨ I
,
,
¨
max
2
2
2
©
Eq. 3. 106
Wn
Si può dimostrare che le direzioni principali dello stato
di sforzo deviatorico sono le stesse dello stato di sforzo
complessivo. Infatti, se il vettore n è una direzione
principale per lo stato di sforzo, le sue componenti
soddisfano l’Eq. 3. 91 e dai membri sinistro e destro di
tale equazione è possibile sottrarre un termine pI,
ottenendo:
W 12
W 13 º ­ n1 ½
ªV 11 p
­ n1 ½
° °
° °
« W
»
V 22 p
W 23 » ®n2 ¾ V O p ®n2 ¾
« 12
°n °
«¬ W 13
W 23
V 33 p »¼ °¯n3 °¿
¯ 3¿
ª s11 s12 s13 º ­ n1 ½
­ n1 ½
° °
° °
Ÿ «« s12 s22 s23 »» ®n2 ¾ V O p ®n2 ¾
°n °
«¬ s13 s 23 s33 »¼ °¯n3 °¿
¯ 3¿
Eq. 3. 109
·
¸
¸
¹
Se gli sforzi normali sono ordinati come VI >VII >VIII,
allora lo sforzo massimo di taglio risulta (VI -VIII)/2.
3.3.5
º
»
»
p »¼
I vettori n che soddisfano Eq. 3. 91 soddisfano anche
l’Eq. 3. 109 e sono pertanto le direzioni principali
anche del tensore di sforzo devia torico i cui sforzi
principali risultano sI = VI –– p, sII = VII –– p, sIII = VIII –– p.
Componenti idrostatiche e deviatoriche dello
stato di sforzo
Gi invarianti del tensore di sforzo devia torico hanno le
seguenti espressioni:
Un caso particolare di stato di sforzo è quello relativo
all’applicazione di uno stato di sforzo idrostatico p che
dà luogo a uno sforzo normale costante al variare della
giacitura del piano (analogamente a quanto accade per
la pressione in un fluido).
Tale stato di sforzo è caratterizzato da un tensore di
sforzo avente VI =VII =VIII e pari a p. Sulla base delle
Eq. 3. 103 e Eq. 3. 106 è immediato constatare che lo
sforzo normale rimane costante sui piani indagati e che
le componenti di taglio risultano sempre nulle. La
matrice che rappresenta tale stato di sforzo ha la forma
pI, dove I è la matrice identità. Per tale stato di sforzo,
il tensore di deformazione è invariante alla rotazione
degli assi e la matrice che lo rappresenta resta sempre
identica a pI.
J1
tr s 0
J2
1
V 11 V 22 2 V 22 V 33 2 V 33 V 11 2 6
>
@
2
2
2
W 12
W 23
W 13
>
1
V I V II 2 V II V III 2 V III V I 2
6
1 2
2
s I s II2 s III
2
J 3 det s ij
S I S II S III
@
Eq. 3. 110
Per la teoria della plasticità assume particolare
interesse la possibilità di decomporre un qualsiasi stato
di sforzo V in due stati di sforzo, uno dei quali
rappresenta le sole componenti idrostatiche,
caratterizzate da una pressione p data da:
3.3.6
Il lavoro di deformazione in stati di sforzo
pluri-assiali
Considerando il cubo di volume infinitesimo
rappresentato in Figura 3.32 ed applicando incrementi
di deformazione infinitesima caratterizzati da singole
29
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
componenti non nulle del tensore di deformazione, è
possibile estendere la definizione di lavoro di
deformazione, presentata al par. 3.2.3 al caso più
generale.
In particolare, si giunge all’importante risultato che le
componenti del tensore di sforzo lavorano solo per le
corrispondenti
componenti
del
tensore
di
deformazione.
Eq. 3. 113
Per ottenere il lavoro complessivo di deformazione sarà
infine necessario integrare nel volume del continuo.
3.4 Modellazione del comportamento
elasto-plastico
La risposta costitutiva di un materiale elasto-plastico a
livello macroscopico è stata descritta nel par. 3.2. La
descrizione si è tuttavia limita al caso
monodimensionale, prendendo in considerazione i
comportamenti ottenuti in una prova di trazione
uniassiale. Il par. 3.3 ha fornito le nozioni della
meccanica dei continui deformabile per trattare la
modellazione del comportamento elasto-plastico in
stati di sforzo e deformazione pluriassiali. Questo
paragrafo formalizza la legge costitutiva elasto-plastica
in stati di sforzo pluriassiali nell’ipotesi di
deformazioni infinitesime. Si tratterrà dapprima il
legame elastico. Successivamente saranno indagati i
criteri per individuare il confine del campo elastico in
stati di sforzo pluriassiali e le modalità di
rappresentazione dei fenomeni di incrudimento.
L’ultima parte del paragrafo è dedicata alla
modellazione del legame costitutivo in presenza di
sviluppo di deformazioni plastiche.
V33
W32
W31
W13
W12
V11
W23
W21
dH22
V22
X3
X3
dH23
X1
Figura 3.32 - Sforzi e deformazioni in un cubo
di volume infinitesimo
3.4.1
L’espressione generale del lavoro di deformazione per
unità di volume è pertanto:
Energia di deformazione
Si è visto, nel Cap. 2, che la deformazione elastica
comporta la variazione delle distanze fra gli atomi dei
materiali policristallini e per sua natura è reversibile. Il
lavoro speso da un sistema di forze esterne e interne
per deformare elasticamente un solido comporta una
variazione dell’energia potenziale associata alle forze
di legame fra gli atomi e tale energia viene
completamente restituita una volta che cessa l’agente
che causa la deformazione. L’energia immagazzinata
non dipende dal percorso seguito dal processo
deformativo, ma solo dal valore finale dello stato di
deformazione.
Fintanto che il materiale rimane in campo elastico, il
lavoro di deformazione, definito nel par. 3.3.6,
compiuto a partire dalla configurazione indeformata
fornisce
fino allo stato di deformazione ^H`,
l’espressione di un potenziale, detto energia di
deformazione. L’energia di deformazione è uno
scalare, funzione dello stato di deformazione, la cui
espressione è data in Eq. 3. 114.
V 11dH 11 V 22 dH 22 V 33 dH 33 W 12 dH 12 W 21dH 21 W 13 dH 13 W 31dH 31 W 23 dH 32 W 23 dH 23
dwd
Eq. 3. 111
La simmetria del tensore degli sforzi, l’introduzione
degli scorrimenti J definiti in Eq. 3. 55 e applicazione
della notazione vettoriale permettono un’espressione
compatta del lavoro di deformazione, riportata in Eq. 3.
112.
dwd
V 11dH 11 V 22 dH 22 V 33 dH 33 W 12 dJ 12 W 13 dJ 13 W 23 dO32
^V `T ^dH `
¦V
ij H ij
Eq. 3. 112
L’integrazione dell’Eq. 3. 112 da uno stato di iniziale
indeformato fino a uno stato finale di deformazione
caratterizzato da un vettore ^H` fornisce il lavoro di
deformazione per unità di volume necessario per far
svolgere il processo de formativo:
Z İ ^H `
T
³ ^V ` ^dH `
0
İ
³ dZ İ 0
Eq. 3. 114
^H `
wd
Il comportamento del materiale in campo
elastico
³ ^V ` ^dH `
T
Il differenziale dZ è un differenziale esatto, che è
esprimibile come in Eq. 3. 115 in funzione delle
0
30
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
Z rispetto alle
derivate parziali dello scalare
componenti di deformazione:
dZ İ ^V `T ^dH `
w § wZ ·
w
¨
¸
¨
¸
wH m © wH n ¹ wH n
wV n wV m
Ÿ
wH m wH in
Eq. 3. 119
T
wZ
dİ
wİ
­ wZ ½
® ¾ ^dH `
¯ wH ¿
Eq. 3. 115
­ wZ ½
® ¾
¯ wH ¿
Eq. 3. 116
^V `
Legame elastico per materiali isotropi
Il legame elastico espresso dall’Eq. 3. 117 dipende in
generale dal sistema di riferimento in cui sono espresse
le componenti dei tensori di sforzo e deformazione.
Tuttavia, l’isotropia comporta che il legame non cambi
al variare del sistema di riferimento stesso. L’Eq. 3.
116, inoltre, stabilisce che, una volta nota l’espressione
dell’energia di deformazione in funzione delle
componenti di deformazione, il legame elastico è
completamente determinato. Queste considerazioni
comportano necessariamente che l’energia di
deformazione deve poter essere espressa in funzione
degli invarianti del tensore di deformazione, che hanno
espressione:
L’Eq. 3. 116 indica che, nota l’espressione dell’energia
di deformazione in funzione delle deformazioni, la
legge costitutiva elastica è completamente determinata.
Per i materiali metallici, come si è visto nel par. 3.2.2,
il campo elastico prevede anche la linearità del legame
sforzi-deformazioni
(con
possibili
deviazioni
trascurabili oltre il limite di proporzionalità). La
linearità, che non è un attributo necessario del
comportamento elastico, specifica ulteriormente la
forma del legame sforzi-deformazioni. La forma più
generale per un legame lineare fra le componenti di
sforzo e deformazione è riportata in Eq. 3. 117, che
sfrutta la notazione vettoriale per il tensore di sforzo e
deformazione.
^V ` >D@^H `
Eq. 3. 117
Applicando l’Eq. 3. 117, l’energia di deformazione per
unità di volume ha la seguente espressione:
Z ^H `
^H ij `
³ ^V ` ^dH ` ³ ^H `
T
0
T
·
¸
¸
¹
Dove con m e n si sono indicate le posizioni delle
componenti Vij e Hij nei vettori ^V` e ^H` nella
notazione matriciale adottata.
Quindi, considerando la notazione matriciale adottata
in Eq. 3. 117, wVm/wHn è una componente della matrice
D, che può essere indicata come Dmn. L’applicazione
dell’Eq. 3. 119 al legame elastico e lineare
formalizzato in Eq. 3. 117 dimostra quindi che Dmn =
Dnm e comporta, quindi, la simmetria della matrice D,
che ha un numero massimo di elementi indipendenti
pari a 21.
dove il vettore ^wZ/wH` ha per componenti le derivate
dello scalare Z rispetto alle componenti di ^H`. Dalla
Eq. 3. 115 discende la forma generale della legge
costitutiva elastica, cioè del legame fra sforzi e
deformazioni in campo elastico. Infatti, confrontando
le diverse espressioni dell’energia di deformazione
presentate in Eq. 3. 115, è immediato riconoscere che
gli sforzi si ottengono derivando l’energia potenziale
rispetto
alle
corrispondenti
componenti
di
deformazione. Il risultato è formalizzato in Eq. 3. 116.
^H ij `
§ wZ
¨
¨ wH
© m
I1
tr İ H 11 H 22 H 33
I2
H 11H 22 H 11H 33 H 33V 22 I3
§ ªH 11 H 12
¨
det ¨ ««H 21 H 22
¨«
© ¬H 31 H 32
1 2
2
2
J 23
J 12 J 13
4
H 13 º ·
¸
H 23 »» ¸
H 33 »¼ ¸¹
Eq. 3. 120
Poiché si è anche dimostrato, nel caso lineare, che
l’energia di deformazione è una forma quadratica delle
componenti Hij , il terzo invariante non può comparire e
dovrà essere Z=Z(I1, I2). Inoltre, affinché l’espressione
sia una forma quadratica, il primo invariante dovrà
necessariamente comparire al quadrato. L’espressione
dell’energia di deformazione è dunque:
>D@^dH `
0
1 T
^H ` >D @^H `
2
Eq. 3. 118
L’energia di deformazione risulta pertanto una forma
quadratica delle componenti del tensore di
deformazione.
La matrice D è una matrice di ordine 6 x 6, di
componenti. Poiché lo scalare dZ è un differenziale
esatto, si ha:
aI 12 bI 22
Eq. 3. 121
Z
Attraverso considerazioni puramente teoriche, dunque
è dunque possibile dimostrare che il legame elasticolineare, per un materiale isotropo, deve dipendere da
sole due costanti indipendenti. L’Eq. 3. 121 è riscritta
31
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
nella forma presentata in Eq. 3. 122, dove O e G sono
note come costanti di Lamè:
dalle componenti di deformazione deviatorica e che, in
particolare:
Z O 2G I 12 2GI 22
Eq. 3. 122
^s` 2G^e`
Eq. 3. 126
L’applicazione dell’Eq. 3. 116 alla forma di Z data in
Eq. 3. 122, conduce a definire il legame elastico nel
seguente modo:
Le costanti di Lamè non hanno un chiaro significato
fisico e, nella pratica ingegneristica, si preferisce
esprimere il modulo elastico in funzione di grandezze
definibili e misurabili in modo più diretto. In
particolare, è possibile dimostrare che il modulo di
Young, E, del materiale, definito nel par. 3.2.1, ha la
seguente espressione in funzione delle costanti di
Lamè:
V 11 O 2G H 11 OH 22 OH 33
V 22 OH 11 O 2G H 22 OH 33
V 33 OH 11 OH 22 O 2G H 33
W 12 GJ 12
W 13 GJ 13
W 23 GJ 23
3O 2G
O G
Eq. 3. 127
E
Eq. 3. 123
Il modulo di Young, a differenza delle costanti di
Lamè, ha un chiaro significato fisico ed è
immediatamente determinabile dalla curva sforzideformazioni. Un’altra costante elastica che ha
significato fisico ed è di facile identificazione
sperimentale è il coefficiente di contrazione trasversale
(o di Poisson), v, definito nel 3.2.1, come l’opposto del
rapporto fra la deformazione trasversale e quella
longitudinale nella prova di trazione. In funzione delle
costanti di Lamè, risulta:
Se il sistema di riferimento utilizzato per esprimere le
componenti di sforzo e deformazione è quello delle
direzioni principali del tensore di deformazione allora
gli scorrimenti a taglio sono nulli, Jij =0. In base alle
Eq. 3. 123, anche gli sforzi di taglio sono nulli in tale
sistema di riferimento:Wij=0. La terna è quindi
principale anche per il tensore degli sforzi e le direzioni
principali del tensore di deformazione e di sforzo
coincidono.
L’espressione del legame elastico in funzione delle
costanti di Lamè è utile per evidenziare che, in un
materiale lineare elastico isotropo, si ha il
disaccoppiamento fra i legami di sforzo-deformazione
idrostatici e deviatorici. Infatti, sommando le
espressioni delle componenti ad indici uguali nell’Eq.
3. 123 si ottiene:
V 11 V 22 V 33
G
v
O
2O 2G Eq. 3. 128
Si osservi che anche la costante di Lamè G ha
significato fisico poiché rappresenta il modulo di
elasticità a taglio (o tangenziale) del materiale, come
indicato dalle Eq. 3. 123. Il legame elastico è quindi
tipicamente espresso in funzione di queste tre costanti
E, v e G, che vengono talvolta definite costanti
ingegneristiche. La matrice di rigidezza D, ottenuta
considerando le Eq. 3. 123, Eq. 3. 127 e Eq. 3. 128
assume la forma
3O 2G H 11 H 22 H 33 Ÿ p K4
Eq. 3. 124
Dove K=3O+2G è definito Bulk modulus del materiale.
Considerando l’Eq. 3. 124 è possibile ottenere dalle
Eq. 3. 123, con alcuni passaggi, le seguenti espressioni:
V 11 p 2G H 11 4 V 22 p 2G H 22 4 V 33 p 2G H 33 4 W 12 GJ 12 2GH 12
W 13 GJ 13 2GH 13
W 23 GJ 23 2GH 23
D
Eq. 3. 125
ª E 1 v « 1 v 1 2v «
Ev
«
« 1 v 1 2v «
Ev
«
« 1 v 1 2v «
0
«
0
«
«¬
0
Ev
1 v 1 2v E 1 v 1 v 1 2v Ev
1 v 1 2v 0
0
0
Ev
0
1 v 1 2v Ev
0
1 v 1 2v E 1 v 0
1 v 1 2v G
0
0
0
0
0
º
0»
»
0 0»
»
»
0 0»
»
0 0»
»
G 0»
0 G »¼
0
Eq. 3. 129
Dalla definizione delle componenti del tensore di
deformazione deviatorica, e, e del tensore di sforzo
deviatorico, s, introdotte nei par. 3.3.2 e 3.3.5, l’Eq. 3.
125 implica che lo sforzo deviatorico dipende solo
Nella matrice D, tuttavia due sole sono le costanti
elastiche indipendenti, poiché dalle Eq. 3. 127 e Eq. 3.
128 discende direttamente il legame:
32
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
strutturale per le costruzioni aerospaziali. Infatti, la
plasticità dei metalli è sfruttata per produrre manufatti
in una serie di processi tecnologici di grande interesse
per l’industria aerospaziale, ed è fondamentale
individuare i livelli di sforzo necessari per produrre le
deformazioni plastiche. D’altra parte, in ambito
strutturale, le strutture devono, con pochissime
eccezioni, rimanere in campo elastico in normali
condizioni di utilizzo. La struttura di un veicolo
aerospaziale è quindi dimensionata e progettata in
modo che il materiale rimanga entro i confini del
campo elastico, che devono pertanto essere ben
definiti.
Come si è visto nel par. 3.1, il confine tra il campo
elastico e quello plastico è caratterizzato dal fenomeno
dello snervamento. Si è anche osservato che non tutti i
materiali presentano un punto di snervamento
chiaramente
identificabile
dal
comportamento
macroscopico rilevato nella prova di trazione
uniassiale. Infatti, nella maggior parte dei metalli di
interesse aerospaziale, quali leghe di alluminio, titanio
e acciai ad alta resistenza, l’attivazione dei fenomeni di
generazione e moto delle dislocazioni può avvenire in
modo graduale e il confine fra il comportamento
elastico e quello plastico può essere sfumato. La
necessità di determinare un preciso confine, per ragioni
soprattutto applicative, ha tuttavia portato alla
definizione di un limite di snervamento convenzionale
(tipicamente individuato come il punto corrispondente
allo sviluppo di deformazioni plastiche di 0.2%).
Il limite individuato nella prova di trazione uniassiale è
comunque riferito ad un particolare stato di sforzo.
Come si è visto nel Par. 3.3.4, tale stato di sforzo è
caratterizzato da un solo sforzo principale non nullo,
con valore pari allo sforzo agente nella sezione
trasversale del provino. In generale, tuttavia, il
materiale può raggiungere il limite di snervamento in
una generica condizione, caratterizzata da una
combinazione qualsiasi delle componenti del tensore
degli sforzi. Infatti, assumendo un punto di vista
microstrutturale, le condizioni per l’attivazione del
moto delle dislocazioni che provocano lo sviluppo
della deformazione plastica, possono verificarsi per
stati di sforzo diversi che non possono essere ricondotti
al semplice stato di sforzo uniassiale.
Poiché gli stati di sforzo che portano allo snervamento
del materiale sono rappresentabili nello spazio a 6
dimensioni dalle componenti cartesiane del tensore di
sforzo, un approccio puramente fenomenologico
comporta la definizione di una superficie nello spazio
degli sforzi con espressione analitica f(V) tale che:
E
21 2v Eq. 3. 130
G
La matrice D definisce completamente il legame diretto
sforzo-deformazione, ma il comportamento elastico del
materiale è illustrato in modo più chiaro dal legame
inverso che indica, applicando uno stato di sforzo, la
deformazione ottenuta. Tale legame è caratterizzato
dalla matrice di flessibilità, C, tale che:
^H ` >C @^V `
Ÿ >C @ >D @1
Eq. 3. 131
Nel legame elastico isotropico la matrice di flessibilità
ha una forma particolarmente semplice, riportata in Eq.
3. 132.
v
ª 1
« E E
« v
1
«
E
« E
v
« v
« E E
C «
« 0
0
«
« 0
0
«
«
« 0
0
¬
Eq. 3. 132
v
E
v
E
v
E
0
0
0
0
0
0
0
1
G
0
0
0
1
G
0
0
0
º
0»
»
0»
»
»
0»
»
0»
»
0 »»
1»
»
G¼
In base alle Eq. 3. 131 e Eq. 3. 132 si può osservare
che l’applicazione di uno sforzo normale provoca un
allungamento nella direzione dello sforzo e delle
contrazioni nelle direzioni trasversali.
Si osservi anche che l’espressione del legame diretto
V=EH introdotta nel 3.2.2 non è in generale valida, ma
è specifica per il caso della trazione uniassiale. Infatti,
se si considera la forma della matrice di cedevolezza,
l’applicazione di uno stato di sforzo V11 comporta uno
stato di deformazione caratterizzato da H22 = H33 = -vH11.
Sotto tali condizioni, il legame diretto, caratterizzato
dalla matrice D definita in Eq. 3. 129 diviene:
E 1 v Ev
vH 11 H 1 v 1 2v 11 1 v 1 2v 2
Ev
vH 11 E 1 v 2 Ev H 11 EH 11
1 v 1 2v 1 v 1 2v V 11
f ı 0 Ÿ
materiale in campo elastico
f ı 0 Ÿ materiale in condizioni di snervamento
Eq. 3. 134
Eq. 3. 133
3.4.2
Criteri di snervamento
In generale, qualunque espressione come f(V) che
cerchi di predire lo stato di sforzo al quale avviene lo
snervamento si definisce criterio di snervamento e la
superficie descritta nello spazio degli sforzi
Snervamento in stati di sforzo pluriassiali
Il confine fra comportamento elastico e plastico è di
particolare interesse sia in ambito tecnologico che
33
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
dall’equazione f(V) = 0 è definita superficie di
snervamento.
Per altri tipi di materiale, che sono caratterizzati da
rotture fragili senza sviluppo di deformazioni plastiche,
espressioni simili alla f(V) possono essere definite
criteri di rottura.
Per la plasticità dei metalli, la conoscenza dei
meccanismi fisici alla base del comportamento plastico
e i risultati di numerose campagne di prove
sperimentali hanno storicamente permesso di
sviluppare criteri di snervamento derivanti da
considerazioni di carattere fisico. Tali criteri sono
basati sulla definizione di una grandezza indice del
pericolo di snervamento, funzione delle componenti
del tensore degli sforzi o degli sforzi principali. Questa
grandezza può rappresentare un particolare aspetto
dello stato di sforzo-deformazione (ad esempio il
massimo sforzo principale, o il massimo sforzo di
taglio o la massima deformazione principale, espressa
in funzione degli sforzi attraverso il legame elastico)
oppure avere un significato energetico (ad esempio un
livello di lavoro di deformazione oltre il quale si
verifica lo snervamento).
La grandezza, che avrà generica espressione F(V), può
essere confrontata con il valore che essa assume allo
snervamento, N, che è da determinarsi per via
sperimentale. Il criterio di snervamento assume la
forma:
F ı N
F ı N
Ÿ
Ÿ
x
x
I primi due punti, che si riferiscono a evidenze
sperimentali, sono in effetti intrinsecamente collegati
poiché si è visto che, nel legame elastico, i legami
sforzo-deformazione volumetrici e deviatorici sono
disaccoppiabili (Eq. 3. 124 e Eq. 3. 126) . Non può
sorprendere, dunque, che l’attivazione di un fenomeno
caratterizzato dallo sviluppo di deformazioni solo
deviatoriche (a volume costante) sia influenzata solo
dalle componenti deviatoriche dello sforzo.
L’assunzione relativa ai materiali isotropi semplifica la
definizione della grandezza indice del pericolo, poiché
essa dovrà necessariamente dipendere dagli invarianti
del tensore degli sforzi o dagli sforzi principali (che
sono anch’essi invarianti). La grandezza indice del
pericolo dipenderà solo da tre variabili e il criterio di
snervamento sarà rappresentabile nello spazio
tridimensionale degli sforzi principali.
In conclusione, le evidenze sperimentali e
considerazioni teoriche conducono a considerare criteri
e grandezze indice del pericolo che:
x siano esprimibili in funzione degli invarianti o
degli sforzi principali;
x escludano l’influenza degli stati di sforzo
idrostatico;
x definiscano un limite di snervamento a
trazione uguale a quello a compressione.
materiale in campo elastico
materiale in condizioni di snervament o
Eq. 3. 135
Dalle Eq. 3. 134e Eq. 3. 135 deriva la relazione fra
grandezza indice del pericolo e criterio di snervamento:
f ı F ı N
Eq. 3. 136
Criteri di Guest-Tresca e Hubert-Hencky-Von Mises
I criteri di Guest-Tresca e di Hubert-Hencky-Von
Mises sono i più diffusi per la formalizzazione della
superficie di snervamento nei materiali metallici.
Entrambi soddisfano i requisiti definiti alla fine della
sezione precedente e ottengono buone correlazioni con
i dati sperimentali.
Un vantaggio importante dell’individuazione di una
grandezza indice del pericolo che abbia significato
fisico è la possibilità di calibrare il criterio, cioè di
individuare N, con poche o al limite una sola prova
sperimentale, eliminando la necessità di esplorare il
confine fra campo elastico e plastico nell’intero spazio
degli sforzi.
I punti cardine sui quali si è basata l’elaborazione di
adeguati e affidabili criteri di snervamento per i
materiali elasto-plastici, e in particolare i per i metalli,
sono i seguenti:
x
x
immersi in una camera a pressione applicando
fino a 25000 atmosfere)
Il limite di snervamento in un materiale
vergine è in generale uguale in trazione e
compressione
I materiali metallici elasticamente isotropi
hanno, in generale, un comportamento che
può essere approssimato come isotropo anche
in campo plastico.
Il criterio di Guest-Tresca (o criterio di Tresca,
formulato nel 1864) definisce come grandezza indice
del pericolo il massimo sforzo di taglio Wmax. Il criterio
ha dunque la seguente espressione:
W max N
W max N
Gli esperimenti hanno confermato che le
deformazioni plastiche avvengono a volume
costante;
L’aggiunta di uno stato di sforzo idrostatico a
una qualsiasi condizione di sforzo non varia il
limite di snervamento, anche per valori
elevatissimi della pressione idrostatica
applicata (negli esperimenti compiuti da
Bridgman, negli anni ’50, si usarono provini
Ÿ
Ÿ
materiale in campo elastico
materiale in condizioni di snervament o
Eq. 3. 137
Il criterio di Tresca si adatta perfettamente a
un’idealizzazione che considera i fenomeni di
generazione e moto delle dislocazioni originati dai soli
sforzi di taglio. L’espressione del massimo sforzo di
taglio è data dall’Eq. 3. 106, che è qui riportata:
34
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
§ V V III V I V II V II V III
Wn
max¨ I
,
,
¨
max
2
2
2
©
Eq. 3. 138
Mises (1913), mentre Hencky ne fornì l’interpretazione
energetica.
·
¸
¸
¹
Formalmente, il criterio si esprime assumendo come
grandezza indice del pericolo l’invariante secondo del
tensore di sforzo deviatorico, J2, definito nel par. 3.3.5.
L’Eq. 3. 138 conferma che la grandezza indice del
pericolo dipende unicamente dagli invarianti dello stato
di sforzo. Inoltre, il valore del massimo taglio è
indipendente dallo stato di sforzo idrostatico applicato
(che aumenta della stessa quantità gli sforzi principali e
non ha effetto sulle differenze a secondo membro della
Eq. 3. 138). La grandezza indice del pericolo è infine
invariante rispetto al cambiamento di segno degli sforzi
principali. I requisiti elencati alla fine della precedente
sezione sono quindi soddisfatti.
Se si considera uno dei tre piani nello spazio degli
sforzi principali, il criterio di Tresca definisce un
confine di forma esagonale fra il campo elastico e
quello plastico. Infatti, considerando il piano di
equazione VIII = 0 considerato in Figura 3.33, due rette
inclinate limitano la differenza fra VI e VII, nel secondo
e quarto quadrante. Inoltre, nel primo e nel terzo
quadrante si ha |VI| < 2N e |VII| < 2N per limitare la
differenza fra VI e VIII =0 e fra VII e VIII =0.
L’individuazione della grandezza indice del pericolo,
N, può essere eseguita mediante la prova di trazione
uniassiale, dove lo stato di sforzo allo snervamento è
caratterizzato da un unico valore di sforzo principale
non nullo VI =VY e pertanto risulta:
N
Wn
max
VI
VY
2
2
J2 N 2
J2 N 2
materiale in campo elastico
materiale in condizioni di snervament o
Eq. 3. 140
dove J2 ha le espressioni riportate in Eq. 3. 141, già
introdotte nell’Eq. 3. 110, in funzione delle
componenti del tensore di sforzo in assi cartesiani ed in
assi principali:
>
J2
2
W 12
>
@
1
V 11 V 22 2 V 22 V 33 2 V 33 V 11 2 6
2
2
W 23
W 13
1
V I V II 2 V II V III 2 V III V I 2
6
Eq. 3. 141
@
J2 è un invariante, non dipende dalla pressione
idrostatica e, essendo una forma quadratica delle
componenti di sforzo, non dipende dal segno dello
sforzo stesso. Il criterio soddisfa quindi i requisiti
espressi al termine della sezione precedente e ammette,
inoltre, una significativa interpretazione energetica.
L’interpretazione si basa sulla scomposizione
dell’energia di deformazione in due contributi che si
ottengono separando il lavoro compiuto dallo stato di
sforzo per una deformazione deviatorica e per una
deformazione volumetrica. Il lavoro compiuto dal
tensore di sforzo ^V` per la deformazione deviatorica è
chiamato energia di distorsione, Zd. In assi principali
per lo stato di sforzo e deformazione si ha:
Eq. 3. 139
VII
Ÿ
Ÿ
VI-VII=2N
1
^V `T ^e` 1 V I e I V II e II V III e II 2
2
Eq. 3. 142
Zd
Poiché, in base all’Eq. 3. 126, la deformazione
deviatorica dipende solo dallo sforzo deviatorico, si
può scrivere in, assi principali:
VI
VI-VII=-2N
Figura 3.33 - Criterio di Guest-Tresca
eI
1
sI
2G
eII
1
s II
2G
1
s III
2G
Eq. 3. 143
eIII
Ancora più diffuso del criterio di Tresca è il criterio di
Hubert-Hencky-Von Mises, noto come criterio di Von
Mises. Anch’esso soddisfa i requisiti elencati alla fine
della precedente sezione ed è probabilmente, allo stato
attuale, il criterio più largamente utilizzato per la
plasticità dei materiali metallici isotropi. E’ stato
separatamente formulato da Huber (1904) e da Von
V V II V III ·
1 §
¨V I I
¸
2G ©
3
¹
V I V II V III ·
1 §
¨ V II ¸
2G ©
3
¹
V V II V III ·
1 §
¨ V III I
¸
2G ©
3
¹
Introducendo l’Eq. 3. 143 nella Eq. 3. 142 e
considerando l’espressione di J2 data nell’Eq. 3. 141, è
possibile dimostrare che:
35
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
Zd
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
>
1
V I V II 2 V II V III 2 V III V I 2
6
@
^V I , V II , V III `
T
vs
p ­ 1 1 1 ½
,
,
¾
®
3 ¯ 3 3 3¿
^V I
T
J2
Eq. 3. 144
p, V II p, V III p`T
Eq. 3. 146
L’Eq. 3. 144 indica che la grandezza indice del
pericolo utilizzata nel criterio di Hubert-Hencky-Von
Mises è l’energia di distorsione, cioè il lavoro per unità
di superficie compiuto per la variazione di forma del
continuo.
Le componenti di vs sono gli sforzi deviatorici
principali. Tuttavia, anche l’invariante secondo J2 può
essere espresso in funzione degli sforzi principali nella
particolare forma riportata in Eq. 3. 110. Il modulo del
vettore vS, quindi, è legato al valore dell’invariante J2:
vs=^sI, sII, sIII`
J2
vV=^VI, VII, VIII`
up
J2 d N
Ÿ
v p d 2N
La superficie di snervamento di Von Mises è dunque
un cilindro a base circolare con asse parallelo all’asse
degli sforzi idrostatici.
La superficie di snervamento definita dal criterio di
Hubert-Hencky-Von Mises è rappresentabile nello
spazio degli sforzi principali come mostrato in Figura
3.34. Si consideri la trisettrice del primo ottante dello
spazio dove VI =VII = VIII ed i piani perpendicolari a
tale trisettrice, che sono chiamati piani deviatorici o
piani ottaedrali. Sulla trisettrice lo sforzo devia torico è
nullo e, per tale motivo, tale retta si chiama asse degli
sforzi idrostatici. Sia vV un vettore che rappresenta un
generico stato di sforzo ^VI ,VII , VIII` nello spazio degli
sforzi principali. Poiché il versore up della trisettrice ha
VIII
r
2k
VII
VI
componenti ^1/ 3 ,1/ 3 ,1/ 3 `, la proiezione di vV
sulla trisettrice ha modulo:
­1½
1 °°
®1¾
3°°
¯1¿
2
Eq. 3. 148
vp
Figura 3.34 - Scomposizione dello stato di
sforzo nello spazio degli sforzi principali
^V I V II V III `
1
vs
2
Il criterio di Hubert-Hencky-Von Mises comporta J2 d
N2 affinché il materiale rimanga in campo elastico.
Graficamente tale condizione si riflette su un limite per
il modulo dei vettori vs, giacenti sui piani deviatorici
con origine nella trisettrice del primo ottante:
VII
vp
Eq. 3. 147
VIII
VI
1 2
2
s I s II2 s III
2
^s I , s II , s III `T
Figura 3.35 - Superficie di snervamento di
Hubert-Hencky-Von Mises
La determinazione del valore limite N con cui
confrontare la grandezza indice del pericolo J2 può
avvenire, come nel criterio di Tresca, mediante il
confronto con la prova di trazione uniassiale. In
corrispondenza dello sforzo di snervamento VY, dove il
materiale si trova sulla superficie di snervamento e J2 =
N2, si ha:
p
3
Eq. 3. 145
Sottraendo dal generico stato di sforzo la sua
proiezione, si ottiene il vettore vs, che giace sul piano
deviatorico, mostrato in Figura 3.34, che ha
espressione:
36
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
>
1
V I V II 2 V II V III 2 V III V I 2
6
2
1
1
N2
2V I2
2V Y
6
6
J2
V
ŸN
@
V I2 V II2 V I V II
2
Eq. 3. 154
Tale ellisse è l’intersezione sul piano VIII 0 del cilindro
raffigurato in Figura 3.35 e può essere confrontata con
il confine di forma esagonale individuato dal criterio di
Guest-Tresca. L’ellisse di Hubert-Hencky-Von Mises
contiene l’esagono di Guest-Tresca. Per uno stato di
puro taglio, con W12 unica componente di sforzo non
nulla in assi cartesiani, il valore di taglio
corrispondente allo snervamento è, per l’Eq. 3. 153,
Y
3
Eq. 3. 149
L’espressione N in funzione di VY conduce ad
espressioni alternative del criterio di Hubert-HenckyVon Mises, che sono spesso utilizzate nella pratica
ingegneristica. Tali espressioni definiscono uno sforzo
equivalente, detto anche sforzo di Von Mises, Veq da
confrontare direttamente con il valore di VY. Le Eq. 3.
150 e Eq. 3. 153 definiscono l’espressione degli sforzi
di Von Mises rispettivamente in funzione degli sforzi
principali e delle componenti di sforzo in generici assi
cartesiani:
V eq
VY
pari a VY / 3 , mentre nel criterio di Tresca, per l’Eq.
3. 139, è pari a VY /2. La differenza è evidenziata in
Figura 3.36, che riporta la retta VI
=-VII ,
corrispondente ad una condizione di puro taglio. Si può
anche osservare come, nel criterio di Hubert-HenckyVon Mises, sia necessario applicare uno sforzo con
modulo maggiore di VY per snervare il materiale in
stato di sforzo di trazione biassiale (VI > 0 e VII > 0) o,
equivalentemente, di compressione biassiale (VI < 0 e
VII < 0).
3J 2
2
V I2 V II2 V III
V I V II V I V III V II V III
V
2
11
2
3W 12
2
2
V 22
V 33
V 11V 22 V 11V 33 V 22V 33 2
3W 13
2
3W 23
VII
VY
Eq. 3. 150
Si osservi che, in base alla definizione riportata in Eq.
3. 110, lo sforzo equivalente è legato al modulo del
vettore che rappresenta il deviatore degli sforzi. Infatti,
risulta:
V eq
3 2
2
s I s II2 s III
2
3J 2
VY
VY
VY
VII = -VI
3 T
^s` ^s`
2
Eq. 3.151
Figura 3.36 - Confronto qualitativo fra i
criteri di Guest-Tresca e Hubert-Hencky-Von
Mises
Nella prova di trazione monoassiale, dove l’unico
sforzo principale non nullo è lo sforzo applicato, VI,
l’espressione dello sforzo equivalente si riduce a:
V eq
VI
3J 2
V I2
I criteri di Guest-Tresca e di Hubert-Hencky-Von
Mises sono stati sottoposti a numerose verifiche
sperimentali. Nel 1931 Taylor and Quinney usarono
tubi a sezione circolare sottoposti a trazione e torsione
realizzati in rame, acciaio dolce e aluminio. Le prove
permettono di indurre uno stato di sforzo caratterizzato
da una componente assiale, in direzione del tubo, e di
taglio, in direzione circonferenziale.Le combinazioni in
corrispondenza dello snervamento sono riportate in
Figura 3.37 nel un piano V-W e confrontate con i criteri
di Tresca e Von Mises.
VI
Eq. 3.152
Il criterio di Hubert-Hencky-Von Mises, con la
definizione di sforzo equivalente, diventa:
V eq d V Y
Eq. 3. 153
Nel piano di equazione VIII = 0, il criterio definisce una
curva di snervamento rappresentata da un’ellisse di
equazione:
37
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
f(V)=F(V)-N, e che N, come si è visto nel 3.4.2, può
essere messo in funzione del limite di snervamento VY
misurato nella prova di trazione uniassiale del
materiale. Ridefinendo opportunamente la grandezza
indice del pericolo è possibile ottenere la seguente
forma generale:
f ı F ı V Y 0
Eq. 3. 155
Figura 3.37 - Verifica dei criteri
snervamento (Taylor and Quinney, 1931)
Nell’Eq. 3. 155 il limite di snervamento è stato
indicato con VY0 per sottolineare che esso si riferisce al
caso di materiale vergine, non ancora incrudito. Infatti,
considerando per semplicità il caso uniassiale illustrato
in Figura 3.39, è possibile osservare che il dominio di
snervamento per un materiale incrudente non è fisso,
ma varia con la storia di carico.
di
V
I risultati riportati in Figura 3.38 sono invece riferiti a
provini intagliati di alluminio puro. Il piano
rappresentato in è un particolare piano deviatorico, che
passa per l’origine degli assi e corrisponde quindi a uno
stato di sforzo idrostatico nullo. L’esagono di GuestTresca e il cerchio di Hubert-Hencky-Von Mises sono
rappresentati e confrontati con i dati sperimentali
H
Variazione del
dominio di
snervamento
Figura 3.38 - Verifica dei criteri
snervamento (Lianis and Ford, 1957)
Figura 3.39 - Variazione del dominio di
snervamento per un materiale incrudente
di
In generale, è possibile tenere conto di questo
definendo una funzione di snervamento, M, che estende
il concetto di criterio di snervamento e ne considera
l’evoluzione con la storia:
Entrambi gli studi indicano una maggiore correlazione
del criterio Hubert-Hencky-Von Mises con i dati
sperimentali. Il criterio di Tresca, come d’altra parte
già evidente dalla Figura 3.36, predice, in generale,
livelli di sforzo di snervamento minori di quelli reali ed
è, di conseguenza, più conservativo.
in campo elastico
M ı, storia 0 Ÿ
M ı, storia 0 Ÿ in condizioni di snervamento
Eq. 3. 156
3.4.3
Funzioni di snervamento e incrudimento
Gli aspetti essenziali del comportamento elastoplastico, sintetizzati nei punti elencati al par. 1.4,
includono la variazione del limite di snervamento per
effetto dei fenomeni di incrudimento e la necessità di
registrare la storia di carico per definire lo stato del
materiale.
Il criterio di snervamento f(V) = 0, introdotto al par.
3.4.2, permette di definire un dominio di snervamento
nello spazio degli sforzi dove f(V)<0 e il materiale ha
compartimento elastico. Si ricordi che, per l’Eq. 3.
136, il criterio di snervamento può esprimersi come
L’evoluzione del confine elastico può essere descritta,
in generale, da una serie di parametri Di, detti
parametri di incrudimento o variabili interne. Si
osservi, per inciso, che in un materiale elasticoperfettamente plastico il domino di snervamento è fisso
e la funzione M non presenta dipendenza dai parametri
di incrudimento.
Una prima possibilità di variazione del dominio di
snervamento nel caso uniassiale è quella descritta da un
38
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
La funzione h delle variabili interne Di descrive
l’aumento del limite di snervamento rispetto al limite
originale VY0. Nel caso del criterio di Hubert-HenckyVon Mises, espresso nella forma dell’Eq. 3. 153 nelle
componenti del tensore di sforzo in assi cartesiani si
ha:
aumento del limite di snervamento sia a trazione che a
compressione, come esemplificato in Figura 3.40.
V
2
2
2
M ı, storia V 11
V 22
V 33
V 11V 22 V 11V 33 V 22V 33 2
2
2
3W12
3W 13
3W 23
V Y hD i 2
MA<0
MB<0
MC<0
B
C
A
Eq. 3. 158
H
La forma finora attribuita alle variabili interne, Di, è del
tutto generale. In realtà, nella teoria classica della
plasticità, si considerano due possibili alternative che
consentono, entrambe, di utilizzare una sola variabile
interna per definire completamente l’incrudimento
isotropo. Entrambe le alternative comportano la
conoscenza delle deformazioni plastiche irreversibili
sviluppate nel corso della storia di carico. Tali
deformazioni, nel caso pluriassiale, saranno descritte
da un vettore ^Hp` e si evolveranno per incrementi
infinitesimi ^dHp`.
Una prima possibilità si basa sull’assunzione che
l’incrudimento, definito dalla funzione h dipenda da
una deformazione plastica equivalente, HPeq, che ha
espressione:
Figura 3.40 - Incrudimento isotropo nel caso
uniassiale
In questo tipo di comportamento il dominio di
snervamento si espande, nel passaggio da A a B a C, in
assenza di effetto Bauschinger (cfr. par. 3.2.5).
L’estensione al caso pluriassiale prevede un’espansione
del dominio di snervamento, identica in tutte le
direzioni, mostrata in Figura 3.40. Per tale ragione,
questo tipo di comportamento è definito incrudimento
isotropo.
³
^ ` ^dH ` ·¸¹
2§
p
¨ dH
3©
T
L’invarianza del volume durante il processo di
deformazione plastica e, conseguentemente il valore di
0.5 del coefficiente di Poisson in campo plastico
(dimostrato in Eq. 3.11) permettono di dimostrare che,
in una prova di trazione monoassiale, l’incremento di
deformazione plastica equivalente è uguale alla
deformazione plastica nella direzione dello sforzo
applicato. Infatti, assumendo che la direzione di
applicazione dello sforzo sia x, risulta:
A B C
VI
dH eqp
V (D)
Y
2§ p 2
p2
p2·
¨ dH xx dH yy dH zz ¸
¹
3©
2 §¨ p 2 § 1 p · § 1 p ·
dH xx ¨ dH xx ¸ ¨ dH xxx ¸
3 ¨©
© 2
¹ © 2
¹
2
Figura 3.41 - Incrudimento isotropo nel caso
pluriassiale
2§ 3 p 2·
¨ dH xx ¸
3© 2
¹
Eq. 3.160
La forma che la funzione di snervamento assume per
descrivere l’incrudimento isotropo è la seguente:
M ı, storia Eq. 3. 157
p T
2
dH p
3
Eq. 3. 159
VY(D)
VY(D)
p
eq
³
VII
VY(D)
³ dH
H eqp
f ı hD i F ı V Y 0 hD i 2·
¸
¸
¹
dH xxp
Il comportamento di un materiale plastico in cui
l’incrudimento è descritto da una funzione h=h(HPeq) è
detto strain hardening. Come indicato in Eq. 3. 159, la
39
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
deformazione plastica equivalente HPeq rappresenta una
misura del modulo del vettore delle deformazioni
plastiche nello spazio delle deformazioni. Pertanto,
nello strain hardening, la sola informazione necessaria
a definire l’incremento di sforzo necessario per lo
sviluppo di nuove deformazioni plastiche consiste nel
modulo delle deformazioni plastiche già sviluppate,
indipendentemente dalla direzione di sviluppo.
E’ possibile definire un incrudimento lineare in cui la
funzione di incrudimento abbia la forma h(HPeq)
=H˜HPeq.
In una definizione alternativa, la variabile interna
storica è rappresentata dal lavoro plastico compiuto
durante la storia di carico del materiale:
lp
V
MA<0
A
³ ^V ` ^dH `
T
MC<0
MB<0
H
C
B
p
Figura 3.42 - Incrudimento cinematico nel
caso uniassiale
Eq. 3. 161
In questo caso, sempre caratterizzato dall’utilizzo di
una singola variabile interna, la funzione di
incrudimento è h= h(lp) e il materiale ha
comportamento work hardening. I due tipi di
incrudimento, strain e work hardening possono essere
del tutto equivalenti, se le leggi che regolano lo siluppo
delle deformazioni plastiche hanno forme opportune.
L’incrudimento isotropo non esaurisce le possibili
trasformazioni del dominio di snervamento e non
spiega, ad esempio, l’effetto Bauschinger rilevato
sperimentalmente in molti metalli. Un'altra tipologia di
incrudimento prevede un dominio di snervamento che
non si espande, ma che si sposta nello spazio degli
sforzi nella direzione in cui il materiale è sollecitato.
Questo tipo di comportamento è detto incrudimento
cinematico (Prager 1955) e, nel caso uniassiale è
schematizzato in Figura 3.42.
Nel caso pluriassiale, l’incrudimento cinematico è
modellabile considerando un dominio di snervamento
che non cambia forma, ma si sposta traslando nel piano
degli sforzi. E’ tuttavia necessario definire, in questo
caso, in che direzione il dominio trasla una volta che lo
stato di sforzo giunge ai suoi confini.
La Figura 3.43 mostra il modello di incrudimento
cinematico proposto originariamente da Prager in cui la
direzione di traslazione è normale alla superficie di
snervamento. L’entità della traslazione è data dal
modulo del vettore g funzione delle variabili interne Di.
Si osservi che il centro della superficie di snervamento,
originariamente in V = 0 (per la simmetria del
comportamento plastico iniziale) si sposta in uno stato
di sforzo definito da g(Di). I componenti dello stato di
sforzo g(Di) sono definiti, con termine anglosassone,
backstresses.
La Figura 3.44 si riferisce ad un modello alternativo a
quello di Prager, proposto da Ziegler, in cui il dominio
di snervamento subisce una traslazione nella direzione
radiale definita dal vettore che congiunge lo stato di
sforzo raggiunto al centro della superficie di
snervamento.
VII
B
A
g(Di)
g
VI
Figura 3.43 - Incrudimento cinematico nel
caso pluriassiale: modello di Prager
VII
B
g(Di)
A
VI
Figura 3.44 - Incrudimento cinematico nel
caso pluriassiale: modello di Ziegler
La forma assunta dalla funzione di snervamento per
l’incrudimento cinematico è del seguente tipo:
M ı, storia Eq. 3. 162
40
f ı g D i F ı g D i V Y 0
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
Nel caso dell’incrudimento cinematico, quindi,
l’applicazione del criterio di Von Mises porta alla
seguente definizione della funzione di snervamento:
33
11
2
11
11
2
32
i
11
i
22
22
11
33
33
2
i
11
i
i
22
22
i
12
2
12
i
L’applicazione del legame elastico e di una funzione di
snervamento per il materiale non sono sufficienti a
descriverne il comportamento elasto-plastico se non è
possibile determinare le deformazioni plastiche
sviluppate nella storia di carico del materiale.
Nell’ambito della teoria classica della plasticità, la
determinazione della risposta costitutiva elasto-plastica
di un materiale sfrutta la possibilità di decomporre,
nell’ipotesi di deformazioni infinitesime, la
deformazione totale in una parte elastica ed una
plastica, come già descritto nel caso uniassiale, al par.
3.2.2. La decomposizione, già introdotta dall’Eq. 3. 9
del par. 3.2.2, è estesa al caso pluriassiale dall’Eq.
3.167:
i
2
22
22
i
13
i
33
33
i
2
13
23
23
Y 02
i
Eq. 3. 163
Nell’ipotesi di comportamento strain hardening il
vettore g è espresso in funzione delle componenti della
deformazione
plastica.
La
forma
lineare
dell’incrudimento cinematico è spesso utilizzata per
semplificare i modelli elasto-plastici. In tale forma:
^ `
g D i >G @ H
Eq. 3. 164
^H `
p
Eq. 3. 168
Se, assegnate le deformazioni totali, le deformazioni
plastiche sono note, è possibile determinare lo stato di
sforzo grazie all’Eq. 3. 168. D’altra parte, invertendo il
legame espresso dall’Eq. 3. 168 e introducendo la
matrice di cedevolezza [C], si può osservare come,
assegnati gli sforzi, è possibile calcolare lo stato di
deformazione totale se sono note le deformazioni
plastiche.
^H ` >C @^V ` ^H p `
Eq. 3. 169
In generale, quindi, la determinazione del
comportamento elasto-plastico del materiale si può
ridurre alla soluzione di due tipologie di problemi:
V cH V cH V cH V cH V cH V cH 3W cH 3W gcH hH V
33
p
cH 33
11
cH 11p
22
p
cH 22
13
cH 13p
p 2
11
11
2
p
11
11
33
p
^V ` >D@^H e ` >D @^H H p `
Un esempio di questo tipo è una funzione di
snervamento alla Von Mises integrata da un modello di
incrudimento misto, ma completamente lineare che
prevede la determinazione di 3 parametri per la
definizione del modello di materiale (VY0, g, H). In assi
cartesiani la funzione di snervamento assume la forma:
V
V
V
3W
e
Grazie a tale decomposizione, introducendo la matrice
di rigidezza elastica [D] definita nel par. 3.4.1 è
possibile scrivere il legame elastico nel seguente modo:
F ı gD i V Y 0 hD i M ı, storia ^H ` ^H `
Eq. 3.167
dove [G] è una matrice di costanti.
E’ da osservare che né i modelli isotropici né quelli
cinematici descritti definiscono esattamente il reale
incrudimento del materiale. Essi rappresentano
idealizzazioni che possono avvicinarsi al reale
comportamento del materiale, in particolare se il
percorso di carico non subisce inversioni o drastici
cambiamenti. I modelli più completi per descrivere il
comportamento del materiale per stati di sforzo
pluriassiali prevedono un incrudimento di tipo misto,
isotropo e cinematico, dove la funzione di snervamento
ha la forma:
M ı, storia Eq. 3. 165
Sviluppo di deformazioni plastiche
Problemi elasto-plastici e natura incrementale del
legame costitutivo
V g D V g D g D V g D V g D g D V g D g D V g D 3W g D g D 3W g D V
M ı, storia V
V
V
3W
3.4.4
p 2
22
22
22
- un problema elasto-plastico diretto, dove sono
assegnati gli sforzi ^V` ed occorre conoscere le
deformazioni
plastiche ^Hp` per calcolare le
deformazioni totali ^H`.
- un problema elasto-plastico inverso, dove sono
assegnate le deformazioni totali ^H` e vanno calcolate
le deformazioni plastiche ^Hp` per determinare gli
sforzi ^V`.
p
22
p
33
p
33
33
2
23
12
p 2
23
p 2
12
p
eq
Y 02
Eq. 3. 166
Il calcolo delle deformazioni plastiche assume quindi
un ruolo centrale nella teoria della plasticità. Tuttavia,
tale calcolo non può avvenire attraverso un legame
univocamente definito fra i valori di sforzo e di
41
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
^İ` ^İ e ` ^İ p `
^ı` >D @^İ` ^İ p `
^İ` >C @^ı` ^İ p `
deformazione plastica. Si è visto, al termine del par.
3.2.5, che il legame sforzo-deformazione, in campo
plastico, non può essere determinato senza seguire la
storia del materiale e, nel paragrafo 3.4.3 si è
formalizzato come le funzioni di snervamento variano
in funzione delle variabili interne Di, anch’esse
dipendenti dalla storia del materiale. Pertanto:
- assegnato uno sforzo ^V` non è possible
conoscere ^Hp` e di conseguenza ^H` senza
conoscere la storia del materiale;
- assegnata una deformazione ^H` non è
possibile distinguere la parte plastica ^Hp`,
senza conoscere la storia del materiale.
Queste considerazioni indicano che il legame sforzodeformazioni in campo plastico dovrà essere
opportunamente posto in forma incrementale. Le
relazioni fra sforzo e deformazione saranno delle
equazioni differenziali che permetteranno, noto un
incremento infinitesimo ^dV` di determinare
l’incremento di deformazione plastica ^dHp` e
l’incremento
di
deformazione
totale
^dH`.
Analogamente le relazioni incrementali permetteranno
di individuare i legami inversi.
Un modo per formalizzare la natura incrementale del
legame è considerare un tempo T, non fisico, che
permetta di riconoscere la sequenza degli eventi nella
storia di carico del materiale. Tale tempo è detto tempo
ordinativo e non comporta la necessità di considerare il
fenomeno dal punto di vista dinamico. I fenomeni sono
quindi sempre studiati staticamente, come successione
di stati di equilibrio, ma è possibile ricorrere alle
derivate delle quantità V, H o Hp rispetto al tempo
ordinativo per formalizzare il legame incrementale. Si
avranno dunque legami nella forma:
dı
ı İ oppure İ
dT
Eq. 3.170
ı
dİ
dT
Eq. 3.171
Come si può osservare dalle Eq. 3.171, anche a livello
incrementale, è necessario, per risolvere il problema,
conoscere lo sviluppo delle deformazioni plastiche per
un incremento assegnato di sforzo o deformazione.
Potenziale plastico e condizioni per lo sviluppo di
deformazioni plastiche
Le deformazioni plastiche si sviluppano quando lo
stato di sforzo raggiunge il limite di snervamento. E’
quindi naturale cercare di esprimere un legame fra i
valori di sforzo applicati e l’entità e la direzione delle
deformazioni plastiche sviluppate.
Sebbene storicamente siano state proposte diverse
teorie per legare lo sviluppo delle deformazioni
plastiche agli incrementi di sforzo, una formulazione
del tutto generale, che fa uso del concetto di potenziale
plastico, fu proposta da Von Mises nel 1928. La
formulazione comporta che gli incrementi di
deformazione plastica İ p , siano proporzionali alle
derivate di uno scalare, Q, funzione delle componenti
di sforzo ^V`. Nello spazio degli sforzi, ciò implica una
proporzionalità fra il vettore degli incrementi di
deformazione plastica e il gradiente dello scalare Q.
Quindi, il vettore degli incrementi di deformazione
plastica non ha componenti nelle direzioni in cui Q non
varia ed è pertanto perpendicolare alle superfici sulle
quali Q è costante.
^ `
İ V VII
Le Eq. 3.170 possono essere considerate come
equazioni differenziali che, note le condizioni iniziali,
ed assegnate delle storie di carico o deformazione nel
tempo ordinativo, V(T) o H(T), possono venire
integrate per risolvere problemi elasto-plastici diretti o
inversi. L’integrazione non può però essere espressa in
forma chiusa perché, in corrispondenza della superficie
di snervamento, la direzione degli incrementi di carico
dovrà essere discussa, con disequazioni, per
determinare se ci si trova in condizioni di carico (con
sviluppo di deformazioni plastiche) o di scarico (con
conseguente comportamento elastico). L’integrazione
dovrà quindi avvenire passo-passo e l’intero problema
espresso in forma incrementale. La decomposizione
delle deformazioni e la formalizzazione del legame
elastico diretto o inverso a livello incrementale è
formalizzata nelle Eq. 3.171:
^İ `
p
Q(VI, VII, VIII) = cost
VIII
VI
Figura 3.45 - Sviluppo delle deformazioni
plastiche perpendicolarmente alle superfici
iso-potenziale
Come si può desumere dalla Figura 3.45, la specifica
forma della funzione Q(^V`) fornisce la direzione nella
quale si sviluppano le deformazione plastiche a partire
da un determinato stato di sforzo.
42
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
percorso sforzi-deformazioni segua la curva di scarico
elastico. Per formalizzare questa possibile alternativa
nel generico stato di sforzo pluriassiale va osservato
che lo stato di sforzo deve sempre necessariamente
essere all’interno o al confine del dominio di
snervamento. Tale osservazione deriva direttamente
dalla considerazioni svolte nel par. 3.1 e approfondite
nel par. 3.4.3. Quando la condizione di snervamento
viene raggiunta, il livello di sforzo può aumentare ma
ciò comporta una espansione (incrudimento isotropo)
od una traslazione (incrudimento cinematico) del
dominio di snervamento tale che:
L’entità delle deformazioni è data dal modulo del
vettore İ p che è determinato da un fattore di
proporzionalità. Tale fattore è indicato con il simbolo
^ `
O ed è chiamato moltiplicatore plastico. Formalmente,
in notazione matriciale, si ha pertanto:
^H `
­ wQ ½
¾
¯ wV ¿
Eq. 3.172
p
O ®
L’Eq. 3.172 è definita legge di flusso (flow rule) e
indica che, con l’introduzione del potenziale plastico, il
problema elasto-plastico si riduce alla determinazione
di O , come è possibile osservare dagli schemi
presentati in Figura 3.46.
Il moltiplicatore plastico deve essere sempre non
negativo, O t 0 , ma le deformazioni plastiche possono
svilupparsi solo sotto determinate condizioni. La
discussione delle condizioni che comportano O ! 0 è
parte integrante della teoria della plasticità.
Una prima condizione prevede che le deformazioni
plastiche possano svilupparsi solo se lo stato di sforzo
si trova ai confini del dominio di snervamento, cioè
sulla superficie di snervamento di equazione:
M ı, storia M ı, D i d 0
Eq. 3.174
Non sono quindi ammessi valori positivi per la
funzione di snervamento. Ne consegue che, se lo stato
di sforzo è ai confini del dominio di snervamento, gli
sforzi e le variabili interne (cioè i parametri di
incrudimento Di) devono variare in modo tale che
l’incremento di M risulti non positivo. Questa
condizione è formalizzata in Eq. 3.175.
se
Noti :^V`, ^H`,^Hp` in T
^H `
p
­ wQ ½
¾
¯ wV ¿
O ®
^V ` >D@^H H p `
La condizione sul segno di M ammette solo due
possibilità: se M è negativo, il materiale si scarica
elasticamente, mentre se M è nullo sono possibili
Assegnato ^V `
^H `
p
T
T
­ wM ½
­ wM ½
® ¾ ^V ` ®
¾ D i d 0
w
V
¯ ¿
¯ wD i ¿
Eq. 3.175
Ÿ M
M ı, storia M ı, D i 0
Eq. 3.173
Assegnato ^İ`
M ı, D i 0
deformazioni plastiche.
La Figura 3.47 riassume la discussione sui segni di M
e di M che permette di dedurre le condizioni per un
valore positivo del moltiplicatore plastico. E’ possibile
osservare che solo quando M =0 e M =0 si ha O >0.
Formalmente è possibile definire una condizione,
chiamata di complementarietà, che riassume le
condizioni necessarie per lo sviluppo di deformazioni
plastiche:
­ wQ ½
¾
¯ wV ¿
O ®
^H` >C @^V ` ^H p `
MO
0
Eq. 3.176
^V+dV`, ^H+dH`,
^Hp+dHp ` in T+dT
Figura 3.46 - Schemi per la risoluzione dei
problemi elasto-plastici diretti e inversi
Come
è
facilmente
intuibile
dal
caso
monodimensionale, la condizione formalizzata in Eq.
3.173 non è sufficiente a garantire lo sviluppo di
deformazioni plastiche, poiché è anche possibile che il
43
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
SI
M ı, D i 0
Campo
elastico
O 0
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
Materiale stabile
secondo Drucker
NO
Stato di sforzo
sulla sup. di
snervamento
V ! 0
M ı, D i 0
SI
O
M 0
H ! 0
H
p
NO
Scarico
elastico
O 0
Materiale instabile
secondo Drucker
Figura 3.48- Materiali stabili e instabili
secondo il postulato di Drucker
Sviluppo
deformazioni
plastiche
O ! 0
Poiché il lavoro compiuto per deformare elasticamente
il materiale è interamente restituito, il lavoro netto
compiuto dal ciclo è solo quello svolto, durante il
primo incremento di carico, per lo sviluppo delle
deformazioni plastiche. Per il ciclo considerato, quindi
il postulato di Drucker comporta VH p >0.
Si osservi che, se il comportamento del materiale
prevede una diminuzione dello sforzo per lo sviluppo
di deformazioni plastiche (come nella curva riprodotta
in Figura 3.48 oltre la linea tratteggiata), il postulato di
Drucker non può più essere soddisfatto, poiché si ha
V 0 per H p 0 . Con questo tipo di comportamento
il materiale si dice strain softening e non è stabile
secondo Drucker.
L’importanza del postulato di Drucker sta in alcune
conseguenze della stabilità, che non verranno per
brevità dimostrate, e che possono riassumersi nei
seguenti punti:
Figura 3.47 - Possibili alternative nel legame
costitutivo elasto-plastico
Posutlato di Drucker e plasticità associata
La trattazione precedente è valida per una forma
qualsiasi del potenziale plastico Q che definisce la
direzione di sviluppo delle deformazioni plastiche. La
forma di Q dipende dai tipi di materiali considerati, ma
è possibile fare una importante distinzione sulla base
della definizione di stabilità di un materiale secondo il
postulato di Drucker.
Il postulato considera un ciclo chiuso nello spazio degli
sforzi, a partire da un stato di sforzo pre-esistente. Un
materiale si dice stabile secondo Drucker se il lavoro di
deformazione, compiuto nel corso del ciclo chiuso, è
non negativo.
Si
consideri,
per
semplicità,
un
caso
monodimensionale, con un ciclo compiuto a partire da
uno stato di sforzo pre-esistente sulla superficie di
snervamento. Il ciclo considerato consiste di un
incremento infinitesimo di sforzo, V , che avviene con
sviluppo di deformazioni plastiche seguito da un
incremento di carico opposto fino al livello di sforzo di
partenza, come descritto nella Figura 3.48.
i. Se il materiale è stabile secondo Drucker il suo
dominio di snervamento è convesso, cioè
contiene l’’intero segmento che congiunge due
qualsiasi punti scelti al suo interno (convessità).
ii. Se il materiale è stabile secondo Drucker, le
deformazioni plastiche devono svilupparsi in
direzione
normale
alla
superficie
di
snervamento (normalità).
La condizione di normalità si traduce direttamente in
un vincolo sulla forma del potenziale plastico, che, in
base all’Eq. 3.172, determina la direzione di sviluppo
delle deformazioni plastiche. Se tale direzione deve
essere, come conseguenza della stabilità del materiale,
normale alla superficie di snervamento, ne consegue
che i materiali stabili secondo Drucker ammettono,
come potenziale plastico, la funzione di snervamento.
La legge di flusso che governa lo sviluppo delle
deformazioni plastiche per materiali stabili secondo
Drucker è pertanto:
44
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
^H `
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
La funzione di snervamento per tale materiale, in
ambito monoassiale, può essere formulata nel modo
seguente:
­ wM ½
¾
¯ wV ¿
Eq. 3.177
p
O ®
V V Y 0 HH eqp
M
Nei materiali stabili secondo Drucker, quindi il
potenziale plastico è associato alla funzione di
snervamento. La legge di plasticità ottenuta in questo
caso si dice associata ed è caratterizzata dalla
condizione Q = M.
Si osservi che l’applicazione di una legge di plasticità
associata conduce a buoni risultati nel caso di materiali
metallici ma non è, in generale, una regola
inderogabile. Alcuni tipi di materiale, che ammettono
comportamento plastico, sono descritti meglio da una
legge di plasticità non associata. Per quanto enunciato
in questo paragrafo, tuttavia, tali materiali non possono
essere considerati stabili secondo Drucker.
Eq. 3.178
dove la variabile di incrudimento, Hpeq, equivale, in
regime
monodimensionale, al modulo della
deformazione plastica:
H eqp
Hp
Eq. 3.179
La legge di normalità comporta:
wM
wV
Eq. 3.180
O
H p
3.4.5
Soluzioni di problemi elasto-plastici in
plasticità associata
O sgn V La complementarietà implica che lo sviluppo di
deformazioni plastiche, con O >0, sia possibile solo se
M =0. Quindi:
L’individuazione della funzione di snervamento
introdotta dall’Eq. 3. 156, la legge di normalità,
espressa dall’Eq. 3.177, unitamente alla condizione di
complementarietà, formalizzata in Eq. 3.176, ed alle
relazioni che descrivono il legame elastico in forma
incrementale, riassunte in Eq. 3.171, consentono la
risoluzione dei problemi elasto-plastici.
Per esemplificare la procedura, e fornire soluzioni in
forma chiusa per alcuni casi particolari, si considerino
innanzitutto casi monodimensionali.
Si prenda in esame un comportamento elasto-plastico
con incrudimento isotropo lineare, rappresentato in
Figura 3.49.
wM
wM
V p Heqp
wV
wH eq
M
sgn V V HHeqp
0
Eq. 3.181
L’ Eq. 3.180, che lega lo sviluppo della deformazione
plastica al moltiplicatore plastico O , fornisce la
relazione fra il parametro di incrudimento H eqp
Hp
e O che, per definizione, è sempre positivo:
V
O sgn V H p
H
O
Eq. 3.182
Considerando il risultato in Eq. 3.182, l’Eq. 3.181
consente di determinare il moltiplicatore plastico O :
MA<0
A
MB<0
MC<0
B
C
M
H
0
Ÿ sgn V V HHeqp
Ÿ sgn V V HO
V
Ÿ O sgn V H
Eq. 3.183
0
0
Si osservi che, affinché vi sia sviluppo di deformazioni
plastiche V e V debbono avere lo stesso segno ed il
moltiplicatore O risulta sempre positivo. Sostituendo
l’Eq. 3.181 nella Eq. 3.180 si ottiene:
Figura 3.49 –– Comportamento elasto-plastico
con incrudimento isotropo lineare
45
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
wM
wV
Eq. 3.184
sgn V sgn V O
H p
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
V
V
H
H
Una forma opportuna per la funzione di snervamento è
rappresentata Eq. 3.187
Nel caso di problema elasto-plastico diretto, è richiesto
il calcolo dell’incremento di deformazione H , una
volta assegnato l’incremento di sforzo V . Applicando
il legame elastico inverso e introducendo il risultato
ottenuto nell’Eq.
3.184, l’espressione di H è
immediatamente calcolata:
§1 1
¨ ©E H
1
V H p
E
Eq. 3.185
H
E H H p
p 2
V Y0
2
Eq. 3.187
dove la variabile di incrudimento è rappresentata dalla
deformazione plastica H p .
La legge di normalità comporta:
·
¸V
¹
O
H p
wM
wV
O 2 V G H
p
Eq. 3.188
Si osservi che, nel caso di plasticità perfetta, H=0 e la
soluzione non esiste a meno di ammettere V =0. In
questo caso la soluzione è indeterminata.
Se il problema elasto-plastico è inverso, cioè se è
assegnato l’incremento di deformazione totale, H ,
l’applicazione del legame elastico e dell’Eq. 3.184,
consente di ottenere l’incremento di sforzo V . Infatti:
V
V GH M
Imponendo M =0 si ottiene:
wM
wM
V p H p
wV
wH
p
2 V GH V 2 V GH p GH p
Eq. 3.189
M
V ·
§
E ¨ H ¸
H¹
©
HE
H
H E
Eq. 3.186
Il valore HE/(H+E) è detto modulo di rigidezza
tangente del materiale. Il caso di plasticità perfetta, con
H=0, ammette sempre soluzione V per il problema
inverso.
Sempre rimanendo nell’ambito della plasticità
monodimensionale è possibile formalizzare la
soluzione dei problemi elasto-plastici anche nel caso di
incrudimento cinematico lineare, come quello
rappresentato in Figura 3.50.
MB<0
MC<0
0
sostituisce nella Eq. 3.189, ottenendo:
M
0
Ÿ 2 V GH p V 2 V GH p GH p 0
Ÿ 2 V GH p V 2 V GH p GO 2 V GH p
Eq. 3.190
Da cui si ottiene:
1
V
O
G 2 V GH p
Eq. 3.191
G
MA<0
A
Sebbene in questo caso la condizione di
complementarietà consenta di determinare direttamente
l’incremento di deformazione plastica, H p , è possibile
seguire un procedimento analogo al precedente,
mettendo innanzitutto in relazione l’incremento di
variabile di incrudimento (che in questo caso è identico
a H p ) con il moltiplicatore plastico O attraverso l’Eq.
3.188. L’espressione di H p in funzione di O si
Ÿ V
V
0
Sostituendo l’espressione di O nella legge di
normalità, si ottiene la legge di sviluppo delle
deformazioni plastiche:
B
C
O
wM
O 2 V GH p
wV
1
V
2 V GH p
G 2 V GH p
Eq. 3.192
H p
H
Figura 3.50 - Comportamento elasto-plastico
con incrudimento cinematico lineare
46
V
G
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
Il risultato ottenuto conduce alle seguenti soluzioni per
il problema elasto-plastico diretto e inverso, analoghe a
quelle ricavate per l’incrudimento isotropo.
1
V H p
E
Eq. 3.193
H
T
§1 1·
¨ ¸V
©E G¹
^ `
T
0
dove i vettori ^wM/wV` e ^wM/wHp` contengono le
derivate della funzione scalare M rispetto alle
componenti dello sforzo e della deformazione plastica.
La legge di normalità, Eq. 3.177, può essere utilizzata
per esprimere l’incremento di deformazione plastica in
funzione del moltiplicatore degli sforzi plastici:
GE
H
GE
Eq. 3.194
Le soluzioni riportate in Eq. 3.184, Eq. 3.185, Eq.
3.193e Eq. 3.194 sono in forma incrementale e sono
valide solo se il M =0 e M =0. Esse possono essere
integrate se è assegnata una storia di carico o di
deformazione.
I risultati ottenuti sono, in effetti, banali, poiché il caso
della plasticità monodimensionale è molto semplice. Si
osservi, infatti, che i risultati V HH p nel caso
^H `
p
­ wM ½
¾
¯ wV ¿
O ®
­ wF ½
¾Ÿ
¯ wV ¿
O ®
T
M
T
­ wF ½
­ wF ½
­ wF ½
® ¾ ^V ` ® ¾ >G @® ¾O HO
¯ wV ¿
¯ wV ¿
¯ wV ¿
Si osservi che, qualora si fosse utilizzata un’altra
misura del modulo delle deformazioni plastiche per
esprimere l’incrudimento isotropo, la legge di
normalità permette, in linea di principio, di esprimere
tale misura in funzione di O e delle derivate della
funzione di snervamento. Quindi, dalla condizione
M =0 si ricava O :
GH p nel caso cinematico, potevano
essere intuitivamente dedotti dalle funzioni di
snervamento fornite, rispettivamente, in Eq. 3.178 e
Eq. 3.187. Dalla forma delle funzioni, infatti, è
immediato dedurre che un incremento di deformazione
plastica porta a un incremento di sforzo di snervamento
proporzionale a H e G nei due casi.
Tuttavia, le procedure seguite negli esempi precedenti
in ambito monodimensionale sono alla base della
soluzione dei problemi elasto-plastici in stati di sforzo
pluriassiali molto più complessi.
Per ottenere una soluzione in forma chiusa si
considererà il caso di una funzione di snervamento con
incrudimento cinematico e isotropo lineare.
^ `
­ wF ½
­ wF ½
p
® ¾ ^V ` ® ¾ >G @ H HO
w
w
V
V
¯ ¿
¯ ¿
Eq. 3.197
V
isotropo e V
T
T
wM ­ wM ½
­ wM ½
p
O
® ¾ ^V ` ® p ¾ H wO
¯ wV ¿
¯ wH ¿
M
O
­ wF ½
®
¾
¯ wV ¿
­ wF ½
®
¾
¯ wV ¿
Eq. 3.198
T
T
^V `
>G @­® w F
½
¾ H
¯ wV ¿
M ı, storia F ı Gİ p HO V Y 0
Eq. 3.195
La decomposizione addittiva delle deformazioni
elastiche e plastiche ed il legame elastico, consentono
di ottenere la soluzione del legame in forma chiusa:
Le variabili di incrudimento in questa funzione sono le
componenti del vettore di deformazione plastica (per la
parte cinematica) e il moltiplicatore degli sforzi
plastici, per la parte isotropa, che rappresenta una
misura del modulo del vettore di deformazione
plastica.
Considerando il problema diretto, con sforzi assegnati,
occorre in primo luogo valutare se M <0 e, qualora sia
M =0 risulti M <0. In entrambi i casi il comportamento
^H` >C @^V ` ^H p ` >C @^V ` O ­® wF ½¾
¯ wV ¿
·
§
­ wF ½­ wF ½
¸
¨
¾
®
¾
®
¸
¨
¯ wV ¿¯ wV ¿
¸^V `
¨ >C @ T
¸
¨
­ wF ½
­ wF ½
® ¾ >G @® ¾ H ¸
¨
V
V
w
w
¿
¯
¿
¯
¹
©
Eq. 3.199
T
è elastico e risulta:
La matrice che moltiplica l’incremento di sforzo nella
Eq. 3.199 è detta matrice di cedevolezza tangente del
materiale.
La procedura per risolvere il problema inverso è
analoga. Se M <0 o se, qualora sia M =0 risulti M <0,
allora il comportamento è elastico:
^H` >C @^V `
Eq. 3.196
Se invece M =0 e M =0, occorre imporre:
^V ` >D@^H`
Eq. 3.200
47
TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI
CAP.3 – LA LEGGE COSTITUTIVA ELASTO-PLASTICA
dove la matrice che moltiplica l’incremento di
deformazione assegnato, ^H` , prende il nome di
matrice di rigidezza tangente del materiale.
In caso contrario, imponendo M <0, si ottiene ancora
^ `
l’Eq. 3.197, che contiene, oltre alle incognite H p e
O , anche l’incognita vettoriale ^V ` che, nel problema
inverso, non è assegnata. La decomposizione addittiva
delle deformazioni elastiche e plastiche ed il legame
elastico, possono tuttavia essere sfruttate per ottenere
^V ` in funzione di ^H` , che è assegnato nel problema
Bibliografia
AAVV, “Manuale dei materiali per l’’ingegneria””, a
cura di AIMAT, McGraw-Hill Libri Italia, 1996
^ `
ed H p :
^V ` >D@^H` ^H p ` Ÿ
T
Corradi L., “Meccanica delle Strutture”, Vol . 1, Mc
Graw-Hill, 1992
^ `
T
­ wF ½
­ wF ½
p
® ¾ >D @^H` ® ¾ >D @ H ¯ wV ¿
¯ wV ¿
M
^ `
T
­ wF ½
® ¾ >G @ H p HO
¯ wV ¿
Eq. 3.201
Khan A.S., Huang S., “Continuum
plasticity””, John Wiley & Sons, Inc, 1995
0
p
­ wM ½
¾
¯ wV ¿
O ®
Meyers M. A. ,“Dynamic Behavior of Materials”, John
Wiley & Sons, Inc, 1994,
Mielnik E. M., “Metalworking
engineering””, Mc-Graw-Hill., 1991
­ wF ½
¾Ÿ
¯ wV ¿
O ®
T
M
T
­ wF ½
­ wF ½
­ wF ½
® ¾ >D @^H` ® ¾ >D @® ¾O w
V
w
V
¯ ¿
¯ ¿
¯ wV ¿
T
­ wF ½
­ wF ½
® ¾ >G @® ¾O HO
w
V
¯ ¿
¯ wV ¿
Eq. 3.202
0
L’espressione del moltiplicatore plastico si ottiene
dall’Eq. 3.202:
T
­ wF ½
® ¾ >D @^H`
¯ wV ¿
O
T
T
­ wF ½
­ wF ½ ­ wF ½
­ wF ½
® ¾ >D @® ¾ ® ¾ >G @® ¾ H
V
V
V
w
w
w
¯ wV ¿
¯ ¿ ¯ ¿
¯ ¿
Eq. 3.203
Infine, l’applicazione del legame elastico permette di
esprimere l’incremento di sforzo in forma chiusa:
^V ` >D @^H` ^H p ` >D @§¨¨ ^H` O ­® wF ½¾ ·¸¸
©
of
Malvern L. E., “Introduction to the mechanics of a
continuous medium”, Prentice Hall, 1969
Analogamente al caso precedente, l’applicazione della
legge di normalità , Eq. 3.177, consente di esprimere
tutte le quantità dipendenti dalle deformazioni plastiche
in funzione di O e delle derivate della funzione di
snervamento.
^H `
theory
¯ wV ¿ ¹
T
§
­ wF ½­ wF ½
¨
>
D @® ¾® ¾ >D @
¨
¯ wV ¿¯ wV ¿
¨ >D @ T
T
¨
­ wF ½
­ wF ½ ­ wF ½
­ wF ½
>
@
D
® ¾ ® ¾ >G @® ¾ H
® ¾
¨
V
V
V
w
w
w
¯ wV ¿
¯ ¿ ¯ ¿
¯ ¿
©
·
¸
¸
¸^H`
¸
¸
¹
Eq. 3.204
48
science
and